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Autore: Beatriz Aldaya    13/03/2012    2 recensioni
1) HALLOWEEN: Di Spiriti e Cuori di pietra. [Tom Riddle, Nuovo Personaggio; One-shot; Verde]
2) NATALE: Una sciarpa arancione zucca. [Viktor Krum, Luna Lovegood; One-shot; Verde]
3) CITAZIONE ALL'INTERNO: Pirata della strada. [Ron Weasley; One-shot; Verde]
4) DICHIARAZIONE D'AMORE SENZA LIETO FINE: Perché non ci sono draghi che atterrino sui pub, in Inghilterra? [Ninfadora/Charlie, Stan Picchetto; One-shot; Verde]
5) IN UN GIORNO DI PIOGGIA: Fischiettando al cielo [Gellert/Ariana, Albus, Aberforth; One-shot; Giallo]
6) CITAZIONE ALL'INTERNO: Esami [Lily/Sev, Lily/James; One-shot; Verde]
7) INCONTRI: Per favore? [Ninfadora/Charlie; One-shot; Verde]
8) COMPLEANNO: Buoni propositi [Tobias Piton; Flash; Verde]
9) QUESTO CALDO MI STA SCIOGLIENDO IL CERVELLO!: Acqua fresca [Fred e George Weasley; One Shot; Verde]
10) CITAZIONE ALL'INTERNO: Confusione [Ted/Andromeda, Un po' tutti; One Shot; Verde]
11) CITAZIONE ALL'INTERNO: Se vincerò [Cho/Cedric; One Shot; Flash; Verde]
12)?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Questa raccolta partecipa al "12 mesi di fanfiction contest", di BS.
Tema del mese: In un giorno di pioggia.


Introduzione obbligatoria.
Sarò breva e concisa, visto che già leggere tutta la storia potrebbe risultare un po' pesante, visto il malloppo XD
Mi scuso per la lunghezza, erano secoli che la storia mi frullava in testa.
Spero solo di essere riuscita a rendere bene ciò che nella mia testa ormai aveva preso forma e continuava a chiedere di essere scritto.
Alla fin fine, sono stranamente soddisfatta del risultato... spero solo che qualcuno non pensi troppo male di me, verso metà fanfiction; e tenetevi bene in testa che Gellert, secondo i miei calcoli, è più piccolo di Silente... circa sedici anni e mezzo.
Il pair è Gellert/Ariana, e il raiting questa volta è giallo. Spero di averlo azzeccato.
Buona lettura, e mi complimento con tutti quelli che riusciranno ad arrivare alla fine ^^
Un bacio, Bea :3

_________


        -Fischiettando al cielo-


Le maledizioni volano nell'aria ad una velocità impressionante, quasi invisibili.
Lampeggiano nell'imbrunire, saettando da una parte all'altra, a volte sfiorandoti e non uccidendoti per mera fortuna.
I controincantesimi che scagli sono sempre più numerosi, sei sempre più sulla difensiva: non attacchi più, Albus sta avendo la meglio e presto verrai colpito, mortalmente.
E allora, la tua anima lascerà questa terra, e scaricherai su qualcun altro tutto il peso che porti addosso.
Ti ritrovi a pensare che la morte è facile. Semplice abbandonare tutti i rimpianti, il dolore, i ricordi.
Perché in punto di morte dimentichi tutto quello che hai fatto, tutto quello per cui hai lottato e di cui sei orgoglioso come un padre di fronte un figlio appena nato.
Dimentichi i tuoi sogni, rimangono solo gli 'e se'.
E se l'ultima volta che hai duellato con Albus, nulla fosse successo?
E se quella bambina non fosse morta?

La prima volta che Gellert Grindelwald mise piede in casa Silente, scorse dietro le lunghe e immacolate tende una figurina esile e pallida, perfettamente immobile per non lasciarsi notare.
Gellert tirò dritto seguendo l'amico verso la cucina, fingendo di non avere visto la ragazzina; ma una volta lasciatosi cadere scompostamente su una sedia, accennò con la testa verso la sala e mimò con le labbra: «Chi è?»
Albus si sedette con delicatezza, evitando lo sguardo curioso dell'amico.
«Nessuno.»
Il silenzio si protrasse a lungo, sotto lo sguardo scettico di Gellert.
Finalmente, Albus confessò.
«È mia sorella, Ariana.»
«Non mi avevi detto di averne una.»
«È strana.»
Poi, Albus cambiò bruscamente discorso e i due discussero concitatamente tutto il pomeriggio a proposito di cose ben più importanti di una ragazzina bislacca.
Tuttavia, quando Gellert uscì di casa salutando Albus con una pacca sulla spalla, non poté fare a meno di lanciare un'occhiata verso la tenda.
La ragazzina era ancora lì dietro, questa volta seduta a terra.
Aveva i capelli biondi come il sole e gli stessi occhi azzurri di Albus, sfrontatamente puntati su di lui.
Quella sera, per la prima volta da mesi Gellert non si addormentò pensando al progetto per il suo Nuovo Ordine, ma chiedendosi perché mai quella ragazzina si stesse nascondendo dietro ad una tenda come un gattino.

Il giorno dopo, Gellert si presentò di buon'ora in casa Silente.
Venne ad aprirgli alla porta il fratello di Albus, che lo guardò storto e borbottò che l'amico stava ancora dormendo, ma che sarebbe andato immediatamente a buttarlo giù dal letto.
Non appena Aberforth scomparve per le scale urlando, Gellert lasciò cadere casualmente lo sguardo verso le tende, ma non scorse la ragazzina dietro di esse. Si diede dello stupido per aver anche solo pensato che lei potesse essere ancora rannicchiata lì dietro, poi cominciò a girovagare per il salotto, il legno scricchiolante sotto i piedi, fischiettando per dissimulare la delusione.
Ad un tratto sentì un rumore in cucina, perciò si affacciò alla sala, scorgendo la gracile figurina di Ariana seduta al tavolo.
Senza smettere di fischiettare entrò, le mani in tasca e il passo strascicato di chi si annoia.
Si sedette proprio di fronte alla bambina, che inzuppava un biscotto nel latte e lo guardava rapita.
Albus aveva detto che era 'strana', e Gellert non l'aveva ancora sentita parlare.
Con una lunga nota bassa terminò la melodia e tacque, allungando una mano per prendere un biscotto a sua volta, mentre quello di Ariana si scioglieva nel latte poiché lei non dava segni di volerlo mangiare.
La bambina aprì la bocca, ma parlò talmente piano che Gellert intuì solo dal movimento delle labbra cosa gli stesse chiedendo: «Continua».
E allora ricominciò a fischiettare, questa volta in tono più lento e lugubre, ma lei continuava a fissarlo con gli stessi occhi sognanti di poco prima.
Quando anche la seconda melodia finì, fu Gellert a prendere la parola.
«Non è ora che tu tolga quel biscotto, per caso?»
Ma Ariana non diede segni di aver compreso, perciò lui si sporse e le prese il braccio, per spostarlo. Immediatamente, la bambina cominciò a tremare e l'aria sognante dei suoi occhi chiari si trasformò in tempesta. La casa si riempì delle sue grida e, prima che Gellert potesse rendersene conto, Aberforth era arrivato e aveva cominciato a stringere fra le braccia la sorellina, mentre Albus, ancora senza camicia e i pantaloni da chiudere, gli aveva poggiato una mano sulla spalla e lo aveva condotto fuori, sotto il tiepido solo estivo di Godric's Hollow.

«Ma cosa le è preso?»
«Niente. Te l'ho detto, è strana.»
«Le ho solo toccato un braccio!»
«Non farlo mai più. Anzi, forse sarebbe meglio che d'ora in poi ci vedessimo lontani da casa mia, così non saremo distratti da queste seccature.»
«Sì, forse è meglio.»
«Allora domattina sarò io a casa tua, non venire da me.»
«No, va bene.»
Ma per la seconda sera di fila, Gellert si addormentò pensando a cosa avesse fatto di male per provocare una reazione del genere in quella bambina e, vergognandosi un po', decise che l'indomani sarebbe tornato a chiederle scusa.

La mattina dopo, il cielo era tetro e l'aria pesante.
Gellert non ebbe difficoltà a trovare Ariana: raccoglieva le margherite nel giardino di casa, nascosta dall'alta siepe.
Aprì il cancello con un colpo di bacchetta e proseguì indifferente lungo il vialetto, senza guardarla.
Sentiva i suoi occhi chiari perforargli la schiena e pensò a lei per la seconda volta come ad un gattino, curioso ma schivo.
Si bloccò e cominciò di nuovo a fischiettare. Aveva capito che era una strategia vincente; quando si girò e osò guardarla, infatti, lei aveva smetto di raccogliere i fiori e lo guardava ammaliata come il giorno precedente.
Senza smettere di fischiare, le fece un cenno di saluto con la testa, al quale lei rispose con la mano.
D'un tratto, Gellert sentì una porta sbattere alle sue spalle e la voce di Aberforth, stranamente trattenuto dal parlargli con astio com'era suo solito.
«Cosa ci fai di nuovo qui? Albus mi aveva detto che...»
Gellert lo ignorò, continuando a fischiare ma tramutando la melodia da allegra a martellante.
Come sentendo il cambiamento d'umore, dal cielo cominciarono a piovere grosse gocce, che cadevano sui sassi ticchettando.
Aberforth si avvicinò alla sorella, la prese per mano e cominciò a tirarla dolcemente verso casa; ma la bambina si impuntò e non ne volle sapere di rientrare.
Lui cercò di farla ragionare dolcemente: «Ariana, non senti che piove? Ti prenderai il raffreddore, vieni in casa con me.»
Ma la bambina non aveva occhi che per la melodia, che sembrava prendere forma in magici turbinii visibili a lei soltanto.
Aberforth si girò riluttante verso Gellert.
«Penso le piacciano i tuoi fischi.»
Gellert alzò le spalle, disinteressato a ciò che il ragazzo gli diceva.
Aberforth guardò il cielo e sbuffò.
«Va bene, se proprio vuoi rimanere fuori vado a prendere un ombrello. Aspettami qui e fai la brava, d'accordo? E tu» proseguì cambiando tono e rivolgendosi a Gellert «non ti avvicinare.»

Mentre Aberforth entrava in casa e cercava un ombrello nel trambusto, urlando di tanto in tanto irose invettive contro il fratello, Gellert rimase in giardino, a fischiare.
Ad un tratto, Ariana lasciò cadere le margherite raccolte, si alzò e cominciò a volteggiare in cerchio, muovendo le mani.
Non seguiva il ritmo della melodia, come se danzasse su una personale nella propria testa: fu lui a modificare il fischiettare per seguire la sua danza impacciata.
La osservava attento per adattare la musica, la osservava mentre il temporale le inzuppava i capelli biondi e il leggero vestito, facendolo aderire al corpicino.
La osservava e sentiva qualcosa che lo divorava all'altezza della pancia, la osservava e si faceva schifo da solo perché era solo una bambina.
E allora Gellert chiuse gli occhi e si sforzò di concentrarsi solo sulla melodia, ma il pensiero che erano secoli che non baciava una ragazza continuava a danzargli davanti insieme a lei.

Finalmente, Aberforth uscì di casa con un enorme ombrello.
Si affrettò a riparare la sorellina, le pose sulle spalle uno scialle per non farle prendere più freddo di quello che già si era presa: lei smise di ballare e Gellert di fischiare.
Ariana rimase a guardare la pioggia che cadeva, inzuppò le mani nelle pozzanghere fangose che si erano create nel giardino fino a quando un tuono non la fece sobbalzare.
Aberforth la strinse a sé mentre ancora guardava il cielo con gli occhi sgranati e impauriti.
«Adesso possiamo rientrare, che ne dici?»
Ariana annuì lievemente, ma non si mosse verso casa quando il fratello cominciò a camminare: prese la direzione opposta e afferrò con la manina fangosa quella di Gellert, gli occhi ancora puntati verso il cielo, e cominciò a tirarlo con foga verso casa non appena un secondo tuono rimbombò sopra Godric's Hollow.

Aberforth entrò in casa pestando i piedi con più foga del dovuto sul tappetino e lanciando occhiate di fuoco a Gellert che, lasciato libero da Ariana, si era accomodato placidamente sul divano, sporcando dappertutto.
«Quanto diavolo ci metti a scendere, si può sapere?» strepitò verso le scale, lanciando l'ombrello in un angolo.
Ariana si affacciò impaurita dalla porta della cucina, ancora zuppa.
«Non parlavo con te, tranquilla. È Albus che è più stupido della mia capra.»
Ariana accennò una risatina e si coprì la bocca con una mano.
Poi, inaspettatamente, sfrecciò attraverso il salotto e cominciò a salire le scale urlando: «Al, sai cos'ha detto Ab?»
Gellert rimase di sasso nel vedere quello scoppio di vitalità, e restò a guardare a bocca aperta Aberforth che riacciuffava la sorella e cominciava a farle il solletico, mentre lei rideva fragorosamente e cercava di divincolarsi.
Aberforth la lasciò scappare e Ariana si rifiondò verso le scale, ma andò a picchiare il naso contro Albus, che scendeva proprio in quel momento.
Ariana gli si appese al braccio e, strattonandolo, gli confidò che Aberforth pensava fosse più stupido di una capra.
Ma Albus non sembrava in vena di giochi, quel giorno: liquidò la sorella in due parole, poi si voltò gelido verso il fratello.
«Si può sapere cos'è tutta questa confusione?»
«Tua sorella che si divertiva, prima che arrivassi tu».
Albus non rispose e, facendo cenno all'amico di seguirlo, lasciò la casa.
Il debole “ciao” di Ariana si ripeté all'infinito nelle orecchie di Gellert, mentre correva sotto la pioggia martellante verso la casa di sua zia.

La pioggia durò tutta la giornata, e, quando Albus decise che era ora di andarsene, era ormai notte inoltrata.
Gellert lo accompagnò alla porta e osservò l'amico compiere un movimento di polso per evitare di infradiciarsi nella via verso casa.
«Ci vediamo domani.»
«Sì. Non fare tardi.»
Albus annuì. Si stava quasi per voltare quando Gellert chiese, con finta noncuranza: «Quanti anni ha tua sorella?»
«Quattordici. Perché?»
«Sembra averne meno.»
Poi Gellert chiuse la porta e si lasciò sprofondare nel divano.
Quattordici anni... lui ne aveva sedici e mezzo.
Fu scosso da un brivido.
Non era nemmeno così tanto piccola, in fondo.

Quando la zia Bathilda lo svegliò la mattina dopo, Gellert si accorse di aver passato tutta la notte sul divano.
«Chissà come sta messo il tuo collo stamattina. Quanto ti sarebbe costato fare un piano di scale e metterti a letto, ieri sera, eh?»
«Sì, zia.»
«Dove vai? Piove a dirotto.»
«Da Albus.»
«Ma non hai fatto colazione!»
«
Accio biscotti. Contenta, adesso? Li mangerò per strada.»
«Non dovresti usare la mia bacchetta, c'è un motivo se ti hanno cacciato da quella scuola... Durm... Dustr...»
«Durmstrang.»
«Fa lo stesso, ridammi la bacchetta.»
«Sì, zia. Te la lascio sul tavolo.»
«Torna a casa presto, c'è da lucidare l'argenteria.»
«Sì, zia. Contaci.»
Cinque minuti più tardi, Gellert camminava in mezzo alle pozzanghere sgranocchiando i biscotti, uno scudo magico sopra la sua testa e la corta bacchetta della zia infilata nella tasca dei pantaloni.

Gellert non era mai arrivato così presto in casa Silente.
Entrò senza far rumore, e come un ladro aprì la serratura con un incantesimo per poi richiudersela delicatamente alle spalle.
Sentì la voce di Ariana dalla cucina, cristallina ed annoiata: chiamava il fratello, trascinando la prima lettera del nome.
«Aaaaab. Aaaaab, ho fame. Aaaaaab, fra quanto scendi?»
«Dammi cinque minuti, Ariana. Adesso vengo a prepararti il latte, non toccare il gas!»
Poi, si sentì un rumore attutito seguito da un lamento.
«Svegliati, Al. Questa mattina ci vai tu incontro al tuo amico, non voglio più che entri in questa casa. Ariana incomincia a fidarsi troppo di quel criminale.»
La voce di Albus era ancora impastata dal sonno, quando rispose.
«Non è un criminale, lui è...»
Ma Gellert non conobbe mai una parola in più di quella lunga apologia che Albus pronunciò nei suoi confronti quella mattina, perché si affrettò verso la cucina e si chiuse delicatamente la porta dietro la schiena.

Ariana gironzolava intorno al tavolo, spiccando di tanto in tanto un balzo per passare da una mattonella all'altra.
Quando si accorse che ad entrare in cucina non era stato il fratello ma Gellert, nei suoi occhi passò per un momento lo smarrimento, poi sorrise.
«Ciao» la salutò il ragazzo, sedendosi su una sedia.
«Ciao» rispose lei, guardandolo con vacua dolcezza e fermandosi esattamente dalla parte opposta del tavolo.
«Mi chiamo Gellert, lo sai?»
«Me l'ha detto Ab» rispose lei annuendo. Poi, arrossendo un po', chiese: «Fischi ancora, per favore?»
«Dimmi che canzone vuoi.»
Ariana, senza nemmeno pensarci su, cominciò a mugolare un motivetto senza ritmo e stonato, che ricordava vagamente una semplice ninna nanna.
Gellert la seguì un po' fischiettando mentre lei lo osservava rapita.
Quando tacque, Ariana disse: «Sei bravo. Mi insegni?»
«Solo se mi dai un bacio.»
Senza farselo ripetere due volte, Ariana si avvicinò e gli diede un tenero bacio sulla guancia.
Gellert sorrise fra sé e sé.
«Non intendevo proprio questo, comunque...»
Poi incominciò senza grandi risultati a spiegarle come tenere la lingua per fischiare.
Alla fine, Ariana si stancò e cominciò a distrarsi, pensando di nuovo al latte: fu allora che Gellert le prese una mano e la baciò a tradimento sulle labbra, sentendo un caldo tepore impadronirsi della pancia.
Nello stesso identico momento, Aberforth Silente entrò in cucina, chiedendo felice: «Ariana, perché la porta era chiusa?»

Il tempo parve fermarsi; l'unica a non comprendere la gravità della situazione fu proprio Ariana, che saltellò tutta felice verso il fratello.
Ma Aberforth, per la prima volta nella sua vita, non la accolse fra le braccia: aveva occhi solo per il ragazzo che sedeva strafottente al tavolo della cucina.
Esplodendo d'ira, gli si precipitò addosso, cercando di afferrargli il collo.
«IO TI AMMAZZO!»
Gellert fu rapidissimo: con un movimento fluido balzò in piedi ed estrasse la bacchetta, puntandola al petto di Aberforth.
Ariana trattenne rumorosamente il fiato mentre Aberforth, ansimando, sputava in faccia a Gellert: «Sei un vigliacco.»
In quel momento, Albus entrò in cucina e chiese garbatamente: «Cosa succede?»
Gellert nascose la bacchetta e Aberforth si tuffò verso un cassetto, per recuperare la propria.
Quando si girò brandendola, Albus disse calmo: «Ab, non fare lo stupido. Mettila via, sei minorenne.»
«ANCHE LUI LO È, EPPURE NE FATE DI PROGETTI INSIEME!»
«Non urlare, Ariana si agita. Qual'è il problema?»
«CHE TU SEI CIECO COME UNA TALPA, HAI LA MENTE INVASA DAI TUOI PROGETTI DI GLORIA E FAMA. TRA DUE SETTIMANE IO DOVRÒ TORNARE AD HOGWARTS, E COSA NE SARÀ ALLORA DI ARIANA?»
«Te l'ho già detto parecchie volte. Tu completerai la tua istruzione, e io starò qui a casa a occuparmi di nostra sorella.»
«SÌ, E COME TE NE OCCUPERAI? ANDANDO IN GIRO PER IL MONDO CON QUESTO CRIMINALE? CON QUESTO PERVERTITO CHE STAVA...?»
Gellert sentì l'euforia crescergli dentro.
«TACI, STUPIDO RAGAZZINO. NON INTRALCIARE I NOSTRI PIANI, NON CAPISCI CHE QUANDO TUTTO SARÀ A POSTO, IL MONDO SARÀ MIGLIORE PER TUTTI?»
Ariana singhiozzava in un angolo, ma nessuno aveva più occhi per lei.
Aberforth puntò un dito verso Gellert.
«AL, NON CAPISCI CHE TI STA INGANNANDO, CHE HA ALTRI SCOPI?»
«BASTA!
CRUCIO!»
Aberforth si accasciò a terra ululando, unendo la sua voce a quella di Ariana.
Gellert sentì la magia fluire dalle proprie mani per infliggere dolore al ragazzo, rannicchiato come un verme ai suoi piedi; provò un calore cento volte maggiore di quando aveva baciato Ariana o qualunque altra ragazza, sentì una gioia perversa trasformargli il viso, il piacere mangiargli le viscere.
Nemmeno si accorse che Albus aveva estratto a sua volta la bacchetta, e, senza sapere come fosse successo, si ritrovò lungo disteso dall'altra parte della stanza.
Per la prima volta, nella voce di Albus si sentì una lieve alterazione.
«Cosa ti ha preso, Gellert?»
«GLI HA PRESO CHE È UN MALEDETTO BASTARDO!»
In un attimo, Gellert era di nuovo in piedi e sparava maledizioni in tutte le direzioni, Aberforth cercava di difendersi maldestramente e Albus si vedeva costretto a rispondere al fuoco per difendere il fratello.
Nel trambusto, tutti si erano dimenticati di Ariana. Urlava col cuore che batteva a mille, e ad ogni oggetto che le esplodeva intorno si agitava sempre più convulsamente, con gli occhi fuori dalle orbite e le gambe che le tremavano.
Quando vide suo fratello sanguinare, non capì più nulla e si buttò nella mischia.

Perché Aberforth era riverso a terra e non si alzava più per stringerla fra le braccia?
Perché Albus aveva la faccia stravolta dall'ira, lui che era sempre così calmo?
Perché Gellert non le fischiava più la ninna nanna?
Vide un lampo verde venirle incontro, come un fuoco d'artificio.
E allora, smise d'urlare e lo accolse a braccia aperte.

Un minuto più tardi, Gellert Grindelwald si lasciava la vita alle spalle e scompariva nel temporale.

   
 
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