S&J6
6. FINALMENTE TU
Then I see your face, I know I'm finally yours
I find everything I thought I lost before
You call my name, I come to you in pieces
So you can make me whole
(Red- Pieces)
Era davvero divertito, non pensava che avrebbe mai visto Mycroft in una
jeep in mezzo al deserto, non ricordava nemmeno di averlo mai visto in
un normale taxi...
La jeep era guidata da un soldato e al suo fianco c'era un altro militare col fucile in mano per sicurezza.
"Siamo arrivati, signore" rispose il soldato Hunt frenando davanti a una base militare.
Sherlock portò automaticamente lo sguardo sulla miriade di tende
verdi e il cuore batté più forte alla consapevolezza che
John era lì in mezzo, così vicino.
Seguì Mycroft fuori dall'abitacolo e si guardò per un
attimo attorno. John aveva vissuto lì per un anno per colpa di
un collega idiota di Mycroft. Con il costante rischio di morire.
Strinse una mano a pugno a quel pensiero. Si slacciò il primo bottone della camicia, faceva veramente caldo.
"Tu sta qui, io vado a parlare col Generale Richards" Mycroft gli
rivolse uno strano ghigno prima di voltarsi ed entrare nella struttura
lasciandolo solo.
Stare lì fermo con John a qualche metro...sì certo, non
ci credeva nemmeno Mycroft. Ghignò già pronto per partire
alla caccia di John quando sentì uno sguardo puntato in mezzo
alle scapole e poi quella voce dire il suo nome.
"Sherlock..."
Sentì il cuore saltare un battito mentre si voltava verso la
fonte di quella voce, verso John che lo fissava con gli occhi lucidi e
un'espressione stravolta. Lo osservò con attenzione maniacale,
registrando quante più cose possibili. Notò la linea
sottile e leggermente più chiara della ferita sulla fronte,
l'abbronzatura della sua pelle, i capelli corti come nella foto del
fascicolo top secret e i suoi occhi se possibile di un azzurro ancora
più intenso.
Non l'aveva mai visto vestito da soldato, e stampò bene
quell'immagine inserendola nella stanza del suo mind palace dedicata a
John, una stanza enorme. Aveva indosso i pantaloni della tuta mimetica,
gli stivali alti, una maglietta verde scuro e al collo, bene in vista,
una catena di metallo con la sua piastrina.
Era la cosa più bella che avesse mai visto nella sua intera
vita, giunse a questa conclusione prima di deglutire nel tentativo di
far sparire il magone che aveva in gola. Tentativo miseramente fallito.
Era lui, Sherlock lo fissava con attenzione e con una evidente emozione
negli occhi. Notò che era dimagrito e persino più pallido
di come ricordava lui. Ma i capelli erano rimasti gli stessi, gli occhi
invece erano più umani e al momento ci lesse l'immensa voglia
che aveva Sherlock di abbracciarlo, la stessa che aveva lui.
Ma le sue gambe erano immobili, i piedi di piombo, il suo corpo non voleva collabarare.
Sentì la vista appannarsi per le lacrime trattenute a forza
stringendo le labbra. Ancora non ci poteva credere, era lì
davanti a lui, vivo, e lo stava in pratica radiografando con gli occhi
registrando ogni suo cambiamento.
Lo notò avvicinarsi lentamente fermandosi a pochi centimetri da
lui. Allungando il braccio avrebbe potuto toccarlo, ma aveva
l'inconscia paura che non appena l'avesse fatto Sherlock sarebbe
scomparso di nuovo, come un fantasma.
Notò una lacrima sulla guancia di Sherlock e poi lui
parlò, con la sua voce bassa, dicendo solo una semplice parola.
"John".
All'udire il suo nome pronunciato da quelle labbra non riuscì
più a trattenere i singhiozzi e le lacrime che iniziarono a
scendere copiose. E Sherlock a quel punto abbandonò ogni
esitazione e lo abbracciò forte, piangendo a sua volta.
Finalmente erano di nuovo insieme.
E solo nel momento in cui John affondò il viso nell'incavo della
spalla di Sherlock realizzò appieno che era tutto vero, che lui
era lì sul serio, che non era un miraggio. Alzò le
braccia stringendolo a sua volta, affondando le dita nella schiena di
Sherlock, facendogli anche male probabilmente, ma non gli disse nulla,
nessuna protesta.
"John, calmati...va tutto bene, sono qui...finalmente sono qui..."
Commozione e felicità, ecco cosa percepì nella voce
di Sherlock. Cercò di respirare profondamente per riprendere un
minimo di controllo sullo scombussolamento in atto all'interno del suo
cuore.
Sentì Sherlock scostarsi leggermente, le sue mani sulle guance e
i suoi occhi color ghiaccio sciolto alla ricerca dei suoi.
"Sei vivo".
E a sentire quelle parole gli venne da ridere, perchè era tutto
talmente assurdo. "Io ho pensato per tre anni che tu fossi morto".
"Io per uno e mi è bastato...sono stato veramente male, John..." rispose Sherlock abbassando lo sguardo.
Capì subito a cosa si riferiva. "Ti sei drogato".
"Scusami, lo so di averti deluso...adesso però sono pulito,
completamente...non tocco più nemmeno le sigarette" disse
Sherlock sincero.
John rimase piacevolmente sorpreso. E capì che Sherlock essendo diverso da loro comuni mortali idioti,
era differente da loro anche nelle reazioni emotive in seguito ad
avvenimenti estremi, in quel caso la sua 'morte'...la sua sociopatia
l'aveva portato a trovarsi impreparato di fronte a quel dolore
così intenso che non aveva mai sperimentato, e si era buttato
sulla droga nel tentativo di attenuarlo.
Incredibile come al momento il più scosso dei due fosse proprio
Sherlock, lo sentiva tremare leggermente, lui che aveva sempre il
controllo sulla sua sfera emotiva ma non sul suo corpo, come era
successo a Baskerville.
E fece una cosa del tutto naturale, non si rese nemmeno bene conto al
momento delle implicazioni, ma appoggiò la fronte contro quella
di Sherlock, chiudendo gli occhi e godendosi il calore del respiro
dell'altro sul viso, le punte dei nasi che quasi si sfioravano.
Sherlock rimase spiazzato da quel gesto, ma poi anche lui imitò
il dottore chiudendo le palpebre e lasciandosi andare a quell'
intimità strana e mai avuta con nessun altro. Era piacevole
restare lì così, sentire il calore della pelle abbronzata
di John sulla fronte, sentirlo tra le sue braccia vivo e concreto.
Trattenne un gemito di protesta quando John si staccò fissandolo
con un sorriso. "Allora, mi vuoi dire come diavolo sei sopravvissuto a
quel volo o vuoi che continui a pensare di essere un pazzo e un medico
idiota visto che ho constatato coi miei occhi la tua presunta morte?"
"Come sempre guardi ma non osservi. Non ero io quello sul marciapiede,
e lo scontro col ciclista ti ha reso momentaneamente confuso e insieme
allo shock non hai colto le piccole differenze tra me e lui"
spiegò Sherlock vago.
"Non ci posso credere, quel ciclista l'avevi messo lì tu...e poi
hai chiesto aiuto a Molly per il cadavere" dedusse John. "Wow, prima
non avresti mai fatto una cosa simile, avresti cercato di fare tutto da
solo col tuo supercervello".
"Ho dovuto farlo se volevo poter tornare da te un giorno" rispose Sherlock diretto.
John spalancò leggermente gli occhi a quella rivelazione, la stretta allo stomaco sempre più forte.
E rimasero così, semplicemente a fissarsi per un bel po', fino a
quando la voce di un soldato li riportò alla realtà.
"Holmes e...Holmes, il Generale Richards vuole vedervi entrambi".
"Andiamo subito, Hamilton" rispose John in modo automatico staccando
lentamente gli occhi da quelli di Sherlock e afferrandogli il polso per
condurlo dal suo superiore.
"Perchè Holmes?" domandò Sherlock divertito seguendo John che non gli aveva ancora lasciato il braccio.
John deglutì e optò per la verità. "Per essere in
qualche modo ancora legato a te, per avere un piccolo pezzetto di te
qui con me...lo so, troppo sentimentale, da persone idiote..."
Sherlock lo fissò senza dire nulla, continuando a seguirlo in
quel corridoio, in testa solo quelle parole...sentimentale, certo, ma
c'era altro sotto...l'immenso affetto che John provava per lui e che
era una cosa reciproca, anche se molto spesso si trovava in
difficoltà a dimostrarglielo.
John apprezzò il silenzio di Sherlock, già si sentiva in
imbarazzo per quella che gli era sembrata quasi una dichiarazione,
qualsiasi commento da parte sua non avrebbe fatto altro che farlo stare
peggio. Si fermò davanti alla porta di Richards realizzando in
quel momento di stringere ancora con una mano il polso di Sherlock.
Eppure era refrattario a lasciarlo andare, e lo fece di malavoglia
bussando sulla porta di acciaio.
Non si stupì affatto di trovare Mycroft perfettamente seduto col
suo dannato ombrello in mano. Gli fece un cenno col capo, ricambiato,
prima di sedersi a sua volta davanti alla scrivania del Generale,
subito imitato da Sherlock.
A quanto sembrava Mycroft aveva spiegato tutto a Richards, chi fosse
sul serio, la protezione del governo etc. e a quanto aveva capito vista
la detenzione di Moran lui poteva benissimo tornare all'istante a
Londra e riprendere a essere il dottor John Watson, il paziente
coinquilino di Sherlock Holmes al 221B.
Alla fine del discorso tutti avevano lo sguardo puntato su di lui in
attesa di una sua risposta. Sentiva soprattutto lo sguardo di Sherlock
trafiggerlo, ma sapeva perfettamente che la sua risposta non gli
sarebbe per niente piaciuta.
"Non posso".
Due parole che gelarono Sherlock. Non se lo aspettava minimente,
credeva che John non avrebbe visto l'ora di tornare con lui a Londra,
evidentemente si era fatto un'idea sbagliata...eppure non gli sembrava
che fosse arrabbiato con lui, tutt'altro.
"John?"
John si voltò verso di lui per un secondo prima di fissare sia
Mycroft che Richards. "Scusate, ho bisogno di parlare per qualche
minuto da solo con Sherlock..."
Mycroft, che aveva già colto aria di litigata, non ci mise tanto a
darsela a gambe, seguito dal Generale che intanto gli avrebbe fatto
visitare tutto il campo.
Una volta che la porta si fu chiusa John sospirò, preparandosi
alla reazione di Sherlock che ovviamente non si fece attendere.
"Credevo volessi venire a casa con me".
La cosa che più lo colpì fu la delusione facilmente coglibile dal suo tono di voce.
"Evidentemente non ti sono mancato così tanto".
Ecco che la delusione lasciava il posto alla rabbia. Quando Sherlock
era preda delle sue emozioni diceva davvero delle grandissime cazzate,
come le comuni persone idiote. L'ultima frase ne era un chiaro esempio
lampante.
"Sei un idiota" disse solo.
Sherlock si alzò in piedi, un'espressione astiosa sulla faccia
che lo rendeva veramente orrendo. "A quanto pare non hai sofferto poi
tanto per la mia morte..."
Eh no, poteva accettare tutto ma quello no. Si alzò in piedi
fissandolo con qualcosa bloccato in gola che gli impediva di parlare.
E Sherlock, nonostante non fosse un genio di sentimenti ed empatia, capì dai suoi occhi di avere decisamente esagerato.
Lo notò bloccare il suo avanti indietro e la sua ira scomparire
per essere sostituita da una espressione contrita. "Scusami, non dovevo
dirlo".
"No, infatti" John gli tirò un pugno sullo zigomo facendolo cadere a terra.
Sherlock si portò una mano sulla zona colpita senza dire nulla, se l'era meritato in pieno.
John lo fissò sospirando. "Bene, adesso mi fai parlare? Grazie...io voglio tornare a Londra".
"E allora?" Sherlock era veramente confuso.
"Solo che ci tornerò fra due settimane, quando avrò finito la mia missione" spiegò.
Sherlock lo fissò contrariato, comprendendo finalmente. "Non
puoi per una volta lasciare da parte il tuo senso del dovere?"
John allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi. "Non posso abbandonare i miei compagni, Sherlock".
"Posso sempre restare qui con te, due settimane non sono tante" disse Sherlock.
John scosse il capo sorridendo, aveva previsto le sue parole. "No,
è troppo pericoloso, tu e Mycroft siete due persone troppo in
vista, potrebbero rapirvi i talebani se trapelasse la voce che siete
qui. Non voglio che ti accada niente".
"Nemmeno io, qui è pericoloso John..." protestò Sherlock preoccupato.
"Questo lo so meglio di te, testone, per questo non voglio che resti
qui. Domani prendi il jet con Mycroft e torni a Londra" replicò
John.
"Ma..." iniziò Sherlock.
"E intanto vai a dare una sistemata al 221B e ci rimetti le nostre
cose, così quando torno sarà tutto come prima" lo
interruppe John.
Sherlock mise il broncio. "E va bene".
"Due settimane passano in fretta, Sherlock...se pensi ai tre anni che
abbiamo passato non sono niente" cercò di incoraggiarlo John.
Sherlock annuì, per una volta John aveva pienamente ragione. Veramente tre anni d'inferno.
John si coricò sulla brandina, stanco ma con un enorme sorriso
sulla faccia. Lui e Sherlock erano stati insieme tutti il giorno,
avevano parlato di cosa avevano combinato in quei tre anni lontani e un
paio di volte, anzi più di un paio a dir la verità,
avevano preso in giro l'ombrello di Mycroft. In realtà gli era
grato per essere stato vicino a Sherlock dopo la sua finta dipartita.
Ciò aveva fatto sparire il rancore che aveva nutrito verso di
lui per aver tradito Sherlock con Moriarty. Era sicuro che non avrebbe
mai capito fino in fondo il rapporto tra quei due testoni/geni.
Domani mattina alle nove Sherlock sarebbe tornato a Londra e, se da una
parte non voleva che andasse di nuovo via, dall'altra era sollevato
perchè lì era troppo pericoloso per lui e non sarebbe
riuscito a lavorare con lucidità e tranquillità sapendolo
lì in quella zona di guerra.
Stava per cadere definitivamente nelle braccia di Morfeo quando
sentì la tenda aprirsi seguita da dei passi. Si mise a sedere di
scatto completamente sveglio con la pistola in mano, puntata verso la
figura per nulla visibile a causa del buio.
"Sono io" mormorò Sherlock avvicinandosi maggiormente in modo che potesse vederlo in faccia.
John si rilassò nel riconoscere i suoi lineamenti e
abbassò l'arma. "Mi hai fatto prendere un colpo...che ci fai
qui? Non ti va bene il tuo alloggio extra lusso messo a disposizione da
Richards?"
Sherlock sorrise nel sentire l'ironia di John. "Non ci crederai ma
Mycroft russa impedendo al mio cervello di spegnersi quel tanto per un
sonnellino".
John rise piano per non svegliare Rob, anche se era ben consapevole che
non sarebbe bastata nemmeno una cannonata. Poi si spostò
sull'altro lato mettendosi sul fianco per fargli posto. "Muoviti prima
che cambi idea".
Sherlock non se lo fece ripetere stendendosi di fianco a lui.
John notò che i loro volti, appoggiati sul cuscino, erano
vicini, ma in un certo senso era tranquillizzante averlo lì.
Sherlock incatenò gli occhi a quelli di John e fu come non
respirare in un primo momento, ci lesse talmente tante cose, talmente
tante emozioni da esserne per un momento sopraffatto.
"Ti fa male?" John sfiorò coi polpastrelli il segno rosso sullo zigomo, conseguenza del suo pugno.
"Me lo sono meritato, John" rispose Sherlock senza staccare gli occhi
dai suoi. "Sai, ti ho sentito quel giorno, al cimitero, quando mi hai
chiesto di tornare da te, di non essere morto...non sai quanto è
stato difficile lasciarti andare via, vedere che ti allontanavi senza
poterti fermare..."
John notò Sherlock abbassare lo sguardo, e la tristezza nella
sua voce lo portò a compiere qualcosa che prima non avrebbe mai
osato fare. Si avvicinò a lui con il corpo e lo
abbracciò, senza dire nulla.
Sherlock rialzò lo sguardo incatenandolo al suo, era evidente che non se l'aspettava.
"E' stato lo stesso che ho provato io quando ti ho visto sul
cornicione, essere lì e non poterti fermare...adesso però
è finita, siamo insieme, ok?" John abbozzò un sorriso
ricambiato da Sherlock.
"Adesso dormiamo, è tardi" aggiunse John.
Sherlock annuì sistemandosi meglio nell'abbraccio confortevole e tranquillizzante di John.
ANGOLO AUTRICE
Finalmente
è arrivato il momento della reunion di questi due. Ditemi con un
commento se vi è piaciuto questo capitolo.
Ringrazio Roby22 e herion per la recensione e tutti coloro che hanno aggiunto la ff tra le preferite, seguite e ricordate :)
Un bacio
Nikki Potter
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