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Autore: lore23031988    17/02/2012    2 recensioni
La storia inizia con il nostro protagonista, di cui non sappiamo niente (per precisione, neppure lui sa molto su di sé) che si ritrova in un luogo misterioso; fuori dal tempo e fuori dallo spazio che noi conosciamo.
Come si comporterà il nostro protagonista?
Storia pensata per essere distribuita in 3/4 capitoli (vedremo).
Lorenzo
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E’ ormai passato un po’ di tempo dalla strana visione delle due donne,  anche se non ho modo di dire quanto, dato che questi stupidi orologi non hanno lancette.
inizio anche ad avere parecchio sonno… Se ho sonno vuol dire che non è un sogno?!?
…Sono troppo stanco per pensare…
Mi accascio a terra, e mi assopisco immediatamente…

...

Mi risveglio con la bocca ancora piena di rena, mi metto seduto a gambe incrociate e mi guardo attorno…
Dove mi trovo?
Sicuramente non nel castello di sabbia!
Sono rinchiuso in una struttura di ferro, che sembra una sorta di gabbia aperta e dietro queste sbarre non vedo niente… O meglio un’immensa distesa di colore bianco… Può essere un’ideale di infinito?
Un momento… Non sono sbarre di ferro queste, ma sembrano…  Cavi?
Una miriade di cavi pendono dall’alto verso il basso! (O viceversa?)
Dove sono seduto? Sembra una sorta di pavimento, ma è sottile e flessibile… Sembra una membrana…
Oddio, ma è un lembo di pelle umana?!?
Faccio per alzarmi quando una voce mi comanda:

“Rimani seduto!”

Alzo lo sguardo e noto che qualcosa sta scendendo dall’alto…
Una sorta di braccio meccanico, avvolto da una miriade di cavi (la presenza di questi sembra una costante di questo spazio/non spazio), alla cui estremità è fissata un’enorme sfera metallica.
Quando la leva termina la sua scesa la sfera è a circa 2 metri dal mio “volto”; da vicino mi accorgo che è davvero grande; molto probabilmente più grande del mio corpo.
La fisso, da seduto, e mi accorgo che la cromatura metallica della sfera inizia a muoversi… Dilatarsi… O meglio… Si sta schiudendo…
La parte scoperta sotto la sfera metallica è inizialmente nera, ma, man mano che la cromatura si apre sempre più (si, forse aprire è il verbo più idoneo) un’intensa luce rossa esce dal suo interno, tipo un laser… Cos’è un laser?
Pian piano questa inizia ad attenuarsi, posizionandosi al centro, come… Come la pupilla di un occhio!
Sembra… Sembra proprio che mi fissi, questo simulacro di occhio…
Noto che al suo interno, inizia a formarsi, oltre a un codice formato da strane lettere in diverse lingue (alcune a me comprensibili, altre no) che scorrono come su di una sorta di schermo sul layout di quella che , in un occhio vero, sarebbe la cornea, una sorta di pupilla contornata di iride (sempre rossa), molto più elaborata del semplice punto iniziale, e questa si allarga a dismisura, come se l’inscrizione all’interno dell’occhio fosse quasi un’imposizione.
Mentre penso a ciò che sta accadendo, l’occhio si rivolge a me (suppongo sia lui a parlare… Un occhio che parla?!?):

“Chi sei?”

Esasperato dalle stranezze di questa nuova pseudo realtà, ed esasperato da una domanda del genere, decido di rispondere alzando il tono:

“Chi sono io?!? Chi sei tu piuttosto!  Poi, più che chi sei… Cosa diavolo sei!!! E per una buona volta, posso sapere dove diavolo mi trovo?”

A seguito della mia reazione noto che il braccio portante dell’occhio, che essendo collegato a questa sorta di sfera può esser paragonato a un nervo ottico, inizia a muoversi; questo movimento fa tremare la sfera che emette uno strano rumore, tipo ingranaggi che si muovono; fatto questo l’occhio torna nella precedente posizione, e risponde:

“Mi chiedi chi sono?”

Muovo il volto per annuire…

“Io…
Io sono…
Io sono!
Non ero, ma poi sono divenuto/a.
… Non ricordo molto di quando non ero…
Forse sono stato/a creato/a in questo silenzio…  Da questo silenzio…  Per  questo silenzio…

Chi sono, mi chiedi…
E’ da tutta la vita che sto cercando di capire chi io sia!”


Non riuscendo a dare senso alle parole della macchina gli (o le?) chiedo:

“Come posso fare per uscire di qua?”

Lui/lei, risponde:

“Questo posso dirtelo! E’ facile! Basta che tu dica ad alta voce il tuo nome!”

Tutto contento per la risposta; per quanto paradossale, almeno questa volta certa inizio a pensare al mio nome…
L’occhio prende parola:

“Non lo ricordi, vero?”

Purtroppo ha ragione… Non lo ricordo!

“Fissa la parte nera al mio interno…” 

Mi suggerisce l'occhio...

Io muovo il mio sguardo dentro al suo, e… Oddio! Finalmente! Si, lo riconosco, questo è  il mio volto!

“ Ti riconosci?”

Mi chiede la voce. Le rispondo:

“Si, sono io! Un uomo di quarant’anni circa, con capelli neri, occhi verdi…”

“E il nome?”

“il nome…  Francesco!”


Appena pronunciato il mio nome mi sento svanire, come assorbito da un’altra dimensione…



Quel giorno, Francesco Rossini si svegliava, dopo un mese di coma profondo, all’ospedale Mayer di Firenze; d’intorno a lui, la cara zia e la sua, ormai anziana, badante di colore, rimasta molto affezionata all’ormai quasi quarant’enne Francesco.
Durante il recupero e la riabilitazione Francesco venne a sapere che era entrato in coma a seguito di un violento incidente stradale, e che i medici lo davano al 90% come spacciato, quindi una sorta di miracolato.
La cosa che colpì Francesco, non appena uscito dal coma fu la presenza di un bigliettino rosso nella sua mano; sopra c’era scritto:

“Ricordati che potrei aver di nuovo bisogno di te”GUIDA ALLA LETTURA, Assolutamente da leggere DOPO!

Il racconto, diviso in tre capitoli inizia in modo molto confuso (la confusione sarà una costante per tutto il racconto).
La prima ambientazione rappresenta l‘idea di un ipotetica “dimensione di coma”; qui si trova Francesco, ovvero su di una spiaggia (poi siamo sicuri sia una spiaggia? Il mare non viene mai visto dal protagonista, nonostante ne oda il suono in lontananza) senza tempo, desolata, infinita dove ogni sensazione percettiva è paradossale e, apparentemente, insensata.
Uno dei primi punti più difficili da comprendere è la presenza dei due bambini, Asmodeo e Raffaella.
Già il nome di questi due personaggi dovrebbe far riflettere, perché Asmodeo, secondo la tradizione biblica prima, poi medievale è uno degli appellativi di un demone, mentre Raffaella è una traslazione al femminile di Raffaele, l’arcangelo Raffaele.
Nel libro di Tobia, testo deuterocanonico contenuto nella Bibbia cristiana, troviamo una sorta di “scontro” indiretto tra i due personaggi (chi vuole conoscere la storia vada a leggerla).
Etimologicamente il nome Raffaele significa “la medicina di Dio”, colui che guarisce dai mali, mentre Asmodeo sta per colui che uccide; già questo primo elemento dovrebbe rimandare all’idea che il protagonista sta subendo una sorta di giudizio, e le due entità, impersonate da bambini piccoli che giocano con lui, sono li ad osservare il suo comportamento, sia pure da spettatori inermi, o meglio, da comparse, vestite giustamente per l’occasione (una sorta di teatralità del ciclo vitale, che alla sua probabile conclusione, si presenta in abito da sera). Molto particolare, a mio avviso, è questo rapporto di non belligeranza tra i due bambini, che anzi, sembrano molto complementari (altro rimando al ciclo vitale).
Per quanto riguarda Asmodeo, la sua allegoria nel tempo si è evoluta; nell’astrologia medievale è associato al tempo che scorre, ecco perché il protagonista si sente male quando sente e guarda le lancette dell’orologio di Asmodeo; perché è spaventato dal tempo che passa, gli vorrebbe ricordare che questa dimensione è eterna, ma la sua intermissione non lo è, anzi, si deve muovere perché ha un appuntamento con qualcuno (quindi la figura di Asmodeo in questo racconto è molto ambigua, non così antagonista come rimanda la tradizione).
Il castello di sabbia è un simbolo che, nell’ideale di questa storia, vorrebbe, con l’atto della costruzione rappresentare la vita, che viene plasmata dalla guarigione e dalla protezione (in senso lato, dall’amore), ma supervisionata dalla morte (qui amore e morte  potrebbero anche essere intesi  Freudianamente, ovvero la distinzione Eros/Thanatos, impulso di vita e impulso di distruzione, quindi morte; non necessariamente morte intesa fisicamente).
Raffaella a un certo punto, sollecitata da Asmodeo, congeda Francesco, lasciando cadere a terra un’orchidea nera; l’orchidea è un simbolo di armonia e di bellezza, una bellezza che però va al di la dei canoni fisiologici. Questa orchidea, in particolare, è nera; il nero si sa, ha una simbologia pressoché infinita, comunque l’aspetto che più salta all’occhio è il fatto che il nero sia l’assenza di colore, quindi sull’orchidea che sta all’armonia, il nero vuol essere una sorta di negazione, ovvero che il protagonista non è in armonia con se stesso.
Francesco a un certo punto si ritrova dentro la costruzione che ha ultimato, in esplorazione all’interno della sua vita e dei suoi ricordi.
Attirato dalla luce calda e soffusa oltre l’angolo, si incammina verso uno spiazzo; qui vede una barca .
La barca, in questo caso, guarda alla mitologia egizia; di fatti la barca era, per gli egizi, l’imbarcazione rituale che trasportava il sole ogni giorno, divenuta poi simbolo di rinascita, da morte a nuova vita.
In questa barca, compaiono due figure, che poi ritroveremo alla fine del racconto, che sono la donna di colore ( che poi scopriremo essere la tata di Francesco, quando era piccolo) e una donna con gli occhi strappati.
Il fatto che la donna di colore non dia considerazione al protagonista è forse un ricordo di Francesco da piccolo, in cui cercava qualcosa da questa donna, ma essa non gli dava ha dato la dovuta attenzione, però il fatto che anche la zia non possa vedere, rimanda più a una riflessione di Francesco, che bisognoso di attenzione, forse in modo esagerato, si è sempre sentito come emarginato e non considerato, neppure dalle persone a lui più vicine. Particolare che Francesco non veda la zia e la tata e non i genitori o i nonni.
Il non volto di Francesco… Questo è il punto; perché non ha un volto?
Semplicemente perché Francesco non sa più chi è, non vuole saperlo; anche se non è consapevole di non volerlo sapere.
Inizia allora questa ricerca del suo io, mentre qualche ricordo continua a riaffiorare, pian piano.
A un certo punto Francesco si addormenta, è ora in grado di entrare in un livello superiore di questa dimensione, ma dove si ritrova?
In una struttura futuristica, ubicata sul nulla.
Qui scende una sfera metallica, che scopriremo essere un occhio.
L’occhio rappresenta la divinità. Il nostro protagonista ha un incontro ravvicinato con questo Dio, questo prototipo di Dio.
Particolare che questo Dio sia molto confuso; sembra in ricerca di qualcosa, come il nostro protagonista, sembra quasi che guardi Francesco per capire se stesso.
Alla fine Francesco guardando dentro l’occhio riesce a comprendere chi è, e appena ne è consapevole ritorna nella nostra dimensione, dentro al suo corpo.

Spero  sia stata una lettura piacevole, e per il possibile vi abbia sorpresi!

Grazie di aver letto e commentato, e chissà, un giorno magari ci sarà un seguito.


  
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