Riuscivo
a vederlo.
In
un altro momento non mi avrebbe fatto alcun effetto incontrare un
ragazzo allampanato, con delle occhiaie troppo pronunciate e occhi
tanto grandi quanto inquieti. In un altro momento, un incontro del
genere sarebbe stato insignificante nella sua casualità.
Ma
allora, dopo essere rimasta sospesa in un mondo fatto di ombre, di
spettri scuri talmente effimeri da non darmi nemmeno la
possibilità
di cercare di riconoscere facce e identità, quell'unico
ragazzo
dall'aria spaventata mi sembrava straordinario, meraviglioso.
Guardalo
era diventata la mia attività preferita. Non capivo cosa
facesse
tutto il giorno, che tipo di lavoro facesse, chi fossero le altre
ombre che erano insieme a lui, o quale fosse il vero significato
dietro alle sue parole che mi arrivavano ovattate e veloci alle
orecchie. Fissarlo, semplicemente, era diventata la mia
attività
preferita.
Ho
cominciato a seguirlo.
Dovevo
farlo. Ho capito immediatamente che lui sarebbe diventato il mio
unico appiglio a quel mondo in cui anche io una volta, quanto tempo
fa?, ero solita camminare, ridere, pensare. Vivere.
In
poco tempo lui divenne il centro del mio mondo. Non lo lasciavo mai,
non ne sarei stata in grado.
Che
cosa sarebbe successo se, dopo aver cominciato a vagare di nuovo fra
le ombre, non fossi più riuscita a trovarlo?
Sarebbe
stato come morire. Di nuovo. E farlo per una volta era già
stato più
che sufficiente.
Così
decisi di rimanere con lui sempre. Anche se non riuscivo a parlargli,
anche se non era in grado di vedermi e non si rendeva nemmeno conto
della mia presenza, la sua silenziosa compagnia era diventata la mia
unica fonte di gioia.
Ne
ero assuefatta: dove andava lui, andavo io.
Quando
ero in vita sono sempre stata una persona indipendente. Nemmeno
quando ero piccola cercavo rifugio fra le braccia accoglienti di mia
madre, e quando sono stata abbastanza grande da frequentare l'asilo e
le elementari le maestre per me non erano altro che degli aiuti
esterni per compiti che, sapevo, con impegno sarei riuscita a
compiere da sola.
Mio
padre era sempre stato fiero della mia autonomia, soprattutto quando
sono diventata più grande.
Per
lui, il fatto che avessi sempre usato la mia testa, spesso andando
anche contro al buon senso, era fonte di orgoglio, soprattutto quando
si confrontava con altri padri alle prese invece con figlie che
vivevano in simbiosi con amiche o fidanzati.
Ho
sempre camminato da sola.
Finora.
Seguendo
il giovane nella sua vita di tutti i giorni mi fece rendere conto che
in lui c'era molto di più di quanto si potesse osservare
dall'esterno.
Era
speciale. E non soltanto perché era l'unica persona che
fossi in
grado di vedere in un mondo fatto di sagome sfuocate.
Aveva
grandi occhi scuri, espressivi ed innocenti. Sarà stato
forse a
causa della sua magrezza, quasi eccessiva, che faceva risaltare
così
tanto le iridi scure sulla pelle color latte, ma per i primi tempi
non riuscivo a far altro che osservare il suo sguardo.
Avevo
imparato ogni sua espressione, ero capace di leggere ogni emozione
che scintillava sul volto di quel ragazzo.
Fu
così che iniziai a notare il cambiamento.
Dapprima
era una lieve colorazione più scura sulle sue onnipresenti
occhiaie.
Poi
furono le sue guance ad essere più scavate e gli occhi
più
infossati.
Alla
fine l'espressione inquieta e quasi disperata che mi preoccupava
così
tanto non lo abbandonò più.
Il
tempo che prima passavo a studiarlo diventò il tempo che
impiegavo a
vegliare su di lui senza sosta. Lo vedevo mentre si svegliava
tormentato dagli incubi, mentre sorrideva senza però farlo
davvero,
mentre si trascinava qua e là come un fantasma.
Un
giorno poi, non seppi mai che ora della giornata fosse, mi ritrovai
sola con lui. Immaginai che ci trovassimo al suo posto di lavoro, ma
le ombre che di solito lo affollavano e si muovevano intorno a lui
erano sparite.
Non
so esattamente quando accadde, quando quella straordinaria
rivelazione prese forma nella mia testa.
Quello
che so è che un momento prima stavo in piedi davanti a lui,
fissando
per terra come se potessi trovare nel suolo una risposta di qualche
tipo ai problemi della mia unica ragione di vita, e il momento dopo
venni letteralmente invasa da una sensazione del tutto nuova, come
uno strano formicolio, un campanello d'allarme che mi costrinse
immediatamente a reagire, a cosa ancora non lo sapevo.
Alzai
la testa di scatto e mi accorsi che lui, quel giovane dagli occhi
gentili e inquieti, quel ragazzo da cui non riuscivo a separarmi,
lui, senza ombra di dubbio, stava fissando me.
Rimasi
impalata sul posto, incapace di reagire.
Lui.
Mi. Vedeva.
La
mia mente registrò diversi minuti dopo che se ne era andato
via di
corsa, così mi riscossi e lo seguii.
Lo
trovai in un luogo, un luogo che per la prima volta non mi sembrava
solo una stanza anonima avvolta dalla nebbia. Eravamo in un bagno.
Il
ragazzo era di fronte al lavandino, le mani tanto strette sulla
ceramica che le nocche erano bianchissime. E tremava. Dio, se
tremava.
E
i suoi occhi scuri, attraverso lo specchio, erano di nuovo su di me.
Inquieti, allarmati, terrorizzati.
“Ti
prego- sussurrò con voce tremante, una voce che sentivo
chiaramente
per la prima volta- Ti prego, lasciami in pace.”
A
quelle parole venni avvolta da un gelo che nemmeno credevo di essere
più in grado di provare, una nuova consapevolezza mi
colpì più
forte di un pugno nello stomaco.
Ero
io.
La
fonte di incubi, di inquietudine, di paura e disperazione.
Ero
io.
Spalancai
la bocca, cercando di balbettare delle scuse che probabilmente
nemmeno sarebbe stato in grado di sentire.
Ciò
che stava divorando dall'interno l'unico mio appiglio con la vita,
ero io.