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Autore: sayuri_88    09/03/2012    5 recensioni
Edward si θ appena trasferito in una nuova cittΰ e durante una fuga si scontra con due occhi marroni come il cioccolato e....LEGGETE^^
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Eccomi! Vi sono mancata? Scusate il tremendo ritardo ma il periodo esami è finito a febbraio poi è ricominciata l'università ed è stato tremendo... nemmeno un minuto libero : ( e alcuni episodi hanno remato a mio sfavore. Spero mi perdoniate e chiedo scusa per eventuali errori.
Ringrazio le magnifiche nove ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e tutti quelli che hanno messo la storia tra le seguite, preferite e ricordate.
Per chi può interessare ho iniziato una storia originale " La ragazza dello chalet" se vi interessa fateci un salto!
Basta ho detto troppo, vi sentiamo sotto.
Buona lettura!




…: Buon Compleanno :…

 



 
 
 
Ora di pranzo.
Come succede da una settimana, due giorni e venti minuti, lo passiamo nella serra.
È diventato il nostro posto.
— Bella  mormoro con il fiato corto quando mi stacco da lei. Purtroppo Bella non sembra in vena di parlare perché come un falco, in picchiata, si riappropria della mia bocca e, in un primo momento, la lascio fare ma questa mattina mi sono prefissato di parlarle e lo devo fare.
— N... no, Bella. Per favore — e sbuffando alla mia supplica si allontana riservandomi uno sguardo scocciato. Anche io tornerei a fare quello che stavamo facendo, vorrei dirle. Le labbra rosse e leggermente gonfie, gli occhi lucidi. Diavolo, chi me lo fa fare di parlare. No, Edward Anthony Cullen tira fuori gli attributi. Le lascio un rapido bacio a stampo e inizio a parlare.
— Bella, non credi che sia ora di uscire allo scoperto? — lei alle mie parole sbuffa ancora.
— Ne abbiamo già parlato e si era detto di aspettare.
— No, tu hai deciso e poi subdolamente mi hai distratto — okay una bella distrazione... Ma mi ha comunque imbrogliato.
— Ma che t’importa che gli altri lo sappiano? Alice lo sa, cosi Emmet, i tuoi e papà sospetta qualcosa.
— Scusa ma non glielo hai detto? — le chiedo stralunato, lei si passa una mano tra i capelli distratta.
— Beh, a mia difesa non ho avuto l'occasione, in questo periodo è molto impegnato — forse non devo mettere il giubbotto antiproiettili quando vado da lei, almeno non ancora…
— Okay, ma insomma io vorrei prenderti per mano nel corridoio senza ricevere in cambio un'occhiataccia. — ricordando lo sguardo di fuoco del primo girono — Baciarti nel parcheggio della scuola.
— Ma lo facciamo qui.
— Perché non vuoi che altri lo sappiano? Non penso che t’imbarazzi farti vedere con te.
— Certo che no.
— Appunto, insomma non ci sarebbe nulla di male. Fregatene di quello che diranno gli altri.
— Non me ne frega nulla di quello che possono dire —  ribatte —  ma vorrei prendere del tempo per noi. Per ingranare come coppia.
Coppia... Mi piace, forse più del lecito, sa di complicità, appartenenza di…
— Giusto?
— Mh...?
— Non mi hai ascoltato, vero?
Sorrido accattivante cercando di farmi perdonare e lei alza gli occhi al cielo lasciandomi un veloce bacio sulla bocca prima di alzarsi e raggiungere l'uscita.
— Bella, non ti sarai arrabbiata?
— No, ma a quanto pare sono io la ragazza diligente ora.
— Perché? — chiedo stranito.
— Sta suonando la campanella — e apre la porta così che il suono della campanella mi riempie le orecchie e sbuffo infastidito. Anche oggi la pausa pranzo è volata come il vento.
— Okay, andiamo.
Mi alzo e svogliato la imito uscendo dalla porta. Il corridoio è vuoto ma quello in cui s’imbocca c'è già qualche studente, vi stiamo per entrare quando faccio qualcosa che forse la farà arrabbiare.
L’abbraccio e, infatti, Bella s’irrigidisce e la vedo guardarsi attorno agitata. 
— Attacco a sorpresa. Non succederà mai più. Prometto — dico prima che inizi una sfuriata e stampandomi in faccia un sorriso malandrino.
La giornata finisce in fretta e senza nemmeno accorgermene mi ritrovo davanti al mio armadietto a sistemare i libri che non mi servono.
— Ciao, Edward — Jane è la mia vicina di armadietto, una ragazza minuta, bionda e con gli occhi azzurri, se non sbaglio, frequenta il terzo anno. È timida e ogni volta che mi vede le sue gote diventano rosse come due pomodori. Ha una cotta per me, spesso arrivava a scuola con dei dolci preparati in casa da lei, per quello che mi diceva, e me ne offriva sempre uno. Non ho mai accettato, o almeno all’inizio sì ma quando ho capito il motivo di queste sue attenzioni, ho smesso, non volevo alimentare delle false speranze in lei.
Peccato, erano davvero buoni quei dolcetti.
— Ciao, Jane.
— Com’è andata la mattina? — continuò con voce bassa.
— Molto bene, grazie. La tua? — per quanto volessi salutarla subito e uscire da scuola non potevo certo essere sgarbato con lei.
— Molto bene — risponde per poi rimanere in silenzio ed io lo prendo come un assenso per andarmene ma la vedo guardarsi attorno cercando non so cosa. Poi guarda me e apre la bocca per dire qualcosa ma poi ci ripensa. Esita un paio di volte.
— Stai bene? Hai bisogno di qualcosa? — le chiedo iniziando a preoccuparmi.
— No, tutto bene. Solo… devo dirti una cosa ma non vorrei che tu la prendessi male… — parla sistemando i libri nel suo armadietto e lanciandomi occhiate timide e timorose.
— Perché dovrei prendermela?
— Beh… ecco riguarda Isabella Swan — confessa tutto di un fiato.
Mi faccio più attento e la guardo severo, temo quello che possa dirmi, qualche malevola voce come solito. Jane non è cattiva, so che non direbbe mai nulla di male contro qualcuno.
— Ecco… in quest’ultimo periodo ti vedo spesso con lei — inizia e mi rilasso, non è niente di cattivo.
Solo che Bella no sarà felice di sapere che qualcuno ha notato  la nostra vicinanza. Per quanto non mi permette di baciarla, abbracciarla, si vede che siamo più uniti. Spesso è lei che inconsapevolmente si avvicina a me, mi sfiora o semplicemente mi sta vicino più del lecito.
Forse è meglio che Bella non sappia quanto si noti il nostro legame.
— È una mia amica, è ovvio che passi molto tempo con lei.
— Beh… ma lei è così diversa da te. Non dovresti frequentarla — borbotta ed io alzo un sopracciglio con fare scettico. Sposta lo sguardo alle mie spalle prima di riprendere a parlare ma non guardo troppo concentrato a capire le parole della ragazza. Sembra anche sorridere ma non ne sono sicuro.
— Che vorresti dire? — perché davvero non so che pensare.
— Beh… lei è così introversa, fino a un mese fa non parlava con nessuno e quando lo faceva era quasi maleducata. È cattiva.
— Questo proprio no. — sbotto incapace di accettare quella cattiveria gratuita. Mai avrei pensato che Jane potesse dire certe cose. — Bella è una bellissima persona, come tutti ha i suoi problemi e forse ha reagito male ma non ti permetto di dire che è cattiva — termino con tono duro.
Jane, spalanca gli occhi stupita, non si aspettava una mia reazione così forte.
— Okay, non la conosco non posso dire certe cose. Scusami — balbetta, prende un respiro profondo e ricomincia a parlare: — Dico solo che potrebbe influenzarti negativamente. Tu sei intelligente, simpatico, bello, pronto a socializzare. Insomma il suo opposto.
— Gli opposti si attraggono, Jane. Mai sentito? — le dico aspro. La discussione e la piega che ha preso non mi piace per nulla.
— Edward, ti muovi? Mamma mi aspetta per andare al centro commerciale — la voce di Alice mi fa voltare di scatto. Lei e Bella sono ferme a mezzo metro dietro di me.
— Bene, devo andare. Buon pomeriggio, Jane — la saluto ancora arrabbiato per quello che ha detto. Le do le spalle senza attendere la sua risposta e assieme a mia sorella e a Bella lascio l’edifico.
La mia ragazza sembra tranquilla e la cosa mi rilassa. L’ultima cosa che voglio è che abbia ascoltato quello che ha detto Jane, erano solo cattiverie ma Bella come suo solito si farebbe tanti di quei castelli in aria come fa sempre quando qualcuno a cui tiene è implicato. Vuole vederli felici, forse per il fatto che la madre l’abbia rifiutata. Convinta che la causa di tutto fosse lei, cerca di non dare delusioni a quelli a cui tiene, come a cercare un’approvazione.
— Ehi, Eddy, apri la macchina o devo andare a piedi fino a casa?
— Eh? — in tanto siamo arrivati alla macchina. Alice ha la mano su uan maniglia, al suo fianco Jasper le cinge le spalle, nemmeno mi sono accorto che ci ha raggiunto. Bella invece è al mio fianco e mi guarda curiosa. — Scusate ero sovrappensiero — e faccio scattare le sicure della macchina.
— Allora, oggi vieni da me per un ripasso di letteratura? — chiedo a Bella, speranzoso.
— Non posso. Ho un impegno, mi spiace. — si giustifica rimanendo sul vago.
— E ti posso essere utile? — le chiedo accompagnando la richiesta con un paio di occhi da cucciolo bastonato. Bella mi guarda palesemente scettica
Ho voglia di passare del tempo con lei anche se dobbiamo lavorare.
— No, non ce n’è bisogno, ce la faccio benissimo da sola — è la sua risposta accompagnata da un’alzata di spalle.
La sua risposta mi toglie il sorriso, ho bisogno di stare un po' con lei, soprattutto dopo le parole di Jane. La sua presenza mi tranquillizza.
— Okay — infatti, le rispondo con tono mogio. — Allora ci vediamo domani.
— Certo. Buona continuazione. Ciao, Edward, Alice, Jasper — ci saluta e raggiunge la sua macchina ed esce dal parcheggio prendendo la direzione opposta di quella di casa sua.
Sono comodamente stravaccato sul letto ascoltando musica Jazz a tutto volume quando il materasso vibra avvisandomi di un nuovo messaggio.
 
Accetto la tua proposta di aiutarmi.
VIENI SUBITO!
 
È incredibile quanto può essere autoritaria anche quando deve chiedere una mano.
Spengo lo stereo, mi cambio per uscire e in poco meno di dieci minuti mi fermo davanti alla casa di Bella. Per evitare altre figure cerco con lo sguardo la macchina della polizia ma questa non c’è, segno che il Capo Swan è alla centrale.
Arrivo davanti alla porta d’ingresso e suono il campanello.
— È aperto! — urla Bella. La sua voce è ovattata e lontana ed è accompagnata da suoli metallici. Senza aspettare oltre, abbasso la maniglia ed entro. I rumori si fanno più forti, arrivano dalla cucina.
— Sono in cucina — infatti mi avvisa la mia ragazza.
Appena entro, il primo pensiero è di aver sbagliato casa e di essere finito in un campo di battaglia. C’è farina, uova, zucchero, latte e altre sostanze non ben identificate sul tavolo, sul pavimento e il lavandino è pieno di pentole e ciotole sporche, e infine ferma dietro al tavolo, intenta a togliere una torta dallo stampo c’è Bella con indosso un grembiule che un tempo doveva essere rosso e su cui doveva esserci disegnato qualcosa.
— Ma che hai combinato? — le chiedo palesando la mia presenza.
Bella, alza lo sguardo e mi sorride.
— Finalmente, ho bisogno del tuo aiuto. Devi assaggiare queste — e indica due torte e un piatto con dei biscotti.
— Scusa ma tu hai detto di non saper cucinare.
— Infatti, ed è per questo che entri in campo tu. Oggi è il compleanno di Charlie e Sue arriverà alle sette per portarmi il primo e il secondo mentre io ho voluto fargli il dolce. Ho dimenticato di prendergli il regalo e così mi faccio perdonare — mi spiega tutto di un fiato mentre si muove per la cucina alla ricerca di non so cosa.
— E perché entro in campo io?
— Devi assaggiarle e dirmi quale è la migliore, così la preparo — m’illumina prendendo da un armadietto un piatto e recuperando la forchetta.

— Perché devo assaggiarli io? — le chiedo cauto. Non era lei quella che ha mandato il padre all’ospedale? — Credi davvero che tuo padre sarà felice di mangiare qualcosa di tuo? L’hai detto tu che l’ultima volta è stato un disastro.
Sto perdendo tempo, sì, e allora? Ne sono innamorato ma non posso negare che ho un certo timore ad assaggiare qualcosa di suo, dopo quello che mi ha raccontato.
— Sei tu, l’esperto di dolci e ti ricordo che sei in debito con me, ricordi? Il primo giorno. Ti ho salvato dalla Stanley me lo devi — dice puntandomi il dito infarinato contro.
— Non voglio finire in ospedale — obbietto.
— Ho seguito la ricetta passo a passo. È sicuro.
— E allora provala tu — obbietto e lei si morde il labbro inferiore.
— Beh… nell’eventuale e remoto caso che abbia sbagliato qualcosa…
— Fammi capire. Mi stai usando come cavia? No, no. Ci tengo alla mia vita.
Bella, sbuffa e avvilita si lascia cadere sulla prima sedia che trova. Poggia il gomito sul piano e con la mano si regge la testa. Lo sguardo fermo, dritto davanti a se, persa nei suoi pensieri.
— Che farò quando arriverà papà… — mormora e subito il mio istinto mi mette in guardia. Sta facendo leva sul mio senso di colpa. Non può giocare così sporco. — Sarebbe stato così felice, già m’immaginavo la sua faccia. Poi avrei potuto dirgli che mi avevi aiutato e quando gli avrei detto che stiamo assieme non l’avrebbe presa poi tanto male…
— Dici che in questo modo potrebbe evitare di puntarmi la pistola contro?
— Beh, potrebbe pensare che ti sei preoccupato per la sua salute assaggiando qualcosa preparata da me.
Emetto un sospiro rassegnato e quando gli occhi di Bella si accendono, pregustando già la vittoria, gli dico di tagliare la prima fetta.
Intanto prendo un biscotto e lo giro osservandolo in ogni sua angolazione. Sembra normale, colore marroncino chiaro su cui spiccano le gocce di cioccolato scure.
Esitante lo porto alla bocca e ne stacco un pezzetto quello che basta perchè che le mie papille gustative saggino l’impasto cotto per sputarlo fuori subito.
— O Dio, Bella, ma quanto sale ci hai messo? — le chiedo sputacchiando gli ultimi pezzetti e passandomi la mano sulla bocca nel vano tentativo di togliermi quel sapore orrendo. Lei mi guarda senza capire e rapida recupera un libro poggiato su una mensola e lo sfoglia alla ricerca di una pagina.
— Un pizzico, come dice qui. Guarda — dice dopo essere arrivata alla pagina che gli interessa e avermela messa sotto il naso, segnando con il dito la riga che m’interessa.
Poi un pensiero, al ricordo di quando, all'età di cinque anni avevo convinto mamma ad aiutarla in una torta.
— Posso vedere il contenitore del sale e dello zucchero? — le chiedo.
La vedo prendere due contenitori di ceramica su cui sono disegnati dei fiori e me li mette davanti.
— Questo è lo zucchero — indicando quello a destra — e questo il sale — indicando l’atro. Prendo quello che ha indicato come zucchero e lo apro. Capisco subito che qualcosa non va.
— Bella… — la richiamo come fa un genitore con la propria figlia — questo è sale e questo è lo zucchero. Li hai invertiti.
— Cosa? No, è zucchero e quello il sale.
— No, assaggia se non ci credi — e gli porgo il vasetto con fare saccente. Sicura delle sue certezze ne prende un po' su un dito e lo assaggia esibendo una facci disgustata quando il sapore del sale le riempie la bocca.
— Oddio, è sale — biascica disgustata prima di recuperare un bicchiere, riempirlo di acqua e berne tutto di un sorso il contenuto.
— Che casino… Io che credevo di aver fatto tutto giusto — dice dopo aver poggiato il bicchiere.
— In quel caso non mi avresti chiamato — le dico mentre lei si apre in un sorriso divertito.
— Vuoi dire che ho volontariamente tentato di avvelenarti?
— Più o meno — le rispondo con un’alzata di spalle. Batto le mani sul tavolo facendola sobbalzare e recuperato un grembiule appeso a un gancetto vicino al frigorifero, lo indosso.
 — Forza, ti do io una mano e vedrai che tuo padre sarà entusiasta.
Bella mi guarda dalla testa ai piedi e si trattiene a stento dal ridere.
— Che c’è? So che è un po' strano un uomo con il grembiule ma siamo nel nuovo millennio, no?
— Non è per quello, ecco… non so se hai notato il disegno sul grembiule — dice indicando con un gesto veloce dell’indice tutta la mia figura.
Solo quando abbasso lo sguardo curioso mi accorgo che il disegno è quello di un corpo femminile in una succinta veste rossa da cui spunta il bordi di un reggiseno di pizzo e un paio di autoreggenti con reggicalze.
— Beh… nemmeno come donna starei male, guarda che fisico — dico indicando la mia figura.
Dopo la mia uscita Bella non trattiene le risate.
— Così mi offendi. Credi che non possa essere una bella donna?
— Piantala e mettiamoci al lavoro abbiamo solo due ore prima che Sue arrivi — mi richiama all’ordine e piazzandomi davanti alle ciotole e ai vari ingredienti.
 
Abbiamo preparato la torta assieme, insegnandole come montare gli albumi, preparare la crema per farcire e coprire la torta. Mi sono divertito come non mai, non sono mancati scherzi come riempirmi la faccia di cioccolato, sul naso, sulla guancia, sulla bocca - che poi ripuliva con un metodo molto piacevole.
Un’ora dopo, ricoperti di farina e impasto al cioccolato, osserviamo la nostra opera d’arte.

 
— Direi che ha un bell’aspetto, no? — mi chiede entusiasta come una bambina a cui hanno appena comprato il giocattolo nuovo.
— Beh… con me come maestro, che ti aspettavi?
— Da adesso in po' ti chiamerò Chef Modesto.
— Sempre al suo servizio mia signora — dissi simulando un goffo inchino.
— Okay, scemo, ora aiutami a pulire — e dopo un bacio stampo inizia a pulire le pentole nel lavandino.
 
Ed è quando poggio l’ultima pentola sul tavolo, pulita e asciutta che Bella inizia un argomento che non avrei mai voluto iniziare.
— Non pensi che abbia ragione?
— Di che parli?
— Di quello che ti ha detto Jane.
La sfortuna deve essermi proprio affezionata se mi gioca questi scherzetti.
— Da quando sei così insicura e ascolti quello che dicono gli altri? — le chiedo liberandomi del mio grembiule e mi avvicino a lei per abbracciarla. Bella non mi scosta anzi si appoggia a me facendo passare le sue braccia attorno alla mia vita mi stringe con forza.
— Infatti, non m’interessa quello che dice una ragazzina gelosa ma — esita un istante — se tu ti accorgessi che effettivamente c’è di meglio di una ragazza mollata dalla madre per scappare con l’amante e per di più con un pessimo - per non dire qualcosa di peggio - carattere? — non riesco dall’esimermi di liberare una leggere risata. Quelle cose non m’interessano, sono molte le cose che la rendono speciale e unica per me.
— Beh... in quel caso mi ricorderò sempre della bellissima ragazza che pur di farmi vedere i fuochi d’artificio senza luci artificiali ha sfidato la sua paura per le altezze — le dico obbligandola a guardarmi in viso. Sorride e so che questo basta a farle passare tutti i dubbi.
— Grazie. Come fai a sopportarmi, lo sai solo tu.
— Infatti, lo so solo io e questo basta — sussurro a un passo dalle sue labbra. È lei a eliminare le distanze, la sua bocca sa ancora di cioccolato e panna che mischiato al suo sapore è migliore di qualsiasi dolce preparato da mia madre. E ho detto tutto così.
Le mie mani corrono ai suoi fianchi, intrufolandosi malandrine sotto la maglietta. È calda e si riempie di pelle d'oca al mio tocco freddo.
Le sue sono ferme sulle mie spalle e lentamente circondano il mio collo avvicinandomi maggiormente a lei. Mi faccio più audace e con le mani salgo fino a sfiorare il reggiseno per poi ridiscendere accarezzandole la schiena e poi risalire ancora.
— Bell... oddio scusami! — una voce acuta e molto imbarazzata ci fa allontanare come scottati.
Quello che vedo quando mi giro, è una gonna che svolazza per poi sparire dietro lo stipite della porta.
— S…Sue? Non dovevi arrivare alle sei e trenta? — farfuglia Bella con voce bassa e arrocchiata.
— Cara, sono le sei e mezzo — dice l’interessata. La voce è vicina, probabilmente aspetta proprio dietro l’angolo.
— Beh… si è fatto tardi. Meglio che vada — dico imbarazzato.
— Sì, sì, è meglio — concorda Bella nel mio stesso stato d’animo. È rosso come un peperone e probabilmente nel suo cervello sta cercando di organizzare una scusa per spiegare a quella che considera quasi una madre perché fosso spalmata su un ragazzo.
Usciamo e proprio come immaginavo Sue è proprio di fronte a me con le borse in mano che sorride imbarazzata.
— Salve, e… buona serata, signora — la saluto muovendomi a scatti e recuperando il mio giaccone che indosso senza chiudere tanta è l’ansia.
— Anche a te, ragazzo. Chiamami Sue, la prossima volta.
Perché ci sarà una prossima volta?
— Buona serata, Bella. Fa gli auguri a tuo padre — dico quando sono alla porta. Bella la tiene aperta e cerca di non guardare né me né Sue.
— Ciao, Edward — dice mentre mi chiude la porta in faccia.
Ora che sono fuori e l’aria fredda di novembre mi entra fino alle ossa libero il respiro che ho trattenuto fino a quel momento.
A passo sostenuto mi dirigo verso la macchina e salgo sbattendo la porta con forza. Alzo lo sguardo poco prima di iniziare la retromarcia e dalla finestra della cucina vedo la donna guardarmi sorridendo, mi saluta anche ed io alzo le dita che stringono il volante e parto.
È stato il momento più imbarazzante della mia vita ma se guardo il lato positivo, non era suo padre. Lo sceriffo mi avrebbe puntato la pistola contro e non mi avrebbe fatto uscire incolume da quella casa.
 
— Gli ho detto tutto. Insomma lei non mi ha chiesto nulla ma lei fa così, è subdola, diabolica. Sguardi, sorrisini, gesti e bang… — esclama colpendo con un pugno il palmo della sua mano — ti frega e gli confessi anche il tuo più intimo segreto.
Il giorno dopo e siamo al parcheggio della scuola. Io, poggiato al cofano della mia macchina, e Bella, tranquillamente seduta sopra. Ormai mi ero rassegnato a dirgli di non farlo.
— Wow… Qualcuno che non riesci a fregare, non avrei mai creduto di vedere questo giorno — scherzo spintonandola leggermente. — E come l’ha presa, alla fine?
— Era felice, ha detto che ci ho messo un po' ma alla fine mi sono trovata uno schianto di ragazzo — confessa ridacchiando e facendomi imbarazzare, infatti, mi passo una mano tra i capelli, nervoso.
— Addirittura?
— Di solito un ragazzo si gonfia il petto di orgoglio a un commento simile — dice lei con un sorriso sornione.
— Beh… diciamo che non sono abituato ai complimenti a parte mia madre — confesso con un’alzata di spalle. Ed è vero, nella vecchia scuola c’erano ragazzi più belli di me, almeno a detta delle ragazze, non ho certe tendenze per giudicare un altro ragazzo. — Te l’ho detto, a Chicago ero uno nella norma. Erano i giocatori di football ad avere successo.
In quel momento suona la campanella e insieme ci avviamo alla nostra lezione senza che nessuno dei due riprendesse il discorso. Da parte mia non c’è nulla da aggiungere, mi basta che Bella mi abbia notato e che abbia accettato di stare con me.
Che le altre mi trovassero carino è irrilevante. 
La settimana passa tranquillamente e presto arriva il venerdì ultimo giorno di lezione prima del weekend. Bella mi ha confessato di aver detto al padre che esce con me e che questi non ha battuto ciglio. “ Ha sicuramente chiamato la polizia di Chicago per informarsi su tuoi eventuali precedenti e non ha trovato nulla” mi aveva detto con l’intento di tranquillizzarmi. Io però non mi sono sentito più tranquillo e l’ansia non ha fatto che crescere visto che ho in mente di chiedere a Bella di uscire, per un appuntamento vero, e che devo incontrare lo sceriffo per “ufficializzare”. Potrei portarla a Port Angeles, a vedere un film poi cenare da qualche parte o andare alla mostra di Klimt a Seattle, è uno dei suoi preferiti e già pensava di andarci.
— Edward? — la voce di Jenna mi ridesta dai miei pensieri. Rimetto nel mio armadietto il libro che avevo in mano, lo chiudo e mi giro a guardarla.
— Ehi, Jenna. Dimmi.
— Ecco sabato prossimo ci sarà il ballo d’inverno. Non… non lo sapevi? — mi chiede vedendo il mio disorientamento.
— Veramente no — mormoro ed è strano che Alice non me ne abbia parlato, lei va matta per i balli, i bouquette e i vestiti da cerimonia.
— Beh, c’è questo ballo e vorrei sapere se ci verresti con me.
— Non è il ragazzo che deve chiedere? — chiedo sinceramente divertito.
— No, sono le ragazze che devono chiedere ai ragazzi, è una tradizione — risponde con un’alzata di spalle.
— Mi spiace ma non posso accettare.
— Non parteciperai?
— Probabilmente no — anche perché non credo che Bella mi chiederà di partecipare. Non è il suo genere e da come parla del ballo di fine anno questo ballo d’inverno non è nemmeno sul podio delle sue priorità.
— Okay — mormora dispiaciuta. Io abbozzo un sorriso e la saluto per poi superarla.
Mi guardo attorno e sulle pareti bianche dei corridoi trovo qua e la volantini che parlano del ballo e gli studenti non sembrano parlare di altro: “Dite che accetterà?”,“credo che quella dietro di me a biologia mi chiederà di andare con lei al ballo”… Seriamente come ho fatto a non accorgermene?
Ho avuto altro per la testa, altro di più interessante e proprio mentre la penso compare alla fine del corridoio di ritorno dalla sua lezione.
— Ehi… — la saluto arrivandole a fianco.
— Ehi… che succede?
— Nulla a parte il ballo d’inverno. Sai che non ci avevo fatto caso.
— Mmm… tua sorella invece è stata molto attenta — sbuffa ed io sghignazzo. So quanto può essere stressante mia sorella.
— Lei vivrebbe per queste feste. Comunque tu non dovresti avere palestra? — le chiedo realizzando che sta andando nella direzione diametralmente opposta.
— Appunto per questo sto andando in biblioteca a leggere qualche libro. Oggi giocano a pallavolo. Tu? Non dovresti essere a lezione?
— Il professore non c’è — rispondo e un’idea mi passa per la mente — posso farti compagnia?
— Stiamo diventando una di quelle coppie — e abbassa la voce quando deve pronunciare la fatidica parola che io urlerei al mondo — che se non si vedono per tre minuti danno di matto?
Rallento il mio passo fino a fermarmi e quando si accorge di non avermi più al suo fianco si ferma a guardarmi curiosa. Non credevo che potesse darle fastidio la mia voglia di passare del tempo con lei. Solo che è stressante esserle vicino e non poterla abbracciare o fare altro e così mi aggrappo a ogni momento possibile. Anche se devo ammettere che la sua reazione mi fa male, sembra che solo io ci tenga a questo rapporto, che voglia vederlo trasformarsi in qualcosa di concreto o forse ci tengo troppo e sono così egoista da volerla strappare dalle sue abitudini, forse devo solo aspettare, lasciarla abituare all’idea che qualcuno tiene a lei.
— Scusa, allora vado in palestra da Alice. Sarà divertente vederla scappare dalla palla — dico cercando di fare un sorriso. — Ci vediamo a fine lezione — e torno sui miei passi con mille pensieri che mi affollano la mente e non mi fanno capire nulla.
— Ed! Eddy! Edward! — mi fermo quando sento Bella chiamarmi e i suoi passi dietro di me. Non deve fare molta strada visto che, nella speranza di un sono ripensamento, andavo a passo di lumaca.
— Non ero seria, stavo scherzando — e il sorriso che dovrebbe essere di scuse ma che sa tanto di una risata trattenuta mi svuota la mente. Davvero non so che pensare che fare. Arrabbiarmi o prenderla per mano e andare assieme alla biblioteca. Anche se devo ammettere che la prima opzione sembra essere in netto svantaggio.
— Scusa, non è stato proprio divertente. — si guarda circospetta in giro e continua — Mi farebbe davvero piacere passare con te — e accompagna la sua frase con una carezza sul collo. E li sono come Napoleone a Waterloo, lo sa che quello è il mio punto debole ed è diventata brava a sfruttarlo a suo vantaggio.
— Lo sai che sei una piccola diavolessa? — le dico prendendolo la sua mano nella mia, lei sorride vittoriosa e intreccia le sue dita alle sue.
— Lo prendo come un complimento e poi ti piaccio anche per questo — afferma e non posso darle torto.
 
Passiamo l’ora nella zona più appartata della biblioteca, studiamo, o meglio facciamo finta perché Bella interrompe ogni cinque minuti criticando Tizio o Caio per quello che hanno fatto o proponendo una versione alternativa delle loro gesta.
I pochi ragazzi che occupano il tavolo ci guardano male ma a Bella non sembra interessare, anzi sembra trovarci più gusto. È davvero diabolica la mia ragazza.
— Sei un secchione, lo sai? — mi dice mentre silenziosa mi segue tra gli scaffali e sfiora i dorsi dei libri, assorta. Certe volte vorrei poterle leggere nella mente, sapere quello che pensa.
— Non è vero, solo che mi piace fare bene le cose. Altrimenti è meglio non farle — le rispondo dopo aver trovato il libro che m’interessava.
— Appunto — esclama avvicinando il suo viso al mio — sei un secchione.
Si allontana e sparisce dietro uno scaffale. Incuriosito, la seguo e la trovo ferma a sfogliare una rivista di viaggi.
— Programmi la settimana bianca?
— Sì, stavo pensando di fare due settimane ad Aspen — scherza.
— Te la consiglio. Ci siamo stati l’anno scorso e ci siamo divertiti molto. Abbiamo anche conosciuto qualche attore famoso che ci ha invitato a casa loro.
— Ah sì?
— Già e ho anche avuto una breve storia con Paris Hilton — invento con il primo nome che mi passa per la mente.
— E che ci fai con una come me? — sorride mentre rimette al posto la rivista e si appoggia allo scaffale. La raggiungo lasciando il libro su un ripiano e mi piazzo davanti a lei. Una rapida occhiata attorno e mi avvicino ma le sua mano sul mio petto mi spinge indietro.
— Siamo a scuola, Edward — mi ammonisce con sguardo serio, io sorrido e recupero in libro qualsiasi dallo scaffale a cui è appoggiata.
— Sì, siamo in biblioteca, nell’ultimo corridoio, dove non c’è mai nessuno e… — mi blocco lasciando in sospeso la frase. Apro il libro a caso, non è quello che m’interessa, e lo sollevo all’altezza dei nostri visi, — stiamo leggendo un interessante libro di… — e mi blocco per vedere cosa ho preso — Gautoer “Parigi mon amour” — leggo con finta voce entusiasta che la fa ridere — così nessuno può riconoscerci nell’eventuale caso che passi qualcuno — soffio con un sorriso sornione, vicino al suo viso.
Sorride mentre i suoi occhi sono accesi di malizia e divertimento. Poggia una mano sul mio fianco e mi spinge fino a eliminare la distanza tra di noi.
 

 
Il giorno dopo, al suono della prima campanella del mattino, vengo fermato da due ragazze quando mi stavo dirigendo all’armadietto di mia sorella dove avrei trovato Bella e anche Jasper. Una ragazza minuta, capelli neri e occhi castani, dall’aria imbarazzata mi si avvicina. Dietro di lei, l’amica, alta bionda e occhi azzurri, la aspetta tra lo speranzoso e il preoccupato.
Ancora un invito al ballo.
Mi sembra di essere finito in quei cartoni giapponesi che mia sorella guardava da piccola, dove una ragazza troppo timida si faceva accompagnare dall’amica per incoraggiarla a parlare con il ragazzo che gli piaceva. E in questo caso sono il ragazzo in questione.
Dovetti rifiutare anche al sua richiesta, mi dispiaceva per lei, insomma se la ragazza che mi piace rifiutasse di accompagnarmi al ballo sarei con il morale a terra.
— Già iniziato a ricevere gli inviti? — la voce divertita di mia sorella arriva inattesa alle mie orecchie. Quando mi volto, mi ritrovo l’allegra combriccola ad attendermi. Alice, abbracciata a Jasper e Bella che con lo sguardo cerca di fulminare con lo sguardo le due ragazze che ignare se ne stando andando per la loro strada.
— Direi che è palese — borbotta Bella che non en vuole sapere di abbandonare lo sguardo truce.
— È colpa tua Bella — la richiama mia sorella per lo stupore della mia ragazza — se tu sbandierassi ai quattro venti la vostra storia, nessuna si avvicinerebbe a Edward. O meglio forse lo farebbero, ma tu avresti tutto il diritto di rispedirle a calci nel sedere da dove sono venute.
Scocca un’occhiata molto eloquente a mia sorella che in risposta alza le spalle e a braccetto di Jasper si allontana  appena suona la campanella.
— Ho sempre odiato il grillo parlante di Pinocchio — la sento mormorare.
— Sarà meglio che andiamo anche noi o il professor Goldberg ci lascerà fuori nel corridoio — dico sospingendola verso la nostra aula.
— Beh, non sarebbe male, potremmo andare nella serra — proporne con sguardo malizioso e per poco accarezzo la sua idea ma lo studente diligente che è in me si oppone con tutte le sue forze e così, due minuti dopo ci ritroviamo seduti fianco a fianco ad ascoltare la nostra lezione di letteratura inglese.
— Uff... Tutti con la storia del ballo. Ma che c'è di bello?
Sghignazzo per la sua ennesima lamentela. Il professore sta interrogando e i ragazzi non smettono di parlare del evento nemmeno durante la lezione.
—  Piacerebbe anche a te se sapessi ballare. In quel caso sono sicuro non avresti tutte queste remore.
— Nemmeno in quel caso, credimi. Tu invece? Ci vuoi andare?
Alzo le spalle con indifferenza — se qualcuno mi chiedesse di andare certo non direi di no. Mi sono sempre divertito.
— E perché hai rifiutato le proposte? Al posto tuo le avrei accettate tutte, sai che forza presentarsi con due accompagnatrici — interviene Ben seduto alla mia destra. Sia Bella che io, sobbalziamo al suo intervento. Non ci siamo accorti che ci stava ascoltando.
— Non me l’ha chiesto la ragazza giusta — rispondo lanciando un’occhiata eloquente a Bella che con indifferenza sposta lo sguardo alla parete ricoperta di carte geografiche con finto interesse. Nella fila a fianco incrocio lo sguardo di Jane e la saluto con un cenno del capo, lei arrossisce e alza la mano timida.
— La giusta compagnia è quella che conta e poi Ben, tu hai Angela, non dovresti preoccuparti delle altre.
— Lo dicevo per te che non hai nessuna. Angela basta e avanza per me — dice con sguardo trasognate. Sono proprio una bella coppia.
Il resto della lezione parliamo d'altro e giochiamo a forza quattro. Ho costatato che Bella è imbattibile in questo gioco, cosi come tris.








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Eccomi! Allora dovevo postare prima ma il cellulare mi ha fatto ben due volte lo scherzo di spegnersi e io ( visto che non aveva mai fatto una cosa del genere in quattro anni) non avevo salvato nulla nessuna delle due volte, così ho dovuti riscrivere tutto... come se volesse dirmi che non andava bene il capitolo : ( ed effettivamente nel prossimo ho cambiato un po le cose, un episodio che doveva essere una cosa tranquilla e divertente è diventata un po più complicata ma non allarmatevi, si risolve tutto subito.
Poi... ho visto un calo drastico delle letture.... sta diventando noiosa la storia? Vi avviso che mancano pochi capitolo, 4 massimo.
 
   
 
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