Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Shinalia    12/02/2012    5 recensioni
estratto capitolo
« Sei una vampira, non puoi soffrire di emicranie! » ribattei mesto ed in tono leggermente acido.
Alzò gli occhi al cielo con evidente irritazione « Sembri un animale in gabbia. A casa sono tutti preoccupati … » Annuii distrattamente, non dando realmente peso alle sue parole. Notando la mia disattenzione Alice si indispettì « Bella si è divertita moltissimo a scuola! - squittì
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salveee!  Eccomi qui con il nuovo capitolo, questa volta postato in un tempo ragionevole.
Vi ringrazio per le vostre bellissime recensioni, che sono sempre uno sprono a scrivere ed alle quali ho risposto con il nuovo sistema di efp.
Grazie a tutti!

Di seguito inserisco i link delle storie che sto portando avanti ora e che sto aggiornando:
Tradimenti e Bugie. (Twilight)
Write me (Originale romantico)
Bus Stop (Originale romantico)





Capitolo 11

 
Due mesi. Due mesi senza una parola. Due mesi trascorsi nella consapevolezza di aver errato e di non poter in alcun modo rimediare al mio sbaglio. Due mesi a domandarmi perchè avevo pronunciato quelle parole sprezzanti. Perchè il mio infantilismo aveva prevalso. Perchè non avevo compreso, sul momento, quanto fosse grave la situazione.
Avevo scorto la delusione e l'angoscia irrigidire i tratti del suo viso. Avevo osservato la tristezza trasudare dal suo sguardo, mentre i pugni si chiudevano, serrandosi sino a far sbiancare le nocche; ed avevo rammentato il reverenziale timore con il quale a me si avvicinava, tanto spesso. Talvolta avevo la sensazione mi reputasse alla stregua di una bambola di cristallo… un oggetto tanto prezioso quanto fragile. Perché non dubitavo di essere preziosa per lui, benchè non lo fossi nel modo in cui avrei voluto. Eppure l’affetto che lo legava a me era sempre stato sincero, proprio come la vergogna per la sua natura, che tenatava di celarmi.
Il disagio, al ritorno da una caccia. Il suo bisogno di eludere il mio sguardo, di mostrarsi impeccabile, tanto da avere, sempre con sé, un cambio d’abiti nella sua auto, di cui non mi aveva mai parlato. Lo avevo accidentalmente trovato, riposto sotto il sedile della sua Volvo, qualche mese prima, grazie ad una delle interferenze di Alice, che poi si era premurata di minimizzare, prima di trascinarmi con sé al centro commerciale.
Non voleva che io scorgessi in lui quel mostro dal quale era ossessionato.
Non voleva che io temessi la sua natura, benchè essa fosse in parte anche mia.
Se solo fosse stato in grado di guardare oltre le apparenze e l’odio per sé stesso, forse avrebbe compreso quanto amore trasudava dal mio sguardo e quali sentimenti mi legassero a lui, sin da quando i miei occhi si erano posati sul suo volto.
Sin da quando, da bambina, allungavo le dita verso di lui, desiderosa di protezione e contatto.
Perché Edward era il mio eroe, il mio principe dalla scintillante armatura.
Il mio principe, fuggito in sella al suo bianco destriero.
 
 
Mi ero detta che tutto si sarebbe risolto, rassicurandomi come la bambina che ero; con vacue speranze e quelle parole che, come un mantra, vorticavano nella mia mente confusa ed annebbiata dal senso di colpa; incapace di accettare quanto quella mia sciocca frase avesse potuto ferirlo. Forse perchè in parte era quello il mio scopo: punirlo per ciò che non era in grado di darmi. Per quell'asfissiante comportamento che nei miei confronti esibiva, per quella deleteria gelosia che dietro di sè non celava nulla, se non il fraterno affetto. Illudendomi, schernendomi. Perchè, per quanto una consapevolezza possa essere forte, la mente umana si aggrappa ad ogni appiglio, ad ogni speranza, seppur vacua. Ed io mi ero aggrappata a lui, in quegli anni, semplicemente desiderando di avere un'unica possibilità, sino a quando anche quella non mi era parsa nulla più che una follia.
Perchè non si può negare la realtà in eterno.
Eppure mi pentii all'istante di quelle parole sfuggite con rabbia e risentimento mentre osservavo la maschera di impassibilità dipingersi sul suo volto, adombrando il suo sguardo solo per un istante.
«Perfetto. Ti aspetto in auto.» mormorò, con voce inflessibile e le labbra tese per lo sforzo di non urlare ed io semplicemente annuii, incapace di proferir verbo. Probabilmente perchè avevo già detto abbastanza, forse perchè ero spaventata da quegli occhi freddi che mi fissavano, senza alcuna traccia di calore. Senza quella tenerezza che aveva sempre addolcito il suo sguardo.
Quello stesso sguardo che sempre mi rivolgeva, anche durante una qualche lite.
Ma non in quel momento.
Così lo osservai, mentre si allontanava, con il passo svelto e la postura rigida. Lo conoscevo abbastanza per sapere cosa celasse, una furia mal contenuta, che tratteneva, per non riversarla su di me. Sulla piccola sciocca che attese immobile, per un tempo che le parve indefinito, di vedere quel suo capo voltarsi; pregando per un unico misero sguardo. Elemosinando quell'occhiata che lui mi rifiutò, procedendo oltre sino a quando non scomparve alla mia vista.
Se solo avessi saputo la realtà, sarei corsa da lui, senza alcuna esitazione.
Ma la mia vigliaccheria prevalse, scegliendo per me la strada sbagliata.
«Matt...» sussurrai, in un sospiro sommesso, facendo forza su me stessa per distogliere la mia mente da quei vacui pensieri e da quell’orizzonte ormai privo di interesse.
«Ho sbagliato e lui ha ragione. - mormorò, passandosi stancamente una mano sul viso contratto, ben attento a non incrociare il mio sguardo.  - Dovresti raggiungerlo.»
«Dobbiamo chiarire.» ribattei risoluta, serrando le labbra in una smorfia, dinanzi al suo tentativo di chiudersi. Dinanzi al muro eretto tra di noi e dietro il quale si celava, fremendo per allontanarsi. Bisognoso di allontanarsi, proprio come lo ero io; sebbene per ragioni differenti.
Lui voleva sfuggire al biasimo ed al senso di colpa, che sulle sue spalle gravava... ed io, dovevo raggiungere Edward; chiedere scusa. Tentare di ottenere il suo perdono, contrita, pronta ad implorarlo se necessario.

Peccato che non sempre il nostro volere abbia una qualche importanza. Talvolta possiamo rassicurarci, ingannarci di avere tempo, di avere una qualche possibilità, senza curarci che non tutto dipende da noi e che, spesso, dobbiamo chinare il capo, accettando semplicemente le conseguenze delle nostre azioni.
Non a tutto si può porre rimedio, una lezione che avrei appreso molto presto e che, in quell’istante, ignoravo.
«E’ stato un incidente.» ripetei, passandomi stancamente una mano tra i capelli aggrovigliati, domandandomi quale aspetto mostruoso avessi; stravolta e probabilmente pallida come un cencio.
«Lo so. Non avrei mai tentato di farti del male volontariamente. – replicò, in un sussurro appena udibile, abbandonando la schiena contro il tronco di un massiccio albero, ben attento abbandonandosi a quel sospiro tremulo che mi strinse il cuore. – Ciò non toglie che Edward aveva ragione.  Le mie abitudini sono diverse dalle vostre e, come hai ribadito tu stessa, anche nel suo caso la possibilità di farti del male non è remota. Siamo mostri.»
«Delle volte sembra quasi che tutti dimentichiate che per metà sono come voi. – sbottai, in tono stridulo ed irritato dal dover udire costantemente quella stessa solfa. Non sarei mai stata forte come loro, mai abbastanza veloce, ma mai neppure indifesa, come volevano credermi. – Non sono una bambina, non sono umana. E neppure voi siete invulnerabili, malgrado vi affannate a voler affermare il contrario. E, per quanto riguarda ciò che ho detto ad Edward… - esitai e la mia voce si spense, per un istante, mentre i denti si serravano con forza sul mio labbro. Nervosa, ansiosa, conscia della mia colpevolezza. – Erano parole dettate dalla rabbia.» ammisi, compiendo qualche passo verso di lui, colmando quella distanza che aveva posto tra noi, ignorando la tensione che sembravo alimentare, nel suo corpo, con la mia vicinanza.
«Matt, siamo amici. – continua, tentennando appena. - Siamo ottimi amici e tu sai cosa provo e sai quanto detesto quella sua mania di controllo. Quelle parole mi sono sfuggite, alimentate dalla rabbia. » sussurrai, allungando le dita verso il suo volto tirato, accarezzando dolcemente la sua guancia.
Non volevo perderlo.
La nostra conoscenza non era radicata in un passato comune e, in fin dei conti, era recente. Eppure, in quelle settimane, avevo incontrato finalmente qualcuno con cui parlare, qualcuno che mi avrebbe ascoltata senza alcun preconcetto. Qualcuno che non mi era stato accanto sin dalla mia nascita, che non aveva assistito alla mia crescita e che si sarebbe preoccupato per me, rammentando le mie guance paffute e quella bambina che correva, per casa, agitando i pugnetti.
No, Matthias apprezzava me, quella ragazza timida e schiva, che arricciava il naso, per il disgusto, dinanzi alle sue battute volgari. Quella che ascoltava le sue paranoie su Velia ed i suoi tentativi di approccio miseramente falliti, a causa della sua tendenza a scherzare, quando era in imbarazzo. Si celava al di là della velata ironia, per nascondere i suoi sentimenti.
Forse per l’insicurezza.
Forse semplicemente per paura.
«Sei il mio primo vero amico. Non voglio perderti, ho bisogno di te. – commentai, addolcendo il mio tono, scorgendo l’esitazione sul suo viso. – Le cose più belle portano sempre con loro un rischio. La vita stessa lo è. E, delle volte, bisogna rischiare e lottare, per ciò che si desidera, per ciò che vale la pena di combattere. Per me la nostra amicizia vale questo piccolo rischio.»
Notai la sua mascella serrarsi, con veemente, e le dita scivolare tra i suoi capelli con un gesto nervoso e apprensivo, mentre il mio nome abbandonava le sue labbra quasi come una supplica. «Bella.»
«Matt, eviteremo di andare a caccia insieme. – incalzai, permettendo alla speranza di sbocciare dentro di me. – Questo è stato il primo e l’unico incidente in settimane. Ti prego.»
Il suo sospiro arrendevole, colmò il teso silenzio calato su di noi, strappandomi finalmente un sorriso, che non potei trattenere, alleggerita da quel penso, benchè la mia mente fosse tutt’altro che libera. Perché nella mia mente il volto addolorato di Edward non svaniva.
Rivedevo i suoi occhi spenti, la rabbia mescolata a quel pressante senso di colpa, alla delusione. Alla sofferenza di cui io ero stata la causa, per l’ennesima volta.
Chiariremo.
Abbiamo sempre chiarito. – mi ripetei, tentando di rassicurarmi, aggrappandomi a quella debole consapevolezza, perché non avevo che quella.
Otterrò il suo pedono.
«Ti voglio bene , Matt… ti chiamo domani!» esclamai, scoccandogli un bacio sulla guancia, correndo via, prima di concedergli il tempo di replicare e cambiare idea. Era giunto il momento di appianare la situazione con Edward, scusandomi per il mio errore e per le mie parole.
Lo avrei ringraziato come avrei dovuto fare.
Lo avrei supplicato di ascoltarmi.
Avrei… avrei voluto poter fare molte cose; ma i miei piani di rivelarono ben presto futili.
Perché Edward non era lì.
Non c'era.
Non un messaggio.
Non una promessa.
Non una rassicurazione.
Nulla... se non Alice, che mi avrebbe ricondotta a casa.
 
 
 
_____________________________
To: Edward
 
Affido le mie parole ad un foglio di carta, perché è tutto ciò di cui dispongo. Alice non mi ha assicurato che ti verrà recapitata ma, enigmatica e manipolatrice come al solito, mi ha concesso questa flebile speranza, alla quale mi aggrappo.
Sono una bambina.
Sono una sciocca.
Ma una bambina sciocca che ha bisogno di te e di nessun altro.
Non perderò tempo a giustificare quelle parole pronunciate. Ero arrabbiata, sono arrabbiata, con me stessa, con te… perché sembriamo incapaci, ormai, di coesistere, senza azzuffarci, senza ferirci.
Io ho tentato di ferirti, spesso.
E so che è infantile, ma la parte più egoista e meschina d me voleva procurarti lo stesso dolore che tu mi arrecavi, illudendomi. Perché è questo che hai fatto, anche se sono consapevole che mai di proposito hai compiuto un atto del genere. Per te sono quella bambina dalle guance paffute di un tempo, quella che volevi proteggere da tutto e da tutti, anche da te stesso.
Peccato che io non sia più quella bambina, Edward.
Il tempo mi ha resa un’adolescente.
Il tempo mi ha resa una donna, forse con la mente di una bambina, spesso. Ma pur sempre una donna.
Una donna che ha bisogno di te, in modo diverso.
Una che soffriva, vedendosi rivolgere quelle premure, che tu le riservavi con lo sguardo di un fratello.
Un fratello incapace di guardare oltre il suo naso, oltre le sue idee.
 
L’amore non si controlla, Edward.
L’amore ti afferra, ti strattona, ti costringe a fare i conti anche con sentimenti che vorresti respingere, per rendere tutto più semplice.
Perché l’amore complica la vita.
E la mia esistenza è divenuta contorta, da quando determinate emozioni si sono destate. Trasformate dall’affetto infantile, a quell’amore che nutro per te, in silenzio, ormai da un tempo che mi pare infinito.
Assurdo, considerando che questi anni dovrebbero essere per me alla stregua di granelli di sabbia. Una piccola manciata di giorni, in quella spiaggia che è la mia eternità.
Eppure ogni istante è stato pregnante, doloroso, dolce, angosciante, meraviglioso… perché l’ho condiviso con te, facendo i conti con i tuoi rifiuti ignari, con la tua tenerezza, con il tuo bisogno di proteggermi che, mi ha sostenuta e illusa, al contempo.
Perché ho preferito covare quella speranza, che accettare quella realtà.
E quando quella maledetta speranza veniva infranta, da un tuo gesto e da una tua parola, il mio cuore andava in pezzi con essa ed io mi nascondevo al di là di quella rabbia, con la quale ti ho ferito tanto spesso.
Mi dispiace.
Affidare ad una lettera, queste confessioni, è molto più semplice.
Forse da vigliacchi, ma mi consolo con l’idea che non avrei potuto fare altrimenti. Perché non so dove tu sia e neppure se prima o poi tornerai. Non so se stai bene, benchè Alice mi appaia piuttosto tranquilla e questo mi fa ben sperare. Ma la tua mancanza grava su di noi, su tutti noi, che non desideriamo altro che riabbracciarti.
Con questa confessione io non ti chiedo nulla, se non di comprendermi.
Non voglio il tuo amore.
Cioè… vorrei il tuo amore, ma so di non poterlo pretendere. Quindi mi limito a donarti queste parole, con l’imbarazzo che in me destano, semplicemente per permetterti di capire  il perché di molte mie azioni, sebbene questo non giustifichi l’infantilismo dei miei gesti.
E’ stato difficile, è difficile.
Lo è stato il non poter parlare a te, di ciò che provavo, erigendo tra di noi quel muro necessario. Quella maschera che mi avrebbe permesso di preservarmi, di salvarmi da una delusione che non volevo affrontare, comunicandoti ciò che sentivo per te.
Ma ora a cosa può servirmi nascondermi, se tu non sei qui?
Preferirei venire a patti con la consapevolezza che tra noi non ci sarà altro che fraterno amore, ma poterti avere comunque al mio fianco, come quella sorellina che sono per te.
Mi basta questo.
 
Tua Bella.
 
 
Deglutii a fatica, osservando la lacrima scivolata sul foglio, su quelle parole frettolosamente scritte ora macchiate dalla mia debolezza, dalla vulnerabilità che avvertivo e che tentava di soffocarmi. Mi sentivo sciocca a rileggere quella lettera, quelle frasi incapaci di trasmettere la mia angoscia, la paura che mi attanagliava lo stomaco, la consapevolezza Edward avrebbe potuto desiderare di non essere più parte della mia vita. Di me.
Avrebbe potuto abbandonarmi per sempre e, per chi gode dell’eternità, il “per sempre” è un tempo troppo lungo. Ed io sarei stata costretta a portare su di me i segni di quelle ferite che non si sarebbero mai rimarginate. Avrei sempre atteso, forse invano, il suo ritorno, illudendomi di scorgere la sua figura al di là della finestra. Il rombo della sua auto, quella Volvo parcheggiata in garage dalla sua fuga. Il suo profumo, quello dolce e rassicurante che mi circondava al mio risveglio, quando ero solo una bambina.
E quelle parole avrebbero potuto solo peggiorare la situazione.
Avrebbero potuto condannare tutte le mie speranze in un soffio. O almeno questo è ciò che mi ripetei, mentre ripiegavo il foglio, con cura, convincendomi della follia che sarebbe stata, affidare ad Alice quella confessione. Edward sarebbe stato a conoscenza del mio amore.
Ma cosa avrei fatto se, pur sapendo, avesse deciso di non fare ritorno?
Come avrei potuto sopportare tutto questo?
Semplice, non avrei potuto.
Ed è per questo che portai nuovamente il mio sguardo contrito su quella lettera che non avrei mai consegnato e che mi limitai a riporre in un cassetto, al di sotto della montagna di appunti e quaderni di scuola.
Quella stessa lettera che, il giorno seguente, era svanita nel nulla.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Shinalia