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Autore: SkyEventide    08/02/2012    3 recensioni
Primi dell'800, Regensburg, Germania. Una madre, di nobili natali, e un padre insegnante di pianoforte votano la loro vita a mandare il figlio al prestigioso Conservatorio, un ragazzo con poche risorse, ma di talento. Ha un'ambizione, suonare nell'Orchestra Filarmonica di Vienna un concerto per violoncello; ostacolata dall'invidia come dal fato avverso, e incoraggiata da provvidenziali benefattori: il figlio di un marchese primo tra tutti. Ma quello che muove i desideri e le trame di tutti i personaggi, che anima i cuori, è come un sottofondo onnipresente: la musica.
Regalo di compleanno per Suze, con tanto ammmmore.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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Maria e la corda di violino

La galleria buia del Regensburger Theater è stipata di gente e Johann non riuscirebbe a vedere nulla al di là dal parapetto se il padre non lo tenesse in braccio. Il mondo al di sotto brilla e gli ricorda il carillon che vede ogni giorno nella vetrina del negozio di strumenti musicali frequentato dalla madre; le pareti sono decorate d’oro, le persone nei palchetti rifulgono di una bellezza luminosa e ricca, la platea con poltrone di velluto lo affascina.
Lui e i suoi genitori non ci possono andare, a detta di suo padre, perché per comprare il biglietto dovrebbero vendere la casa; in secondo luogo non avrebbero abiti adatti per presentarsi. Ma ancora più delle luci del teatro, sono le voci bianche sul palco che lo attirano. E gli tolgono il fiato. Tanti ragazzi vestiti di bianco, che da lassù vede piccoli piccoli, cantano un coro soave e angelico, dal golfo mistico - la mamma dice che il buco in cui si trovano i musicisti si chiama così - si espande un suono calmo.
E sul palcoscenico, di fronte agli angeli che cantano, di fronte al pubblico, c’è una dea. Veste un abito lungo, che scintilla di bianco, ha una corona sulla testa, e dopo una pausa di musica intona
Ave Maria, gratia plena
Johann trattiene il fiato. « Mamma » soffia « perché canta il tuo nome? »
« Shhh. » La madre avvicina le dita alla sua bocca. « E’ una preghiera, si tratta del nome della Vergine. E’ di Schubert. Adesso ascolta. » Il padre gli accarezza i capelli. Nella galleria c’è un maleducato brusio di fondo, che si abbassa alla seconda strofa.
Maria, gratia plena
La voce alta della dea brilla fino al soffitto affrescato ad angeli, fino al lampadario di cristallo, fin dentro al suo cuore, e gli scende nell’anima. E’ una fata e il suo fascino lo ha stregato.
Ave, Ave Dominus
« E’ bellissima » sussurra. E si aspetta di essere zittito ancora, ma la madre sorride, è un lieve arricciarsi della bocca che Johann ha modo di ammirare solo quando lei suona il violino in cucina, o nel parco.
« Sì, lo è. »
Benedicta tu in mulieribus
Un uomo acchiappa il braccio di suo padre e Johann è distratto dal suono soave del canto e dall’accompagnamento che i musicisti danno, assieme al coro di voci bianche; riconosce nel nuovo arrivato il signor Stressedt, il proprietario del negozio di strumenti, vorrebbe fargli notare che il teatro è dorato come il carillon nella sua vetrina.
« Klaus » saluta quello, rivolto a suo padre « non pensavo che avreste potuto prendere i biglietti. »
« Johann doveva vedere, quindi, sì, ci siamo riusciti… »
« Papà, non sento niente » sibila. Ha gli occhi sgranati e puntati sul padre e sul vecchio commerciante tarchiato. Forse dovrebbe farsi prendere in braccio per arrivare anche lui oltre la balaustra.
et benedictus fructus ventris
ventris tui, Iesus

La melodia lo attrae di nuovo, come una ninna nanna di bellezza, un fascino aureo e inafferrabile; un mondo che gli si schiude agli occhi e che conosceva solo attraverso le parole della madre. Solleva una mano e la allunga come se potesse afferrare il canto e la preghiera, oppure la dea sul palcoscenico, o l’intero luminoso teatro.
La magia che si libra nell’aria è riflessa nei suoi occhi.
Ave Maria.

Maria deglutisce, stringe le labbra assieme e si torce nelle mani un fazzoletto bianco. Ha messo dei guanti, prestati dalla vicina del piano superiore, e il suo abito buono, con una mantella di lana per coprire le scuciture su una spalla. Klaus ha ripulito il miglior redingote che possiede, i gemelli sono del signor Stressedt, lo jabot aveva i bordi di pizzo così consumati che ha dovuto nasconderli sotto il colletto della giacca.
Di fronte a loro, il direttore del Conservatorio di Regensburg, con le mani incrociate sopra la scrivania di rovere, il collo largo chiuso da un foulard di seta incastrato nella giacca doppiopetto, che li fissa da sopra i minuscoli occhialetti in montatura dorata.
« Nostro figlio Johann è molto bravo. Lo abbiamo istruito sin da piccolo, sa suonare il violino, il violoncello e il pianoforte » riprende Klaus. Maria stringe il fazzoletto, poi un sussulto del petto glielo fa sollevare di scatto verso la bocca, prima che tossisca in faccia al direttore. La gola le stride così tanto che non riesce neppure ad aggiungere ciò che vorrebbe: « Gli sparti… » tossisce « digli de… »
Klaus le appoggia una mano sulla spalla. « E sa leggere gli spartiti, tutte le note, le chiavi e i tempi, sa distinguere l’andante, l’allegretto, oppure… »
Il direttore solleva le spalle e sospira, il suono sembra un sibilo e Maria ha la netta sensazione che l’uomo stia credendo di perdere il proprio tempo. « Signori Werner, vi credo, davvero. Me l’avete fatto sentire suonare, prima. »
Maria corruga la fronte, tossicchia e schiarisce la gola, deglutendo più volte nel tentativo di idratarla: non si farà guardare dall’alto in basso da quell’uomo perché ha un anello araldico al dito e abiti nuovi, non quando lei suona con uno Stradivari dagli anni della propria infanzia.
« Capisce il latino. Lo sa leggere e tradurre » gli fa presente, con una voce che suona più rauca di quanto avrebbe voluto.
« E come lo sa? » domanda il direttore, rivolgendole uno sguardo scettico, con la fronte corrugata e un segno tra le sopracciglia folte.
« Gliel’ho insegnato io. »
Una pausa in cui Maria sostiene lo sguardo che la scruta da dietro i piccoli occhialetti, fino a che non è l’uomo a sciogliere per un momento le mani incrociate e poi a ricongiungerle; Klaus ancora non ha tolto la mano dalla sua spalla, il tocco è tiepido e quasi la rassicura che usciranno da lì riuscendo a iscrivere Johann.
« Ovviamente » riprende suo marito « sa leggere e scrivere anche il tedesco. »
Il direttore schiocca le labbra e le piega in una linea storta: « Non è questo il punto, signori Werner.»
« E qual è. » Maria si sporge, gli occhi sgranati che un poco le bruciano. Esige sapere quale sia “il punto” per cui quell’uomo può negare al loro figlio di studiare al Conservatorio, con maestri competenti, con un diploma che gli permetterà, si augura, di entrare in un’orchestra, e non finire come lei a dare lezioni a borghesi che vogliono educare i figli come degli aristocratici, oppure a strimpellare ballate al pianoforte, nei pub.
« La retta. » Il direttore lo dice con una punta d’ovvio, come se fossero stupidi e non avessero considerato la questione del denaro sin dall’inizio. « Già sarebbe un evento che temo unico l’ammettere un ragazzo, come dire… basso borghese, ma a parte questo, se non pagate la retta, vostro figlio non può frequentare. »
E crede forse che con questo abbia detto a sufficienza per farli desistere. Maria si toglierebbe il sangue dalle vene per permettere a Johann di studiare al Conservatorio di Regensburg. Klaus fa un cenno lento con la testa. « Pagheremo, possiamo farlo. »
« Potete? »
Anche se quell’uomo sembra del tutto scettico di fronte alla prospettiva, sia lei che il marito annuiscono.
« Sì, abbiamo dei lavori come insegnanti privati. Sono sicuro che, accantonato il problema del denaro, non ci sia più nessun ostacolo per iscrivere nostro figlio. »
Maria solleva il fazzoletto e tossisce, ma nel farlo non stacca gli occhi dal direttore; li sta ponderando e ciò in cui lei spera è che il brano di Bach che Johann ha suonato al pianoforte l’abbia conquistato abbastanza. Quando piega la bocca in una smorfia ma stacca le mani dalla scrivania e si appoggia allo schienale imbottito della sua bella sedia, Klaus e lei trattengono il fiato.
Il direttore pesca un foglio di carta bianco avorio e spessa, alla propria destra, lo mette nel centro del ripiano tra un fermacarte di ottone e la boccetta d’inchiostro e lo spinge verso di loro.
« Dovete firmare, signori Werner. La quota di iscrizione è di trecento marchi. »

Johann osserva la cancellata di ferro che divide la strada lastricata dal giardino verde del Conservatorio, con le poche aiuole non ancora fiorite e una magnolia; alla sua sinistra, l’ala sud dell’istituto nasconde ancora il sole e l’edificio lancia un’ombra lunga sull’erba. Il davanzale è freddo e la sua divisa troppo leggera, si stringe le braccia attorno al busto e spinge sul naso gli occhiali.
« Werner. »
Sentendosi apostrofare dalla voce flemmatica, che è certo essere di un suo compagno di classe di violoncello, drizza la testa e irrigidisce la schiena ancor prima di voltarsi. C’è una cosa in cui la madre è particolarmente ossessionata e gliela ricorda spesso: di darsi un contegno quando parla e di camminare con compostezza e classe.
Quindi si gira e fronteggia Zimmer, che ha le mani sui fianchi e lo squadra in un modo definibile solo fastidioso. E’ fastidioso che lo fissi di traverso sempre, quando passa, quando mangia nel refettorio, quando suona, soprattutto dal momento che lui neppure ricambia le occhiate bieche.
« Mi vuoi dire cosa fai qui, Werner? »
Johann solleva le sopracciglia. « Che vuol dire? »
Zimmer dilata gli occhi e dà la netta impressione di spazientirsi per una richiesta legittima. « Quello che ho detto. Non ti dovresti trovare al conservatorio. Werner, sei un poveraccio. » Si passa una mano nei capelli chiari con uno scatto nervoso.
Johann schiude la bocca e solleva il mento, quella che sente è un’accusa che sembra metterlo su un piano più basso. « Non lo sono » ribatte, in difesa di fronte alla critica.
« Come no? Hai una divisa che sembra tagliata da un altro abito e riadattata addosso a cinque o sei persone diverse. Non hai strumenti tuoi, vivi in una casupola e i tuoi genitori sono… cosa? Dei precettori privati, mi sbaglio? Mentre tua madre suona in un pub. Sei un poveraccio, e quindi, che ci stai a fare qui? » Zimmer si sporge e ha gli occhi dilatati, un po’ inclinati in uno scherno che a Johann brucia sulla pelle e nelle viscere.
Deglutisce, un paio di volte. Le risposte sono tante, ma ciò che l’altro gli dice è, alla fine, la verità. L’unica cosa che contesta è che ha un motivo per stare lì, a prescindere da tutto quello che gli rimprovera.
Zimmer, comunque, ora sorride, e lo fa soddisfatto di se stesso, un sorriso che gli marca l’orgoglio ed è come sale negli occhi. « Non importa, Werner, tanto te ne andrai. » Gira i tacchi, accelerando, e sfugge a qualunque genere di contestazione: Johann resta immobile qualche secondo, imbambolato nello stupore imbarazzato peggiore che abbia provato dal suo primo giorno al Conservatorio.
« Non direi » ribatte, con la voce più acuta e alta, ma Zimmer sta giusto in quel momento girando l’angolo.
Avrebbe dovuto rispondere subito, è ciò che pensa nel momento in cui si ritrova a fissare la parete stuccata del corridoio e la carta da parati con disegni floreali; ha il volto accaldato. Caldo come se fosse stato troppo tempo di fronte al camino. Avrebbe dovuto dirgli che il suo motivo per stare lì è che sa suonare e desidera migliorare e che se sua madre suona in un pub è perché può guadagnare bene solo così, per lo stesso motivo fanno da insegnanti privati a ragazzi incapaci e tardi come Zimmer.
« Perché non gli hai risposto? »
Johann volta la testa di scatto e, alla finestra accanto a quella da cui osservava il giardino, vede appoggiato con la spalla alla parete uno degli studenti della classe di violino, Von Alensmeier. Ha le braccia incrociate e gli pare sinceramente stupito, mentre si stacca dal muro e gli si avvicina.
Il freddo che entra da fuori gli punge la nuca. Ha ascoltato, di sicuro, tutto quanto.
« Davvero, Werner, perché non gli hai risposto? Dovevi farlo. Lo disturba che sei bravo, no? Certo, sei vestito un po’… male » lo squadra e scuote una mano per liquidare la questione « però suoni meglio di lui. E’ uno che ha i nervi sempre tesi, se gli rispondevi, vedevi poi come si arrabbiava. » E fa una risata.
Johann non lo capisce; non comprende in che misura lo prenda in giro, con quel suo prendere confidenza senza aspettare inviti, e in che misura faccia sul serio nell’essere amichevole. Le parole si smozzicano in bocca con una fretta scocciata: « Non avevo nulla in mente. »
« Oh, dai. E’ divertente controbattere. Come anche… come si chiama? Feuer, quando sbaglia le note, quello è un perfettino e se gli fai notare gli errori o contesti cosa dice, comincia a dare di matto. » Si tira indietro i capelli castani e mossi, mentre ridacchia. Secondo regolamento, dovrebbe legarli, eppure non lo ha mai visto essere davvero rimproverato se ogni tanto passeggia con la chioma sciolta.
Il padre di Alensmeier fa cospicue donazioni annuali al Conservatorio e Johann sospetta, non senza un fastidio intrinseco che gli fa corrugare le sopracciglia, che sarebbe permesso al compagno di presentarsi persino senza divisa.
Si accorge di essere scrutato con un sopracciglio inarcato.
« Fatti una risata, avanti. E la prossima volta rispondigli, senza che lo consideri più di tanto. »
Alensmeier lo affianca e gli picchietta la mano sulla spalla. Johann, davvero, non lo comprende; però lo conforta, passa sia il freddo eccessivo, che l’insicurezza che gli corrode piano la stima di se stesso, come anche la vergogna dalle guance. Non si era accorto di valutarsi così poco prima che quella quantità così esigua di parole lo riscuotesse.







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Ebbene, c’è poco da dire su questo inizio se non che è un regalo per una brava figliola che spesso è la mia persona ispirazione nell’inventare roba.
Cercherò di aggiornare con più puntualità del solito e di scrivere con cura delle parti storiche e di quelle musicali, di cui va detto non sono così ferrata (viva la documentasciòn). Se ci sono cose che sbaglio... segnalatemele pure.
Mi auguro che vi piaccia e se lasciaste una recensione mi rendereste felice. =ç=

Kupò.
   
 
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