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Autore: LostinStereo3    22/02/2012    3 recensioni
Non sapevo da quanto tempo camminavo, non mi importava, il tempo era solo un numero, uno scorrere di numeri in successione che si accavallavano, uno dietro l’altro, in una continua gara verso un misterioso traguardo. Che senso aveva questo? Perché il mondo era così crudele? Se era vero che Dio esisteva, perché aveva permesso tutto ciò?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminavo piano, su quella strada solitaria, mossa da qualche forza soprannaturale che mi spingeva a camminare, a camminare e a camminare e ancora a camminare.
Non sapevo da quanto tempo camminavo, non mi importava, il tempo era solo un numero, uno scorrere di numeri in successione che si accavallavano, uno dietro l’altro, in una continua gara verso un misterioso traguardo.
Che senso aveva questo? Perché il mondo era così crudele?
Se era vero che Dio esisteva, perché aveva permesso tutto ciò?
Mio padre diceva sempre di aver fede, ma lui non c’era più e io la fede l’avevo persa.
Se era vero che Dio esisteva, perché aveva permesso a due ladri malfamati di uccidere mio padre? Perché non aveva fatto in modo che la vita di quei due bastardi fosse normale, di modo che non avrebbero avuto bisogno di fare una cazzo di rapina in banca?
E perché proprio la sua banca? E non quella di un altro? Perché proprio mio padre?
Perché proprio la mia vita doveva andare a puttane? Perché?


Era passato appena un mese, o già un mese, dipende dai punti di vista, ed era un mese che avevo smesso di vivere: non andavo più a scuola, non uscivo più con i soliti amici, non studiavo più, non leggevo più.
Semplicemente me ne stavo sdraiata sul pavimento della mia camera con la musica a tutto volume, così da attutire i miei pensieri.
E così i giorni si susseguivano, minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo notte. Ma io non me ne accorgevo, stavo lì e basta.

Mi ricordo che quando tornavi la sera dal lavoro, passavi sempre in camera mia e, se mi trovavi stesa a terra con la musica alta, mi urlavi di abbassare, ma io non ti davo retta, presa dai miei stupidi problemi.
Solo adesso mi rendo conto che volevi passare del tempo con me, che ti avrebbe fatto piacere fermati a chiacchierare sulle nostre giornate, ti avrebbe fatto piacere se io ti avessi chiesto come stavi o semplicemente come era andata a lavoro. Ma io non lo facevo mai, non parlavo mai e non ascoltavo mai, troppo presa dai miei stupidi e irrilevanti problemi.


D’un tratto mi fermai.
Ero arrivata a un bivio.
Mi morsicai il piercing a lato della bocca.
Che fare? Che strada prendere?
Presi e rigirai, tornando sui miei passi, su quella strada dritta e infinita e all’improvviso pensai che l’indomani sarei tornata a scuola.
Mi bloccai a quel pensiero così repentino ed impulsivo che avevo avuto.
Non succedeva da tempo che la mia mente pensasse in quel modo.
Semplicemente lasciavo che i miei piedi mi portassero dove loro avevano deciso, senza badare al cervello. Quello era sempre spento o in standby, sia che stessi vagando per qualche via, sia che stessi stesa per terra in camera.

Ma ormai era deciso, sarei tornata a scuola.















Non so come mi sia venuta l'idea per questa storia, mi è venuta e basta, l'ho scritta. 
Non so perchè i Green Day c'entrano con la storia, ma appena finito il primo capitolo mi sono resa conto che stavo pensando a loro, quindi in qualche modo c'entreranno. 

  
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