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Autore: nightswimming    15/02/2012    4 recensioni
Svegliati, Dom, al mondo non esistono i buoni samaritani. Specialmente quando si tratta di sesso. Non l’ha fatto per altruismo, l’ha fatto perché lo voleva quanto se non più di te.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Dom. -
Impegnato. Ma certo, era tutto troppo bello per essere vero.
- Dom! –
Un ex compagno di classe di Emma… Impegnato.
- Dominic Howard, cazzo! –
Solo io riesco a toccare il fondo in questo modo.
- DOM!!! –
 
Si lasciò sfuggire un verso spaventato e perse la presa sulla bottiglia, riuscendo a salvare lo shaker per miracolo. Un rumore di vetri infranti e la spiacevole sensazione di bagnato sulle scarpe lo scossero del tutto dai suoi pensieri.
Quello, oltre ovviamente alle urla ferine del suo socio in affari.
- Porca troia, sei diventato sordo o che cosa? – gli gridò infuriato Tom dall’altro lato del bancone, sporto con la metà superiore del corpo fuori dal loro ufficio. Sventolava per aria la cornetta del telefono come fosse un gonfalone di guerra. – Rispondi a questo rompicoglioni e io pulisco il casino che hai fatto. – Dom lo guardò con un’espressione ancora leggermente confusa in faccia, udendolo a malapena al di sopra della calca. Era l’orario di punta e il locale era pieno all’inverosimile.
– Dom, santo Dio, devo venire a prenderti a calci in culo?! –
Annuì meccanicamente, spinse il cocktail riuscito alla bell’e meglio di fronte a una bella ragazza dai capelli neri e la gonna succinta che non aveva fatto altro che fargli l’occhiolino per tutta la sera e corse dentro all’ufficio acchiappando la cornetta a mezza via.
- Dobbiamo parlare. – gli sibilò minaccioso Tom, rivolgendogli un’occhiata autoritaria prima di lasciare la presa sul telefono e rimpiazzarlo di corsa al bancone.
Dom sospirò e attaccò l’orecchio al ricevitore.
 
*
 
Tom chiuse la porta alle proprie spalle e si allentò la cravatta con un sospiro stanco.
- Detesto i sabati sera. – grugnì cercandosi in tasca il pacchetto di sigarette e accendendosene una.
- É da quando faccio questo lavoro che non riesco a sopportarli. –
Dom, seduto in poltrona dietro alla scrivania, emise un solidale quanto distratto verso di assenso.
Tom socchiuse gli occhi e gli rivolse uno sguardo penetrante. L’amico se ne stava sdraiato mollemente sullo schienale, il viso stanco e tirato, giocherellando con le proprie dita.
- Dom. – Gli lanciò il pacchetto si sigarette e l’accendino. Lui li prese al volo, sospirando: Tom non gli offriva mai una sigaretta a sproposito. Era il tacito segnale dell’inizio di uno sfiancante interrogatorio. – Dobbiamo parlare. – ripetè, deciso.
Dom tirò una lunga boccata e sorrise rassegnato.
Appunto.
- Fatti sotto, Kirk. – lo provocò gentilmente.
Tom andò a sedersi di fronte a lui sulla scrivania con una gamba a penzoloni e si sfilò la cravatta.
Dominic lo conosceva dal liceo: era il suo migliore amico, e lo era rimasto anche dopo dieci anni di lavoro gomito a gomito sei sere alla settimana. Era un bell’uomo – agli antipodi del gusto di Dom, ma obiettivamente un bell’uomo – e costituiva la metà tosta e aggressiva della loro associazione in affari. Senza la sua determinazione e la sua testardaggine, Dom, poco competitivo di natura e incline al quieto vivere, non ce l’avrebbe mai fatta a mandare avanti quel posto con lo stesso successo.
Thomas Kirk era in poche parole una macchina da guerra con uno strabiliante senso degli affari e la passione per gli alcoolici e le belle donne. Dom aveva fatto outing prima con lui che con la sua famiglia – un’azione kamikaze, se ci pensava ora in restrospettiva – aspettandosi una reazione imbarazzata e una successiva conversazione sgradevole, per non parlare di un eventuale allontanamento; ma l’amico non aveva fatto una piega. Gli aveva chiesto incredulo se davvero per lui non cambiava niente e lui gli aveva risposto che sì, cambiava in meglio, perché con un migliore amico finocchio tutta l’attenzione femminile sarebbe stata dirottata su di lui per contrasto, e subito dopo gli aveva accennato l’idea di cominciare un’attività insieme dopo la scuola.
- Ti chiederei se c’è qualcosa che non va perché ti ho visto con i miei occhi passare la sera a ignorare una figa pazzesca che aveva come unico scopo quello di  infilarsi nelle tue mutande – ma!, dando ormai per acclarato il fatto che tu giochi per l’altra squadra e  trascuri orrendamente donne favolose che poi grazie al cielo vengo a piangere sulla mia spalla, non sarò così banale e stupido. -
Sorrise, accettando con un breve cenno grato della testa il bicchiere di vino che lui gli versava. Erano passati quasi quindici anni e se alcune cose erano cambiate – molte in meglio, come aveva giustamente profetizzato l’amico – altre erano rimaste confortantemente uguali.
La sua falsa omofobia esibizionista, ad esempio.
- Sapevo che eri diverso, Tom. – tubò sbattendo le ciglia nella sua direzione.
Tom inorridì.
- Questa – cominciò, indignato, - è la risposta più che gay che io abbia mai sentito. –
- Beh, tutto torna, allora, visto che io sono gay. –
Lo sentì emettere un “psh psh” critico con le labbra.
- Mi chiedo come tu riesca ancora a infinocchiare tutte queste donne… ops, scelta di parole infelice. –
- Vaffanculo. – rise Dom, spegnendo la sigaretta nel posacenere.
- Non sembri gay. Sei infido. – proseguì lui, ridacchiando a sua volta.
Dom fece filosoficamente spallucce.
- Devi tenere presente, Tom, che la tua immagine dell’omosessualità coincide con quella del trasvestitismo. Nella tua testa tutti i gay assomigliano al protagonista del Rocky Horror Picture Show. –
Tom mise le mani avanti come per respingere fisicamente quel pregiudizio.
- Non è vero! –
- Saresti più a tuo agio se io servissi al bancone sommerso da boa di struzzo viola. Ti tornerebbero di più i conti. –
Tom rise di gusto e lanciò uno sguardo all’amico, che si dondolava sulla poltrona girevole con un’espressione di ilarità malinconica sul viso.
Sospirò.
- E’ da quando avevi diciannove anni che non rompi più una bottiglia, Dom. – cominciò cauto, occhieggiando l’amico: guardava il soffitto con aria assente.
L’ufficio, ora che il locale era chiuso e se n’era andato pure l’ultimo cameriere incaricato di controllare e chiudere la cassa, era silenziosissimo. Il fumo delle loro sigarette stazionava a mezz’aria illuminato dalle due lampade della scrivania, mentre il resto della stanza era immerso nella penombra. Entrambi erano esausti a causa del lavoro e inclini a rilassarsi per qualche minuto l’uno con l’altro, perlando del più e del meno, prima di andare a crollare nei loro letti, come facevano ormai ogni sera da anni.
Tom sperava che l’amico fosse dell’umore giusto per le confessioni. Erano giorni che sembrava uno zombie e lui in tutta sincerità non riusciva a farsi venire in testa nemmeno una spiegazione plausibile.
- Mh mh. – confermò piano Dom.
- E’ successo qualcosa in famiglia? Emma sta bene? I tuoi- -
- Se non è possibile finire schiacciati sotto il peso della propria stupidità, allora no, direi che Emma sta bene. – ridacchiò passandosi una mano sugli occhi. Tom sorrise furbo.
- Sempre così critico…Emma è una ragazza deliziosa. Alle sue tette manca solo il dono della parola. –
Dom emise un verso disgustato.
- Tom, per favore. –
- A Sua Altezza reale gay fa schifo sentire parlare di cose così spudoratamente eterosessuali?... –
- Sì, se le cose spudoratamente eterosessuali riguardano sua sorella! –
Tom si accese un’altra sigaretta con un gesto pratico.
- Una cara ragazza, ripeto. –
- Come tu possa avere una buona opinione di lei senza esserci andato a letto è un mistero. Pensavo fosse il tuo principale criterio di giudizio. –
- E’ la sorella del mio migliore amico. E’ sacra. E’ tabù. –
Dom inarcò un sopracciglio in un gesto eloquente.
- Sì, come no. – disse scettico. Tom assunse un’espressione offesa.
- Ehi, è vero! Non la toccherei con un dito. –
- Ma con qualcos’altro sì, però. –
Tom trasalì, punto nell’onore.
- Ah, e così io non posso neanche nominare le sue tette, mentre tu che sei il fratello puoi dire tutte le porcate che vuoi! Mi sembra giusto! – lo accusò sventolandogli la sigaretta sotto il naso.
Dom sollevò innocentemente i palmi delle mani verso l’altro.
- Io ho detto “qualcos’altro”, non ho specificato. –
- Che checca infida. –
Ridacchiarono entrambi quietamente. Dom si mise a pensare fra sé e sé: bene, avevano passato la fase delle battute sulle tette di sua sorella. Secondo i suoi calcoli ora si sarebbe dovuti arrivare al sodo.
- E’ successo qualcosa oltre il bancone? –
Bingo.
Oltre il bancone era il nome in codice per tutto quello che non era la famiglia e non aveva a che fare col lavoro: le relazioni sentimentali, in poche parole. Ma Tom non avrebbe mai e poi mai introdotto l’argomento direttamente, o, per usare parole sue, “in maniera così gay”.
Dom tentò di prendersi tempo lisciandosi le pieghe della camicia sul petto.
Se era successo qualcosa? No, assolutamente nulla - aveva soltanto vissuto il momento più erotico nella sua vita chiuso nel bagno di casa sua con uno sconosciuto che aveva a malapena baciato e di cui non sapeva niente, se non che si chiamava Matthew, che era maledettamente fidanzato e che aveva avuto la sfortuna di passare cinque anni in classe con sua sorella.
E che aveva gli occhi più belli che avesse mai visto in vita sua. E il sorriso più affascinante. E la pelle più morbida. E-
- Gesù, fantasticherie omosessuali a briglia sciolta. Le riesco quasi a vedere attraverso la tua testa. –
Dom scosse il capo, arrossendo e tentando di rispondere con qualcosa di sdrammatizzante. La mascella di Tom precipitò al suolo di un metro buono.
- Sei. Arrossito. –
Dom cominciò a sudare freddo.
- Oh, Tom, andiamo- -
- Mio. Dio. –
- Tom.
- E’ una cosa seria, Cristo santo! L’ultima volta che ti ho visto arrossire è stato quando mia madre ti ha chiesto se pensavi di sposarti in chiesa! –
Dom ridacchiò suo malgrado al ricordo. Quella particolare conversazione con la signora Kirk si era rivelata alquanto divertente.
- Povera donna. Le ho spezzato il cuore. –
- Più che a lei, a mia sorella. Penso non si sia ancora ripresa dalla notizia. –
- Credevo glielo avessi già detto tu di persona! –
- La fai facile, tu! “Ah ciao Helen, come ti va, lo sai che al ragazzo di cui sei innamorata da quando avevi tredici anni piace il-”
- Tom!
- Ok, basta. Non deviare la conversazione. Chi è il – signore Iddio – il… il… fortunato?... –
Dom lo osservò con estrema soddisfazione boccheggiare come un pesce rosso durante tutto il suo tentativo di approccio casuale e disinvolto all’argomento.
Ripensò al bagno. Al suo sguardo timido e invitante insieme. A quel collo che si piegava all’indietro con un movimento squisito. A quelle mani dai polsi sottili che lo avevano stretto con una forza inaspettata. Al bacio più intenso e passionale della sua vita.
Sorrise.
- Si chiama Matthew. – sussurrò, gustandosi il suono di quel nome che gli sembrava bello quanto il suo proprietario.
Tom assunse un’espressione pensierosa.
- Mmmh. Dev’essere stato assolutamente strabiliante a letto, per farti sorridere in quel modo al ricordo. –
Dominic arrossì ancora e l’amico cominciò a temere seriamente il peggio.
- Non… Non ci sono andato a letto. – mormorò con qualche difficoltà.
Tom spalancò gli occhi come se gli fosse appena comparsa una macchina in corsa davanti.
- Non mi dire che stai davvero diventando uno di quelli che distingue fra scopare, andare a letto e fare l’amore perché- -
- No, non me lo sono scopato. Non ci sono andato a letto. Non ci ho fatto l’amore.– chiarì in tono frustrato, lasciandosi andare indietro sulla sedia con le mani fra i capelli. – Cazzo. – aggiunse, per buona misura.
Tom si sedette in maniera più comoda e tentò di fare il punto della situazione – a suo modo.
- Su col morale, Howard, non è sempre domenica. Come minimo deve averti fatto il pompino della tua vita. –
Dominic cercò disperatamente di non immaginarsi la scena davanti agli occhi e ovviamente fallì, tingendosi di un rosso acceso in ogni parte visibile del suo corpo.
- No. – piagnucolò, sfregandosi gli occhi con una mano.
- No, non il pompino della tua vita? –
- No. –
- Beh, almeno accettabile, spero, perché altrimenti… –
- No. –
- Come no?! –
- No al pompino! Non me l’ha fatto, dannazione! Non abbiamo fatto niente di niente di niente!! –
Si immobilizzò all’istante. Aveva quasi urlato.
Tom sembrava sul punto di svenire.
- Sei davvero Dominic Howard?... – chiese dopo attimi di silenzio esterrefatto.
Dom chiuse gli occhi e si prese la testa fra le mani, lasciandosi sfuggire un lamento.
- Non è successo niente, Tom. – ripetè,  le tempie che gli pulsavano. – Ci siamo fermati perché… perché mi ha detto che era fidanzato. Che non poteva. –
Respirò forte attraverso il naso e rialzò la testa. Tom si era alzato in piedi e stava bevendo direttamente dal collo della bottiglia.
Guardò il suo pomo d’Adamo andare su e giù un bel numero di volte, in attesa, come ipnotizzato.
Finalmente l’amico si pulì le labbra con una mano e gli puntò addosso la bottiglia vuota come un’arma.
- Tu – gli disse gravemente con lo sguardo fisso nel suo, - sei nella merda. –
 
*
 
Matt aprì e chiuse gli occhi diverse volte. Non era sicuro di aver capito bene.
- Può ripetere il nome dell’autore, mi scusi?... – chiese educatamente aprendo la schermata di ricerca sul computer. La massiccia donna di mezza età dietro al bancone si pizzicò con un gesto spazientito i pesanti leggings invernali all’altezza della coscia e gli rivolse un’occhiata critica.
- Hermès. E’ uno scrittore, scrive libri, dovresti conoscerlo, no? Non lavori mica in una libreria? –
Matt arrossì. Riusciva a percepire lo sguardo dispiaciuto di Andy fisso sulla propria nuca, mentre dall’altro lato del negozio serviva altri due clienti decisamente più facili di quello che era capitato a lui.
- Signora, mi spiace, nessun risultato combacia. – mormorò, schiarendosi la voce per tentare di assumere un tono più sicuro. La donna sbuffò teatralmente. – Non è che le viene in mente qualche titolo d’opera che possa aiutarci? –
Lei lo guardò come se le avesse appena chiesto di accompagnarlo in bicicletta sulla luna.
- E che ne so! Sei tu che devi aiutarmi, non io! –
- Ma, signora, sarà pure interessata a un libro in particolare- -
La vide appoggiare la sua enorme borsa pitonata sul bancone e sciogliersi la coda per poi rifarsela con un movimento insofferente.
- Mio figlio mi ha detto che è il suo scrittore preferito. Prendo un libro qualsiasi. Se non gli va bene, la prossima volta si arrangia e si compra il regalo di compleanno da solo. –
Matt sentì un’improvvisa compassione per il figlio di quella virago ultracinquantenaria vestita come una tredicenne.
- Aspetti solo un momento. Vado a chiedere dietro. – disse, tentando di nascondere un sospiro.
Mostrò un pollice alzato a Andy per non farla preoccupare e corse su per le scale che portavano alla scrivania del suo capo, il signor Touchett. Era occupato a sbraitare nel telefono: gli fece il gesto convenzionale per “cliente difficile” – un dito teso che andava a tagliargli metaforicamente la gola – e aspettò pazientemente che lui finisse, lambiccandosi nel frattempo il cervello in cerca di una soluzione.
Venne risvegliato dai suoi pensieri da una cornetta che veniva calata sulla scrivania come un’ascia.
- Che irritante segaiolo. – grugnì il suo capo, accendendosi la pipa proprio sotto il segnale appeso sulla sua scrivania che vietava di fumare all’interno di spazi lavorativi comuni. Matt annuì in tacito assenso.
- Il fornitore? – chiese pur sapendo già la risposta.
- E chi altri, sennò? Con le sue giustificazioni sul ritardo delle consegne posso farci quello che tu puoi bene immaginare. – Matt annuì di nuovo, solidale. – Problemi, ragazzo? – chiese, ingentilendo impercettibilmente il tono.
Matt lavorava alla libreria Touchett da cinque anni. Era ormai riuscito nell’impresa impossibile di guadagnarsi la fiducia di quel vecchio insopportabile e autoritario che, fino all’impianto dell’ultimo bypass, aveva goduto a terrorizzare i suoi dipendenti fino alle lacrime; poi, sotto pressante invito del suo dottore di fiducia, aveva cominciato a moderare i toni per evitare di farsi scoppiare il cuore ogni volta che urlava come un pazzo contro il malcapitato di turno.
Ma fra tutte le sue vittime quel ragazzo timido e magrolino gli aveva sempre ispirato una strana forma di rispetto. Silenziosamente, era uno che teneva testa – e questo il signor Touchett lo apprezzava. In più aveva una ferrea etica del lavoro ed aveva imparato ben presto a correggere una propensione per il ritardo che gli era quasi costata il posto nelle prime settimane in negozio.
Era rispettoso, ma non asservito; era diretto ma non maleducato. Ci aveva messo poco a diventare il suo prediletto.
- Hermès, signore. Mai sentito nominare. Una signora di sotto sta tentando di togliermi la pelle. –
Il signor Touchett si accarezzò i radi capelli bianchi.
- Non esiste. – dichiarò in un tono che non ammetteva repliche.
Matt aggrottò le sopracciglia.
- Ma - -
- Se non l’ho mai sentito io, fidati, non esiste. –
- Temo che glielo dovrà dire lei. A me non dà abbastanza credito. –
Il signor Touchett sospirò e si stava già alzando con qualche fatica dalla scrivania quando Matt proruppe in un sonoro “ah!”.
- Che c’è, ragazzo? –
Le labbra di Matt si stirarono in un largo sorriso di trionfo.
- Non Hermès – cominciò, euforico, - Hermann Hesse! Quell’idiota non ha capito il nome! –
Il signor Touchett gli rivolse un ghigno divertito e Matt, rendendosi conto di quel che aveva appena detto, sbiancò.
- Scusi, non intendevo - -
Ma il suo capo agitò una mano in aria per zittirlo.
- Bravo, ragazzo. Rifilale la copia più rovinata che abbiamo di Siddharta e augurale di morire ammazzata da un foulard del suo prezioso Hermès. –
- Sì, signore. –
- Ti concedo di essere più colorito. –
Esplose in una risata rauca vedendo il viso di Matt illuminarsi all’idea.
 
*
 
- Andy. –
- Mh. –
Si bloccò, rimanendo per qualche istante a fissarla mentre lei divorava una forchettata di spaghetti grande quanto il suo panino.
- Che c’è, Matt? – bofonchiò lei con la bocca piena e il mento coperto di pomodoro, istigandolo ad andare avanti.
- Ehm… -
Mi sono innamorato.
- Matt, la pausa pranzo dura solo un’ora. Vedi di deciderti. –
Mi sono innamorato di un uomo.
- Attenta, ti è andata una treccina nel sugo. –
- Ah, grazie. Allora? –
Mi sono innamorato di un uomo che è stato la tua cotta di quando avevi sedici anni.
Si rigirò il tramezzino al tonno fra le mani, incerto. Stavano mangiando il pranzo che si erano portati da casa nel parco in fondo alla via dove lavoravano, ingurgitando un boccone dopo l’altro in fretta e furia per essere poi in grado di concedersi una lunga pausa caffè seduti a un tavolo vero e proprio.
Andy si pulì attentamente le labbra con il tovagliolo, facendo attenzione a non colpire il piercing fatto di fresco. Matt ripensò a quella disgraziata volta in cui le aveva dato retta e aveva tentato di rinnovare il suo look: si era ritrovato con i capelli rosso semaforo e un tatuatore alto due metri che minacciava di volergli ricalcare ad inchiostro le vene delle braccia.
Si sentiva spesso così scialbo, così nella norma, così insignificante accanto a lei – forse perché Andy era molto bella, oltre che decisamente appariscente, mentre lui no - ma non aveva mai avuto il coraggio di cambiare il proprio aspetto per adeguarlo a quell’idea di sé un po’ più spericolata che aveva in testa.
 Non sapeva perché. Sentiva di non aver mai trovato un motivo vero per farlo.
- Ti ricordi la festa di Glen? – chiese dal nulla, azzardando un altro morso a quel panino che ormai lo nauseava. Andy aggrottò le sopracciglia, stupita, e annuì.
- Sì, certo che mi ricordo. Ero finita a rotolarmi coperta di fango nel giardino dietro casa sua, dopo che aveva cominciato a piovere ed eravamo usciti per tentare di riparare il grill. Se penso che ci sono ancora le foto… -
Matt ridacchiò divertito.
- Hai reso felice una quantità incredibile di uomini togliendoti la maglietta, quel giorno. –
- Sì, insomma. Che c’è che vuoi dirmi riguardo alla festa di Glen? –
Andy lo vide arrossire in maniera consistente sul collo.
- Ti… Ti ricordi che a un certo punto ballavamo tutti? –
- Sì. –
- E che tu sei finita a ballare con Jessica e io con il suo fidanzato, che non mi ricordo neanche più come si chiama… -
- David. –
- Ecco, David. – Deglutì, a disagio. Andy lo fissava con uno sguardo incoraggiante. – Ti ricordi che ti avevo detto che mi era piaciuto, ballare con lui? –
Andy socchiuse gli occhi.
- Che stai tentando di dirmi?... –
Non lo so, non lo so!!
Si piegò in avanti sulla panchina, come se un peso enorme lo trascinasse a terra, e si prese la testa fra le mani.
- Ha a che fare con il motivo per cui te ne sei voluto andare via in fretta e furia da casa di Emma, vero? –
Dannata fricchettona telepata.
Rialzò lo sguardo su di lei. Sorrideva entusiasta, tormentandosi eccitata il piercing con la lingua.
- Non me lo dire. – sussurrò, saltellando sulla panchina.
Ho baciato un uomo.
- Andy… -
Ho baciato un uomo!...
Lei aveva preso a strattonargli la manica della giacca.
- Chi è, chi è?! Devi dirmelo! –
Le lanciò un’occhiata quasi colpevole. Lei si immobilizzò di colpo, la bocca che descriveva una O di perfetto stupore, incredula.
- Tu…! – cominciò, scoppiando a ridere. – No, non lui, non è possibile! –
Matt si maledì per aver solo pensato di cominciare quella conversazione.
- Ecco perché non ti si trovava più a un certo punto! Hai capito Matthew Bellamy che zitto zitto si fa il tipo più figo del - -
Matt emise un mugolìo sofferente.
- Andy, ti prego. Sto ancora cercando di metabolizzare la cosa. –
Lei non sembrò minimamente dargli ascolto.
- Com’è stato? – chiese, ancora in uno stato di febbrile agitazione.
Matt non potè fare a meno di sorridere.
- E’ stato… -
 
*
 
- …Bellissimo. – concluse Dom in tono sognante.
Una selva di strilletti estasiati si levò dal pubblico quasi esclusivamente femminile, mentre Tom si faceva il segno di mettersi due dita in gola.
Robin, una delle loro cameriere più di vecchia data, spostò la sedia più vicino a lui gli diede una leggera gomitata sul fianco.
- Non credere che ci accontenteremo di così poco! – dichiarò battagliera, e il resto del personale seduto attorno al tavolo per la cena rincarò la dose con una piccola salva di applausi. Dom lanciò uno sguardo mezzo disperato mezzo divertito a Tom, che mangiava seduto sul bancone con le gambe a penzoloni: la sua risposta fu un schietto “cazzi tuoi” suggeritogli col labiale.
Rialzò lo sguardo sui suoi dipendenti. Erano una bella squadra, e alcuni lavoravano lì sin dall’apertura del locale. Cenavano tutti insieme ogni sera prima di attaccare col turno delle 7.30 – 2 e col passare del tempo era inevitabile che si fosse creato quel clima di complicità e di confidenza.
Senza tralasciare il fatto che lo staff femminile impazziva per quel capo bello e gay che non aveva mai provato a toccar loro il culo nemmeno una volta ed era sempre gentile e sorridente.
- Non c’è molto da dire. – Un coro di “buuu” gli fece capire che quella tattica non funzionava. Dominic ridacchiò e andò avanti. – Pochi giorni fa ho aiutato mia sorella a organizzare una rimpatriata della sua vecchia classe del liceo e appena l’ho visto mi è piaciuto subito. Parlava sempre con una sua amica, e non sapevo assolutamente in che modo avvicinarlo, quando a un certo punto si è alzato per versarsi del whisky e io gli ho chiesto se ci voleva dell’acqua insieme. –
- Che tecnica di rimorchio originale, per un barista. – commentò piattamente Tom, e tutti scoppiarono a ridere. Dominic gli rivolse un’espressione acida.
- Avrei voluto vedere te al mio posto, mister me-le-scopo-tutte-la-prima-notte. – Tom fece un piccolo inchino nella sua direzione e si accese una sigaretta. - Comunque, lui ha detto di sì e ci siamo seduti a parlare. Non mi ricordo niente di quel che ci siamo detti perché non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Non lo so, non mi era mai successo prima… Pensavo che ogni particolare del suo viso fosse interessantissimo, che ogni suo gesto e risata e occhiata fosse affascinante… -
 
*
 
- …Non capivo più nulla, insomma. Ho detto delle cose senza senso. Mi sembrava strano tutto quello che stava succedendo – continuavo a dirmi che era bellissimo ma che era gay e che insomma se pensavo che fosse bellissimo allora anch’io ero gay e poi mi è tornato in mente David e… Un disastro. –
Rialzò lo sguardo su Andy: pendeva letteralmente dalle sue labbra. Stava persino trascurando i suoi spaghetti per poterlo ascoltare meglio.
- Poi, beh, mi ha detto quella cosa e sono entrato in paranoia. –
Andy alzò le sopracciglia in un’espressione saccente.
- Tu, che entri in paranoia?... Ma quando mai. – Ignorò il borbottìo offeso che usciva dalla sua bocca e tornò a tirargli la manica della giacca. – Quale cosa? –
 
*
 
Dominic rivolse uno sguardo pieno di suspence alle tre teste femminili che si erano chinate verso di lui in febbrile attesa.
- Non… Beh, a un certo punto lui si è messo a fissarsi le scarpe e io non sapevo più cosa fare, così gli ho chiesto se per favore poteva guardarmi negli occhi – lui mi ha detto di sì, io gli ho detto come un coglione “to’, guarda, non sono verdi, sono azzurri” anche se lo sapevo benissimo e lui mi ha risposto “sì, sono azzurri” ed è arrossito in una maniera così adorabile che io mi son ritrovato a dirgli che li trovavo bellissimi. – Si interruppe. Robin, Elsa e Jill sembravano congelate in una maschera di stupore. – I suoi occhi. – specificò esitante, confuso dalla loro reazione.
Tempo un secondo e tutte e tre avevano cominciato a urlare come delle pazze.
- Nessun uomo mi ha mai detto che trovava bellissimi i miei occhi al primo appuntamento! – proruppe Elsa in tono lamentoso, picchiando affranta i pugni sul tavolo. Dominic fece spallucce con un’espressione colpevole come a dire “mi dispiace” e Tom alzò lo sguardo al cielo.
Jill fu la prima a riprendersi da quello sfogo e tornò a rivolgere la sua attenzione al racconto.
- E poi? –
- E poi… - Dominic arrossì piacevolmente al ricordo. – E poi lui mi ha detto che era buffo perché la prima cosa che aveva pensato di me era che non aveva mai visto degli occhi come i miei. Che non credeva che gli occhi grigi esistessero davvero. –
Un lungo, commosso “aaaaaaw” si levò dalle sue spettatrici, che sembravano tutte aver bisogno di fazzoletti.
- Mio Dio, mi viene da vomitare. – sbottò Tom, spegnendo la sigaretta nel posacenere con una smorfia. Dom fece in tempo a intercettare un suo minuscolo sorriso prima che lui si alzasse per andare in ufficio a prendere le chiavi per aprire il locale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: ben ritrovati a tutti quanti <3 ecco la prima parte del secondo capitolo, che è lungo un’eternità e che ho deciso di dividere in due parti per agevolarne la lettura.
Un enorme grazie a Lilla, Matsi e Lilla Wright per le bellissime recensioni. Vi risponderò singolarmente al più presto, ma sappiate che avevo un sorrisone a trentadue denti mentre le leggevo :*
A presto!
 
 
 
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