Anime & Manga > Detective Conan
Segui la storia  |       
Autore: Aya_Brea    11/02/2012    7 recensioni
"La figura alta ed imponente di Gin era ferma affianco al letto della piccola scienziata, teneva le mani infilate nelle tasche dell’impermeabile ed i suoi lunghi capelli d’oro seguivano la direzione del vento. Dal suo viso imperturbabile non trapelava alcuna emozione, ombreggiato com’era, dall’argentea luce lunare. I suoi occhi verdi brillavano come quelli di un felino."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Altro Personaggio, Gin, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

"Per quanto io fossi preda di un profondo dualismo, le due nature in me coesistevano in perfetta buona fede, ed ero ugualmente me stesso sia quando, sciolto ogni freno, ero immerso nella vergogna, sia quando mi affaticavo a lavorare per il progresso della scienza o per dare sollievo al dolore e alla sofferenza. Vidi che, se potevo a ragione considerarmi l'uno e l'altro dei due esseri che lottavano nella mia coscienza, ciò si doveva al fatto che
io ero radicalmente ambedue."


(The strange case of dr Jekyll and mr. Hyde - Stevenson)


 






Gin era in piedi di fronte ad una scrivania metallica e con estrema lentezza ruotava il tappo di una elegante bottiglia ricolma di un liquore ramato, forse Rum. I suoi occhi oltrepassavano la sottile lamina in vetro che separava la stanza in due zone: in quella adiacente , nel bel mezzo della sala vi era un grande tavolo e due siede poste l’una di fronte l’altra. Una era vuota, sull’altra invece era seduta Shiho Miyano, la quale mal celava il suo nervosismo; si torceva le mani convulsamente e di tanto in tanto lanciava lunghi sospiri.
Il biondo dall’impermeabile scuro poteva vederla, lei invece, non si sarebbe neanche lontanamente accorta della sua presenza. Sicuro di ciò, non le staccò gli occhi di dosso: avvicinò con la mano il bicchiere e se lo riempì di alcol, poi, senza distogliere il suo sguardo indagatore, cominciò a far roteare quel liquido, a giocherellarvi.
 

“Shiho Miyano.” La voce di un uomo dagli abiti di classe tuonò alle spalle della ragazza. Lei non rispose, si limitò a volgere il capo per seguirlo, fin quando poi, non si sedette. Erano dunque, faccia a faccia.
L’uomo fece scivolare un foglio sul banco che li separava e vedendola titubare, la esortò a vedere di cosa si trattasse, cosa vi fosse scritto. A quel punto, lei fu costretta a seguire il suo “consiglio”. Raggelò.
 

Nella piccola sala, Gin si godeva quello spettacolo, le sue labbra incontrarono il freddo vetro del bicchiere e un sorso di quel liquore gli infiammò la gola. Si sentiva soddisfatto, provò un piacere perverso, malato, nel vedere il viso di Shiho impallidire. Quella ragazzina sarebbe presto impazzita, era più di una settimana ormai che non vedeva la luce del sole, non aveva rapporti umani: l’unico incontro che aveva avuto, era stato quello verificatosi il giorno prima. Con lui.
Vuotò il bicchiere in un paio di sorsi e dopodiché lo appoggiò sulla scrivania, poi si avvicinò ulteriormente al vetro, con le mani nelle tasche.
Qualche istante più tardi, però, quell’idillio macabro fu interrotto dalla porta che si aprì alla sua destra. Non si volse neanche a guardare chi fosse, come se nulla potesse interessarlo più di quella biondina che si mordicchiava le labbra, agitata. E gli interessava ancor meno, poiché dal rumore dei tacchi, comprese immediatamente che si trattava di Vermouth.
“Pare che il nostro Gin sia in fibrillazione da quando quella sgualdrina è qui dentro.” Il tono della donna era mellifluo, ma allo stesso tempo, saturo di sarcasmo.
“Sgualdrina?” Preferì accendersi una sigaretta piuttosto che rischiare di strozzare quella bisbetica. “Credo che tu debba rivalutare la tua condizione prima di poter utilizzare questi termini.”
La sua risata irritante riecheggiò nella piccola stanzetta, poi Vermouth raggiunse la scrivania e vi si appoggiò: ora teneva le gambe accavallate. Nonostante ciò, non risultava aggraziata, ma estremamente provocante. “Non è che per caso ti sei innamorato, Gin? Sarebbe un bel problema, qualora dovesse arrivare l’ordine di ucciderla.”
“Fai silenzio, Vermouth. Parli senza cognizione di causa.” Gin si ritrovò a mordere lievemente il filtro della sigaretta, i suoi occhi non si perdevano neanche il gesto più impercettibile di quella ragazza seduta a pochi metri da lui, ignara della sua presenza.
“Ah si? Potresti anche spiegarmi il motivo del tuo attaccamento allora. Ti comporti come se fossi un adolescente in preda alla sua prima cotta.” La donna abbandonò il suo sarcasmo e con esso il tentativo di parlare decentemente con quell’uomo. Avanzò verso di lui fino ad affiancarlo.
 “Guarda qui. La tua Sherry sembra essere piuttosto ingenua.”
A quel punto il biondo fu costretto a distruggere quella visione afrodisiaca e a dar retta al solito disturbatore di turno: strappò con un gesto il foglio che Vermouth teneva tra le mani e diede una rapida letta alle poche righe che vi erano impresse con dell’inchiostro da stampante.
I suoi sospetti non erano infondati, Shiho Miyano aveva inviato una mail a quell’imbecille del detective occhialuto e nel messaggio aveva semplicemente riportato l’indirizzo del vecchio centro dove aveva lavorato tanti anni fa. D’altronde non poteva sapere che la sede dell’Organizzazione era stata trasferita da un pezzo.
Che sciocca. Gin non poté trattenere una risata. “Povera illusa. Se spera di poter trovare un conforto in quel marmocchio ha sbagliato di grosso. Mi spiace per lei.”
Vermouth sospirò amaramente e si riprese il foglio. “Il Boss ha dato l’ordine di tenerla sott’occhio in maniera più assidua. Dice che ci serve ancora e che probabilmente tu sei l’unico in grado di estorcerle delle informazioni che potrebbero esserci utili.”
“Che tipo di informazioni?” Finalmente Gin guardò il viso di Vermouth, anche se la donna comprese dal suo sguardo che le stava riservando soltanto scarsa considerazione e superficialità.
“Scoprilo.” La donna sembrò quasi ordinarglielo, poi con passo svelto raggiunse nuovamente la porta, in procinto di uscire. “Intanto abbiamo l’indirizzo a cui è stata spedita la mail, i nostri hackers risaliranno presto alla posizione del computer e solo allora potremmo provvedere ad eliminare la causa dei nostri sospetti. Nessuno deve sapere dell’Organizzazione.”
Gin diede una lunga tirata alla sigaretta, assaporando e godendosi i frutti di quel suo vizio.
“Me ne occupo io. Ora lasciami solo.”
Quei due si lanciarono un ultimo sguardo, e lui percepì chiaramente il rancore che quella donna nutriva nei suoi confronti.
Il rumore dei tacchi nel corridoio era rapido, febbrile: ora che Shiho era ritornata a far parte del loro ambiente, Vermouth si sentiva come trascurata, il suo stereotipo di Donna Fatale andava a farsi benedire.
Il biondo ripensò a quanto Shiho fosse stata stupida ad esporsi così.
Stava perdendo colpi.
 E lui sapeva anche perché. Lo temeva, aveva paura, anche se tentava di mascherare dietro una coltre di ghiaccio quella sua debolezza.
Nei recessi del suo cuore, quella ragazza moriva di terrore ogni qualvolta incrociava i suoi occhi di assassino.



Conan aveva preso un buco nell’acqua.
Non c’era nulla di anomalo in quel centro commerciale e non capiva quale legame potesse esserci fra Ai e quel luogo. Probabilmente nessuno. Al di là delle sue innumerevoli congetture sconnesse comprese che Shiho tentava di mettersi in contatto con lui e sperava con tutto il cuore che quell’azzardo non le fosse costato eccessivamente.
Quando fu di ritorno a casa, il piccolo raggiunse lo studio del Dottor Agasa e gli spiegò di come quella spedizione non avesse fruttato i risultati sperati. In meno di mezz’ora però, i due si misero a lavoro per risalire all’esatta ubicazione del computer da cui era stata inviata la mail.
I due fissavano il monitor con ansia crescente. Nulla.
Conan si portò entrambe le mani fra i capelli. “Sono stato un idiota. Avrei dovuto capire che Ai aveva bisogno di aiuto. Aveva bisogno di me.” Non poteva fare a meno di ricordare l’immagine che gli si stagliava di fronte come il fotogramma di un vecchio film, di quegli occhietti ricolmi di lacrime e di quelle parole sottaciute al parco, quelle del loro ultimo incontro, prima che Ai scomparisse; non voleva essere egoista, non avrebbe voluto travisare le frasi di Haibara, eppure più ci pensava, più si convinceva del fatto che provasse qualcosa di più della semplice amicizia. Forse il loro legame si era trasmutato per lei in un tenero amore.
Agasa gli scompigliò i capelli con un sorriso rammaricato. “Shinichi, non devi sentirti in colpa. Dobbiamo soltanto impegnarci per ritrovarla, quando finalmente vi rivedrete le potrai fare le tue scuse.”
“E se non ci sarà il momento delle scuse? E se …” Conan deglutì a fatica, mandò giù aria, più che saliva. “Morisse?” Sibilò.
Il vecchio Agasa scosse il capo. “Non dirlo. Non dirlo neanche per scherzo.”
Eppure quelle parole non lo rincuorarono affatto. Continuarono ad armeggiare col computer per molto tempo, trascorsero alcune ore e i due proseguirono le loro ricerche fino a notte inoltrata. Forse era giunto il momento di coinvolgere anche l’FBI in quella brutta storia. Più andava avanti, più la trama degli eventi si complicava, si infittiva fino a diventare un groviglio inestricabile.
Il Detective cominciava a sentire le palpebre pesanti e gli occhi bruciargli. Mandò un messaggio a Ran dal cellulare del Dottor Agasa per avvertirla che si sarebbe trattenuto lì a dormire e le diede la buonanotte. Dio, quanto avrebbe voluto scriverle che era preoccupato, che era uno stupido, che non poteva far a meno di pensare a quegli uomini in nero, all’APTX, a quanto erano belli i suoi occhioni blu, a quanto l’amava.
Appena si coricò e si tirò le lenzuola fino al naso, la sua mente non poteva far a meno di vagare. Chissà perché la notte ricreava nel cervello delle persone i pensieri più terribili, faceva emergere i dubbi più atavici e i timori più reconditi. Si addormentò con un’immagine ambigua impressa al di là delle sue pupille cerulee. No, non sarebbe mai potuta accadere una cosa simile.
 

 
Shiho si sentiva terribilmente oppressa ed osservata ora che quel bestione di Vodka la sorvegliava continuamente: da quando avevano scoperto della mail non avevano soltanto distrutto il computer portatile, ma avevano anche aumentato drasticamente i controlli. La ragazza non poteva far a meno di guardarlo di tanto in tanto e la inquietava la sensazione di non poter intravedere neanche lontanamente gli occhi di quell’uomo, perennemente celati dalle lenti scure dei suoi occhiali vintage.
“Ti è stato dato l’ordine di seguirmi anche nel bagno? O posso avere la speranza di andare da sola?”
Vodka sorrise a mezza bocca: era appoggiato al muro con le mani congiunte dietro la schiena. “Non mi permetterei mai di spiare una signorina.”
Shiho si avvicinò al microscopio e dopo aver controllato la lente cominciò a preparare un vetrino: le sue dita si muovevano sapientemente e oculatamente.
“Allora sei davvero un galantuomo, non come il tuo amichetto.” Borbottò lei.
“Qualcosa mi dice che la cosa non ti dispiacerebbe.”
Shiho si irrigidì. “Che vuoi dire, scusa?”
“Niente, lascia perdere.” Quel gorilla rise divertito.
“Non so che razza di pensieri vi siete messi in testa entrambi, ma io con voi non voglio avere nulla a che fare.”
“Lo sappiamo bene tutti e due che invece la nostra compagnia ti piace. Pensaci bene, sono quasi due settimane che sei qui dentro e nessuno si è ancora fatto vivo, nessuno ti cerca. E tu hai rischiato persino di farti ammazzare pur di cercare aiuto.”
Shiho deglutì, infilò delicatamente il vetrino negli appositi gancetti del microscopio. Due settimane? Dio, era passato così tanto tempo e … Nessuno si era preoccupato di lei. Non rispose, d’altronde Vodka voleva soltanto punzecchiarla e lei non avrebbe ceduto alle idiozie di quell’esaltato.
“Allora? Il gatto ti ha mangiato la lingua? O forse sto semplicemente dicendo la verità?”
“Sta’ zitto, Vodka. Devo lavorare, mi deconcentri con i tuoi stupidi discorsi.” Stava regolando la rotellina per la messa a fuoco, quando d’un tratto sentì il corpo di qualcuno alle sue spalle, due mani forti stringerle la vita.
“Se non ti piacciono gli stupidi discorsi di Vodka, magari preferisci i miei.” La voce proveniva sottilmente dalle labbra del biondo. Bassa e roca. Shiho ritirò le mani e strinse i denti.
“Lasciami Gin.” Disse lei in maniera fredda e disarmante.
“Rilassati, cara. Vodka ha ragione.” Le sue mani risalirono piano sul corpo della ragazza. “Non hai nessuno, ad eccezione di quel marmocchio che ora avrà già gettato la spugna e si starà beando della presenza di Ran. Dico bene, si chiama Ran?”
Lo sguardo di Shiho analizzava tutti gli oggetti che stavano sparsi sul mobile di fronte a lei, nel vano tentativo di non riflettere su quel che Gin le stesse sussurrando alle spalle. Perché non la lasciava?
“Si. Proprio così. Complimenti per la brillante memoria. Lasciami ora. Lasciami o urlo.” Continuò poi.
Sentì le mani di Gin scostarsi da lei ed in quel preciso istante un vuoto formarsi presso la bocca dello stomaco.
“Continua a lavorare e fa’ la brava, Sherry. Non ti risparmierò una seconda volta.” Disse Gin col consueto tono tagliente, dopodiché si avvicinò a Vodka.
Era sempre fra i piedi, maledizione.
“Fatti dare il cambio e vieni ad aiutarmi, la rampa del garage è piena di ghiaccio. Ho bisogno della mia Porsche stanotte.”
“Nevica ancora?” Controbatté l’altro.
“Si, ha ripreso e pare che non voglia smettere.”
Shiho li sentiva discutere.
La neve! Adorava la neve, erano mesi che non la vedeva e avrebbe voluto tanto osservare ancora quei fiocchi che lentamente, cadevano da un cielo scuro. Voleva nuovamente provare la magia del Natale, ma soprattutto, dell’affetto di qualcuno.
“D’accordo Capo, ti raggiungo fuori fra un paio di minuti.”
“Muoviti.”
La ragazza osserva ancora quel vetrino attraverso la lente del suo microscopio e quando sentì il tonfo sordo della porta chiudersi dietro di lei, la stanza sprofondò nel silenzio più profondo. Inevitabilmente si mise a rimuginare sulle parole di Vodka, poi su quelle del suo fedele ‘Capo’. Perché Shinichi non la andava a liberare dalle fauci di quegli assassini? Perché soltanto per Ran si prodigava così tanto? Se fosse successo una cosa simile a quella ragazza, Conan non avrebbe esitato un solo istante a mettere sottosopra mezza città, pur di trovarla.
La rabbia si impadronì del suo corpicino, già scosso da innumerevoli brividi. Portò una mano al microscopio e la strinse: aveva il brutto vizio di tenersi tutto dentro, non avrebbe mai gettato all’aria qualcosa pur di sfogarsi. Tutto si ripercuoteva dentro di lei. L’odio cresceva, eppure quell’eccesso d’ira svanì presto, quando finalmente anche il suo respiro affannoso si andava regolarizzando. L’agitazione scomparve per lasciar spazio al senso di colpa.
Voleva sprofondare.
Ripensò a Gin, le sembrava di sentire ancora quelle mani che la stringevano. Comprese solo allora di quanto quel tocco sgraziato le facesse effetto.
Era sbagliato.
 
 
 
Quella sera stessa Conan era di ritorno a casa di Ran, una coltre di neve alta una cinquantina di centimetri aveva ricoperto le strade, i tetti delle case, i rami degli alberi: quella soffice nuvola bianca che si adagiava al suolo sembrava creare un ambiente stranamente silenzioso, insolito: sentiva solo il rumore delle sue scarpe da ginnastica che affondavano ad ogni passo.
Era triste e decisamente preoccupato poiché non avevano concluso un bel niente a casa del Dottor Agasa. Probabilmente i membri dell’Organizzazione si erano mobilitati affinché le prove delle loro malefatte sparissero. E a quanto pare stavano riuscendo nel loro intento.
Era quasi arrivato, avrebbe dovuto semplicemente citofonare. Chissà se Ran dormiva oppure era ancora in ansia per suo padre che si attardava al solito pub.
 
 
L’uomo respirava silenziosamente, sentiva l’aria fredda entrargli nei polmoni, ad ogni successivo respiro fuoriusciva dalle sue labbra e si condensava in una nuvola rarefatta.
Era inginocchiato sul terrazzo di un edificio non molto alto, teneva imbracciato un fucile di precisione e lo impugnava saldamente, immobile.
‘Un cecchino deve saper preparare il suo tiro, deve sapersi ricreare la situazione ottimale per far schizzare la sua pallottola d’argento dritta nel cranio del suo obiettivo.’
In quel silenzio surreale poté percepire il vento che gli agitava i lunghi capelli dorati: strizzava un occhio, con l’altro teneva sotto tiro quel piccoletto che avanzava.  Grazie a quella pasticca di tranquillanti aveva eliminato completamente il tremolio delle mani, attraverso il crocicchio del mirino lo vide fermarsi.
Fortunatamente non nevicava.
Non avrebbe sbagliato.
Tirò un sospiro e trattenne il fiato, il fucile era fermo: l’indice spinse dolcemente il grilletto e si sentì uno sparo riecheggiare nell’aria gelida.
Quel fragore fu talmente forte che gli allarmi dei negozi presero a suonare. 
Gin comprese che era giunto il momento di abbandonare la sua postazione, così rientrò nel palazzo e scese rapidamente le scale nella semioscurità, tenendo saldamente imbracciato il fucile contro di sé.
L’atrio era quasi completamente buio, si sentiva lo scalpiccio delle sue scarpe, poi udì delle voci di donna provenire dall’esterno: furiose, petulanti. Potevano appartenere soltanto ad una ragazza. Shiho. Quando infatti egli aprì la porta che dava sul retro, scorse di fronte alla Porsche parcheggiata vicino al marciapiede, il suo partner Vodka che teneva Shiho per entrambe le braccia e le impediva di dimenarsi come un’ossessa.
“Assassino! Perché? Perché l’hai fatto?!” I loro sguardi si incrociarono, Gin scorse i suoi occhietti lucidi e ricolmi di lacrime, che cercava in ogni modo di trattenere.
“Vodka, perché l’hai portata qui?” Il biondo non le diede retta, prese a fissare quella bestia di uomo con fare ammonitore.
“Capo, non capisci! Era nella tua Porsche, non so come diavolo abbia fatto ad entrare! E sta’ ferma!” Le diede uno strattone talmente forte che lei fu costretta a placarsi.
“Allora, l’abbiamo beccato, insomma?”
Gin non rispose, si limitò ad avvicinarsi ai due, poi in un gesto fulmineo afferrò il visetto della ragazza e la costrinse a guardarlo. “Che volevi fare?”
Shiho inspirò l’aria ghiacciata e tremò per il freddo: aveva soltanto un maglioncino e una gonna, le gambe avevano preso a tremarle vistosamente.
“Sei un assassino, uno sporco assassino.” Disse con voce flebile, addolorata. Non si trattenne dal mandarlo a quel paese.
“Entra in macchina, cammina. Non vorrai farti arrestare da un branco di smidollati.”
Così, Vodka e Gin misero in moto. Il biondo si era seduto sui sedili posteriori al fianco della ragazza, per monitorare la situazione, ma anche per controllare che non facesse stupidaggini.
Shiho aveva il capo appoggiato contro il finestrino, ne percepiva la superficie fredda: attraverso quel vetro osservava il paesaggio notturno che mutava rapidamente, le luci dei lampioni che si susseguivano veloci, gli edifici della città ricoperti da soffice ovatta bianca.
Shinichi era morto?
Stava sperimentando ancora quella sgradevole sensazione che si prova quando si cerca di trattenere le lacrime a lungo: un nodo le opprimeva la gola.
Ci si era messo anche quel mostro, che aveva acceso l’ennesima sigaretta.
“Potresti evitare di fumare in auto? Almeno questo.” Sussurrò lei, con voce arida e roca.
“Potresti evitare di rompere le scatole?” Il fumo le inondò il viso, al che lei ebbe un paio di colpi di tosse. Dal tono di Gin traspariva del lieve nervosismo e le sue dita tremavano ancora per via dell’adrenalina: aveva bisogno di tranquillizzarsi in qualche modo. Per tutto il tragitto nessuno fiatò, il viaggio si svolse in un religioso silenzioso che ebbe un retrogusto a dir poco sepolcrale. Vodka parcheggiò l’auto nel garage sotterraneo e spense il motore.
“Lasciaci soli.” Proferì secco, Gin.
“D’accordo, Capo.” Vodka uscì dall’auto senza troppi convenevoli: quel biondo era strano. Forse qualcosa era andato storto?
Qualche secondo più tardi i due rimasero soli, Shiho colse la tensione dell’atmosfera che si era impadronita di loro come un sottile manto adagiatosi sulle due figure.
“L’ho mancato.” Proferì lui con tono distaccato. Shiho distese le sue labbra in un sospiro di sollievo, ma non accennò a rispondere. Quindi Conan era vivo? L’aveva mancato? Ma in che senso? Forse non l’aveva colpito perfettamente in un punto vitale. Si sentì sollevata.
La ragazza comunque non si mosse, eppure lo vide con la coda dell’occhio. Aveva preso a fissarla coi suoi occhi verdi, iniettati di sangue. Gli occhi dell’assassino.
‘Cosa vuoi fare? Lasciami andare. Per favore.’ La ragazza serrò le labbra e posò una mano sulla maniglia della portiera, quasi volesse slanciarsi repentina e fuggire. A quel punto sentì la fredda mano di Gin avvolgerle il polso. Prevedibile, pensò Shiho. Era in trappola.
“Dai, lasciami.” Balbettò senza guardarlo.
“Questo tuo atteggiamento così schivo mi manda in bestia. Mi hai stancato.” Proferì lui.
Quando la ragazza si voltò per poterlo osservare, lo vide avvicinarsi: era decisamente spacciata. L’avrebbe uccisa?
“Ti prego Gin, non uccidermi, non uccidere anche me.”
“Stai zitta. Anche se volessi ucciderti, dovrei prima togliermi uno sfizio.”
Lei trasalì, spalancò gli occhi, che spauriti e attoniti scrutavano il volto di quell’uomo.
“Ma che stai dicendo?”
Gin sorrise a mezza bocca e lei rabbrividì ancora. Ma che voleva fare quell’uomo? Sentì le guance avvampare, un calore le infiammò le gote e si appropriò del suo corpo. A quel punto il biondo si protese verso di lei e le sfiorò il collo col viso, la solleticava con alcuni ciuffi di capelli biondi, infatti la sentì tremare.
“Oddio.. Gin, ti prego. Lasciami andare. Ti supplico.” Sollevò lo sguardo al tettuccio dell’auto e sentì le labbra di quell’uomo schiudersi sul suo collo.
Provò un misto di terrore e una sensazione che non seppe comprendere appieno. Mai nessuno prima d’ora, le aveva riservato simili attenzioni e si sentì sprofondare nell’imbarazzo più totale, quando all’ennesimo bacio umido emise un flebile sospiro.
“Basta, basta Gin. Maledizione.” Lei afferrò nuovamente la maniglia della portiera e lo spinse via con forza, così scappò letteralmente verso l’ascensore.
Una volta che fu dentro tirò finalmente un sospiro di sollievo, eppure aveva il fiato corto, il profumo di quell’uomo addosso. Spinse la schiena contro il muro e si lasciò ricadere a terra, accoccolata e stretta, con le braccia che trattenevano le gambe contro il petto. Una lacrima le rigò il viso accaldato.
Le piaceva tutto questo. Le piaceva maledettamente.

 







Ehm ehm. *Si schiarisce la voce*
Finalmente eccoci a questo aggiornamento! (Se continua così dovrò mettere il rating arancione. Ahahahahahah no scherzo).
Allora? u.u Cosa ne dite? La storia sta prendendo decisamente una brutta piega. Comunque la traduzione della frase in latino inserita come titolo del capitolo è presa dal famoso Odi et Amo di Catullo e suona più o meno così "Ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato" Ehhhh u.u 
Saluto come sempre tutti coloro che mi seguono *_* e che hanno la storia fra le seguite:
Bankotsu90, ChibiRoby, chicc, I_Am_She, Kuroshiro, Layla Serizawa, Red Fox, Sherry Myano, Violetta_, _Flami_ 
E ancora coloro che l'hanno fra le preferite:
A_M_B, chyo, Imangaka, I_Am_She, Shinku Rozen Maiden, Yume98, _Flami_ 
Ringrazio inoltre Imangaka e _Flami_ per avermi inserita negli scrittori preferiti. Siete troppo buone come sempre, decisamente troppo per una storia che più che una storia è un delirio, uno sprofondare in un abisso tetro e oscuro u.u XDXD
Mi piacerebbe avere un vostro parere ancora una volta :) Grazie a tutti voi, anche solo se leggerete, anche solo se scorrerete queste righe di ringraziamenti, sono tutti per voi! :) <3 Un ultimo saluto infine alla mia mojettina Sylvia, ad Alice, Lisa ed infine a quella pazza psicopatica di Iman che mi segue sempre fedelmente :) Grazie di tutto *_*

<3 Alla prossima amici lettori :)

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: Aya_Brea