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Autore: Sylence Hill    06/02/2012    2 recensioni
Londra, 1835
Rachel Williams è un topo di biblioteca, sempre china con il naso infilato tra i libri. Ragazza di buona famiglia, con un padre fatto da sé e una madre che insiste sul matrimonio, ha un cuore buono e gentile, che ama incondizionatamente.
Ma è anche caparbia e testarda, che vuole affermare a quel mondo che tiene conto solo le apparenze che una donna può essere più che una semplice decorazione per la casa del futuro marito.
Non ha fatto i conti, però, con quello che il destino - al quale non crede - ha deciso per lei. 
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Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sy Hill: Cari lettori, eccomi di nuovo con un'altro capitolo della mia Opera. Per farmi perdonare dell'attesa, ho scritto un capitolo molto più lungo (circa 8 pagine di Word). Volevo ringraziare espressamente  Clitemnestra_Natalja per la scorsa recensione. Era stupenda e assolutamente divertente e stimolante. L'ho riletta giusto stamattina e mi ha dato l'ispirazione per scrivere il capitolo qui postato.
Come sempre Leggete e Recensite. Avverto che è la prima volta che scrivo scene come quella presentata, quindi non linciatemi se non vi piace. Prometto che migliorerò.
Baci,

Sy Hill <3<3<3<3


*   *   *

  

 
Con il fiato bloccato in gola, rimasi immobile a osservare ed essere osservata di rimando da quello che, ormai, era diventato il mio pensiero fisso.
Il cuore aveva fatto un salto nel petto, quasi a voler uscire dalla cassa toracica.
Essere guardata tanto intensamente da quegli occhi mi faceva paralizzare dalla soggezione.
Lui, così bello, vestito di nero, la cui carnagione ombrosa e dorata era messa in risalto dalla cravatta bianca e il panciotto dello stesso colore, era seduto comodamente su una poltrona di pelle, rintanata in un’alcova nascosta a pochi metri dalla porta, e stringeva tra le dita un bicchiere ricolmo di porto e un libro, che in quel momento, era posato sul suo grembo.
Migliaia di sensazioni diverse pervadevano il mio giovane corpo, riducendolo ad un ammasso di carne tremante.
Com’era possibile che, solo la vicinanza di un uomo che non avevo praticamente mai conosciuto, potesse sortire quell’effetto?
Rendendomi improvvisamente conto della figura che stavo facendo, immobile come uno stoccafisso, costrinsi il mio corpo a rispondere nuovamente ai miei comandi.
« Perdonatemi per l’intromissione. »
Mi schiarii discretamente la voce, arrochitasi e abbassando lo sguardo, in una posa tipicamente pudica di noi debuttanti, anche se non avrei smesso di guardare i suoi occhi per nessun motivo.
« Non volevo disturbarvi. Con permesso… »
Sentendo il leggero grattare della poltrona sul pavimento, sollevai gli occhi. Eretto in tutto il sue due metri scarsi, mi scrutava attentamente, freddo.
Un brivido mi percorse.
Il movimento improvviso del suo braccio mi fece trasalire. Posò il libro che stava leggendo sul tavolino e, nello spostamento, riuscii a leggere il titolo del volume.
« Il Simposio di Platone. » mi feci sfuggire. « La mia opera preferita e voi la stavate leggendo. » mi sconcertai.
Quando si trattava di libri, una forza sconosciuta mi pervadeva, dandomi il potere di poter esprimere le mie opinioni senza paura, senza temere di dire qualcosa di assolutamente stupido.
Un lampo di non so cosa indefinito passò nel suo sguardo.
Essere scrutata così attentamente era alquanto indecente, ma sotto quello sguardo non mi sentivo in pericolo, come…
« Miss Williams, dove siete finita? »
La voce di Lord Whittle mi fece trasalire, talmente era vicina.
« Se mi trova, non mi lascerà andare. » constati ad alta voce, senza rendermene conto.
Dovevo trovare un luogo in cui nascondermi. Passai di sfuggita lo sguardo sull’uomo misterioso, notando che anche lui aveva spostato lo sguardo sulla porta.
Osservai, quasi disperata, la stanza, cercando un posto dove nascondermi, ma eravamo in una biblioteca, non c’era alcun punto in cui potermi celare, se non…
Puntai lo sguardo sull’alcova in cui era rintanato l’uomo e, proprio mentre i passi si avvicinavano alla porta, mi ci infilai, coprendomi con una tenda lunga fino al pavimento, in modo da celare anche le scarpe.
Nel frangente in cui mi spostai, lanciai un’occhiata supplichevole all’uomo, sperando potesse aiutarmi.
Possibile che ogni volta io incontrassi quell’uomo, ci fosse sempre qualcosa che non ci permetteva di comunicare tranquillamente, interrompendoci?
Sentii la porta aprirsi e la voce di Lord Whittle farsi più forte.
« Vi state nascondendo perché io possa trovarvi… oh, perdonatemi, signore, se vi ho disturbato. Non era mia intenzione. » Una piccola pausa, in cui il mio cuore accelerò i battiti. « Stavo cercando Miss Williams, non so se la conoscete. È la figlia del ricco industriale Julius Williams, non ha un gran bell’aspetto, ma ha una dota, a quanto si dice, incalcolabile. »
La sua voce era strascicata, come quella…
È ubriaco, pensai, esasperata. Era per questo che stava raccontando tutte quelle cose a quell’uomo, che con molta probabilità, non se ne interessava minimamente.
« Non è che, per caso l’avete incontrata? Si riconoscerebbe ovunque, è l’unica donna a portare gli occhiali ad un ricevimento. » mi derise.
Fui toccata da quelle parole. Cosa potevo farci se, per tutte le ore che passavo a leggere, la mia vista si era aggravata al punto di aver l’obbligo di portare gli occhiali? Preferivo tenermi gli occhiali e vederci, piuttosto che toglierli e camminare in giro sembrando una talpa fuori la tana.
« Allora, che mi dite, signore? » insistette Lord Whittle. « L’avete vista? »
Oh, ti prego, fa che non glielo dica, pregai.
« Si, l’ho vista. »
La sua voce profonda e potente, da baritono, mi colpi al cuore, ma le sue parole gli procurarono una crepa.
A quanto pareva avevo risposto la mia fiducia nella persona sbag…
« È fuggita dalla stanza circa dieci minuti fa. »
Trattenetti il fiato sia per l’ipotesi sbagliata, sia per la felicità che quelle semplici parole poterono infondermi, sia per l’attesa di sentire i passi di Lord Whittle sparire in lontananza.
« Dannazione! » esclamò quest’ultimo. « Ha intenzione di farsi rincorrere, come una lepre, per tutta la casa? »
La sua voce stridula mi ferì le orecchie.
« Io non rincorro nessuna donna. Sono loro a dover correre per potermi conquistare, e non mi farò certo prendere in giro da una verginella scialba come un buffone di corte! »
Sentii la porta sbattere e i suoi piedi pestare furiosamente il pavimento, fino a sparire.
Solo allora potei tirare un sospiro di sollievo, accasciandomi contro la parete.
Per fortuna l’avevo scampata. Quei pochi minuti in cui aveva dialogato con quell’ ignobile mi avevano già fatto capire che tipo di uomo fosse e non volevo averci niente a che fare. Che si trovasse un’altra gallina da spennare, io non avrei di certo ceduto al suo cosiddetto “fascino”.
Lo scostarsi improvviso della tenda mi fece trasalire.
Mi ritrovai a fissare quegli occhi strani, ipnotici, che avevano riempito la mia mente fino ad allora.
Mi raddrizzai, cercando di darmi un contegno, momentaneamente perso. Feci un passo in avanti, chiaro invito all’uomo di spostarsi per farmi passare, ma lui non si mosse si un centimetro.
Continuava a guardarmi, studiandomi come se fossi un’opera d’arte.
Mi innervosii sotto quello sguardo.
« Mi farebbe cortesemente passare? » chiesi, con voce tremante.
Lui non mi lasciò andare. Al contrario, cessò di tenere la tenda in mano, facendola ricadere alle sue spalle, chiudendoci entrambi nell’alcova,  creando un’atmosfera intima, che mi fece agitare.
« Signore, per cortesia, mi lasci tornare al ballo. »
« Mi avete dato l’impressione di non volerci tornare. » disse, muovendo un passo in avanti.  « Credevo voleste liberarvi di quel bellimbusto. »
« Infatti, » dissi, con finta aria di superiorità. « Probabilmente, girerà per tutta la casa, prima di ritornare nel salone e, a quel punto, io sarò in salvo… »
« Tra le braccia di un altro cavaliere? » sopraggiunse, spingendosi ancora più in avanti, invadendo lo spazio a me concesso, fino a incastrarmi con le spalle al muro. Il suo tono di voce, così derisorio, veniva contrastato dall’espressione impassibile, che non aveva mai lasciato il suo volto da quando lo avevo incontrato.
« Tra quelle di mio padre, » scandii, intimorita. « La prego, mi lasci andare! » pregai, calpestando l’orgoglio. Non volevo essere trovata in quella situazione così compromettente.
Ma proprio quando credevo che la situazione non potesse precipitare più di così, quella mi sorprese ancora.
La porta della biblioteca venne aperta con tale veemenza da andare a sbatacchiare contro il muro, e le risatine di una donna e le parole strascicate di un uomo riempirono la stanza, mentre la porta veniva richiusa, sbattendo.
Spalancai gli occhi al gemito acuto che sentii, prettamente femminile, avvampando come mai in vita mia.
Un incontro d’amanti clandestino!
Pregai vivamente che quella tortura finisse. Ma come avevo fatto a cacciarmi in quella situazione assurda?!
I gemiti e gli ansiti aumentarono e divennero più forti, mentre un fruscio di abiti tolti si sentiva in sottofondo.
Avevo il cuore che batteva veloce e un senso di vergogna capace di uccidere.
L’uomo, invece, non aveva fatto una piega, cosa che mi fece capire quanto ci fosse abituato a situazioni come quella.
Mi accasciai contro la parete, tappandomi le orecchie per non sentire quei lamenti e grugniti animali assolutamente orrendi e stomachevoli.
« Vi prego. » supplicai, non udibile,  non sapendo neanche il perché.
Quando i due amanti sbatterono contro la parete accanto all’alcova. I gemiti della donna erano quanto di più umiliante abbia mai sentito. Sembravano il guaire di un povero cane azzoppato.
Trasalii violentemente, mentre una mano grande e calda, mi copriva la bocca per impedirmi di urlare.
Guardai l’uomo farmi segno di rimanere i silenzio, mentre stendeva la mano a toccare la parete a cui ero appoggiata. Con l’altro braccio, mi strinse in vita, scostandomi dal muro.
Il suo odore, un misto di porto, libri appena stampati e noce, mi invase le narici, stordendomi leggermente.
Non dovrei lasciarglielo fare, non è permesso.
Ma sapevo anche che non potevo uscire da lì, se non volevo compromettere la mia reputazione e rendere quella situazione ancora più raccapricciante di quanto fosse.
Gli ansiti, i gemiti e i grugniti andarono via via a serrarsi, intervallandosi sempre di meno.
Nel momento in cui, la donna cacciò un urlo, l’uomo davanti a me spinse sulla parete. Sentii un leggero clice vidi la parete spostarsi, lasciando spazio ad un corridoio illuminato da piccole lampade ad olio.
Senza una parola, mi spinse all’interno e richiuse la parta segreta. Sentii di sfuggita l’amante della donna dire, con voce affannata: « Che diavolo era? », e riconobbi immediatamente la voce.
Non ci ha messo molto a dimenticarmi, pensai ironicamente, soffocando l’imbarazzo e la vergogna, mentre mi giravo verso l’uomo, distogliendo il pensiero da Lord Whittle: rabbrividivo di disgusto al solo pensiero di quello che stava facendo in quella stanza.
Un odore di fumo e muffa riempiva lo spazio ristretto, ma quello di noce e libri era molto più forte.
Un movimento del braccio che mi stringeva la vita mi riportò nella galleria nascosta, facendomi rendere conto della posizione in cui ci trovavamo.
L’uomo era talmente alto da dover piegare la testa per evitare di sbatterla contro il basso soffitto, e il suo corpo massiccio era schiacciato contro il mio, comprimendomi ad ogni respiro.
I suoi occhi affondavano nei miei, le pupille dilatate, mentre i nostri respiri si mescolavano in una nube calda.
« Potreste lasciarmi andare, per cortesia? » chiesi, flebilmente.
Il braccio cadette subito al suo fianco, neanche avesse toccato il fuoco vivo. Il gesto mi lasciò un vago sentore di delusione in bocca.
Si avvicinò ad una lampada, togliendola dal supporto a cui era appesa.
« Seguitemi. » ordinò, con un’improvvisa voce dura.
Cercando di calmare il battito del cuore impazzino, raccolsi le gonne quel tanto che bastava per non farle toccare terra e lo seguii.
Attutiti dalle pareti, sentivo i vari rumori della festa: la musica, il vociare, le risate nelle varie stanze…
« Come facevate a sapere di questo corridoio segreto? » domandai, sentendomi opprimere da quel silenzio relativo.
Ma l’uomo non rispose.
« Potrei sapere almeno qual è il vostro nome? »
Nessuna risposa, svoltò verso sinistra ad un bivio e gli andai dietro.
Sembrava sapesse esattamente dove stava andando.
E se mi stesse portando in un’altra stanza?, pensai improvvisamente. E se volesse approfittarsene? Infondo, sono da sola e potrebbe farmi qualsiasi cosa voglia. È grande e grosso abbastanza da abbattere un muro di pietra, di sicuro non avrà problemi ad immobilizzarmi e…
Scossi la testa a quei pensieri. Ma cosa andavo a pensare? Se avesse voluto farmi del male, sicuramente avrebbe approfittato, prima, nell’alcova e, inseguito, in quel tunnel.
« Milord, per favore, può dormi…»
« Non sono un Lord. » proruppe, di nuovo brusco. « Non mettetemi allo stesso livello di quei nullafacenti che girano per i balli, cercando la preda con più soldi nella borsa. »
Pungente come una spina. Ed era stato il discorso più lungo che sia uscito dalle sue labbra.
Avevo visto giusto. Lui non era originario di Londra.
Forse, uno yankee americano, pensai intimorita.
Giravano voci su  di loro: alcune li definivano dei libertini da strapazzo, che davano poca importanza al denaro. Altre voci riferivano che  sfruttavano degli indigeni originari di quella terra per i lavori più infami. Altre ancora provenivano dal Selvaggio West, posto crudo e senza scrupoli, dove indiani e Comandanti delle Colonie si contendevano le terre di confine, in una guerra infinita che infuriava sottobanco tuttora.
Sperai vivamente che non provenisse da quel luogo.
« Allora, potreste dirmi chi siete? » chiesi ancora.
Lui si fermò girandosi a guardarmi con i suoi occhi diamantini talmente gelidi da darmi i brividi.
« Se anche vi dicessi il mio nome, che cosa ne fareste? Mi denuncerete a vostro padre come rapitore? »
« No! » sbottai. « Perché dovrei farlo?! Voi mi avete salvato da una situazione scabrosa. Certo, non mi è piaciuto il vostro comportamento prima di… quella cosa... » dissi, arrossendo a più non posso. « Ma avete risolto tutto. Devo ammette di essere alquanto curiosa su di voi, d’altronde vi ho incontrato più di una volta, ma non è mai stata un’occasione permettente un discorso prolungato che avrei tanto voluto…»
Oh, quanto mi odio in questi momenti! Qualcuno mi fermi!
Quando diventavo nervosa iniziavo a parlare senza fermami un secondo, esprimendo tutto quello che pensavo.
D’un tratto il viso dell’uomo si avvicinò al mio, tanto da togliermi il fiato, per cui, smisi finalmente di parlare.
« Era ora. » disse lui. « Credevo non la smetteste più e l’unico modo per fermarmi sarebbe stato darvi una botta in testa per farvi svenire. »
Troppo incantata dai suoi occhi, non risposi alle parole provocanti che disse.
Un suono gutturale d’assenso gli uscì di gola, insieme ad un piccolo cenno del capo.
« Vi rendo nervosa? » chiese, quasi ironico.
« No. » sussurrai, strozzando la parola. « Un po’. » mi corressi, al suo sopracciglio alzato scetticamente. « Vedete, non ho mai incontrato qualcuno che abbia occhi come i vostri. Sono… »
« Orrendi, lo so. » m’interruppe, senza scostarsi. « Non c’è bisogno che lo... »
« No, non lo sono. » lo contraddissi, aggrottando le sopracciglia. « Sono… alquanto insoliti… ma hanno il loro fascino. Sono sicura che molte donne li hanno ammirati, sospirando di averli su di loro. »
Ditemi che non l’ho detto, pregai.
Provai ad aggiungere qualcosa per alleggerire quell’atmosfera diventata troppo intima, ma qualsiasi cosa mi venisse in mente, si cancellava appena riportavo gli occhi nei suoi.
Ammirai il gioco di ombre sul suo viso, quando posò la lampada ad olio ai nostri piedi, per poi protendere la mano verso il mio viso, contemporaneamente avvicinando anche il suo.
Anche se intimorita, qualcosa dentro mi sussurrava che non costituiva una minaccia. L’impronta calda delle sue dita si impresse a fuoco sul mio collo, mentre passava dalla nuca alla clavicola, per poi fermarsi sotto al mente e rialzarlo verso sé.
Il suo respiro, odoroso di porto, mi carezzò le guance e le labbra in una sorta di bacio incorporeo, spedendomi centinaia di piccoli brividi caldi alla schiena.
Ormai a pochi millimetri dal mio viso, decisi che, per una volta, contravvenire alle regole dell’etichetta non poteva fare male, soprattutto se infrante in quel modo così… invitante.
« Gabriel McHeart. » sussurrò sulle mie labbra.
E poi, mi baciò.
Le sue morbide labbra si posarono sulle mie, accarezzandole dolcemente, mentre una marea di nuove sensazioni m’invadeva il corpo.
Non sapendo come fare rimasi immobile, lasciando che fosse lui a muoversi.
Ma, dopo qualche secondo, si scostò per guardarmi in viso, con occhi splendenti come gemme e leggermente interdetti.
« Non siete mai stata baciata. » disse, come se stesse dicendo qualcosa d’impossibile. « Non come si deve almeno. »
Mi sentii avvampare per la vergogna. Era vero, non avevo ricevuto altro che baci a fior di labbra e, solo fugacemente, da gentiluomini che avevano paura di essere scoperti, neanche fosse loro a rovinarsi la reputazione.
E ora quell’handicap mi era costato il mio primo, vero bacio.
« Mi dispiace, » mi affrettai a dire, allontanandomi. « Io… »
Il suo potente braccio mi afferrò la vita, rialzandomi da terra di parecchi centimetri, e mi ritrovai a stretto contatto con il suo corpo massiccio e, soprattutto, pieno di virilità.
Cercai di sfuggire al suo sguardo, ma la sua grande mano, prendendo possesso della mia guancia, non me lo permise. I suoi occhi bruciavano di passione a malapena trattenuta.
« Non vi dispiacete. Noi diamo molta importanza a queste cose. »
Mi domandai vagamente a chi si riferisse con quel “noi”, ma venni distratta dal nuovo avvicinarsi delle sue labbra alle mie.
« Apri la bocca, mo rùn. » sussurrò dolcemente, una dolcezza che stranamente gli si confaceva.
Feci come chiesto. Rimasi scioccata sentendo la sua lingua toccare, scivolare, giocare a duello con la mia, eppure non mi scansai. Era una sensazione troppo piacevole da fermare.
Ogni tocco di lingua, ogni carezza data alla mia bocca era un lampo di luce dietro le palpebre chiuse.
Sentii le sue mani vagare sul mio corpo. Una accarezzava la schiena, lentamente, premendomi contro di lui – contro Gabriel McHeart–,  mente disegnava il contorno dei seni, senza mai sfiorarli realmente.
Era magico, molto meglio di come avevo letto nei libri, decisamente più inteso e coinvolgente.
Le mie mani corsero urgentemente a cercare qualsiasi scorcio di pelle scoperta, avviluppandosi intorno al suo collo, affondando nei capelli scuri, serici al tatto e freschi, come appena usciti da una lotta con il gelido vento invernale.
Scostandosi quel tanto che bastava per riprendere fiato, tornò ad attaccare le mie labbra. Le mordicchiò, per poi leccarle, accarezzandole con il fiato bollente, facendomi tremare dalla testa ai piedi.
E quando violò nuovamente il loro internò, un gemito acuto mi scappò dalle labbra.
Quel suono, così non da me, mi fece rinsavire.
Ma cosa stavo facendo? Mi stavo comportando come quella donna insieme a Lord Whittle.
Aprii gli occhi, scostandomi di scatto. Lo sciolsi dalla mia presa, allontanandomi di un paio di passi, prendendo un respiro profondo, per fermare il rombo del cuore, talmente veloce da sembrare un uccellino in gabbia e cercando di respirare normalmente.
Mr McHeart lasciò cadere le braccia, mentre calava sul suo volto la solita espressione impassibile.
« Cosa c’è, mhùirnìn? » disse, calcando con un pesante accento, fino a quel momento mai udito da lui, quell’ultima strana parola.
La mia mente era così scombussolata da non essere capace di esprimere alcunché.
Mi meravigliavo di me stessa. Non mi ermo mai comportata in quel modo… licenzioso? Lascivo? Peccaminoso? Non sapevo neanche come definirlo. Sapevo soltanto che non era il mio solito comportamento alla presenza di un uomo, e l’unico a cui si poteva imputare quel mio atteggiamento sconsiderato a quell’uomo, Gabriel McHeart.
Però dovevo riconoscere che, parte di quello che era successo, era che colpa mia. Non avrei mai dovuto permettergli di prendersi certe liberà, ma l’occasione si era presentata oltremodo allettante e non avevo resistito.
Volevo sapere cosa si provava a ricevere un vero bacio passionale, a perdersi nelle meravigliose sensazioni suscitate dalla lingua che accarezzava la mia e dei movimenti sinuosi delle mani sul mio corpo.
Solo, volevo provare tutte quelle cose soltanto con lui, Gabriel McHeart.
Scossi la testa, cancellando quei pensieri.
Ora sapevo cosa si provava e non avrei più permesso a chicchessia di prendersi di nuovo quelle libertà, non che io l’avrei permesso, s’intende.
« Perdonatemi, Mr McHeart. » dissi, ponderando la voce in modo da sembrare perlomeno normale. « Potreste, gentilmente, condirmi all’uscita da questo tunnel? Credo che i miei genitori siano preoccupati per la mia sorte, è passato molto tempo in cui ci siamo visti. » improvvisai, ansiosa di mettere quanto più spazio tra me e quell’uomo fatto di pura tentazione virile.
Mr McHeart, immobile come una statua, continuava a guardarmi, mentre i suoi occhi di diamante perdevano quella loro lucentezza, data dall’eccesso di passioni, diventando opachi come un vetro appannato.
Mi si strinse il cuore a quella vista. Dentro di me, sentivo qualcosa premere contro la cassa toracica, che mi spingeva a cercare di cancellare quell’espressione fredda come il ghiaccio, ma mi trattenetti.
Col fiato sospeso, lo vidi chinarsi a raccogliere la lampada da terra e girarsi dalla parte opposta. Le spalle erano rigide, contratte, mentre si dirigeva in fondo al corridoio e appoggiava la mano alla parete.
« Venite, milady. La festa vi aspetta. »
Il tono sarcastico in cui lo disse mi rattristò. Molto probabilmente, avevo ferito il suo orgoglio e sapevo per esperienza cosa significasse.
Mi avvicinai a lui, tenendomi le gonne.
« Mr McHeart… »
« Sssh! » mi zittì, brusco, tendendo un orecchio.
Assicuratosi che non si sentisse alcun suono di qualche probabile ospite, spinse con il palmo della mano ad attivare il meccanismo di apertura.
La parete strisciò silenziosamente di lato. Al cenno dell’uomo, oltrepassai la porta e mi ritrovai in un salottino, arredato nei toni dell’azzurro e dell’ocra.
Tirando un respiro di sollievo, mi girai per ringraziare Mr McHeart per avermici condotta.
Solo, non c’era più traccia della porta segreta, né dell’uomo chiamato Gabriel McHeart, il mio primo vero bacio.
 
  
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