Poi qualcosa che galleggiava nell'acqua attirò la sua attenzione.
Non riusciva a focalizzarlo bene, era piuttosto lontano, e in più la vista appannata non lo aiutò per niente.
Sbattè più volte le ciglia, e quando finalmente mise a fuoco la visuale, andò a cercare con lo sguardo l'oggetto che galleggiava. Tuttavia, quando lo vide, non riuscì comunque a identificarlo, era troppo lontano.
Ma si stava avvicinando.
Si alzò dall'erba che era cresciuta lunga e selvaggia per anni.
Si avvicinò, iniziando a sentire il freddo dell'acqua pungergli le caviglie, ora le gambe, poi lo stomaco.
Quando fu abbastanza vicino e l'oggetto pure, lo guardò per qualche secondo prima di riuscire a realizzare cos'era.
Una barca.
Era una dannatissima barca.
Il respiro gli si fermò, accompagnato dai battiti del cuore che si rifiutavano di continuare.
Tutto, in effetti, in lui smise di muoversi.
Era completamente immobile.
Deglutì più volte a vuoto.
Era una barca.
A dire il vero, non era una barca, era quella barca.
La barca dove aveva messo il corpo di Artù.
Iniziò a tirarla lentamente verso di lui.
Poi, quando gli fu davanti, guardò all'interno.

Il piccino, dopo qualche attimo di esitazione, afferrò la mano dell’uomo, lasciandosi trascinare al centro della stanza quadrata, dove la luna spuntava dalla finestrella e illuminava pallidamente una porzione di pavimento.
Arthur lo posizionò proprio li, e lo fissò per alcuni istanti.
Poi spalancò gli occhi e la sua mascella si destreggiò nella caduta libera, mentre il piccolo di accucciava su se stesso, impaurito.
Capelli neri.
Occhi blu.
Pelle diafana.
Ossatura sottile e minuta.
E le orecchie.
Furono proprio quelle a confermare i sospetti di Arthur.
Quel bambino era Merlin.