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Autore: Eilan21    14/03/2012    2 recensioni
Una ri-narrazione del film dal punto di vista di Alice, con delle scene aggiunte. Centrato sulla storia d'amore tra Alice e Uncas, e con una piccola sorpresa nel prologo. Adoro il film e volevo contribuire... Enjoy!
NOTA: In fase di revisione. A breve ne pubblicherò una versione ampliata e riveduta!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nonostante fosse abituata a cavalcare all'amazzone con gli ingombranti indumenti femminili, una piccola parte di Alice segretamente invidiava a Duncan e a tutti gli uomini la libertà di cavalcare comodamente, con una gamba su ogni lato della sella. Fortunatamente gli abiti da equitazione erano una versione più comoda e meno rigida degli abiti da salotto, per esempio mancavano delle rigide stecche che davano la forma alle gonne.

 Sul bustino, però, non si transige... pensò Alice avvertendo le stecche del corsetto che le premevano contro la cassa toracica.

 Duncan cavalcava davanti e Cora lo seguiva a breve distanza, sul suo cavallo bianco. Il Generale Webb aveva assegnato loro una compagnia del sessantesimo reggimento per scortarli fino a Fort William Henry, dove il Colonnello Munro era stanziato, con il Capitano Ambrose e lo stesso Maggiore Heyward al comando. A far loro da guida suo padre aveva inviato un indiano dall'aspetto truce, che ad Alice e Cora faceva venire i brividi ogni volta che lo guardavano. Ma non si poteva certo giudicare il cuore di un uomo dal suo aspetto esteriore, pensava Alice. Così scacciò quelle paure.

 Man mano che la mattina avanzava, Alice si accorse di essere stanca. Non era riuscita a dormire molto la sera prima, sia per l'eccitazione, sia perché lei e Cora erano rimaste sveglie fino ad un'ora tarda per parlare della situazione con Duncan. Per la verità questo aveva stupito non poco la più giovane delle sorelle, perché anche se lei e Cora si volevano molto bene, non erano mai state in confidenza riguardo le questioni di cuore. Dopotutto Cora era di sei anni più grande, e, più che una sorella maggiore, si considerava quasi una seconda madre per Alice, dal momento che Alice una madre non l'aveva mai avuta. Evidentemente la situazione con Duncan era più spinosa di quanto Cora fosse disposta ad ammettere, se riusciva a confidarsi così liberamente con la sorella minore.

 Complice il movimento del cavallo, Alice sentì che la testa le ciondolava e che gli occhi cominciavano a chiudersi. Cora se ne accorse e, protettiva com'era nei suo confronti, chiamò il suo nome.

 Alice alzò il capo, scacciando via la sonnolenza. Odiava essere considerata la piccolina del gruppo, quella da proteggere come una bambola di porcellana che poteva rompersi da un momento all'altro. D'altra parte però aveva tenuto duro fin dall'alba, cercando di non essere di peso a nessuno, e ora aveva quasi esaurito le forze.

 Così, mettendo da parte l'orgoglio, chiese: “Ci possiamo riposare?”

 “Certamente”, disse Duncan prontamente, dando di sperone al suo cavallo per spingerlo al trotto fino alla testa del corteo.

 
Al rumore dello sparo sia Alice che Cora si gelarono. Proveniva da più indietro, lungo il sentiero sul quale stavano tranquillamente cavalcando ma, anche voltandosi, le sorelle Munro non riuscirono a capire chi avesse sparato a chi. C'erano troppi soldati tra loro e quello sparo, troppi per poter scorgere quello che stava accadendo. Al secondo sparo i cavalli cominciarono ad agitarsi. Alice tentò invano di tenere le redini del proprio cavallo, ma quello sembrava impazzito, scosso dagli spari che ora avevano invaso il sentiero falciando un soldato dopo l'altro. Proprio nell'attimo in cui una torma di Indiani che lanciavano spaventosi gridi di guerra si abbatté sui soldati inglesi, il cavallo di Alice si impennò mandandola a finire a terra. Veloce come il vento Cora smontò e corse dalla sorella, stringendola tra le braccia e gettando a terra, con un gesto involontario, l'ampio cappello di paglia che Alice indossava.

 Alice guardava lo spettacolo che le si parava d'avanti con assoluto orrore e atterrimento, rappresentati alla perfezione nella sua espressione sconvolta e nei suoi occhi spalancati. Quella che aveva di fronte era una guerra! E Alice non aveva visto mai nulla di simile. Dei selvaggi seminudi stavano letteralmente massacrando i soldati, portandosi via scalpi come se fossero macabri trofei. Le urla, il sangue, il fumo provocato dagli spari... erano troppo per la ragazza. Quando le braccia di Cora la strinsero, d'istinto girò il capo nascondendo il viso nelle gonne di sua sorella, cercando un rifugio sicuro che la strappasse a quel tremendo spettacolo di guerra.

 Alice pensò che sarebbe morta, era sicura che sarebbe morta... ed anche Cora. Era finita per loro. Non ebbe il coraggio di guardare e si strinse a Cora con tutte le sue forze, lanciando grida soffocate di terrore che facevano eco a quelle strazianti dei soldati. Poi gli spari cessarono e si udirono solo le grida di guerra degli indiani che si stavano per abbattere su lei, Cora e Duncan. Ma i loro assalitori non li raggiunsero mai, perché sul sentiero echeggiarono distintamente tre spari.

 Alice non osò ancora alzare la testa, perciò non comprese subito che erano salvi. Solo quando udì Cora dire: “No, Duncan!” e una voce a lei sconosciuta aggiungere: “Nel caso la tua mira fosse migliore del tuo buonsenso”, si arrischiò a guardare. Tutti gli indiani che li avevano assaliti erano morti, osservò sbalordita.

 Allora si liberò dell'abbraccio di Cora, che l'aiutò a rimettersi in piedi. C'erano tre uomini sul sentiero di fronte a loro, in mezzo ai cadaveri di indiani e inglesi. Due di loro erano chiaramente indiani, l'uno di mezza età, l'altro più giovane. Il terzo uomo poteva sembrare anche lui indiano ad una prima occhiata, ma osservandolo più attentamente, Alice si accorse che, nonostante la pelle abbronzata, aveva gli occhi chiari, forse grigi o azzurri. Tutti e tre, ma specialmente l'indiano più anziano, emanavano un'aura di fierezza e solennità. Avevano appena ucciso diversi uomini e, sebbene non sembrassero appartenere alla schiera di coloro che traevano piacere nel togliere la vita, la loro espressione era di apparente calma e tranquillità.

 “E' meglio se i feriti tornano ad Albany, non ce la faranno al passaggio a Nord”, disse l'uomo bianco guardando Duncan.

 In quel momento l'indiano più giovane si diresse verso di loro a grandi passi e, raggiunti i cavalli di Cora e Alice – non quello di Duncan perché, Alice se ne accorse in quel momento, il povero animale era stato abbattuto e giaceva sul sentiero – con un secco “Ah!” li colpì sul posteriore facendoli scappare.

 Alice non si riteneva particolarmente coraggiosa – non quanto Cora – ma non avrebbe lasciato che quei cavalli, che rappresentavano la loro unica possibilità di fuggire da lì, andassero perduti senza fare un tentativo per trattenerli.

 “Fermo! Ci servono per andarcene!”, gridò mentre si lanciava dietro gli animali che stavano scappando.

 L'uomo era rimasto fermo a guardare i cavalli e, senza dire una parola e senza averla apparentemente neanche guardata, aspettò che Alice gli passasse davanti. Prima che la ragazza potesse superarlo l'afferrò gentilmente ma fermamente per le braccia. Trovandosi stretta in quella morsa, Alice alzò istintivamente gli occhi a incontrare quelli di lui.

 Mai in tutta la sua vita, mai con nessun altro giovane della buona società, mai neppure con il suo pretendente... mai Alice aveva provato un'emozione simile a quella. Negli occhi del giovane indiano si era aspettata di scorgere ferocia, scherno, crudeltà... niente di più lontano dalla realtà. Gli occhi di lui erano scuri, profondi come laghi, pieni di umanità e di calore. Si fissarono negli occhi grigi di Alice e la scaldarono fin nell'anima, trasmettendole sensazioni mai provate prima. Senza rendersene conto era rimasta a bocca aperta, le sue emozioni anche troppo visibili sul suo viso. L'uomo invece aveva un'espressione impassibile, quasi stoica. Solo i suoi occhi avrebbero potuto tradire la profonda emozione che si agitò in lui nel posare gli occhi su Alice.

 Quel contatto durò solo pochi secondi, ma ad Alice sembrò un'eternità. Avrebbe potuto rimanere così per sempre, se Cora non fosse corsa a sottrarla alle mani dell'uomo. Quando avvertì le mani della sorella su di sé, Alice si riscosse come svegliandosi da un sogno. Il giovane indiano la lasciò andare e l'incantesimo fu spezzato. Tuttavia Alice continuò a seguirlo con lo sguardo mentre si allontanava, tornando verso i suoi compagni.

 “Perché ha disperso i cavalli?”, chiese in quel momento Duncan rivolgendosi all'uomo bianco.

 “Perché non glielo chiedi?”, replicò questi, facendo cenno verso l'uomo più giovane.

 “Facili da seguire. Si sentono per miglia”, rispose il giovane indiano tranquillamente, e poi rivolto a Duncan, “Trovatevi un fucile.”

 Alice rimase sbalordita dal perfetto inglese in cui l'uomo si era espresso. Non si sarebbe mai aspettata che un selvaggio parlasse così bene la sua lingua, ed evidentemente non doveva aspettarselo neanche Duncan, che d'istinto s'era rivolto all'unico bianco del gruppo.

 “Ma noi dobbiamo raggiungere Fort William Henry!”, esclamò Duncan.

 L'indiano più anziano disse qualcosa all'uomo bianco in una lingua secca, tagliente, che Alice non conosceva. L'altro gli rispose nella stessa lingua e i due si scambiarono alcune frasi prima che l'uomo bianco si rivolgesse a Duncan.

 “Vi scorteremo noi al forte.”

 L'ufficiale inglese sembrava confuso dalla situazione che si era rapidamente capovolta. Pochi minuti prima erano condannati a morte certa, e ora tre perfetti sconosciuti avevano salvato loro la vita, offrendosi addirittura di scortarli al forte. Perciò non rispose subito.

 “Dobbiamo muoverci in fretta”, aggiunse.

 Vedendo che esitavano, mentre lui e i due indiani avevano già cominciato ad avviarsi, l'uomo bianco si rivolse a tutti e tre con un'occhiata di scherno. “A meno che non preferite aspettare il prossimo gruppo guerriero Hurone...”

 Duncan fece un cenno di assenso in direzione di Cora e Alice, e tutti e tre cominciarono a seguire quegli uomini. Alice era troppo distratta per accorgersi che Cora si era chinata a raccogliere una pistola e l'aveva nascosta nella tasca del vestito.

 

 Camminarono per il resto della giornata, fermandosi raramente. Alice e Cora si muovevano più velocemente possibile, per quanto le scomode gonne glielo permettessero. Tuttavia Alice intuiva, dagli sguardi insofferenti che ogni tanto lanciava loro, che l'uomo bianco era frustrato dalla velocità a cui erano costretti a procedere, che sarebbe stata sicuramente più elevata se fossero stati solo loro tre.

 Il gruppo camminava principalmente in silenzio, senza neppure avere fatto le presentazioni di rito. Ad Alice tutto ciò faceva uno strano effetto; le sembrava insolito che né Cora né Duncan tenessero a conoscere i nomi dei loro salvatori, e lei si sentiva troppo intimidita per prendere l'iniziativa. Col passare delle ore, si rese conto che il nome che più desiderava sapere era quello dell'indiano più giovane. Ogni tanto Alice si scopriva a sbirciare nella sua direzione e, dopo essersi assicurata che lui non la stesse guardando a sua volta, lo osservava incuriosita.

 Oltre i bellissimi occhi scuri che Alice aveva già avuto modo di notare, aveva lineamenti regolari e la pelle liscia e ambrata. Ne memorizzò il naso dritto, gli zigomi alti, i capelli lunghi fino alla vita, lisci e nerissimi, trattenuti da una treccina legata con nastri di cuoio; era più alto di lei, di quasi tutta la testa. Indossava indumenti davvero strani - totalmente diversi da quelli opulenti e complicato che gli uomini portavano in Inghilterra - consistenti in una camicia viola, gambali, perizoma di pelle e mocassini ai piedi. Camminava tenendo il fucile stretto tra le mani, cosa che stranamente rassicurò Alice.

 Prima che potesse bloccarlo, un pensiero inatteso attraversò la mente della ragazza. È davvero bellissimo, pensò d'impulso e immediatamente arrossì. Come potevano venirle simili pensieri audaci? Oltretutto nei confronti di un indiano! Si rimproverò mentalmente e s'impose di distogliere lo sguardo dall'uomo. Ma anche voltandosi dall'altra parte, continuava ad essere consapevole della sua presenza alle proprie spalle, come se lo avesse ancora davanti agli occhi.

 Si trovavano a camminare lungo il corso di un fiume, che scendeva sulle rocce dando vita a cascate di varie dimensioni. Era uno spettacolo talmente bello che Alice si fermò ad osservarlo rapita. Fu a malapena consapevole del fatto che subito davanti a lei c'era una sporgenza rocciosa che Cora, con l'aiuto di Duncan, stava già scalando. E non si accorse minimamente che qualcuno la stava osservando con occhi ardenti. Se l'avesse saputo sarebbe arrossita, ma non sarebbe apparsa meno attraente agli occhi del giovane indiano, che, rapito, ammirava in lei l'innocente bellezza e l'animo puro che intuiva dovesse possedere.

 Poi Alice si riscosse, accingendosi a seguire la sorella e, a malincuore, il giovane distolse lo sguardo.

 

 “Guida, vorrei ringraziarvi per il vostro aiuto. Quanto manca al forte?”, chiese Duncan poco dopo, rivolgendosi all'uomo bianco.

 Stavano ancora seguendo il corso del fiume, ma ora Alice, che camminava accanto a Cora subito dietro Duncan, rivolse la sua attenzione sulla conversazione che stava avendo luogo.

 “Una notte e un poco”, rispose l'uomo senza voltarsi.

 “Sembra che li abbiamo seminati”, insistette Duncan.

 “Forse”, ribatté quello in modo pragmatico. “Forse non erano soli. Quell'Hurone che era con voi...”

 “La guida?” lo interruppe l'ufficiale inglese. “E' un Mohawk.”

 “Non è un Mohawk, è un Hurone... che motivo aveva di uccidere la ragazza?”

 Alice si bloccò dalla sorpresa. Di cosa stava parlando quell'uomo? Evidentemente Duncan doveva aver provato lo stesso suo sbalordimento, perché chiese: “Cosa?”

L'uomo si voltò brevemente. “Quella con i capelli scuri”, disse facendo un cenno con la testa verso Cora. Cora? Qualcuno vuole uccidere Cora? Alice era sempre più incredula e seguiva lo scambio di battute con sguardo attento.

 “La Signorina Munro? Ucciderla? Ma era la prima volta che la vedeva! È qui solo da una settimana!”, Duncan appariva quasi scandalizzato.

 “Vendetta di sangue... un rimprovero o un insulto...”

 “Certo che no!”, tagliò corto l'ufficiale inglese. “Come mai eravate così vicini?” aggiunse in tono quasi di accusa.

 Alice si chiese perché Duncan si comportasse a quel modo. Quegli uomini avevano salvato loro la vita senza pretendere nulla in cambio, come poteva accusarli di qualcosa?

 “Ci siamo imbattuti negli Huroni e li abbiamo seguiti.”

 “Siete stati assegnati a Fort William Henry?”

 “No.”

 “Fort Edward allora!”

 “Siamo diretti ad ovest, verso il Can-tuck-ee.”

 “Ma c'è una guerra in atto! Come sarebbe che andate ad ovest?” Duncan stava perdendo la pazienza. Com'era suo solito, stava agendo d'impulso lasciando fluire liberamente la propria rabbia.

 Stavolta l'uomo smise di camminare e si voltò. “Ecco, di solito noi ci mettiamo con il nord di fronte e improvvisamente giriamo a sinistra”, disse con un sorrisetto di scherno.

 “Credevo che tutte le guide coloniali fossero nella milizia. La milizia sta combattendo i francesi a nord”, ribatté Duncan infuriato.

 “Non sono una guida. E di sicuro non apparteniamo alla milizia”, guardò Duncan dritto negli occhi. “E' più chiaro così?”

 E quando disse questo, Alice poté notare due cose: che l'uomo aveva gli occhi azzurri e non grigi, e che era perfettamente in grado di rivaleggiare con Duncan in quanto a testardaggine.

 

 Era tardo pomeriggio del primo giorno di marcia, quando Alice cominciò a rimanere indietro rispetto agli altri. Dietro di lei camminava solo il giovane indiano. La ragazza intuiva che, se lui avesse voluto, avrebbe potuto portarsi in testa al gruppo con grande facilità ma, per qualche motivo, non lo faceva... sembrava che temesse di perderla di vista. Mentre camminavano fianco a fianco senza una parola, Alice divenne consapevole di non conoscere ancora il suo nome, e questo fatto la mise a disagio. Decise di rimediare.

 “Posso... posso chiedere il vostro nome?”, chiese con voce timida, alzando lo sguardo su di lui.

 Lui la ricambiò con un'espressione indecifrabile. “Uncas.”

 “Io sono Alice...”, stava per aggiungere il cognome, ma sentì che simili formalismi non erano necessari in mezzo alla natura selvaggia. Indicando più avanti aggiunse: “Lei è mia sorella Cora, e il nostro amico Duncan.”

 Uncas annuì. Rimase in silenzio qualche minuto prima di dire: “Loro sono mio padre Chingachgook e mio fratello Nathaniel.” Esitò un momento, indeciso se aggiungere il nome indiano di suo fratello, Occhio di Falco, ma poi pensò che ad una ragazza inglese non poteva certo interessare questo particolare.

 “Vostro fratello?”, esclamò Alice sbalordita, prima di riuscire a trattenersi. Arrossì, pentendosi subito di essere stata così diretta.

 Ma Uncas non sembrò farci caso, e annuì di nuovo. “Mio padre lo ha trovato quando aveva uno o due anni. La sua famiglia era stata uccisa e lui lo ha adottato, crescendolo come fosse suo.”

 Alice aveva un'espressione sorpresa; non si era aspettata una simile spiegazione. Cercò con lo sguardo Nathaniel e, sovrappensiero, osservò come gli indumenti indiani – così simili a quelli di Uncas – lo rendessero quasi del tutto simile a un membro di quel popolo. I suoi capelli, neri come quelli del fratello e acconciati alla stessa maniera, erano però mossi, e mancavano di quella finezza e lucentezza che sia quelli di Uncas che quelli del loro padre – Chingachgook, ricordò Alice non senza difficoltà – possedevano. Inconsciamente, Alice toccò i propri capelli, ancora strettamente intrecciati nell'acconciatura che Martha le aveva fatto quella mattina. Cora li aveva simili a quelli di Nathaniel, mossi e scuri, mentre quelli di Alice erano biondi e dritti, e ogni volta per farli arricciare come la moda richiedeva Martha doveva impiegare tutta la sua perizia.

 Improvvisamente Alice si rese conto che tra lei e Uncas era sceso il silenzio. A lui non sembrava importare, anzi sembrava del tutto a suo agio senza bisogno di parole. Ma Alice era stata educata come una signorina della buona società, che doveva sempre essere in grado di sostenere una conversazione brillante in qualunque situazione. Sembrò dimenticare di non trovarsi in un salotto mondano, ma in mezzo ai boschi, e che quello che aveva accanto non era un gentiluomo inglese ma un guerriero indiano. Ma per qualche strana ragione, quell'uomo aveva il potere di mandarla in confusione semplicemente guardandola, e Alice voleva a tutti i costi evitare che accadesse. Perciò cercò disperatamente qualcosa da dire.

 “Volevo ringraziarvi per averci salvato la vita.” A ben pensarci era una cosa che avrebbe dovuto dire già da tempo.

 Lui le scoccò un'occhiata intensa, e di fronte a quell'occhiata Alice si sentì tremare. Come già era successo in precedenza, lo sguardo di lui raggiunse la sua essenza più profonda, sondandola come se potesse leggerle nel cuore. Quando Jonathan Hartley aveva tentato qualche approccio con lei, prendendole la mano per baciarla o facendo un apprezzamento galante sulla sua persona, Alice aveva nascosto i suoi veri sentimenti – indifferenza e, a volte, perfino disgusto – dietro una maschera di cortesia. Ma sentiva che con Uncas questi trucchetti non avrebbero funzionato. Le sembrava che lui le guardasse dentro, riuscendo a vedere la vera Alice.

 Dopo averle rivolto l'accenno di un sorriso, Uncas distolse lo sguardo, continuando a camminare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

   
 
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