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Autore: V e r m o u t h    16/02/2012    2 recensioni
Questo è un racconto che comincia con le singole storie di ciascun personaggio, che poi, come magicamente, si incrociano, incatenati da un’unica grande passione: la musica. Un cantante notturno, un pasticcere, uno psicologo, un barista e uno studente universitario, un unico sogno, un incontro scritto dal fato, un obbiettivo quasi irraggiungibile, ma non impossibile.
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nordici
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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TINO VÄINÄMÖINEN
PARTE I




Era un monolocale in un palazzo che si affacciava su Merikatu, davanti al porto.() Le pareti bianche riflettevano la luce del primo sole, donando alla stanza un’illuminazione stupenda. Era spoglia e conteneva solo l’essenziale per vivere: un bagno, i fornelli, il forno a microonde, una lavatrice, un tavolo su cui erano sparsi degli spartiti e dei fogli scritti in versi e un barattolo con dentro una penna, una matita smangiucchiata e una gomma quasi completamente consumata, infine una chitarra acustica appoggiata ad una sedia. Addossato alla parete un letto con una struttura in metallo. Le coperte erano rigonfie e da una loro estremità spuntava un piede nudo; da quella opposta una testa, il volto pulito e candido, i capelli biondi scompigliati sulla fronte rilassata, che si crucciò quando il fracasso della sveglia delle undici rimbombò fra le pareti bianche.()Una mano spuntò dalla brandina, tastando il pavimento e trovando finalmente l’odiato marchingegno, colpendolo con violenza sul capo, dove spuntava il tasto di spegnimento. Gli occhi si schiusero di malavoglia, infastiditi dalla luce accecante, scoprendo due iridi color nocciola. Si stiracchiò, facendo scricchiolare qualche ossicino ed emettendo un gemito; appoggiò i piedi per terra e si alzò sbadigliando, avanzando verso i fornelli con passo strisciato. Aprì la dispensa sopra e tirò fuori una caffettiera, il caffè macinato e una tazza con sopra disegnato uno pseudo-cagnolino. Quella tazza l’aveva avuta sempre con sé, da quando gliel’avevano regalata i suoi al suo decimo compleanno; era l’unico oggetto che lo legava al ricordo della sua famiglia. Sorrise piano.
Quando mise su il caffè, andò in bagno a soddisfare i suoi bisogni mattutini, come tutte le persone normali; mentre si sciacquava la faccia, sentì la caffettiera gorgogliare. Si asciugò la fronte e uscì, spegnendo il fornello e versando il caffè fumante nella tazza. Un rumore simile ad una vibrazione provenne dal letto, ripetutamente. Il ragazzo si girò, recuperando il cellulare inabissato nelle lenzuola, guardò lo schermo, schiacciò un pulsante e lo portò all’orecchio, tornando alla sua tazza, cominciando a versarvi latte e zucchero.
«Pronto?»
-Tino, si può sapere dov’eri finito?! È da tre ore che cerco di rintracciarti!- Il ragazzo allontanò il cellulare dall’orecchio, infastidito dalla voce trapanante che gli stava perforando il timpano.
«Ero al cesso. E non chiamarmi Tino.»
-Sì, sì, va bè. Volevo dirti che stasera ti abbiamo spostato il concerto, vengono dei ragazzi di un gruppo jazz, quindi non saprei dove e quando piazzarti.-
Tino sorseggiò un po’ del suo caffelatte, stando in silenzio.
«Non c’è problema, canterò domani.»
-Per adesso non lo so, dobbiamo rifarti tutto il calendario, quando ce l’ho pronto ti avviso.-
«Va bene, Danny.»
-A presto, allora. Ci sentiamo.-
La chiamata fu interrotta dal “tuu” del segnale perso. Tino stette lì immobile, la tazza appoggiata sulle labbra, l’odore del caffè che gli scaldava le narici. Staccò il telefono dall’orecchio e lo lanciò sul letto, continuando a bere la sua colazione, girando senza meta nel suo monolocale. Si avvicinò al frigo e lo aprì annoiato, realizzando con sguardo stupito che era quasi completamente vuoto. Sospirò affranto e cominciò a spogliarsi, dopo aver finito il caffelatte con un ultimo sorso. Una maglietta semplice, un paio di jeans strappati, le scarpe e si avviò fuori, mettendosi una tracolla sulla spalla e infilandosi gli occhiali da sole. Chiuse la porta, due giri di chiave e scese le scale.
Era una normalissima mattina di metà luglio e il sole picchiava forte, alleviato dalla brezza fresca del nord, che proveniva dal mare; Tino abitava lungo Merikatu, davanti al porto: era un viale alberato, molto bello e assolato. Amava camminare fino al centro per fare la spesa, muovere le gambe lo rilassava, soprattutto con gli auricolari piantati nelle orecchie con la musica al massimo volume. Il piercing alla bocca sorreggeva una catenella che si agganciava ad un altro anello al lobo dell’orecchio sinistro, che si attorcigliava ai fili delle cuffiette, dandogli un leggero fastidio. Dopo che fece la spesa si sentì bene, pensando a tutte le cose buone che sarebbe riuscito a cucinare con i prodotti acquistati. Stava per tornarsene a casa, quando passò davanti ad una pasticceria che non aveva mai visto o notato. Doveva essere stata aperta da poco. Guardò la vetrina incantato, perdendosi in mezzo a quelle leccornie esposte. Era così imbambolato che non si accorse di avere la bocca semiaperta e la salivazione aumentata a dismisura. Dovette inghiottirla velocemente, per evitare che fuoriuscisse tutta. Si allontanò appena per alzare lo sguardo sull’insegna.
Gli bastò leggere “Dolci danesi” per partire in sesta e fiondarsi dentro come un tornado.
«Buongiornooo!» Lo accolse una voce squillante e a volume altissimo. Dietro al bancone stava un ragazzo che pareva più o meno della sua stessa età, era costellato di piercing alle orecchie più uno sotto il labbro e il grembiule da pasticcere non si sposava affatto su quello stile così alternativo. Gli occhi guizzanti e azzurri lo squadravano da cima a fondo, come se volessero trapassargli l’anima e scoprire qualsiasi suo segreto. Lasciò il bancone e si avvicinò a lui stringendogli energicamente la mano, scuotendolo con una forza mostruosa.
«Evviva, il nostro primo cliente! Benvenuto, benvenuto! Che cosa desidera? Abbiamo delle ottime Æbleskiver (N.d.A. Ciambelle fritte spolverate con zucchero) appena fatte e anche delle Fløderand (N.d.A. dolce ad anello ripieno di frutta cotta), come preferisci!»
Ma quel tizio era forse un cane?
Tino quasi poteva vederlo scodinzolare frustando l’aria come un forsennato.
«Emh, veramente io volevo dare un’occhiata e portare qualche dolce a casa...»
«Come, non vuoi fermarti ai nostri tavoli?» Piagnucolò con gli occhi lucidi.
«Non posso, devo prepararmi il pranzo...»
«Allora la prossima volta starai qui!»
«Ma...»
«Mathias, smetti di importunare i clienti, poi ci credo che scappano!»
La voce fanciullesca di una ragazza spuntò dalla cucina dietro il bancone, teneva in mano un cucchiaio di legno sporco di farina e uova, il grembiule macchiato le dava un aria molto carina e divertente, i capelli dorati scendevano sul petto legati in una sinuosa treccia. Somigliava al ragazzo, anche negli occhi.
«Scusa sorellina è che sono molto emozionato! Abbiamo appena aperto e questo è il nostro primo cliente!»
«Salve, benvenuto! Perdona mio fratello, è un po’ matto. Accomodati pure se vuoi.»
«Veramente pensavo di comprare qualche dolce e poi andare a casa...»
«Ah, allora va bene. MAT! Vai al bancone e servilo, io devo tornare in cucina.»
«Sissignora! – ubbidì – Cosa desideri?»
«Vanno bene quei due che mi hai detto prima...»
«Oh, d’accordo, ottima scelta. Aaah, che caldo!» Il ragazzo si tolse il cappello da pasticcere, da cui esplosero per aria capelli simili agli aghi di un istrice, arruffati, ma impeccabilmente ritti.
Alla faccia dell’alternativo, questo qui è proprio cool! Tino rimase incantato, sia dalla bellezza che dall’originalità del personaggio, ma con gli occhiali da sole nascose tutto quello che sarebbe potuto trasparire dai suoi occhi.
«Torna a trovarmi presto, allora!»
«D’accordo, grazie!» salutando con la mano libera dalle borse, uscì dalla pasticceria, tornando in strada. La compagnia di quei due ragazzi lo fece stare stranamente bene, tutta quell’allegria, quell’energia... si era dimenticato ormai cosa volesse dire avere degli amici.
Lui veniva riconosciuto solo di notte.
Era una creatura d’ombra.
Quando calava il sole Tino tramontava e sorgeva Crow.
Avvolto in un manto di pelo lungo e nero che avvolgeva i capelli e il petto nudo.
Gli occhi e la voce seducenti.
Crow aveva i fan, aveva gli amici.
Tino non era nessuno.

  
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