Capitolo
2
Mi
avvicinai a lei cautamente, quasi avessi paura di disturbarla, e le
poggiai
delicatamente le mani sulle spalle.
A
quel contatto sobbalzò, probabilmente non mi aveva sentita
arrivare.
Alzò
il capo e per me fu un colpo al cuore, non mi piaceva vedere mia madre
in
quelle condizioni.
Per
“Quelle condizioni” intendo, il volto rigato dalle
lacrime che ininterrotte
scendevano, occhi gonfi e un taglio abbastanza profondo sulla mano
destra,
l’aveva fatto di nuovo,
si
era auto lesionata di nuovo.
E
che diamine! Non potevo permettermi di essere felice anche io?
Perché la
tristezza doveva essere onnipresente nella mia insulsa vita?
E la
felicità dove la vogliamo mettere?
Ero
sul punto di lanciare un urlo tanto forte che avrebbe potuto rompere i
vetri
delle finestre proprio come succede nei film, ma mi trattenni.
Non
potevo farlo, avrei letteralmente distrutto il già precario
“equilibrio”, se
così si poteva definire, di mia madre.
Mi
limitai a respirare profondamente e a sedermi accanto a lei cingendole
le
spalle con un braccio.
In
quel momento mi sentivo più adulta di quanto fossi
realmente, mi sentivo come
una mamma che sta consolando sua figlia reduce da una relazione amorosa
finita
male,
quando
invece quella che doveva essere consolata ero io, la vera
“diciassettenne
delusa” qui ero io non loro, ma erano troppo presi a litigare
per
capirlo,
erano
troppo impegnati perfino per ricordarsi della mia esistenza.
Era
già da qualche anno che andava avanti questa storia.
Il
lavoro di mio padre non produceva più come prima, avevamo, e
abbiamo ancora
tutt’ora, molti problemi economici, e con
“molti” intendo una miriade.
Inizialmente
però era sempre tutto uguale, eravamo anche più
uniti di prima, forse perché
credevano che in quei momenti la famiglia fosse l’unica cosa
che rimane,
forse
perché….
Non
lo so perché!
Fatto
sta che sembravamo la perfetta famiglia felice, andavamo in Chiesa la
Domenica,
facevamo passeggiate tutti insieme…
Avete
presente la famiglia del Mulino Bianco? Ecco, eravamo più o
meno come loro.
Poi
però evidentemente a mio padre non è bastato
più tutto ciò, del resto non si
pagavano mica con l’unita familiare le tasse?! Eh!
Cominciò
a distaccarsi sempre più da noi.
Non
c’era mai in casa, era sempre a lavoro o in giro a bere con
la sua banda di
squilibrati che lui chiama “amici”,
ma
che alla fine sono pronti a pugnalarlo alle spalle non appena possono.
Quando
era in casa invece urlava e sbraitava contro mia madre per qualsiasi
cosa.
Quest’ultima
a sua volta non ce la faceva più, ha un carattere molto
debole di conseguenza
subiva tutto senza opporsi mai.
Il
massimo si è raggiunto però quel maledettissimo
Lunedì 20 Ottobre.
“E’
in coma, non tanto grave, ma la cosa non è comunque da
sottovalutare”
Ricordo
ancora, furono queste le parole che ci disse il medico con tanta
professionalità.
Mi
crollò il mondo addosso, mi sentii come se quel minimo
briciolo di ottimismo
che mi era rimasto avesse deciso di abbandonarmi e di lasciarmi
avvolgere dal
pessimismo.
Perpetuò
in quello stato per ben tre mesi, tre mesi d’inferno.
Io,
mia madre e mio fratello, Logan che all’epoca aveva solamente
sei anni,
rimanevamo costantemente seduti su quelle poltroncine che
“ornavano” i corridoi
dell’ospedale.
E
quando si è svegliato come ha ricambiato tutto
ciò?
Con
un freddo “Potevate anche risparmiarvela so badare a me
stesso”.
Da
allora è cambiato tutto, i miei litigavano di continuo,
più volte si è parlato
di divorzi, ma fortunatamente le parole non sono mai divenute
realtà.
In
tutto questo io soffrivo in silenzio, non osavo esternare le mie
emozioni, già
c’erano abbastanza problemi .
Quei
pensieri fecero rafforzare in me il senso di abbandono, di tristezza,
di
rabbia, e fu così che mi ritrovai a singhiozzare insieme a
mia madre.
«Ma,
perché piangi mamma?» mi decisi a chiedere mentre
continuavo a fare lo stesso,
ma non ricevetti risposta.
Non
so per quanto tempo rimanemmo su quel divano, so solo che ad un certo
punto con
gli occhi che bruciavano ed un forte mal di testa, mi addormentai.
Il
mattino seguente mi svegliai di colpo sentendo il mio cellulare
squillare.
Lo
estrassi dalla tasca con molta fatica e risposi:
«Pronto?»
«Buongiorno,
è lei la signorina Gabriella Cox?» rispose una
voce squillante che mi fracassò
i timpani.
«Sì
sono io, con chi parlo?»
«Bene
vorrei elencarle tutte le promozioni che la TIM ha da offrirle questo
mese.»
Ogni
parola equivaleva ad un pezzo del mio timpano che andava a farsi
fottere e alla
mia irritazione che cresceva.
«Ma
vada in Culonia» e attaccai.
Solo
in quel momento mi resi conto di essere sola su quel divano.
«Mamma!»
chiamai. Nessuna risposta-
Riprovai,
il silenzio totale.
Comincia
a preoccuparmi. Corsi al piano superiore, nessuna traccia di lei.
Andai
in cucina e proprio sul tavolo trovai un folio piegato sul quale
c’era scritto
“Per Gabry”.
Avevo
paura di leggere ciò che c’era scritto, tremavo
tutta e il cuore mi batteva a
mille.
Passavano
i minuti e io continuavo a rimanere inerme, ma alla fine mi decisi e
leggerne
il contenuto.
“Cara Gabry,
Ciao!
Sono la tua mamma, esatto sì, quella che ti ha messo al
mondo, quella che ti ha
vista crescere e quella che in questo momento ti sta abbandonando con
un’insulsa lettera.
Mi
faccio schifo da sola, credimi ma come ben sai non mi piacciono gli
addii, e
nemmeno a te, perciò è la scelta migliore.
Sai
ricordo ancora quando eri piccola e correvi con un pannolino in testa
per casa
gridando:
-Arggggh!
Eccomi sono Peter Pan e sono qui per ucciderti brutto barbone di un
Capitan
Uncino!-.
Adoravi
Peter Pan, dicevi che anche tu volevi rimanere per sempre bambina
così la tua
mamma avrebbe sempre potuto prenderti tra le sue braccia e coccolarti.
Eri
dolcissima.
Con
quei tuoi occhioni verdi e quelle tue giancie paffutelle.
Ieri
con tuo padre è successo un casino.
Vuoi
sapere perché abbiamo litigato? Ancora per colpa di quel suo
lavoro di merda.
Però
e stato diverso dalle altre volte, i suoi occhi trasmettevano rabbia,
disprezzo.
Se
n’è andato Gabry, ci ha abbandonate e prima di
sbattere definitivamente la
porta di casa ha affermato esplicitamente che di noi non gli importa
nulla.
Io
non ce la potevo fare a rimanere in questa casa, ogni singola cosa fa
riaffiorare in me determinati ricordi, prova a comprendermi.
Ho
deciso di non portarti con me dal momento che non voglio portarti via
dalla
vita che ti sei creata qui, hai i tuoi amici, le tue abitudini, il tuo
modo di
vivere.
Logan
è con me, non ti preoccupare.
Probabilmente
quando leggerai questa “cosa” io sarò
già diretta in Florida da qua nonna.
Ho
esaurito le parole, ricorda piccola mia che ti vorrò sempre
bene, e che non ti
ho realmente abbandonato, sentiti libera di chiamarmi ogni volta che
vuoi.
Con
tanto affetto la tua mamma.
Sul
fondo della pagina si distingueva la forma delle labbra di mia madre.
Mi
aveva abbandonata, ero sola…sola.
I
singhiozzi ormai mi possedevano a intervalli regolari, presi il
telefono, avevo
bisogno di loro in quel preciso istante.
Chiamai
Lizzie.
«Pronto»
rispose dopo il terzo squillo.
«Ti
prego vieni subito, avvisa le altre, ho bisogno di voi»
«Gabry,
oddio cosa è successo? Stai singhiozzando!»
«Muovetevi
a venire e vi spiegherò tutto»
«Ok»
rispose solamente, e attaccò.
Arrivarono
circa 10 minuti dopo e appena mi videro mi strinsero fortissimo tra le
loro
braccia.
Gli
raccontai tutto, gli feci leggere la lettera e cercai rifugio ancora
una volta
tra le loro braccia.
«Vieni
a stare da me!» esclamò Lizzie ad un tratto.
«Da
te?!» quella ragazza aveva un cuore enorme ma non volevo
approfittarne.
«Sì
dai, il posto c’è per te, per mia madre non ci
saranno problemi la conosci e
poi, proprio nella casa affianco alla mia i sono trasferiti cinque
ragazzi che
soni dei perfetti chiav..»
«Lizzie!
Ma ti sembra questo il momento?!» La interruppero Lucy e Mafy.
Sapevo
come finiva la frase. “Chiavatone” era il nostro
modo per definire “bello” un
ragazzo.
Non
sapevo cosa fare. Di sicuro non volevo rimanere da sola in quella casa,
ma non
volevo approfittare di Lizzie.
Alla
fine mi decisi.
«Vengo.
Però a petto che darò un aiuto in casa».
Lizzie
mi guardò con un sorriso a 54 denti e disse:
«Sì,
sì, ok, che bello non vedo l’ora, su sbrigati e
impachetta la tua roba».
Lucy
e Mafy in tutto questo erano rimaste in disparte.
Erano
molto silenziose e timide ma erano davvero buone amiche.
Nel
giro di un’ora riuscii a prendere tutte le mie cose, non che
avessi molto.
Ci
avviammo tutte a casa di Lizzie, avevamo deciso, o meglio avevano, di
fare un
pigiama party in mio onore.
La
madre acconsentì, d’altronde aveva sempre
affermato che le stavo simpatica.
Mi
aiutarono a sistemare la mia roba e riuscirono anche a strapparmi
qualche
sorriso di tanto in tanto.
Finimmo
proprio mentre Diana, la mamma di Lizzie, ci chiamò per
andare a tavola.
«Cosa
facciamo io mi annoio!» esclamò Mafy.
Avevamo
da poco finito di pranzare, ci trovavamo nella stanzetta di Lizzie e
non
avevamo nulla da fare…non che mi andasse di fare
molto..però!
«Già
anche io.» questa volta parlò Lucy, mettendo su il
broncio.
Salii
sul letto mi misi in piedi e per attirare la loro attenzione esclamai
“Carrots”.
«Cosa
c’è Gabry?» chiesero.
«Niente,
vi voglio solo bene!»
Non
l’avessi mai detto! Mi ritrovai addosso tre ragazze anche
abbastanza pesanti
che mi stavano sfracassando uno sterno.
«Anche
noi ti vogliamo bene!»
Ecco
con la vocetta che fecero sembrarono proprio delle bambine di quattro
anni.
«Vabbè,
ora però toglietevi che non respiro»
E
così fecero senza risparmiarsi una linguaccia rivolta a me.
Alzai gli occhi al
cielo, non cresceranno mai.
Ad
un tratto squillò il cellulare, un messaggio.
“Ciao
Gabriella, sono Harry ricordi, il tizio che mafia alle tre del
pomeriggio. Ecco
mi chiedevo, ti andrebbe di rivederci?”
Mi
spuntò un sorriso da ebete sul volto, certo che lo volevo!
Mentre
decidevo le parole da usare nella risposta sentii le altre dire:
«Dicci»
iniziò Mafy.
«Subito»
la appoggiò Lucy.
«Chi
era» concluse soddisfatta Lizzie-
Devolsi
il mio cellulare a loro che cominciarono a gridare manco fossero degli
antifurti.
«E
questo quando avevi intenzione di dircelo?!Eh?!»
esclamò Lucy.
«Non
so…ora?!»
Raccontai
loro dell’incontro e di come mi aveva salutato.
Notai
che mentre parlavo i loro occhi brillavano come diamanti.
Risposero
loro al posto mio esattamente così:
“Ciao!
Sì mi ricordo di te. Comunque va bene! Quando ci vogliamo
vedere?”
La
sua risposta non si fece attendere:
“Facciamo
stasera alle otto?”
Risposero
sempre loro per me:
“Va
bene, perfetto.”
«E
il pigiama party?» chiesi.
Mi
guardarono come a dire “ ma sei scema o cosa?!”
«Lo
rimandiamo!» disse Mafy.
«Ok,
come volete.»
«Ed
ora, abbandonati tra le nostre braccia, abbiamo solamente tre ore per
farti
diventare una principessa» esclamò Lizzie
entusiasta.
Riuscii
a pensare solo “aiuto” prima di essere trasportata
nel mondo della moda con
annessi e connessi.
ZUMBA!
Salve a tutte *-*
Okkei lo so,
già i capitoli fanno
schifo loro e blablabla poi ci metto pure anni ad aggiornare
è ovvio che
nessuno la segue ‘sta storia ç__ç
No dai.
Volevo solamente dire
grazie.
Alle 3 che
l’hanno inserita tra le
seguite *w*
Alle 6 che
l’hanno recensita *w*
E alle 88
visualizzazioni *w*
Davvero, pensavo
facesse totalmente
schifo v.v
Vabbè dai
mmi fate sapere cosa ne
pensare con una minuscolerrima recensione? Non costa nulla a voi e fate
felice
me *w*
Okkei vi lascio che
devo andare a
studiare ç__ç
KissKiss
_Lalle_