Dodici
ore di sonno... Tanto era il bisogno di Cath di riposarsi, e tanto io
rimasi a fissarla, vegliando sul suo riposo.
Tutto fu interrotto
dallo squillo del telefono, che mi fece sobbalzare. Rapidamente, per
evitare che lei si svegliasse, mi apprestai a rispondere.
«
Bauer! Si può sapere dove diavolo sei finito? Il tuo turno
iniziava
due ore fa! »
«
Si... Mi scusi capo... Io, vede, non sto bene... » e finsi un
colpo
di tosse abbastanza convincente, per quanto fosse possibile...
«
Dannazione, conosci le procedure, avresti dovuto informarmi! Ora mi
toccherà far pattugliare la tua zona a qualche topo
d'ufficio! Vedi
di farmi avere le carte mediche il prima possibile, così
mettiamo a
posto le formalità burocratiche! »
«
Sissignore, mi scusi signore. » E riappesi l'apparecchio.
Cath
mi guardava, seduta sul letto, gli occhi ancora appannati di sonno.
La raggiunsi, mi sedetti accanto a lei e iniziai ad accarezzarle
delicatamente i capelli. Poi si riebbe, capì chi ero e
dov'era, e si
strinse le gambe al petto, gli occhi sbarrati. Passai svariati minuti
a tranquillizzarla, e dopo averle mostrato casa e dove fosse ogni
cosa, le proposi di lavarsi mentre io uscivo a cercare qualcosa per
cena e qualche vestito per lei.
Feci
qualche passo fuori di casa, prima di realizzare di essere ancora in
divisa, quindi tornai dentro e mi diressi a cambiarmi. Fatto questo
tornai fuori, ma con la sensazione che qualcosa non quadrasse. Non
diedi molto peso alla cosa, quindi feci le commissioni che dovevo, e
tornai a casa con qualche panino da hot dog e qualche salsiccia con
cui riempirli, oltre a due gonne e qualche maglia per Cath.
Tornato
a casa rimasi a bocca aperta, lei era in piedi in cucina, con indosso
una mia camicia e un paio di miei pantaloni, che armeggiava con
qualche padella e non so bene cosa io avessi ancora nel frigorifero.
Si voltò verso di me, sorriso radioso sul viso, capelli neri
raccolti in una crocchia sulla testa e mi disse semplicemente:
«
Bentornato! »
Il
mio cuore perse un battito. Com'era possibile che poche ore di sonno
le avessero restituito la vita? Com'era possibile che così
poco
tempo lontana da quella casa, quell'energumeno, le avessero ridato il
magnifico sorriso di cui mi ero innamorato? Persi poco tempo nelle
domande, e approfittai del suo stato per tornare a ciò che
avevamo
una volta, quella familiarità e quell'intimità
che così tanto mi
mancavano. Mangiando mi raccontò del periodo passato
separati, dei
movimenti studenteschi, delle battaglie contro il Vietnam e
l'esercito, e di come avesse deciso di andare a vivere con quel
macaco a cui avevo sparato. Stranamente, però, arrivati al
giorno
prima sembrava avere un vuoto di memoria, come se non ricordasse cosa
fosse successo... Decisi di non forzarle nella mente ricordi brutti,
e semplicemente le dissi che avevo colpito l'uomo e l'avevo portata
da me.
Passammo
qualche giorno meraviglioso insieme, prima che dovessi rientrare in
centrale, e dovetti anche farmi fare carte false dal mio medico, per
colpa della mia linguaccia. Una volta in ufficio il capo mi
chiamò
da lui e mi sottopose un caso alquanto strano. Un uomo, trovato morto
in un cassonetto, era stato ritrovato la mattina stessa, e voleva che
me ne occupassi, dal momento che il ritrovamento era stato effettuato
nella mia zona di competenza. Raccolsi i ferri del mestiere
(medievali, se paragonati alle valigette dei moderni operatori
forensi) e mi diressi verso il cassonetto in questione.
Arrivato,
mi fecero passare senza problemi, visto il distintivo sul mio petto,
e iniziai a fare foto della scena, non trovando però alcuna
traccia
visibile di passaggio attorno al luogo. Aprii con cautela il
coperchio e mi ritrovai di fronte uno spettacolo orrendo: l'uomo
aveva un vistoso buco in fronte, probabilmente un colpo di pistola,
ma era l'unica cosa normale del corpo. Il viso era totalmente senza
pelle, i muscoli esposti e stranamente aggrovigliati fra loro, le
braccia sembravano essere state rotte in più punti e rimesse
insieme
alla bell'e meglio, mentre tronco e gambe presentavano vistose
escrescenze ossee che un tempo dovevano essere all'interno del corpo.
Per poco non rimisi quando lo vidi. Mi allontanai qualche minuto per
riprendermi, sotto gli sguardi di comprensione dei miei colleghi
più
anziani, che stavano interrogando alcuni passanti. Poi mi feci forza
ed esaminai con cautela la zona attorno al corpo, quest'ultimo
probabilmente gettato nelle immondizie di peso. I vari rifiuti erano
normali, spostati dal peso dell'impatto e volati un po' ovunque. Una
sola cosa catturò la mia attenzione, una busta di plastica
macchiata
di rosso, simile a quelle che utilizzano negli ospedali per le flebo.
La presi e la riposi in un sacchetto di carta per non contaminarla,
poi continuai l'analisi della scena. Mi ci vollero svariate ore per
terminare l'impresa, ma alla fine non avevo cavato un ragno dal buco,
quindi sigillai la zona e tornai in centrale, con la sensazione che
qualcosa di più grande fosse in atto.