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Autore: Mary P_Stark    16/01/2012    5 recensioni
Cosa potrebbe succedere, se l'Araba Fenice tornasse a vivere ai giorni nostri? Se camminasse come un comune essere umano, sconosciuto ai più e per nulla riconoscibile ai nostri occhi? La storia di Joy è la storia delle molte vite di Fenice che, con i suoi poteri, tenta a ogni rinascita di portare il Bene e l'Amore nel mondo. Ma può, l'amore vero e Unico, toccare una creatura come lei che, da sempre, non vi si può abbandonare poiché votata solo all'altrui benessere? Sarà Morgan a far scoprire a Joy quanto, anche una creatura immortale come lei, può cedere al calore dell'amore, facendole perdere di vista il suo essere Fenice.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.
 
 
 
 
L’arrivo della bambina in casa Patterson suscitò immediatamente l’interesse di Melinda.

Tra sospiri di sorpresa e larghi sorrisi, prelevò di peso la bimba dalle braccia del marito – che la fissò accigliato – e corse su per le scale borbottando contro i maschi e i loro sistemi antidiluviani.

Peter, con un sogghigno rivolto all’indirizzo del cognato, celiò: “Non mi ero sbagliato, no?”

Con un insulto soffiato tra i denti e una scrutatina al soffitto per l’esasperazione, Richard salì a sua volta le scale, subito seguito da Peter.

Rivoltosi poi alla moglie, esclamò: “Guarda che, fino a prova contraria, la piccola è tutta intera!”

“E ti pare che dovesse essere avvolta in uno dei tuoi giacconi, poverina?” protestò garbatamente Melinda, tutta indaffarata a pulire con acqua tiepida la bimba che, sgambettando felice, la stava scrutando con quei suoi attenti occhi smeraldini.

Peter scoppiò in una grassa risata di fronte all’aria compassata della sorella, e quella infuriata del cognato, che lo fissò malamente mentre infilava le mani in tasca borbottando: “Ma tu guarda…”

Voltandosi a mezzo per scrutare la coppia di uomini, Melinda rincarò la dose, rivolgendosi al fratello e replicando alla sua ilarità.

“Guarda che tu non sei meglio di lui, Pete. Anzi! Tu hai tre figli, e avresti dovuto sapere come trattarla!”

Azzittito dal rimbrotto della sorella, anche Pete mugugnò stentate proteste, del tutto inascoltate da Melinda che, tutta sorrisi per la nuova arrivata, si limitò a trillare: “Non ti preoccupare, piccolina. Penserò io a te.”

“Ehm, Mel…” tentennò Peter, fissando il viso solare e rotondo della sorella con il dubbio ben stampato in faccia. “… lo sai, vero che, prima di tutto, dovremo portarla ai servizi sociali.”

“Non sono idiota, Pete. Lo so benissimo” precisò Mel, gelida. “Ma so anche che sei a conoscenza del fatto che siamo in lista d’attesa per l’adozione di un figlio e che, se lo chiedessimo a Nancy, potrebbe darci in affido temporaneo la piccola, visto che l’abbiamo trovata noi.”

Ripensando alla loro cara amica, che lavorava nell’Ufficio Adozioni di Lincoln City e che, da un paio d’anni, si occupava del caso di sua sorella, Peter annuì un po’ più tranquillo.

“Sì, credo si possa fare. Perciò, pensate di tenerla, se vi daranno l’okay?”

“E’ talmente adorabile che potrei anche non portargliela affatto” ridacchiò Mel, tutta contenta, prima di strizzare l’occhio al fratello, che aveva spalancato le palpebre per la sorpresa e lo sgomento, a quelle parole.

Rich, ridacchiando dell’espressione del cognato, chiosò: “E dire che dovresti conoscerla meglio di me.”

“Spiritoso” sbuffò Peter, rilassandosi gradatamente. “Pensi mi piaccia illudere Mel? Specialmente sapendo quanto desidera un figlio?”

L’ultima gravidanza che Richard e Melinda avevano tentato risaliva a non meno di tre anni prima e, per poco, Pete non aveva perso la sorella.

Complicanze inaspettate l’avevano costretta ad abortire al terzo mese.

Durante il raschiamento, Melinda aveva avuto un crollo di pressione che l’aveva fatta andare in arresto cardiaco per tre lunghissimi, interminabili minuti.

Pete e Richard, presenti entrambi in ospedale, avevano accolto la notizia con il terrore più puro.

Era occorso comunque poco tempo – anche se  a loro era parsa un’eternità – prima che il chirurgo uscisse dalla sala operatoria confermando il buono stato di Melinda.

Questo, però, aveva definitivamente chiuso la partita.

Richard si era strenuamente rifiutato di riprovarci e anche Melinda, alla fine, aveva dovuto accettare la dura realtà.

Dopo tre aborti, non poteva più tentare, o avrebbe davvero rischiato di morire, la volta successiva.

Con quella consapevolezza, i due coniugi si erano perciò rivolti a Nancy, loro vecchia amica di scuola che lavorava presso l’Ufficio Adozioni della contea.

Da quel momento, erano entrati in lista l’attesa per avere un figlio.

Erano passati quasi due anni e, dopo alcuni falsi allarmi e diversi tentativi infruttuosi, ora compariva dal nulla quella bimba stupenda e Pete non voleva che la sorella si affezionasse a lei, con il rischio di vedersela poi portare via.

Ma, in tutta onestà, come si faceva a non rimanerne stregati?

A giudicare dalla sua lunghezza, doveva avere all’incirca sei mesi e, da come aveva buttato giù il latte che le avevano dato, non doveva avere alcun problema di salute.

Dopo quel pasto d’emergenza, aveva dormito a turno tra le braccia di tutti loro prima che, insieme, decidessero di tornare a casa e consegnarla nelle mani di Melinda.

Era un autentico angioletto, con quella spolverata di capelli d’oro ramato in testa e i giocosi occhi di smeraldo, che parevano sondarti l’anima al primo sguardo.

Ovvio che Melinda ne fosse rimasta affascinata immediatamente.

Chi di loro non si era sdilinquito, di fronte ai suoi risolini allegri o alla stretta delle sue dita grassocce?

Avvolta la bimba in un asciugamano vaporoso color lavanda, Melinda si avvicinò al fratello tenendo contro il seno generoso la piccola e, sorridendo benevola a Pete, disse: “So che stai cercando di proteggermi da un altro dolore, fratellone, ma conosco anch’io la legge, e so che non potrò considerare mio questo splendore finché non lo dirà il giudice. Ma questo non mi vieta di essere carina con lei, ti pare?”

“No, certo” annuì più volte Pete, sorridendole.

“Inoltre, visto dove l’hanno lasciata i suoi genitori, penso che un po’ di coccole extra le spettino di diritto” ridacchiò Melinda prima di allungare la bimba a Rich e celiare: “Facciamo a turno?”

“D’accordo” ghignò allegro Richard, prendendo in braccio il frugoletto che, con un risolino acuto, allungò le braccia paffute e infilò le dita nei capelli dell’uomo, tirandoli con forza.

“Le piaci!” rise Melinda, mentre il marito tentava di salvare i propri capelli dagli strattoni della bimba.

Sogghignando, Pete commentò: “Quella sì che è una stretta!”

“Promette bene” annuì Rich, ridacchiando mentre tentava di allentare la morsa delle dita della bambina.

 
***


C’era un profumo dolce, nell’aria, e tanta tenerezza.

Adoravo quell’amore dilagante, la sensazione di essere protetta da quelle forti braccia, come quella di essere cullata contro quel morbido seno, dove sentivo battere un cuore forte e generoso.

Le sue calde e gentili mani mi avevano lavata e cullata con affetto incondizionato e io, osservandola attraverso quei miei nuovi occhi da infante, l’avevo amata al primo sguardo.

Proprio come era successo con l’uomo che mi aveva raccolta nel bosco.

Erano creature così buone e gentili, così pregne di compassione e umana carità!

Nessun luogo al mondo avrebbe potuto essere più bello di quello dove mi trovavo in quel momento, nessun’altra persona in tutto l’Universo avrebbe potuto catturare il mio affetto come loro.

Ne fui felice.

Bargigli di memoria iniziavano a baluginare leggeri nella mia mente infantile.

Ero ancora troppo piccola per poter comprendere tutto ciò che, sapevo, avrei dovuto conoscere di me stessa e di ciò che ero, ma non c’era fretta, non per il momento, almeno.

Ora, volevo solo godermi quel piacevole tepore che sentivo sorgere dal cuore.

Desideravo donare tutto quel calore alle persone che mi circondavano con premurose attenzioni, perché lo meritavano ampiamente.

Non sapevo per certo cosa ci facessi lì, o come l’uomo dagli occhi buoni di nome Richard mi avesse trovata nel bosco, ma di una cosa ero certa.

Avrei amato quelle persone con tutta me stessa, e non avrei mai permesso a nessuno di farli soffrire.

Era un buon proposito, come inizio. Perché ero più che convinta di non trovarmi lì solo per amare loro, anche se mi pareva già un buon motivo.


 
***


Dopo diversi mesi di affido temporaneo, e la relativa richiesta di adozione inoltrata all’ufficio competente, la famiglia Patterson ricevette il benestare del giudice alle porte del Thanksgiving.

Quando la notizia venne annunciata anche a Peter  Barrett e sua moglie, venne deciso di dare una festa in onore della bimba, in concomitanza con quella festività nazionale.

Iscritta all’anagrafe pochi giorni dopo con il nome di Aileen Joy Patterson, la bimba venne ricondotta a casa circondata dall’affetto della sua nuova famiglia.

Passeggiando allegramente lungo la Southwest per raggiungere la nona strada, dove abitavano i Patterson, Richard e Melanie chiacchierarono allegramente con i cognati.

I tre figli dei Barrett, a turno, invece, tentarono con magri risultati di spingere la carrozzina dove Aileen riposava tranquilla e pacifica.

Quando infine raggiunsero l’interno della villetta a un piano dei Patterson, l’entusiasmo era ormai alle stelle.

Circondata da un piccolo giardino, e attorniata da rade boscaglie che li separavano dall’Oceano - distante poche centinaia di metri - si riversarono tutti nell’ampio salone già addobbato per il Thanksgiving.

Lunghi striscioni e palloncini colorati diedero il benvenuto alla piccola nel loro grande clan.

Beth, la moglie di Peter, e Melinda, si occuparono della cucina mentre gli uomini, prima di scendere in cantina, si raccomandarono con i piccoli Barrett di tenere d’occhio Aileen.

Traballante ma coraggiosa sui suoi insicuri piedini, la bimba sgambettava felice da un cugino all’altro, tenuta sott’occhio dal maggiore dei tre, Alexander.

Dall’alto dei suoi cinque anni, ringhiava ordini ai fratellini minori affinché cadere per nessun motivo la cugina.

Stephen, di tre, e Brian, di quattro anni, obbedivano ciecamente al fratello maggiore, consci del fatto che, se solo si fossero azzardati a farla scivolare, se la sarebbero vista davvero brutta.

Da quando Aileen era entrata a far parte della loro famiglia, già ai tempi dell’affido temporaneo, Alexander si era auto proclamato suo paladino personale.

Nonostante fosse ancora troppo piccolo per prendersene cura personalmente, ogni qualvolta ne aveva avuto l’occasione, si era fatto accompagnare a casa degli zii per vedere la cugina.

I fratellini, naturalmente, non avevano perso occasione per prenderlo in giro, ma Alex non aveva fatto loro caso.

Guardare Aileen fare le boccacce nel tentativo di dire la sua prima parolina, era stato divertente.

Ancor di più, quando, a sorpresa, in una bella mattina d’estate, la prima parola espressa dalla bambina era stata ‘palla’.

La causa prima della scelta di quella parola fu attribuita, a detta di Melanie e Richard, ad Alex.

Come un’instancabile radiolina, aveva ripetuto fino allo sfinimento alla bambina cosa fosse l’oggetto rotondo con cui la faceva sempre giocare.

Alla fine, forse per farlo contento, o per azzittirlo, Aileen doveva aver scelto quella come sua prima parola da esternare al mondo.

Da quel momento in poi, Alex si era fatto più che mai determinato, ben deciso a farle imparare un sacco di altre parole.

Melinda, non potendo fare altro che accontentarlo, si era limitata a stare attenta al lessico del bambino, temendo che, anche solo per un errore, Aileen venisse a conoscenza di certe cose fin troppo presto.

Dopo un breve periodo di tempo, però, Melinda si era dovuta ricredere e aveva lasciato che, ad Aileen e il suo nuovo vocabolario di parole, pensasse Alex.

A un anno di età, Aileen era già in grado di dire almeno una ventina di parole anche se, spesso e volentieri, erano dolci storpiature dell’originale.

Ma a nessuno importava molto che riuscisse a dire correttamente ‘piatto’, piuttosto che ‘mela’.

L’unica cosa che contava, per le famiglie Patterson e Barrett, era il suo ineguagliabile sorriso.

Melinda aveva sempre temuto che, a causa dell’orribile esperienza vissuta in così tenera età, la bimba potesse averne sofferto in maniera irreparabile.

Fin da quando Richard l’aveva portata a casa sorridente e allegra, Aileen non aveva invece mai dato adito di aver patito per quel tragico abbandono.

Dei genitori non si era mai saputo niente e, pur controllando anche negli annunci di bambini scomparsi o rapiti da altri Stati, nulla era venuto fuori.

Sembrava semplicemente comparsa dal nulla, ma a Richard e Melinda non importava molto delle sue origini.

Averla lì in casa, a condividere la loro vita, era un dono cui non avrebbero mai chiesto spiegazioni a nessuno. Faceva parte della loro famiglia, e tanto bastava.

 
***


Era curioso avere a che fare con i miei nuovi cugini, specialmente Alexander.

Era protettivo, con me, e i suoi chiari occhi grigi, tanto simili alle piume morbide delle colombe, mi accarezzavano gentilmente ogni qual volta si posavano sul mio viso.

Le sue mani insicure mi avevano condotta a lui più volte, nei miei tremendi tentativi di mettere un piede davanti all’altro, infuriata con me stessa per la lentezza con cui tornavo a imparare a camminare.

Ero desiderosa di bruciare le tappe come mio solito.

Rammentare di essere Fenice, dopo un paio di mesi dal mio primo incontro con Richard e Melinda, non mi aveva aiutato a chetare il mio spirito infuocato – in tutti i sensi.

Stando assieme ad Alex che, invece, era la calma e la pacatezza fatte persona, il mio animo ansioso ed esigente si era però chetato.

Alex possedeva la rara capacità di calmare una Fenice come me, e ciò era di per sé una cosa incredibile.

Ero ancora troppo piccola, però, per fargli comprendere quanto, questo lato del suo carattere, fosse unico e incredibile.

Sapevo di avere un compito da svolgere, non ancora molto chiaro, ma che già mi pungolava a voler ricordare maggiori eventi del mio passato – dei miei vari passati.

Alex, però, mi dava la calma necessaria per aspettare che il tempo facesse il suo corso, e portasse a me ciò di cui io avevo bisogno un po’ alla volta.

Presto o tardi l’avrei ringraziato, per questo, ma ancora non era giunto il tempo.

Prima di tutto, avrei dovuto comprendere con esattezza in che momento storico fossi – non in tutte le epoche, una Fenice poteva assurgere al suo ruolo in presenza degli umani.

Fatto ciò, mi sarei occupata dei miei compiti e della mia famiglia.

Per il momento, però, potevo godermi le attenzioni dei miei cuginetti e della mia nuova famiglia umana.








Note: Per quanto riguarda questa storia, troverete spesso due punti di vista, nel corso della narrazione: quello in terza persona, che narra le vicende nella sua complessità, e quello di Fenice, che verrà sempre esposto in corsivo, così da darvi il maggior numero di nozioni possibili.
Buona lettura!




 
  
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