Film > Il pianeta del tesoro
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Autore: Lirah    13/03/2012    4 recensioni
Sono passati cinque anni dalle avventure che Jim ha vissuto andando alla ricerca del tesoro di Flint e dopo l'accademia il ragazzo si è impegnato anima e corpo nelle missioni che gli venivano affidate.
Una di queste però lo porta a salvare Erin, una strana ragazza che però non sembra ricordare il suo passato e non conosce nessuna lingua.
Dal momento in cui Jim la salva però la sua vita viene sconvolta da un susseguirsi di strani eventi.
Chi è la ragazza e che cosa sta succedendo nell'universo?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ne approfitto per scrivere alcune righe. Intanto ringrazie per le recensioni e i commenti. Mi scuso per l'orario in cui aggiungo i capitoli ma purtroppo non ho molto tempo durante il giorno e  mi ritrovo a scrivere la sera. Inevitabilmente finisco a ore tarde.
Detto questo vi lascio al quarto capitolo ! GRAZIE ANCORA e buona lettura!


4° CAPITOLO

 
JIM
 
Restammo con Erin per non so quanto tempo. Continuavamo a parlare, indicare oggetti, cercando di farle ripetere le cose, per capire se quel suo mutismo fosse dovuto ad una perdita di memoria oppure al fatto che non conoscesse la nostra lingua.
Ad una prima occhiata non sembrava una persona pericolosa, mi chiedevo come aveva fatto il comandate anche solo a pensa che potesse far parte di una banda di pirati. Certo, usare lei come esca per trarci in inganno sarebbe stata una gran bella genialata ma fino a quel momento non c’erano stati problemi.
Dopo un po’ Charol le disse di riposarsi ancora un po’, facendola stendere sul letto e coprendola. La vidi guardarmi, prima di appoggiare la guancia sul cuscino e cadere in un sonno profondo fin da subito. Non potei fare a meno di sorridere, sembrava una bambina.
Uscimmo e chiudendo delicatamente la porta, non potei fare a meno che guardarmi la mano fasciata. Erin aveva fatto una faccia così dispiaciuta quando aveva visto quelle bende, come se quello che mi era successo fosse stata veramente colpa sua. Di una cosa però ero sicuro, non era una ragazza come tutte le altre … visto che era protetta da una sottospecie di barriera quando l’avevo trovata.
-Jim?-
Sobbalzai quando vidi il volto di Charlot a pochi centimetri dal mio. Scattai all’indietro, andando a sbattere con la testa contro il legno duro della nave.  La sentii ridere, mentre la guardavo passarsi la mano destra lungo il braccio opposto, guardando le stelle e avvicinandosi al bordo della nave.
-Quella ragazza è davvero strana. Pensi che sia amnesia o che non sappia semplicemente la nostra lingua?-
-L’abbiamo trovata nel bel mezzo dello spazio, senza abiti e con una ferita alla testa. Sono più propenso all’amnesia e , di logica, il fatto che non riesca a capirci avrebbe un senso-
Sbuffò, appoggiandosi al legno freddo e posando la fronte sulle braccia incrociate. Molto probabilmente era più preoccupata per Erin più di quanto non volesse dare a vedere. Quella , in fondo, era la prima volta che vedere Charol in veste di se stessa e non in quella della vice severa e acida con cui avevo iniziato a parlare poche ore prima.  Con un balzo andai a sedermi sul bordo della nave, aggrappandomi a delle corde tese.
-Siamo partiti così di fretta che non abbiamo nemmeno portato con noi un medico-
-Te lo dicevo io che Luxor era un cretino no?-
-JIM!-
-Che c’è? Lo sai benissimo che lo pensi anche tu .-
-Se è Capitano ci sarà un perché non credi? In fondo quando siamo partiti  non pensavamo di trovare superstiti-
-E allora perché siete partiti-
-Cosa?-
Sali giù, mettendo le mani in tasca e guardandola con la testa leggermente chinata in avanti, mentre davo dei calci ad un sasso immaginario. Mi capitava spesso di comportarmi così quando ero sovrappensiero, ma in quel momento stavo cercando di organizzare un discorso che non risultasse troppo offensivo nei suoi confronti e in quelli del Capitano. Non era poi così scemo da rischiare una denuncia per calunnie o chissà che altro. Avevo già rischiato abbastanza con quella sottospecie di ammutinamento.
-Vedi … Come posso dire … Perché siete partiti se credevate che non ci fossero superstiti? Da quello che so io avete fatto partire questa nave per cercare persone da salvare , o corpi da riportare alle famiglie no?-
-Bhe … si, ma/-
-Ma? Non mi sorprenderei nello scoprire che il capitano Luxor avesse deciso di fare marcia indietro non appena arrivato sul posto, senza nemmeno guardare. Assurdo-
Il tono mi cadde leggermente su una risata di scherno e di tutta risposta Charlot camminò a grandi passi verso di me, impuntandosi e fulminandomi letteralmente con lo sguardo. Sembrava furiosa, ma non riuscivo a capire bene per che cosa. Il respiro era veloce e solo dopo qualche istante aprì bocca, cercando di trattenere la voce che altrimenti sarebbe sfociata in delle vere e proprie urla.
-Per lo meno non  è così incosciente da prendere un Solar Surfer e avvicinarsi in modo tanto sconsiderato ad una cosa-
-Persona-
-Non sapevamo fosse una persona!-
-Io lo sapevo ok?-
-E come? Vuoi dirmi che sei riuscito a vederla bene da quella distanza?-
-No … Ma lo sapevo e basta va bene? Infatti non appena sono arrivato credi di avervi urlato che si trattasse di una ragazza-
-Cosa avresti fatto se si fosse trattato di qualche detrito o chissà cos’altro?-
-Sarei tornato indietro semplice-
-Aaaa , tu … sei …-
Ad un tratto vidi Morph arrivare a tutta velocità dietro di lei, per venirsi a coccolare sulla mia guancia. Stavo iniziando a domandarmi dove fosse finito quel piccoletto. Da quando eravamo tornati con il Surfer non l’avevo più visto, era come scomparso nel nulla. Forse si era imbucato di nascosto nella mensa per mangiare qualcosa. Di solito si comportava sempre così dopo aver preso un grande spavento.
Di positivo ci fu il fatto che bloccò sul nascere quella discussione. Sapevo benissimo che Charlot aveva ragione quando mi diceva che avrei anche potuto essermi sbagliato, e incappare in qualche mostro o animale dello spazio o, peggio ancora, in qualche asteroide contaminato da chissà quale malattia o radiazione. Ma quando mi ero voltato a guardare quella luce, avevo sentito come il bisogno di correre la e salvare quella ragazza. Dentro di me sapevo che si trattava di una persona, senza che gli occhi me ne dessero la conferma.
Ad ogni modo ero riuscito a salvarla, senza bisogno di sacrificare me stesso o causare danni alla nave e al suo equipaggio.
Passarono alcuni minuti di silenzio, fino a che Charol non si decise ad andare dal Capitano per fare rapporto su quello che Erin ci aveva detto, o meglio, su come si era comportata nei nostri confronti.
Non avevo  assolutamente voglia di vedere quel tipo, ed entrare in quella stanza piena di quell’odore soffocante. Potevo ancora sentire quella puzza di sigaro sui miei vestiti dopo una giornata intera.
Fu inevitabile però  ritrovarmi seduto sulla sedia della sua cabina, mentre Luxor continuava a camminare avanti e indietro per la stanza. Una mano stringeva il sigaro, tenendolo a pochi centimetri dalle labbra, mentre l’altro braccio era riposto dietro la schiena. Rispetto a prima aveva un comportamento del tutto diverso: pacato, calmo e riflessivo. Soffriva forse di problemi della personalità?
Dopo il primo raccontino di quello che Erin non ci aveva detto  e di quello che aveva fatto, anche Luxor si decise a sedersi, poggiando i gomiti sulla scrivania e unire le mani per poi appoggiarvi la fronte. Rimase in quella posizione per diversi minuti, poi scattò.
-Bene. La ragazza verrà affidata a uno di voi due. Avrete il compito di sorvegliarla-
-Che cosa?!-
Scattammo in piedi e dicemmo quelle parole all’unisono, per poi guardarci subito dopo. Io fui il primo a sedermi, in fondo era quasi scontata che la scelta giusta per Erin fosse Charol. Entrambe erano delle ragazze e una casa ampia e accoglienti avrebbe di certo fatto bene a quella ragazza. Di certo un luogo affollato e pieno di persone come il Bembow non avrebbe giovato al recupero della sua memoria in modo tranquillo e rilassato.
-Signor Hawkins sarà lei ad occuparsene-
-Sono pienamente d’accordo con lei Capitano, Charol sarà sic/ … COME!? IO?-
Mi accasciai sulla sedia, fissando il vuoto, mentre Charol mi dava dei piccoli colpetti sul braccio felice per non essere incappata in quella situazione.
Se prima era un dubbio, ora era certezza: quell’uomo era pazzo? Come poteva affidare una ragazza ad un ragazzo? Insomma avevo pur sempre vent’anni e da quello che avevo capito non avevano una buone opinione sul mio conto.  Non ero il tipo da approfittare di una persona in difficoltà, ma perché i pregiudizi comuni non saltavano mai fuori nei momenti giusti.
-Da quello che sono riuscito a vedere la ragazza si fida di lei.  Quando ho provato ad avvicinarmi si è aggrappata a lei per cercare protezione, non è corsa da Charol-
-Certo che no, ero la prima cosa a cui poteva aggrapparsi ! Le ero a un centimetro di distanza!-
-INOLTRE  è stato lei ad andare a salvarla e a portarla sulla mia nave. Quindi presumo che voglia assumersi la responsabilità del suo gesto-
-Ma non eravate voi che dovevate andare a recuperare superstiti?-
-Nell’equipaggio che dovevamo recuperare non c’erano donne. Dunque quella ragazza non fa parte del nostro compito-
Mi bloccai di colpo. Fino a quel momento mi ero agitato , non tanto perché non volessi aiutare Erin, ma perché non mi ritenevo la persona adatta per un compito del genere. Mi cacciavo dei guai e persino mia madre si preoccupava che non riuscissi a tornare indietro sano e salvo. Si fidava di me, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi, me l’aveva sempre detto apertamente.
Ora però, le parole che avevo  gelato il sangue nelle vene. Allora quello che avevo supposto era vero, quando aveva detto di allontanarsi dalla stella non l’aveva fatto  per salvare esclusivamente i suoi uomini, ma anche perché Erin non era un suo compito. Salvare una persona che non rientrava nei suoi compiti non era una cosa necessaria.
Cercai di frenare la lingua, prima di dire qualcosa di troppo esagerato e tornai a sedermi composto, mentre Morph mi guardava preoccupato dalla spalla.
-E va bene. Mi occuperò io della ragazza. La porterò a Montressor. Abiterà con me e mia madre-
-Tengo a precisare che dovrà fornirmi tutti i dettagli dei suoi miglioramenti.-
-Si signore. Posso andarmene ora? Sono stanco, vorrei riposare-
Mi alzai in piedi, senza nemmeno aspettare che desse fiato a quella bocca.  Sarebbe bastato un altro singolo suono per far si che il mio pugno andasse ad incontrare quella brutta faccia che si ritrovava.
Sentii in lontananza la voce di Charol chiedere scusa e seguirmi subito dopo, scendendo a lunghi passi le scale che portavano al ponte.
Continuava a chiamarmi e a rimproverarmi, chiedendo che cosa mi fosse preso così all’improvviso. Non potevo comportarmi così con il Capitano, gli dovevo rispetto e  obbedienza, almeno fino a che mi fossi trovato su quelle nave.
Fu nel momento in cui sentii  la sua mano sulla mia mi voltai, scostandola delicatamente ma con decisione.
-Lascia che ti dica solo che non sono dell’umore adatto. Domani quando arriveremo porterò Erin da un medico e subito dopo partirò per tornare a Montressor. Se vorrai potrei venire a trovarla. Ora scusami, ma me ne vado.-
Detto questo mi voltai e scesi nelle mia cabina.
 
ERIN
 
-Erin, Erin … svegliati. Siamo arrivati. E’ ora di andare-
Mi risvegliai, voltandomi verso la fonte della voce e aprendo pian piano gli occhi. Sapevo che avrei trovato davanti a me. Infatti eccolo li, i capelli marroni che cadevano verso di me, mentre mi rivolgeva un sorriso di buongiorno e mi porgeva una mano per farmi alzare.
Quella notte ero andata a dormire già vestita e quando mi alzai dovetti solo mettere delle scarpe che mi aveva portato lui.
Continuava a parlarmi, sperando forse che io riuscissi a capire quello che mi stava dicendo. Continuavo come una stupida a fissare le sue labbra, pronta a rispondergli all’occorrenza. Come se potessi davvero rispondergli.
Sentivo una rabbia crescermi dentro man mano che lui mi guardava e mi diceva quello che pensava. Perché anche io non potevo comportarmi così spontaneamente? Perché non mi ricordavo nulla? Le uniche cose che sentivo e che conoscevano erano le parole  famigliari, simili, mondo , distruzione e quelle poche che ero riuscita a capire parlando con Jim e Charol.
Finalmente sembravamo essere pronti per uscire da quella stanza. Vidi Jim aprire la porta e uscire, per poi voltarsi verso di me e tendermi la mano.
-Vieni forza.  Non vorrai restare rinchiusa li per sempre-
Mi avvicinai pian piano, mentre guardavo a terra. Il pavimento di legno  sulla soglia diventava più chiaro, come illuminato da una luce forte e intensa. Anche Jim era avvolto da una luce fortissima, come tutto quello che vedevo fuori da quella porta.
Nel momento in cui uscii completamente , dovetti aspettare qualche istante prima che gli occhi smettessero di farmi male, ma non appena potei osservare meglio quello che mi circondava non potei fare a meno di sorridere.
Quel buio che mi aveva sempre trattenuta, che mi aveva fatto tanta paura era sparito. Finalmente c’era luce ovunque, non ero più sola, c’erano così tante persone intorno a me , le une diverse dalle altre.
Iniziai a correre da una parte all’altra di quello strano mezzo, fino a che non mi affacciai su di un immensa città. Un continuo via vai di persone, che entravano e uscivano da delle case, altri salivano su mezzi simili a quelli su cui mi trovavo io.
Mi voltai a guardare Jim, che mi stava fissando con le braccia incrociate. Lo osservai meglio in volto, non era arrabbiato, era come se mi stesse concedendo del tempo per osservare tutte quelle nuove cose.
Corsi verso di lui, lo afferrai per un braccio e lo trascinai sul bordo della nave, iniziando ad indicare un sacco di cose. Man mano che lo strattonavo le mie dita scivolavano dal suo gomito, all’avambraccio. Solo quando finii sulla mano lo sentii gemere e guardandolo vidi un’espressione di dolore sul suo volto. Abbassai gli occhi sulla mano, gli stavo stringendo proprio quella fasciata. La lasciai andare immediatamente, rattristandomi. Mi ero fatta così prendere da quell’entusiasmo da fargli del male.
-Tranquilla , non ti preoccupare. Passerà presto vedrai. Allora vediamo un po’ … Mi avevi indicato quello giusto?-
Mi poggiò una mano sulla schiena per farmi voltare ed indicare  quell’insieme di travi su cui le persone continuavano ad andare avanti e indietro.
-Pontile …. Casa …. Gabbiano … Macchina-
Continuava a spostare il dito da un oggetto all’altro, da una persona all’altra, ripetendo chiaramente e lentamente delle parole che pian piano iniziai ad associare agli oggetti. La sua lingua non era poi così difficile. Forse finalmente sarei riuscita anche io a parlare e ad esprimermi come volevo.
Pian piano però la mia attenzione fu completamente catturata dalle bende che coprivano le ustioni che si era fatto quando mi aveva sfiorato la prima volta.
Lui era stato così gentile con me e io l’avevo ferito. Non sapevo come aveva fatto, ne come fosse successo, ma ero stata io.
Ad un tratto, senza ragione, gli afferrai la mano , tenendola stretta fra le mie. Lo sentivo parlarmi, con foce gentile, e molto probabilmente mi stava ripetendo le stesse parole di prima, ma ero troppo concentrata.
Sentivo uno strano pizzicore alle braccia, che pian piano scese fino ad arrivare sulla punta delle mie dita e un lieve bagliore verde iniziò a propagarsi per tutta la mano di Jim.
Non sembrò accorgersene e un attimo dopo , scuotendo la testa tornai a guardarlo.
-O guarda! Quello è il Dottor Delbert Doppler. Ci porterà a casa. Vieni-
Mi fece cenno di seguirlo e iniziò ad andare avanti, salutando con un cenno  uno strano tipo con un naso e delle orecchie ben diverse da quelle di Jim.
Mi affrettai a raggiungerlo, ma quando toccai una corda per scendere sul pontile, sentii la mano farmi un male terribile. La sollevai, guardandola e  spalancai gli occhi. Quelle ferite erano le stesse che avevo intravisto alla mano di Jim.
Nella mia mente si figurò rapidamente la risposta a quella domanda inespressa. Avevo curato le sue ferite che , inevitabilmente, si erano concentrate sul mio corpo.
Potevo davvero fare una cosa del genere?
-Erin! Erin dai!-
Venni riportata alla realtà dalla voce di Jim e portando il braccio dietro alla schiena scesi di corsa quel pontile, fermandomi solo per un secondo per guardare l’immenso spazio vuoto sotto di me. Chissà dove sarei finita cadendo da quell’altezza.
Arrivai fino al fianco di Jim, chinando leggermente la testa come aveva fatto pochi secondi prima lui. Forse quello era il modo giusto per salutare quello strano uomo vestito di tutto punto che mi guardava, come se mi volesse studiare.
Mi tese la mano e vedendomi ferma e imbambolata afferrò la mia, stringendola forte. Peccato che decise proprio quella su cui si erano trasferite le ustioni. Non potei fare a meno di trattenere un urlo e scivolai via dalla presa, mentre vedevo Jim avvicinarsi preoccupato.
-Che succede? Ti fa male la mano? Fai vedere-
Tentò di guardare, ma mi ritrassi, facendo segno di no con la testa. Non volevo che vedesse quello che avevo fatto, altrimenti sicuramente avrebbe pensato chissà cosa su di me.
Tutti i tentativi furono inutili , visto che un secondo dopo , eccolo guardare stupito quelle ustioni.
-Ma … come te le sei fatte-
Distolsi lo sguardo, stringendomi sulle spalle.
Non mi chiese altro e mi accompagnò da una donna in una delle case che mi aveva indicato prima. A quanto pare doveva chiamarsi dottore e ci mise non so quanto per visitarmi. Mi infilò nel braccio un tubicino sottile nel quale raccolsero il mio sangue. Controllò subito dopo la ferita che avevo alla testa e le ustioni alla mano, per poi medicarle. Visitò poi  gli occhi e mi fece vedere delle immagini e ripetere delle parole.
La gioia che provai nel sentire la via voce e nel vedere che capivano quello  che dicevo era  tanta.
 
Da quello che riuscii a capire passarono all’incirca due ore abbondanti prima di poter ricevere un pezzo di carta sul quale c’erano degli stranissimi segni che non riuscivo a capire. Continuavo a stare attaccata a Jim e indicare i punti scritti, chiedendogli indirettamente di leggere. Lui mi rispondeva, paziente e tranquillo, anche se credo che alla fine di quell’interrogatorio avrebbe tanto voluto vedermi dormire e smettere di fargli tutte quelle richieste.
Salimmo poi su una carrozza, trainata da uno stranissimo animale che a quanto pare doveva essere del Dottor Doppler, alla volta della casa di Jim.
Per un attimo mi domandai come mai per tutto quel tempo non avevo visto Charol e mi domandai se ci avrebbe mai raggiunto nel posto in cui stavamo andando.
Ero impaziente di vedere come sarebbe stato il luogo in cui avrei vissuto di li in poi. Man mano che il tempo passava il paesaggio perdeva il blu scuro dell’universo, per tingersi di marrone e grigio.
In lontananza si poteva vedere una casa a due piani, vicino alla quale era stato costruito un piccolo porto sul quale erano armeggiate delle navette.
-Siamo arrivati! Questa è casa mia. Bembow-
Mi guardò e contemporaneamente indicò quell’edificio. Dopodichè scese , tendendomi le braccia per aiutarmi a scendere.
Quando fui con i piedi a terra mi guardai intorno, per poi piegare la testa di lato vedendo delle strane creature uscire dalla porta principale.
-Bembow-
-Si!-
-Si!-
Ripetei quella piccola parola con la stessa intonazione felice di Jim. Quella parola doveva essere un segno di consenso a qualcosa che si diceva o si faceva.
Quando entrammo, una gran baraonda arrivò alle mie orecchi. Un sacco di gente seduta a dei tavoli conversava allegramente. Bambini che correvano da ogni parte, mentre uno strano robot portava del cibo su dei vassoi.
Non appena si voltò verso di noi, cambiò immediatamente traiettoria, e corse come un pazzo per abbracciare Jim. Riuscii appena in tempo a prendere al volo il vassoio prima che gli scappasse di mano.
-Jim! Sei tornato!-
-Ahah si, ciao B.E.N-
-Che felicità … vado subito a chiamare la signora. Sarah, Sarah …. JIM è TORNATOOOO-
Gridava e si muoveva così a scatti che per un attimo temetti potesse esplodere. Da una porta poco lontana uscì una donna. Indossava un grembiule bianco su cui stava pulendo le mani e una cuffietta dello stesso colore da cui uscivano dei capelli marrone scuro.
Non appena vide Jim le si illuminarono gli occhi e ci venne in contro con un sorriso tanto dolce da riscaldare il cuore.
-Ciao mamma-
-Jim , come stai? Come è andata?-
-Tutto bene.-
-Non hai combinato guai questa volta vero?-
-No … ma … c’è una persona che vorrei presentarti-
Si spostò dietro di me, poggiandomi le mani sulle spalle e costringendomi a fare pochi passi in avanti, fino ad arrivare vicino alla donna che prima guardò me e poi Jim. Mi indicò per un attimo per poi guardare lui interrogativa e forse speranzosa, ma non avrei saputo dire per cosa.
-Lei  è Erin. Purtroppo non capisce la nostra lingua e a quanto pare ha perso la memoria. L’ho salvata da un buco nero. I miei superiori mi hanno chiesto di tenerla con noi, almeno fino a che non si scoprirà qualcosa in più sul suo conto. E’ un problema?-
-Certo che no. Lo sai che qui ci sono sempre stanze libere. Forse però è meglio che venga a dormire nella stanza degli ospiti … Potrei insegnarle io qualche parola , o frase … che ne dici?-
-Sarebbe fantastico!-
-Bene allora. Benvenuta al Bembow Erin-
Mi guardò , per poi aprire le braccia e avvolgermi. Rimasi spiazzata per un secondo, ma subito dopo venni rapita da quella sensazione di protezione e calore tanto avvolgente. Non avevo mai provato una sensazione tanto bella.

  
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