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Autore: MightyZuzAnna    01/02/2012    1 recensioni
Una figura misteriosa correva nel cuore della notte lungo le antiche mura della città rincorsa da un paio di guardie. La figura era avvolta in un lungo mantello nero, il cappuccio gli copriva gran parte del volto. Lo sconosciuto si fermò davanti al muro, si girò e si vide circondato da altre guardie, gli puntarono una forte luce ed egli abituato al buio della notte, si coprì per metà il volto col braccio, qualcosa da sotto l’arto e il cappuccio sbrilluccicò. Involontariamente scostò un po’ il tessuto rivelando in parte una maschera nera e bianca a forma di farfalla. Le decorazioni nere e argentee brillavano come piccoli diamanti. Lo sconosciuto ghignò nonostante non avesse vie di fuga, eppure la notte del 14 luglio 1766, la figura conosciuta come il ladro più ricercato del secolo detto anche ‘Butterfly’ scomparve lasciando al suo posto, come ricordo della sua esistenza, la maschera a farfalla. A più di tre secoli di distanza, la leggenda del ladro ‘Butterfly’ ritornò più viva che mai.
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap.2 “La ladra ”



Il mattino seguente erano tutti di nuovo in ritardo, ascoltavano distrattamente il notiziario che annunciava l’arrivo di un nuovo ladro in città chiamato ‘Butterfly’ che quella notte aveva rubato, dopo averlo annunciato con un bigliettino, un prezioso diamante dalla villa dei Combett.
«Oh, un nuovo ladro, dobbiamo fare attenzione allora» disse Emy un po’ preoccupata.
«Attenzione a che? Qui l’unica cosa di valore ce la siamo mangiati ieri a cena!» fece ironicamente Felix entrando in quel momento in cucina.
Il ragazzo prese un toast e iniziò a mangiarlo andando verso l’entrata, si mise il giubbotto e uscì per salire in macchina. Sora si affrettò a bere il suo cappuccino, ad afferrare lo zaino e il giubbotto. Rabbrividì un attimo alla fredda brezza mattutina, salì in macchina abbandonando come al solito lo zaino sui sedili posteriori e si mise la giacca pesante, sentendosi subito un po’ meglio. Arrivarono come al solito qualche minuto prima del suono della campanella. La rossa si diresse alla solita panchina e iniziò a leggere.
Suonò la campana e dovette chiudere subito il libro, di malavoglia entrò nell’edificio un istante prima del professore di algebra. Egli fece l’appello e quando arrivò al nome della rossa, la trovò intenta a guardare fuori dalla finestra le piccole gocce di pioggia che danzavano e si rincorrevano sul vetro. Richiamò ancor più forte il suo nome, la ragazza rimase ferma, fece per ripetere il suo nome arrabbiato ma la ragazza lo azzittì alzando la mano.
«Presente»
«Signorina Loddi, quando chiamo il suo nome deve rispondere, non restare muta a sognare di volare sulle nuvole di essere una principessa e di trovarsi in un castello con il principe azzurro» la rimproverò il tozzo uomo.
L’ora passò noiosa, gli studenti facevano finta di seguire e prendere appunti scarabocchiando qualcosa sui quaderni. La mattinata passò così, tra gli sproloqui e i monologhi dei professori e la sonnolenza degli alunni. L’ora di pranzo passò come il giorno precedente, escludendo che Felix sapesse perché l’intera scuola la odiava.
«A quanto pare Josh ha mollato Allie, dicendo che tu ti eri confessata e che…» la guardò con la sua solita faccia da poker.
«E che?» chiese con una nota di panico la rossa.
«E che…gliel’hai data…» disse continuando a mangiare tranquillamente il pasto del giorno.
Sapeva che era molto impulsiva e che se non si sarebbe arrabbiata in quel momento, l’avrebbe fatto quando si sarebbe trovata davanti alla faccia di Josh. Sora rimase infatti calma, l’unica cosa che riuscì a dire fu un semplice: «Ah»
Uscì dalla mensa lasciando il vassoio da portare al ragazzo che non obbiettò, aspettò appoggiata al muro dell’edificio principale l’arrivo di Josh e delle sue ex-amiche. Arrivarono per prime le ragazze che distolsero subito lo sguardo da quello indifferente della rossa. Stavano entrando quando le fermò afferrando per il braccio Sarah.
«Ti devo parlare»
«No!» esclamò la ragazza riccioluta mettendosi davanti alla bassina.
«Levati dai piedi Kate, non ho intenzione di litigare» fece pacatamente la rossa lasciando il braccio della mora.
«Per te ora sono Katelynn! E non, e ribadisco non, abbiamo intenzione di perdonarti! Hai fatto soffrire Allie ingiustamente!» disse Kate, afferrando per i polsi le due ragazze e andandosene.
«Ah si? E ALLORA PERCHÉ NON CHIEDI A TOMMY CHI SI È FATTA REALMENTE JOSH? AH, GIA’, DIMENTICAVO CHE ANCHE LUI ERA ABBASTANZA OCCUPATO!» urlò con rabbia la rossa, attirando l’attenzione degli studenti che poco a poco avevano finito i loro pranzi e si stavano dirigendo verso lezione, ma stranamente la loro attenzione fu catturata dal litigio e i brusii allegri che si erano creati scemarono fino a far scendere un pesante silenzio nel cortile della scuola.
Katelynn si girò furiosa verso di lei, le si avvicinò e puntandogli il dito indice iniziò ad urlare anche lei: «NON DIRE BALLE! TOMMY QUELLA SERA ERA…» la sua voce scemò, il volto si fece pensieroso.
«Quella sera era? Era con i suoi amici in discoteca a limonare con delle puttanelle». La voce della rossa si addolcì, si avvicinò un po’ di più alla ragazza e le poggiò una mano sulla spalla. «Questo lo so perché nel gruppo c’era anche Felix. Io ero a casa con l’influenza e voi lo sapevate, ma avete voluto credere a degli stupidi pettegolezzi credendo che la mia fosse solo una finta, vero?»
La giovane le riprese dolcemente con un buffetto sulla guancia, la campanella suonò e regalando un sorriso alle amiche si diresse vicino ad una macchina, si fermò a guardare Josh e Tommy che la guardavano intimoriti, lei fece un falsissimo sorriso, i due ragazzi sospirarono sollevati, poi si sentì uno schiocco che gelò i presenti, la ragazza aveva tirato un poderoso pugno alla mascella dell’ex di Allie. Sorrise angelicamente e sventolando un po’ la mano per il dolore girò i tacchi entrando nell’edificio seguita dai fischi ammirati dei ragazzi. La preside tuttavia non sembrava essere dello stesso parere e afferrandola malamente da un braccio la trascinò verso il suo ufficio.
«Signorina Loddi! Come si permette di aggredire uno dei figli della famiglia più importante della città! Per questo sarà severamente punita!» la voce della donna di mezz’età riecheggiò tra i corridoi, mentre il vociare degli studenti si faceva più forte fino a confondere le urla isteriche.
Le lezioni pomeridiane trascorsero lentamente, tutti gli studenti stavano sparlando sulla scena avvenuta poche ore prima, i ragazzi scommettevano su che punizione le avesse dato la Vecchia Strega, così soprannominata la preside di quell’istituto. Così l’ultima campanella suonò e i ragazzi si riversarono per i corridoi e la strada. Felix uscì tra gli ultimi, con il suo solito passo strascicato e baldanzoso. Sora lo aspettava impaziente appoggiata alla portiera della macchina. Quando lo vide arrivare così lentamente le saltarono completamente i nervi e iniziò a sbraitare contro il coinquilino moro: «Muoviti! Per la miseria ladra! Sei lento quanto un bradipo! Accidenti a te!»
Egli per tutta risposta le fece il gesto della chiacchiera e con aria annoiata aprì la macchina. La rossa grugnì qualcosa per tutto il viaggio di ritorno a casa. Felix, appena entrato, buttò lo zaino a terra, si tolse le scarpe con poca grazia, andò in camera sua per ritornare con addosso una tuta e si buttò a peso morto sul divano accendendo il sacro apparecchio elettrico, ovvero la televisione. La giovane buttò anch’ella lo zaino a terra, all’ingresso, e si diresse verso la cucina con l’intenzione di farsi un panino. Iniziò a pensare alle parole della preside una volta entrate nel suo ufficio: «Signorina Loddi, lei capisce che questo suo comportamento ribelle non porterà da nessuna parte? Se non si deciderà a farla finita sarò costretta a chiamare i suoi tutori»
Il silenzio era calato nella stanza e la donna di mezz’età sospirando aveva aggiunto: «Signorina Loddi, solo perché i suoi genitori non le sono vicini non può comportarsi in maniera inadeguata alla educazione che offriamo in questo istituto, sono pertanto costretta a ricorrere a duri provvedimenti. Oltretutto ha picchiato uno dei figli della famiglia più ricca della città che tanto gentilmente ci ha concesso i fondi, ne dovrò discutere con i genitori della vittima e con i suoi tutori, li aspetto nel mio ufficio domani mattina. Lo tenga ben in mente»
Ritornò alla realtà quando Felix sbatté lo sportello del frigorifero che era accanto a lei. Lo guardò sorpresa.
«Bentornata dal mondo dei sogni, si è trovata bene, principessa?» la scimmiottò lui, prendendo in giro anche il suo professore di matematica.
«Fottiti!» grugnì lei, andandosene in camera sua col panino al suo seguito.
Quando a cena dovette raccontare lo spiacevole incontro ravvicinato con Josh-figlio-di-papà-Sanpele e con la preside a Mike e a Emy, lo fece cercando di preparare i loro piatti preferiti per cena. Tutti e quattro, Kristen era all’università, mangiarono in completo silenzio. Sora, con un colpo di tosse, cercò di spezzare il pesante vuoto di parole che si era venuto a creare.
«Ehm, c’è una cosa di cui vorrei parlarvi. Oggi ho picchiato Josh Sanpele e la preside ha detto che vi vuole domattina nel suo ufficio per parlare della giusta punizione insieme ai genitori di Josh» rivelò tutto d’un fiato facendo credere che stesse per soffocare per mancanza di ossigeno.
«Lo sappiamo, la signora Simonti ci ha chiamato e ci ha avvertito di tutto» disse Emy, col suo solito tono dolce.
«Ora, visto che la tua preside non sapeva il motivo di questa aggressione, potresti dircelo tu?»
Mike cercò di mantenere la calma a spiegazione finita, appoggiò i gomiti sul tavolo e incrociò le dita nascondendo in parte il volto, poi esplose.
«E TU HAI PICCHIATO UN RAGAZZO SOLO PER QUESTO STUPIDO MOTIVO! RISCHI LA SOSPENSIONE! NON SO SE TE NE RENDI CONTO?!»
Dopodiché calò il silenzio e tutto si svolse in una innaturale calma, Sora al suo solito la prese sul ridere, Emy confortava il povero Mike in piena crisi isterica e Felix se ne stava in silenzio ad osservarli. Alla fine la rossa con un sorriso a trentadue denti si alzò da tavola e iniziò a sparecchiare per poi dileguarsi nella discarica che ella aveva il coraggio di chiamare ‘camera’. Prese i panni sporchi e li mise nella cesta da lavare, prese i libri di scuola sparsi per il pavimento e ne fece una pila mettendoli vicino alla scrivania. Osservò la stanza, era abbastanza spoglia una volta sistemato il disordine,  le pareti di un giallo pallido, dipinte dai precedenti proprietari, che risaltavano di poco il colore del sole, il letto posizionato sotto alla finestra e la scrivania ai piedi e poi immense pile di libri di tutti i generi, catalogati per genere e autore e per data d’uscita. La camera era piccola ma in compenso entrava molta luce e questo faceva felice la giovane ragazza, le piaceva guardare fuori e osservare le nuvole e il cielo. Forse era un segno del destino ma il suo nome significava  ‘Cielo’. I suoi genitori erano amanti del Giappone se le avevano dato un nome del genere, ma ella di loro non ne ricordava nulla, né il volto né le loro voci. Qualche volta le era capitato di sognarli ma si svolgeva tutto come in un vecchio film in bianco e nero, vedeva volti in penombra e labbra che si muovono e le parole che le sussurravano scritte su uno sfondo grigio. Ritornò alla realtà poco dopo, osservò ancora una volta le pareti spoglie e decise che una volte che le acque si sarebbero calmate avrebbe chiesto il permesso di dipingere la sua camera. Quella sera però non aveva voglia di fare i compiti, né di fare altro così si sdraiò e con la mente completamente vuota si addormentò.
 
Un uomo portava a spasso il proprio cane, quando a qualche millimetro dalla sua faccia sfrecciò un bigliettino che cadde poco lontano da lui. Egli lo raccolse, lesse le poche righe e strattonando il cagnolino corse a casa. Chiamò la centrale di polizia e disse poche parole: «Ladro Butterfly colpirà anche stanotte, mandate delle pattuglie al museo delle pietre preziose, io vi raggiungerò lì»
Chiuse la chiamata, andò a togliersi la tuta e indossò il solito vestito e sempre di corsa prese l’auto e urlò alla moglie che andava a lavoro. Il museo era circondato da molti poliziotti, auto della polizia ed elicotteri.
«Ladro Butterfly, questa volta non riuscirà a farla franca!» disse determinato l’ispettore.
Tra i poliziotti si aggiunsero anche i giornalisti, volevano assistere assolutamente al colpo del famoso ladro. I poliziotti cercarono di tenerli buoni e quando poco dopo arrivò l’ispettore gli posero il problema.
«Lasciateli pure filmare, l’importante è che non interferiscano»
L’uomo andò dentro all’edificio portandosi con sé i suoi fidati aiutanti raggiungendo una camera dove erano posizionati schermi. I tre presero posto e l’ispettore osservava con attenzione l’orologio.
«Mancano 5 minuti all’arrivo del ladro. Tutte le telecamere sono in funzione?» chiese e i seguaci annuirono.
Il tempo passò lento, tutti erano alle loro postazioni.
«Cinque. Quattro. Tre. Due. Uno»
Le luci andarono via, l’ispettore urlò di azionare le luci d’emergenza. Esse si illuminarono sulla cupa figura chinata su una teca. Qualcosa dentro al vetro brillò di un rosso acceso. Il ladro scaraventò la teca, prese il gioiello e scappò via. Raggiunse in fretta l’uscita, da lontano riusciva a vederla, qualche passo e sarebbe uscito, ma delle guardie si piazzarono davanti al suo cammino. In poco tempo lo circondarono, le mani alzate pronti ad afferrarlo, uno gli si lanciò addosso, ma l’ombra lo colpì con una ginocchiata all’addome che lo stese. Un altro provò a fermarlo. ma il ladro saltò e facendo leva con la testa del poliziotto passò oltre il muro di uomini, riuscì così a scappare. Arrivò nei cortili, dal tascapane attaccato alla vita prese dei sassolini, che lanciò davanti ai suoi piedi che fecero scattare varie trappole. Le guardie ancora lo inseguivano, in testa c’era l’ispettore che non demorse nemmeno quando i suoi uomini rimasero impigliati nelle loro stesse trappole. Ormai era arrivato al capolinea. Davanti a sé trovò un altissimo muro, si voltò e si trovò davanti all’ispettore col fiatone. Il ladro sorrise, alzò in alto il braccio sinistro e con le dita contò: tre, due, uno. Un gran polverone si alzò e il ladro si ritrovò sull’alto muro. Mise in un sacco il bottino appena rubato e saltò nell’oscurità. Un fotografo scattò una foto. In essa apparve una figura femminile con un lungo mantello pesante, una camicia con sopra un corpetto, dei pantaloni in pelle ed un sacco assicurato alla cinta. La ladra era in penombra, la sagoma della maschera, gli occhi chiusi e le mani a correre ad afferrare il cappuccio che le era sfuggito dalla testa rivelando così lunghi boccoli. La luna la illuminò un attimo, poi le nuvole l’oscurarono permettendo così alla ragazza di scappare.

 
 
 
Angolo della Sadica:
Salve minna!! Sono contentissima delle 33 visite! Anche se un piccolo commentino lo avrei gradito anche, ma non posso di certo pretendere di ricevere già al primo capitolo delle recensioni! Cmq! Spero che questo capitolo piaccia! E scusa casomai orrori d'ortografia o grammatica, ma non l'ho revisionato, vado abbastanza di fretta! Allora bacioni!
  
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