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Autore: Katie88    29/01/2012    13 recensioni
Ecco a voi l'ennesima storia su una ipotetica sesta serie, dopo la tristissima 5x13. So che ci sono già moltissime fanfiction sullo stesso argomento, ma ho voluto comunque dare la mia versione. Spero che vi piaccia!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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20. Trouble In Paradise?

 

 

 

 

 

 

Con un gesto deciso, aprì la porta facendo tintinnare l’ormai familiare campanello.

Justin sorrise, realizzando solo in quel momento che nei due anni di assenza aveva sentito persino la mancanza di quello stupido suono.

Quante volte, durante i suoi lunghi turni alla tavola calda, a quel fastidioso trillo si era voltato verso la porta con la speranza di veder entrare Brian?

Scosse il capo con un mezzo sorriso e slacciò i bottoni del cappotto che indossava.

Forse era la discussione che aveva avuto quella mattina con Vanessa – una delle solite ormai –, o le continue battutine di Brian su New York – che iniziavano davvero a dargli sui nervi – oppure dipendeva semplicemente dal fatto che, nonostante avesse ripetuto fino alla nausea di voler rimanere a Pittsburgh, nessuno sembrava dargli retta; tutti continuavano a trattarlo come il povero, piccolo Justin che avevano conosciuto anni prima, aspettando di vederlo comparire sulla porta con la valigia in mano e un biglietto di sola andata per la Grande Mela.

No, davvero non aveva compreso cosa gli causasse quel costante e asfissiante senso di inquietudine, quella sensazione di oppressione e di ansia che non gli dava un attimo di pace, ma di una cosa era certo. La discutibile cena che Daphne aveva preparato per lui e Brian la sera precedente non c’entrava un cazzo.

Che poi al suo tormento, si aggiungesse anche quella nota di nostalgica malinconia non era che il danno oltre la beffa.

Più New York si faceva vicina, più lui osservava quanto gli fossero mancati anche i più piccoli, insignificanti particolari di quella città che in passato si era ritrovato spesso ad odiare.

E adesso ci si metteva anche il dannato campanello del Diner a rigirare il coltello nella piaga.

Davvero fantastico…

Le cose erano due: o stava diventando un patetico rammollito o si stava trasformando in una lesbica. E, conoscendo il suo fidanzato, non sapeva davvero quale fosse peggio.

Si sfilò il cappotto posandolo su uno degli sgabelli liberi e decise di lasciar perdere quei filosofici ragionamenti sulla sua esistenza nel momento in cui Debbie uscì dalla cucina, il solito sorriso gioioso dipinto in volto.

“Ehi, Sunshine!” Lo salutò allegra, prendendo il suo posto dietro il bancone. “È un po’ che non ti si vede. A che dobbiamo l’onore?” Justin si sporse in avanti per baciarle affettuosamente una guancia.

Cristo Santo, se mi è mancata persino l’insopportabile premura di Debbie sono davvero finito…

“Avevo invitato Brian a pranzo, ma ha detto di essere troppo impegnato…”

“E figuriamoci…” Debbie alzò gli occhi al cielo, battendo alla cassa lo scontrino di uno dei clienti.

“… però sono riuscito a convincerlo a venire qui per mangiare qualcosa al volo con me.”

Debbie gli pizzicò una guancia, facendo schioccare rumorosamente il chewing gum che aveva in bocca. “Ben fatto, tesoro. Non so che farei senza di te che mi aiuti a tenerlo in vita. Se dipendesse da lui, andrebbe avanti a birra e bourbon.”

Justin rise. “Le basi fondamentali della perfetta alimentazione Brian Kinney.”

“Ti faccio liberare un tavolo appena possibile.” Gli assicurò la donna, dirigendosi verso la cucina.

“Grazie.” Justin la guardò allontanarsi poi verso un gruppo di clienti. Si appoggiò coi gomiti al bancone, rimanendo in piedi, e si sporse in avanti per leggere uno dei giornali abbandonati lì sopra.

La sua lettura fu bruscamente interrotta due minuti più tardi, quando sentì qualcuno spalmarsi contro la sua schiena e due mani aggrapparsi con decisione ai suoi avambracci.

“Ma che cazzo…” Provò a voltarsi per mandare a fanculo il marpione di turno, ma la presa ferrea sulle sue braccia glielo impedì. S’irrigidì stizzito, tentando di divincolarsi.

“Non ci provare nemmeno…” Gli sussurrò una voce roca all’orecchio. Justin si rilassò all’istante, trattenendo un sorriso. “E adesso, su le mani e giù i pantaloni, Sunshine.” Il ragazzo scoppiò a ridere, subito seguito dal suo fidanzato. Si rigirò tra le sue braccia e gli portò le mani al collo. “Ciao, sexy.” Gli sussurrò baciandogli la mascella. “Sei in anticipo.”

Brian scosse le spalle. “Mi sono liberato prima.”

“Buon per me.”

“Ehi, Sunshine!” Debbie lo chiamò dal fondo del locale. “Il tuo tavolo!”

Brian lo lasciò andare, facendogli cenno di precederlo. “Il maître chiama, signor Taylor.” Justin se lo trascinò dietro, prendendolo per mano.

“Ehi, Deb.” Brian si sfilò il cappotto e lo posò sui divanetti, sedendosi al tavolo. Justin si accomodò davanti a lui.

La donna lanciò a Brian un’occhiata di traverso. “Hai un aspetto orribile.”

Brian alzò gli occhi al cielo, facendo ridere Justin. “Grazie, Deb. Sai sempre trovare le parole giuste per farmi sentire meglio.”

Debbie gli puntò un dito contro con fare minaccioso. “Quanto hai dormito negli ultimi tre giorni? Cinque ore per notte?”

“Fai anche tre.” Suggerì Justin, afferrando il menù per evitare l’occhiata ammonitrice che sicuramente Brian gli stava rivolgendo.

“Deb, ho un nuovo, incontentabile cliente che richiede tutta la mia attenzione.”

“Ma davvero?” Il tono di Debbie trasudava scetticismo. “Deve avere un gran bel culo se riesce a toglierti il sonno.”

Brian la guardò, assumendo un’aria stupita. “E adesso come siamo passati al culo di Justin? Deb, sai che non è opportuno parlare di sesso a tavola.” Piegò le labbra all’interno della bocca quando Justin soffocò una risata. “E ora che hai finito di impicciarti, possiamo ordinare?”

Debbie estrasse il suo block notes e, senza aggiungere altro, prese le ordinazioni. “Stasera vi aspetto tutti e due a cena.” Proruppe poi a tradimento, strappando una smorfia a Brian.

“Io non vengo.” La donna lo ignorò. “Ehi, hai sentito? Non ci vengo alla tua stupida cena settimanale.”

“Alle otto.” Lo informò la donna, scomparendo in cucina.

“Al diavolo la dannata cena…” Borbottò l’uomo tra i denti.

Justin gli posò una mano sul braccio. “Falla contenta. È solo preoccupata per te.”

“Nel caso non se ne fosse accorta, sono un adulto.”

“E nel caso tu  non te ne fossi accorto, hai davvero un aspetto orribile.” Brian assottigliò lo sguardo con fare minaccioso, sfidandolo a continuare. “Debbie ha ragione, dovresti dormire di più e nutrirti di qualcosa che non sia solo giapponese o tailandese.”

“Mi piace il tailandese.”

“Sì, dillo al tuo stomaco e al tuo fegato.”

Brian inarcò un sopracciglio. “Da quando sei diventato il mio medico?”

“Da quando anche io mi preoccupo per te, cioè sette lunghi, estenuanti anni.”

Kiki arrivò al tavolo con le loro ordinazioni. Probabilmente Debbie aveva deciso di non dare altre occasioni a Brian per rifiutare l’invito alla cena. “Ecco qua, ragazzi.” Accarezzò amorevole i capelli di Justin. “Non so dirti quanto ci sei mancato, dolcezza.”

Justin le sorrise riconoscente. “Grazie, Kiki.” La donna annuì e tornò verso il bancone, non prima di aver lanciato un’occhiata di avvertimento a Brian.

“Non bastava Debbie, adesso ci mancava anche il fenomeno da baraccone a farti da guardia del corpo.”

Justin si strinse nelle spalle, afferrando una manciata di patatine. “Non è colpa mia se io sono adorabile e tu il lupo cattivo.”

Brian diede un morso al suo panino. “Dovresti occuparti del tuo di fegato.” Osservò, additando il cheeseburger. “Almeno nel mio tailandese c’è qualche ingrediente sano.”

“Come no…” Borbottò Justin, sorseggiando la sua coca. “Allora? Come va col nuovo cliente?”

Brian inarcò un sopracciglio. “È davvero un nuovo cliente.” Precisò. “Non me lo sono…”

“Lo so.” Lo interruppe Justin. “E so anche che Debbie ha la bocca davvero troppo larga, a volte. Nel caso non te ne fossi accorto, non ascolto tutto quello che dice.”

“Perché no?”

Justin gli sorrise, sfiorandogli una mano. “Perché il più delle volte preferisco ascoltare te. Dato che nessuno lo fa.”

“Quindi sarei uno che parla al vento?”

“No.” Justin alzò gli occhi al cielo, esasperato. “Ma gli altri sembrano sapere tutto di te. Cosa dirai, cosa farai, chi ti farai…”

“E il problema è?” Chiese Brian confuso, non arrivando al punto.

Justin intrecciò le dita a quelle del suo fidanzato, abbassando lo sguardo sul tavolo. “Il problema è che il novanta per cento delle volte, non sanno di cosa cazzo stanno parlando.”

“Ma davvero?” Brian nascose un sorrisino divertito. “E tu lo sai?”

“Certo.” Justin riportò lo sguardo su di lui. “Perché io mi fermo ad ascoltarti. Non presumo di sapere già tutto, al contrario di altri.”

Brian piegò le labbra all’interno della bocca e annuì lentamente. “Ok.” Strizzò le dita di Justin prima di rilasciarle e tornare al suo panino. “Allora, ti va di sentire come è andata la mia mattinata con un cliente insopportabile che non mi sono scopato e che di sicuro non mi scoperò mai?”

Justin ridacchiò, sfilando una foglia di insalata dal suo cheeseburger. “Sono tutt’orecchi.”

Il ragazzo trascorse la successiva mezz’ora ad ascoltare il suo compagno che malediceva in almeno un paio di lingue il nuovo cliente della Kinnetic che, a detta di Brian, era tanto ricco quanto idiota. E Masterson era davvero ricco.

Poi passò all’incompetenza dei suoi collaboratori, dei suoi dipendenti e dell’intero dipartimento artistico – “Non dirlo nemmeno, perché potrei prenderti in parola…” Borbottò Brian quando il suo fidanzato gli offrì il suo aiuto, almeno in quel campo – e, prima che avessero finito il pranzo, Brian aveva deciso di licenziare metà della sua agenzia. Fu Justin a dissuaderlo dal farlo, ricordandogli quanto il fatto di essere povero lo avesse sconvolto in passato.

“Tu, invece?” Gli chiese, quando Kiki passò a ritirare i piatti e informò Justin della squisita torta di mele del nuovo cuoco. Il ragazzo ne ordinò due porzioni, facendo alzare gli occhi al cielo al suo fidanzato.

“Niente di che.” Justin si strinse nelle spalle e si morse un labbro con aria colpevole. Finse interesse per il vecchio menù consunto.

Avrebbe voluto raccontargli della discussione con Vanessa avuta solo qualche ora prima, di come la sua gallerista si ostinasse a tormentarlo con la storia di New York, di quanto lo avesse innervosito con le velate minacce di rivolgersi direttamente a suo padre con cui “Hai firmato un contratto, Justin! Un contratto legale e vincolante!” e di come lui, sotto lo sguardo inorridito di Steve e Molly l’avesse allegramente mandata a quel paese, definendola una sciocca ragazza immatura e viziata, sebbene si rendesse conto benissimo da solo di essere lui il primo ad essere immaturo.

Avrebbe voluto confidarsi con Brian, avrebbe voluto confessare al suo fidanzato, al suo compagno, al suo partner di non riuscire più a gestire la situazione e di stare affondando sempre più, di voler solo rimanere lì con lui e con la loro famiglia, senza sentire più parlare di New York e di gallerie, di mostre e di Vanessa Austen.

L’unica cosa che desiderava era sprofondare nell’abbraccio rassicurante di Brian e scordarsi del resto, rimanere per sempre con lui, seduti a quel tavolo a parlare come una coppia qualunque senza preoccuparsi di quegli incombenti seicento chilometri.

Purtroppo però sapeva quale sarebbe stata la risposta di Brian alle sue lamentele. E quel giorno, non era davvero in condizione di sentirla.

“Niente di che?” Brian inarcò un sopracciglio.

“Sì, qualche giro in centro, una passeggiata…” Justin si strinse nelle spalle. “Niente di che.” Ribadì.

Il suo fidanzato annuì, fingendo di bersi la bugia. Si appoggiò comodamente contro i divanetti proprio mentre Kiki portava al loro tavolo i due pezzi di torta.

“Grazie, Kiki.” La ringraziò educatamente Justin.

“Figurati, angelo.” E sparì di nuovo tra i clienti.

“Io invece ti ho preso un regalo.” Confessò Brian, prima che Justin potesse dare il primo boccone. Vide le sue sopracciglia guizzare curiose verso l’alto.

“Davvero? Un regalo?”

Brian annuì, sporgendosi verso di lui e accarezzandogli il polso. Ovviamente lo fece con discrezione, non voleva che si spargesse la voce che Brian Kinney coccolava il suo ragazzino come un patetico finocchio innamorato.

Come aveva fatto in precedenza per la bugia del suo fidanzato, finse di credere anche a quella che si stava raccontando da solo, insinuando le dita sotto la manica della maglia di Justin che rabbrividì al contatto.

“E poi non dire che non penso a te.” Con la mano libera estrasse qualcosa dal cappotto. “Tieni.”

Justin mollò immediatamente la forchetta e prese la busta bianca tra le mani con un sorriso radioso. “Che cos’è?”

“Aprila.”

“Nessuna anticipazione? Nessuna promessa strappato in cambio di favori sessuali?” Il ragazzo la guardò malizioso. “Stai invecchiando, mio caro.”

Brian alzò gli occhi al cielo. “Apri quella cazzo di busta e chiudi il becco.”

Justin annuì, mordendosi un labbro per non scoppiare a ridergli in faccia, ma tutti i suoi sforzi divennero inutili quando vide il contenuto del suo regalo. Il sorriso sparì immediatamente dal suo volto e Brian, come se si aspettasse quella reazione, gli strinse di più il polso.

“Questo è…”

“Prima classe, Sunshine. Volo Pittsburgh-NewYork. La data devi confermarla il giorno prima della partenza.”

Justin ritrasse la mano e alzò lo sguardo verso di lui. Il cuore di Brian parve spezzarsi quando vide i suoi occhi azzurri riempirsi di lacrime.

Mi dispiace, Sunshine, ma è la cosa giusta per te…

“Justin…”

Il ragazzo gettò la busta sul tavolo con un gesto secco, il biglietto scivolò sulla superficie di plastica. “Puoi anche riprendertelo.”

“Te l’ho già detto. È un regalo.”

Justin si alzò in piedi e afferrò il suo cappotto. “Non lo voglio il tuo cazzo di regalo.” Lanciò un’ultima occhiata furiosa all’uomo davanti a lui e si voltò, dirigendosi a passo spedito verso l’uscita. Un istante dopo, il campanello della porta trillò.

Brian sospirò piano tra sé e posò lo sguardo sul biglietto aereo.

Lì accanto, ancora intatta, giaceva la torta di mele di Justin.






“NO, NO, NO E NO!” Emmett sobbalzò spaventato al grido furioso di Molly e così fece Bradley al suo fianco. “Vi ho già detto che queste decorazioni vanno dall’altra parte! Sì, esatto proprio lì!” La ragazza sospirò esausta, dirigendosi poi verso di loro. “Dopo questo ballo, avrò bisogno di una vacanza.” Bradley ridacchiò, posandole le mani sulle spalle e massaggiandogliele con vigore. “Stai andando alla grande.”

“Il tuo fidanzato ha ragione, dolcezza. Stai gestendo la situazione in maniera meravigliosa.”

Molly sbuffò scettica. “Tra un po’ ci sarà una congiura per uccidermi.”

“Come Giulio Cesare.” Le fece notare Bradley, strappandole un sorriso. “E lui è diventato famoso.”

“Sì, ma credo che sia diventato famoso per ciò che ha fatto prima di morire.”

“Non lo so, sai che la storia non mi piace.”

Molly scoppiò a ridere. “Apprezzo comunque lo sforzo.” Un ragazzo dai capelli scuri si avvicinò chiedendo gentilmente di parlare con Bradley. Molly ne approfittò; una volta che il suo ragazzo fu fuori portata d’orecchi, si voltò verso Emmett e gli sorrise. “Ehi, ho visto che hai coinvolto anche John. Gran bella mossa.”

Emmett rise. “A dir la verità, si è coinvolto da solo, dicendo che erano anni che non andava più ad un ballo e che magari, se avesse dato una mano, avrebbe rimediato un invito.”

“Ma certo che siete invitati!” Esclamò indignata Molly. “Se non fosse stato per voi, qui sarebbe ancora un casino. Io non avrei saputo da che parte iniziare!”

“Saresti andata benissimo.” La rassicurò l’uomo. Lanciò un’occhiata fugace a John e si sporse verso Molly con fare cospiratore. “E se devo essere sincero, non mi dispiace passare del tempo da solo con lui.”

“Se vuoi il mio parere, è interessato a te.” Gli rivelò Molly. “Nessuno sano di mente si offrirebbe per una cosa del genere. Nemmeno io starei qui se il preside non mi avesse costretto!”

“Tu dici?” Emmett sospirò con aria sognante, giocherellando col festone blu notte che stringeva in mano. “Non lo so, cerco di non illudermi, ma…”

“Sareste davvero una bella coppia. Lui è gentile, educato, spiritoso e tu…” Molly gli sorrise radiosa, ricordandogli l’evidente parentela con Justin “… tu sei la persona più incredibile che io abbia mai conosciuto. Capisco perché Justin ti vuole così bene.”

“Oooh…” Emmett si portò le mani sulle guance e scosse il capo. “Adesso mi fai arrossire, Ginger.”

“È la pura verità. E comunque sono sicura che anche se non sarà John, prima o poi arriverà qualcuno che ti merita, Em. Ma deve essere una persona speciale almeno quanto te! Qualcuno che ti meriti davvero.”

“Come il tuo Bradley?” La stuzzicò l’uomo.

La ragazza arrossì proprio mentre il fidanzato in questione tornava da loro. “Adesso devo andare.” Lanciò un’occhiata divertita a Emmett e si alzò sulle punte, baciando Bradley brevemente sulle labbra. “Ci vediamo dopo.”

“Cerca di fare la brava.” Fece lui con tono irriverente.

La ragazza si voltò, inarcando maliziosamente un sopracciglio. “Non ti assicuro niente.” E di fronte all’espressione incuriosita del suo fidanzato, rise tornando dai suoi amici.

Emmett trattenne a stento un sorrisino. “Siete molto carini insieme.”

Bradley scosse il capo, voltandosi verso di lui. “Tu credi?”

“Assolutamente. E posso dire che si vede lontano un miglio che sei cotto.” Vide il ragazzo bruno arrossire imbarazzato. “Non c’è nulla di cui vergognarsi, splendore. L’amore alla tua età è una cosa meravigliosa.”

“È che… è tutto strano. Strano bello, non strano strano, però mi sembra…”

“Strano?” Lo prese in giro Emmett, ridacchiando. “Bradley, ascolta. È l’adolescenza, nessuno si aspetta che vi sposiate domani o che facciate tre bambini. Siete giovani, belli, popolari e innamorati. Godetevela finché dura.”

“Lei è speciale.” Confessò il ragazzo, abbassando leggermente la voce, come se quella dichiarazione fosse qualcosa di cui vergognarsi. Emmett ripensò agli anni del liceo e realizzò che ammettere di voler davvero bene ad una ragazza, di considerarla superiore alla media e di tenere a lei in maniera speciale era probabilmente qualcosa di cui vergognarsi.

Sorrise intenerito e annuì, riportando lo sguardo sulla signorina in questione che in quel momento si arrampicava su una delle scale sparse per l’immensa palestra della St. James. “Lo so.”

“Non credevo che si sarebbe mai accorta di me, Molly è una alternativa, una originale, e di certo non è il tipo di ragazza che esce col capitano della squadra di lacrosse.”

“Eppure siete qui.”

“Eppure siamo qui. E ancora non mi spiego come sia possibile.”

Emmett gli posò una mano sulla spalla. “Non è che tu sia poi così male.” Scherzò facendolo ridere. “Sono certo che hai moltissime qualità, altrimenti Molly non starebbe con te. E devo dire che hai fatto colpo anche su sua madre.”

Bradley lo guardò interessato. “Davvero?”

L’uomo annuì. “Davvero. Jennifer è molto felice che tu esca con sua figlia. Sa che sei un bravo ragazzo e che non faresti nulla per ferire Molly.”

“Almeno un Taylor è dalla mia parte.” Osservò mesto, affondando le mani nelle tasche dei jeans scoloriti.

Emmett ridacchiò, riprendendo a controllare le decorazioni che ancora rimanevano da appendere con la speranza che non si fossero danneggiate durante il trasporto. “Tranquillo, Bradley, Justin è un bravo ragazzo. Prima o poi capirà che non ha nulla da temere da te.”

“Io credo che mi odi.”

“Sciocchezze. È solo geloso di sua sorella.”

Bradley inarcò un sopracciglio. “Geloso?”

“Certo, geloso. Lui e Molly sono molto legati e il fatto che sia arrivato qualcuno a portargli via la sua sorellina adorata, lo manda in bestia. Crede che tu possa prendere il suo posto.” Sorrise tra sé. “Molly avrà anche diciotto anni, ma per Justin rimane la bambina con le codine con cui faceva l’altalena in giardino.”

“Il signor Taylor ha mai sentito Molly parlare di lui?” Domandò Bradley a bruciapelo. Emmett scosse il capo. “Nessuno potrà mai prendere il suo posto nel cuore di Molly, lei lo adora, lo… venera. Suo fratello è la persona più importante della sua vita, la gioia e l’orgoglio che si scorgono nei suoi occhi quando parla di lui è talmente evidente da essere… non lo so, ma è incredibile. Molly ama suo fratello più di qualunque altra cosa al mondo e anche se a lui non lo dice, perché so che piuttosto che farglielo sapere si taglierebbe una gamba, l’amore che prova per lui traspare in ogni sua parola. Sempre.”

Emmett sorrise. “Lo so, ma credimi, Justin è uno che sa leggere tra le righe. È abituato ad essere circondato da persone di poche parole. Ed è anche un ragazzo intelligente. Vedrai che prima o poi si accorgerà di quanto tieni a Molly e la smetterà di fare il cane da guardia.”

“Speriamo… Ehi!” Il ragazzo si avviò con passo minaccioso verso la matricola che, con la scusa di aiutare con le decorazioni, si era piazzato sotto la scala su cui Molly era appollaiata e sbirciava senza vergogna sotto la sua gonna. “Che cosa pensi di fare?” Lo prese per un braccio e lo scansò malamente. Molly guardò male il ragazzino. “Ehi, idiota! Riprovaci e ti gonfio come una zampogna!”

Il malcapitato filò via con la coda tra le gambe, strappando un sorrisino a Emmett. Vide Bradley pizzicare la caviglia di Molly dal basso e tornare verso di lui. “Scusa.”

Emmett si strinse nelle spalle. “Figurati, sei pur sempre il suo ragazzo, no? Sei tenuto a fare certe cose.”

“È che Molly è troppo bella e attira un sacco di imbecilli. Dovresti sentire i commenti a scuola.” Bradley scosse il capo, chiaramente contrariato. “Ma non posso mica picchiare mezzo istituto.”

“Suppongo di no.” Convenne l’uomo, nascondendo un sorriso. “Sono certo che a Molly fa molto piacere, comunque.”

Il ragazzo sorrise. “Posso chiederti un favore?” Emmett lo fissò incuriosito. “Potresti parlare con suo fratello? Sai, metterci una buona parola.”

“Vuoi dire intercedere per te?” Lo prese in giro Emmett.

“Esatto. Molly mi ha detto di aver chiesto anche al fidanzato di suo fratello, ma è stato irremovibile. Ha detto che… Brian? Sì, mi sembra sì chiami così… insomma lui non vuole intromettersi nelle loro cose.”

“Tipico di Brian.”

“Farsi gli affari suoi?”

“Stare sempre dalle parte di Justin. Loro sono…” Emmett gesticolò con le mani, cercando la parola adatta “… un fronte compatto.”

“Grande…” Borbottò Bradley rassegnato. “Allora non ho davvero speranze.”

“Sciocchezze. E allora io che ci sto a fare?” L’uomo gli sorrise con fare rassicurante. “Parlerò io con Justin. E ti assicuro che gli farò cambiare idea, prima di quanto credi.”

“Lo spero…” Bradley lanciò uno sguardo verso Molly e sorrise quando la vide scherzare con i suoi amici. “Lo spero davvero…”






Ted ricontrollò gli ultimi rendiconti finanziari e si diresse verso l’ufficio di Brian. “Lui c’è?” Chiese a Lauren che scosse il capo. “È fuori per il pranzo. Credo con… il signor Taylor.” Concluse la ragazza sottovoce.

Cynthia, appoggiata contro la scrivania accanto, roteò gli occhi.

Cielo, ma fin dove può spingersi la stupidità umana?

“Lauren.” La chiamò. “Justin è il fidanzato di Brian, non il suo amante. Puoi anche dire il suo nome ad alta voce. Nessuno ti ucciderà.”

Ted soffocò una risata, davanti all’espressione assolutamente comica della sua amica. “Sì, signorina Monroe.”

“Bene. E adesso sparisci. Non avevi un archivio da mettere in ordine?” La ragazza deglutì spaventata e annuì. In due secondi, era già sparita.

“Sarà tanto difficile trovare una segretaria decente?” Si domandò Cynthia, scuotendo il capo.

Ted sorrise. “Per una persona normale? No. Per accontentare te e Brian? Missione impossibile.”

“Stronzate. Io sono stata segretaria e assistente di Brian per anni. Ti pare che abbia arti o organi mancanti?” Allargò le braccia per mostrarsi in tutta la sua bellezza. “Assolutamente perfetta. Come te lo spieghi?”

“È una domanda che ci poniamo da anni, Cyn. E credimi, riesce a toglierci il sonno.” Rispose sincero il contabile. “Il fatto che siate entrambi ancora vivi è un vero miracolo.”

Cynthia si strinse nelle spalle. “Comunque Lauren non è adatta. Devo riuscire a sbarazzarmene il più presto possibile, ma al boss sembra andare a genio.”

Il suddetto boss fece ritorno proprio in quell’istante, lo sguardo minaccioso e la mascella serrata segni visibili che qualcosa, durante il pranzo, non era andato nel verso giusto. “Ehi, Bri. Come sta Justin?”

Brian lo ignorò, dirigendosi verso il suo ufficio e sbattendo forte la porta. “Vuoi davvero sbarazzarti di Lauren?” Chiese Ted a Cynthia. La donna annuì. “Mandala lì dentro e falle dire il nome di Justin. Scommetti che, nonostante le tue recenti affermazioni, finirà ammazzata?”

Cynthia ridacchiò. “Non è una cattiva idea, sai? Ci penserò su.” Gli assicurò, avviandosi verso gli uffici. “Ciao, Michael.” La sentì dire Ted mentre si allontanava. Con un sorriso, si voltò verso il suo amico. “Ehi.” Michael lo abbracciò di slancio. “Che ci fai qui?”

“Non posso venire a trovare i miei amici al lavoro?”

Ted inarcò un sopracciglio. “Per quanto mi riguarda, non ho problemi.” Indicò l’ufficio di Brian. “Quella è tutta un’altra storia.”

Michael aggrottò la fronte. “Che ha? Gli è morto il gatto?”

“Non ne ho idea. È andato a pranzo con Justin e, quando è rientrato, era furioso.”

“Perché non sono sorpreso?” Osservò Michael. “Sapevamo che sarebbe successo, no?”

“Successo cosa?” Ted lo guardò, curioso.

Michael si appollaiò sul bordo della scrivania e giocherellò con alcuni fogli. “New York. Justin che torna, loro che si rimettono insieme, il matrimonio, tante belle cose e poi… Ecco che la realtà torna a bussare alla porta.”

Ted annuì afflitto, lanciando uno sguardo dispiaciuto verso l’ufficio del suo capo. “Sembra quasi di essere in una soap opera. Si aggiusta una cosa, se ne rompe un’altra: tu e Ben risolvete i vostri casini ed ecco che Brian e Justin ristabiliscono l’equilibrio.”

Michael affondò le mani nelle tasche del giubbino. “Forse dovremmo entrare a vedere.” Accennò col capo alla porta chiusa. “Per assicurarci che stia bene.”

“Credi sia saggio?”

“No, ma credo sia giusto. Non è a questo che servono gli amici?”

Ted fu costretto a dargli ragione. “E amicizia sia, allora.” Lanciò un mezzo sorriso a Michael. “Magari minacciare di licenziarmi lo farà sentire meglio.”

Michael ridacchiò, scendendo dalla scrivania e precedendolo verso l’ufficio. “Brian? Si può?”

“Ehi, Mickey.” Brian abbozzò un sorriso alla vista del suo migliore amico. “Come mai da queste parti?” Si alzò dalla sua poltrona e schiacciò con un po’ troppa foga la sigaretta nel posacenere. Girò attorno alla scrivania e ci si appoggiò contro, incrociando le caviglie.

“Tutto bene?” Gli chiese Michael, baciandolo sulle labbra.

“A meraviglia.” Mentì l’altro.

Ted si accomodò sul divano, mentre Michael prendeva posto su una delle sedie vicino a Brian che non perse tempo a prenderlo in giro, temendo che il suo amico gli chiedesse cosa era successo con Justin. “Non mi dire che l’idillio con il professore è già finito.”

Michael gli tirò un calcio, ridacchiando. “No, mi dispiace per te. Io e Ben stiamo benissimo.”

“Peccato.” Scherzò Brian, stringendosi nelle spalle con un mezzo sorriso.

“Se può farti sentire meglio, stanotte abbiamo…”

“Possiamo immaginarlo, Michael…” Lo interruppe Ted, fingendosi offeso. “E non è giusto vantarsi della proprio vita sessuale davanti ad un amico in difficoltà.” Brian gli lanciò una penetrante occhiata. “Sto parlando di me, Bri. Tranquillo, non abbiamo intenzione di tormentarti per sapere che è successo a pranzo.”

“Ma davvero? E perché mai voi due impiccioni rinuncereste ad un così succulento pettegolezzo?”

“Perché vogliamo continuare a vivere.” Rispose semplicemente Ted.

Michael annuì concorde. “Oppure possiamo semplicemente aspettare un’oretta e poi chiamare Emmett che di sicuro avrà saputo tutta la storia da Justin in persona.”

Brian li guardò male. “Sono toccato, ragazzi. Tutto questo riguardo nei miei confronti è…”

“Ammirevole?” Suggerì il suo migliore amico.

Brian si staccò dalla scrivania e si diresse verso Ted, sedendosi sul divano, accanto a lui. “Patetico.”

Ted e Michael si scambiarono un’occhiata rassegnata. “Comunque volevo solo dirvi che tra me e Ben va tutto a gonfie vele e che ieri sera, dato che Hunter non c’era, abbiamo passato una bella seratina romantica, solo noi due, il caminetto acceso e tante coccole.”

Brian fece una smorfia disgustata. Di certo lui e Justin avevano tutto un altro concetto di romanticismo.

Ted alzò gli occhi al cielo quando lo vide scivolare sul divano, cercando di celare l’evidente eccitazione. “Quindi è tutto a posto tra voi.” Michael annuì con un sorriso. “Sono contento.”

“Anche io, credimi. Inoltre la scrittura del suo libro procede bene e Hank ci ha assicurato che sarà un successone. Più del primo romanzo che ha scritto.”

“Evviva…” Commentò sarcastico Brian.

Michael e Ted lo ignorarono. Sapevano benissimo entrambi quanto il loro amico potesse essere sgarbato, ma data la situazione, decisero di lasciar perdere. Dopo aver litigato con Justin, era già un grande risultato non essere stati cacciati a pedate appena comparsi sulla soglia dell’ufficio.

“E con Hank come ti trovi? Voglio dire, dopo il malinteso dell’amante e tutto il resto.”

Michael arrossì, ancora imbarazzato per aver pensato che Ben lo tradisse. “È simpatico. È una persona molto intelligente, conosce un sacco di cose e ha girato mezzo mondo. Con me e Hunter è sempre molto gentile e ho cominciato a capire perché vada tanto d’accordo con Ben. Sono molto simili.”

Brian inarcò un sopracciglio, improvvisamente interessato a quella noiosa discussione. “Vuoi dire che anche a lui piacerebbe infilarsi nel tuo culo?”

“Brian!”

L’uomo si limitò a scuotere le spalle. “Che ho detto?”

“Sono certo che Michael non intendesse quello, Bri.”

Michael scosse il capo. “Infatti. Quello che volevo dire è che Hank è un tipo in gamba, sebbene sia anche molto sexy.”

“Ah-ha!” Brian gli puntò un dito contro con fare accusatorio. “Allora il piccolo e fedele Michael ci ha pensato.”

“No.” Lo contraddisse Michael. “Il piccolo e fedele Michael sta valutando l’idea di ospitarlo per un po’ a casa nostra.”

Ted e Brian si raddrizzarono immediatamente, scambiandosi un’occhiata confusa. “Per averlo a disposizione nel caso ti venisse voglia di farti…”

“Brian!” Lo rimproverò Ted. “La vuoi smettere? Michael ha già detto che non è interessato a Hank in quel senso.”

“Deve esserlo. Altrimenti non mi spiego come gli sia venuta in mente un’idea tanto stupida.”

Michael incrociò le braccia al petto, palesemente offeso. “E perché sarebbe stupida?”

Brian sollevò le sopracciglia, chiedendosi per la milionesima volta se Debbie avesse fatto cadere il suo amico dalla culla da bambino. “Stai scherzando, vero?” Michael negò con la testa. “Michael, è come se io invitassi Ian a vivere al loft. Sarebbe da idioti.” Ci pensò su un attimo e sorrise. “Anche se forse potrebbe essere divertente. Scommetto che Paganini non è mai riuscito a far gridare Justin come…”

“Ti dispiace tornare tra noi?” Ted spense all’istante i suoi bollori – così come le sue fantasie di un Justin nudo e sudato sotto di lui mentre Ethan ascoltava la loro performance dal salotto. “È di Michael che stiamo parlando, non delle tue sciocchezze da fidanzato geloso.”

Brian gli lanciò un’occhiata assassina. Nelle ultime settimane aveva sentito un po’ troppe volte quella cazzo di parola odiosa. Lui non era geloso.

“Brian ha ragione, Michael.” Ted riportò lo sguardo sull’uomo imbronciato davanti alla scrivania. “Tu credi sia saggio?”

“Ben e Hank sono solo cari amici, non sono mai stati insieme.”

“E infatti è ancora peggio.” Gli fece notare Brian. “Perché se io invitassi Ian a stare al loft, Justin mi taglierebbe le palle visto com’è finita tra loro. Ma, se al contrario, gli chiedessi di ospitare Daphne, che è una sua cara amica, lui sarebbe più che felice di accettare.”

Ted annuì, schierandosi con Brian. “Probabilmente chiederebbe di unirsi a te e Justin.”

Michael aggrottò la fronte, visibilmente confuso. “Ma Daphne è una ragazza.”

Brian roteò gli occhi. Alle volte Michael era proprio ottuso: iniziava a capire perché si teneva intorno Ted.

“Sì, lo sappiamo.” Rispose il suddetto contabile. “Ma se fosse un ragazzo, la cosa non cambierebbe. Justin sarebbe comunque felice di ospitarlo. E tu, se fossi Brian, staresti tranquillo a saperli insieme ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette in una casa piena di letti sempre disponibili?”

“Ma il loft ha un solo letto…” Osservò Michael.

“Casa tua, Michael!” Sbottò Brian. “Ted si riferisce a casa tua! Saresti tranquillo avendo uno come Hank – sexy, intelligente e tutte le altre cazzate che hai detto – sempre intorno a tuo marito?”

Michael aggrottò le sopracciglia. “Tra Ben e Hank non succederebbe mai nulla. Sono amici da una vita! Sono come fratelli, come me e te o Ted e Emmett!”

Brian lo fissò incredulo. “Ti va di riformulare la frase, Mickey?”

Michael sbuffò, cogliendo al volo il riferimento del suo amico. “Hai capito che intendo. Ben non è interessato a Hank in quel senso.”

“E noi ne siamo sicuri.” Intervenne Ted. “Ma che ci dici di Hank? Neanche lui è interessato?”

“Certo che no.”

“E come lo sai?”

“Forse perché me l’ha detto lui?”

“Ah, certo, è ovvio.” Brian alzò gli occhi al cielo all’ingenua e cieca fiducia che Michael riponeva in chiunque incontrasse. “Se l’ha detto lui…”

“Ma che avrebbe dovuto dirti, Michael?” Ted cercò di farlo ragionare. “Ehi ciao, Michael. Ti dispiace se mentre mi ospiti mi scopo anche tuo marito? Così ci alleniamo per quando inizierà il tour promozionale.” A Brian sfuggì una risatina.

“Cazzate. Io ho già deciso. Quel poverino è in hotel da settimane ed è inutile che butti i suoi soldi così. Verrà a stare da noi finché il libro non sarà concluso. Fine della storia.”

Ted sospirò, scuotendo il capo. Brian alzò le mani in segno di resa. “Se credi sia una buona idea…”

“E dovrei dare retta a te, signor Relazione Duratura?” Sibilò l’uomo con astio. “Io e Ben stiamo insieme da sei anni, siamo sposati e abbiamo dei figli. La nostra è un’unione solida.” Brian affilò lo sguardo, sfidandolo silenziosamente a tirare in ballo Justin e Gus. Se Michael aveva capito qualcosa della loro amicizia in tutti quegli anni, di sicuro non avrebbe osato. “Ed io so che posso fidarmi di lui.”

Ted intercettò l’occhiata tra i due e decise di placare gli animi. “Hai ragione, Michael. Io e Brian sicuramente ci stiamo sbagliando…”

“Io non sbaglio mai.” Ribatté sicuro Brian.

“… e sono certo che tra Hank e Ben non accadrà nulla. Siamo solo preoccupati per te.”

“Beh, non fatelo.”

“Ok, ma…” Il telefono di Ted squillò in quel momento. Sorrise quando vide comparire sul display il nome del suo compagno. “Scusate.” Rapidamente, uscì dall’ufficio. “Ehi.” Lo salutò allegro.

“Ehi.” Udì la voce di Blake sussurrargli.

“Allora? Pronto alla partenza? A che ora devo venire a prenderti domani?”

Blake, dall’altro capo del telefono, prese un lungo respiro. “Proprio di questo volevo parlarti. Non torno domani.”

Ted aggrottò la fronte. “È successo qualcosa?”

“No no, va tutto bene, ma…”

“Fammi indovinare. La situazione si è complicata.”

“Infatti. E mi dispiace da morire, non so davvero che…”

“Blake.” Sussurrò dolcemente Ted. “Ascolta, sapevamo che poteva succedere. E sapevamo che non sarebbero stati solo un paio di giorni.”

“Sì, lo so, ma ho sperato fino all’ultimo che…”

“Non preoccuparti, dico davvero.” Ted si appoggiò ad una delle scrivanie e sorrise tra sé. Era felice che Blake avesse quell’opportunità ed era orgoglioso che il suo compagno fosse così bravo nel suo lavoro tanto da rendere indispensabile la sua presenza. Forse non gliel’aveva mai detto, ma era dannatamente fiero. “Sono fiero di te.” Gli confessò.

Avvertì l’esitazione e lo stupore di Blake anche da quattromila chilometri di distanza. “Fiero?”

“Sì, fiero. Per quello che fai e per quello che sei. Sono fiero di te, Blake Wyzecki. E ti amo.”

“Ti amo anch’io, Ted Schmidt. Ma vorrei comunque essere in albergo a preparare le valige in questo momento.”

Ted sbuffò. “Non dire sciocchezze. So quanto ami il tuo lavoro e so che non faresti nulla per metterlo a rischio, né per creare problemi al centro di San Francisco.” Fece una pausa e salutò distrattamente una delle impiegate appena entrate. “Quanto tempo dovrai rimanere?”

“Due settimane.”

“Due…?” Ted sgranò gli occhi. “Accidenti.” Quello davvero non se lo aspettava. Aveva previsto almeno un altro paio di giorni, ma quindici? “Come mai?”

Blake sopirò frustrato. “Perché qui è tutto un casino.” Ted sorrise, ricordandosi della discussione che avevano avuto solo la sera prima durante la quale Blake aveva inveito contro San Francisco e tutta la California. “Il centro dovrebbe aprire tra meno di due mesi e non c’è praticamente nulla.”

Ted ridacchiò. “Non ti sembra di esagerare? Avranno almeno porte e finestre, no?”

“Non è affatto divertente, Ted.” Si lamentò Blake, ma Ted capì che stava sorridendo.

“Un po’ lo è, ammettilo.”

Blake rise. “No, per niente… Eccomi!” Lo sentì gridare. “Ted, scusa, ma devo andare.”

“Vai, ti chiamo più tardi.”

“Ok.” Blake sospirò di nuovo. “Mi manchi.”

“Anche tu. Ora però vai prima che qualcuno si suicidi.”

Sentì il suo compagno ridacchiare prima che la comunicazione si interrompesse. A passo mesto, tornò nell’ufficio di Brian. “Tutto bene?” Domandò Michael. “Hai una faccia…”

Ted annuì. “Blake. Il suo soggiorno si dilungherà un po’.”

“Mi dispiace.”

“Avevamo immaginato che sarebbe successo.”

Michael assentì lentamente col capo. “Ma tu stasera vieni da mia madre, no?” Brian sbuffò rumorosamente. “Ci saremo tutti.”

“Precisamente con chi ho parlato negli ultimi dieci minuti?” Chiese Brian. “Io non ci vengo. L’ho detto a lei e ora lo dico a te. Non.Ci.Vengo.”

Michael lo ignorò tornando a voltarsi verso Ted. “Alle otto. Mi raccomando, sii puntuale.”






Lane ridacchiò, alzando gli occhi al cielo. “Sì, diciamo che non è stata una serata da dimenticare…”

“Da dimenticare?” Paul le lanciò la sua gomma da cancellare. “Ammettilo, Clarke. Ti sei divertita da morire ed è tutto merito della straordinaria compagnia.”

“Stronzate.” La ragazza riportò lo sguardo sui libri e soffocò un sorriso.

Non l’avrebbe mai ammesso col diretto interessato, ma con Paul si era davvero divertita. La serata del concerto non era andata come si aspettava, ma il suo amico si era incredibilmente rivelato un perfetto compagno di uscite. Avevano bevuto, avevano cantato a squarciagola – Lane aveva scoperto con sua grande sorpresa che Paul conosceva tutte le canzoni del gruppo – e avevano riso come pazzi quando lui le aveva presentato alcuni suoi amici molto simpatici. Erano rimasti insieme per tutta la serata, ben oltre la fine del concerto, e quando Lane era finalmente tornata a casa, il suo coprifuoco era già passato da un pezzo. Non che Fanny fosse in condizione di metterla in punizione…

Paul, da vero gentiluomo, l’aveva accompagnata fino alla porta di casa e proprio mentre Lane stava iniziando a rivalutare le sue alquanto discutibili buone maniere, lui se n’era uscito con un “E adesso, bellezza, niente dopocena?” L’unica cosa che aveva rimediato quella sera erano state cinque dita stampate in faccia.

Comunque in generale, era stata una bella serata, come non ne passava da tempo, presa com’era dall’università e dalle continue crisi isteriche di sua madre; per un sera si era sentita una qualunque ragazza di vent’anni, una che si fa bella per uscire con un ragazzo – un ragazzo assolutamente amico –, che si diverte con gli amici e che rientra di soppiatto a casa per non svegliare i genitori.

“Allora? Prossima uscita?” Le chiese Paul con un sorriso sornione.

Lane lo guardò stranita. “Sei serio?” Il ragazzo annuì. “Ti sei davvero divertito?”

“Certo. E tu non sei male quando ti decidi a sfilarti quella scopa che hai su per il culo.”

“Che gentleman…” Lo rimbeccò la ragazza rifilandogli un calcio da sotto il tavolo della biblioteca in cui si erano rintanati per studiare. O meglio, dove Lane si era rintanata per studiare prima che Paul la seguisse per tormentarla.

“Guarda che era un complimento!” Si lamentò lui, massaggiandosi la gamba dolorante.

“Allora non ho colto, mi dispiace.”

“Ehi!” Hunter li salutò, comparendo da dietro l’ultimo scaffale. Raggiunse il massiccio tavolo di mogano su cui lui e i suoi amici avevano passato più di un pomeriggio. “Vi ho cercato dappertutto.”

Paul e Lane si scambiarono un’occhiata imbarazzata. “Stiamo studiando per l’esame della prossima settimana.” Lo informò la ragazza, afferrando la sua matita. Paul la imitò.

“Tu stai studiando?” Hunter lo guardò con gli occhi sgranati. “Ma che è successo?”

Paul si strinse nelle spalle. “Dato che l’ultimo esame l’ho superato per un soffio, ho scommesso con la signorina qui presente che al prossimo sarei andato alla grande.” Lane abbozzò un sorriso, gli occhi ancora puntati sul suo libro.

Hunter passò lo sguardo da lui a lei e inarcò un sopracciglio. “Siete strani…” Posò i libri accanto a Paul e si sedette. “Volevo raccontarvi dell’altra sera.”

“Oh già.” Paul si costrinse a distogliere gli occhi da Lane e rivolgerli verso Hunter. “Com’è andata con Callie?”

Il suo amico sorrise. “Bene. Siamo usciti anche ieri sera.”

“Davvero?” Anche Lane rimase sorpresa.

Hunter annuì. “Beh, il cinema è andato bene e abbiamo deciso di fare il bis.”

“Quindi adesso state insieme?” Indagò Paul curioso.

“Certo che no. Siamo solo due amici che si divertono passando del tempo insieme.” Fece una pausa e tirò fuori il suo libro. “Ogni tanto mi sembra quasi di essere tornato ai vecchi tempi, quando stavamo insieme. Lei è sempre la stessa, è rimasta la ragazza completamente pazza per cui mi sono preso una cotta e che poi mi ha trattato da schifo.”

“E la cosa ti sta bene?” Gli chiese Lane, sinceramente preoccupata per il suo migliore amico.

Hunter si strinse nelle spalle. “Al momento ce la prendiamo con calma, provando prima a tornare amici. Poi si vedrà…”

“Quindi speri in qualcosa di più?” Paul si tamburellò il gommino della matita sul mento.

“Non lo so che spero, Paul. Non sono sicuro più di niente.”

“Ma allora è vero che l’amore rende imbecilli!”

Lane alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo. “Ma tu senti che discorsi…” Protestò sottovoce.

“Tranquilla, Laney.” Hunter guardò con un sorriso la sua amica. “Tu rimarrai sempre la mia donna numero uno.”

“Bell’acquisto…” Li prese in giro il ragazzo coi capelli rossi, lanciando però un sorriso sbieco a Lane che si limitò ad inarcare un sopracciglio. “Non raccolgo le provocazioni.” Ribatté lei con aria di superiorità.

“Da quando?” Si sorprese Hunter. “Tu e Paul siete praticamente come cane e gatto.” I due ragazzi si scambiarono un’altra lunga occhiata carica di imbarazzo. “Oggi sembrate quasi civili.”

Paul si strinse nelle spalle. “Solo perché mi diverto a punzecchiarla, non vuol dire che io abbia cinque anni.” Hunter continuò a fissarlo con espressione chiaramente scettica. “E solo perché Lane è acida come un limone non vuol dire che vorrebbe staccarmi la testa a morsi ogni volta che apro bocca.”

“Solo ogni volta che respiri…” Ridacchiò la ragazza. “Sto scherzando...” Chiarì di fronte all’espressione confusa di Paul. “Paul ha ragione, James. Anche noi siamo amici e poi ricordati che ci conosciamo da anni.”

Hunter spostò lo sguardo tra i suoi amici e annuì lentamente, ancora poco convinto. “Ok. Se lo dite voi.”

“Insomma qual è il problema?” Sbottò innervosita la ragazza. “Prima ti lamenti se litighiamo, poi ti lamenti se andiamo d’accordo. Vedi di decidere una volta per tutte perché stare dietro ai tuoi continui cambi di umore è sfiancante.”

“Ok, ok.” Hunter alzò le mani in segno di resa, sconcertato dalla sua reazione. “Ma che ti prende oggi? Ti ha morso una tarantola?”

“No, vorrei solo studiare in santa pace e le tue inutili lamentele me lo impediscono.” Si alzò di scatto dal tavolo e raccolse in fretta le sue cose. “Ci vediamo dopo.” Disse a nessuno in particolare prima di imboccare la strada per l’uscita. Hunter e Paul rimasero a guardarla con gli occhi sgranati. “Ma che cazzo le…”

“Guarda le mie cose.” Ordinò Paul, alzandosi in piedi. “Torno subito.” E, senza aggiungere altro, si fece strada tra gli scaffali polverosi, raggiungendo Lane davanti al portone d’ingresso. Lo varcarono insieme.

Hunter rimase a guardare con espressione confusa la porta anche dopo che si chiuse dietro i suoi amici. Non aveva capito cosa fosse successo, né il motivo della sfuriata di Lane, ma una domanda rimbombò chiara nella sua testa.

Paul le era davvero corso dietro?






“Guarda, guarda che sorpresa.” Debbie si mise le mani sui fianchi e fissò i due uomini davanti a lei con espressione minacciosa. “Non eri quello che non doveva venire?”

Brian si limitò a sbuffare, prima di entrare in casa senza dire una parola. Justin abbozzò un sorriso e baciò la donna su una guancia. “Scusa il ritardo.”

“Figurati, Sunshine.” Debbie gli accarezzò i capelli e chiuse la porta. “Carl non è ancora tornato.”

Il ragazzo annuì, sfilandosi il cappotto e appendendolo all’ingresso.

Debbie capì al volo che qualcosa non andava e tutti i suoi timori trovarono conferma quando vide Brian accomodarsi sulla vecchia poltrona di Vic e Justin dirigersi verso la cucina ed appoggiarsi alla vecchia credenza, prendendo a lanciare occhiate torve verso il salotto.

Oh oh, guai in paradiso?

“Ehi, Justin.” La donna lo raggiunse, iniziando ad armeggiare con le pentole sui fornelli. “Ti va di darmi una mano, dolcezza?”

“Certo.” Rispose quello, educato come sempre. Le lanciò un pallido sorriso e diede le spalle all’altra stanza da cui due attenti occhi verdi continuavano ad osservare tutte le sue mosse. “Tutto bene, baby?” Gli chiese Debbie sottovoce per essere certa di non essere ascoltata dal resto della truppa.

“Benissimo, Deb.”

“E il muso lungo a cosa è dovuto?”

“Non ho nessun muso lungo.”

“Certo, e io sono rossa naturale.”

Justin soffocò una risata e lanciò un’occhiata divertita alla donna, prima di baciarle di nuovo la guancia. “Sto bene, va tutto bene, io sono perfettamente…”

“… depresso?”

“… sereno.”

“Stronzate.” Debbie aggiunse un pizzico di sale al suo ragù e assunse una posa minacciosa, brandendo il mestolo. “Devo prendere a calci il suo culo secco finché non potrà più sedersi?”

Justin scosse il capo con un sorriso trattenuto. “Per quanto io sia arrabbiato con lui, non vorrei mai che te la prendessi col suo culo. Sai, ci sono abbastanza affezionato.”

A Debbie sfuggì un sorriso. “Come vuoi.” Sollevò il cucchiaio di legno verso Justin e accennò col capo. “Assaggia.” Gli intimò con un mezzo sorriso, proprio come aveva fatto altre mille volte quando Justin viveva con lei. “Com’è?”

Justin spalancò gli occhi. “Più buona del solito, Deb. Ti sei superata.” Osservò con tono adulatore.

“E tu invece sei un ruffiano.” Lo rimbeccò la donna, non riuscendo comunque a mascherare il proprio divertimento. Michael, Ted, Brian ed Emmett attraversarono la cucina in quel momento, uscendo in giardino. “Sappi che non basteranno due moine a farmi gettare la spugna, ragazzino.”

“Non so di che cosa tu stia parlando.” Continuò il ragazzo guardandola con aria innocente.

La donna alzò le mani al cielo e decise di lasciar perdere. “Inizia a sistemare la tavola.” Ordinò. “Ben, dolcezza, ti dispiace dare una mano a Sunshine?”

Suo genero si alzò dal divano e acconsentì con un sorriso.

Dieci minuti più tardi, il professor Bruckner fu mandato in giardino a raccattare il resto della famiglia. Non aveva ancora messo piede in veranda che la voce di Ted lo raggiunse. Uscì allo scoperto e si avvicinò a suo marito che lo abbracciò, passandogli una mano attorno alla vita.

“La cena è pro…”

“Senti, Ted, non capisco quale sia il tuo cazzo di problema.” Esordì Brian col suo solito aplomb. “È quello che volevi, no?”

“Certo, Brian, ma non voglio che Blake pensi che lo stia scaricando. Mi ha fatto uno strano discorso prima di partire ed era chiaro che fosse preoccupato.”

Emmett gli strizzò una spalla. “Teddy, sono sicuro che Blake sta bene.”

“E poi se non si trova bene, che può succedere?” Domandò Michael. “Male che va torna a Pittsburgh. Non saresti contento?”

Ted scosse il capo. “No che non sarei contento.”

“Non lo vuoi qui?”

Brian alzò gli occhi al cielo alla stupida domanda di Michael. “Cazzo, Michael, ma ci fai o ci sei?” Gli chiese, aspirando un lunga boccata dalla sigaretta.

“Perché? Ted dovrebbe essere contento se Blake tornasse da lui. Vuol dire che, per quanto il suo lavoro sia importante, la loro storia lo è di più.”

“Quindi se Blake rimane a San Francisco, la storia con Theodore non vale un cazzo.”

“Non è questo che ho detto.”

“Io credo di sì.”

“Brian, smettila di sentire solo quello che vuoi tu.” Ben strinse di più il braccio attorno alle spalle di suo marito. “Sto cercando di far capire a Ted che se Blake decide di rimanere a Pittsburgh è perché ha fiducia nel futuro della loro storia.”

“Quindi io non ce l’avrei?” Fece Ted con tono offeso.

Michael alzò gli occhi al cielo, esasperato. “Sentite, non è colpa mia se i vostri fidanzati sono richiesti in altri stati e non è colpa mia se voi rimanete qui mentre loro hanno le loro vite lontano da questa cazzo di città!”

“Michael…” Ben cercò invano di placare l’uomo.

“Ma che cazzo avete da strillare?” La testolina bionda di Justin fece capolino dalla porta, uscendo in veranda e raggiungendo il gruppo.

“Ehi, Sunshine!” Brian gli rivolse un sorriso dolce come il miele. Un sorriso che sicuramente portava guai.

“Che vuoi?” Gli chiese sgarbato il suo fidanzato. Era la prima volta che si rivolgevano la parola dalla discussione avuta a pranzo. Per pura casualità si erano incontrati davanti alla porta di Debbie e avevano finto di essere arrivati insieme – soprattutto per evitare le indiscrete domande della loro famiglia.  “Non ho voglia di parlare con te.” Emmett, Ted, Ben e Michael si scambiarono un’occhiata confusa. “A meno che la tua prima frase non sia Mi dispiace seguita da Sono un idiota senza cervello.”

Brian si strinse nelle spalle. “Te lo puoi scordare.”

“Ma che succede?” Domandò Emmett, dando voce ai pensieri di tutti i presenti. “Che cazzo vi prende?”

“Chiedilo a lui.” Borbottarono i due uomini, lanciandosi un’occhiata torva.

Ted si appoggiò al vecchio tavolino di legno e scosse il capo. “Ok, adesso basta. Che avete?”

“Sunshine.” Riprese Brian, ignorando il suo amico. “Lo sapevi che Blake dovrà rimanere a San Francisco altre due settimane?”

Justin incrociò le braccia al petto. “Buon per lui. Vuol dire che il lavoro va bene.”

“Ironico che tu la metta su questo piano.”

“Ancora più ironico è il fatto che tu t’impicci della relazione di Ted e Blake.”

Brian ghignò. “E pensa un po’, il caro Theodore è quello che ha spinto il suo fidanzato ad accettare la proposta. Non lo trovi a dir poco altruista?”

Justin affilò lo sguardo, prevedendo già dove il suo fidanzato altruista sarebbe andato a parare. “No, lo trovo da idioti.”

“Ehi!” Si risentì Ted, totalmente all’oscuro della silenziosa discussione che Brian e Justin stavano affrontando.

“Ma davvero?”

“Certo.” Justin scosse le spalle. “Ted si è per caso soffermato a chiedere a Blake cosa volesse? No, certo che no! Lui gli ha comprato uno stupido biglietto aereo e ha deciso per tutti e due! Come del resto, ha sempre fatto!”

Emmett aggrottò la fronte e guardò Ted. “Teddy, che biglietto aereo?” Gli sussurrò all’orecchio.

Il suo miglior amico lo guardò altrettanto perplesso. “Non so di cosa cazzo stiano parlando.”

“È ovvio che l’abbia fatto! A volte i bambini non sono capaci di prendere decisioni, quindi gli adulti le prendono per loro!” Ribatté Brian, mostrando chiaramente i primi segni di nervosismo.

“A quindi è questo che sono? Un bambino?”

“Esattamente! Uno sciocco bambino immaturo!”

Justin sbottò in una risata priva di allegria. “E cosa ti fa credere di essere l’adulto della situazione?”

“L’esperienza.”

“Cazzate! La verità è che sei così arrogante e talmente abituato ad avere tutti ai tuoi piedi che non riesci ad accettare quando qualcuno non è della tua opinione!”

Nonostante la situazione, Ted ed Emmett si scambiarono un sorrisino.

Non c’era nulla da fare: Justin Taylor sarebbe sempre rimasta l’unica persona al mondo capace di tenere testa a quel concentrato di cocciutaggine e presunzione che era Brian Kinney.

Brian mosse un passo verso le scale su cui stava Justin. “Non quando so di avere ragione!”

Justin serrò la mascella e strinse con forza i pugni, abbandonati lungo i fianchi. “Dimmi solo una cosa, Brian.” Fissò accigliato il suo compagno, il suo uomo, il suo tutto e cercò inutilmente di ingoiare la rabbia che sentiva montargli dentro. “Ti dà tanto fastidio la mia presenza qui?” Tutti i presenti spostarono silenziosamente lo sguardo dall’uno all’altro. Scosse il capo con veemenza. “A volte davvero non ti capisco! Io ti sto dicendo che voglio stare qui! Con te! Non me ne frega un cazzo di New York, né della mia carriera! E tu invece sei arrabbiato… anzi no, sei furioso! Sembra quasi che ti abbia detto che voglio andarmene e lasciarti!”

Brian inarcò un sopracciglio in segno di sfida. “Come hai fatto l’ultima volta? O la volta prima ancora?”

Michael scosse il capo verso il suo miglior amico, intimandogli silenziosamente di chiudere la bocca all’istante ed evitare così di dire qualcosa di cui poi si sarebbe sicuramente pentito.

“Di cosa hai paura?” Gli domandò Justin, ormai al colmo della frustrazione. “Che possa compromettere la tua reputazione di scopatore incallito? Chissà quanti fan adoranti in meno avresti con un partner che ti aspetta a casa tutte le sere!”

“Hai ragione.” Concordò Brian, muovendo un altro passo e iniziando a salire i gradini della veranda. “Quindi perché non sparisci e torni alla tua vita?”

Justin rimase in silenzio, sperando che così sarebbe riuscito a non rivelare quanto quelle parole l’avessero ferito. Brian spense la sigaretta con un gesto secco e accennò un movimento del capo verso i suoi amici che rabbrividirono davanti al suo sguardo minaccioso. “Si è fatto tardi ed io domani ho una riunione importante.” Superò Justin e arrivò alla porta della cucina. “Buon ritorno nella Grande Mela, Sunshine.”

Il ragazzo mosse un passo per seguirlo, bloccandosi subito dopo. Sentì la voce di Deb urlare qualcosa contro Brian prima che la porta d’ingresso si chiudesse, sbattendo così forte da far tremare tutte le finestre della casa, insieme al cuore del povero Justin.


 

 

 

 

 

 

Lo so, lo so… avevo detto che sarei stata più presente e che gli aggiornamenti sarebbero stati più veloci, ma proprio non ce l’ho fatta, colpa anche della mancanza di ispirazione che mi perseguita da un mese a questa parte, quindi non posso fare altro che prostrarmi ai vostri piedi e chiedere umilmente perdono :D

La discussione della mia tesi è andata benissimo, finendo con un inatteso 105 ed io volevo approfittare di questo spazio per ringraziare tutte voi che mi avete augurato buona fortuna e mi siete state vicine, grazie mille, ragazze, non avete idea di quanto mi abbiate resa felice.

Per quanto riguarda il capitolo, spero che non vogliate uccidermi, ma era già da un po’ che si preannunciavano guai per i nostri adorati, del resto rimangono Brian e Justin e qualche scintilla tra loro (e non mi riferisco a quelle sotto le lenzuola, o sul divano, o nella backroom, o… vabbè avete capito, no?) ci deve pur essere. Spero che la reazione di Justin non vi sia sembrata esagerata, ma considerate che è già da un po’ che il nostro Kinney gli dà il tormento per la questione New York e tira oggi, tira domani…

La scena in biblioteca tra Hunter, Lane e Paul non era prevista, ma è venuta fuori da sola: che ne pensate?

Voglio rassicuravi dicendo che il prossimo capitolo è già nelle mani della mia adorata beta, quindi non resta che attendere sue notizie. Nel frattempo, ringrazio come sempre le mie meravigliose SusyLambertGiulia__THmindyxxelectra23Daphne90Princess_SlyteringelysendaCourtkiry95, EmmaAlicia79. Che farei senza di voi?

Un bacione grandissimo e alla prossima!!

  
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