Capitolo
II
C'era
così tanta luce, quella mattina.
Shaka,
inginocchiato sulla terra rossastra dell'Arena, teneva gli occhi
chiusi
fissi verso l'alto, dove avvertiva ergersi solenne la figura ammantata
del Gran
Sacerdote.
Sapeva che avrebbe dovuto chinare la testa secondo l'etichetta, ma non ci riusciva proprio – perché non voleva.
Negli
spalti tutt'intorno centinaia di persone stavano in religioso
silenzio,
in attesa, col fiato quasi sospeso e gli sguardi puntati su di lui.
«Per
i poteri a me conferiti dalla Divina Atena io, Gran
Sacerdote del Grande Tempio, nomino te, Shaka, cavaliere d'oro di
Virgo!»
Era il momento più importante di tutta la sua vita, lo sentiva: lui era venuto al mondo per vestire quell'armatura. Così aveva comandato l'ordine precostituito, a cui tutti gli esseri viventi dovevano necessariamente obbedire.
«Ora avvicinati, cavaliere, e pronuncia il giuramento».
Shaka si alzò e salì le gradinate con passo lento ed altero; giunto al
cospetto
del Pontefice si inchinò nuovamente, senza tuttavia sollevare le
palpebre – gesto che provocò mormorii e occhiate stupite nella folla.
«Giuro dinanzi ad Atena che io, Shaka di Virgo, mi impegno solennemente a consacrare la mia persona e il mio cuore alla causa della Giustizia, e a combattere per essa fino alla fine dei miei giorni».
Non
appena terminò il suo discorso, lo scrigno d'oro si spalancò; ne
uscirono
fuori le sacre vestigia della Vergine che, scomponendosi in un aureo
bagliore,
andarono a fasciargli il corpo pezzo per pezzo.
Nell'istante
in cui l'elmo si posò sulla sua testa e la vestizione fu completa,
lo percepì per la prima volta: potere. Un potere talmente vasto da mozzare il respiro e abbracciare il
firmamento
intero.
Rimase
completamente sordo allo scroscio di applausi e grida levatosi dagli
spettatori, troppo abbagliato dalla forza straordinaria che ogni
singola fibra
del suo essere sprigionava.
All’improvviso,
il suo ruolo gli fu chiaro: finalmente
comprendeva del tutto.
«Messaggero
tra la terra e il cielo sarò, nel corso della mia vita».
***
Ore
dopo, il novello Virgo fece il
suo ingresso alla Sesta Casa.
Due
anni erano trascorsi dalla notte piovosa in cui, scortato dal delegato
di
Atene, aveva lasciato Varanasi; nonostante il titolo di cavaliere
d'oro, Shaka
rimaneva pur sempre un bambino.
Le
donne imploranti, i piccoli affamati, i pellegrini stanchi avevano
improvvisamente perduto ogni importanza – misero nulla, al confronto del grande ideale di Giustizia ed equilibrio di
cui adesso era portatore.
Ora
sì che Shaka non aveva paura né della morte né degli spettri: grazie
al
suo potere sarebbe stato padrone della prima, e guida dei secondi.
Sciolse
deciso il nastro dell'amuleto che portava al collo da quando aveva
memoria: a cosa avrebbe potuto servirgli una protezione contro la
morte e gli
spettri?
Il Fiore di Loto al centro del Tempio si aprì al suo tocco, come si aprivano tutti i fiori quando lui gli passava accanto.
Vi si sedette, con gli occhi chiusi, e prese a meditare.
Note dell’autore
Sono
passati
circa due anni: Shaka è giunto al Santuario ed è stato investito
cavaliere d'oro di Virgo.
E
qui, accade la trasformazione: se prima sapeva di essere il Figlio del
Cielo, ma qualche volta dubitava, adesso invece le sue incertezze si
sono
dissolte come neve al sole, disfatte da quel potere
sopito che
l'armatura ha risvegliato in lui.
Il
capitolo è diviso in due momenti: il primo descrive l'
investitura, mentre il secondo ha luogo qualche ora dopo.