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Autore: _Rowen_    31/01/2012    1 recensioni
Onde.
Voleva portarla al mare, sulle scogliere greche, nel sole mediterraneo con l'odore dei pini che si scioglieva nell'aria come miele, ricorpirla di regali, fotografie e ricordi che avrebbe collezionato in eterno. Le avrebbe mostrato il mondo con gli occhi di chi l'ha visto crollare e poi rialzarsi migliaia di volte. Digrignò i denti, non si sarebbe mai aspettato uno schiaffo in pieno viso da un angelo.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Elena Gilbert, Elijah, Klaus
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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You are the hole in my head
You are the space in my bed.

 

Le tende danzavano sotto una brezza leggera, offuscando di tanto in tanto i raggi aranciati del primo sole mattutino. Liz Forbes entrò nella stanza di sua figlia girando lentamente la maniglia. La notte precedente l'aveva sentita entrare in casa, aveva controllato la sveglia che lampeggiava sul comodino, mettendo a fuoco la scritta verde “3:18 am”.

Non volendo svegliare la figlia, camminò in punta di piedi, fancendo scricchiolare appena il parquet, e, tenendo pericolosamente in equilibrio un vassoio, appoggiò sul comodino una fetta di crostata e una tazza di latte tiepido, uscendo silenziosamente.

La luce del sole tremolava sulle palpebre chiuse di Caroline, facendo affiorare un sorriso sulle labbra della ragazza, prima ancora che questa aprisse gli occhi.

Si mise a sedere e ammirò le foglie degli alberi brillare fuori dalla finestra e, sbadigliando, afferrò la crostata alla ciliegia. Appoggiando la schiena alla testiera del letto, sorrise e raccolse con un dito le briciole di pasta frolla che erano cadute sul lenzuolo. Sorseggiò il latte e si alzò, sospirando.

Quando passò davanti allo specchio strillò, il trucco della sera prima era colato lungo una guancia, facendola assomigliare ad un ridicolo panda a strisce. Scoppiò a ridere ed entrò nel bagno della camera.

-Buongiorno – disse la madre, rientrando per portare via il vassoio.

Caroline sbadigliò un saluto rabbrividendo, l'acqua era gelata. Poco male, più è fredda, più tonifica, pensò sciacquandosi il viso.

-Com'è andata la festa? - domandò Liz. La ragazza trasalì e affondò il viso nell'asciugamano per nascondere il rossore sulle guance. - Bene, bene – tagliò corto.

-Ah – disse la madre entrando in bagno col vassoio tra le mani – e non hai incontrato nessuno di particolare? -. Caroline ebbe un mancamento -No, no...non mi pare...-

-Sicura sicura? -.

Era la fine, se sua madre avesse saputo o anche solo sospettato qualcosa, le avrebbe fatto saltare la testa o, ancor peggio, l'avrebbe costretta ad assistere alla decapitazione della carta di credito. La ragazza si sforzò nell'espressione più interrogativa che le potesse riuscire.

La madre sospirò – Insomma Care, andiamo. Perchè ti ostini a non dirmi certe cose? -

Caroline ammutolì. Sentiva lo sotmaco contorcersi e mozzarle il respiro. Cercò l'autocontrollo, scappato a gambe levate in un altro continente.

La madre la squadrò – Nelly, Nelly Brooket! Capisco che non sia mai stata la tua migliore amica ma almeno potevi degnarti d'invitarla a casa, un giorno o l'altro, stamane ho incontrato sua madre, sembrava offesa -.

La ragazza riacquistò un po' di colore – Ah, Nelly! Sì...certo...ehm, diciamo che in mezzo a tutta la gente che ballava non ho avuto modo per farci quattro chiacchiere -.

-Come vuoi, come vuoi. In fondo nemmeno con la signora Brooket ci sono mai stati ottimi rapporti. Non importa. Oggi Andrew mi sostituisce al dipartimento, ho la giornata libera. Passiamo un po' di tempo insieme come ai vecchi tempi? -.

-Ah – rise Caroline – ecco perchè la crostata, e la colazione a letto, vuoi comprare il tempo di tua figlia! -. Liz storse il labbro fingendosi offesa e portò il vassoio in cucina.

-Va bene, genio della corruzione. Ma alle quattro devo...- cercò di pensare una scusa il più rapidamente possibile - andare da Bonnie, devo aiutarla a trovare alcuni documenti sulla sua famiglia...- gridò, sporgendosi dalla porta. Indossò una tuta e raccolse i capelli in una coda dall'aspetto più che casalingo. Prima di raggiungere sua madre in cucina inciampò nel vestito stropicciato della sera prima. Sorrise, lo raccolse e lo gettò sul letto.

 

You are the silence in between, what I thought and what I said.

You are the night-time fear
You are the morning when it’s clear.

 

-Cos'è che ti tormenta questa volta? -

Rise – I Salvatore sono prevedibili. E tu avresti abbandonato la tua confortevole bara per occuparti di me, fratellino? -.

-No, ho lasciato la mia comoda bara per parlare di te. Abbiamo un conto in sospeso se non ricordo male...-

Klaus gettò i soldi sul bancone, storcendo il labbro – Non fanno più gli High Roller Martini di una volta, non trovi? -

-Klaus – Elijah pronunciò il nome del fratello con lo stesso tono con cui avrebbe ordinato ad un cane “seduto”.

Klaus si voltò di scatto -Non ricordo di aver nulla da discutere con te – sibilò sprezzante, alzandosi e dirigendosi verso l'uscita, subito raggiunto dal fratello.

-Non fare il ragazzino indispettito. Mi hai tradito, Niklaus, hai tradito tutti noi, hai tradito Rebekah. Sei solo, tu e il tuo folle piano che vagabondate senza meta sulle strade del destino. Impara dai tuoi errori, un giorno o l'altro potresti avere bisogno di noi e non troverai nessuno -. Pronunciò quelle parole con serena oggettività e si allontanò, lasciando Kalus a tremare di rabbia davanti al locale.

Voleva una vendetta tagliente, dolorosa: meditarla avrebbe richiesto tempo.

 

 

 

Cos'è che ti tormenta questa volta?

 

Strinse il viso tra le mani e osservò il fuoco ardere nel camino. Le fiamme danzavano sopra i cocci di legno, la cenere biancheggiava dove il calore era già passato, distruggendo e purificando ogni cosa.

Caroline. Il pensiero del suo nome gli procurò un brivido caldo lungo la schiena. Ricordare la sua dolcezza gli strangolò il cuore. Avrebbe dato la vita per trovarsi al posto di quei cocci, lasciare che lei danzasse sulle sue ceneri, che calpestasse, che annientasse le sue colpe, i suoi peccati, tutto quel sangue, quei corpi che continuavano a perseguitarlo nelle ore più buie della notte.

La salvezza servita su un piatto d'argento, l'acqua più fresca e pura che scorreva nella sua gola lavando via le tracce di sangue.

Guardò le proprie mani, mani di un assassino privo di pentimento. Gli anni più scuri della sua esistenza trascorsi a subire i calci di suo padre che, costringendolo ad accettare ogni sfida, privandolo di ogni volontà, di ogni forza, lo aveva trascinato nella disperazione.

Anni dopo, quello stesso dolore l'avrebbe colpito, frustato, fin quando non avesse ritrovato il coraggio di ribellarsi, scrollandosi di dosso la sensazione di essere indegno, sporco, intoccabile, vigliacco. Il male l'avrebbe attirato a se sfruttando il suo strazio, con inganevoli zollette di zucchero, avrebbe sferzato la sua anima trasformandolo in quel che era, ricordandogli cosa era stato capace di superare, rendendolo fiero di sé.

-Cosa sei disposto a pagare, Niklaus? -.

Ogni cosa. Per un solo istante, poterla vedere, poterla toccare accertandosi che non fosse solo il frutto dell'ennesimo, doloroso, incubo. La sua voce che cancellava ogni altro suono, riecheggiando nella stanza, uccidendo il silenzio della solitudine. Le sue mani, le sue carezze, le sue labbra, il suo calore, ed ogni pensiero bruciava come sale su una ferita. Tese una mano verso il fuoco. La sua assenza congelava ogni istante, l'orologio che batteva i secondi ghiacciati, il tempo fermo sotto le preghiere di un demone.

No light, no light in your bright blue eyes
I never knew daylight could be so violent.

 

La consapevolezza soffocante che ogni ricordo, ogni sogno più oscuro, sarebbe rimasto una fredda fantasia, avrebbe attraversato le notti della sua eternità, vedendolo marcire sotto mucchi di foglie morte. Rassegnazione.

Una bestia che premeva contro il suo petto: pugni violenti contro le costole, artigli pronti dilaniare il suo cuore squartando ogni traccia d'umanità. Una maledizione destinata a sopraffarlo, una guida sicura attraverso i secoli. La vendetta. Una dolce compagna cui si abbandonava per sopire la sofferenza della solitudine, della colpa. Corpo, dopo corpo, a terra cadevano morti, il sangue che scorreva al suolo donandogli quel sollievo fugace, confinandolo in un tiepido sonno dall'odore metallico.

-No – pensò, e il miele divenne aceto.

L'umanità era la peggiore debolezza di un vampiro, e lui non voleva essere debole.

Caroline sarebbe rimasta una statua di ghiaccio: bella, concreta, luminosa e pura, almeno finchè il sole non vi avesse posato i suoi raggi. Una rosa che gelava sotto la neve.

Sì, l'amava, ma non avrebbe potuto amarla abbastanza. Sì, era quella giusta, ma al momento sbagliato. Per quanto un minuscolo angolo di lui lottasse contro quell'idea, in quel momento l'eliminazione di Stefan era prioritaria. Avrebbe messo da parte tutto quanto, spingendo più a fondo la lama che trafiggeva il suo stomaco, per ritrovare tutto quanto un giorno più lontano, quando non avrebbe più avuto peccati da espiare.

Accolse con sollievo il demone in lui, il sangue che ribolliva nelle vene e nella gola in un cupo brontolio. Distolse lo sguardo dal paradiso che bramava, rivolgendo gli occhi alle fiamme dell'inferno, ancora una volta.

 

You are here to get it right, and it’s a conversation I just can’t have tonight.

 

-Oh ma, dai, dici sul serio?! -

-Certo, il senso di colpa glielo si legge in faccia...- rise Bonnie.

Caroline sospirò – E così Stefan è tornato...povero Damon, in fondo mi dispiace, lui ed Elena stavano cominciando a conscersi meglio...-

-Non essere stupida, lei è innamorata di Stefan! -

-Si ma, dopo tutto quello che ha fatto, non può certo pretendere che torni tutto come prima, non basta mica un cartello “ehi, rieccomi qua, di nuovo dalla parte dei buoni”! -.

-....-

-Bonnie...sei ancora lì? -

-...-

-Bonnie, andiamo rispondi! - domandò preoccupata.

-Scusami ma devo andare, ciao...- e riagganciò la linea.

Caroline rimase interdetta col telefono tra le mani, scrollò le spalle e lo infilò nella borsa.

Aprì la portiera e il suo odore la investì, l'odore della morte in attesa, il profumo delle rose che coltivava nel suo giardino, l'odore dei suoi capelli...

Poteva ancora vederla, l'impronta della sua mano sul volante, quando l'aveva riaccompagnata a casa. Qualcosa, nel suo petto, vibrò, come le corde più basse di una chitarra. Ingoiò il cuore che le palpitava in gola e accese l'auto, imboccando la strada per casa sua. Non sapeva come immaginarla. Gli aveva parlato del giardino e della sua passione per le rose, di arte, grandi città, che lo facevano somigliare ad un intellettuale sempre al passo coi tempi. L'immaginò moderna, squadrata, magari con qualche pannello solare qua e là...no, decisamente non era il suo stile.

Dopotutto era il covo di un assassino: sarebbe stata minimalista, anonima, facilmente mascherabile tra tante altre. Forse sfarzosa, imponente come quella di Stefan...

-Ma cosa penso?! - scosse la testa concentrandosi sul vero obiettivo di quella visita.

Avevea impiegato una notte intera a convincersi di salire in auto e andare da lui per parlare: quel che era successo la notte precedente aveva incrinato la realtà di cui aveva fatto parte fino al giorno prima. C'erano i buoni e i cattivi, quelli che volevano salvare Stefan e preoteggere Elena, uccidendo Klus, e c'erano gli ibridi, gli incubi crudeli al servizio di quell'assassino psicopatico.

E c'era Tyler, la via di mezzo. Il grigio tra il bianco e il nero: una mina pronta ad esplodere e ad ucciderli tutti. La notte precedente aveva confuso tutto, rovesciando un secchio di vernice rossa su quel mondo categorico e ordinato, aveva cancellato i volti di chi amava coprendo la sottile linea tra bene e male che divideva in due parti distinte la tela della sua vita.

Perciò aveva bisogno di parlargli, di chiarire il suo ruolo in quel disastro. Avrebbero dovuto mantenerlo segreto, Elena, soprattutto, non avrebbe dovuto saperlo e Bonnie...

-Frena, Caroline, forse stai correndo troppo...credi davvero in lui, nella sua sincerità? -.

Sì, ci credeva, voleva crederci, ne aveva bisogno. Aveva bisogno di sapere che era stato reale, vero, sincero, che ogni sensazione, ogni carezza non era un sogno o un piano in cui l'aveva coinvolta.

Eppure, nulla nei suoi occhi, nei suoi sorrisi, le era sembrato finto, costruito. Sentiva che era sincero, ma l'insicurezza si era fatta strada in lei durante la notte, tra le immagini ancora nitide di quanto accaduto.

-Stupida, non riesci neanche ad ammettere che lo hai...baciato -.

Baciato. Ed era stato il più bel bacio che avesse mai dato.

Rise. Sì, l'aveva baciato.

Dodici minuti dopo, soffocando a forza il quel sorrisino da cotta adolescenziale che le illuminava gli occhi, parcheggiò davanti al giardino della casa di Kalus.

-Beh, più che un giardino, sembra una foresta – ammise e il segnale di chiusura dell'auto riecheggiò nel silenzio. Alzò lo sguardo verso l'enorme inferriata che sbarrava l'accesso al “giardino”: sbarre sottili, volute gotiche, riccioli eleganti ed intrecci come crinoline in ferro battuto. Si avvicinò lentamente, facendo scorrere lo sguardo sull'intero cancello, afferrandone delicatamente due sbarre, coperte da esili ramoscelli di edera. Diede un rapido sguardo all'interno, cercando il suo viso, il suo odore. L'unica cosa che percepì fu l'odore delle rose, disposte in ordinati cespugli bianchi e rossi, a delimitare un sentiero in candida ghiaia che conduceva ala porta di ingresso. Fece forza contro il cancello, ricorrendo a quella forza straordinaria di cui disponeva da quando era...morta.

Il clangore del cancello che si apriva riempì l'aria, qualche foglia d'edera si steccò dal ramo e volteggiò al suolo.

Alla destra del cancello, appena entrata, trovò un cartello di legno finemente intagliato, la punta che indicava il roseto: “Red Queen's Garden”. Alla base del cartello sonnecchiava, in ceramica dipinta, un coniglietto bianco con panciotto e orologio da taschino. Per quanto potesse sembrare assurdo, Caroline non si stupì affatto di quella piccola stranezza: Klaus era un uomo estremamente colto, eclettico, lunatico; era possibile che lui e Lewis Carroll si fossero incontrati, anni prima. In fondo, avevano un sacco di cose in comune.

L'odore delle rose, troppo intenso, le faceva girare la testa, finchè nelle sue narici non si fece strada un profumo particolare: rum con ghiaccio, animale selvatico, sangue.

Klaus.

Lo vide tra le rose.

Chino su un cespuglio di rose rosse, smuoveva la terra secca alla base della pianta, versandovi a poco a poco un filo d'acqua. Sorrideva mentre la luce gli indonava gli occhi, i capelli, le mani, perdendosi sotto la candida camicia che, leggera, scopriva il collo e parte del torace, accarezzando lieve la pelle nuda. Caroline arrossi.

Kalus si voltò veso di lei, sollevando le mani dalle rose.

La ragazza attese che le venisse incontro con quel sorriso struggente ma, al contrario di quanto si aspettasse, l'uomo cancellò ogni traccia di serenità dal suo volto, assumendo un'espressione truce. Scattò in piedi, piantò la pala nel terreno e si avviò a grandi passi dentro casa, sbattendo la porta.

Caroline rimase immobile, incredula. Poi, a metà tra lo sconvolto e l'interdetto, raggiunse la porta a pugni stretti. Fissò un secondo i battenti sperando di essersi sbagliata, che l'uomo fosse entrato per prendere qualcosa e che tornasse subito indietro per aprirle, ma non accadde nulla. Attese qualche secondo, poi, prima delicatamente, poi semrpe più forte, bussò alla porta, finchè, con l'ultimo pugno, non rischiò di farsi male. Kalus spalancò la porta bloccando a mezz'aria l'ennesimo pugno della ragazza. La presa sul suo polso era fredda, ferma, decisa, ma non dolorosa.

-Fammi entrare -.

-Cosa ci fai tu qui? - rispose lui, squadrandola con disprezzo.

-Sei impazzito? -

Lui tacque e mollò la presa sul suo polso allontanando violentemente il braccio della ragazza- Vattene, non sei la benvenuta – ringhiò e si allontanò nella sala d'ingresso.

Caroline afferrò gli stipiti della porta, spingendo per entrare, ma, senza essere invitata, nemmeno un intervento divino le avrebbe permesso di mettere piede in quella casa.

-Dannazione! Klaus, torna qui! -

L'uomo l'ignorò, come se si trattasse di una bambina fastidiosa e capricciosa.

La rabbia inondò le guance della ragazza, facendola avvampare – Cosa diavolo signfica? Klaus?!

Degnati almeno di parlarmi! -.

L'uomo sorseggiò un bicchiere di rum – Te l'ho già detto Caroline, vattene. Per me ieri sera non è mai esistito – sussurrò, gelido.

Caroline scivolò a terra.

Non era esistito.

Le lacrime scivolarono lungo le guance bollenti di rabbia. Si sentiva scoffitta, usata. Un pugno l'aveva colpita in pieno petto, facendo saltare un battito al suo cuore.

Pianse in silenzio, poi, sottovoce, quasi implorasse, disse – Non ti credo – parole che trasudavano disperazione e serietà.

Klaus trasalì, posando il bicchiere su un tavolino di vetro.

-Nessuno, angelo, demone, santo o assassino, potrebbe dire le cose che mi hai detto senza provarle veramente. Eri sincero Klaus, ed è inutle che provi a mentire, a me, a te stesso. Indossare un'altra maschera non cancellerà il volto che nascondi sotto di essa -. Il tono si fece più fermo, si sollevò in piedi e si asciugò le lacrime – Quindi se non vuoi più vedermi, va bene, ma non mentirmi Kalus, perchè io ero sincera -.

Caroline si voltò, raccolse la borsa, abbandonata a terra, e affondò la punta della scarpa nella ghiaia, muovendo il primo passo verso l'uscita.

-Caroline! -

La ragazza si bloccò, asciugando un'altra lacrima, fissando lo sguardo sul cancello davani a sé.

Kalus sostava sulla, soglia, stringendo tra le mani il polso tremante, bagnato di lacrime, della ragazza.

-Entra – disse, il tono prerentorio contraddiceva i piccoli movimenti circolari delle dita sul polso.

Caroline s'irrigidì.

Come rispondendo ad un orinde, si voltò, lasciandosi trascinare dentro la tana del lupo.

 

And would you leave me if I told you what I’ve become?
‘Cause it’s so easy,
To sing it to a crowd, but it’s so hard, my love
To say it to you, all alone.

  
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