S&J2
2. I CRY FOR YOU
And this kind of pain, only time takes away
That's why it's harder to let you go
And nothing I can do, without thinking of you
That's why it's harder to let you go
But if there's a pill to help me forget,
God knows I haven't found it yet
But I'm dying to, God I'm trying to
Trying not to love you, only goes so far
Trying not to need you, is tearing me apart
Can't see the silver lining, from down here on the floor
And I just keep on trying, but I don't know what for
'Cause trying not to love you
Only makes me love you more
(Nickelback - Trying Not To Love You)
Fissò il suo nuovissimo passaporto. La foto l'aveva scattata
solo mezz'ora prima, i capelli lunghi ora solo un paio di centimetri
mettevano maggiormente in evidenza i suoi occhi azzurri che tanto erano
piaciuti a Sherlock.
Osservò con orgoglio la scritta nero su bianco Holmes, come se in qualche modo fosse legato a lui.
Come se foste sposati, gli disse la sua voce interna che aveva lo stesso tono facilmente irritabile proprio del consulente investigativo.
Non aveva problemi a dire che aveva amato e amava Sherlock, ma allo
stesso tempo non era nemmeno gay. L'unico uomo per cui aveva provato
un'attrazione fisica che si era sempre ostinato a negare con ogni
particella del suo corpo era Sherlock, solo lui e basta. Se ne era reso
conto sempre di più in quei due anni di inferno, lui amava
Sherlock e una parte di sè lo avrebbe sempre amato. Per questo
era consapevole che non avrebbe mai potuto dimenticarlo, perchè
lentamente come una droga era entrato dentro di lui, e non c'era
più modo di farlo uscire.
Poi fissò l'altro nome, Harry...il diminutivo di Harriet, sua
sorella, per ricordargli sempre chi era davvero e avere ancora un
legame con la sua vecchia vita.
Non c'era nome più azzeccato.
Aveva visto dal Telegraph le immagini del suo funerale e gli dispiacque
solo che in quel momento probabilmente sua sorella, Lestrade e Mrs
Hudson stavano soffrendo per la sua presunta morte.
Ma ormai aveva deciso e non poteva più combiare idea.
Apprese anche dall'articolo di giornale che la sua tomba era stata posta proprio di fianco a quella di Sherlock, -perchè così avrebbero desiderato entrambi- aveva detto Mrs Hudson.
Ah, quella cara donna aveva proprio ragione.
Erano sempre stati loro due, Sherlock e John e John e Sherlock, punto e fine. Ed erano così anche da morti.
*
Era notte ed era riuscito a sgattaiolare fuori dall'enorme villa
supersorvegliata di Mycroft. Si coprì meglio col cappotto e a
passo sicuro entrò nel cimitero. Si guardò attorno con
cura, ma non vide nessuno, e poi finalmente si fermò.
Davanti a lui una lapide identica alla sua, solo che su quella c'era scritto un nome diverso.
"John..." proruppe prima di inginocchiarsi a terra e appoggiare la
fronte sul marmo freddo mentre le lacrime gli inondavano le guance e i
singhiozzi uscivano dalla sua bocca senza che potesse bloccarli. Rimase
lì per non seppe quanto tempo, era addirittura iniziato a
piovere, ma non se ne curò.
John era morto, non riusciva a pensare ad altro.
Si rimise in piedi solo quando realizzò che la pioggia non lo
bagnava più. Mycroft era dietro di lui, con un'espressione
preoccupata e sofferente sul viso, e riparava entrambi col suo
enorme ombrello nero.
Sentì la sua mano sulla spalla e forse per la prima volta
sentì veramente Mycroft vicino e apprezzò sul serio che
lui fosse lì e che non dicesse nulla di banale.
Tirò su col naso e quando si sentì pronto si
allontanò da quella lapide, al suo fianco Mycroft che lo
riparava dalla pioggia e che voleva impedirgli di spezzarsi.
*
L'aereo del governo britannico era appena atterrato nella base militare
inglese a Lashkar Gah. Gli era stato detto che solo il capo del SIS
(Secret Intelligence Service), ovvero John Sawers, e il capo dell'ISAF
in carica sapevano la sua reale identità.
Per tutti gli altri lui era il Capitano John Holmes, medico militare.
La sua nuova vita cominciò non appena poggiò un piede sul
suolo afghano, per lui carico di ricordi di quella che sembrava una
vita fa.
"Capitano Holmes? La stavamo aspettando, sono il Generale Arthur
Richards, il capo della sua base" si presentò subito un uomo sui
cinquanta, capelli neri con qualche striatura grigia, mascella notevole
e un paio di baffetti che gli davano ancora una maggiore aura di
autorità.
"Generale" John fece subito il saluto militare.
"Riposo Holmes. Venga con me, le spiego in cosa consiste la sua
presenza qui" rispose Richards camminando verso una struttura di un
piano solo, il centro della base attorno a cui c'erano nemerose tende
in cui presto anche lui avrebbe dormito assieme agli altri.
*
9 mesi dopo...
281. 281 giorni senza John. A volte gli sembrava veramente di impazzire.
La sua unica ragione di vita era diventata arrestare Moran e farlo a
pezzi. Sapeva che Mycroft era preoccupato per lui, soprattutto su cosa
avrebbe fatto una volta dopo aver arrestato quel bastardo, ma nemmeno
lui ne aveva idea. Probabilmente si sarebbe fatto sopraffare dalla
sofferenza e dall'apatia, perchè se adesso la sua mente lavorava
febbrile per scovare l'assassino di John dopo sarebbe stata in
sovraccarico di lui, del suo John, a cui pensava già comunque
sempre.
Mycroft aprì la porta della sua stanza, il cappotto al braccio. "Sappiamo dov'è".
"Dove?" Sherlock balzò subito in piedi.
"Bucarest, ha intenzione di eliminare un esponente politico di alto spicco..." rispose Mycroft conciso.
"Andiamo a prenderlo" Sherlock lo seguì fuori, negli occhi solo furia omicida.
*
John fissava da diversi minuti il soffitto che consisteva nel tessuto
impermeabile verde della tenda dove alloggiava da svariati mesi.
Aveva stretto amicizia con tutti quelli della sua squadra anche se
l'unica persona a cui aveva parlato di Sherlock era solo il suo
compagno di tenda, un ragazzo di appena 22 anni, decisamente simpatico
e un hacker pazzesco. Sherlock l'avrebbe definito a dir poco geniale
nel campo dell'informatica. Si chiamava Robert Paxton, e conosceva
anche Mycroft Holmes che gli aveva offerto un paio di volte di lavorare
con lui.
Era l'unico a cui aveva parlato di Sherlock, una sera di due mesi prima.
Questo perchè tutte le sere prima di addormentarsi fissava una
foto con uno Sherlock col suo classico ghigno furbo che portava sempre
con sè, nelle tasche della divisa.
E quella volta Robert gli aveva semplicemente chiesto chi fosse, e gli aveva semplicemento risposto "E' Sherlock".
John gli aveva raccontato a grandi linee chi era stato Sherlock
per lui. Il suo migliore amico, il suo confidente e per un anno e mezzo
il suo compagno di vita in mezzo a quel casino criminale a Londra.
Rob era convinto che Sherlock fosse il suo compagno, e John per la
prima volta non aveva smentito la cosa. Considerava Sherlock come il
compagno che aveva perso, e per una volta non trovò strano che
qualcuno li definisse una coppia. In fondo lo erano sempre stati, solo
che lui non aveva mai voluto vedere le cose come erano realmente.
Era quello il rimpianto più grande della sua vita.
Il lieve russare di Rob gli indicò che si era addormentato.
Facendo meno rumore possibile si alzò dalla sua brandina e
uscì fuori nell'aria notturna di Lashkar Gah. Il campo era
silenzioso rispetto alle ore diurne dove c'era sempre un gran viavai di
soldati che ridevano e parlavano, o di feriti nell'ospedale da campo
che urlavano per le ferite subite.
Il compito di John consisteva nel fare da chirurgo nell'ospedale e
anche di andare in missione a sud, al confine col Pakistan e bloccare
qualsiasi incursione da parte dei talebani.
Faceva sia da medico che da cecchino, Patterson aveva ragione quando
diceva che aveva sul serio una buona mira. Questo gli aveva consentito
di salvare uno della loro squadra, il soldato d'assalto appena 25enne
Scott Robins e anche un soldato americano dai colpi dei talebani.
Nel giro di sei mesi era stato promosso al grado di maggiore e tutti al
campo lo stimavano considerandolo un uomo dal forte carisma e di saldi
principi morali.
Senza nemmeno accorgersene era arrivato quasi alla fine del loro campo,
in cima a una collina arida dove l'erba era assente. Faceva fresco, ma
non aveva freddo, nonostante non avesse portato con sè nessuna
giacca.
Si sedette per terra e tirò fuori di nuovo la foto stropicciata
e consunta di Sherlock e sorrise malinconico quando fissò quegli
occhi color ghiaccio. Sentì una lacrima rigargli la guancia e
con il dorso della mano la cancellò.
"Mi manchi Sherlock" mormorò prima di alzare lo sguardo verso il cielo stellato afghano.
Non sapeva che Sherlock, anche se due ore indietro rispetto a lui,
stava facendo lo stessa cosa, guardava il cielo sopra Bucarest
pensando a lui.
ANGOLO AUTRICE
Spero che questo capitolo vi sia paciuto.
Ringrazio soprattutto Yami Hihara, stella13 e carelesslove per aver recensito.
Un bacio
Nikki Potter
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