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Autore: Oscar_    25/02/2012    1 recensioni
Tutti nascondono dei segreti; anche Sherlock Holmes. Nulla si sa del suo passato, né degli incontri che l'hanno portato a divenire chi è attualmente. Se John si trovasse in condizioni di dover conoscere quei segreti? Se dovesse scavare a fondo nella memoria del tanto conosciuto investigatore, per portare alla luce segreti che, forse, sarebbe stato meglio lasciare celati?
( Il rating rimane verde finché non descrivo scene hot; diviene AU negli spostamenti dei personaggi durante i capitoli )
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Lestrade , Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Secrets






3. News




Era sempre stato abituato ad andare in ricognizione da solo, in periodo di guerra. I dispersi erano tantissimi e, per quanto si sperasse il loro ritorno, era inutile andare a cercarli, si sarebbero solo sparpagliati altri uomini utili al fronte. Perciò la richiesta di Oskar non lo stupì di molto.
« Ascolti Frank, mi piacerebbe essere sincero con lei: Non abbiamo molti uomini come avrà notato, la maggior parte sono a combattere qui intorno. Siccome ci è arrivata la segnalazione da una spia che uno dei generali nemici si trova proprio nelle vicinanze, abbiamo radunato tutti i migliori componenti in una squadra, che però non rientra da almeno una settimana. » John si domandò se in quella squadra vi fosse compreso anche Sherlock; al solo pensiero rabbrividì. « Vorremmo mandare qualcuno in ricognizione e lei ci pare l’uomo più adeguato: preciso, rapido, che sa camuffarsi ed ha esperienza. » A quelle parole alcuni dei soldati presenti annuirono con vigore. Il dottore si domandò a quale eclatante azione fosse dovuta quella fiducia, poiché non rammentava che nei precedenti due giorni si fosse comportato in maniera così bizzarra. Certamente escludendo il fatto che non aveva risparmiato un angolo della caserma alla sua ricerca di Sherlock; il tutto però, si era rivelato vano. « Che ne dice, possiamo contare su di lei per avere nuove sull’attuale situazione? » Domandò con un mezzo sorriso Oskar, che in quell’ultimo tempo era divenuto il suo migliore amico. Dopo un attimo d’esitazione John ricambiò il sorriso, annuendo appena, destando la gioia ed il sollievo generale. Ma certo, pensò, mi mandano nelle fauci del lupo visto che sono appena arrivato.
 
Il piano che Oskar gli illustrò quel pomeriggio era sostanzialmente semplice. John doveva spingersi il più lontano possibile dalla base e giungere in prossimità degli accampamenti nemici, la cui posizione loro non erano a conoscenza ma che certamente sarebbe poi saltata ad un occhio così agile; tutti quei complimenti servivano solo ad alimentare il suo sconforto. In seguito doveva individuare il generale nemico e farlo fuori con un sol colpo. Erano anni che non imbracciava più una pistola o che metteva in spalla un fucile. Tutto quel piombo addosso era come trasportare l’intero mondo. Il peso morale era più o meno equivalente.
Oskar gli diede delle informazioni per riconoscere il generale: scarponi di cuoio nero, giaccone del medesimo colore, lungo, cappello militare calato fin oltre la fronte ed un anello all’indice sinistro. Non fu necessario specificare la fattura del suddetto oggetto, in fondo nessun altro si azzardava a portare gioielli in tempo di guerra, anche le fedi erano state accuratamente riposte in luoghi nascosti o semplicemente lasciate a casa. John si domandò cosa simboleggiasse quell’anello.
Durante quella stessa notte si mise in cammino. Doveva arrivare prima dell’alba e studiare i movimenti nemici. Se l’avessero scoperto od avessero avuto anche il minimo sospetto sulla sua presenza, avrebbe potuto dirsi spacciato. Inoltre il saluto che Oskar gli riservò fu come un addio; forse peggio. Tuttavia c’era abituato. La maggior parte delle volte nessuno credeva in lui né nelle sue capacità. Alla fine era quello che resisteva più di tutti, invece.
 
Il gelo della notte gli sferzò il volto con violenza, una volta che si fu addentrato nel fitto del bosco. Benché l’Afghanistan non presentasse particolari vegetazioni, in quel determinato punto erano presenti vari esemplari di piante e boscaglia. Affondò i piedi più volte in buche e fosse varie, la maggior parte per via di mine rimosse tempo addietro; ma ogni volta ebbe il terrore d’aver incappato in una trappola. Per di più non era munito di torce o altri tipi d’illuminazione artificiale, Oskar aveva assicurato che se ne sarebbe accorto chiunque. Perciò era costretto a brancolare nel buio, rischiando di incrociare animali, mine, trappole e persino soldati, spie in agguato come lui, magari persino della sua stessa squadra ma che magari non l’avrebbero riconosciuto. Nemmeno lui avrebbe riconosciuto Sherlock se l’avesse incontrato, si ripeteva inquieto, avanzando a tentoni un passo per volta. Si sentiva ridicolo. Se avesse tentato di fare quella ridicola marcia alla luce del sole avrebbe riso di sé stesso. Ma se avesse aumentato il passo non solo l’avrebbero sentito tutt’attorno, ma avrebbe rischiato d’andare a sbattere contro qualche albero o sasso; il che l’aveva evitato più volte con quella cadenza d’una lentezza quasi esasperante.
Gli unici rumori che lo accompagnavano erano il fruscio dei suoi passi e qualche gufo che a tratti sorvolava la zona. Non udiva spari né altri passi attorno a sé. Il che era da una parte rassicurante, da una parte terribile. Che poteva saperne lui se stava andando incontro a un dirupo? Inoltre non c’erano corsi d’acqua nelle vicinanze, nulla che potesse prendere come punto di riferimento. Ah quanto avrebbe voluto essere rimasto a Londra!
Erano già tre volte che beccava un ramo in fronte, quando un rumore sospetto attirò la sua attenzione. Qualcun altro era lì oltre a lui. Si bloccò immobile, in attesa di qualche altro segnale. Controllò il più silenziosamente possibile d’avere la pistola a portata di mano e, in seguito, si morse le labbra per non respirare troppo rumorosamente. Ma non udì altro che un silenzio tombale. Attese ancora qualche secondo, poi riprese il cammino, ripetendosi che, in fondo, si era fatto suggestionare troppo. Ma non passò un minuto, che il rumore tornò a farsi sentire. Era come essere seguiti, avvertiva passi dietro di sé. Ma anche se si fosse girato non avrebbe scorto nulla, n’era certo. Perciò si fermò ancora una volta, respirando a fondo ma sempre in maniera silenziosa. Socchiuse gli occhi, alzando il capo per cercare le stelle. C’erano nuvole a coprire il tanto amato firmamento. Gli vennero in mente le parole di Sherlock riguardo alla conoscenza del sistema solare: “Cosa cambia a me se la Terra gira intorno al sole o viceversa?”. Sorrise senz’accorgersene. Il rumore si fece sentire nuovamente, stavolta più vicino. Magari è un animale, pensò inquieto. Ma che poteva essere se non qualche topo o tasso? E poi essi non seguivano mai l’uomo, semmai ne fuggivano. Perfetto, mi seguono, si disse rassegnato, estraendo lentamente dal fodero la pistola, senza produrre il minimo rumore. In seguito la puntò alla cieca dietro di sé, stringendo gli occhi. E sparò.
 
Fu certo che lo sparo aveva colpito qualcosa, poiché subito dopo il rumore assordante che la pistola provocò, si udì un tonfo sordo, come di qualcosa che cadeva. John respirò nervosamente, mentre una tempesta di dubbi iniziò ad assalirgli la mente. E se aveva colpito un compagno? Magari mortalmente? Non poteva tornare indietro, era troppo lontano dalla base. Sarebbe morto lì, per colpa sua e delle sue maledette fissazioni. Chissà, magari Oskar aveva deciso d’inviargli rinforzi senza dirglielo, così qualcuno gli avrebbe coperto le spalle. Magari colui o colei, ed era questo a tormentarlo maggiormente, che aveva colpito, stava tentando di avvicinarsi a lui di soppiatto, per avvertirlo di qualcosa o semplicemente aggiungersi a lui.
Dopo qualche minuto di perfetta immobilità, il dottore si decise a fare dietrofront e ad avvicinarsi al corpo della persona colpita. Avanzò piano come per il precedente cammino, anzi, più lentamente ancora. Da una parte preferiva non sapere a chi aveva sparato. Avvertiva un respiro frettoloso dal basso, proprio davanti a sé. Ecco, bravo John, l’hai ammazzato, chiunque egli fosse, si disse terrorizzato, chinandosi e tastando con le mani il terreno umidiccio. Dopo non molto le sue dita sfiorarono del tessuto bagnato. Le mani andarono subito a cercare quelle del moribondo, tastandole e trovando immediatamente l’oggetto del loro interesse: l’anello all’indice sinistro. John sospirò di sollievo, ringraziando il cielo d’avergli fatto ammazzare il nemico e non qualche povero innocente. Ma, un secondo dopo, le sue certezze vennero spazzate via come fuscelli al vento.
« J-John... » L’avrebbe riconosciuta fra mille la sua voce. Profonda, calma nonostante il dolore provato, controllata. La voce di Sherlock. Sperò che il suo cervello gli stesse giocando un brutto scherzo, che stesse unendo la voce di qualche sconosciuto a quella del suo Sherlock. Ma come avrebbe fatto uno sconosciuto a conoscere il suo nome?
« Sherlock... Sherlock, sei tu? » Un colpo di tosse. Un gemito. Un rumore di stoffa che viene strusciata; probabilmente stava mutando posizione.
« Ottima deduzione, dottor Watson... » Nonostante lo stato pietoso della sua voce, da cui John comprese anche il suo stato fisico, aveva ancora voglia di scherzare.
« Che diamine ci fai con l’anello del generale nemico? E, soprattutto, che sei venuto a fare quaggiù senza di me? Cosa ti è saltato in mente, eh?! » Mormorò a voce più bassa possibile il dottore, mordendosi praticamente a sangue il labbro inferiore per trattenere lacrime di terrore in procinto di rigargli le guance.
« Ti spiegherò con calma... Ora, per favore, devi attingere alle migliori delle tue conoscenze in campo medico, estraendo al buio il proiettile che mi hai appena conficcato in una spalla. Fortunatamente non hai mirato alla testa, sennò a quest’ora... » Quella richiesta fece pensare a John che il compagno d’indagini, oltre ad una considerevole quantità di sangue, avesse perduto la ragione. Ma in seguito si disse che, se voleva ancora vederlo vivere, doveva davvero ricorrere a mezzi estremi per medicarlo.
« Con che diamine ti ricucio, poi? Non ci sono né ago né punti di sutura, morirai dissanguato. »
« Per il momento, limitati ad estrarre questa diavoleria dalla mia spalla. In seguito ci legheremo una pezza strappata da qualche indumento e fino alla base dovrei arrivarci. »
« Ma Sherlock! La base è ad almeno un’ora da qui! Non ce la farai mai! » Esclamò sbalordito il dottore, iniziando a tremare involontariamente.
« Non parlo della base da cui vieni tu, sciocchino. Sbrigati a rimuovere questo coso e poi ti spiego a dovere. »
 
Che John ricordi, non fu mai tanto doloroso per lui medicare qualcuno come lo fu medicare Sherlock quella notte senza stelle, la più buia che rammenti. Per estrarre il proiettile dalla sua spalla fu necessario utilizzare un bastoncino qualunque, chissà sporco di cosa, provocandogli almeno una decina d’infezioni che avrebbero potuto essere letali. Ma la cosa più dolorosa fu sentire Sherlock lamentarsi di dolore fisico per la prima e forse ultima volta nella vita. Ogni volta che il bastone affondava un centimetro in più nella sua carne, egli aveva un sussulto, seguito da un gemito che si sforzava di contenere e soffocare, senza troppo successo visto che John avvertiva lo stesso le sue movenze nell’oscurità. Lo sentiva stringere forte tra le mani un pezzo della sua divisa, almeno credette fosse una divisa, ansimare il più silenziosamente possibile. E ciò gli provocava un dolore quasi superiore a quello che aveva e che stava provocando ad una delle persone a cui maggiormente teneva nella sua vita; probabilmente, senza che lo sapesse, quella a cui teneva di più. Non poteva fare piano, poiché ogni momento in cui il proiettile stanziava nel suo corpo poteva essere quello in cui avrebbe raggiunto un’arteria, o una vena, o frantumato un osso. Già era tanto che si fosse fermato in un muscolo. Grazie a Dio non aveva potuto prendere la mira. Senza che Sherlock si accorgesse che lo faceva, versò in silenzio lacrime di rimorso e rabbia, trattenendosi dal singhiozzare.
Appena terminato il duro lavoro, si tirò un poco indietro, sospirando due o tre volte prima di riuscire a proferir parola, con voce così tremula da risultare inumana.
« Va meglio...? »
« Molto, ti ringrazio... » Per quanto si sforzasse di mantenere un tono saldo e fermo, si capiva che aveva sofferto molto negli ultimi dieci minuti, tempo che John aveva impiegato a rimuovere il proiettile, scagliarlo il più lontano possibile e fasciargli la spalla alla bell’e meglio con un lembo di camicia strappato all’ultimo minuto.
« Mi ringrazi? Sono stato io a spararti, Sherlock, non diciamo sciocchezze. »
« Che potevi saperne che ero io? Nemmeno ero certo che fossi tu quello che seguivo... » Sentirlo parlare d’insicurezza era come ascoltare un barbone trattare di geo-fisica.
« Mi dispiace, potrai mai perdonarmi? »
« E tu? » A quelle parole seguì un lungo silenzio. John avvertì, dopo qualche minuto, un rumore davanti a sé, di tessuto che veniva mosso e movimenti sul terriccio. L’udito era il senso che più aveva attivo in quel momento. Non passò troppo tempo che avvertì delle mani toccarlo nel più totale silenzio. Riconobbe i palmi e le dita di Sherlock e non si mosse, respirando nell’oscurità. Poi qualcosa gli si appoggiò al petto. Realizzò poco dopo che si trattava del capo del compagno, che probabilmente era troppo stanco e stremato dall’”intervento” per dirigersi alla base a cui aveva alluso poco prima.
Senz’aggiungere nulla gli posò una mano sulla nuca, stringendolo a sé e sistemandosi meglio sul terreno. Ascoltò il suo respiro farsi sempre più lento, fino a ridursi a un silenzioso fischio appena accennato; ne dedusse che si era addormentato. Sperò che nel sonno non potesse rendersi conto di quanto forte stesse battendo il suo cuore. Né di quanto scioccamente stesse piangendo, senza nemmeno lui sapere perché.
 


***
 
 
Perdono, perdono, perdono (...)! Mi dispiace tantissimo per l’increscioso ritardo, è che è uscito di recente l’ultimo libro di Zafón e ne sono stata totalmente trascinata, non avevo ispirazione. Questa idea stramba è uscita sull’autobus, osservando degli anelli addosso ai passeggeri; ma ciò non è di vostro interesse. Grazie per aver letto fin qui e grazie per le aggiunte e le recensioni, apprezzo davvero tanto (: E scusate pure per la lunghezza scarsa di questo capitolo! È che proprio non avevo molta voglia di scrivere ma, se non l'avessi fatto, avrei perso la maggior parte dei miei amati lettori ;) Ah! Perdonate per l’orribile errore di cui certamente vi sarete accorti: ho scritto che John aveva combattuto in Iraq e non in Afghanistan! Sono un’ignorantona, perdonate! ;_;
Va bene, vi abbandono. Ci sentiamo al prossimo capitolo, grazie ancora!~
   
 
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