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Autore: Dolcemaia    17/09/2006    3 recensioni
Sono passati alcuni anni. Bella ed Edward sono ancora insieme, ma la reticenza di lui a non voler condividere con lei la sua natura 'diversa' li porterà inevitabilmente a scelte difficili, forse sbagliate, forse irrazionali, ma dettate dall'amore...
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Moonlight Shadow

 

 

Prima di cominciare volevo premettere che ho letto solo il primo capitolo del seguito di Twilight perciò abbiate pietà se vi saranno incongruenze, o altro tipo di errori, questa storia è nata un pò per gioco, un pò per eccesso di fantasia. Volevo però ringraziare Moon per avermi consigliato di leggere un libro così appassionante, e per aver sostenuto la mia iniziativa di scrivere questa fic!

 

Capitolo 1

 

Sospirai per l’ennesima volta sfilando la bacchetta dai capelli, che mi ricaddero mollemente sulle spalle e mi fissai allo specchio.

L’immagine che rifletteva, non mi piaceva affatto. Ero stanca, decisamente troppo stanca, ma non era di certo quello il momento adatto per analizzarne le cause, bastavano già le mie occhiaie a fugare ogni dubbio. Stavo lavorando troppo, questo era assodato e c’era ben poco da poter fare.

Con una certa premura, tirai fuori la pochette di Louis Vuitton - un vezzo di Renèe - fosse dipeso da me avrei continuato a tenere le mie cose nell’astuccio trovato nei cereali… quello con i pokemon sopra, ma lei aveva insistito, dicendo che mi sarebbe stata utile. Ad ogni modo presi correttore e cipria e cancellai quei segnacci sotto gli occhi.

In un altro periodo della mia vita truccarmi mi sarebbe sembrato assurdo come gli asini in cielo che volavano come uccellini, detestavo a scuola le ragazze che sfoggiavano ciglia extralunghe e ombretti metallizzati, adesso, invece, per me era diventata una necessità.

Non sono vanitosa, non lo sono mai stata, ma nel momento in cui gli occhi emaciati, per via delle numerose nottate in bianco, superate solo grazie una dose massiccia di caffeina direttamente in vena, fanno paura al tuo capo, allora è il caso di mettere da parte i pregiudizi e cominciare ad usare il cervello.

Presi la spazzola e la passai tra i capelli distrattamente. Ormai erano molto più corti di prima, arrivavano appena sopra le spalle, quindi non mi ci volle molto a metterli in ordine. Era strano come mi venisse facile fare dei paragoni con un passato così lontano. Non avevo più nemmeno lo stesso colore. Avevo trasformato il mio castano chiaro in un rosso scuro… caldo..

Edward storse il naso, tenendomi il muso per un’intera settimana quando si ritrovò faccia a faccia con la novità. Diceva che quella robaccia chimica aveva alterato il mio odore. In realtà credo che i miei capelli, all’inizio, non gli fossero affatto graditi. A dirla tutta, a me piacevano molto di più, mi vedevo diversa, ma forse per lui quella mia necessità di cambiamento significava altro.

Fosse stato solo quello il cambiamento!

Raccolsi le ciocche di capelli in un morbido chignon sulla nuca, e feci per uscire dal bagno quando sbattei contro un muro di marmo gelido dal profumo terrificantemente invitante.

“Quando la smetterai di farlo?” gli domandai piccata, toccando la fronte che avevo picchiato proprio contro di lui.

“Se tu guardassi in avanti quando cammini..”

“Se tu evitassi di comparire dal nulla..” gli risposi imitando il suo stesso tono. Era bellissimo.

Come sempre d’altra parte. Con i capelli fintamente scompigliati, frutto di un lavoro fatto con il gel assai lungo, quel sorriso splendente e quella dannata camicia blu che gli si apriva sul collo fino a scendere appena sul petto.

Avrei voluto essere io la vampira tra i due!

“Stai dimenticando niente?” domandò lui con aria saccente, ma non irritata. Lo guardai perplessa senza capire, poi mi voltai verso l’interno del bagno e mi resi conto di aver lasciato lì l’anello.

Non feci in tempo ad allungarmi a prenderlo che lui l’aveva già tra le dita.

Mi irritava a volte quella sua velocità! Già ero goffa di mio, ma accanto a lui, mi sentivo una balena arenata su una spiaggia.

“Sai che mi secca bagnarlo, si rovina!” protestai cercando di prendere il cerchietto d’oro bianco dalle sue mani.

“E’ un diamante. Non si rovina con l’acqua.. è per sempre.” Fece lui con una voce intensa e allo stesso tempo con una punta di ironia, mentre prendeva la mia mano e poi me lo infilava all’anulare.

“Lui è per sempre…” mi lasciai scappare io a mezza bocca facendo intuire chiaramente il mio sarcasmo, visto che io ‘per sempre’ non lo ero, quindi abbassando il capo, passai sotto il suo braccio oltrepassandolo.

Lui non rispose. Rimase lì impalato e forse sapeva bene che era l’unica cosa da fare.

Stavamo cambiando, ero cambiata.

Era palese che ormai il piano A, quello di diventare ‘non umana’ come lui, fosse svanito, perciò ci eravamo imbarcati nel piano B. E devo ammettere che in qualche modo questa decisione forzata gliel’avevo fatta pagare. Come stabilito mi ero iscritta al college, lui andava matto per quest’idea, solo che tra il New Jersey, il Connecticut ed il Massachusetts avevo scelto quest’ultimo. Il più lontano in assoluto da Forks.

Harvard era di certo una delle migliori università e questo fu sufficiente dal farlo desistere dal muovere obiezioni. In realtà era quello che volevo, non aveva fatto ciò che desideravo. Volevo che si arrabbiasse, che gridasse, che avesse una minima reazione, ma nel suo solito stile serafico, si era limitato a dire che il mio bene veniva avanti a tutto. Anche se avevo scelto una facoltà, Legge, che con me non c’entrava niente, anche se sapeva bene che la mia era solo una provocazione, perché mi dimostrasse che veramente mi amava come diceva e mi facesse diventare la sua compagna.. per sempre. Si era dimostrato entusiasta e felice della mia scelta e questo mi aveva ferita più profondamente di quanto io stessa forse sarei stata capace di ammettere.

Nonostante tutto, nonostante la lontananza ci vedevamo spesso, o meglio mi convincevo che così fosse; cercavo di tornare ogni weekend a Forks, lui mi mancava troppo, avevo un bisogno quasi fisiologico anche solo di vederlo di sfuggita e sentire il battito del cuore accelerare a velocità supersonica. La sua voce per quanto suadente, veniva distorta da quello stupido cellulare, quindi sentirlo non mi bastava, fortunatamente, quando pioveva su da me, sapevo che quasi certamente l’avrei trovato all’ingresso principale, perciò ogni mattina con una sorta di eccitazione, mi alzavo sperando di vedere grossi e pieni nuvolosi all’orizzonte.

Tutto sommato la distanza influiva relativamente sulla nostra relazione, quando non ero con lui studiavo come una disperata al solo scopo di non far correre il mio pensiero dal mio principe, dai capelli di bronzo e gli occhi incantatori. Le cose, poi, si erano evolute, erano cambiate e quell’anello era solo una formalità, non era ciò che volevo da lui, e non solo perché non ero avezza a certe tradizioni, tra l’altro da sempre avevo il sentore che fosse solo una sorta di spauracchio per eventuali malintenzionati corteggiatori. Anello, fidanzata, capitolo chiuso.

Questo doveva essere grandi linee il suo ragionamento.

“A che ora verrà a prenderti?” domandò seccato guardando per un attimo l’orologio. Era irritato. Era sempre irritato quando parlava di Martin.

“Tra trenta secondi!” risposi, infilandomi contemporaneamente la giacca del tailleur nero e una scarpa, mentre cercavo l’altra con lo sguardo. Scarpa che mi si materializzò di colpo dinanzi, tenuta saldamente dalle sua dita bianche e marmoree.

“Grazie.” Sussurrai senza aggiungere altro. Sarebbe stato inutile intavolare un’altra discussione sul fatto che Martin era un mio collega di lavoro, che non avevo nessunissimo interesse per lui e non potevo scaricarlo solo perché a lui non piaceva. Tra l’altro era anche un bravo ragazzo, oltre che un bravo compagno di lavoro, divideva sempre equamente tutto.

“Poi devi spiegarmi perché quando ero io a volerti accompagnare, sbraitavi per guidare tu e adesso ti fai scarrozzare da quello senza protestare!” mi disse acidissimo. Era geloso.

Geloso marcio e quando lo era, perdeva un po’ in grazia.. e a me piaceva!

Piaceva da matti, anche se non gliel’avrei mai detto!

“Edward è solo un collega e un amico, finito lì! Non c’è nient’altro. Lo sai benissimo anche tu, senza nemmeno aver bisogno di leggermi la mente!” gli dissi cercando di rassicurarlo, mentre con una mano gli sfioravo piano il viso, tracciando il contorno del suo profilo dalla tempia al meno. Chiuse gli occhi , ed in quel momento ebbi la sensazione di averlo nelle mie mani.

“Ti trova attraente..” sussurrò lui, decisamente più calmo però.

“Ed io trovo attraente te… senza nessun paragone possibile.” E senza rendermene conto, le mie labbra erano già sulle sue, intente a sfiorare quella pelle fredda, ma allo stesso tempo incredibilmente invitante. Totalmente presa da lui, dal suo profumo e dalla necessità di sentirlo vicino, avevo fatto scivolare la scarpa in terra e l’avevo abbracciato forte approfondendo quel contatto, così dolce, così intenso.. fino a quando non si irrigidì.

Avevamo lavorato un po’ su questo punto. La sua resistenza era aumentata, ma non si rendeva minimamente conto di che violenza fosse per me, staccarmi così bruscamente da lui, ogni volta che mi lasciavo andare all’istinto, e mi abbandonavo alle sensazioni.

Non si rendeva minimamente conto nemmeno del fatto che era assurdo che a quasi 24 anni, fossi ancora vergine, e che avevo un desiderio incontenibile di fare l’amore con lui tanto da andare fuori di testa, ogni volta. Ogni singola volta.

“Bell..” sussurrò appena, forse con rammarico, forse con il mio stesso disagio e irritazione, ma io lo presi più come un rimprovero. Fortunatamente subito dopo il citofono di casa suonò, quindi mi allontanai da lui per rispondere.

Come previsto era Martin. Era ora di andare. Finalmente.

“Sono in ritardo.” Tagliai corto e questo lui lo capì benissimo.

Da quando ci eravamo trasferiti a San Francisco, non riuscivamo più a parlare. Avevo cominciato una nuova vita, una vita diversa, mi ero laureata, stavo lavorando, certo sarebbe stata più adatta una città come Los Angeles o New York per fare carriera, ma erano decisamente troppo ‘luminose’. San Francisco, lo era meno, d’inverno il sole era assai debole, il cielo sempre coperto di nuvole e l’aria più fredda.  Estati fresche, nebbiose e siccitose, inverni miti e piovosi era quello che la città offriva; la corrente californiana, fredda e umida ci aveva fatto il regalo più gradito. Io avevo una grande città in cui lavorare ed Edward un clima che non l’avrebbe costretto in casa. Dovevamo esserne tutti felici ed invece così non era. Prendere una casa assieme mi sembrava ciò che di più desiderabile ci potesse essere al mondo. Nessun Charlie che sarebbe venuto a controllarmi nel mezzo della notte, nessuna fuga di Edward per evitarlo, nessun coprifuoco o persona a cui rendere conto.

Solo io e lui.

Era ciò che volevo di più, ma i piani non erano andati esattamente ocme avevo immaginato nel mio bel filmino rosa, tutto cuori e fiorellini. Lavoravo come una bestia da soma da quando ero entrata come associata in quello studio di avvocati. Ero la più piccola, la nuova arrivata era normale che passassero a me tutte le cose più rognose e tempo per stare con Edward ce n’era davvero poco. O forse ero anche io a non volerlo trovare. Lui non si lamentava mai, usciva al mattino e rientrava la sera, non sapevo dove andava, non sapevo che faceva, probabilmente lavorava anche da qualche parte, ma non me ne parlava mai. Né io domandavo.

Non era finito l’amore, tutt’altro, amavo Edward in una maniera talmente viscerale e talmente profonda, da aver cominciato ad odiarlo. Odiare forse no . E’ una parola dannatamente forte, eppure c’era una sorta di repulsione in me, perché percepivo che lui non mi ‘voleva’.

Avevo smesso di chiedergli di farmi diventare come lui, lo decisi il giorno del mio ventesimo compleanno. Era evidente che non avrebbe mai ceduto e continuare a passare il tempo a chiedergli qualcosa che non mi avrebbe dato, stava solo rovinando la mia ‘misera vita’ che avevamo a disposizione per stare insieme. Una quantità decisamente misera rispetto alla sua eternità.

Ad ogni modo, sebbene non lo menzionassi a parole, quel desiderio era più che ardente in me, non si rendeva conto che vivevo con un fastidioso senso di precarietà, vedevo la mia vita, così stupidamente breve, e così inutile. Io volevo lui, volevo stare con lui, e stavo rovinando il tempo che avevamo, al pensiero di quello che avremmo potuto avere.

Infantile, ma del tutto inevitabile.

“Ci vediamo stasera!” gli dissi con un ultimo cenno della mano, prima di afferrare la mia borsa con i documenti per il lavoro e varcare la porta.

Sapevo che sarebbe rimasto alla finestra a guardare, mentre entravo in macchina, sapevo anche che avrebbe passato al setaccio i pensieri di Martin e speravo ardentemente che non ve ne trovasse di disdicevoli o sarebbe balzato giù dal terzo piano e lo avrebbe spiaccicato contro il sedile della macchina. Non che l’avesse mai fatto, però ne sarebbe stato capace.

Non accade.

Martin cortesemente, con quel suo sorriso gentile e gli occhi castani, mi fece accomodare e partimmo alla volta dell’ufficio. Avevamo una riunione per firmare gli ultimi documenti di una fusione molto importante e suppongo che questo pensiero occupasse sufficientemente la sua mente per non badare a me.

La mattinata lavorativa si svolse senza alcun intoppo. Il signor Richmond, il socio fondatore era un ometto paffuto, ma molto determinato, fu lui a farmi il colloquio quando mi presentai piuttosto inesperta e spaventata in questo studio, ma fortunatamente non si fece impressionare dalla mia goffaggine, quanto dalla mia capacità di rispondere in maniera tagliente, ma assai educata. Ho sempre sospettato che il merito di ciò fosse solo ed esclusivamente di Edward, le schermaglie quotidiane con lui erano una palestra eccellente per un avvocato, ma poco importava, il posto era mio e tanto bastava. L’ometto dopo la riunione si complimentò con me e Martin per l’ottima stesura dei documenti, dicendo che non si aspettava un così buon lavoro da due novellini, se avesse saputo che ci avevamo passato due notti intere su quegli atti forse si sarebbe ricreduto, stranamente però la cosa non m diede particolare soddisfazione. Niente mi dava particolare soddisfazione. Lavoravo perché dovevo, respiravo perché era inevitabile, mangiavo… quando me ne ricordavo. O quando se ne ricordava Edward.

Anche quel giorno durante la pausa pranzo lui mi chiamò, sapeva che era l’unico momento in cui potevo parlare tranquillamente, solo che non squillò il cellulare, ma direttamente il telefono dell’ufficio.

“Sapevo che eri ancora lì…” la sua voce appena metallica aldilà del telefono aveva esordito così.

“Perché?” domandai io, poi guardai distrattamente l’orologio. “Ah… l’ora di pranzo.. ma sto mangiando!!” protestai guardandomi attorno e notando una vecchia scatola di plastica probabilmente di qualche ciambella risalente ad una settimana prima. Ero terribilmente disordinata in ufficio.

“Sì, ed esattamente cosa? Lo zucchero rimasto sul fondo di quella scatola?” domandò lui.

“Ma come diavolo fai a sap…” ma non finì la frase, perché lo vidi entrare nel mio studio, bello come il sole, con indosso un semplice paio di jeans, una maglietta grigio scura, leggermente aderente, e una giacca di pelle nera. Era da lasciare a bocca aperta e non mi ci volle la vista bionica per notare che tutta la schiera di segretarie e assistenti fuori da quello studio, vedendolo passare erano rimaste con tanto di bavetta alla bocca.

“Dicevi?” domandò lui ironico, facendo scattare lo sportellino del suo telefono cellulare, mentre io cercavo di dominare l’aritmia del mio di cuore.

“Dovevo aspettarmelo..” commentai ironica, mentre posava una busta di carta sulla scrivania e, per infierire ancora sul mio povero e malandato muscolo cardiaco, mi sfiorò le labbra con le sue.

“Forse.. ma avrebbe significato che sono diventato scontato, ed io non sono scontato..” si lasciò scappare in un sospiro, con ancora le sue labbra sulle mie.

Avrei potuto anche morire. Questo era certo.

Edward era tutto per me, non credevo si potesse amare così profondamente una persona, avere bisogno di lui in questa maniera, ma per quanto lo volessi negare, qualcosa ci stava dividendo e questo qualcosa era lui e la sua dannata ostinazione. O almeno per come la vedevo io.

“Se non mi occupo io di te, non lo fa nessuno e poi se torni smagrita a Forks, Charlie darà la colpa a me!” commentò, giustificando il fatto che aveva avuto il pensiero così carino di portarmi il pranzo. In realtà non era nemmeno la prima volta, aveva persino tentato di cucinare per me, ma con scarsi risultati, in fondo lo si può capire, e poi quel suo disastro aveva fatto bene al mio sconsolato ego.. c’era qualcosa che lui non era in grado di fare. Esisteva!

Aprì il pacchetto, cominciando a sentire un certo gorgoglio all’altezza dello stomaco.

“Spinaci!!” protestai guardando il contenuto con aria schifata. La verdura non era esattamente qualcosa che adoravo.. tutt’altro, dai tempi del college avevo assimilato la cattiva abitudine di mangiare in qualche fast food o schifezze varie, non avevo mai il tempo di cucinare, e con questo butto vizio andavo avanti. Certo, a volte mi dilettavo, quando era possibile in squisite cenette, ma era abbastanza triste doverle consumare da sola.

“Voi umani.. siete così.. fragili! Mangia la verdura. Carlisle ha detto che la tua dieta è assolutamente pessima!” gli feci una linguaccia. Si preoccupava anche della mia dieta adesso?

“Cos’è temi che il colesterolo mi faccia fuori prima del tempo?” domandai ironica. La mia frecciatina era stata molto pungente e lui ne aveva compreso chiaramente il senso, però non rispose. Quando l’argomento non gli stava bene, taceva, o meglio quando si trattava di un certo argomento, taceva. Per parte mia lo trovavo un pochino ipocrita che volesse salvaguardare la durata della mia sopravvivenza su questa terra, quando poi avrebbe potuto regalarmi l’eternità con lui.

Tuttavia era stato gentile e non me la sentivo di litigare, quindi con la forchettina di plastica presi quella robaccia verde e me la infilai in bocca.

“Brava bambina..” gli feci un’altra linguaccia da manuale, e lui ridacchiando si avvicinò alla finestra. Pioveva. O pioveva o era nuvoloso. In tutte le serie che avevo in visto tv, San Francisco non sembrava così uggiosa, cominciai a pensare che forse Londra sarebbe stata meno.. ‘bagnata’.

Ad ogni modo, Edward era bellissimo così intento a guardare fuori, sembrava sì un Dio greco, però in quello sguardo c’era qualcosa, qualcosa che non capivo.

“Partiamo.” Disse poi di punto in bianco inchiodandomi con la sola intensità dei suoi occhi alla poltrona. Lo guardai sulle prime perplessa, poi mi resi conto che l’uomo.. il vampiro che avevo accanto non era affatto uno stupido, e di certo aveva cominciato ad intuire qualcosa che non andava. Era troppo intelligente ed io una pessima attrice.

“Scappare, dici?” lo pungolai.

“E’ recuperabile, Bella.” Rispose lui con una decisione disarmante. Rimasi in silenzio senza riuscire a controbattere o dire niente. I miei turbamenti erano rimasti solo miei, non ne avevo parlato con nessuno, sia perché nemmeno io riuscivo a divincolarmi in quel marasma che avevo in mente, sia perché lui avrebbe potuto leggere la mente di chiunque mi fosse accanto, compresa Alice, la mia confidente, eppure nonostante tutto, aveva capito.

A salvarmi ancora una volta, fu l’interfono. “Avvocato Swan, il Signor Johnson è arrivato.” Era la mia segretaria. Strano quasi a pensarci che ne avessi una. “Sì, Kendra fallo attendere un attimo.”

Ma Edward aveva già compreso, si allontanò dalla finestra, ma stavolta ad una velocità ‘umana’, quasi stanco, e stava per andare via, solo che a quel punto fui io ad alzarmi dalla sedia e trattenerlo. Si fermò davanti a me, dopo che avevo allungato le mani a prendere le sue, e scosse la testa, con il suo solito sorriso sul viso. Ed ora che gli prendeva? Senza che potessi porgli la domanda, come se avesse letto la mia mente, mi fissò i piedi.

“Sei senza scarpe.” Al che arrossì. ed anche piuttosto violentemente.

“Sarei caduta se le avessi tenute.” Mi giustificai, consapevole della mia imbranataggine.

“Ti avrei presa io.” Rispose lui distogliendo lo sguardo con un tono che significava ben più di quello che le sue parole dicevano. Era come se sentisse che non avevo più bisogno di lui, che la goffa ed impacciata ragazzina che riusciva a mettersi continuamente nei guai, fosse sparita, ma non era così, era esattamente davanti a lui e teneva le sue mani strette tra le sue, era solo un po’ più grande. Il bisogno di lui però era esattamente lo stesso, anzi forse era anche più grande, più intenso.

“Vorrei solo poter essere io per una volta a dover sostenere te..” gli risposi fissandolo dritto negli occhi, mentre il mio cuore batteva talmente forte da poterlo sentire rimbombare nella stanza.

Era quello che volevo, essere come lui, e non solo una piccola creatura indifesa, incapace di capire cosa avesse dinanzi, che lui aveva il compito di proteggere dal mondo… e da se stesso.

 

continua..

 

 

  
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