Storie originali > Favola
Segui la storia  |       
Autore: Sylphs    13/03/2012    2 recensioni
Ehilà! Ho scritto questa favola un po' folle quando avevo 14 anni ed è in assoluto il primo romanzo che ho finito a quell'epoca, perciò ho deciso di tentare la sorte e pubblicarlo su efp, confido nella vostra pietà :) la storia si ispira alla mia fiaba preferita, "La bella e la bestia", salvo che la protagonista è un peperino ed è tutto fuorché una graziosa fanciulla. Spero che qualcuno leggerà!
Genere: Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 10

 
 
 
 
 
 
Nell’atmosfera afosa di Soledad, Lord Fox stava facendo toletta come suo solito. Infatti non usciva finché non si era sistemato anche la più piccola ciocca di capelli. In questo si distingueva un gentiluomo, no? E poi, cosa più importante, la gente la si ingannava meglio con una bella faccia.
Seduto comodamente su una poltrona di velluto rosso, nella sua sontuosissima magione, si contemplava compiaciuto in un grande specchio circondato di lucine colorate. Era semplicemente perfetto: indossava un completo turchino semplicemente irresistibile, mocassini lucidi come specchi e un fazzoletto rosso infilato nel taschino. Si era pettinato all’indietro i capelli rossi e curato basette e sopracciglia, applicato un neo finto sulla guancia e contornato di trucco gli occhi verdi per renderli più accattivanti. Fece un sorriso astuto che mise in risalto la sua dentatura bianchissima e si passò il pettine sulla chioma.
“Siete perfetto come sempre” disse Michael ruffiano, il suo secolare compare, un ometto laido col naso schiacciato e l’aria viscida. Lord Fox si sistemò la giacca senza smettere di sorridere furbescamente: “Lo so”.
Si chiamava Fox. Infatti era proprio una Volpe. Non era neanche tutta questa bellezza che credeva: ma aveva un carisma potentissimo.
Si girò con tutta la poltrona e, come ogni volta, si ritrovò a contemplare i quattro ritratti appesi al muro di marmo che aveva di fronte. Quattro ragazze giovani, carine e ben vestite che lo guardavano tristemente. Lord Fox rivolse loro un sorriso. Le sue quattro defunte consorti. Il suo dito anulare era zeppo di vere che non toglieva mai, dando l’idea del marito addolorato. Ma in realtà aveva un segreto che conosceva solo Michael.
La prima se la ricordava come un semi fallimento: d’altronde era ancora inesperto. Era la figlia di un visconte, una ricca ereditiera che gli aveva portato in tasca tanti bei fiorini. Chiaramente, quando era morta. Lord Fox non poteva certo aspettare che morisse di vecchiaia, rischiando di precederla nella tomba senza ereditare neanche un fiorino: la carina doveva togliersi di mezzo prima. Così aveva agito per la prima volta, a dir la verità con una più che giustificata goffaggine: quattro pugnalate mentre dormiva. Aveva detto che era stata sbranata dal loro cane di allora, gli aveva perfino sporcato di sangue la pelliccia per non lasciare dubbi. Il suo carisma non aveva fallito: tutti gli avevano creduto. Se era nato da una famiglia povera, era passato ad una vita onorevole. Ma voleva di più. Voleva la ricchezza smodata, l’ostentazione.
Così aveva puntato la seconda ereditiera, Maribella figlia di un funzionario del Re. Portarla all’altare era stato facile, era una ragazza timida pronta a cadergli fra le braccia. Non erano passati nemmeno due mesi, che cadde sventuratamente da un dirupo mentre erano in gita. Tutto premeditato, chiaro. Altri bei fiorini che gli avevano permesso di concedersi lussi.
Già pronto ad arricchirsi ulteriormente, era passato alla terza, una parente del conte DeGuisky. Con lei era stato più fantasioso: dato che lei adorava gli animali, le aveva proposto di andare a visitare il circo di Soledad. Chiaramente aveva accettato con gioia. Ecco, tutti i visitatori del circo ricordavano di essersi assiepati, premuti gli uni contro gli altri, intorno alla fossa dei leoni, e che di colpo lady Fox aveva perso l’equilibrio ed era crollata in mezzo alle belve con un urlo terrificante. Nessuno aveva notato, in quel caos, la spintarella che Lord Fox aveva dato alla consorte che si sporgeva per guardare. Ci aveva davvero goduto, quel giorno: apparentemente piangeva e si disperava, fingendo di volersi buttare nella fossa per difendere l’amata, ma in realtà gongolava alla grande.
Da Fox, il ragazzo ambizioso che voleva arricchirsi, era diventato Lord Fox, l’uomo celebre che possedeva, col marchese, la magione più fastosa di tutta Soledad. La sua avidità, però, era ben presto tornata reclamando il suo tributo di sangue per essere soddisfatta. Lord Fox non le diceva mai no. Così aveva diretto le sue ambizioni su un’ereditiera ancora più celebre: la sorella di un amico del Principe. Era carina e mite come un topino e si chiamava Lacey. Lo adorò fin dal primo giorno. Lo guardava con quei suoi occhioni grigi pieni di reverenza. Più lo adoravano, più era divertente farle fuori.
L’aveva portata in luna di miele alla palude melmosa, sostenendo di trovare il posto inusuale e interessante. La povera Lacey non aveva mosso la minima obiezione. Mentre passeggiavano mano nella mano sulla strada lastricata che dava sugli acquitrini, patria di coccodrilli dagli occhi gialli, lui le aveva detto di sporgersi un po’ per guardare meglio gli animali. Lei, servizievole, l’aveva fatto e…ah! Che goduria rifilarle quel calcio nel posteriore che l’aveva scagliata dentro l’acqua putrida. Lacey non sapeva nuotare: l’aveva contemplata felice mentre colava a picco, gravata dal peso di tutti i gioielli che le aveva regalato, mentre i coccodrilli facevano festa. Non si era mai più trovato il suo corpo.
Ora possedeva tanti fiorini da poterci riscattare Soledad in oro, ma già progettava di averne ancora di più. Non si accontentava mai. La gioia di un successo era sostituita ben presto dal desiderio di ottenerne un altro. Che poteva farci? Era ambizioso. E stavolta la cosa si rivelava più interessante del previsto: gli piaceva la caccia difficile.
“Sai cosa possiedo, Michael?” gli chiese compiaciuto. Il suo compare sospirò, perché gli faceva quella domanda ogni giorno: “Ma certo Fox. Possiedi due milioni e mezzo di fiorini. Come dimenticarlo?”
“E sai quanto possederò a breve?” soggiunse Lord Fox mentre un ghigno astuto gli increspava le labbra. Michael assunse un’espressione perplessa: “Cosa hai in mente?”
“Stavolta voglio superare me stesso” proseguì Lord Fox passandosi la lingua tra i denti bianchi: “Indovina un po’ chi sarà la mia prossima preda?”
“La figlia del giudice Jones!”
“Noo! Quella al massimo eredita cento fiorini”.
“La…la nipote del governatore di Borgofiorito!”
“No, no, no…è brutta come la fame…”
“Mi arrendo”.
“Logico. Non hai il mio genio” sogghignò Lord Fox: “Lo vuoi davvero sapere? Lei. Ecco chi sarà la mia prossima preda” e con un gesto teatrale tolse il drappo nero che aveva coperto un quinto ritratto da poco appeso al muro. Michael lo fissò con stupore: una ragazza pallida, con lunghi capelli biondi e tratti marcati, gli occhi chiari e limpidi. Spalancò la bocca: “La figlia del marchese?! Vuoi puntare la figlia del marchese?!”
“Proprio così, amico mio. Sarà Isadora la fortunata che porterò sull’altare e sulla tomba in un’unica traversata!” Lord Fox scoppiò in una risata agghiacciante. Michael batteva le palpebre, non capiva: “M-ma…ma non puoi…è sposata con quel giovane di Borgofiorito..”
“Credi?” disse l’altro sfregandosi le mani e fissando il ritratto della preda come il cacciatore che non vede l’ora di scoccar la freccia: “A me questa faccenda del giovane di Borgofiorito che nemmeno la vede e perde la testa per lei mi è sempre puzzata d’inganno. Quel marchese dei miei stivali ha solo coperto uno scandalo, me lo sento. Primo: la marchesina aveva una pessima reputazione, nessuno sano di cervello se la sarebbe sposata senza prima conoscerla. Secondo: perché da quando è partita il marchese è caduto in depressione e non esce mai dalla sua magione? Se lei fosse felicemente coniugata, che motivo ci sarebbe di disperarsi tanto?”
Michael lo ascoltò con la bocca semiaperta. In effetti, ora che Lord Fox svelava l’inganno con la sua solita furbizia, la cosa incominciava a puzzare pure a lui. “Ad ogni modo, come farai a ritrovarla?” gli chiese: “E soprattutto, come la sposerai?”
“Non temere, mio stupido amico” sibilò Lord Fox: “Il marchese mi darà tutte le risposte. È un idiota, anche se si dà tutte quelle arie da difensore del popolo, e ingenuo come una pecora. Non aspetta altro che qualcuno con cui sfogarsi, e io mi farò trovare lì al momento giusto. Una volta svelato l’arcano mistero, non avrai da preoccuparti: riuscirò ad avere la sua dote, con o senza il suo consenso”.
Raccolse una freccetta dalla ciotola lì accanto, prese la mira e la lanciò sul ritratto di Isadora. Mira infallibile: la freccetta si conficcò vibrando nel petto della ragazza, là dov’era il cuore. Lord Fox sogghignò e indossò il mantello da viaggio.
 
Il marchese di Soledad, rinchiuso nella sua magione, non faceva che piangere e consumarsi dal rimorso da quando Isadora se n’era andata. Aveva rifiutato le cure di Natalie per chiudersi in se stesso. Sentiva di meritarsi tutto il dolore di quel mondo. Ora che aveva condannato la sua pupilla, la sua bambina dagli occhi dolci, ora che l’aveva consegnata a quell’orribile orco e a quella domestica pazza in quel maniero oscuro, solo ora capiva quanto era stato egoista e cattivo. Il rimorso che provava non aveva confini. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter liberare Isadora.
“Cosa ho fatto?” pensò, accasciato sul divano di velluto di un salottino che aveva lasciato in penombra: “Cosa ho fatto?”
Chissà cosa stava patendo il suo tesoro nel maniero oscuro. La immaginava emaciata e scheletrica che languiva in una cella sudicia, incatenata alla parete, senza cibo né acqua. La vedeva lamentarsi e gemere, mentre l’orco e la domestica se ne stavano davanti alla porta e sogghignavano malignamente, godendosi la sua sofferenza. Immaginava quell’orco terribile rosicchiarle il fegato ogni giorno di più, e quell’inquietante domestica tirarle addosso secchiate d’acqua putrida. La vedeva, ridotta all’ombra di se stessa, che muoveva appena le labbra, maledicendolo per quello che le aveva fatto. Cose simili se le sognava ogni notte.
Il suo dolore si accresceva ogni giorno di più. Vedeva Isadora, sentiva Isadora, toccava Isadora, e aveva allontanato da sé tutto il resto, perfino Natalie. Ma l’unica versione di Isadora che evocava era quella dello scheletro umano infuriato con lui. Se solo avesse potuto liberarla…ma come? Lui non era buono in niente. Sarebbe stato meglio morire, così avrebbe risparmiato quella tortura alla sua pupilla.
Trudy, la raffinata domestica che lavorava per lui, entrò cautamente nel salottino: “Scusatemi, milord…”
“Ho detto di non voler essere disturbato!” ringhiò lui, fissandola con gli occhi rossi dal pianto. La giovane domestica abbassò gli occhi, intimidita: “C’è Lord Fox per voi, signore”.
Lord Fox? Cosa voleva? La curiosità lo solleticò (si diceva che quell’uomo risolvesse tutti i problemi): “Fallo accomodare”.
Mentre lei si ritirava, il marchese si sistemò gli abiti sporchi e sbiaditi che aveva messo quel giorno e si asciugò gli occhi. Cosa poteva volere da lui un personaggio in vista come Lord Fox?
Si presentò sulla soglia con un sorriso affabile dipinto sulle labbra, vestito come se fosse in procinto di recarsi a un ballo. Il marchese andò a stringergli la mano e gli lesse negli occhi che non gli voleva male. Si sentì subito ben disposto: “Accomodatevi”.
Sedettero entrambi sul divanetto e per un po’ rimasero in silenzio. Lord Fox considerò l’aspetto dimesso del marchese con un’occhiata di una squisita discrezione: “Non vi sentite bene, caro amico?”
Lo trattava come se si conoscessero da sempre. Il marchese sentiva di potersi fidare di lui: “Non molto. Grazie per l’interessamento, caro…amico. Come mai questa visita improvvisa?”
“Ero venuto solo per tenervi compagnia” disse dolcemente Lord Fox: “Vi avevo visto così giù e ho pensato di farvi un’improvvisata, sempre che non abbiate nulla in contrario, sia chiaro! Sapete” aggiunse in uno slancio di sincerità: “Vi ho sempre ammirato”.
“Davvero?” chiese il marchese stupefatto. Lord Fox annuì con veemenza: “Vi vedo come un maestro. Voi siete l’eleganza fatta persona, caro marchese! Forse non lo sapete, ma vi muovete con la solennità di un Re e parlate come un dotto studioso”.
Al marchese non pareva vero. Aveva sempre pensato di muoversi con rara goffaggine e di balbettare quando parlava, ma Lord Fox era davvero sincero. Si sentiva davvero conquistato: “Grazie” farfugliò infine. L’altro sorrise cortese: “Vostra moglie sta bene?”
“Abbastanza”.
“E la vostra adorabile figlia?” Lord Fox trasfuse un fremito ad effetto nella propria voce, come se fosse turbato. Ma col marchese certe sottigliezze non servivano: nel sentir nominare la figlia, aveva emesso un gemito e giaceva pallidissimo sul divanetto. Preoccupato, Lord Fox lo sostenne premurosamente: “Che vi prende, caro amico? State male?”
“Io…io…” balbettava l’eleganza fatta persona, completamente atterrata. La Volpe intanto si lisciava i baffi, astuta: “Forse è successo qualcosa alla cara marchesina?”
Sembrava così preoccupato per Isadora, che il marchese fu lì lì per sputare il rospo. Scosse la testa per impedirselo. Lord Fox però insistette con foga: “Vi prego, ditemelo, buon signore! Non lasciatemi sulle spine! Di me vi potete fidare” aggiunse persuasivo. Il marchese incominciò a singhiozzare come una vite tagliata: “Non posso dirvelo…è troppo orribile…”
“Sarò muto come la più muta delle tombe, fidatevi” insistette Lord Fox, con un luccichio sinistro negli occhi verdi. Il marchese si era portato dentro quel peso troppo a lungo. Gli premeva sulle labbra, aprendogliele a forza. Di fronte al viso comprensivo dell’ospite, si sbottonò senza pudore e, singhiozzandogli sulla giacca turchina, gli raccontò dell’orco e di tutto il resto. Lord Fox lo ascoltò attentamente per tutto il tempo, il luccichio sinistro che andava intensificandosi fino a farsi abbagliante. Alla fine il pover’uomo gemette, desolato: “La mia povera Isadora…”
Lord Fox rifletté per qualche istante, il viso teso dalla concentrazione. Poi tornò ai soliti modi comprensivi: “Non disperatevi, mio buon amico: non tutto è perduto”.
“Invece sì!” ululò il marchese: “L’ho imprigionata in quel maniero con quell’orco terrificante! Sono un mostro!”
“No, non è così” insistette Lord Fox, battendogli una mano sulla spalla: “State a sentire: cosa direste se vi dicessi che c’è la possibilità di liberare Isadora dalla sua prigione?”
“Sarebbe possibile farlo?” chiese il marchese, con una tenue speranza che gli illuminava gli occhi. Lord Fox sorrise astuto: “Certo. La toglieremo dalle grinfie di quell’orco facendole sposare una persona molto più meritevole della sua mano…”
“Ossia?”
“Il sottoscritto” commentò Lord Fox osservandosi un’unghia. Il marchese lo fissò attonito, senza capire. Poi una luce di comprensione gli accese il viso: “Voi?!” strepitò: “Voi sposare…Isadora?!”
“Siete sorpreso, vero?” Lord Fox mise su una faccia da povero derelitto e si ingobbì in se stesso, arrossendo a comando: “Ora sono io a dovervi fare una confessione, mio buon amico: dal primo giorno in cui vidi vostra figlia, orgogliosa come Artemide in quella cucina piena dei cadaveri degli sventurati mortali che erano morti per amor suo, mi penetrò nelle ossa e non se ne andò più. Io amo Isadora!”
Il marchese rimase sotto choc. La sua piccola era davvero diventata grande… alla fine gli uscì un mezzo gracidio: “Dite sul serio?”
“Purtroppo sì” singhiozzò Lord Fox: “Vostra figlia è la mia rovina! Ah, come rimasi abbagliato dalla sua bellezza quel giorno, ma lei, divinità crudele, mi chiuse la porta in faccia, rigettandomi in faccia il mio amore. Penai come un povero prigioniero dell’Inferno. Sapevo di non avere speranze, che lei era così bella e irraggiungibile e che io ero solo fango sulle sue scarpe…la osservavo da lontano, beandomi della sua immagine. E poi, l’ennesima pugnalata: se ne andò, lasciandomi qui a baciare il suo ritratto che tanto faticosamente avevo acquistato. Immaginavo che fosse infelice, e che dolore apprendere da voi il suo triste destino. Ebbene sì: sono perdutamente innamorato di Isadora!”
Mentre parlava gesticolava come un pazzo, alzava la voce, sospirava in una perfetta pantomima da innamorato perso. Alla fine finse di asciugarsi con discrezione una lacrima che gli era spuntata all’angolo dell’occhio.
Il marchese, davanti a lui, lo fissava a bocca aperta. Povero ragazzo! Soffriva di certo quanto lui, e che mestizia nel suo racconto. Alla fine Lord Fox lo fissò con occhi febbrili: “Libereremo Isadora. Aiutatemi, marchese, vi prego: permettetemi almeno di mettermi in ginocchio ai suoi piedi per farle la proposta. Mi basterebbe poterle parlare”.
“Ecco…io…” cincischiò il marchese. Lord Fox si accigliò: “Io sarei pronto a morire per Isadora. E voi?”
“Certo, ma…”
“Allora perché esitate?”
“Va bene, verrò” si arrese il marchese: “Ma come faremo con l’orco?”
“Non temete” replicò Lord Fox, col solito sogghigno astuto: “Ho un piano”.

 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Favola / Vai alla pagina dell'autore: Sylphs