Erano
passate due settimane dall'incontro ravvicinato
con David Karofsky e le circostanze mi fecero realizzare che non c'era
stata
un'ora senza aver pensato a lui.
Ero in mensa con il mio vassoio in fila.
La
solita espressione mi colorava il viso,
una smorfia triste e malinconica. Non vedevo David da circa una
settimana, Kurt
Hummel diceva che sia stato in ospedale per qualche giorno per un
problema al
collo, altri dicono che abbia tentato il suicidio. Speravo con tutto me
stesso
che entrambe le voci fossero false.
La fila diventava sempre più breve.
La mensa era davvero grande con soffitti
non molto alti e diversi tavoli pieni di vassoi sporchi e gente che
chiacchierava. Per le persone normali era un semplice punto in cui si
mangiava,
per quelli come me era un campo di guerra dove bisognava stare sempre
attenti
ai vassoi volanti indirizzati proprio verso di te.
Mancava solo una persona per
l'ordinazione, poi sarebbe stato il mio turno. Fu lì che
voltandomi verso
l'ingresso lo vidi.
Il suo passo era lento, il suo camminare
abbastanza sofferente e il suo viso era contornato da un'espressione
d'agonia.
Faceva fatica a camminare.
I colori si sbiadirono, persero vitalità.
Il tempo rallentò, i rumori si affievolirono fino a
scomparire del tutto. Era
normale quando vedevo David, ormai c’ero abituato, anche se
faceva quasi male.
<< Vuole ordinare? >>
risuonava una voce qualunque.
Lo guardavo ancora, mentre l'ambiente
tornava alla normalità precedente.
<< Ragazzo, vuoi ordinare?! >>
Gridò la voce stridula e fastidiosa.
La mia testa era ancora rivolta verso
David, i miei occhi ancora di più.
<< Ragazzo! Svegliati! >>
Gridò forte la voce.
Qui sentii un forte dolore alle spalle,
era Micheal Norton che mi aveva appena dato un pugno all'altezza delle
scapole.
Tutto tornò completamente normale e capii che la voce
stridula e pesante era
solo la cuoca e il pugno era servito per farmi sbrigare. Esistono modi
migliori.
Andai a sedermi con il mio vassoio vicino
al tavolo dei ragazzi delle New Directions e rimasi a guardare David,
due tavoli
dopo; da solo.
Non so perché rimasi a guardarlo anziché
avvicinarmi
a lui, ma probabilmente il cuore mi sarebbe esploso. Rimasi
lì a guardarlo fino
alla campanella che segnava la fine dei pasti.
Di
nuovo sul pullman, di nuovo verso
casa.
Potevo constatare che era stata davvero
una bella giornata e che probabilmente tutto ciò lo dovevo a
David, anche se
non l'aveva fatto pensando a me.
Tirai fuori l'Ipod verde mela e le cuffie
monocromatiche, com'era di rito tornando a casa.
Non so perché ma per tutto il viaggio
ascoltai We Found Love di Sam Tsui. La sua cover la trovai perfetta per
il
momento.
Ripetevo nella mia mente il ritornello
della canzone.
Il ritornello diceva continuamente che
troviamo amore in luoghi senza speranza, e quale posto se non alla
McKinley?
Le mie mani punzecchiavano i jeans per
indicare i beat della melodia. Il labiale il testo e le dolci fantasie
nella
mia mente erano accompagnate dal pianoforte.
Rientrando a casa salii velocemente le
scale e mi catapultai al computer. Qualche tasto ed effettuai il mio
accesso a
Facebook.
Ricerca, David Karofsky.
Cercai nelle sue foto, ne presi una a caso
e la stampai. Realizzai che non era la sua foto migliore, ma c'era lui;
l'ossessione e l'unica cosa di cui sicuramente sarei potuto morire.
Scesi nel sottoscala. Tra le mille
ossessioni di mia madre c’erano le cornici e di solito dopo
averle create le
buttava in un grande bustone nero e le tirava fuori solo quando doveva
mostrarle
a qualcuno. Ne trovai una verde mela, il mio colore preferito.
Tornai in camera, ritagliai la foto e la
incorniciai. La poggiai sul comodino e rimasi a guardare la fotografia.
Credo di non aver mai passato un
pomeriggio così, senza far nulla.
Arrivò
la sera, completai i miei compiti e
mi gettai sotto la doccia.
Quando mi misi a letto decisi di abbassare
la cornice, magari avrei dormito un po'di più senza pensare
a lui.
Quella notte decisi che avrei dovuto fare qualcosa
per farmi notare da David.