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Autore: kazuha89    17/02/2012    1 recensioni
perchè non mi hai dato retta? perchè mi hai allontanato? perchè hai voluto combattere da solo? perchè mi hai urlato: heiji, impara a farti gli affari tuoi! perchè, shinichi, dimmi perchè? perchè...quel colpo, che era indirizzato a me..l'hai preso tu?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Heiji Hattori | Coppie: Heiji Hattori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sentivo in colpa. Ad aver saputo le cose che so adesso allora, me ne sarei stato zitto. Va beh che io non avevo chiesto niente, lo aveva fatto Goro. Beh avrei dovuto zittire lui, allora. Quel dottore..quel dottore ci aveva preso alla grande, altro che parere. La sua diagnosi era speculare alla realtà, lui l’aveva detto che sarebbe andata cosi.
Più mi guardavo intorno, più me ne convincevo. Una cosa fuori dal comune.
Lui aveva detto: la maniera di approccio a questa cosa varia da individuo a individuo.
Parole sante.
Ero lì, seduto nella cucina dove i dottori, tra un paziente e l’altro, scappavano a bersi un caffè o a schiacciare un breve pisolino ristoratore durante i turni di notte, e riflettevo, cercando ci ingoiare il biscotto che avevo appena messo in bocca.
Teoricamente, io che non ero un medico non avrei avuto accesso a quella stanza, ma dato che ormai erano tre giorni che ero chiuso in quel edificio, i medici mi diedero il permesso di usarla. Erano del parere che alla lunga, sempre in quella stanza, avrei finito con l’esaurirmi. Mai cosi lontani dalla realtà, belli miei.
Io non potevo esaurirmi, perché non ne avevo il tempo. Si, tre giorni, e nemmeno il tempo materiale a fondermi il cervello, mi era rimasto.
Dopo quella mattina, in cui Shinichi lasciò quel messaggio usando tutte le forze che gli restavano, gradualmente, tutto era andato a farsi benedire, compresi i miei colleghi vigilantes di Conan. Uno alla volta, li avevo visti sgretolarsi come castelli di sabbia.
Logico pensare che non ho riferito mai il messaggio di Shinichi. Come avrei potuto? Come spiegare che significava “fa che sia nel mio corpo” senza arrivare a spiattellare tutta la faccenda? No, troppa carne al fuoco, preferì lasciarli nel beneficio del dubbio. Ran riferì al popolo la versione dei nervi, e io la tenni in piedi, e nessuno ne parò più. Beh, nessuno, tranne me e Ai.
Per quanto mi odiasse, e percepivo il suo rancore uscire da lei come se avesse un profumo particolare, alla fine dovette accettare che se voleva parlare a qualcuno del reale avvenimento di quel giorno, io ero l’unica persona con cui poteva farlo.
Lo rispetto già adesso che nemmeno esiste ancora, il suo povero marito.
Ancora avevo da riprendermi dallo shock di quel fatto, che già lei con la delicatezza di un’incudine gettata dal 30°piano, era partita a mettere in piedi montagne di congetture:
“Non negativizziamo, adesso, rimaniamo lucidi..” ripeteva, la piccola mano candida a sorreggersi il mento, mentre passeggiava lenta avanti e indietro davanti alla mia poltrona, mentre io la osservavo assente, sgranocchiando i miei biscotti, che nemmeno parevano aver sapore.
“Ok. Shinichi non ama lasciare nulla al caso, è un perfezionista, lo sanno anche i sassi. Quindi, non escluderei che abbia solo voluto puntualizzare una cosa che pensava avremmo potuto dimenticare o tralasciare: lui non vuole morire nel corpo di Conan, ma nel suo.”
“Beh, mi sembra anche giusto..” dissi, inghiottendo il pugno di segatura travestita da frollino che avevo in bocca. “Pure tu non credo saresti felice di schiattare in quei pantaloncini con le margherite sulle tasche..”
Ai arrestò la sua marcia giusto il tempo di fulminarmi, poi riprese, meditabonda.”
“Si, credo di aver ragione. Era solo un fuoco di paglia..non è detto che sappia davvero di dover morire. No, per me ha solo messo le mani avanti, tutto qua..”
“Bene, e questa è fatta. Ora, che pensi di fare, a riguardo?”
Lei mi guardò, infastidita, come se la mia voce le risuonasse solo come un ronzio di mosca.
“Che vuol dire? Che dovrei fare?” chiese.
Io sigillai i biscotti, e li rimisi nella loro credenza.
“Beh, non è chiaro se sta davvero morendo, ma è chiaro cosa vuole se dovesse capitare..” dissi, stiracchiandomi. “Lui vuole il suo corpo. E tu sei l’unica che glie lo può ridare.”
“Secondo la tua vasta mente deduttiva, come accidenti faccio a dargli l’Apotoxina, se ha uno stramaledetto tubo infilato in gola? Sono capsule a filmino, le deve inghiottire!”
“Non puoi ridurle a una soluzione iniettabile?” le chiesi.
Lei denegò.
“La trasformazione non avviene per endovena, la sostanza nemmeno li tocca i vasi sanguinei, ne il sangue. L’alterazione molecolare intacca gli organi partendo dallo stomaco. Agisce come la maggior parte delle medicine in pastiglia, ma il sangue non lo tocca. Difatti, nelle analisi, non risulta la sua presenza, non è rilevabile. Il sangue non si altera ne muta come il resto del corpo. Persino il gruppo sanguineo rimane tale, come la morfologia del corpo, d’latro canto: il colore della pelle, dei capelli, delle iridi, la forma dei denti, i nei e le lentiggini. Tutto uguale, solo..ridotto. Un clone perfetto nel dettaglio di se stessi, più giovane.”
La osservai. Sapevo che aveva ripudiato quella gente, e aveva dimostrato la sua fedeltà alla nostra parte, ma non poteva nascondere chi era, nemmeno se lo voleva. Lei era nata con quella mente geniale, e il suo genio aveva l’effetto di una droga su di lei. Mentre parlava, si crogiolava nel suo stesso brodo, ubriacandosi con le sue stesse parole. Lei amava quello che era, quello che la sua mente era in grado di partorire, la sua genialità. E amava la sua creatura, l’Apotoxina. Per lei era come parlare di un figlio. L’amava davvero, anche se l’aveva messa inginocchio.
“Bene.” Dissi più che altro per tacitare quel monologo da genio malvagio. “Dunque non lo potrai aiutare..”
“No. Se continua ad aver bisogno del respiratore, il condotto orale sarà fuori uso, quindi niente antidoto..”
Il doc Agasa si era escluso dalla nostra conversazione, ma ne io ne Ai lo avremmo comunque coinvolto. In quei tre giorni, io e lei eravamo stati presi dal nostro problema, ma nel resto del mondo, ignaro di tutto, il meccanismo aveva cominciato a cedere.
Goro ormai faticava a ostentare sicurezza, e con lui sua moglie. Le facce tranquille dei primi momenti, erano state sostituite da espressioni di tirata preoccupazione. Sonoko e Makoto,dapprima ottimisti, stavano lentamente perdendo smalto, e ora si limitavano a momenti di silenzio. I poliziotti erano sempre di corsa, nel loro viavai nell’ospedale, quindi mi era difficile capire cosa passasse loro per la testa, ma sia Yumi che Sato erano visibilmente pallide, nelle loro apparizioni, e i loro colleghi sempre più accigliati e tesi. Kazuha invece faceva quasi tenerezza. Era diventata l’ombra di Ran, il mio soggetto principale d’osservazione, come se temesse che da un momento all’altro che saltasse dalla finestra.
Si, anche io la osservavo per quello. La piccola Ran aveva avuto la reazione che più delle altre avevo temuto: il rifiuto.
Sia Sonoko, che Sato, che Yumi, che Kazuha e che sua madre Eri, una volta almeno avevano pianto. Non erano certo da biasimare, la situazione era spinosa non poco, e i nervi alla lunga cedono. Ma lei no. Lei ostentava sempre un’aria quasi vanesia, inverosimilmente serena. Lei, come me, aveva assunto il ruolo del Jolly: spesso veniva in ospedale anche tre volte al giorno, e spesso rimaneva con me a fare la notte, ma sembrava non stancarsi mai. Mi preparava colazione, pranzo e cena insieme a Kazuha nel cucinino dell’ospedale tutti i giorni, teneva aggiornato l’ispettore, si occupava dei compiti a casa, accudiva come al solito suo padre, e tutto questo senza mancare mai di rimanere accanto a Conan. Io francamente, mi chiedevo quanto ancora avrebbe retto alla pressione. Una reazione cosi capita spesso, lo sapevo: la mente, in qualche maniera, si protegge dalla realtà, somatizzando tutto con l’ignoranza. In poche parole, evitava di guardare in faccia la realtà, e si teneva occupata per riuscire a distrarsi.
Non sapevo che fare. Prenderla e ficcarle sotto il naso la realtà equivaleva a infilarle la testa sotto un getto d’acqua gelida: le avrebbe solo fatto male. Ma nemmeno lasciarla li a crogiolarsi in una finta illusione mi andava tanto a genio. Non potevo certo lasciare che rimanesse cosi fono al risveglio di Shinichi, no?
Eppure più la guardavo affaccendarsi nel cucinino mentre mi cucinava delle omelette per cena, più pensavo: no, è una follia, deve svegliarsi!
Ma il doc Agasa mi aveva persuaso a far nulla. Lui pure era caduto pian piano tra le braccia dello sconforto. Beh ovvia come reazione: Shinichi e Ran sono i figli che non ha avuto, li ha tirati su lui fin da piccoli, li ha visti crescere, specie Shinichi. E’ toccato dai fatti in prima persona.
“Ran fa sempre così.” Aveva mormorato, una mattina. “Lei ignora il problema, finché non sparisce. Quando da piccoli, Shinichi la evitava per amor di popolo, lei non ci faceva caso, anche se la feriva. Sapeva che lui prima o poi si sarebbe ravveduto e sarebbe tornato. Ed ha sempre avuto ragione. E una ragazza forte, ma non è un diamante. Anche lei si rompe, solo che preferisce non farlo vedere.”
Beh, Ran, speriamo tu abbia ragione, pensai, mentre mangiavo le sue omelette. Se è sempre tornato, speriamo lo faccia anche stavolta.
Io poi avevo altre gatte da pelare, oltre a Ran e alla sua strana reazione..
Come sia rimasto sano di mente, me lo sto ancora chiedendo.
Per evitare ulteriori casini, mi ero addossato la responsabilità di avvisare io i genitori di Conan.
Li per li, sembrava semplice, dato che non c’era nessuno da avvisare, essendo Conan un identità fittizia. Poi però avevo realizzato. Conan era una maschera, ma dietro c’era una persona vera: Shinichi!
Il diretto interessato era un bluff, ma la situazione era vera. C’erano davvero dei genitori col figlio ridotto cosi..I Kudo!
Quando quel problema mi si è palesato davanti, ammetto di aver avuto un piccolo cedimento: dove trovavo il fegato di dire ad una madre che il suo unico amatissimo figlio, era stato ridotto al coma inseguito ad una sparatoria? Al solo pensiero, mi si felpava la lingua. Però lo dovevo fare, altrimenti sarei passato per un verme. Pensavo a mia madre, al posto di Yukiko Kudo, come sarebbe stata e che avrebbe fatto se fosse stata messa all’oscuro di una cosa simile. Beh avrebbe affettato Shinichi, immagino, e anche me una volta ripreso per la nostra incoscienza.
Beh era inutile star li a menare il can per l’aia, sperando che gli eventi evolvessero e io potessi svicolare dalle mie responsabilità. Il quarto giorno in ospedale, raccattai il mio fegato latitante, lo inchiodai al fianco e afferrai il telefono, pronto a fare il mio dovere.
“Ho chiamato i tuoi, oggi..”
Ormai nemmeno mi chiedevo più se Shinichi potesse sentirmi o meno. L’importante era sfogare la mia frustrazione in qualche maniera, o sarei saltato in aria come un petardo.
“Si, lo so che tu odi che i tuoi si preoccupino per te, però una cosa simile non è che puoi tacergliela no? beh..forse tu l’avresti fatto, se fossi stato cosciente. Non mi risulta abbiano saputo nemmeno della prima volta che ti hanno sparato, no?”
Gli rimboccai un po’ la coperta sotto al mento, e gli feci scivolare fuori un braccio, in modo da potergli tenere la mano. Era tiepido.
“Questo significa che sei vivo, in qualche maniera..” mormorai, più a me stesso che a lui. Lo osservai, poi gli presi un dito e lo posai sul palmo della mia mano.  Non si mosse di un millimetro.
“..ma non hai intenzione di dirmi nient’altro, eh? Uff..”
Gli ripresi per bene la mano.
“Tua madre si è agitata un sacco. Ha cominciato a inveirti contro, poi ha pianto, poi ha inveito di nuovo, e poi è arrivato tuo padre. Gli somigli molto, sai?”
Feci scorrere il pollice sulle sue dita, sfiorandole come fossero corde di una minuscola arpa.
“Si sentiva che era parecchio preoccupato, ma ha conservato raziocinio e lucidità, ha chiesto dove sei ricoverato, e ha detto che in serata sarebbero partiti per venire qua.”
Per un istante, mi ritrovai a sperare che, in preda alla rabbia, spalancasse gli occhi, si voltasse di scatto verso di me e mi urlasse: Ma sei scemo? Che diavolo gli hai chiamati a fare? Ora mi daranno il tormento finché non riusciranno a convincermi a seguirli in America! Ma perché non riesci a farti gli affari tuoi, Heiji Hattori!
Mi si annodò la gola. Quella frase. Era stata una delle ultime che gli avevo sentito dire, nel pomeriggio che aveva preceduto quella maledetta notte. Nella mia testa la sua voce infuriata echeggiava viva e concreta come se l’avessi appena sentita. Se solo avessi insistito.. se solo mi avesse ascoltato..
La mia mano, quella che non teneva la sua, si sigillò in un pugno posato sulla mia gamba, e iniziò a tremare.
Mai. Nemmeno per una volta lo aveva fatto. Lui era rimasto lui, anche in quel corpo. Il fiero, egocentrico, superbo e orgoglioso Shinichi Kudo, finche morte avesse vinto.
Sorrisi amaro.  Lo avevo adorato, per questo.
Si. In una realtà che ormai sembrava appartenere a secoli prima, io sognavo di eguagliarlo. Lui, fiero, egocentrico superbo e orgoglioso era la stella più splendente del mio firmamento, la mia guida. Il mio mito.
Ma i sogni fin troppe volte, che sia prima o che sia poi, si ritrovano a cozzare dolorosamente contro i freddi e duri muri della realtà. E io e i miei sogni ci eravamo finiti addosso ai 100 all’ora. Quella stella che avevo seguito e imitato fin dai miei più incerti inizi, si era rivelata troppo luminosa, persino per se stessa. Ed io come uno stupido, me ne ero restato a guardarla ardere senza dire o fare niente, finche spegnere il suo fuoco non era stato più possibile. E alla fine, quel fuoco, aveva bruciato entrambi.
Il mio pugno continuava a tremare.
Stupido io, ma ancora più stupido lui. Stupido lui, che credeva di poter fare sempre tutto da solo. Stupido lui, che non ci riusciva nemmeno nel suo vero corpo, a fare tutto da solo. Stupido lui, che fin troppe volte aveva avuto le labbra gelide della morte premute contro il collo, e ancora rifiutava di chiedere aiuto. Stupido lui, che ora era appeso per un filo pronto a spezzarsi. Stupido lui, che invece di lottare per la sua vita, aveva messo le mani avanti: fa che sia nel mio corpo..stupido..stupido..
“Stupido..” mormorai, le lacrime bollenti  che colavano come lava sulle mie guance. Non ricordavo quando fosse l’ultima volta che avevo pianto. Odiavo piangere, mi faceva sentire vulnerabile, e io odiavo sentirmi vulnerabile. Era come sentirsi un bambino, ed io non ero più un bambino..
Un secondo..che cosa? Un bambino? ma..ma si, certo!
Schizzai talmente in fretta su da quella poltrona che mi venne un capogiro. Sorreggendomi la testa, però, deambulai verso la porta. Afferrai la maniglia, e la spalancai.
“Lady Macbeth!” gridai, affacciandomi nella corsia.
Un paio di infermiere si voltarono, spaventate. Forse non avrei dovuto urlare in quella maniera, per di più un nome senza apparente senso. Ma io sapevo con chi stavo parlando, e sapevo che la diretta interessata avrebbe capito che stavo chiamando lei.
Infatti una manciata di secondi dopo, Ai fece capolino dalle scale che portavano al bar dell’ospedale, correndomi incontro con ancora il caffè tra le mani.
“Osaka, se hai deciso di farti internare, non hai che da proseguire in questa direzione!” sbraitò, concitata e col fiatone. “Metterti a chiamarmi a squarciagola  usano quel nomignolo..”
“Ti chiamo sempre così, che vuoi adesso?” risposi mesto, rientrando nella stanza. “Va beh, non importa..Entra, devo parlarti”.
Lei mi guardò dubbiosa, ma non fece domande, ed entrò. Appena ebbe varcata la soglia, chiusi con veemenza la porta, e diedi un silenzioso giro di chiave. Ai mi osservava.
“Bene, traggo le mie conclusioni..” disse. “troppe poche ore di sonno, una buona dose di stress e una bella fetta di disperazione sommate insieme ti hanno provocato un bell’esaurimento nervoso. Non che non l’avessi già messo in conto che qualcuno avrebbe fuso, a un certo punto. In base a quello che vedevo, davo Ran per sicura, dato che è già praticamente fuori controllo in quello stato,  ma anche tu eri previsto nei conti, prima o poi. Solo ti pensavo più duro, Osaka..”
“Piantala, non sono impazzito..” ringhiai. Feci stampare dal monitor collegato a Conan, i dati riportati sul suo stato attuale..Ma era arabo?
Lei sogghignò.
“Hai appena chiuso a chiave la porta della stanza di un paziente ricoverato in un ospedale, ed è sequestro di persona. Ci hai chiuso dentro anche me, quindi doppio sequestro, per di più di..si beh di minore, per quanto poco io e il signor kudo lo siamo. Poi..ah si, questa stanza è in costante monitoraggio dei medici, che ovviamente chiusi fuori non potranno adempire ai loro doveri, e se capita il peggio..diverrai un omicida.”
“Quando hai finito di dire idiozie, avvisami..” sbraitai, fissando quelle linee e quei numeri sconosciuti. Già ero parecchio nervoso per tutta la roba che mi stava frullando in testa. Mi ci voleva solo lei a sottolineare i lati peggiori di quello che stavo facendo. La conoscevo meglio di lei, la legge, e sapevo perfettamente che ad ogni mossa, entravo sempre più a fondo nel letame. Ma non avevo scelta.
Lei mi osservò un'altra manciata di secondi scervellarmi su quei grafici, poi me li strappò dalle mani.
“Idiota, nemmeno se ti sforzi fino a deporre un uovo, ci capirai mai niente. Sei una specie di poliziotto, non un medico..comunque che li hai stampati a fare? E perché ti stai comportando come un terrorista?”
“Riesci a leggerli? Se non ci riesci, mi levo un ostaggio dal groppone..” risposi, secco.
Lei mi guardò in tralice.
“Ovvio che li so leggere, con chi credi di parlare?” soffio.
“Bene, che cosa dicono?” chiesi, concitato.
“Che è in coma, mi pare evidente..”
“Spiritosa..di preciso, intendo!”
Ai sbuffò.
“Battito lento, ma stabile. Encefalogramma praticamente piatto, attività celebrale minima..è in coma, non è che i dati dicano granché in più da quello che vedi guardandolo..” disse indicando Conan.
“Ok. Tu credi che lo possiamo portare via di qui, senza far danni?” chiesi, tornado a fissare il monitor.
Lei mi guardò, inarcando un sopracciglio.
“Osaka, dove lo trovi il coraggio di dirmi che non ti sei lessato il cervello? Dove diamine lo vorresti portare, al circo?”
“No, a casa del doc. Anche la sua andrebbe bene, ma ho idea che Ran ci beccherebbe..” risposi, tranquillo, mentre osservavo i vari tubi e tubicini a cui Conan era collegato.
Ai si avvicinò a me.
“Osaka..io so che è dura per un cervello come il tuo dichiarare resa, ma se arrivi a destare preoccupazione in me, me che fino a ieri lavoravo chic to chic con i più grandi psicopatici della storia, credo che sia il caso di intervenire. Ora, da bravo bambino, apri quella porta, ti infili in un taxi, vai dal dottor Agasa, ti fai dare un po’ di camomilla, un sonnifero, anche curaro sparato con una cerbottana va bene, purché ti fai almeno 48 ore di sonno!”
Io sbuffai.
“Ok, basta perdere tempo. Ecco i fatti, e poi vediamo a chi lo spari, il curaro: Shinichi non ha mai, ne vuole adesso, ne penso vorrà mai tirare le cuoia in questa maniera, e se solo ci avessimo riflettuto, un ‘ipotesi simile neanche da ubriachi l’avremmo messa in piedi. Lui vuole vivere..”
Ai mi guardò per qualche secondo, poi annuì.
“Lo so anche io, questo, però la verità va guardata in faccia, per quanto brutta sia, e anche Shinichi lo sa. Il suo messaggio..”
“Tombola, il messaggio! Oh cielo, meglio non riferirgli mai come lo abbiamo interpretato all’inizio, o ci ammazzerà in massa, quando si sveglierà. Già io in questo momento mi sto vergognando come un ladro per la mia stupidità..”
“All’inizio? Ma cosa..” tentò lei, confusa.
“E’ sbagliato! Il significato che gli abbiamo dato è completamente sbagliato. Non so quante volte l’ho detto, ma non basteranno mai credo..sei un genio, Kudo!”
Ai spalancò gli occhi, e per la prima volta da quando l’avevo chiusa in quella stanza, parve prendermi sul serio.
“E’ sbagliato? Ma allora, cosa..”
“Fa – che – sia – nel – mio - corpo” scandì. “Fa che sia nel mio corpo, capisci? Lui non parlava della morte, non lo farebbe mai! Lui vuole tornare grande, ma non per morire!”
Lei parve riflettere.
“Non vedo altri sbocchi,Osaka. Se non voleva dire che desiderava riavere le sue sembianze per morire nel suo corpo, allora cosa voleva farci dentro al suo corpo adulto?”
Io la guardai, e sorridendo le posai una mano sulle spalle.
“Guarire, Lady Macbeth.” Le risposi.
Ai mi guardò allibita per qualche secondo, poi lentamente vidi attraverso ai suoi occhi grigi le mie parole acquistare un senso, il mio ragionamento filare, un piano prendere forma.
“Oh mio dio..ma è ovvio! Oh mio..ma cosa ci è passato per la testa? Pensare che volesse..ma è così ovvio!”
Cominciò a guardare quei grafici come avrei voluto che facesse, poi controllò il monitor per vedere quelli aggiornati. Dopo un paio di frenetiche occhiate ai grafici e allo schermo, si voltò di scatto verso di me.
“Ma come faccio?” chiese.
“Come “come faccio” che vuol dire?” chiesi, stupito.
Lei mi guardò.
“Osaka, vediamo se siamo veramente connessi, prima di iniziare a straparlare: Lui vuole guarire, e per farlo gli serve il suo corpo..” iniziò.
“..perché i danni al suo cervello provocati dall’emorragia e dall’ipossia e il tempo in cui il suo cervello è rimasto a secco di ossigeno sono direttamente proporzionati alle dimensioni di quest’ultimo e al fisico dove alberga: super mente, ma baby corpo.” conclusi io.
Lei annui.
“Ok, fin qui, ti trovo. Poi, per fargli riavere il suo corpo, devo dargli l’antidoto all’APTX, giusto?”
“Esatto, e una volta grande, i danni al fisico e al cervello saranno ridotti, e la sua attività celebrale dovrebbe tornare stabile. Lo ha detto anche il medico: i danni sono estesi perché è un bambino..”
“Bene. E, dunque, illuminami, come credi che possa fare a dargli l’antidoto?” chiese, stizzita.
“Come? Come sempre, ovvio..” risposi, confuso.
“Sei diventato scemo? Ha un maledetto tubo infilato in gola, Osaka, quante volte te lo devo ripetere! Come accidenti la inghiotte una pillola, me lo spieghi?”
La fissai. Non ci avevo pensato.
“Cavoli..” mormorai.
“A merenda..” aggiunse lei, crollando sulla mia poltrona accanto al letto di Conan.
Rimanemmo in silenzio per qualche istante, mentre tiravo giù dal letto ogni neurone che avevo per scovare una soluzione. Poi l’idea venne.
“Non puoi cambiare la composizione del farmaco?” le chiesi.
Lei alzò la testa.
“Non giocare al piccolo chimico, o finirai per farti male. Non si cambia la composizione di una medicina dal 2 al 3, Osaka. E poi, come ti avrò spiegato almeno cento volte, l’APTX è un farmaco che non agisce toccando il sistema circolatorio. L’organizzazione, quella volta, pretese da me un veleno “fantasma”, ossia capace di uccidere, ma che non lasciasse tracce. La trasformazione è solo uno scomodo e inaspettato effetto collaterale..”
Mi strofinai la faccia con vigore. Si, ora che ci pensavo Ai l’aveva detto spesso che quel farmaco funzionava così. Anche mentre formulavamo le teorie sul messaggio in codice Morse di Shinichi. La guardai.
“E..questo effetto collaterale non si manifesta con nessuno degli altri intrugli che hai creato?” chiesi.
Lei parve rifletterci.
“No, quel farmaco è un vero e proprio mistero. Sai, io e Shinichi siamo gli unici con cui abbia fatto così. Gli altri hanno fatto tutta la fine per cui era stato creato..”
Rabbrividì.
“Gli altri? Quanta gente avete fatto fuori con quelle pillole infernali?” ringhiai.
Lei mi fulminò.
“Avete? Guarda, dolcezza, che io non ho mai voluto spargere nemmeno una goccia di sangue, sia chiaro. Gin, la notte in questione, mi ha sottratto una confezione di pillole di sua iniziative, e le ha usate senza nemmeno sapere i riscontri dei test sulle cavie. Lui ha ucciso quella gente, non io!”
“Ok, ok, bandiera bianca, chiedo scusa..” replicai io, mettendo le mani avanti.
“Comunque, io non me ne intendo molto di chimica, fuori da quella che uso sul lavoro, ma non ti basterebbe isolare l’enzima che provoca la regressione dalla composizione integra del farmaco?”
“Secondo te, che ci sto a fare tutte le sante notti china sul computer, i solitari? Sono mesi che cerco quello stramaledetto enzima, ma la formula di quel farmaco è complessa come poche. E poi credo che non si tratti di un singolare componente, bensì di una fusione tra due enzimi che ha scaturito questa impensabile reazione. Quindi è praticamente impossibile isolare ciò che provoca tutto questo”
E indicò il suo corpo.
Io sbuffai esasperato. Mi sentivo come uno che dopo mesi dedicati a un enorme puzzle, si ritrova alla fine e si accorge che manca l’ultimo pezzo.
“E’ preferibile pertanto cercare un antidoto, un qualcosa che abbia l’effetto contrario.” Continuò, mentre mogio, mi dirigevo verso la porta, per aprirla. “ Solo che ormai ne ho provate di tutti i colori, e ogni volta o io o Shinichi ci si ritrova al punto di partenza. Il problema è che il corpo si protegge, sviluppa ogni volta difese immunitarie sempre più forti, e si protegge. Ormai Shinichi ha buttato giù ogni forma di antidoto o tester da me creato, senza mai avere riscontri positivi. Il massimo che ha potuto ottenere è 24 ore, non di più. Ogni volta gli aumento la dose, ma non cambia niente. Uno di questo giorni, gli ho detto, ti farai venire un infarto a furia di mettere il tuo corpo sotto quella terribile pressi..oh mio dio..”
La vidi sbarrare gli occhi, come se avesse visto la luce dopo ore di buio.
“Che c’è?” le chiesi, la mano ancora sulla serratura.
“Oh dio..non so nemmeno io se sia..beh peggio di così, non credo.. però se il suo cuore..”
Corse al monitor, e fece stampare di nuovo i dati relativi allo stato di Shinichi.
“Il suo battito è molto più lento del solito, va almeno tre volte più lento. Mio dio, non so se osare.. però non dovrebbe andare storto, visto che il cuore è lento..”
“Cosa, cosa non dovrebbe andare storto? Hai avuto un idea?” le chiesi raggiungendola di corsa.
Lei sospirò, tesa.
“Quando ero ancora operativa per quei mostri, ai tempi in cui misi in piazza l’APTX, durante i vari esperimenti, creai un farmaco, a induzione endovenosa.” Disse, lo sguardo perso nei ricordi. “Però me lo bocciarono, essendo troppo semplice risalire al motivo del decesso, se la sostanza rimaneva anche in piccola parte in circolo. E poi le cavie avevano reagito male. Era troppo forte, troppo aggressivo sugli organi, specie il cuore, che pure con L’APTX, è l’organo che fa il lavoro più duro. Invece di alterarli, come fa l’APTX, li sforzava fino a farli esplodere. Tutti i test portavano lo stesso responso: deceduto.
Deglutì, allarmato.
“Una bomba nucleare formato aspirina..” mormorai.
Lei annui.
“A grandi linee, si. Tuttavia non era molto diverso dal suo successore, l’Apotoxina 4869, infatti mi bastò ridurre di pochi grammi i suoi componenti, per arrivare a uno stadio ottimale. Non c’era niente di sbagliato nella formula, solo era troppo invasiva, troppo potente. Infatti, chiamai quell’esperimento Bioapotoxina 4869, l’Apotoxina bionica, in pratica. Scoprì in seguito che il problema sulle cavie era la velocità del loro battito, già elevatissima di natura. L’APTX tende ad accelerare il battito, provocando una leggera aritmia..”
Annui. Quante volte avevo visto Shinichi trasformarsi davanti ai miei occhi. Quante volte l’avevo sentito urlare: il cuore..mi fa male il cuore..
“La bio, invece, la procurava bella forte, troppo per il cuore delle cavie, già in aritmia di suo. Ogni volta, l’infarto le stroncava prima che potessero apparire i primi segni della mutazione oppure qualsiasi altra cosa..”
“Perciò tu vuoi dire” mormorai, cercando di arrivare al succo del suo ragionamento. “Che se il cuore umano in circostanze normali sopporta l’APTX senza esplodere, un cuore lento potrebbe assimilare pure la sua gemella cattiva, la bio, esatto?”
Lei sospirò, tesa.
“Si, è possibile..”
Io battei le mani, esultante.
“Oro puro, sorella! La bio è pure in formato endovenoso, no? perfetto, la puoi creare? Hai ancora la formula, vero?”
Lei annui.
“Mi basta raddoppiare le dosi dell’APTX, e otterrò la bio. Però temo comunque il peggio. Se il cuore di Shinichi accelera anche solo di un battito al secondo, potrebbe avere un infarto. E allora sarebbe la fine..”
Io le afferrai le spalle.
“Non succederà, io mi fido di te, e anche lui. Tu ce la puoi fare, Lady Macbeth” le dissi.
Lei mi guardo sconcertata. Poi assunse quella sua solita espressione di sufficienza.
“Me lo chiedo da un po’, Osaka: perché mi chiami in quella maniera?”
Io le sorrisi.
“La lady nera di indecifrabile spirito, a cui nessuno sa dare un volto. Tuttavia considerata dai più, una donna di rara e unica essenza.” Risposi.
Lei sbatté gli occhi, stupita. Poi rimise in piazza l’espressione di sufficienza di prima, ma con un mezzo sorrisetto sotto ai baffi.
“Ma bravo Osaka, allora ogni tanto sai come si parla a una donna, eh?” mormorò, le guance leggermente rosse.
  
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