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Autore: EdenGuns    05/02/2012    2 recensioni
Where do you think you're going?
Don't you know it's dark outside?
Where do you think you're going?
Don't you care about my pride?
Where do you think you're going?
I think that you don't know
You got no way of knowing
There's really no place you can go
.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. Welcome to the jungle


 

Dave sarebbe passato a prenderci nel pomeriggio. La sera prima si era limitato a ricevere e dare informazioni, per fortuna.

La luce dell'alba rischiarava la mia tetra camera, illuminandomi la schiena. Ero intenta a riempire un borsone di tutto ciò che avrei trovato; era un addio definitivo, lo sapevo. E in qualche modo quella consapevolezza mi spaventava.
Nonostante io non abbia nulla da perdere.
Trafficando sovrappensiero con le mani in un cassetto percepii un acuto dolore alla punta dell'indice. Ritrassi la mano imprecando e mi portai il dito alle labbra. Sentii il sapore del sangue invadermi la bocca mentre cercavo qualcosa con cui fasciarmi la ferita.

Avvolsi attorno al taglio una fascetta vintage appartenente a JJ -mi ammazzerà- e, con più cautela, frugai alla ricerca dell'oggetto incriminato. Sfilai un affilato pezzo di vetro sporco di sangue e,

stupita, estrassi altri frammenti, una cornice e una foto rovinata dal tempo e dalla poca cura.
Appena i miei occhi sfiorarono distrattamente quell'immagine sentii il cuore sprofondare inesorabilmente verso l'abisso.

Da quanto tempo era sepolta sotto tutto quel caos?

Non me ne ricordavo neanche più.
Michael mordeva la mia guancia stringendomi forte, ed io cercavo di allontanarlo ridendo.

I miei battiti diminuirono fino quasi a fermarsi, lasciandomi un gran senso di tristezza nell'anima. Mi mancava più di quanto avessi potuto immaginare.

Sfiorai con il dito il suo viso, sorridendo nel notare come eravamo conciati. Magliette strappate, trucco colato.

Scossi la testa e buttai anche la foto nel borsone. Non era il momento di perdersi in ricordi di un'amicizia passata.

Continuai a fare i bagagli, infilando l'impossibile nelle mie povere valigie.
Me le caricai addosso e le portai all'entrata, sentendomi un animale da soma.

« Io ho finito!» annunciai, raggiungendo Jane in salotto.

« Anch'io, quasi.»

Stava trafficando in una panca.

« E questo da dove salta fuori?» chiese, brandendo in aria un plettro.

« Suonavo, tanto tempo fa.»

Le presi l'oggettino dalle dita e lo scrutai. Era scheggiato, di un rosso pallido, anche se un tempo era stato acceso e caldo.

« E perché non suoni più?»

« Non ho abbastanza soldi per procurarmi una chitarra.»

« Già.»

Tornò a immergersi nel caos e io mi sedetti sul divano, rigirando tra le mani il plettro.

« Suonavo in una band, sai?»

Con Michael.

« Davvero?»

Continuava a sistemare roba nelle borse.

« Sì, facevamo qualche cover punk.»

« Figata! Tipo?»

« Sex Pistols soprattutto, sai. Era una costante di tutti i membri della band. Mi ritenevano un po' la Nancy Spungen della situazione» dissi, sospirando.

« Uh, io amavo Sid Vicious.»

Risi. « Dillo a me!»

Passammo qualche minuto in silenzio, mentre ricordavo con un sorriso Michael atteggiarsi come tale.

« E con questo ho finito» annunciò, chiudendo l'ultima borsa.

Mi raggiunse sul divano, stravaccandosi a qualche centimetro da me.

« Come ci si sente?»

La guardai, presa in contropiede. Si mordeva un labbro, nervosa.

« A fare cosa?»

« A fare l'amore con degli sconosciuti.»

« Io non ho mai fatto l'amore.»

Abbandonai il capo allo schienale, guardandola.

« E' tutto solo sporco sesso. Fare l'amore con una persona che ami e che ti ricambia penso sia tutta un'altra cosa.»

« Ma io non ho esperienza, cioè, non sono così abituata.»

« Non ci vuole una scienza» dissi, prendendo il pacchetto di Marlboro appoggiato sul tavolino « li soddisfi, ti fai pagare e te ne vai. Di solito fanno tutto loro. Solo se ti capita il verginello sfigato devi lavorare un po', ma sono sempre dolci e impacciati, quindi innocui.»

Lei mi guardava tra lo spaventato e l'ammirato.

Tirai fuori una sigaretta, con uno strano presentimento alla bocca dello stomaco. Era un misto di euforia, terrore e un altro miscuglio di sensazioni cui non sapevo dare nome.

Sembravano tendere all'ottimismo, però.

Accesi la sigaretta e tirai una boccata; il fumo invase i miei polmoni, attenuando i miei crucci.

« Ho paura, Liz.»

Nei suoi occhi c'era un certo smarrimento, che non riconoscevo in lei.

La abbracciai, tenendo la sigaretta lontana dai suoi capelli.

« Io ci sono, se hai bisogno. Solo un minimo problema e chiamami.»

La sentii annuire.

La cenere incandescente cadde sul pavimento, infilandosi nelle fessure tra le piastrelle.

Mi staccai.

« Quand'è l'ultima volta che hai scopato?»

« Due settimane fa.»

« E con chi?»

« Josh, il mio collega. Era il terzo appuntamento ed era stato così carino con me...»

« Non ti devi giustificare.»

Sbuffai fumo.

« Oramai è diventata la tua professione» aggiunsi, con una nota di tristezza della voce.

Non era mia intenzione quella di farle fare quella fine.

Conoscevo benissimo le conseguenze; fare la puttana ti portava a scoprire lati oscuri di te che pensavi addirittura di non avere. C'era qualcosa di malsano nella tua testa mentre guardavi negli occhi l'uomo con cui avresti passato qualche ora. Qualcosa di innaturale nel mondo in cui ti lasciavi andare con lo sconosciuto.

Non volevo vederla ridursi allo spettro di se stessa per colpa delle droghe di cui sicuramente avrebbe abusato, per riempire il vuoto che le si creava dentro ogni volta che lasciava il suo dono in balia di un uomo sempre diverso; ne sapevo qualcosa.

« Ci guardiamo le spalle a vicenda? Cioè, sì, insomma da Dave.»

« Questo è scontato, JJ.»

Mi sorrise, preoccupata.

« Dai basta battere la fiacca, dobbiamo scegliere i vestiti. Los Angeles stiamo arrivando!»

 

Un clacson prese a suonare insistentemente.

Diedi una voce a Jane che si era appisolata e cercai di raccogliere più borsoni e valige che potevo.

Uscii di casa trascinandomele dietro e raggiunsi la macchina. Dave non fece neanche finta di darci una mano.
Lanciai uno sguardo a quella vecchia catapecchia, densa di ricordi. Poi scossi la testa e ricacciai indietro lacrime che non versavo da troppo tempo.

Ingombrammo anche buona parte dei sedili posteriori con le valigie, così fui costretta a salire davanti accanto a lui, mentre Jane si infilava tra i bagagli.

« Ciao» disse lui, freddo.

Disturbo bipolare.

Viaggiammo in auto per almeno sei ore, poi mi misi io alla guida. Seguivo le indicazioni di Dave, che nel corso della giornata aveva già cambiato umore.

Iniziava a provarci, facendo volgari apprezzamenti sui nostri fisici. Jane continuava ad arrossire, ed io tramavo tutti i modi possibili e immaginabili per ucciderlo e fare passare il tutto come incidente.

Guidavo da circa quattro ore, quando Dave mi fece notare un motel sulla strada.

« O ci fermiamo qui, prendiamo una stanza e ci stringiamo, o continua a guidare la tua amichetta.»

Guardai Jane dallo specchietto retrovisore. Lei annuì impercettibilmente e io fermai l'auto.

« Guido io» annunciò, mentre ci scambiavamo di posto.

 

« Los Angeles a voi, carine.»

Le luci della città di notte brillavano. Sentii un moto di eccitazioni scivolarmi attraverso le vene, ma che subito repressi quando vidi lo sguardo di Jane.

Lei era spaventatissima.

« E questa è la casa. Non male, vero?»

« Cazzo.»

Era una villa provvista di giardino, cancello e telecamere di sorveglianza.

« Non sono parole adatte a te, queste» mi rimproverò strattonandomi per il braccio.

Puro divertimento nell'essere cattivo.

Gli lanciai uno sguardo colmo di odio per poi tornare a fissare come incantata quella meraviglia.

« Stanotte potete riposare» disse.

Scendemmo dall'auto, trascinando i bagagli per il vialetto.

« Ma domani avete un appuntamento. Te per un regalo speciale, la tua amichetta per un addio al celibato.»

Pregavo solo che il “regalo speciale” non fosse nulla di troppo estremo.

L'interno era ancora più pazzesco: marmo e fiori freschi dappertutto, quadri, librerie stracolme di libri, soffitti a volta e ampi spazi.

Sussurrai un altro “cazzo” stupito e seguii Dave che ci portava alle stanze.

Ognuno aveva la sua.

« Notte, dolcezze, ci si vede domani.»

E ci lasciò da sole in corridoio, con un mucchio di bagagli da sistemare.

« Che razza di maleducato» fece Jane.

« Oh, JJ. Non hai visto ancora niente. Piuttosto non stare mai a casa sola con lui, fidati.»

Rabbrividii al ricordo e salutai la mia migliore amica con un sorriso di incoraggiamento, per entrare in quella che era la mia stanza.

Era grande, con le pareti vermiglie coperte da poster di varie band che ascoltavo. Dave ce l'aveva messa tutta per raddolcirmi, ed iniziavo a chiedermi il perché.

Ero troppo stanca per sistemare le mie cose, così mi limitai a spogliarmi e ad infilarmi sotto le coperte del letto matrimoniale al centro della stanza.

Le lenzuola erano fresche di bucato e l'aria aveva un vago profumo di rose, così mi addormentai in pochissimo tempo.

 

« Mi raccomando, piccola. Sei la prima che mando a un cliente di Los Angeles, la tua amica va da un mio vecchio conoscente di Seattle che si è trasferito da poco qui per sposarsi. Quindi, vedi di rendere alto il mio nome.»

Soffocai un pesante insulto e tirai giù l'orlo della corta gonna.

« Dovrai rimanere nella stanza dove ti porto ora, poi arriveranno i ragazzi. Uno di loro dovrebbe farti un segno e allora tu inizierai la sorpresa. Il festeggiato sarà bendato, e tu puoi sbizzarrirti. Mi raccomando.»

Mi strinse la mano, preoccupato per la possibilità di fare brutta figura, e avvolse con l'altro braccio le spalle di Jane.

« Tu invece dovrai solo ballare, in modo sexy, ovviamente. Niente esitazioni, sei alla loro mercé. Pagano bene, e devi soddisfarli. Ma non sei lì per il servizio completo, intesi?»

Lei annuì, strizzando gli occhi: evidente segno di insicurezza.

« Forza, ragazze, è ora di brillare.»

Strano modo di intendere il verbo brillare.

Salimmo in auto, e Dave ci chiuse le portiere in un effimero gesto di galanteria.

« Porto prima te» disse, indicandomi con un cenno del capo.

Annuii, accavallando le gambe nude.

Prima di un cliente cercavo solo di non pensare.

E dato che l'unico risultato che ottenevo era quello di pensare a non pensare, funzionava a tenere fuori gli altri fastidiosi rimorsi.

« Siamo arrivati.»

Guardai fuori dal finestrino: « Di già?»

Era un locale, con una grossa insegna luminosa al neon.

« Non era lontano. Dai che ti porto nella stanza. Tra una mezz'oretta hanno finito il concerto» fece, scendendo dall'auto.

« Concerto?»

« Sì è una band, dicono brava, ma non li ho ancora sentiti.»

Musicisti, interessante.

Mi condusse all'entrata, poi si infilò tra le tante persone che affollavano la sala.

In lontananza, tra le nuvole di fumo colorato e le teste, si potevano vedere alcuni ragazzi saltare e correre imbracciando strumenti.

Ogni piccolo particolare, dalle luci all'aria gravida di eccitazione, mi ricordava le serate che facevamo nei pub di Seattle.

Poi però Dave mi prese per il braccio, intimandomi a seguirlo.

A zig-zag tra i presenti, arrivammo in un'anticamera vuota.

« Ok piccola, quella è la stanza» annunciò, indicando una porta.

Mi consegnò le chiavi e mi spinse verso l'uscio.

« Aspettali lì.»

Entrai, chiudendomi la porta alle spalle.

L'unico punto di luce proveniva da una lampada posta nell'angolo opposto all'entrata.

Non c'erano finestre.

Un letto a due piazze occupava gran parte dello spazio, che era piuttosto angusto.

La moquette per terra era nera, mentre le pareti bianchissime. O almeno, un tempo lo erano state.

Mi sedetti sul letto a gambe incrociate, poco femminile, e mi accesi una sigaretta.

Passò circa una mezz'oretta, poi si sentirono dei rumori fuori dalla porta. Delle risate, passi che incespicavano.

Buttai via il mozzicone, respirando piano per calmarmi.

C'era sempre una strana tensione nell'attesa prima del cliente.
Ormai dovrei essermi abituata.
Serrai la mascella e stesi le gambe, aspettando il loro arrivo.

   
 
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