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Autore: Kokato    17/01/2012    1 recensioni
“Io ho ucciso un uomo”.
La donna sorrise, improvvisando con il capo un inchino ironico. “Buon per te”.
“Io sono ancora viva”.
“Sì, credo di averlo intuito…”. Una ragazzina in vestito di seta rosa, nell’inverno londinese, con le piccole gambe bianche che spuntavano dal buio come il richiamo lasciato alla bestia che trotterellava, gironzolava nei paraggi del quartiere nero e umido di pietra bagnata. “… e cosa vuoi da me?”.

Roy x Riza x Olivia
Spin-off de 'La villa delle arance', ambientata in parte prima ed in parte dopo gli eventi di quest'ultima, ma non è necessario averla letta per capire questa fic.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Olivier Milla Armstrong, Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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- Questa storia fa parte della serie 'Orange Saga'
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CAPITOLO III

Waiting for the betrayal

Riza posò il tè sulla scrivania di Havoc, stando attenta a che non ne uscisse una goccia dai bordi della tazza. Le era stato detto che il tè si serviva alle cinque, perciò si voltò verso l’orologio per controllare di aver rispettato i tempi prescritti. Poi si rivolse nuovamente verso Havoc, con un quesito incomprensibile sul volto -perlomeno, riguardo alle normali reazioni umane, faceva progressi-.

“Grazie, Riza”, disse lui, ma lei non accennò a farsi da parte. Chiese silenziosamente consiglio a Fury, che alzò le spalle senza dargli nessuna silenziosa dritta. Breda e Buccaneer ridevano, Fallman semplicemente osservava la scena con interesse malcelato. “Sì, Riza?”.

“È buono?”. Dal momento che non lo aveva assaggiato non poteva saperlo, perciò cominciò a soffiare sulla bevanda per raffreddarla, sotto l’occhiata inesorabile della rigida ragazza. La sorseggiò, pensando di bere acqua bollente -evidentemente aveva lasciato il filtro troppo poco tempo in ammollo-, ma in ogni caso sorrise, fece un cenno del capo. “Molto, grazie”.

“Prego”, disse voltandosi per dedicarsi alle altre sue faccende, senza notare Havoc che gettava il tè dalla finestra, addosso ad un barbone che, imprecando, prese a girare l’isolato saltellando e maledicendo Havoc per il brutto scherzo. Miles entrò in quel momento, con la solita faccia tra il professionale ed il disinteressato che aveva quando c’erano novità. “Braccia di uomini, nel Tamigi”, spiegò telegrafico.

“Eh?”, sbottò Breda, lasciando cadere un morso di toast al formaggio.

“Quello che ho detto”, si sedette al suo posto, annotando velocemente degli appunti sul suo taccuino, per poi fare un cenno a Fury di seguirlo, senza una parola. Quando furono usciti incrociarono Olivia sulla porta che borbottò, sommaria come il suo collega: “Braccia di uomini, nel Tamigi”.

“Eh?” rincarò Havoc.

“Hai la perspicacia di un sasso, sai?”, disse, accomodandosi alla sua sedia con le gambe incrociate, in fondo all’ufficio, posizione che le permetteva di osservare i suoi sottoposti con una visione d’insieme. “Sono stati trovati due arti superiori mozzati, nei dintorni del fiume. Dalle prime perizie sembra appartengano a giovani uomini, di non più di trent’anni”.

Vi suggerirei di osservare il Tamigi in una notte di luna piena. Olivia aveva osservato le onde nere ogni notte sperando d’intravedere la spiegazione di quel mistero, senza riuscirvi. Se Knox si era riferito a quello, molto probabilmente, non c’era nulla di sovrannaturale, e non poteva esserne che lieta. Afferrò una tazza di tè dalla scrivania di Buccaneer, bevendo nella speranza che il liquido incandescente sciogliesse il nervosismo e gli enigmi che lo provocavano.

“Ragazzina!” chiamò, e Riza trasferì la sua attenzione dalla finestra a lei. “Questo non è tè, è acqua bollente! Razza d’incapace! In tutti questi mesi non hai ancora imparato niente?” urlò, sbattendo la tazza sul tavolo di modo che la bevanda ne schizzasse fuori violentemente. La ragazza fece un inchino, afferrando la teiera senza avvertire che ne avrebbe preparato dell’altro, e senza giustificarsi dicendo che era stato Miles a chiederle di prepararlo in quel modo. L’Ombra inveì contro Olivia, che chinò il capo per stringersi le tempie tra due dita , per poi guardare a sua volta il cielo chiaro fuori dalla finestra.

Erano vicini all’autunno.

Avrebbero rivisto Roy solo l’indomani, arrivando a braccetto con la nuova stagione.

***

 

“Scozia*? Stai scherzando?”.

Si disse che non era una vendetta, che non stava cercando di allontanare un pericolo dal suo territorio. Lo vide corrucciare la fronte, tirarsi indietro con la schiena sforzandosi di non sembrare disperato. Era quello che era, pallido e senza sonno nel suo completo slacciato sul collo e la sua patina di fascino dandy stesa su di lui come un tessuto invisibile. “È un modo per dirmi che sono stato degradato?”.

“È un modo per dirti che i tuoi zii scozzesi non hanno il piacere d’incontrarti da un bel po’” Roy strinse un’imprecazione tra i denti, schiacciandola nella morsa d’un espressione beffarda perché Olivia non la sentisse, e non lo accusasse di averle mancato di rispetto o chissà che altra stupidaggine da soldati duri e temprati. “No perché sai, potresti causare la disperazione di migliaia di donne in tutta Londra”.

“Come se me ne importasse!” buttò dei fogli sul tavolo, recidendo il filo di quello scambio di battute assolutamente inutili “Nei salotti se ne parla molto, ultimamente. Un racconto di sangue è sempre gustoso tra una tazza di tè e l’altra” considerò, molto critica e poco oggettiva “E se il pubblico vuole sangue, noi glielo diamo”.

“Siamo un popolo di persone strane. Forse la nebbia ce l’abbiamo nel cervello dalla nascita”.

“La maggior parte delle persone non ha niente nel cervello, ma se devo accontentarmi mi basta che sappiano leggere” Roy rise anche se la conosceva, e sapeva che la sua non voleva essere assolutamente una battuta. Il suo viso tondo aveva lineamenti gentili, labbra e occhi grandi, illuminato dalla luce della candela posata sul tavolo sembrava quasi che l’atmosfera ondeggiasse, che Roy avesse deposto i suoi segreti nelle mani di una creatura in grado di sentirne il peso. Ma non era di quello che parlavano, al suo angusto appartamento Roy non era mai riuscito a fare l’abitudine ed ogni discorso di lavoro bruciava sulle fiammelle delle candele che Olivia si ostinava a tenere accese. Strinse i denti, appoggiando il gomito all’indietro sullo schienale della sedia. Pensare che non avrebbe mai potuto innamorarsi di lei, perché era al di sopra di un misterioso livello dove le donne perdevano di forma, screditava l’amore in maniera imperdonabile. La prostituta, la Signora, la mendicante, la ragazza ricca e capricciosa… era davvero così stupido da non saper vedere oltre? Si era confidato con lei come con un amico di vecchia data, con il quale si divide una bottiglia di brandy davanti al fuoco, in una luce soffusa. Ora, nelle guancie gonfie di Olivia, vedeva un ordine perentorio. Vattene, vattene via. Non voglio vederti mentre ti distruggi così penosamente.

Riza spiava dal ciglio della porta, se n’erano accorti entrambi, e non avevano detto nulla, avrebbero evitato di informarla successivamente del cambiamento. La ragazza sembrava non sentire i cambiamenti, in realtà, camminava decisa e stava in piedi senza barcollare, sopportando un peso che persino Roy poteva intuire. Sosteneva il suo sguardo allo stesso modo, fingendosi incurante di lei e della sua infantile infatuazione: sarebbe scorsa via come l’acqua nel Tamigi, spenta dall’età della ragione e dalla sua patetica fuga. Di ritorno dal suo viaggio a caccia di fantasmi e di Zii chiacchieroni Olivia lo avrebbe informato che la sua famiglia era venuta a reclamarla per riportarla a casa, e che quella strana convivenza era finita.

“E devi mandarmi per forza in Scozia per avere il tuo racconto di sangue?” tergiversò, avvicinando il viso a quello di lei “E se incontrassi qualche bella donna con cui sistemarmi e… vi lasciassi?”.

“Lasciassi chi?” rise lei, facendo finta di non capire. Avvertirono le piccole ossa della ragazza che li spiava vibrare, le sue labbra dischiudersi. L’Ombra non si scorgeva nel buio, Olivia non riuscì ad immaginare la sua reazione. Il suo odio per Roy era direttamente proporzionale all’amore che Riza provava per lui -ma chissà se era amore per davvero-. Uno sconsiderato interesse infantile, che sarebbe stato scolpito nella forma di guancie tremanti e dipinto di rossori accennati, probabilmente.

Si chiese se sarebbe rimasta in piedi sopportando il peso della sua assenza, assieme a quello del suo segreto. Ma in fondo sarebbe stato via solo un mese, e Roy non c’era sempre per loro.

C’erano altre donne per lui.

“È una fortuna, un uccellino mi ha detto che ci sarà il sole, domani mattina. Sarà un buon giorno per partire”.

Olivia annuì, assordata dal silenzio aldilà della porta.

 

***

Primo giorno.

Assisteva ad un primo amore, e ad un primo abbandono.

Olivia non capiva cosa ci fosse di diverso in quella fuga rispetto alle altre mancanze grandi e piccole, volontarie o involontarie, inferte come ferite o giustificate come colpe.

Aveva l’impressione che la ragazza non avrebbe percepito il tempo e non sarebbe cresciuta in quei tre giorni, non avrebbe compreso nulla di ciò che stava accadendo. Semplicemente se ne stette in piedi davanti alla finestra.

Havoc scribacchiava qualcosa su un foglio bianco, adocchiandola di tanto in tanto, investito della missione di controllare che non piangesse. Olivia aspettava quel momento al punto da aver incaricato un guardiano per la principessa di ghiaccio.

Cercava ancora il suo buon umore, come Roy desiderava.

Secondo giorno.

“TU! BRUTTO IDIOTA!”.

Quel presentimento la irrigidisce e la congela, è il materiale con il quale ha scolpito l’espressione candida che ha sul viso, mentre la cornetta del telefono la ipnotizza.

Riza non chiederà di Roy, Roy non chiederà di Riza.

Non c’è ragione di pensare che qualcosa cambierà.

I dolci e gli infusi continueranno a mancare di sapore, invecchieranno nella dispensa senza conquistarne mai uno. Olivia non aveva davvero ragione di essere arrabbiata. Urlava al telefono con le gambe accavallate ed osservava la ragazzina, le mani in grembo sulla gonna ingombrante del vestito.

Glielo aveva regalato Roy, bello e frivolo come tutti i regali che si fanno alle donne che non si rivedranno mai più. La sua osservazione la stancava, chiuse gli occhi e abbassò la voce.

La forza non si esprime alzando la voce.

Osserva con la presunzione che non ci sia nulla da osservare.

Forse gli abbandoni si sono sommati e fusi, formando un crimine, formando un assassinio.

Terzo giorno.

Riza non lavorò quel giorno.

Piluccava un dolce al cioccolato, seduta con le gambe raccolte, davanti alla finestra nell’appartamento di Olivia. Le briciole cadevano morbide, nell‘oscurità che pareva avere la stessa consistenza. Non presentiva più nulla e l’autunno aveva portato pioggia senza acqua che insediava il cielo, e non le dava nessuna sensazione sulla pelle. L’Ombra le teneva le spalle e sussurrava al suo orecchio parole mute.

Olivia aspettava una telefonata.

Cercare una reazione nel suo corpo era un passatempo che non le riempiva più il cervello, la stanchezza le stringeva le spalle e si sentiva curva, coinvolta. Non c’era niente di oggettivo nel suo controllare, nella sua ricerca spasmodica di una lacrima sui suoi occhi.

Un primo amore ed un primo abbandono.

Il cioccolato le bruciava la bocca come lava.

Quarto giorno.

“Alla buon’ora, stupido idiota”

L’Ombra le stringeva le spalle, piegando la fessura sulla testa tonda e nera in un ghigno bianco. Olivia teneva in mano la cornetta, e Riza non capiva quale, tra mano e cornetta, fosse a tremare. La redazione era vuota, la donna parlava con gli occhi chiusi, le grandi labbra che sbattevano l’una con l’altra.

Un presentimento, un sentimento causato da un avvenimento che deve ancora accadere… non era più così. L’Ombra le coprì le orecchie, in un gesto apparentemente inefficace.

Riza non ascoltò quella conversazione.

 

***

Lui riapparve il sesto giorno.

Pioveva e la padrona di casa non c’era. I colpi alla porta erano ovattati, pieni d’acqua, pazienti come se la persona che bussava non avesse fretta di entrare in casa e sottrarsi al brutto tempo.

Riza aprì anche se Olivia si era premurata di avvertirla di non farlo, rimanendo un po’ nascosta di modo che la notte e le gocce non passassero attraverso lo stipite. Fu il momento in cui Riza comprese la pietà. Era la prima volta che pretendeva così tanto da lei.

“Mi fai entrare?” c‘era un‘aspettativa nella richiesta, e non ne aveva mai avute verso di lei. La ragazza s’irrigidì, le parve quasi che una goccia avesse tentato di amputarle il braccio. Lo ritrasse di scatto, lasciando entrare l’ospite. Sostenne per la prima volta il peso di un silenzio, rimanendo a fissarlo mentre si toglieva la giacca e soffiava fiato caldo sulle mani. Aprì la bocca per parlare, sotto pressione.

Lui aveva sempre una parola, le portava in tasca. Parole di prima scelta, dolci ma non troppo. Riza si tormentava le mani, nel tentativo d’imitarle. Allora cercò la forza che Olivia decantava, e non la trovò.

Capì cosa fosse l’inadeguatezza.

“Dov’è Olivia?”.

“Non lo so”.

Roy annuì, andò a sedersi al tavolo dal quale una candela illuminava l’ambiente, piccola in confronto ai fulmini che, ad intervalli quasi regolari, sconvolgevano il cielo.

Lo aveva capito meglio nel tempo in cui non lo aveva visto piuttosto che nel tempo in cui era stato a Londra, riempiendola di attenzioni e zucchero, ma non disse nulla. Non c’era motivo di parlare, la Signora sarebbe tornata presto, ma la Signora avrebbe parlato per lei?

L’Ombra saltellava per la stanza, seguendo l’oscillazione della fiammella come il ritmo di una melodia che solo questa poteva sentire. Riza non sapeva cosa fossero la bellezza o il fascino, ma a detta della Signora quell’uomo ne aveva molto. Forse lo distribuiva alle persone come le parole, a gocce o a briciole. Il contrasto dei capelli e della pelle bianca le ricordava l’Ombra, si combattevano e si pacificavano allo stesso tempo. Quando lo vide voltarsi verso di lei ed aprire la bocca per parlare giurò di essere stata inghiottita, la sentenza risuonò in un eco nel suo cervello.

Ti hanno divorato il cuore, lo hanno fatto ancora.

“Sei mai stata innamorata, Riza?” le chiese, con uno sbuffo di risa.

“Sì” Roy la guardò stupito.

“Prima d’incontrarmi?” specificò, con l’aria di ritenersi molto presuntuoso. “Sì” confermò lei, incolore.

“E… com’è stato?”.

Poiché non aveva la capacità di stupirsi stette solo in silenzio, stringendosi una mano nell’altra senza premere troppo “Mortale”.

Era un aggettivo strano da usare, eppure perfetto. La risata di Roy ed il più forte dei tuoni di quel temporale scoppiarono insieme, con la medesima potenza.

“E se incontrassi qualche bella donna con cui sistemarmi e… vi lasciassi?”

Roy si calmò, riprese fiato, tenendo gli occhi chiusi nell’intento di trovare qualcosa da dire. L’Ombra divenne materiale, tamburellò le dita nere sulla sua spalla, imitando la risata dell’uomo che odiava. Se avesse avuto una gola avrebbe sanguinato, rendendo la risata rauca, ma non l’aveva e la ragazza ne fu assordata. Gattonava sul legno del tavolo artigliandone la superficie, scuotendo il corpo oscuro alla luce della candela.

È la fine più naturale, è sempre stato così.

Queste mani non toccano, non sentiranno il collo spezzarsi e la pelle dilatarsi sotto i polpastrelli. Ti darò i suoi occhi in dono, perché sono neri come me. Ti ricorderanno me… mentre vieni via con me.

“No”.

“No cosa?”.

Roy le rivolgeva gli occhi gonfi, neri e insanguinati.

L’Ombra gli era addosso, in attesa come un predatore.

“No” ripeté. L’Ombra aveva pupille per rimproverarla, delle gambe per abbandonarla.

“È la prima volta che ti vedo turbata…” Roy sorrideva, ignaro di tutto “Ti ho fatto ricordare qualcosa di spiacevole? Non dovevo io…” si passò una mano tra i capelli, tergiversando “… io dovrei saperlo, adesso. Dovrei sapere com’è” la mano strinse la fronte, le palpebre si chiusero “Io so bene com’è”.

L’Ombra si dimenava, amputata della propria missione. Arrivò il momento in cui le era concesso di essere umana, di guardare l’uomo che amava mordendosi le labbra e pensare che non c’era niente che potesse fare. È sempre stato così.

Quando fugge via sbattendo la porta Olivia è dietro la porta, con un sacchetto di muffin al cioccolato in mano.

***

 

"Ten died men on the Thames ...", intonò, cantando senza alzare troppo la voce. "... Ten men will fall down from the carriages, ten dead men will walk on the Thames, will suffocate in the rain. They’ll suffocate in their own throat. "

Dieci uomini morti sul Tamigi. Dieci uomini cadranno giù dalle carrozze, dieci uomini morti cammineranno sul Tamigi, soffocheranno nella pioggia. Soffocheranno nella loro stessa gola.

Aveva smesso di piovere quando Olivia la trovò, rivolta al Tamigi che gorgogliava, come soffrendo. L’Oscuro compagno camminava avanti ed indietro, marcando il territorio attorno alla sua protetta, come un animale con il suo pasto o con la progenie. Quella canzone non era stato un buon indizio per trovarla, dato che non l’aveva mai sentita cantare e… l’effetto era strano. Aveva una voce timida, con limiti prestabiliti, che la gola non liberava mai del tutto. L’Ombra le impedì di avvicinarsi.

“Non scherziamo” sussurrò “Non mi puoi fermare”.

L’Ombra rise, e poté udire la sua risata, che la faceva rimanere ferma.

“Come…?” la fessura che era la sua bocca si aprì su una dimensione infinita, che andava oltre ciò che poteva cogliere lì, in una fredda serata autunnale londinese. Le fece un inchino, annunciando di voler svelare le sue carte. Riza non s’interessava del loro silenzioso conflitto.

È la fine più naturale, è sempre stato così”.

Avevano mosso la bocca nello stesso momento, ma era stata Riza a parlare.

“Quindi puoi parlare attraverso di lei, adesso?”.

“Siete voi che non ascoltate”.

La luna fece capolino tra le nuvole, illuminando il misterioso antagonista. Olivia non poteva ammetterlo a sé stessa, ma aspettava da molto quel momento. Lo accolse con un atteggiamento spavaldo, biasimandosi per aver dimenticato a casa il taccuino per le interviste. La creatura, d’altronde, sembrava essere davvero logorroica. Non poteva ammetterlo a sé stessa, ma oscillava e quel movimento era dovuto al contesto inverosimile, alla difficoltà che prevedeva avrebbe incontrato per farsi dare credito, quando avrebbe raccontato quell’avventura. Quella sua prima avventura nel mondo nascosto. Quasi apre un’epoca, basta solo portare in salvo la principessa.

“Chi sei tu?”.

Lo disse in modo teatrale, allargando le braccia, entusiasta, il suo atteggiamento contraddiceva il tono monotono della voce sottile di Riza “Io sono le donne!” sembrava urlare, senza che nessuno accorresse per fargli abbassare il tono della voce o per farlo tacere.

“Io sono le donne, sono le donne!” fece una piroetta, improvvisò un passo di tiptap “Sono le donne tradite, le donne ingannate, le donne stuprate, le donne distrutte!”.

“Cosa?”

“Donna fredda, donna maschile, donna immobile! Io sono anche te!” la ragazza declamava immobile quelle parole, muovendo le labbra appena affinché la voce ne uscisse. Tutta la recitazione veniva dal compagno, tirava avanti il petto e sforzava le membra nere, come cercando di ribellarsi alla propria incapacità di esprimersi. La luce del lampione le sosteneva a malapena, tiepida ed intermittente, talvolta lo lasciava cadere nel buio e scomparire, lo inghiottiva e lo vomitava dalle proprie fauci. Knox lo sapeva, di questo Olivia era certa. Mesi prima, quando aveva chiesto il suo consiglio… lo sapeva e aveva taciuto per un motivo che non si spiegava.

“Qual è il tuo nome?” ne avevano sempre uno. “Cosa sei?”.

La risata di Riza era una serie di suoni strozzati che si arrotolavano, penosi. Non le apparteneva, era vuota e riempita di una rivelazione che l’Ombra riversava in lei contro la sua volontà. Non ottenne risposta, la creatura saltellava e la derideva.

“Dimmi cosa le hai fatto… perché era insanguinata quella notte?”.

“Io ho ucciso un uomo” e, stavolta, la ragazza parlava per sé stessa “Io ho ucciso molti uomini”.

“Lei ha ucciso molti uomini” ripeté, ed era l’Ombra a parlare. “Li vuoi vedere?”.

Olivia non rispose, ma sapeva che avrebbe ricordato tutto con una nitidezza che l’avrebbe portata sull’orlo della pazzia, e che scriverlo non sarebbe servito a ricostruire ciò che era crollato nella struttura della sua logica. Annuì, avrebbe eretto una nuova costruzione, una nuova logica. Era quello che doveva fare di continuo, d’altronde.

L’Ombra lo sapeva, Knox lo sapeva.

Non prendetevi gioco di noi, non fatelo.

Non crollerò com’è crollato lui. Non affogherò e non fuggirò.

L’Ombra aveva acquistato un peso, si sentiva potente e la fissava con il mento alzato della faccia senza occhi, con superiorità, dal fondo del suo regno impalpabile. Il cielo nero sul fiume sembrava solido, un blocco di pietra che non cadeva per pietà verso di loro ma che avrebbe potuto spaccare le loro teste e schiacciarli, frantumare le loro ossa con un crocchiare di frammenti bianchi. Lo aprì come un sipario.

Uomini impiccati in cielo.

Uomini senza mani, nudi, impiccati con una corda fatta di cielo.

“Uomini biechi, uomini egoisti, uomini dalle grandi mani!”.

I loro colli scricchiolavano, lividi, senza spezzarsi. Lo strato nascosto del cielo li aveva mantenuti freschi, di una freschezza bluastra e artificiale che li rendeva mostruosi, un monito freddo e definitivo.

“Lei ha ucciso un uomo, perché gli uomini hanno ucciso lei” declamava, mentre i cadaveri danzavano come marionette che potesse comandare con fili che non poteva vedere “Puoi biasimare queste creature morte?” indicava lei, indicava sé stesso “Potete disapprovare il mio mestiere? Muoiono, una dopo l’altra. Jack lo Squartatore, l’epoca Vittoriana, il puritanesimo. Noi moriamo con loro, lo sentiamo. Tocchiamo le sbarre delle loro prigioni, sentiamo scorrere il sangue sui loro vestiti di seta…” rideva, il velo del cielo vibrava “… e voi non sarete invincibile per sempre”.

Roy. Roy e i suoi segreti. Roy e le sue confessioni. Roy e la sua morte.

Lui ha strappato via la mia invincibilità e ha sfidato l’Ombra delle donne con la sua anima lacerata.

“Aspetterò il momento in cui lei accetterà di vedere il suo tradimento” indicava Riza “Perché lui vi tradirà… lo sapete no? Anzi…” la luce del lampione smise d’illuminarlo “Lo ha già fatto”.

L’Ombra scomparve.

Il velo del cielo era riparato.

Riza piangeva così forte da farsi bruciare gli occhi.

 

***

 

Primo giorno.

Lui non tornava.

Roy se n’era andato dopo un breve saluto, quella sera.

Anche lui aveva sentito che c’era qualcosa che mancava, quando quella notte Olivia riportò a casa una ragazzina tanto disperata da far pensare che avesse riversato ogni malore ed ogni sofferenza in un solo singolo pianto, che le aveva fuso gli occhi e le cavità che li contenevano. Non venne in redazione, la mattina seguente.

Si sentiva le spalle scoperte e quella che le persone chiamano solitudine, trotterellare sulle sue guancie per non farla dormire.

 

Secondo giorno.

Lui non tornava.

Riza era vuota e ciondolava per la redazione con il suo viso congelato, con una teiera di tè bollente appesa ad un braccio. Olivia non la criticò per il pessimo tè, né per l’ipnosi che induceva nei suoi sottoposti, che rendevano professionalmente meno di zero. Distrarsi dalla sua tristezza era impossibile, era la sua prima tristezza.

 

Terzo giorno.

Lui non tornava.

Riza odiava il cioccolato, sembrava essere una notizia ufficiale.

Aveva gettato ogni singolo dolce al cioccolato nel cestino della carta straccia, briciola per briciola.

Le contava, perfino, e quando finalmente giacevano tutte nella pattumiera, tirava un sospiro di sollievo che nessuno poteva sentire, a parte Olivia. Era piccolo e breve come un dettaglio che non si nota se non si fa una grande attenzione.

Solo allora si voltava verso la porta, aspettandosi di vederla aprirsi.

Quarto giorno.

Lui non tornava.

Era solo il terzo giorno di un’attesa oscura.

Riza non capiva cosa fosse il tradimento.

Si predisponeva ad aspettare il suo ritorno.

 

 

Note dell’autrice!

Finita!

Ohibò, io ovviamente mi sto vergognando come un cane in questo momento ma amen… è una piccola storiella con un finale demmerda e a me piace così, se devo dire la verità. Ci ho messo tanto di me stessa e raramente sono soddisfatta di quello che scrivo, ma in questo caso lo sono quindi l’ansia che mi contraddistingue verso qualunque cosa nell’universo- mondo, come direbbe il mio lovely prof di diritto del lavoro, è limitata… almeno in questo caso XD

*Per conoscere le mirabolanti avventure (?) di Roy in Scozia leggete “La villa delle Arance”… ma non è obbligatorio *ansia-ansia-ansia-ansia*

EDIT! Da più parti mi arrivano segnalazioni secondo cui il finale non si capisce. A chi lo capisce donerò tutto il mio ammmore zuccheroso... agli altri beh, mi dispiace: sono una chiavica, ue.
   
 
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