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Autore: son usagi    20/09/2006    0 recensioni
Cosa potrebbe succedere se si attraversasse involontariamente un varco temporale che conduce nel passato?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Clermont

E

ra un giorno come tanti quello che, per Elena sarebbe diventato l’inizio della fine.

Elena aveva 17 anni e frequentava il terzo anno in una scuola superiore come tante, aveva lunghi capelli neri e occhi grigi. Francese per parte di madre, italiana per padre, viveva in Italia da quando era nata a parte qualche visita in Francia, a Clermont, dai parenti della madre; parenti che, da ciò che aveva capito, avevano origini nobili.

A parte per questa particolarità, a prima vista, Elena appariva come una ragazza come tante che viveva in un paesino nel nord Italia con la sua famiglia. Ma un giorno non fu più una come tante.

Era una giornata soleggiata di metà maggio e stava passeggiando con la sua migliore amica per una via affollata quando, improvvisamente, la strada per la quale camminava e le persone intorno a lei cambiarono. L’asfalto divenne porfido, le persone cambiarono abbigliamento e tutte avevano gli occhi fissi su di lei.

Inizialmente pensò che si trattasse di uno scherzo dei suo amici, ma quando vide che stavano sopraggiungendo dei soldati capì che si sbagliava. Il capo dei soldati si avvicinò a lei e le disse «Vous êtes une sorcière! Arrêtez-elle!». Ma prima che potesse rispondere due soldati le bloccarono le braccia, le legarono le mani con delle corde, la sollevarono e la misero su di un cavallo. In quel momento Elena realizzò di trovarsi nella Francia del passato.

Dopo alcuni minuti di viaggio sentì il cavallo fermarsi e delle possenti mani afferrarla per la vita e sollevarla. Quando fu con i piedi per terra vide davanti a sé un enorme palazzo e sulla facciata lesse le parole “Palais de Justice”. Fu trascinata in una sala molto ampia che fungeva da tribunale.

Passati alcuni secondi a dibattersi da quelle mani dei soldati così forti e così strette, Elena perse ogni speranza e si lasciò trascinare fin su una sedia accanto ad una persona che lei identificò come il giudice. Quest’uomo era alto, con molti capelli grigi, gli occhi scuri, magro e con in viso una strana espressione, quasi felicità mista a preoccupazione. Elena pensò avesse circa 35 anni, nonostante il viso fosse pieno di rughe. Dopo qualche istante quest’ultimo parlò, disse alcune frasi in latino che Elena non comprese, poi, in francese, continuò «Strega, il vostro modo di vestire è quello del demonio, avete da dire qualcosa in vostra discolpa?» «Non sono una strega!» «Zitta, figlia del demonio, voi sarete impiccata alle prime luci dell’alba, perché ci potreste portare alla dannazione solo col vostro sguardo!» «Non avete mai letto Dante? La donna, proprio attraverso gli occhi, porta l’uomo alla beatitudine e alla salvezza» «Taci, voi non potete conoscere Dante, è troppo colto per una donna, e in particolare, per una strega». Fece segno alle guardie di portarla via e, mentre Elena stava uscendo dall’aula vide un uomo che aveva indosso una cappa blu che gli ricopriva il volto, l’unica cosa che riuscì ad intravedere furono delle ciocche di capelli biondi che spuntavano da esso.

Elena venne condotta in una cella molto piccola, umida e buia, con una balla di paglia in un angolo. Trascorsero alcune ore, o minuti, questo, Elena non seppe capirlo, poiché la luce che riusciva ad entrare nella cella era fioca, poi apparve improvvisamente di fronte a lei quell’uomo che precedentemente aveva intravisto nell’aula e che per poco non la spaventò «Non vi preoccupate, madamigella, non voglio farvi del male» le disse l’uomo, poi dolcemente continuò «Desidero solo liberarvi. Fidatevi, ve ne prego». Elena lo fissò un po’, poi rispose «Mi fido di voi». L’uomo estrasse delle chiavi da un taschino del farsetto ed aprì la serratura della porta della celletta; poi cercò qualcos’altro nella cappa ed estrasse un altro mantello simile al suo, ma più piccolo e molto più femminile e glielo porse. Lei lo indossò senza fare polemiche e lo seguì fuori dal palazzo.

Avevano percorso circa 600 metri dal Palais de Justice, passando per piccoli vicoli quando alcuni soldati gli vennero incontro. L’individuo bisbigliò ad Elena «Copritevi il volto e non parlate mai», poi alzando il tono continuò «Gendarmi, amici miei, cosa fate in giro sotto questo sole?» un paio di loro si avvicinarono ai due e dissero «Maestro Matteo de Foisos, qual buon vento vi porta da queste parti?» «Stavo cercando un po’ d’ispirazione per terminare il mio ultimo poema» «Avete ancora quel brutto blocco?» poi, rendendosi conto della presenza di Elena, disse «Ma cosa vedono i miei occhi. Quella creatura accanto a voi chi è? Se mi è lecito saperlo» l’uomo orgoglioso della domanda rispose sorridendo «Questa fanciulla è la mia futura moglie. È molto timida e riservata» «Non sapevo che vi stavate per sposare, maestro» disse in tono accusatorio il gendarme «Volevo che fosse una sorpresa» poi, come per cambiare discorso, chiese «Come mai, ad ogni modo, siete qui?», il soldato, come tornando alla realtà rispose «È fuggita la strega e la stiamo cercando, voi ne sapete qualcosa?» «Sprecate il vostro tempo con me. Sapete che mi curo solo di letteratura, non di prigioniere» «Se sapete qualcosa fateci sapere» «Contateci pure».

Elena, che non vedeva nulla da sotto il mantello, sentì i passi dei due soldati che si allontanavano; poi una grossa mano afferrò la sua e si sentì trascinare per alcuni vicoli. Durante il tragitto Elena spostò leggermente il mantello da davanti al volto per vedere l’uomo che la stava trascinando. L’unica cosa che vide, dato che l’uomo le mostrava le spalle, furono i lunghi capelli mossi, biondi, che, colpiti dai raggi del sole, sembravano d’oro, in quel momento ad Elena venne in mente un verso di Petrarca “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi” ed emise una piccola risata, l’uomo si fermò bruscamente e, senza voltarsi, disse «Cosa avete da ridere, madamigella?!», quel tono non piacque ad Elena, sembrava molto minaccioso, e, molto timidamente gli ripose «Perdonatemi, signore, mi era venuta alla memoria un verso di Petrarca osservando i vostri capelli» «Conoscete anche Petrarca?!» le chiese bruscamente, lei stava per rispondere quando l’uomo riprese a camminare, trascinandola dietro sé.

Alcuni minuti dopo i due arrivarono in una via e si fermarono bruscamente; alcuni secondi dopo, l’uomo disse «Potete scoprirvi il viso, madamigella, se lo gradite, qui non ci vedrà più nessuno». Lei si tolse il cappuccio e, curiosa, cercò di vedere il volto di colui che l’aveva salvata due volte, ma la via era troppo buia e non riuscì a vederlo. Lui le fece segno di entrare in un portone, lei obbedì, percorse alcune rampe di scale poi, sempre su indicazione dell’uomo, entrò in una stanza molto ampia e buia. Sentì l’individuo allontanarsi da lei e lo intravide accanto alla finestra. Tirò le tende e fece entrare la luce. Solo in quel momento riuscì a vedere il volto dell’uomo. Che avesse i capelli biondi lo aveva già scoperto in molte occasioni, ma vide che era anche molto affascinante, era alto, circa 175 cm pensò, magro, con gli occhi grigi ed era stranamente somigliante a qualcuno che lei aveva già visto prima ma non si ricordava più dove.

L’uomo si avvicinò ad Elena e le disse «Spero di non avervi fatto paura poco fa, volevo solo salvarvi la vita» «Perché mi avete salvata? Neanche conoscete il mio nome ed io il vostro» «Che sbadato! Credevo che già aveste avuto modo di conoscerlo, intendo prima, dai soldati» «Scusatemi ma ero abbastanza spaventata da non prestare attenzione alle vostre e alle loro parole» «Se proprio desiderate un nome, eccolo: Matteo de Foisos» anche questo nome rievocò in lei un ricordo, però molto vago per comprendere meglio, poi lui continuò «Potrei ora sapere il vostro?» «Elena De Stefano, mio padre è italiano» «Potrei sapere da dove venite e perché siete conciata in codesta maniera?» Elena gli raccontò tutto ciò che era accaduto, il fatto che lei venisse dal futuro, poi continuò «Potete non credermi, vi capisco perfettamente; però ditemi piuttosto, perché mi avete salvata?» «Perché conoscete Dante» «Solo per questo?!» «Sì. Mi sono sempre chiesto se esistesse qualcuno che conoscesse il mitico Dante o un qualsiasi autore italiano e voi, madamigella, citate sia Dante che Petrarca come se li conosceste da sempre. Per questo io desidero sposarvi, per salvarvi la vita» «Se non volessi?» «A me non importa che voi mi amiate, desidero solo condividere con voi questa mia passione per la letteratura italiana. Se col tempo vorrete amarmi o meno non sarò io a deciderlo» «Come mai vi trovavate al Palais de Justice?» «Vi ho seguito da quando siete apparsa in mezzo alla strada. Mi avete colpito così tanto che è stato più forte di me non seguirvi» «Devo allora ringraziarvi per questa vostra curiosità, se non vi foste incuriosito io sarei morta. Grazie mille! Se c’è qualcosa che posso fare per sdebitarmi, ditemi pure, sono disposta a fare qualunque cosa o quasi» «Venite con me allora».

L’uomo la portò in un’altra stanza, più piccola ma molto più accogliente, con un divano al centro della sala. Matteo fece sedere Elena poi si assentò un attimo e, quando tornò, aveva in mano un libro. Elena capì che si poteva trattare solo di un libro: “La Commedia”; e, infatti, era quello. Matteo si sedette dietro di lei, appoggiando il mento sulla spalla della ragazza, per leggere quello che diceva Elena. Lei aprì il libro e lesse:

Nel mezzo del cammin di nostra vita

Mi ritrovai per una selva oscura

Ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

Esta selva selvaggia e aspra e forte

Che nel pensier rinnova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;

Ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,

Dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,

Tant’era pien di sonno a quel punto

Che la verace via abbandonai.

Improvvisamente smise di leggere. Matteo si accorse che alcune lacrime stavano cadendo sulle pagine; senza pensarci, tolse il libro dalle mani di Elena e l’abbracciò; lei, allora, si volse ed iniziò a piangere fra le sue braccia. Dopo alcuni minuti, Elena si calmò leggermente e Matteo, approfittando di questa quiete, le chiese «Come mai piangete?» «Mi ricorda la mia epoca, la mia migliore amica, e tutti quelli conosco» «Perdonatemi per avervi fatto leggere», dal suo tono Elena capì che era veramente dispiaciuto per quello che era accaduto, poi rispose «Non potevate saperlo, non lo sapevo nemmeno io. Potrei sapere che anno è oggi?» «Per essere precisi, oggi è il 18 maggio 1516»; Elena fece un calcolo veloce, e sussurrò «488 anni», poi, alzando il tono, chiese «Quanti anni avete?» «Ho 26 anni, voi? Se mi è lecito saperlo» «Vi è lecito saperlo. Io ne ho 17». Dopo una breve pausa, Matteo disse «Sapete, madamigella, v’invidio» «Voi invidiate me?!» «Voi sapete l’italiano e conoscete molti dei miei scrittori preferiti, molto meglio di me» «È strano ascoltare una cosa del genere; soprattutto perché ho trascorso la mia vita a sognare di andarmene dall’Italia, di dimenticare l’italiano e di vivere in un altro Stato, con un’altra lingua e cultura» «In questo voi mi assomigliate». Rimase ancora per qualche minuto fra le braccia di Matteo, poi cadde addormentata.

Quando si svegliò si era dimenticata di trovarsi nel passato; se ne ricordò solo quando vide Matteo parlare con un altro uomo che la spaventò. Elena aveva letto molti libri storici e quell’uomo le ricordava fisicamente uno dei personaggi; ed anche il giudice che solo poche ore prima l’aveva condannata all’impiccagione ma non potevano essere la stessa persona poiché questi era un prete. Era un uomo dall’aspetto austero, calmo e cupo; non lo vide molto nitidamente poiché era ancora assonnata; ma dimostrava circa 35 anni. Tuttavia era già calvo, solo sulle tempie aveva un po’ di capelli, radi e grigi. La fronte era alta e larga e cominciava a solcarsi di rughe, ma negli occhi infossati splendeva una giovinezza straordinaria, una passione profonda.

D’istinto Elena si alzò e si nascose dietro Matteo che, essendo più alto di lei, la nascose totalmente. Matteo, meravigliato di quella reazione le chiese «Che fate?!», lei, in italiano, disse «Quell’uomo»; improvvisamente l’uomo, anche lui in italiano, ripose «Grazie, per la vostra gentilezza»; Matteo, alquanto turbato dal suo comportamento disse «Scusateci», poi afferrò il braccio di Elena, la trascinò fuori dalla stanza e, prima che lei avesse il tempo si parlare, le disse sbrigativamente «Come vi siete permessa di dire una cosa del genere al vescovo di Clermont. Ditemi, perché lo avete trattato a questo modo?!» «M’incute paura» «Non vi farà alcun male, quell’uomo è mio amico» «Sentite, non so perché ma mi fa molta paura!» «Fidatevi di lui, è il mio maestro, è stato lui ad insegnarmi l’italiano» Elena, ad ogni modo, non si sentì per niente confortata da quelle affermazioni, e, rassegnata, rispose «Ho capito. Chiederò scusa a quell’uomo». Soddisfatto da quella risposta, Matteo sorrise, la prese per mano e l’accompagnò nella stanza dal vescovo. Appena entrò nella stanza, si accorse che l’uomo la stava osservando dalla testa alla punta dei piedi, poi disse «Maestro de Foisos, volete che questa creatura resti abbigliata in codesta maniera? Procuratele degli abiti più consoni». Matteo obbedì ed uscì dalla stanza. Elena attese che Matteo fosse abbastanza lontano da non poterla sentire, poi disse «Non crediate che io mi fida di voi, continuo a pensarla nello stesso modo. Per volontà di Matteo, vi chiederò scusa, ma io non lo penso assolutamente»; mentre parlava, Elena, si rese conto che il vescovo era molto stupito di quelle parole, poi fece per risponderle quando entrò Matteo, che disse «Scusate se v’interrompo, maestro; ma mia sorella vorrebbe vedere Elena, perché di me non si fida». Elena seguì Matteo fin davanti ad una porta, poi lui bussò e disse «Roberta, ti ho portato Elena. Io torno dal monsignor vescovo Guillaume de Rym».

Elena entrò molto titubante nella stanza dove c’era una ragazza poco più grande di lei, con i capelli biondo scuro lunghi, finemente legati in un acconciatura che le conferiva un aspetto molto elegante e gli occhi azzurri. Mentre Elena rimase con Roberta per cambiarsi d’abito, scoprì molte cose su Matteo. Il padre era morto quando lui aveva solo 7 anni e, da circa un anno, era morta anche la madre; e da allora si era preso cura della sorella minore come se fosse stata sua figlia. Non aveva mai lavorato in vita sua, poiché i genitori, essendo nobili, gli avevano lasciato molto denaro; ma spesso lui scriveva dei poemi per guadagnare qualcosa da poter lasciare alla sorella in caso lui fosse mancato prematuramente. A parte questo profondo amore nei confronti della sorella, che aveva sei anni in meno di lui, Matteo era pazzo per la letteratura e la lingua italiana; talmente tanto che aveva perfino imparato l’italiano per leggere ogni opera nella lingua originale e non dover fare affidamento sulle traduzione, che, come diceva lui “uccidevano l’opera”.

Proprio mentre lei stava scoprendo queste cose sul conto di colui che l’aveva salvata, poche stanze di fianco, quello stesso uomo stava decidendo la sua vita. Matteo, infatti, mentre Elena dormiva, era andato in chiesa a chiamare l’amico, il vescovo Guillaume de Rym, per sposarli il più in fretta possibile. Avevano ormai deciso tutto, la cerimonia sarebbe stata segreta e si sarebbe svolta pochi giorni dopo, quando entrarono Elena e Roberta. Elena si sentiva molto impacciata in quell’abito, solo pochi minuti prima era vestita molto leggera ed ora indossava vestiti molto lunghi, che, in fondo, a lei piacevano. Per educazione, Matteo riferì ad Elena ciò che i due avevano deciso in sua assenza, dopo averci pensato un po’, la ragazza disse «So che sono solo una donna e per voi non conto, ma credo che non convenga fare tutto di nascosto. Voi avete annunciato le nozze e i soldati, per quanto stupidi, se ne potrebbero ricordare» «La ragazza ha ragione» commentò il vescovo «Non avevamo pensato alle guardie» continuò Matteo, poi, vedendola troppo preoccupata disse «Roberta, portala via, per favore. Madamigella, non vi turbate inutilmente, le cose, prima o poi, le aggiusteremo».

Elena fu accompagnata in una camera da letto da Roberta. Ormai la giornata era al termine, e, nonostante non avesse sonno, si sdraiò sul letto per non pensare a ciò era accaduto. Il suo pensiero, cadde sulla sua famiglia che solo poche ore prima non voleva più vedere ed ora ne sentiva la mancanza.

Il mattino seguente, quando si svegliò, vide nella sua stanza Matteo che la fissava; lei fu sorpresa da quella vista. L’uomo vedendo che Elena si stava svegliando, si voltò e disse «Perdonatemi, madamigella, non volevo spaventarvi. Ero venuto a chiamarvi, ho bussato ma non mi avete risposto e così sono entrato; appena vi ho vista risposare volevo uscire, ma sono rimasto incantato da voi e mi è stato impossibile allontanarmi» «Grazie del complimento, se è ciò che era. Potreste uscire?» «Sì, volevo solo informarvi che la colazione è pronta e che ieri sera io e il vescovo abbiamo deciso tutto, se voi non siete d’accordo, modificheremo qualcosa. A proposito, ieri sera il vescovo è rimasto qui a dormire, perciò in cucina ci sarà anche lui, se non lo volete incontrare affermerò che siete ancora turbata da quello che è accaduto ieri» «No, verrò. Sono grande abbastanza da assumermi le mie responsabilità. Dopotutto non posso fuggire da tutti i miei problemi. Datemi solo qualche minuto per prepararmi». Matteo uscì e l’attese fuori dalla porta.

Alcuni minuti dopo, Elena raggiunse Matteo e, con lui, si diresse alla cucina, dove Guillaume de Rym stava dialogando con Roberta.

Elena si sedette e, per la prima volta da quando era in quella casa, si sentì molto a disagio fra quelle persone anche se non riuscì a capire il motivo di quella sensazione; stava pensando a così tante cose, che il suo volto s’incupì, quando il vescovo disse «Avete dormito bene, madamigella? Ieri credo di non avervi dato una buona impressione, vi chiedo perdono» «La colpa è solo mia, non mi sono preoccupata di conoscervi e vi ho giudicato frettolosamente». Il comportamento che Guillaume ebbe nei suoi confronti la rassicurò e, nonostante il suo aspetto che incutesse ancora paura, nel profondo qualcosa si mosse.

Terminata la colazione, Elena, Matteo e Guillaume si recarono nello studio di Matteo dove discussero per tutta la mattinata sul matrimonio; che si sarebbe tenuto il giorno successivo nella chiesa principale della città e Guillaume stesso avrebbe svolto la cerimonia.

Il giorno dopo, quello delle nozze, Elena parlò con Roberta e le disse, alquanto triste «Avevo pensato spesso a questo giorno e credevo che quando mi sarei sposata l’avrei fatto per amore. Quante volte ho immaginato il mio matrimonio e chi sarebbe stato mio marito. Non avrei creduto di sposare un uomo che neanche conosco», Roberta la rassicurò dicendole «Elena, vi giuro che mio fratello è un brav’uomo e magari, anzi, sicuramente, voi non lo amate, ma vi assicuro che alla fine v’innamorerete di lui», Elena non sapeva che rispondere a quell’affermazione perciò annuì semplicemente.

La cerimonia fu una cosa molto riservata, gli unici invitati furono i parenti più stretti di Matteo, in quanto i suoi genitori erano morti.

Quando Elena e Matteo uscirono dalla chiesa, a cerimonia conclusa, ella vide Guillaume sulla piazza che la fissava con odio e passione. Lei si spaventò e, istintivamente, nascose il volto sul petto di Matteo; iniziò persino a chiedersi come poteva, il vescovo, essere in due posti contemporaneamente: pochi istanti prima era in chiesa, ed ora nel centro della piazza; a meno che non fosse “flash” non poteva essere lui. Improvvisamente si ricordò che esisteva qualcuno in quell’epoca simile a Guillaume: il giudice. Si allontanò da Matteo e, debolmente, gli chiese «Scusatemi, come si chiama l’uomo che mi ha condannata?» Matteo fu molto conciso nella risposta «Ne parleremo dopo» fu tutto ciò che disse.

Appena tornarono a casa, Matteo prese per mano Elena e l’accompagnò nel suo studio; fece per parlare ma cambiò idea, prese un sacchetto da un cassetto, lo aprì e lo privò del contenuto: un anello che porse alla ragazza dicendo «Questo apparteneva a mia madre, voleva che lo dessi alla donna che un giorno avrei sposato». Elena fissò l’anello e si ricordò di averlo già visto da qualche parte, a bruciapelo chiese «Dov’è la mia borsa?» «Intendete quello strano oggetto che avevate a tracolla la prima volta che vi vidi?» «Proprio quello, dov’è?». Matteo uscì dallo studio e, quando tornò, aveva in mano la borsa di Elena, lei, avidamente, la prese ed iniziò a cercare qualcosa dentro. Tirò fuori molti oggetti che a Matteo parvero buffi. Ad un tratto Elena estrasse un medaglione, lo aprì e disse «Ecco dove vi avevo già visto, a chi assomiglio e dove ho già visto quell’anello», detto questo porse il medaglione a Matteo che la guardò con aria molto stupita; lei capendo che non aveva compreso il significato della sua esclamazione disse «Vi spiego cosa intendevo. Io mi chiamo Elena, sia perché questo nome piaceva ai miei genitori, sia perché una mia antenata si chiamava in questa maniera. Qualche giorno fa, quando vi vidi per la prima volta in viso, ebbi la sensazione di conoscervi, di avervi già visto prima di quel momento, ma non compresi bene dove ciò era accaduto. Qualche anno fa mia madre mi disse che assomigliavo molto alla mia omonima antenata e mi diede questo medaglione che la mia famiglia si tramanda di generazione in generazione da Elena de Foisos. Come ho fatto a non capirlo prima?!» «Nessuno può pensare che possa accadere quello che è accaduto a voi», mentre Matteo parlava, Elena aprì il medaglione e vide che conteneva un foglietto scritto, con la sua calligrafia:

Clermont, 15 giugno 1516

Se stai leggendo questo foglio, significa che hai scoperto la verità. Non terrorizzarti, la vita in quest’epoca, dopo tutto, è migliore di quella del 2004. Te lo garantisco.

Elena

Elena rimase a fissare quelle parole per molto tempo prima che riuscisse a riprendersi. Aveva ancora gli occhi fissi nel vuoto quando Matteo le prese il foglio, ormai ingiallito dal tempo, poiché aveva già 488 anni, lo lesse, ma non capì nulla di ciò che era scritto perché era scritto in italiano. Stava per parlare quando, fissando il foglio, vide una scritta in francese, scritta con la sua calligrafia:

Consolala Matteo. Falle dimenticare e impegnala con qualche passatempo.

In pochi secondi, Matteo rifletté, poi disse «Insegnatemi l’italiano e la vostra cultura», ancora scossa per ciò che aveva scoperto e senza prestare molta attenzione, Elena rispose «Se proprio lo desiderate...». Improvvisamente Elena si ricordò di dover domandare una cosa a Matteo e continuò «Come si chiama il giudice?» «Chi?» «L’uomo che mi ha condannata a morte» «Quello! Si chiama Victor de Rym ed è il fratello gemello del mio maestro Guillaume de Rym» «Perché non me lo volevate dire prima?» «Così, mi piaceva l’atmosfera che si era creata e mi dispiaceva rovinarla», Elena sorrise ed alzò gli occhi al cielo.


  
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