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Autore: Dreda    14/03/2012    0 recensioni
"Mi chiamo Dreda, ho 16 anni e amo il Rock.
Attualmente sono al terzo anno di liceo ma al pomeriggio frequento delle lezioni all'Academy. Si tratta di un programma televisivo in cui insegnano a me e ad un'altra ventina di ragazzi/e a cantare e suonare. Oltre alla mia storia c'è anche quella di Francesco, Alessio, Flavia, Simone, Chiara... bhè, tanti altri.
Questa è una storia fatta di persone a cui piace la musica. Tutta. Senza pregiudizi ma con ragazzi che, grazie alle canzoni, cresceranno e diventeranno migliori, forse... chi lo sa?"
Genere: Comico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Track 3: Gym class Heroes - Stereo Hearts
 
Stropiccio un foglietto di carta e mi tormento il labbro inferiore con i denti.
Ho i palmi caldi. Segno che stanno quasi per sudare. Devo darmi una calmata.
Mi schiarisco la voce e, quando la prof d’italiano da la fine della lezione e l’inizio della pausa a seguito della campanella, mi alzo dalla sedia e allungo la destra picchiettando il dito indice sulla spalla della ragazza seduta di fronte, richiamando così anche le altre due che si voltano imitandola.
-“Il senso di ogni cosa” di Fabrizio Moro- dico.
Martina, Flavia e Michela rimangono qualche secondo a fissarmi e io pure mi fisserei se per questo. Con un’uscita simile è normale sembrare fuori di testa. Ricordo che la settimana scorsa erano interessate a quello che avrei cantato e pensavo di provare ad attaccare bottone con la stessa maniera, ma sembra più difficile del previsto per me.
La bruna dai capelli corti sulla sinistra fa un sorriso e lì iniziano anche le altre.
-Davvero? Quella è la canzone di Moro che più mi piace!- dice sempre lei, voltandosi con la sedia.
C’è un momento di silenzio, interrotto solo poi dalla bionda dai capelli lunghi che si sistema una ciocca dietro l’orecchio sinistro prima di parlare.
-Scusa, solo che è la prima volta che ci rivolgi la parola e … c’è venuto un colpo!-
-Già, credevamo di romperti le scatole … - fa invece la terza.
Ingoio a vuoto mentre abbasso lo sguardo.
Io credevo di essere sfigata, di non essere accettata dagli altri ma, a quanto pare, le altre persone pensano che io sia asociale per scelta.
A dirla tutta lo credevo anche io ma, quando ho sentito come passano le giornate gli altri del programma Academy, ho capito che anche io vorrei far parte di un gruppo. Possibilmente con gli stessi interessi, certo, ma la vedo davvero difficile …
Durante la pausa merenda abbiamo passato il tempo a parlare tra di noi.
Ho finalmente richiesto loro di presentarsi per distinguerle meglio confessando loro che non ho davvero buone capacità nell’abbinare volti e nomi di persone che si presentano nello stesso momento.
Forse ricordo i nomi, ma poi è come il gioco delle doppie carte. Trovare le coppie, il volto e il nome, è sempre un’impresa difficile.
Fortuna che non l’hanno presa molto a male …
Scopro che Martina è la ragazza dai capelli neri che lancia spesso occhiate a Francesco, Michela è la bionda dai capelli lunghi che ama il rosa e spia invece entrambi i ragazzi che mi stanno affianco al banco e la bruna dai capelli corti è Flavia. Non so perché ma con lei riesco a farmi capire meglio.
Flavia è una ragazza insolitamente bassa e piccola. La vedo spesso con il volto arrossato e come carattere sembra un po’ timida.
Ricordo che è stata proprio lei, tra le tre, a rivolgermi per prima la parola. Era un po’ impacciata e chissà quanto coraggio le sarà costato farmi quella domanda.
La pausa merenda sta per finire quando Francesco rientra in classe e saluta a gran voce.
-Ehi, ancora chiacchiere tra donne?- chiede sorridente alzando i Ray-Ban scuri sul capo, tra i capelli, levandosi anche le cuffie dell’Ipod lasciandolo lì sul banco.
Martina ha iniziato a sorridere più di prima e Michela con lei.
-Flavia, dai, scambiamoci di banco prima che arrivi la prof- dice la ragazza dai capelli neri che invece è seduta di fronte ad Alessio.
Flavia rimugina su qualcosa e sembra un po’ incerta ma dopo pochi secondi prende in mano la propria roba e fa per alzarsi, annuendo alla compagna.
-Aspetta- fa Cesco, allungando la destra a prenderle il braccio. -Rimani qui, non mi dai fastidio-
Io credo d’avere un’espressione quasi normale ma le altre due sono parecchio sconvolte.
Me ne accorgo piegando lo sguardo di lato, nella loro direzione, e mi schiarisco la voce.
-Sta per tornare la prof, meglio sbarazzarsi delle cartine della merenda … - di meglio non sono riuscita a inventarmi per deviare l’attenzione dall’accaduto.
Noto che Martina e Michela passano la roba da buttare a Flavia e questa, senza che neppure le venga chiesto qualcosa, prende tutto e si dirige verso il cestino dell’immondizia.
Io guardo di sottecchi Francesco e questo mi sorprende ricambiando l’occhiata complice facendomi segno di parlarne dopo.
Annuisco.
Entra la prof che saluta tutti. Sta per sedersi quando un botto improvviso fa fare un salto a tutta la classe: Alessio dormiva talmente profondamente che è caduto a terra dalla sedia.
 
E’ la quarta ora della giornata e a metà lezione di inglese mi arriva un foglietto da Francesco.
Prima di aprirlo guardo quel pezzo di carta con sconcerto.
Mi sono appena resa conto che questa è la prima volta che mi arriva una “missiva” da un compagno di banco.
E’ sorprendente per una come me che gioca ad essere l’asociale della classe. Non mi dispiace come cosa, anzi, quasi mi gaso al pensiero di … Ok, no, torno con i piedi per terra e leggo questo maledetto bigliettino.
 
“Credo che Flavia sia presa di mira da Michela e Martina. Tu hai parlato con loro oggi, sai il perché?”
 
Lo fisso come fosse un’idiota perché penso davvero che lo sia.
Possibile che non l’abbia capito che è stato tutto per colpa sua?
Prendo la portamine e scrivo la risposta sotto la sua domanda.
 
“Svegliati: ricordi cosa hai detto a Flavia?”
 
Dopo aver letto le mie parole sembra pensarci. Davvero non se ne ricorda? Non se ne rende neppure conto?
 
“Che ho detto?”
 
Scrive. E’ così sprovveduto da farmi venir la voglia di mettermi le mani nei capelli dal nervoso e invece mi riprendo la portamine in mano e scrivo.
 
“Non hai voluto che Martina si sedesse al posto di Flavia”
“E quindi?”
 
E’ snervante dovergli spiegare tutto, ma è meglio per lui saperlo e quindi lo informo del fatto che piace a Martina. Persino Alessio secondo me se ne è reso conto. Già, Alessio. Proprio il tizio seduto alla mia destra che è di nuovo perso nel suo mondo strambo. Non quello dei sogni. No. Quell’altro in cui si rinchiude quando è sveglio e si nasconde persino dalla realtà.
Quando vedo Cesco leggere quel che ho appena scritto, questo ci rimane di sasso ed arrossisce.
Eh già, non se ne era proprio accorto … che idiota.
-Hai capito ora?- chiedo a bassa voce. Probabilmente almeno due più due ora saprà farlo sul resto dell’accaduto.
Scrive qualcosa su un nuovo foglietto e me lo rilancia.
 
“Martina è quella bionda, vero?”
 
Per un secondo ho un attacco di nervi ma dopo gli do ragione. Neppure io sapevo distinguerle fino a poco fa. Mi schiarisco la voce e scrivo la risposta strisciando verso di lui il fogliettino.
Nel caso, per evitare ulteriori equivoci, richiamo la sua attenzione e gli indico la ragazza seduta di fronte ad Alessio.
Lui sembra ponderare per un po’ le nuove informazioni e allontanarsi dal problema principale. Riprendo il fogliettino e aggiungo una frase.
 
“Rimane il fatto che ora pensa che tu sia interessato a Flavia, credo. Perciò è stata presa di mira da Martina”
 
Francesco annuisce e sussurra che farà qualcosa in merito per risolvere quel casino.
Annuisco tra me e me e metto giù la penna. E’ quasi come mettere giù la cornetta.
Fine della discussione via bigliettini.
Mi sto passando la destra sulla fronte, sotto la frangia rossa, quando punto lo sguardo verso Flavia a sinistra.
Sembra rannicchiata. Ha il viso rosso e il capo piegato verso il basso mentre si tiene con la sinistra il braccio destro.
“Oh-oh” faccio tra me e me. “Non mi dire che …”
Il mio pensiero viene interrotto da qualcosa che mi cade davanti agli occhi e quasi finisce sul banco di Francesco.
Una pallina di carta.
Cesco è talmente perso nel suo mondo dopo aver appreso che Martina ha una cotta per lui che neppure se ne accorge.
La prendo e la apro.
 
“Mamma e papà giocano sempre da soli e mi lasciano in disparte …”
 
Arrossisco solamente leggendo quelle prime parole e scatto senza rendermene neppure conto.
-Chi sarebbero mamma e papà!?- sbraito alzandomi in piedi, rivolta verso Alessio, fermando la lezione e facendo ridere i compagni di classe.
-Questa è la seconda volta che interrompete la lezione, voi due. Se succede qualcos’altro vi interrogo, è chiaro!?- sbraita la prof di inglese mentre mi risiedo al mio posto.
Tutta colpa di Alessio. Questo poi non si è scomposto neppure minimamente nonostante i rimproveri miei e della prof.
Francesco mi domanda che è successo ma gli faccio segno di lasciar perdere. Lo stesso fa Flavia e anche a lei rispondo uguale.
Riguardo il bigliettino e sto per buttarlo via quando, sotto quella frase, ci trovo il disegnino di un personaggio strano.
Inarco un sopracciglio sforzandomi di ricordarmi di che cartone faccia parte ma niente. Che disegno strambo …
Me lo infilo nella tasca dei jeans e, per la prima volta dall’inizio dell’ora, ascolto la voce burbera della prof intenta a spiegare di nuovo l’ennesima cosa dell’ultima lezione.
 
-Flavia?- la chiama Francesco a fine lezione mentre tutti attendono l’ultima ora della giornata e della settimana.
La ragazza si volta verso di lui un po’ titubante e si schiarisce la voce mentre è già oggetto di occhiatine di sbieco da parte di Martina.
-Sì?-
-Mi dai il tuo numero di telefono?-
Sbianco.
Cosa diavolo gli è saltato in mente di chiedergli?! Così aggrava la situazione, altro che migliorarla!
Sto per dirglielo quando lui, lasciando l’iPhone alla ragazza per farle scrivere il numero,  mi fa segno di lasciarlo fare.
Faccio segno affermativo e spero veramente che Cesco sappia ciò che fa. Michela si volta e, tranquilla e sorridente, mi chiede perché ho detto quella frase prima.
Ci metto qualche secondo per capire che sta parlando della mia reazione esplosiva a quel bigliettino stupido di Alessio.
-Lascia stare, è una cosa complicata … non l’ho capita neppure io- spiego guardando di sbieco il tizio seduto affianco a me, a destra.
 
E’ suonata anche l’ultima campanella e cerco di raggiungere Francesco ma viene accerchiato dai suoi amici che gli chiedono dei suoi piani per la serata e quindi si allontanano assieme a lui.
Sbuffo.
Vorrei sapere che ha in testa quel ragazzo per farmi un’idea delle conseguenze che ci potranno essere con Flavia.
Sto per uscire quando sento una voce dietro di me chiamarmi nel caos generale.
Mi volto e trovo i capelli bruni e corti di Flavia a poca distanza da me. E’ la prima volta che le parlo in piedi e mi accorgo solo ora che è davvero bassa. Mi viene quasi da ridere al pensiero di veder vicini lei e Francesco.
-Posso chiederti il numero di telefono?- mi domanda infilandosi le spalline dello zaino addosso e tenendole con entrambe le mani.
Per un attimo ricorda mio fratello quando faceva le elementari.
-Certo- rispondo prendendo in mano il mio cellulare mentre lei fa lo stesso.
Le sto per dettare il mio numero (che non ricordo a memoria ma che ho segnato sulla rubrica), quando mi ferma interrompendomi.
-Non è meglio che me lo segni sul cellulare direttamente? Sei piuttosto famosa … qualcuno potrebbe sentirti dire il tuo numero di telefono e … -
In effetti ha ragione. Devo ancora farci l’abitudine a tutte le cose che prima erano così naturali … Già. E quando mai ho detto il mio numero di telefono ad un’amica?
Eh …
-Già, hai ragione-
Le passo il mio cellulare e, come aveva fatto prima con Francesco, si aggobba un pochino e, tenendo un cellulare per mano, si destreggia a digitare i numeri sui cellulari.
-Fatto. L’ultimo numero delle chiamate effettuate è il mio- dice restituendomi il telefonino.
-D’accordo- dico e, a metà parola, sento una canzoncina strana partire dal cellulare di Flavia. Un midi? Credevo non li usasse più nessuno sui cellulari …
La vedo leggere l’sms e arrossire sulle guance.
-Ahm, scusami. Ora devo andare. A Lunedì e buone prove!- mi dice agitando il palmo destro in alto mentre corre via tra la folla del corridoio.
Di Michela e Martina invece non c’è neppure l’ombra. Se ne devono essere andate appena è suonata la campanella.
Mi fisso sulla spalla la tracolla in maniera più salda e sospiro.
Ho un brutto presentimento.
Esco senza neppure accorgermi che Alessio è rimasto in aula.
 
Scendo dal pullman tenendo in mano il mio Nokia digitando qualcosa sul monitor.
A quanto pare Miriam non ci sarà oggi a pranzo.
Tentenno un momento.
Senza di lei mi sta passando la voglia di entrare lì dentro e ritrovarmi circondata dagli altri concorrenti dell’Academy, che di fatto non conosco. Già. Non li conosco e loro sono convinti che io sia una che se la tira. Non ci farei una bella figura come prima presentazione.
In faccia ho sempre la stessa espressione da incavolata oppure da apatica … neppure a sforzarmi può sparirmi dal viso. Se mi avvicinassi così sarebbe davvero un brutto inizio.
Sono scesa una fermata prima apposta per evitarmi la strada dagli studi allo Starbucks e ora invece mi ritrovo a dovermela fare lo stesso.
Infilo le mani nelle tasche della felpa bianca e mi volto per dirigere il passo verso l’Academy ma facendolo mi scontro contro qualcuno.
-Mi spiace- dico, posandomi la destra sulla spalla sinistra, lì dove ho colpito il braccio del tizio. Può anche evitare di correre senza guardare dove mette i piedi.
-Sei DC?- domanda questo e quando alzo lo sguardo mi accorgo che ho di fronte Ezio, un ragazzo della trasmissione.
Un’altro concorrente che, se non ricordo male, è arrivato ad avere due posizioni sopra di me in classifica. Io sono arrivata penultima. Non se la passa benissimo ma neppure da tragedia dopotutto.
-Ezio?- domando, indicandolo.
E’ un ragazzo come tanti. Ha i capelli corti e neri, carnagione ambrata, molto abbronzato. Indossa pantaloni larghi di una tuta, scarpe giganti da ginnastica e la felpa sopra coordinata a i pantaloni blu con delle strisce bianche ai lati.
Lui non risponde ma fa un gesto con le mani che finisce con una V di vittoria tenendo le dita della destra di fianco alla sua faccia con un sorriso a 36 denti. -Yes I am!- gongola infine facendo l’occhiolino.
La mia espressione, fissa e seriosa, deve farlo ricapitolare perché porta quella stessa mano dietro la testa sulla quale indossa un berretto blu scuro.
-Tutto ok?- domanda incerto. Come fossi io quella un po’ strana. Oddio, tutti i torni non glieli do, ok, però …
-Sì … - dico, non sapendo che altro dire mentre riporto la destra nella tasca della felpa. Infine mi schiarisco la voce lasciando vagare lo sguardo attorno a me.
-Ahm … bhè, io vado a mangiare ora- dice facendo qualche passo fino a passarmi affianco sulla sinistra.
Rispondo annuendo e faccio un passo avanti ma mi volto a metà passo quando lo sento chiamarmi di nuovo.
-Hai già pranzato?- mi domanda con non-chalance tenendo anche lui le mani nelle tasche della felpa.
Siamo messi nella stessa posizione ma lui è più grosso di me. Arriva quasi all’altezza di Francesco ma Ezio è più grande come figura. Più imponente.
-No- rispondo.
-Ti va di venire allo Starbucks per un panino?- chiede indicando con la destra verso la via da intraprendere per raggiungere il luogo da lui citato.
-Eh … -mormoro tra me e me non sapendo che dire. Socchiudo la bocca e abbasso lo sguardo sul marciapiede fissandomi le punte delle converse consumate.
Che fare? Voglio davvero andare a mangiare agli studi e dover aspettare fino a lunedì prima di poter incontrare i ragazzi e le ragazze dell’Academy? Se ci fosse anche Miriam sarebbe meglio. Almeno qualcuno che conosco ci sarebbe a darmi sostegno.
Sono ancora indecisa quando è Ezio di nuovo a parlare e a rompere il “silenzio” pieno di rombi delle macchine, clacson e voci dei passanti.
-Bhè, se cambi idea sai dove si trova il posto?- domanda ancora mezzo voltato verso di me.
Annuisco e quando lui saluta io rispondo mostrandogli il palmo aperto in segno di saluto.
Osservo per un po’ Ezio camminare tra la gente con le mani nelle tasche e muovendo il capo al ritmo di una musica che forse conosce solo lui.
Lo fisso ancora, anche se altra gente si sovrappone alla sua figura. Riesco ugualmente a vedere il suo berretto sbucare da dietro le teste degli altri passanti. Questo continua a dondolare un po’ a destra e poi un po’ a sinistra, seguendo sempre lo stesso ritmo.
Trattengo il respiro, stringo i pugni, e faccio una corsa.
Lo avrei raggiunto in poco tempo se non ci fosse stata così tanta gente in giro per la città a quelle ore di venerdì pomeriggio.
Come lo raggiungo gli afferro il cappuccio dietro il collo per fermarlo.
Ho il fiato un po’ corto. Non ho molta resistenza, è vero, però inizio a parlare e a scusarmi.
In faccia ha un’espressione tranquillissima. Non sembra neppure spaventatosi per essere stato fermato in mezzo alla strada in quella maniera brusca.
E’ un tipo davvero quieto.
-Posso venire anche io?- domando fissandolo dal basso all’alto per colpa della sua altezza e della mia statura media. Lui subito annuisce facendo un sorriso veloce e puntando poi di nuovo verso lo Starbucks.
Io prendo a camminare al suo fianco sinistro mentre lui spinge in fuori le labbra e inizia a fischiettare un motivetto già sentito.
-Che canzone è?- domando.
Si interrompe e, senza voltarsi a guardarmi, risponde che si tratta di “Stereo Hearts” dei Gym class Heroes.
-Mi sembrava di averla già sentita da qualche parte … - borbotto prima di fare un profondo respiro per mascherare uno sbadiglio.
-Eminem, Jason Derulo o Linkin Park?- domanda lui così a bruciapelo.
-Linkin Park- rispondo, senza pensarci due volte.
Lui annuisce con ancora il sorriso largo sulla faccia. Ha una bocca davvero grande.
-Sei per il genere commerciale, eh?- domanda e io sbianco.
Commerciale? Ma chi, io?!
-Ehi, guarda che, se la vogliamo mettere su questo livello, tutti e tre i nomi che hai fatto sono commerciali ormai. Dipende dalle canzoni di cui si parla- sbotto infervorata voltandomi verso di lui ma continuando a camminare avanti a me.
Ezio rimane qualche secondo a pensare e fa l’occhiolino indicandomi imitando con la destra la forma di una pistola.
Ho capito che con lui bisogna far lavorare il cervello oramai e che è un tipo che gesticola parecchio. Comunica con i gesti … e questo di ora che significa?
-Hit?- mormoro fissando la sua mano e alzando poi lo sguardo verso di lui.
-Hit That- mi corregge lui e io alzo un sopracciglio dubbiosa. E’ un esame?
Capisco che si sta parlando di cantanti e canzoni e ovviamente so rispondere al suo “indovinello”.
-Offspring?- verbo e a lui si accendono gli occhi.
-Li conosci?-
-Conosco quasi tutto su ogni genere musicale oramai- dico mentre riprendiamo a camminare.
Sembra che lo Starbucks sia più lontano dell’ultima volta …
-Già, dimenticavo che sei figlia d’arte- commenta Ezio portandosi la destra di nuovi dietro la nuca, sopra il berretto.
-E’ la parte bella dell’essere “figli d’arte”- sibilo a denti serrati abbassando di nuovo lo sguardo.
Non so se il suo commento voleva essere una provocazione o una frase semplice ma, riflettendoci un po’ su, nel suo tono credo ci sia stata una punta d’invidia.
Di certo so che, grazie a mio padre, alla sua famiglia di musicisti e ai suoi amici, ho potuto entrare più facilmente nel mondo dello spettacolo e imparare ciò che c’è da sapere con più facilità mentre altri han dovuto sgobbare più duramente per delle lezioni di piano, chitarra e di canto.
Guardando in tralice Ezio mentre camminiamo e parliamo del più e del meno, ho il dubbio di aver di fronte qualcuno di quei famosi “altri”.
 
Arrivati allo Starbucks lo troviamo totalmente pieno.
-Ah, ecco Loris. Ehi, raga!- fa Ezio rimanendo con me all’entrata con le porte aperte. Alza la destra e l’agita in aria per farsi vedere meglio.
Un gruppo di circa dieci o dodici ragazzi è seduto a due diversi tavoli lunghi a parete e qualcuno alza la sinistra per rispondere al saluto. Qualcuno alza la voce salutando il nuovo arrivato.
Ezio si avvia ma io rimango bloccata all’entrata.
C’è così tanta gente … anche in America era così? Lo Starbucks era così pieno anche lì? Di sconosciuti o di qualcun altro? Cos’è che di colpo mi sta facendo sudare freddo e mi impedisce di entrare in un locale come tanti altri?
Mi esibisco ogni settimana davanti a uno studio intero di persone, perché poi mi ritrovo ad aver paura di stare in mezzo ad un numero così moderato di gente?
E al Mc allora? Lì il posto era grande ma la situazione non era poi così diversa.
Cosa mi succede di preciso? Non riesco a capirlo.
Inizio a sentirmi il cuore martellarmi in petto. Respiro con affanno e sento i palmi sudare di freddo.
Soffro di pressione bassa da tutta la vita, quindi non mi ci vuole molto per capire ciò che devo fare. Entro e mi dirigo direttamente nel bagno delle donne dove però c’è la fila.
Mi sta bene.
Non devo vomitare ma devo solo appoggiarmi al muro e sorreggermi per evitare di cascare.
Dovrei stendermi e stare a gambe all’aria come un’idiota ma non mi passa neppure per l’anticamera del cervello di entrare in contatto con il pavimento di un bagno con qualcosa al di fuori delle suole delle mie scarpe.
Ci sono solamente quattro bagni ed una fila di circa sei ragazze che aspetta di poter entrare. Io mi sono spinta oltre e, aperta l’acqua, mi sono sciacquata il viso.
“Calmati, calmati, calmati, calmati …” ripeto dentro di me rimanendo un po’ ingobbita di fronte al lavandino con i palmi premuti ai lati del lavandino per sorreggermi.
Qualcuno mormora qualcosa e non distinguo molto bene cosa.
Chiudo gli occhi perché la vista si sta annebbiando.
“Forse”, penso, “Se chiudo gli occhi non sentirò più le vertigini, non vedrò così dannatamente sfocato e il mio corpo si calmerà”.
Ora sono arrivata al punto di raccontare balle anche a me stessa.
-Va tutto bene?- domanda una voce. Naturalmente è una ragazza ma non so distinguerla molto bene perché oramai è palese: sto per svenire.
Mi sembra stia succedendo tutto così lentamente, eppure in pochi secondi sono già a terra.
 
Non so di preciso cosa mi sia successo al cento per cento. So solo che, riaperte a fatica le palpebre, ero sommersa da un gruppo di gente attorno a me che mi guardava come se vedessero un alieno al suolo.
-Stai bene?- chiede qualcuno alla mia sinistra. La vista sta tornando ma ai contorni del mio campo visivo è ancora tutto vago, sfocato. La voce è la stessa sentita in bagno.
La guardo e non la conosco. O forse sì?
L’ho già vista da qualche parte ma non ho ben presente dove di preciso.
Chiudo gli occhi e porto la destra sulla fronte.
Mi schiarisco la voce e ingoio a fatica due volte.
-Mi spiace … - mormoro con un tono un po’ pesante. Tutto sembra tranne che io mi stia scusando per qualcosa.
Non capisco neppure dove sono di preciso se per questo. Sul pavimento? No, sono su qualcosa di solido, ok, ma anche un po’ morbido. Ok, sì, sono sulla cassapanca dei tavolini. Bingo.
Chissà-chi dice chissà-cosa ed io, con la voce impastata, confesso che non ho capito una cippa.
-Vuoi bere qualcosa?- mi domanda e, non so bene come mai ma, a quel punto scatta qualcosa ed è come se mi svegliassi sul serio ora.
Spalanco lo sguardo e finalmente mi rendo conto di ciò che sta succedendo.
Sono svenuta dentro uno Starbucks. Nel caos dell’orario di pranzo. Attorniata da sconosciuti tra i quali vedo i partecipanti all’Academy.
Che ore sono?
No. Non è esattamente questo che dovrei domandarmi ma, piuttosto, chi mi ha portata fin qui? Cosa è successo dopo che sono svenuta? Quanto tempo sono rimasta senza coscienza?
Ho toccato il pavimento con il resto del mio corpo?!
-No … -rispondo debolmente alzandomi con la parte superiore del corpo piantando i palmi sui cuscini sottili della cassapanca.
Ci sto a malapena e per poco non scivolo con il braccio.
Mi siedo meglio facendo scendere le gambe oltre il bordo mentre mi piazzo la destra sulla fronte.
Sento freddo, e tanto anche. La testa gira ma posso tentare di alzarmi in piedi. Dovrei aspettare solo qualche minuto ancora.
Torno a guardarmi attorno e solamente ora capisco che a parlarmi è stata Fiore, una dell’Academy. Una ragazza che ha sempre il sorriso sul volto.
Mi ricorda Miriam ma Fiore è molto più solare con i suoi capelli corti, biondi, e gli occhi d’un azzurro chiarissimo che fa quasi spavento. Sembrano quasi bianchi.
-Devo andare- dico in maniera frettolosa. Evito di vagare con lo sguardo anche sugli altri perché il mal di testa peggiorerebbe.
Una rapida occhiata poi l’ho data comunque e,a dirla tutta, si comportavano come se non mi avessero riconosciuto per nulla.
Bhè, non ci frequentiamo minimamente. E’ vero anche che, se non si guardano le puntate, è normale che non ci si riconosca neppure di faccia.
I dirigenti si aspettano che tutti i ragazzi facciano combriccola e vari gruppi, insomma, amicizia.
E’ difficile però quando non si ha poi molto in comune …
 
Arrivata all’Academy decido di dirigermi al buffet per fiondarmici sopra e mettere qualcosa nello stomaco ma lo trovo totalmente vuoto.
In più Paolo è occupato.
Uno dei cameraman mi informa che sta già insegnando agli altri ragazzi. A quanto pare non mi resta altro da fare che prendere qualcosa alla macchinetta.
Due tramezzini freddi, una fiesta e una cioccolata calda dovrebbero andare bene per rialzarmi la pressione e, con questo, anche il colesterolo.
Infagotto le cartine e i contenitori che ho accumulato e vado a buttarli via quando, avvicinandomi ai distributori automatici, mi imbatto di nuovo in Ezio intento a prendersi una Redbull.
Subito fa il suo sorriso ampio come lo è la sua bocca e socchiude  lo sguardo facendo un “Ehi” del tutto spontaneo con quella faccia.
-Ehi- rispondo facendo un cenno con il mento prima di lasciar cadere la spazzatura dalle mie mani fin dentro il cestino.
-Stai bene?- domanda premendo i tasti per la scelta della bibita.
Visto che ho notato che mi sta lanciando qualche occhiata un po’ dubbiosa, decido di non rispondere a voce ma di annuire piuttosto, ritornando sui miei passi.
- Cos’è successo?-. Mi ferma con questa domanda.
Fosse facile capirlo …
-Pressione bassa- rispondo portandomi la destra alla testa, tra i capelli rossi, socchiudendo gli occhi.
Ho ancora freddo. La punta delle dita è gelida e devo essere parecchio pallida se non cadaverica. Fossi pelle e ossa farei più impressione.
Ezio annuisce a ritmo di chissà quale musica mentre si china un po’ per prendere la lattina appena caduta dal ripiano sul quale era posata.
La testa gli rimbalza sul collo come quelle dei cagnetti che piacciono tanto a mia madre. In macchina, sul cruscotto, il muso di quei cani che ad ogni buca facevano su e giù, è uno dei tanti ricordi dei viaggi in cui ci avventuravamo per vedere i concerti di mio padre.
Mi sono distratta la lo sportello della macchinetta fa un rumore improvviso quando si richiude e quindi torno al presente osservando Ezio con in mano la lattina. La apre con uno schiocco e ne beve una buona sorsata infilando la mano libera nella tasca della felpa.
-D’accordo … Bhè, se stai bene … - dice prima di farmi un cenno di saluto e dirigersi verso le salette di studio.
Faccio un profondo respiro ed espiro dirigendomi verso la stanza delle prove dedicata a me.
Ce ne sono poche di porte in quel corridoio e trovo difficile pensare che veramente ognuno di noi abbia un proprio studio ma la faccenda al momento non mi interessa. Voglio raccontare a Paolo quello che è successo.
 
-E’ successo qualcosa oggi?-
-No, niente … -rispondo a Paolo poggiandomi allo schienale della sedia e fissando senza attenzione la lyrics della canzone di Fabrizio Moro.
-Domande?-
-Come sto andando all’interno del programma, secondo te?- chiedo, rispondendo quindi alla sua domanda e puntando lo sguardo verso di lui che risponde praticamente all’istante.
-Benone. Non ci sono problemi e neppure intoppi-.
Ero certa che avrebbe risposto così e la cosa mi fa innervosire ancora di più.
-Ma piantala … Sono arrivata penultima nella classifica settimanale. Te ne ricordi?- dico incrociando le braccia di fronte a me.
Forse è anche per questo che non voglio dire a Paolo quel che è successo a pranzo.
Sarebbe inutile ai fini del programma e lui continuerebbe a dire: “Va tutto bene, non ci sono problemi e neppure intoppi” con quell’aria serena che si porta sempre dietro. Il più delle volte è rilassante ma in momenti simili fa solo che venire i nervi.
A quel punto Paolo, levandosi gli occhiali dal naso e poggiandoli vicino al giornale che stava leggendo fino a pochi minuti fa, inizia a fissarmi posando il mento sulle dita delle mani intrecciate e poggiando i gomiti sul tavolo.
-Sei sicura che oggi non sia successo nulla?-
Tipico. Cambia discorso.
Lo conosco da poche settimane ma quasi ogni giorno ce l’ho di fronte, nella stessa stanza, per almeno una o due ore. E’ bastato per imparare almeno tre o quattro cose su di lui.
-Sicura- dico abbassando lo sguardo e riprendendo in mano il testo della canzone facendo finta di leggerla.
Lui non smette di fissarmi con l’espressione seria ed è difficile continuare a far finta di nulla.
Mi schiarisco la voce. Ci provo sul serio a rileggere le parole ma a metà della seconda frase mi fermo e lascio ricadere i fogli sulla scrivania andando indietro con la schiena poggiandola allo schienale della sedia.
Rassegnata, confesso.
-Sì. E’ successo qualcosa. Contento?- sbotto irritata facendo un gesto di stizza con la destra prima di incrociare le braccia ancora una volta davanti a me. Volto il capo per portare lo sguardo alla mia sinistra.
Da quando c’è una pianta nello studio?
-A scuola? Sul pullman? Quando è successo?- chiede con una voce diversa dal solito.
In un primo momento neppure ci ho fatto caso ma sembra quasi di stare di fronte ad un avvocato o ad un agente.
-Oggi volevo pranzare allo Starbucks con tutti gli altri. Dovevo andarci con Miriam ma non ha potuto e alla fine stavo tornando verso gli studi quando ho incrociato Ezio. Lui stava andando a pranzare, mi ha invitata a stare con il gruppo della trasmissione e ho pensato di andarci … -
-Hai pranzato con loro quindi?- mi interrompe assottigliando lo sguardo mentre abbassa le mani sulla scrivania.
Perché questa domanda?
-No-
-Quindi, che è successo allora?- domanda facendo un’alzata di spalle.
Non capisco.
Che si aspettava?
-C’era molta gente. Ho avuto uno sbalzo di pressione e sono svenuta. Poco dopo mi sono risvegliata su una delle cassapanche dello Starbucks con gli altri che mi fissavano come fossi stata un ufo e sono andata agli studi. Tutto qui-
Non è nulla d’importante. Di un episodio simile non ho di che preoccuparmi neppure se fossi più famosa di quello che in realtà sono.
Paolo rimane a pensarci un po’ su e fa cenno affermativo rimettendosi gli occhialini sul naso e sorridendo di nuovo come poco fa.
Tutto passato. E’ come se si fosse preparato al peggio e avesse scoperto che non era capitata la situazione brutta che si era prefissato.
Ma, che “peggio” si era aspettato Paolo?




NdA:

Ripeto:
"Ringrazio preventivamente chi mi darà critiche costruttive o chi mi farà notare eventuali errori presenti in questo capitolo (anche chi mi scriverà qualche bel commento, certamente non disdegno nulla xD).
So che sono una frana con la grammatica e con i tempi verbali... Mi scuso anche per eventuali insulti a generi e personaggi musicali amati da tanti. Non è nulla di personale, solo l'opinione dei personaggi.
In questa storia non voglio mettere in cattiva luce gli emo, i fanatici della moda e delle discoteche o i fan di Laura Pausini e di Emma, ecc ecc... La storia è raccontata dal punto di vista di Dreda la protagonista, non il mio come autrice."

Finalmente sono riuscita a postare il terzo capitolo ... è stato complicato e temo non sia venuto un granchè purtroppo. Ho in testa i successivi episodi ed ho passato il tempo ad appuntarmi vicende varie tralasciando un po' troppo questo.
Oggi finalmente l'ho rivisitato e rimesso in riga. Infine, soddisfatta, ho deciso di postarlo.
Mi spiace di averci messo tanto.

Spero vi piaccia ^^
   
 
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