Dawn of a new Era di Fluxx (/viewuser.php?uid=42169)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Nova Era ***
Capitolo 3: *** Shattered ***
Capitolo 4: *** Broken Youth ***
Capitolo 5: *** Welcome Back ***
Capitolo 6: *** New Old Life ***
Capitolo 7: *** Surprise! ***
Capitolo 8: *** Bitterness ***
Capitolo 9: *** Juhan Otso Berg ***
Capitolo 10: *** Ancestors ***
Capitolo 11: *** Don't be afraid ***
Capitolo 12: *** Escape ***
Capitolo 13: *** Nightmare ***
Capitolo 14: *** Wake up, Desmond! ***
Capitolo 15: *** Happy New Year! ***
Capitolo 16: *** La ragazza dai capelli rossi ***
Capitolo 17: *** Thinkin About the Future ***
Capitolo 18: *** Illusions ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Dawn
of a new Era
Prologo
Il trio si apprestava a lasciare il tempio, correndo verso l'uscita.
Si sentiva solo lo scalpiccio dei loro passi ed i loro respiri che si
facevano via via più pesanti.
Shaun di tanto in tanto lanciava
uno sguardo dietro di sé per vedere se William stesse al
passo. Era
difficile per tutti, ma lui era il padre. Nessuno aveva la minima
idea di cosa stesse per accadere a Desmond, o meglio, tutti ne
avevano il presentimento... Ma nessuna certezza.
Arrivati alla
ripida salita Rebecca si arrampicò per prima tra il
terriccio e le
rocce. Shaun le diede una spinta con la mano sul fondo schiena per
agevolarla nella salita. Arrivato ormai in cima, l'inglese volse il
capo e notò William lievemente in difficoltà, gli
allungò la mano
afferrando la sua e tirandolo su.
Rebecca si era avviata già
verso il furgoncino per metterlo in moto così da essere
pronti per
partire... Chissà da cosa stavano fuggendo esattamente.
“Io...
Io non posso venire.” Disse trafelato l'uomo, fermandosi
quando
avevano raggiunto il veicolo.
“Ma.. William, che stai dicendo?!”
Domandò Shaun con tono acuto, prima di voltarsi. Era agitato
anche
lui, più di quanto volesse far vedere.
“E' mio figlio. Non
posso.. Abbandonarlo adesso.” Gli occhi cerulei dell'uomo si
abbassarono sul pavimento. Il suo sguardo tremava.
“Ragazzi,
siamo pronti?!” Domandò la mora, sporgendosi dalla
portiera.
“Eccoci!” Rispose prontamente l'inglese, prima di
poggiare una mano sul braccio di William. “Lui non lo
vorrebbe. Ci
ha detto di andare via e... Se la caverà.” Nel
dire quelle ultime
parole gli tremò la voce, strinse appena i denti. Non
incrociò il
suo sguardo, seppur il padre del ragazzo non lo stesse guardando a
sua volta, ma voleva salvaguardarsi dalla remota possibilità che
– se
l'uomo avesse incrociato il suo, di sguardo – avrebbe mentito
guardandolo negli occhi.
“Andiamo, forza.” Disse flebilmente
Shaun, trattenendolo per il braccio per un paio di passi,
dopodiché
lo lasciò ed aprì gli sportelli posteriori del
camioncino salendo
su di esso e – dopo di lui – anche William fece lo
stesso.
Il
tempo di allacciare le cinture, mettere in modo ed i tre videro dagli
specchietti il tempio allontanarsi e – con esso –
anche Desmond
ed ogni speranza di salvare il ragazzo.
'Perdonami, figlio
mio...'
___________________________
Angolo autrice:
Ta-daaan!
Ammazza, nella one-shot mi lamentavo che sono sparita ed ora posto la
seconda storia nello stesso giorno! Wow!
Con la differenza che questa non è una one-shot ma
bensì una long (non troppo long, tranquilli! Non vi
ammorberò per troppo!)
Ho finito un paio d'ore fa ACIII ed è inutile dirvi che ci
sono rimasta una vera M***A!
Insomma, il finale tutto di corsa, tutto raffazzonato così,
non mi è piaciuto per nulla! Insomma, era la morte di
Desmond, cacchio! Mica del primo che passa!
Che poi, secondo voi, è morto sul serio? Magari ha solo
perso i sensi, è svenuto, è in coma, che ne so!
Insomma, potevano metterci un po' di sentimento! Shaun, Rebecca e
William che lo abbandonano così, non uno straccio di
pensiero da parte sua, un flashback, nulla!
Che amarezza!
Tocca solo che aspettare il nuovo Assassin's Creed.
Ed io che speravo che il terzo fosse il capitolo di Desmond,
interamente dedicato a lui. Sigh.
Beh, spero che questo primo capitolo d'introduzione vi incuriosisca un
po', non sarà tragedia, guerra e morte, ma un post finale di
ACIII.
Vediamo un po' cosa ne esce fuori, vi va?! ;D
Alla prossima!
Evelyn
|
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Capitolo 2 *** Nova Era ***
Nova
Era
Era parecchio che
Rebecca guidava senza meta, solo per allontanarsi dal tempio. Non
aveva la minima idea di dove stessero andando.
Shaun, seduto sul
sedile del passeggero, aveva visto il panorama mutare velocemente
fuori dal finestrino. Nessuno aveva proferito parola. Nessuno aveva
osato seppur ciò che si vedeva fuori dal veicolo era uno
spettacolo
piuttosto insolito: il cielo era completamente dipinto da scie
irregolari e mutevoli di un verde intenso, brillante, che danzavano
nel blu della notte.
William, Rebecca e Shaun non ne avevano
idea, perché si trovavano in macchina, ma la terra sotto i
loro
piedi tremava. Lo avevano sentito uscendo dal tempio, ma forse erano
troppo presi ed agitati dalla situazione per notarlo.
Tutti e tre
probabilmente pensavano alla stessa cosa – o meglio
– alla stessa
persona: Desmond. E tutti e tre si ponevano lo stesso interrogativo:
erano realmente salvi? Cosa significava il fatto che aveva liberato
Giunone? Dovevano temere? Dovevano tremare? Troppi interrogativi e
troppe poche risposte, pressoché nessuna.
Gli occhi della mora
saltarono in un istante dalla strada alla spia rossa della riserva
che si accese. Strinse il volante con le mani e tornò a
guardare la
stradina sterrata che stavano percorrendo: sulla sinistra v'era una
lunga ed alta parete rocciosa mentre sulla destra alberi e cespugli,
qualsiasi tipo di flora e – tra le fronde degli arbusti
– si
potevano intravedere gli alti palazzi di New York, in lontananza.
La
ragazza non sopportava quel silenzio così colmo di tensione,
tristezza, rabbia... Di parole non dette e di emozioni non esternate.
Strinse il volante con più forza e finalmente si decise a
rompere quel silenzio che era divenuto opprimente, quasi assordante
per via di tutti i pensieri che le vorticavano per la mente senza poi
trovare una vera e propria via d'uscita, alcuna valvola di
sfogo.
“Siamo in riserva.” Sibilò.
Silenzio.
Rebecca
cercò lo sguardo del maestro Assassino nello specchietto
retrovisore, tutto ciò che vide fu William seduto sul sedile
posteriore, ricurvo in avanti con i gomiti poggiati sulle ginocchia e
le mani fra i capelli. Il viso affondava tra i palmi.
Serrò le
labbra e lo sguardo si spostò nuovamente, con un leggero
movimento
del capo. Guardò Shaun.
L'inglese se ne stava a fissare il
panorama di fuori, sembrava apparentemente assente. In
realtà notò
con la coda dell'occhio che la ragazza lo guardò per un
istante
così, a sua volta, volse il capo verso di lei con uno
sguardo
indecifrabile: sembrava quasi si fosse svegliato in quell'istante da
un lungo sonno, quasi da un coma.
“Come? Hai detto qualcosa?”
Domandò. La voce era piatta, priva di qualsiasi emozione.
A quel
punto Rebecca notò quanto fosse stato sciocco il suo
tentativo di
rompere il silenzio – seppur ci fosse riuscita.
“Ho solo detto
che.. Nulla.” Si morse la lingua e si sentì
stupida, inadeguata ed
inutile. Non c'era modo di alleviare i loro dolori, non c'era modo
per far svanire le loro pene anche se avrebbe voluto farlo con un
semplice schiocco di dita.
In quell'istante le parole di Rebecca
rifiorirono nella mente dell'inglese, il quale percepì
l'informazione che poco tempo prima la compagna aveva riferito ai
due.
“Fermiamoci qui. E' tardi... Siamo tutti stanchi e provati,
forse dovremmo fermarci, aspettare e vedere che cosa succede. Non
farà la differenza se rimaniamo qui o in città se
il mondo dovesse
realmente... Beh.” Si bloccò.
E se il mondo fosse realmente
finito? Non potevano averne la certezza finché...
Finché cosa?
Finché il 21 Dicembre non sarebbe passato? Il suo sguardo
saltò
incerto verso l'orologio del veicolo: erano le sette di sera appena
passate.
Rebecca non osò completare la frase del compagno, si
limitò semplicemente a fare come richiesto espressamente da
lui:
rallentò e sterzò leggermente verso destra,
uscendo dalla stradina
sterrata e fermando il furgoncino nell'erba sotto le fronde di alcuni
alberi i quali, strusciando contro la carrozzeria del veicolo,
provocarono un fastidioso stridio che però, grazie al cielo,
finì
solo qualche istante dopo.
La ragazza girò la chiave nel
quadruccio ed anche il motore si spense, lasciando spazio ad un
silenzio più pesante di quanto già non fosse
prima.
Rimasero
tutti fermi, nessuno proferì parola, fin quando Shaun non si
alzò
dal suo posto e si sedette dietro, di fronte a William.
Appoggiò
come lui i gomiti sulle ginocchia e con una mano gli sfiorò
il
braccio, prima di afferrarlo.
“...” Cosa avrebbe potuto dire?
Qualsiasi cosa alla quale pensava gli sembrava di un cinismo
assoluto.. Così si limitò ad aprire il suo cuore:
per una volta gli
sembrava la cosa più giusta da fare.
“William, io...” Fece
una pausa e deglutì a fatica. Lanciò uno sguardo
alla mora, la
quale sembrava completamente estranea alla discussione ma che
– in
realtà – li stava osservando dallo specchietto
retrovisore.
L'inglese tornò a guardare l'uomo, chiuso in sé
stesso. Non poteva vederne gli occhi, lo sguardo, il viso... Era
stato in silenzio tutto il viaggio quasi fosse diventato
invisibile.
“Mi dispiace.” Asserì qualche attimo
dopo,
stringendogli il braccio. “Lo ha fatto per noi, lo ha fatto
per
salvarci noi tutti e...”
Non fece in tempo a finire la frase
che William alzò il capo di scatto, quasi fulminandolo con
lo
sguardo, “Sì ma chi ha pensato a salvare lui? Chi
ha pensato a
salvare mio figlio?!” Domandò, alzando la voce, in
un acuto misto
di rabbia e disperazione. Nell'istante subito dopo ritirò il
braccio, liberandosi dalla presa dell'inglese. Quest'ultimo si
tirò
appena più indietro, mortificato e interdetto: aveva visto
nei suoi
occhi la delusione di un Maestro il quale non era riuscito a portare
a buon fine il suo lavoro, l'umanità lacerata di un uomo il
quale
era dovuto scappare da uno spettacolo orrendo e – non meno di
tutti
– la disperazione di un padre che aveva appena perso il
proprio
figlio.
“Io non intendevo..”
“Non mi importa cosa
intendevi Shaun! Non mi importa!! Lo capisci?!” Si
accanì contro
l'inglese, prima di allungare un braccio ed aprire gli sportelli
posteriori del furgoncino, uscendo.
William inspirò a pieni
polmoni, riempendoli con l'aria fresca. Si sentiva distrutto, a
pezzi. Non voleva prendersela con Shaun ma non riuscì a fare
diversamente: dopotutto era lui che lo aveva fatto salire sul
camioncino quasi contro voglia, forse covava un po' di risentimento
per quello: per non averlo lasciato andare da suo
figlio.
“Accidenti.” Bofonchiò stizzito
l'inglese, osservando
William allontanarsi.
Rebecca allora si alzò dal sedile di guida
e lo raggiunse nella parte posteriore del veicolo. “Lascialo
andare... Forse ha bisogno di stare un po' da solo.”
“Io non
volevo..”
“Lo so Shaun, lo so.” Lo interruppe Reby
poggiandogli una mano sull'avambraccio, sedendosi di fronte a lui nel
posto prima occupato dal padre del loro – ormai –
defunto
compagno.
L'inglese appoggiò una mano su quella della ragazza,
quasi in una gentile pacca, poi la guardò.
La terra tremò
nuovamente. Rebecca rabbrividì. Strinse la mano del compagno
e cercò
di mantenersi lucida e positiva, per quanto quella situazione potesse
farla rimanere positiva.
“Credi che Desmond...?” Azzardò la
ragazza, senza aver il coraggio di finire la frase.
“Non lo so
Rebecca, io credo.. Non lo so.” Si strinse nelle spalle,
abbassando
lo sguardo sulla sua mano, sopra quella della ragazza.
“Perché
siamo scappati via?” Domandò ancora la moretta,
ormai attanagliata
dai sensi di colpa per aver lasciato il compagno di fronte ad un
destino così buio, incerto e misterioso.
“Perché era così che
doveva andare, perché voleva che andassimo via,
perché era giusto
così.” Rispose l'inglese. Si rese conto di quanto
la sua risposta
fu fuori luogo ma non ci poteva fare nulla, il cinismo era parte di
lui.
“Era.. Giusto così?” Chiese la ragazza,
interdetta.
“Era-giusto-così? Ma ti rendi conto di quello che
dici?! Sei
sempre il solito cinico del cazzo!” Sbraitò la
ragazza, prima di
ritirare la sua mano e di alzarsi, tornando al sedile del
guidatore.
Shaun schiuse appena le labbra, per dire qualcosa e
difendersi, ma quello che uscì fuori dalle sue labbra fu
solo un
flebile sospiro. Non intendeva realmente dire ciò che aveva
detto.
La ragazza non aveva alcuna voglia di sentire ancora la
voce di quel cretino di Shaun, così ritirando una gamba al
petto,
appoggiando il ginocchio contro il volante, allungò una mano
ed
accese la radio.
“Sembra una specie di enorme aurora boreale,
non si è mai visto nulla del genere. I testimoni parlano di
tempeste
elettriche e di strani fenomeni atmosferici..”
Rebecca volse
appena il capo verso Shaun, la quale la guardò e velocemente
si alzò
per raggiungere il sedile del passeggero, accanto a lei, alzando poi
il volume della radio.
“Le autorità invitano a restare in
casa e ad aspettare. I geologi riferiscono di attività
sismiche
nell'intera zona interessata. Nel nord-est del Canada pare che sia in
corso la grandinata più violenta mai registrata..”
Di tanto in
tanto il segnale sfarfallava.
I due compagni si
guardarono.
“Satelliti e trasformatori saltano ora che i
fenomeni sono più intensi. In tutto il mondo ci sono
black-out......” La trasmissione si interruppe
nuovamente,
questa volta per qualche istante, “.. Si sta
calmando. Focolai
di attività sismica e vulcanica sono ancora attivi... Ma
l'intensità
e calata drasticamente. Ovviamente ci vorrà del tempo
perché gli
esperti valutino la gravità dei danni causati dagli eventi
di oggi.
Tuttavia, sembra che il peggio sia passato. Continueremo a tenervi
informati sui nuovi sviluppi.”
I due ragazzi si guardarono.
Questo significava che...?
Shaun vide gli occhi della mora
riempirsi di lacrime e la sua espressione mutò velocemente.
Prima
che potesse dire o fare qualcosa si buttò tra le braccia del
compagno inglese, il quale strinse appena i denti e le portò
le
braccia intorno al corpicino della ragazza, scosso dai singhiozzi. La
strinse contro il suo petto.
“Sta calma... Shh. Sta calma. Va
tutto bene.” Sussurrò prima di spostarsi appena e
scivolare dal
sedile al pavimento del veicolo assieme alla ragazza che ormai si
ritrovava tra le sue gambe, con il viso affondo nel suo petto.
Shaun
allungò una mano e spense la radio, riportando poi il
braccio
intorno al corpo esile di lei. Poggiò le labbra tra i
capelli
dell'Assassina e rimase in silenzio, cercando quantomeno di farle
sentire un po' di calore ed il suo appoggio.
L'inglese doveva
ammettere che inizialmente non aveva preso bene l'aggiunta del
pivellino nella loro squadra, quando Lucy l'aveva portato nel loro
nascondiglio. Si era sempre comportato male con lui in modo
scorbutico e sgarbato... Eppure pian piano aveva cominciato ad
allacciarci un rapporto, lentamente, pian piano, giorno dopo giorno.
Non era stato facile anche perché Shaun non era un tipo
facile, non
provava simpatia per chiunque, era difficile per lui legare con le
persone. Eppure, l'inglese, poteva dire che alla fine tra i due si
era formato un certo rapporto, un certo legame. Non poteva negare che
gli dispiacesse per quel ragazzo, anzi, forse aveva cominciato da un
po' – sempre a modo suo – a volergli bene. Lo
apprezzava: non
tutti avrebbero avuto la forza d'animo che avrebbe avuto lui, molti
altri si sarebbero tirati indietro, non ce l'avrebbero fatta,
sarebbero crollati. Shaun stesso non sapeva come si sarebbe
comportato al posto del novellino.
“Maledizione,
Desmond..”
______________________________
Angolo
autrice:
Hellooo folks!
Ed eccoci qui con il secondo
capitolo.
Qui come potete vedere ho lasciato un po' più spazio
all'introspezione, più che altro a quella di Shaun e un po'
a quella
di Rebecca, la quale comunque si nota che prova un certo disagio.
Per
una bella introspezione di William - mi riferisco soprattutto a La
Strega di Ilse che mi disse a riguardo
nella rece -
(approposito ti ringrazio! :D) bisognerà aspettare tra il
prossimo
capitolo e quello dopo, dunque il terzo ed il quarto.
Ne
varrà la pena, mi piacciono le cose drammatiche a me, e
bisogna
costruirle bene! Eheheh :°D
Ma solo io e lei ci siam rimaste male
per il finale di AC III? E per il povero piccolo Desmy?
ç___ç
Sigh.
Comunque che dolci Shaun e Rebecca u.u *Love is in the air* aahahah
xD
Sciocchezze a parte, ringrazio in anticipo chiunque vorrà
recensire o inserire la storia da qualche parte! (Detto così
pare
brutto! xD)
P.s: ovviamente 'Nova Era' vuol dire 'Nuova era'.. Ma
credo sia ovvio xD
Vabbè, mi dileguo u.u
Vi mando un bacio
e al prossimo capitolo!
Evelyn
|
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Capitolo 3 *** Shattered ***
Shattered
Shaun
e Rebecca quella sera erano rimasti così, stretti l'uno
nell'altro.
Entrambi erano spaventati, amareggiati e addolorati. Non sapevano che
fine avrebbero fatto di lì a poco. Seppur alla radio
dicessero che
il peggio fosse passato, come potevano crederci? Coloro che
avevano visto così tanto e tutto ciò che era
passato di fronte ai
loro occhi sembrava come se il resto del mondo volesse nasconderlo.
Sarebbero stati testimoni di eventi incredibili per il resto della
loro vita, cose che nessuno avrebbe mai creduto di poter vedere, cose
sulle quali non bastava 'dormirci su' per cancellarle o lasciarsele
alle spalle... Ma quello era il loro destino, dopotutto.
Non si
erano più mossi da lì, entrambi sul pavimento tra
i due sedili.
Erano provati dopo l'accaduto e Shaun era rimasto accanto a Rebecca
in quel suo momento di totale sconforto e spavento.
L'inglese
teneva un ginocchio piegato mentre l'altra gamba si allungava andando
a finire tra il sedile del guidatore e i pedali del furgoncino. La
ragazza era rannicchiata tra le sue gambe, sul suo petto.
Le aveva
accarezzato la schiena tutto il tempo per cercare di calmarla mentre
il suo corpo veniva scosso dai violenti singhiozzi.
Una volta che
la mora si fu calmata, nessuno dei due aveva proferito parola. Nel
silenzio del momento, dopo lo sfogo appena avvenuto e per le ultime
notti insonni passate, Rebecca si era addormentata – sfinita
–
tra le braccia dell'Assassino inglese il quale, per paura di
svegliarla, rimase al suo posto senza scomporsi un minimo.
Dopo
lunghi ed interminabili minuti nei quali contemplò il cielo
ricoperto dai fasci brillanti di verde che danzavano e ondeggiavano
nel buio della notte, in silenzio, socchiuse gli occhi ed
appoggiò
il capo contro il sedile dietro di lui, esausto. Gli era dispiaciuto
vedere Rebecca crollare così... Era preoccupato anche per
William
ma, come aveva detto la compagna, forse sarebbe stato meglio
lasciarlo per un po' da solo.
Fu proprio tra questi pensieri che –
lentamente – crollò anche lui in un tiepido
torpore mentre Morfeo
si accingeva ad accoglierlo tra le sue braccia.
William non
appena era sceso dal furgoncino si era allontanato dai due compagni.
Si sentiva debole ed impotente di fronte a ciò che era
accaduto.
Sentiva come se le sue gambe non avessero intenzione di sorreggere il
peso del suo corpo ed il dolore dilaniargli il petto.
Non riusciva
a pensare, a mettere in fila due singoli pensieri. Non avrebbe mai
dovuto abbandonare Desmond lì da solo, perché
diavolo lo aveva
fatto?
La vita del ragazzo era sempre stata dura, complicata. Lui
non c'era mai stato e si era ripromesso, in quei pochi giorni passati
insieme, che non appena tutto sarebbe finito le cose sarebbero
cambiate.
Non aveva mantenuto fede alla sua promessa. Aveva
lasciato che le cose finissero nel peggiore dei modi, aveva lasciato
morire i suoi buoni propositi prima di poter far vedere loro la
luce.
Era stato un codardo, non era degno di essere un padre: non
ne era capace.
Aveva vagato a lungo lì intorno, come uno zombie:
sembrava apparentemente non ragionare, privo di qualsiasi sentimento
ed emozione. Prima non aveva mai creduto che avrebbe preso
così male
la morte di suo figlio.
Ma era realmente morto? Era quello il
problema.
Questo dubbio lo assaliva, lo tormentava da quando
avevano lasciato il tempio: sarebbe morto? Nel suo cuore era ancora
acceso un barlume di speranza eppure temeva il peggio.
Rebecca
aveva guidato per circa due ore, lui ci avrebbe messo parecchio di
più a raggiungere nuovamente il tempio. Non poteva tornare
con il
furgone: probabilmente Shaun e Rebecca non glielo avrebbero permesso.
Bene, ciò significava che sarebbe tornato indietro per conto
suo.
Era passato un po' da quando William aveva deciso di avviarsi
verso l'ormai lontano tempio. Era buio, era Dicembre, ed il freddo
pungente si faceva sentire.
L'Assassino si strinse nel suo
cappotto e cominciò a camminare, passo dopo passo, mettendo
un piede
dopo l'altro.
Cosa avrebbe trovato una volta arrivato lì? Sarebbe
stata una tremenda realtà o magari...?
Furono quei pensieri che,
girando vorticosi nella sua mente, lo spinsero ad accelerare il
passo fin quando non si ritrovò a correre disperato verso
suo
figlio.
I raggi del sole che filtravano dai vetri del veicolo
facevano capolino sul viso fiacco dell'inglese, ravvivando il rosso
dei suoi capelli arruffati. Gli occhiali erano ormai totalmente
storti e scomposti sul suo naso.
Infastidito da quei raggi di
luce che – penetrando tra le fronde degli alberi –
si divertivano
a danzare sul suo volto assumendo forme diverse, disegnando strane
figure, l'inglese strinse gli occhi prima di riaprirli piano. Non
riuscì a mettere subito bene a fuoco, sia per gli occhiali
scomposti
che per gli occhi ancora assonnati.
Si portò il braccio che
giaceva sulla sua gamba davanti al viso, notando che con un braccio
cingeva ancora il corpo della mora. Si sistemò gli occhiali
sul naso
e trattenne uno sbadiglio.
Quando Shaun finalmente si liberò la
visuale dal braccio e portò lo sguardo fuori dal finestrino,
notò
un cielo azzurro, chiaro, limpidissimo, come forse mai era stato
prima di quel giorno.
Inevitabilmente sentì un lieve calore
diffonderglisi nel petto: era il 22 Dicembre 2012. Che il mondo fosse
salvo?
“Becca..?” Sussurrò il ragazzo
portandole una mano
sulla spalla, scuotendola appena.
Rebecca mugolò appena,
portandosi entrambe le mani al viso. Era completamente appoggiata
contro il busto dell'uomo così, quando finalmente
rinsavì, gli
poggiò una mano sul petto per tirarsi indietro.
“Cosa..?
Che..?” Domandò ancora assonnata, portandosi una
mano agli occhi,
stropicciandoseli.
“Credo che sia finita.” Mormorò
l'inglese
prima di offrirle un lieve sorriso.
“Uh..?” Solo in quel
momento il cervello della mora mise in moto e ricollegò
tutto
l'accaduto. Si guardò intorno, come se stesse cercando
qualcuno. In
realtà cercava Desmond con lo sguardo e Shaun
poté leggere la
demoralizzazione nei suoi occhi quando non trovò il ragazzo.
La
seconda cosa che notò, Rebecca, fu che non c'era neppure
William.
“A-aspetta.. Ma dov'è William?”
Domandò prima di
poggiare una mano sulla spalla del ragazzo per fare leva ed alzarsi
in piedi. Sentì i muscoli intorpiditi e le ossa
scricchiolare. Si
portò entrambe le mani nella parte inferiore della schiena
prima di
inarcarla all'indietro e stiracchiarsi.
“Non lo so, non è
tornato.” Rispose lui prima di alzarsi a sua volta.
“Uh?” La
ragazza lanciò uno sguardo verso il cruscotto: l'orologio
analogico
segnavano quasi le nove. “Ma sono passate più di
dodici ore da
quand'è andato via!” Disse, allarmata.
“Forse dovremmo andare
a cercarlo... Ma ho un impellente bisogno di andare al bagno
prima.”
“Muoviti!” Lo canzonò la ragazza prima
di aprire
gli sportelli posteriori del furgoncino e scendere, seguita subito
dopo da Shaun.
Rebecca si allontanò lentamente, guardandosi
intorno e notando – stupita – la giornata magnifica
di fronte ai
suoi occhi. L'inglese nel frattempo se ne approfittò per
avviarsi
tra i cespugli per adempiere ai suoi bisogni fisiologici.
“William!
William!!!” Lo chiamò Rebecca a gran voce, intenta
a farsi sentire
e a cercare l'uomo.
“Becca, potresti abbassare la voce?! Mi
blocchi lo stimolo!” Si lamentò Shaun. La sua voce
gli arrivò da
dietro alcuni cespugli.
La mora scosse il capo e sospirò
pesantemente. “.. William!!”
Non appena Shaun
finì di adempiere ai suoi bisogni
raggiunse Rebecca. “William!!!” Lo
richiamò a gran voce a sua
volta.
I due Assassini si misero alla ricerca del compagno il
quale non dava alcun cenno di voler spuntare fuori. Ad un certo punto
trovarono più fruttuoso dividersi e così fecero:
Rebecca rimase a
cercare nei paraggi, lungo la strada ed oltre la vasta fauna dove
–
non appena superati i fitti cespugli – si estendevano un
enorme
campo di fiori, il quale però non si mostrò come
un'esplosione di
colori quale doveva essere – sia per il rigido inverno che
per i
fenomeni atmosferici appena trascorsi – ma bensì
come un campo
triste e smorto. Non era neppure lì.
Shaun, invece, decise di
arrampicarsi sulla parete rocciosa per vedere – oltre cosa vi
ci
fosse sopra – se l'Assassino fosse lì o se magari
dall'alto e da
quella prospettiva gli sarebbe risultato più semplice
individuarlo.
L'inglese era da un po' che non si cimentava in un
po' di sano parkour o di semplice arrampicata: come più o
meno tutti
gli assassini anche lui si era ritrovato in situazioni che
implicassero l'uso dell'agilità... Purtroppo per lui,
però, il suo
punto di forza era l'intelletto, né l'agilità
né la potenza...
Difatti ci mise almeno dieci minuti ad arrampicarsi fino in cima a
quella parete mentre uno qualsiasi, come Desmond, ci avrebbe
impiegato si e no nemmeno un minuto.
'Chi me l'ha fatto fare..'
Pensò, maledicendosi. No: non era decisamente roba per
lui... Ogni
qual volta si cimentava in situazioni simili gli era sempre
più
chiaro il perché adorava starsene seduto sulla sua bella
sedia,
comodo comodo, a occuparsi delle sue cose, delle sue
mansioni.
Non appena arrivò in cima, tuttavia, poté godere
di vista ampia e vasta. Rimase lì sopra per qualche minuto,
osservando tutta l'area circostante e sembrava davvero che di William
non ce ne fosse neppure l'ombra. Neppure lì sopra.
Sospirò
sonoramente, notando Rebecca vederlo lì ed avvicinarsi
per –
probabilmente – chiedergli aggiornamenti, così
decise di
scendere.
La discesa, però, si dimostrò quasi
più faticosa
della salita.
“Dai che ci sei quasi! Ce la puoi fare!” Disse
Rebecca, quasi ironica.
“Sta zitta! Posso farcela benissimo!
Potrei farlo tutti i giorni!” Rispose Shaun con il suo solito
tono
saccente e di superiorità.
'Non lo farò mai più!' Continuò
a lamentarsi, mentalmente, fin quando – quasi arrivato a
toccare
'terra ferma' – mancò l'appiglio con il piede e
scivolò
rovinosamente con il fondo schiena a terra.
La mora, la quale era
rimasta a guardare tutta la 'grande impresa' del compagno a braccia
conserte, non riuscì a trattenere un risolino che le
sfuggì dalle
labbra.
L'inglese si rialzò piano, avvertendo un lieve dolore.
“Che diavolo hai da ridire!? Può
succedere!” Disse indispettito.
Quant'era permaloso!
“Ad ogni modo qui intorno non c'è, sono
preoccupata..” Rispose la ragazza sorvolando sul ruzzolone
dell'inglese.
“Già, e se fosse tornato al tempio?” Le
domandò
con il tono ancora per un pelo infastidito.
“Pensi che possa
essere tornato lì? Maledizione, dobbiamo andare a
controllare! Non
sappiamo cosa troverà.. Sempre che troverà
qualcosa, potrebbe
essere un duro colpo.”
“Quell'idiota.” Asserì
l'inglese.
“Shaun! E' il padre di Desmond, è normale che
voglia... Che voglia sapere qualcosa di suo figlio.” Ancora
non
sapeva come affrontare l'argomento.
“Forza, andiamo.”
“Aspetta!”
Lo fermò la mora, Shaun si voltò.
“Cosa?”
“E se non fosse andato al tempio e
fosse solo andato a fare un giro? Magari tornerà tra un po'
e non ci
troverà... Forse dovremmo lasciare qui il furgone, almeno
non
penserà che ce ne siamo andati senza di lui.”
“Sì, certo,
così arriviamo domani mattina!” Le rispose lui con
fare saccente.
“Andiamo al tempio, se non c'è torniamo qui...
Forza, ora
muoviti!”
_____________________________________
Angolo autrice:
Ben poco da
aggiungere su questo capitolo...
Voglio semplicemente ringraziare La Strega di Ilse e
Ayrton Senna Forever
per le recensioni lasciatemi :)
Non penso ci sia da aggiungere o spiegare qualcosa di questo capitolo,
forse nei capitoli a venire, invece, sì... Ma scoprirete
tutto!
Rimanete sintonizzati, ne varrà la pena!
Grande sorpresa in arrivo! :D
Baci!
P.s.
Piuttosto volevo chiedervi... Come vi trovate con la lunghezza dei
capitoli? Sono troppo lunghi? Troppo corti? Vorreste durassero di
più o di meno o va bene così?
Per me è importante perché so che magari quando
sono troppo lunghi dopo un po' scocciano!
Ditemi pure!
Evelyn
|
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Capitolo 4 *** Broken Youth ***
Broken
Youth
William
aveva impiegato
tutta la notte e parte della mattinata per raggiungere il tempio a
piedi.
Non aveva pensato di metterci così tanto per arrivare ma
purtroppo il suo corpo era stanco e provato dalle ultime settimane,
dagli eventi accaduti, dalle notti passate insonne per salvare
l'umanità, guadagnandosi però solo la morte di
suo figlio.
Il
suo corpo durante il tragitto gli aveva imposto di fermarsi varie
volte, il più delle quali l'Assassino aveva stretto i denti
e aveva
continuato a camminare.
Quando le prime luci dell'alba avevano
cominciato a rischiarare il paesaggio, William cominciò a
rendersi
conto veramente di quanto tempo avesse impiegato per tornare
indietro.
Finalmente, quando ormai il sole era sorto da un po',
l'Assassino poté scorgere l'entrata del tempio ma,
ciò che vide,
non gli piacque per nulla: di fronte ad essa era parcheggiato un
furgoncino dell'Abstergo Industries recante il medesimo logo sulla
fiancata laterale. Era inconfondibile.
Subito tutti i suoi nervi
si contrassero, il cervello cominciò a mandare migliaia di
impulsi
lungo tutto il corpo ed il cuore a pompare il sangue più
velocemente. Prese un gran respiro e così, furtivo, si
diresse verso
l'entrata.
Passando vicino al veicolo si rese conto che dentro era
vuoto, così proseguì. Scivolò
lentamente lungo la discesa
iniziale, notando che qualcuno vi aveva posto delle rampe per
facilitarne la salita. Una volta giù si guardò
intorno: non
sembrava esserci nessuno, non almeno nei paraggi. Le scale che
portavano all'entrata della 'stanza proibita' del tempio gli
rendevano difficile vedere chi e cosa ci fosse lì e se
Desmond fosse
effettivamente ancora laggiù.
Proprio quando mosse un passo per
avvicinarsi e scoprire quale fosse stata la sorte di suo figlio
notò
– dalla sua pessima visuale – due teste fare
capolino dalle
scale, avvicinarsi e scoprire anche le spalle ed il resto dei loro
corpi: indossavano entrambi una tuta bianca, sembravano far parte di
qualche unità speciale.
Cosa diavolo ci facevano lì due agenti
Abstergo di chissà quale divisione?
William si nascose dietro il
piano che fino al giorno prima ospitava una delle fonti di energia,
si sporse e continuò ad osservare i loschi individui
avanzare verso
la sua direzione, diretti verso l'uscita. Notò che stavano
trascinando qualcosa.
“Fa attenzione.” Disse uno dei due
all'altro mentre nel trascinare quella cosa – ancora ignota
– giù
per le scale faceva particolare attenzione a non farla sbattere
troppo violentemente contro i vari gradini.
Solo quando il divario
si accorciò, i metri diminuirono e i due si ritrovarono ad
una
distanza moderata da William, quest'ultimo poté realizzare
che
quello che i due uomini stavano trascinando fuori dal tempio aveva
tutta l'idea di essere uno di quei sacchi dove si trasportano i
morti, i cadaveri.
L'uomo sentì un tuffo al cuore: non poteva
attendere oltre, non poteva frenarsi, doveva assolutamente scoprire
cosa c'era lì dentro e se i suoi presentimenti fossero
fondati...
Sperava così tanto di sbagliarsi.
Probabilmente sarebbe stato un
suicidio, le sue condizioni fisiche non erano le migliori per un
combattimento corpo a corpo... Ma questa volta non aveva più
alcuna
importanza.
Proprio quando i due agenti Abstergo superarono il
suo nascondiglio, William uscì allo scoperto:
afferrò l'uomo più
vicino tra la collottola ed il cappuccio calato sul volto e senza
farsi alcuno scrupolo, con tutta la forza che aveva in corpo, lo
strattonò obbligandolo a fargli lasciare la sacca, la quale
cadde a
terra e provocò un tonfo sordo.
L'Assassino gli portò un piede
davanti le gambe per fargli perdere l'equilibrio e
dopodiché, con
entrambe le mani, gli spinse il capo contro l'angolo del piano
roccioso. Il rumore che il cranio dell'uomo fece a contatto con la
dura roccia fu secco e orribile, tanto da far accapponare la pelle al
suo compagno.
Messo fuori gioco il primo, William si voltò subito
verso il secondo il quale gli teneva la pistola puntata contro: fu un
riflesso incondizionato che gli fece afferrare con entrambe le mani
il polso dell'uomo, deviandone così la traiettoria. Si
sentì un
boato, uno sparo. Tuttavia il proiettile andò a vuoto,
schizzando
fuori dalla canna con violenza inaudita per poi disperdersi e
frantumarsi contro le pareti del tempio. Dopo quel momento di stasi
–
in cui i due uomini si guardarono negli occhi come una vittima ed un
carnefice, ai quali il destino non aveva ancora però
assegnato i
ruoli – William trattenne il polso dell'uomo e gli
sferrò un
calcio alto sulle costole prima che questi potesse reagire in
qualsiasi modo. Si sentì un rumore di ossa rompersi e il
gemito
strozzato di dolore del nemico che si piegò su di un lato.
Fu in
quel momento che l'Assassino gli afferrò il capo con
entrambe le
mani e lo spinse giù, proiettandolo contro la ginocchiata
che gli
sferrò in pieno viso.
Il colpo fu davvero così forte che oltre
ad avergli probabilmente rotto il naso, visto il sangue che ne usciva
fuori, l'uomo cadde a terra tramortito.
William si ritrovò con il
respiro più corto per via dell'agitazione e per lo sforzo
compiuto
ma sentì di non potersi fermare adesso a riprendere fiato,
voleva
assolutamente sapere che cosa si nascondesse dentro quella sacca.
Così, senza indugiare ulteriormente, l'Assassino mosse i
passi
verso l'oggetto: era di un bianco sporco e recava il logo
dell'Abstergo Industries. Nella parte superiore aveva delle prese
d'aria coperte con della stoffa nera a retina.
Si inginocchiò
accanto ad essa e raggiunse la cerniera argentata, afferrandola tra
l'indice ed il pollice, dopodiché la tirò
giù lentamente. In quei
pochi istanti sentì il cuore battere più forte
mentre il tempo
sembrava essersi fermato. Quando arrivò ad aprirla nemmeno a
metà,
le estremità si aprirono lasciando intravedere il volto di
Desmond
pallido, sbattuto. Gli occhi erano chiusi mentre le labbra appena
dischiuse.
L'uomo, che fino a quel momento aveva sentito il cuore
battere all'impazzata, gli sembrò come d'improvviso
fermarsi. Sentì
una fitta, il dolore scavarlo a fondo nel petto e la vista
appannarglisi per via delle lacrime che sopraggiunsero solo qualche
istante dopo.
L'uomo strinse i denti per tentare di ricacciarle
dentro. Non ebbe il coraggio di aprire ulteriormente la sacca...
Ormai era finita e lui aveva perso.
Provò uno sconforto terribile
che mai aveva pensato ti poter provare per Desmond. La cosa che
più
gli faceva male era che suo figlio aveva rischiato la sua vita e
quella dell'intera umanità per andarlo a salvare
dall'Abstergo
mentre lui, suo padre, non era stato in grado di proteggerlo.
Il
fatto che Desmond fosse andato in Italia solo per salvarlo invece che
per proseguire la missione – che era slittata in secondo
piano –
era una pugnalata. Fu proprio quello il momento in cui le cose
cambiarono radicalmente ed in cui William capì che, finita
tutta
quella faccenda, sarebbero stati una famiglia... Ma quella famiglia
era ormai spezzata.
Reduce dalle poche ore di sonno, vittima della
stanchezza, del dolore e delle emozioni che provava una dietro
l'altra, sentì le guance rigate dalle lacrime e
provò una sincera e
profonda vergogna seppur si trovasse lì da solo.
“Mi dispiace
Desmond... Mi dispiace tanto.” Gli uscì dalle
labbra tremolanti,
in un sussurro.
L'uomo non aggiunse più null'altro. Rimase con le
ginocchia poggiate contro la dura roccia ed il capo basso, gli occhi
chiusi. Stette lì per un tempo indefinito mentre tutto
sembrava
essersi fermato. Si era arreso ed era talmente scosso che –
sentendo dei passi alle sue spalle – non reagì,
rimase lì fermo
immobile, sentendoli lontani, percependoli forse appena, forse per
nulla.
Solo qualche istante dopo sentì una forte percossa contro
la sua schiena mentre una scarica elettrica gli percorse il corpo.
Tutti i muscoli si tesero e la schiena si inarcò
innaturalmente
mentre dai denti stretti e digrignati uscì un grido di
dolore.
Quando quella terribile sensazione fu finita, William
ricadde privo di forze a terra, su di un lato. La vista gli
risultò
appannata ed il respiro era più pesante. La visuale venne
occupata
poi da un altro agente Abstergo, in tuta come gli altri due e dal
viso coperto. Probabilmente era lo stesso che lo aveva colpito stando
al randello che teneva nella mano destra.
“Il bastardo ha fatto
fuori uno dei nostri uomini.” Lo sentì dire mentre
gli poggiò il
piede sulla spalla, spintonandolo per farlo mettere
supino.
L'Assassino non si oppose, era stanco e stremato, senza
forze. Socchiuse gli occhi come se si fosse arreso, in attesa della
sua esecuzione.
“Porta il Soggetto 17 nel furgone.”
Ordinò a
qualcuno che – in quel momento – l'Assassino non
poteva
vedere.
Furono quelle parole a far rinsavire William il quale
sbarrò gli occhi.
“No! NO! Che cosa volete ancora da lui?!”
Tuonò, cercando in quel momento di alzarsi ma tutto quello
che ne
ricavò fu un'altra brutale randellata, ma questa volta
contro il
capo, seguita da un'altra nuova e forte scarica elettrica. Il colpo
fu talmente violento che William perse i sensi, sbattendo il capo
contro la dura roccia.
“Che cosa ce ne facciamo di lui? Lo
portiamo con noi?” Domandò l'uomo al compagno,
prima di perquisire
il corpo privo di sensi dell'uomo.
“No.” Rispose secco
l'altro. “Il capo ha dato ordini ben specifici: vuole il
Soggetto
17. Quell'Assassino potrebbe essere un portatore di rogne... E stando
al colpo che gli hai dato, probabilmente neppure si
rialzerà.”
L'uomo
annuì, poggiò le mani sulle ginocchia facendo
leva su di esse per
alzarsi. “E' pulito.” Asserì
avvicinandosi al compagno. Richiuse
la sacca con dentro Desmond e poi, insieme, lo trascinarono fino al
furgone, caricandocelo sopra e chiudendo i portelloni
posteriori.
Proprio quando misero in moto notarono dallo
specchietto retrovisore un furgoncino bianco provenire dalla parte
opposta. Il guidatore spinse il piede sull'acceleratore alzando un
polverone e sparendo qualche istante dopo.
“Ma non era un
furgone dell'Abstergo?” Domandò Rebecca allarmata,
sporgendosi per
cercare di scorgere qualcosa oltre quella fitta coltre di polvere che
le ruote del veicolo di fronte a loro avevano alzato poco prima.
“Ho
un brutto presentimento.” Rispose Shaun fermandosi di fronte
il
tempio. Entrambi uscirono velocemente per dirigersi all'entrata,
scivolarono lungo la discesa facendo attenzione a non ruzzolare
giù
e – quando finalmente arrivarono ai piedi di essa –
poterono
vedere il corpo di tre uomini a terra, di cui, uno di essi, era di
William.
“.. Cazzo..!” Bofonchiò Shaun notando il
sangue
sparso sul pavimento.
Il primo pensiero di entrambi fu che l'uomo
fosse morto. Non appena lo raggiunsero, però, furono
sollevati nel
vedere che ancora respirava.
“William!” Rebecca si inginocchiò
accanto a lui, così come fece poi Shaun. Un rivolo di sangue
gli
scendeva lungo la tempia.
L'inglese lo afferrò per le spalle
tirandolo su mentre la mora gli teneva il capo.
“William?
William ci sei? Mi senti?” Domandò l'inglese,
osservando alcuni
movimenti degli occhi sotto le palpebre abbassate.
“Sta
riprendendo conoscenza.” Riferì alla compagna
guardandola un
istante, prima di tornare con l'attenzione su di lui.
L'uomo
riaprì lentamente gli occhi, il suo sguardo
risultò confuso e
smarrito. Sentì le voci dei due compagni ovattate e ne
vedeva i
volti sfocati. Gli ci volle un po' per rendersi conto nuovamente di
dove si trovasse e di cosa fosse accaduto.
“.. Mi senti?
Rispondimi.” Continuò a tempestarlo di domande
Shaun, aiutandolo a
sedersi.
“Vuoi chiudere quella bocca un attimo?! Dagli il tempo
di riprendersi!” Lo rimproverò la mora, poggiando
una mano sulla
spalla di Will.
L'Assassino alzò una mano come per dire che tutto
era sotto controllo. “Sto... Sto bene.”
Mormorò portandosi una
mano sulla fronte. Aveva un mal di testa tremendo, gli pulsavano le
tempie.
“Cos'è accaduto?” Riprese a domandare
l'inglese,
guadagnandosi un'occhiata ammonitrice di Rebecca.
“Hanno...
Hanno portato via Desmond. Quei bastardi.” Mormorò
con voce piatta
e senza alcuna particolare intonazione. Non traspariva alcuna
emozione.
“Cosa? Desmond?? E' vivo?” Domandò la
ragazza,
sembrando illuminarsi.
“Non.. Non credo. Lo portavano dentro uno
di quei teli di plastica..”
“Ma l'hai visto? Era lì dentro?
Era morto, ne sei sicuro?!” Chiese Shaun.
“Basta! Basta,
smettetela con tutte queste domande! Lasciatemi stare!”
Sbraitò
prima di alzarsi – non senza difficoltà
– ed allontanarsi quasi
barcollando.
Rebecca e Shaun si scambiarono uno sguardo, prima che
la mora abbassasse gli occhi sul pavimento.
L'Assassino si era
allontanato dai due, aveva raggiunto gli scalini sui quali poi si
sedette. Che cosa voleva l'Abstergo ancora da Desmond?
Abbassò il
capo, portandosi le mani tra i capelli, sentendo gli occhi bruciare
nuovamente per via delle lacrime, solamente che questa volta non era
da solo.
“Never
thought
This day would come so soon
We had no time to say
goodbye
How can the world just carry on?
I feel so lost when
you are not at my side
But there's nothing but silence now
Around
the one I loved
Is this our farewell?“
***
La
donna stava scrivendo alcune cose su una cartellina. I capelli erano
raccolti sulla nuca mentre altri ciuffetti biondi le ricadevano al
lato della fronte. Il camice bianco le calzava a pennello ma faceva
risultare la sua pelle più pallida e smorta di quanto
già non
fosse.
La porta si aprì e l'uomo fece il suo ingresso nella sala
ben illuminata dalla luce che entrava dalle ampie vetrate. Aveva i
capelli corti e biondi, gli occhi azzurri e portava un pizzetto ben
curato. Gli abiti erano informali, quasi civili. A vederlo
così
nessuno avrebbe mai sospettato del suo alto rango.
“Stanno per
arrivare con il Soggetto 17. Non sembra sia stabile. Ho bisogno della
vostra massima concentrazione per rimetterlo a nuovo, ci serve
ancora.”
La donna aveva alzato lo sguardo non appena l'individuo
era entrato. Non appena sentì quelle parole lo stomaco le si
strinse
in una morsa: presto sarebbe stato lì.
L'uomo notò lo sguardo
quasi assente della donna così le si avvicinò e
le poggiò una mano
sulla spalla, stringendola. Il suo sguardo – da duro che era
–
cambiò e risultò quasi tenero.
“Pensi di potercela fare? Se
non te la senti posso affidare l'incarico a qualcun altro. So che non
ti sei ripresa ancora del tutto ma ci penserò io a farti
rimettere
in sesto, presto sarà tutto solamente un brutto
ricordo.”
Lei
lo osservò per qualche istante. Era chiaro ormai che avesse
un
debole per lei. Non una cotta, ma un debole per lei come
lavoratrice... O almeno così credeva.
“Non si preoccupi, posso
cavarmela, non c'è alcun problema, ho tutto sotto controllo.
E'
tutto pronto.” Gli rispose riacquistando fiducia.
L'uomo annuì,
“D'accordo. Ti ho affidato un'equipe di specialisti, puoi
sempre
fare affidamento su di loro. E' importante, mi raccomando.”
Disse
prima di voltarsi e raggiungere nuovamente l'uscita.
Quando si
ritrovò di fronte la porta, prima di varcarla, si
fermò e volse il
capo verso di lei.
“Mi fido di te, Lucy.”
__________________________________
Angolo
autrice:
Ta-ta-ta-taaaaan!
Si ringrazia la special
guest: LUCY!!! Yeeee! *applausi*
Ebbene sì u.u
Vabbè, non vi
dico nulla, poi scoprirete il tutto più avanti.
Volevo diiirvi un
paio di cossssse!
1° - Questa è un'immagine che è stata
rilasciata da AC Initiates che mi ha stimolato alla scrittura del
capitolo
(tanto per farvi comprendere l'aria che si respirava,
ecco qui:
http://24.media.tumblr.com/b85e089fa9f1d9f8232f31824f276b3b/tumblr_mhk80qMHUE1qf0ppeo1_500.jpg)
2°
- L'uomo che compare alla fine del capitolo (immagine sempre presa da
AC Initiates) è costui!
(http://images2.wikia.nocookie.net/__cb20121125163447/assassinscreed/images/5/5a/ACI_Familyman.jpg)
E'
finlandese come mmmmeee! *_____*
Ehmm ehmm.. E poi nulla,
volevo scusarmi se la storia è partita un po' a rilento ma
volevo
fare una bella introspezione dei vari personaggi, ora
comincerà ad
assumere un tono un po' più concitato, diciamo - e
più interessante
per chi non prova molta simpatia per Shaun, Rebecca o William!
Volevo
anche chiedere venia perché con le scene di lotta non sono
proprio
un asso, quindi spero di non avervi delusi!
Quì è tutto,
spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosito a
proseguire!
Una recensione è sempre graditissimissimissima! Sono
per la campagna pro-recensioni io! :°D
Ringrazio soprattutto La
Strega di Ilse e Ayrton
Senna Forever che
pazientemente mi seguono e recensiscono ad ogni chappy! <3
Al
prossimo capitolo!
Evelyn
|
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Capitolo 5 *** Welcome Back ***
Welcome Back
Rebecca e Shaun erano tornati
sul furgone. Erano seduti
sui sedili posteriori l'uno di fronte all'altro in attesa che William
sbollisse la rabbia e tornasse da loro.
“Che cosa se ne fa
l'Abstergo di un cadavere?” Chiese dopo qualche istante
l'inglese,
completamente assorto nei suoi pensieri. Teneva i gomiti sulle
ginocchia ed il mento appoggiato sulle mani.
“No, dico...”
Riprese, “Razionalmente parlando: che cosa può
farsene di un
morto? E siamo sicuri che sia morto?” A quel punto rivolse
un'occhiata verso la mora.
Rebecca se ne stava con le spalle
appoggiate contro la parete del veicolo, a gambe accavallate. Si
strinse nelle spalle. “Cosa vuoi che ne sappia, Shaun? Ne so
quanto
te.”
“Non ti puzza la faccenda? Voglio dire..” Si
alzò.
“Non sappiamo se realmente Desmond sia morto, William stesso
ha
detto che non lo sa, non si sarà neppure curato di
controllargli il
battito. Lo hai visto come stava, no?” Si affacciò
al finestrino
per vedere se William stesse facendo ritorno ma tutto ciò
che vide
fu l'entrata del tempio circondata da semplice e pura desolazione.
“Non lo so Shaun! Non abbiamo idea neppure di dove lo abbiano
portato!”
“Dai, Rebecca! Sicuramente in Italia!” La
guardò
lui, prima di sedersi sul sedile del guidatore ma in modo che potesse
guardarla.
“E cosa vorresti fare? Tornare all'Abstergo per
vedere se lo tengono lì? E seppur lo tenessero lì
ma Desmond fosse
semplicemente morto? Entri lì e dici che sei venuto a
riscuotere il
cadavere per fargli un funerale?” Domandò quasi
con sarcasmo,
rendendosi conto di essersi comportata proprio come di solito faceva
l'inglese. Difatti, l'uomo, arricciò il naso e la
guardò storto.
Era ovvio: lui poteva trattare male chiunque ma gli altri non
potevano fare lo stesso con lui.
In realtà Rebecca era solo
preoccupata: preoccupata per Desmond, per William, per il destino
dell'umanità... Cosa intendeva dire Giunone? Quale sarebbe
stata la
sua vendetta?
“Però forse hai ragione.. Dovremmo andare per lo
meno ad assicurarci che Desmond sia realmente... Morto. Se
così non
fosse non possiamo abbandonarlo al suo destino e nelle mani
dell'Abstergo oltretutto.”
“Finalmente riacquisti un po' di
lucidità. Pensi di poterci far salire sul primo volo
utile?” Le
domandò l'inglese alzandosi nuovamente.
“Penso di sì..”
Rispose lei stringendosi nelle spalle e prendendo il computer
portatile.
“Io penso a recuperare William.” Disse passandole
di fronte e facendo per scendere dagli sportelli posteriori.
Rebecca
allungò un braccio, afferrandolo per il polso.
“Shaun!”
L'uomo
si fermò non appena sentì la mano della ragazza
trattenerlo. Volse
il capo e la guardò negli occhi. “..
Cosa?”
“Non
infondergli false speranze.”
Stridii
di aquila graffiavano il cielo ricoperto di nuvoloni grigi e
minacciosi di pioggia.
Sentiva un gran caos intorno a lui, voci e
rumori, alcuni anche familiari... Ma non poteva muoversi: la sua
visuale era fissa sul cielo scuro.
Una sensazione di inquietudine
cominciò a farsi strada in lui, udiva grida, schiamazzi,
richieste
d'aiuto e lui era lì, impossibilitato a fare qualunque cosa.
“Non
mollare.” Nella sua visuale comparve Ezio, il quale si
chinò su di
lui, alla sua destra.
Qualche istante dopo un uomo incappucciato
occupò un'altra porzione della sua visuale, sulla sinistra.
Ad una
più attenta visione riuscì a scorgere sotto il
cappuccio
Altair.
“Forza Assassino, alzati e lotta. Non vorrai arrenderti
così?”
E poi sopraggiunse anche Connor. “Abbiamo bisogno di
te.”
Che cosa stava succedendo? Dove si trovava? Non riusciva a
capirci nulla e le idee gli si confusero ancora di più
quando, ai
suoi piedi, vide sé stesso.
“Desmond. Desmond, forza, tirati
su. Sei un Assassino, combatti.” Udì le parole
uscire dalle labbra
dell'uomo che sembrava essere proprio lui, la sua perfetta copia. Via
via, però, le loro parole risultarono più confuse
mentre le
immagini cominciarono a sbiadire ed appannasi finché tutto
divenne
buio.
“Desmond!”
Il ragazzo sbarrò gli occhi.
Era sdraiato supino,
sopra di sé poteva vedere una sottile lastra di vetro liscia
e
trasparente. Oltre di essa tutto ciò che riusciva a scorgere
era un
soffitto alto e spoglio, bianco, ornato da alcuni tubi grigi. In
realtà sembrava fossero i tubi grigi ad essere ornati da
qualche
macchia bianca, qui e là, del soffitto.
Una sensazione di
tranquillità e calma lo pervase. Era stordito e –
proprio così
come si era svegliato – ricadde in un tiepido torpore.
“Dottoressa Stillman!” Un uomo fece ingresso
nella sala relax, “Dottoressa Stillman! Il Soggetto 17 si
è
svegliato!” Le riferì, trafelato. Doveva essersi
precipitato lì
all'istante.
La donna stava sorseggiando tranquillamente un caffé
dal bicchiere di plastica, di fronte la macchinetta. Non appena
udì
quelle parole si voltò.
“Si è svegliato?” Chiese conferma,
muovendo un passo verso l'uomo. Dopo un primo momento di esitazione
buttò il bicchierino – ancora mezzo pieno
– nel cestino e si
avviò a grandi passi verso l'uscita.
Non appena varcò la soglia
e cominciò a percorrere il corridoio che la divideva dalla
stanza di
Desmond, sentì il cuore cominciare a battere più
forte. Non l'aveva
ancora visto da quando l'avevano portato dentro, si era limitata
soltanto a dare le disposizioni riguardo ciò che avrebbero
dovuto
farne.
Si rese conto che i passi, dapprima veloci ma moderati, si
erano trasformati in una lenta corsa verso la sala dove si trovava il
ragazzo. Quando la raggiunse, una volta lì davanti, si
fermò.
Inspirò e tentò di riacquistare
lucidità. Non appena i battiti
tornarono nella media la donna fece il suo ingresso.
La stanza
era simile a quella dell'Animus, lì all'Abstergo. Cambiava
ben poco:
era ampia, spaziosa e ben illuminata. Al posto dell'Animus,
però,
v'era un lettino simile ma con i bordi più alti e ricoperti
da una
lastra di vetro dove, per l'appunto, si trovava Desmond.
“Si è
svegliato?” Domandò la bionda, avanzando
lentamente verso il
lettino. Camminava con passo lento ma deciso, cercando di non
tradirsi e di non far trasparire le emozioni contrastanti che provava
in quel momento.
“Sì, ma abbiamo aumentato la dose di sedativi
ed è crollato di nuovo.” Rispose uno dei due
uomini in
sala.
“Perché?!” Chiese contrariata.
“Non è ancora
stabile, signorina Stillman. I suoi impulsi celebrali sono
irregolari: deboli ma di tanto in tanto raggiungono picchi elevati.
Non sappiamo cosa gli è accaduto, potrebbe aver riportato
qualche
trauma, per ora è meglio andarci cauti.”
Lucy continuò a
camminare mentre ascoltava le spiegazioni dello specialista e
–
finalmente – arrivò fino a quella sottospecie di
teca nella quale
il ragazzo si trovava.
Desmond era lì dentro: era completamente
nudo ed attaccato ad alcuni macchinari. La sua pelle, una volta
ambrata, ora era pallida e spenta, così come il suo viso:
era
sbattuto e smorto.
Gli occhi del ragazzo, così profondi e
penetranti, sembravano quasi serrati mentre le labbra erano schiuse e
si potevano intravedere i denti.
La donna sentì un lieve calore
diffonderlesi nel petto ricordando i momenti passati assieme al
ragazzo. Era quasi una pugnalata al cuore e – di certo
– vederlo
ora in quelle condizioni non la faceva rimanere del tutto
indifferente.
Il suo sguardo venne poi rapito dalla mano destra
del ragazzo e parte dell'avambraccio i quali sembravano quasi
necrotizzati.
Inspirò a fondo e dopodiché prese la cartellina
di
Desmond, appuntandovi alcune cose. Sentì il bisogno di
allontanarsi
o sarebbe finita ad osservarlo per ore... Così
girò i tacchi ed
andò a sedersi alla scrivania. Accavallò le gambe
e si mise in
attesa che il ragazzo si svegliasse nuovamente.
Rebecca si era messa subito
all'opera per trovare un
posto sul primo volo utile per l'Italia. Come aveva sospettato,
però,
di voli ce n'erano davvero pochi, probabilmente a causa di tutti gli
eventi atmosferici avvenuti negli ultimi giorni.
Tuttavia la mora
riuscì a prenotare tre posti su un volo diretto a Milano.
I tre
si misero subito in marcia: Shaun era riuscito a recuperare William,
aveva ragionato con lui facendogli capire che sembrava un po' strano
che l'Abstergo si fosse incaricata di recuperare un cadavere per
chissà quale motivo. Ad ogni modo, finalmente, l'uomo
sembrava aver
riacquistato la fermezza e lucidità di sempre, tornando ad
essere il
mentore di una volta.
Quando gli Assassini toccarono la terra
ferma era ormai il ventitré Dicembre e la minaccia
riguardante la
fine del mondo sembrava ormai un incubo lontano. Ciononostante le
'stranezze' atmosferiche non erano del tutto scomparse: ancora si
avvertivano dei terremoti in varie zone della terra, così
come
alcuni vulcani non sembravano essersi del tutto assopiti. Anche le
tempeste magnetiche non rendevano le cose più semplici.
Non
appena il trio uscì dall'aeroporto si diressero a prendere
un taxi.
Prima di partire avevano contattato degli Assassini italiani che si
erano offerti di dar asilo ai loro compagni. Dovevano assolutamente
rimettersi in sesto, non potevano di certo partire all'avventura in
quel modo... Così, una volta saliti sul taxi, si diressero
in
periferia passando per il cuore di Milano. Era ancora buio, era
mattino presto, neppure le quattro, ed il paesaggio che mutava
velocemente fuori dai finestrini aveva un qualcosa di magico.
Lucy aveva passato tutta la
notte nella sala dove
tenevano Desmond. Quando le prime luci dell'alba cominciarono a
filtrare attraverso le grandi vetrate e a rischiarare la stanza, il
viso della biondina, la quale si era addormentata a braccia conserte
sul tavolo, venne illuminato anch'esso.
Vidic era morto e non la
tormentava più. Il nuovo capo dell'Abstergo invece sembrava
nutrire
un debole per lei e la cosa, a livello inconscio, le faceva prendere
il tutto più alla leggera.
Fu il rumore del computer – che
segnalava un e-mail in entrata – a far svegliare la ragazza:
riaprì
piano gli occhi scoprendo le sue iridi azzurre e limpide simili ad un
cielo primaverile. Si portò le mani al viso – per
riprendersi
qualche istante – e dopodiché si alzò
per raggiungere il letto
dove giaceva il ragazzo. Doveva ammettere che vederlo così,
nudo, le
faceva un po' strano.
Scosse il capo per scacciar via quei
pensieri, afferrò la cartellina di Desmond per appuntarvi
qualcosa e
dopo averla riposta decise di andarsi a prendere un caffè,
così si
diresse fuori.
Fu proprio quando la porta si chiuse alle spalle
della bionda che il ragazzo cominciò a riprendere coscienza:
gli
occhi si muovevano appena sotto le palpebre chiuse le quali, dopo
poco, si spalancarono all'istante mostrando i suoi occhi color
nocciola.
L'Assassino vide sopra di sé nuovamente il soffitto
pieno di tubature aggrovigliate tra di loro che sembravano disegnare
un labirinto. Questa volta, però, si rese conto di essere
sveglio e
cosciente.
'Ma dove...?' Pensò, cercando di tirarsi
su: le
braccia e le gambe erano assicurate al lettino – tra l'altro
scomodo – e tutto quello che riusci ad alzare fu la testa.
Lanciò
uno sguardo al suo corpo, fino ai piedi, scoprendo così di
essere
completamente nudo.
'Ma che diavolo...? Dove sono finito?'
Si chiese tra sé e sé. Volse il capo a destra e
poi a sinistra ma
purtroppo la sua visuale era ostacolata dalle pareti laterali del
lettino. Tutto ciò che riusciva a vedere era il soffitto
sopra di
sé, ben illuminato, oltre il vetro.
Notò anche, poco dopo, di
avere alcuni elettrodi attaccati al corpo e collegati a loro volta a
chissà quali macchine.
In pochi istanti, tutta quella situazione,
gli fece crescere una certa ansia nel petto. Si sentì
impotente di
fare qualsiasi cosa, dimenticato, come se fosse stato sepolto
vivo.
“Aiuto?!” Chiamò,
“Aiuto!!!” Tentò nuovamente
mentre cercava di liberarsi i polsi ma, tuttavia, senza alcun
successo. Si accorse soprattutto – dopo qualche istante
– di come
la mano destra e parte dell'avambraccio sembrassero prive di
sensibilità e – a tratti – gli dolessero.
Fece un grande
respiro e cercò di calmarsi. Appoggiò il capo
contro il lettino e
cominciò a guardarsi intorno studiando un modo per potersi
liberare.
Lucy, che si era presa il suo bel caffè mattutino ed aveva
scambiato due parole con un collega, era già di ritorno.
Non
appena Desmond sentì il rumore di una porta aprirsi e dei
passi,
probabilmente di una donna visto il riecheggiare dei tacchi nella
sala, chiuse gli occhi e rimase fermo, immobile.
La donna riprese
la sua cartellina e – una volta postasi accanto al lettino
–
cominciò ad appuntare alcune cose.
Fu allora che Desmond,
sottecchi, aprì un occhio: non appena vide il volto della
biondina
lo stomaco gli si strinse in una morsa. Una catena di ricordi, uno
dopo l'altro, gli riaffiorarono nella mente e dentro di sé
sentì
emozioni e sensazioni contrastanti farsi strada. Non capiva come
ciò
fosse possibile e nonostante fosse quasi contento di rivederla
–
anche se cercava di reprimere quel sentimento – da una parte
non
poteva che nutrire un grande sconforto, se non rabbia, nei suoi
confronti.
Ma stava sognando? Era in paradiso...? Gli ci volle
solo qualche istante per scartare quest'ultimo pensiero: casomai si
trovava all'inferno. Dubitava che in paradiso l'avrebbero legato
così, come un salame.
Solo qualche attimo più tardi Lucy abbassò
lo sguardo sul ragazzo notando che – finalmente –
si era
svegliato. Non appena incrociò i suoi occhi così
intensi, scuri e
profondi sentì un tuffo al cuore. Fu una sensazione che non
sarebbe
neppure riuscita a spiegare. Desmond la osservava, silenzioso,
confuso... Poteva quasi leggere nei suoi occhi tutti i suoi dubbi e
le sue paure.
“Sto... Sognando? Sono morto?” Domandò
allora
il ragazzo. Non ricordava nulla dopo aver toccato la sfera, solo le
forze venirgli a mancare, quasi fosse stato svuotato di ogni
energia.
La voce di lui le risultava ovattata oltre il vetro che
li separava. Sentì un groppone in gola, schiuse appena le
labbra ma
rimase in silenzio ancora qualche istante prima di rispondere.
“No... No, Desmond. Non sei morto.” E –
nel pronunciare
quelle parole – Lucy provò quasi una punta di
felicità. Era
sollevata che il ragazzo fosse ancora nel mondo dei vivi.
“E tu
non sei... Morta?” Domandò, pieno di stupore e
meraviglia. Che
cosa stava accadendo?
La ragazza scosse il capo. In quel momento
gli ritornò alla mente il momento in cui Desmond l'aveva
pugnalata.
“Fammi uscire di qui, Lucy, che cosa sta succedendo?
Dove siamo?”
“Non posso, mi dispiace.” Si limitò a
dire
lei spostando – a fatica – lo sguardo nuovamente
sulla
cartellina. Mantenere il contatto visivo con quell'Assassino sarebbe
potuto essere deleterio nonché doloroso.
A quel punto il ragazzo
ebbe un brutto presentimento: erano all'Abstergo? Riprese a forzare i
polsi, cercando di liberarsi, ricordandosi solo in quell'istante di
essere nudo davanti la donna. Di certo – ora – non
poteva proprio
dire di sentirsi a suo agio.
“Lucy, avanti, fammi uscire!” Si
lamentò.
“No, Desmond. Non posso.. Non costringermi a
sedarti.” Le risultò alquanto complicato mantenere
quella dura
corazza. Fosse stato per lei lo avrebbe liberato seduta stante,
eppure... Qualcosa la frenava.
L'Assassino si sentì pervaso da
una collera irrefrenabile. “So tutto! So tutto di te e dei
Templari
Lucy! Perché?! Mi stai tenendo qui per loro conto? E' per
questo?
Noi ci fidavamo di te! IO mi fidavo di te! Questo non significa
nulla?! Non te ne importa nulla?!” Sbraitò il
ragazzo, alzando la
voce, sicuro di farsi sentire oltre il vetro, continuando a
dimenarsi.
Quelle parole la colpirono come una pugnalata in pieno
petto. Le importava... E tanto. Significava molto per lei che il
ragazzo si fidasse di lei, ma sapeva anche che da quel momento in poi
non sarebbe accaduto, mai più.
Strinse i denti e lo guardò.
Faticò ad incrociare il suo sguardo difatti
indugiò sulle sue
labbra.
“Mi dispiace Desmond.” Fu tutto quello che
riuscì a
dire prima di posare la cartellina e girare i tacchi, dirigendosi
all'uscita a denti stretti. Sentì le lacrime sopraggiungere
solo
qualche istante dopo ed annebbiarle la vista. Quel ragazzo le faceva
male, era capace di toccare delle corde della sua anima come nessuno
era mai riuscito a fare prima... E probabilmente mai nessuno sarebbe
riuscito a fare dopo di lui.
Desmond serrò la mandibola,
scoprendosi con il respiro accelerato per la rabbia appena accumulata
e poi sfogata. Si calmò e strinse i pugni con forza,
appoggiando
nuovamente il capo contro il lettino. Non poteva ancora crederci: era
vivo. Lucy era viva... Solo in quel momento il suo pensiero
volò
verso suo padre, Rebecca e Shaun. Sperava fossero sani e salvi.
L'incubo non era finito.
___________________________________
Angolo Autrice:
Yeee!!!
Finalmente sono riuscita a postare il quinto capitolo! :))
Beh, non penso ci siano particolari delucidazioni da fare, creeedo! Se
avete qualsiasi domanda chiedete pure!
OVVIAMENTE non potevo lasciar morire Desmond, chi mi segui dagli
albori, da 'After the Death' sa bene che ADORO il personaggio di
Desmond...
Sigh. E l'Ubisoft me lo fa morire. LI ODIOOO!!! > <
Ad ooogni modo! Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, lo
spero vivamente, davvero! A me piace scrivere, lo faccio per me
innanzitutto, ma poi quando c'è qualcuno che apprezza il tuo
lavoro, ti riempie davvero il cuore.. E quindi spero davvero vi piaccia
la mia storia, non perfetta, ma scritta con tutto quello che possiedo
:))
Ringrazio Eldunari_
per la recensioncina lasciatami nell'ultimo capitolo, grazie, grazie,
grazie mille! :))
Credo sia tutto eeee... Ah! Se c'è qualcuno di voi che ha
giocato Deus Ex
lo invito a passare qui!
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1647562&i=1
E' una storiella che ho scritto io, spero vi piaccia! ;D
Dunque passo e chiudo, al prossimo capitolo!!! :)
Evelyn
|
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Capitolo 6 *** New Old Life ***
New Old Life
Shaun, Rebecca e William erano
stati accolti in maniera
davvero esemplare dai loro compagni, probabilmente anche
perché il
mentore era con loro.
Il 'covo' si trovava in periferia, quasi in
campagna. Era situato in un vecchio casolare dove abitava una coppia
ed altri tre compagni. In tutto v'erano due femmine e tre maschi.
Erano tutti bene o male Assassini esperti e anche essi, a loro volta,
spesso coordinavano le missioni degli adepti italiani,
mantenendosi in contatto poi oltreoceano. Per Shaun erano tutti non
più che conoscenti mentre invece William e Rebecca con un
paio di
loro avevano stretto un bel rapporto.
Non appena arrivarono
spiegarono ai compagni la loro situazione e questi ultimi
insistettero per farli riposare. Dopotutto era stato un periodo pieno
di impegni e stress ed i ragazzi erano al limite della
sopportazione.
Così fecero, dunque: ad ognuno fu assegnata una
camera e non uscirono da queste fino al pomeriggio. Avevano bisogno
davvero di rilassarsi e staccare la spina e decisero che il giorno
dopo si sarebbero messi al lavoro. Gli ci voleva anche un po' di
tempo per escogitare un piano ed infiltrarsi all'Abstergo anche se,
in realtà, la mora aveva già ideato qualcosa.
Era sera quando i
tre scesero nella grande sala da pranzo. Il casolare era molto antico
ed interamente costruito in mattoni, quasi dava la sensazione ai
ragazzi di rivivere i ricordi di uno dei loro antenati per l'aria
rustica ed atavica che si respirava lì dentro. Tutt'intorno
l'edificio si estendeva un enorme terreno che in primavera
sprigionava tutta la sua magia fatta di fiori, colori e profumi.
Tuttavia quello che poteva offrire in quel momento dell'anno,
però,
era un campo di erbacce bruciate dal gelo invernale.
A cena erano
presenti solo tre degli Assassini che abitavano in quella casa:
Demetrio, Giuseppe ed Alice. Il tavolo era ben imbandito e
finalmente, dopo tanto tempo, i tre Assassini stranieri fecero una
cena degna di essere chiamata tale.
Shaun aveva mangiato
parecchio, quasi sembrava non mangiasse da anni. Quando nel piatto al
centro del tavolo rimase l'ultima coscia di pollo, che con il suo
profumo intenso ed aromatizzato aveva riempito la stanza, Rebecca
cortesemente chiese se qualcun altro la volesse. L'inglese non attese
un istante di più e – piantata la forchetta nella
tenera carne –
la portò nel suo piatto.
“Shaun! Sei un maleducato!” Lo
riprese la mora mentre lo osservava addentare quell'ultimo pezzo che
aveva sperato di potersi accaparrare.
Gli altri a tavola risero,
fatta eccezione per William.
“Se vuoi puoi prendere la mia.”
Le offrì Demetrio con un sorriso, guardandola.
Shaun alzò gli
occhi dalla coscia di pollo che si stava assaporando avidamente e con
gusto. Guardò il ragazzo di fronte a lui, poi la compagna.
Rebecca e
Demetrio si conoscevano da parecchio tempo e non appena si erano
rivisti, dopo tanto, l'inglese non aveva potuto fare a meno di notare
una certa sintonia tra i due e – a dire la verità
– lo aveva un
po' infastidito... Ora si offriva persino di fare il cavaliere e
cederle parte della sua cena. Li aveva visti quegli sguardi languidi,
non era mica sciocco. Che nervi.
“Ma no!” S'intromise a quel
punto, prima che Rebecca potesse rispondere. La mora gli rivolse
un'occhiata di sbieco. “Poi ingrassi, già la tua
forma non è
delle migliori.” Concluse malignamente l'inglese, quasi
l'avesse
presa sul personale. Se la sarebbe dovuta prendere con il ragazzo
italiano, non con lei.
La mora schiuse le labbra e lo fulminò con
lo sguardo. “Sei davvero un cafone!”
Giuseppe, Sara e
Demetrio risero ancora.
“Eppure io ti trovo in gran forma, sei
splendida e raggiante.” La adulò il ragazzo
italiano, incrociando
lo sguardo di lei con i suoi occhi verdi cangianti. Tuttavia era un
bel ragazzo, alto e ben piazzato. Portava i capelli non troppo corti,
castani. Aveva un bel un viso armonioso ed uno sguardo sincero.
La
mora lo osservò per qualche istante mentre un sorriso
lievemente
imbarazzato le illuminò il volto e le sue goti si dipinsero
di
rosso.
L'inglese divenne inquieto. Lasciò ricadere l'osso sul
piatto e cominciò a muovere la gamba nervosamente sotto al
tavolo:
stavano flirtando!
Mandò giù il boccone di carne e
dopodiché
prese il bicchiere con del vino rosso dentro e se lo scolò
tutto
d'un sorso, osservando silenziosamente l'italiano il quale sorrideva
come un imbecille – a suo dire – alla ragazza... E
poi
quell'accento che storpiava, secondo lui, il suo inglese
già
stentato. Santo cielo, che nervi!
Dopo cena William si era
ritirato subito in camera, aveva davvero una brutta cera. Rebecca gli
disse che dopo sarebbe passata da lui per esporgli quanto aveva
ideato per il giorno dopo.
L'inglese e la mora rimasero a tavola
per un po' a chiacchierare con gli altri Assassini fin quando, bene o
male, non si ritirarono tutti: chi in camera, chi a lavorare e chi a
rilassarsi.
Rebecca era uscita fuori dal casolare, indossava un
paio di jeans e degli anfibi mentre sopra un semplice maglione bianco
pesante. Sì maledì per non aver preso una giacca:
lì fuori si
gelava!
Quel posto era abbastanza lontano dal centro e le stelle
si potevano vedere bene ad occhio nudo visto che l'inquinamento
luminoso era molto minore. Anche la luna era davvero splendida,
quella notte. Lì intorno era tutto buio, solo la luce delle
stelle
e della luna rischiaravano un pochino il paesaggio là dove
le luci
della casa non arrivavano.
L'inglese aveva visto Rebecca uscire e
così, non molto dopo, la raggiunse. Non appena mise piede
fuori la
vide di spalle con il naso all'insù, rivolto verso la volta
celeste.
Si avvicinò.
“Ehi..” Disse, quasi a bassa voce, come se non
volesse spezzare quel silenzio.
La mora lo vide con la coda
dell'occhio e tuttavia continuò a guardare su.
“Non è
meraviglioso?” Domandò al compagno.
Lui continuò ad
osservarla. Gli faceva quasi strano vederla in abiti così
'civili'.
“Sì.” Rispose, ma probabilmente neppure
ci stava pensando alle
stelle, non si riferiva ad esse.
Il volto della mora era
rischiarato dai raggi lunari che rendevano le sue forme ancor
più
morbide e dolci. Solo qualche istante dopo lei lo guardò,
incrociando le braccia e stringendosi in esse.
L'inglese notò che
tremava e così, senza pensarci un attimo, si tolse la giacca
e
gliela mise sulle spalle, sorridendole.
“Non sarà meglio che
entri dentro? Ti prenderà un malanno qui fuori. Fa
freddo.” Le
disse.
“E' che.. Da quando è successo tutto quello che
è
successo non abbiamo avuto un momento per... Ammirare tutto questo.
E' assurdo che tutto sia tornato alla normalità.”
“Non direi:
non per essere pessimista ma Giunone..”
“Shaun ti prego.” Lo
interruppe lei con espressione corrucciata. “Lo so che questa
non è
la normalità... Ma ho bisogno di credere per un istante, uno
soltanto, che tutto vada bene.” Ammise.
L'uomo poté così
notare che quella dura corazza che di solito Rebecca portava alla
perfezione e che le calzava a pennello non si era ancora riparata del
tutto. Come avrebbe potuto spiegarle che in realtà tutto
andava
bene? Che lui non avrebbe permesso che qualcosa o qualcuno le facesse
del male? Non poteva... Probabilmente perché nemmeno lui,
ancora,
era a piena conoscenza dei suoi sentimenti.
“Sì, forse hai
ragione..” Disse semplicemente, prima di schiarirsi la voce,
“Piuttosto... Ti piace l'italiano, eh?!” Si mise a
braccia
conserte, volgendo lo sguardo altrove per non incrociare gli occhi di
lei.
“Cos-.. Eh?!” Rebecca alzò le
sopracciglia, poi rise
appena. “Ma cosa dici?”
“Su, dai! Stavate palesemente
flirtando!” Le fece notare l'inglese.
“Ma io non stavo facendo
proprio nulla!” Rispose, continuando a ridere.
“Sì beh.. E' un
bel ragazzo, è affascinante, a modo, con dei principi e dei
valori... Lo conosco da una vita, diciamo che la nostra chance la
abbiamo avuta.”
“Cosa?!” Chiese lui con un tono di voce che
tradì la sua apparente indifferenza, volgendo il capo verso
di lei.
Si schiarì la voce. “Cioè, voglio
dire.. Siete stati insieme?”
Domandò accigliato. Quel dannato di un Don Giovanni
italiano!
Rebecca si strinse nelle spalle, “Diciamo che c'è
stato del tenero, perché sei così sorpreso e
curioso?”
Sorrise.
“Mah, semplicemente perché non pensavo che una
donna
come te potesse... Rimediare uomini.” Fece il vago e
supponente,
stringendosi nelle spalle.
“Rimediare... Uomini?” Il sorriso
scomparve dalle labbra della donna che si schiusero dando al volto
un'espressione di irritazione: era sempre il solito.
“Sì,
insomma..” Fece spallucce. “Non pensavo, wow..
Brava!”
“Non
ci si crede, sei davvero un...!”
“Ehi, ragazzi!” La mora non
fece in tempo a finire la sua frase che arrivò Demetrio.
“Incantevole serata eh?” Più che una
domanda era un'affermazione
e – nel farla – appoggiò una mano sulla
spalla dell'inglese il
quale spostò lo sguardo sull'italiano, riluttante. In un
impercettibile movimento delle spalle, come se si stesse sgranchendo,
con non-chalance, si liberò dalla mano dell'uomo il quale
sembrò
neppure accorgersi del suo astio.
“Sì, lo era, prima che Shaun
non cominciasse a straparlare!” Rispose la ragazza,
infastidita.
“Io me ne vado a letto.” Concluse,
“Buonanotte.” E così,
prima di avviarsi, si voltò verso Demetrio e gli si
avvicinò con un
sorriso, baciandolo sulla guancia.
Il ragazzo sorrise a sua volta
e la osservò avviarsi verso l'entrata e – una
volta sparita dietro
la porta – tornò a guardare l'inglese.
“Ti piace, eh?!” Gli
domandò tranquillamente, sorridendogli.
“C-cosa? Che? Ma sei
matto? Quella? Ma ti prego, fammi il favore!” E di certo non
sarebbe andato a rivelarlo a lui che provava dei sentimenti verso
Rebecca.
“Dai, si vede lontano un miglio!”
“Lo sai? Aveva
proprio ragione Rebecca: era un'incantevole serata, prima! Prima che
TU iniziassi a straparlare! E' meglio che me ne vada a dormire,
domani abbiamo una missione da portare a termine, noi.”
“Wow..
Sei sempre così tu?” Gli chiese l'italiano,
visibilmente divertito
e per niente turbato dal comportamento di Shaun.
“Sì, sempre!
Non crederti che con te abbia un atteggiamento diverso: non ti
calcolo proprio!” Rispose prima di girare i tacchi ed
avviarsi
verso il casolare, sentendo alle sue spalle l'italiano ridere.
Era
mattino. Shaun, Rebecca, William e Demetrio si trovavano in un
furgoncino a pochi isolati dall'Abstergo.
Avevano appena fermato
il veicolo. Demetrio era seduto dietro con il mentore.
“Non ho
ancora capito perché lui è dovuto venire con
noi.” Si lamentò
l'inglese, riferendosi all'italiano.
“E' meglio essere
previdenti se qualcosa dovesse andare storto.” Rispose
William.
Rebecca si alzò ed andò a sedersi dietro assieme
ai
due. “Shaun, vieni qui.” Lo richiamò.
Praticamente Shaun e
Demetrio erano gli unici a non sapere del piano, poco male per
l'italiano visto che non aveva alcuna parte attiva: il perno di tutto
era l'inglese.
“Allora, che cosa si fa ragazzi? Qual è il
piano?” Domandò quest'ultimo, sedendosi accanto a
William, di
fronte a Rebecca e Demetrio.
“Il piano è questo: Shaun, tu
entrerai spacciandoti per uno scienziato dell'Abstergo, io ti
darò
supporto da qui insieme a William. Ti devi solo accertare che Desmond
si trovi qui e che sia vivo... Se qualcosa dovesse andare
storto..”
“Io ci finisco secco! Ma che bella idea, Rebecca! E
poi perché io?!” La interruppe l'inglese con fare
lamentoso.
“Perché io ti darò supporto da qui e ti
aprirò la
strada in caso dovesse essercene bisogno, William è il capo
degli
Assassini, non pensi che potrebbero riconoscerlo? Diciamo che tu sei
quello che passerebbe più inosservato, sei un tipo comune,
puoi
confonderti bene tra le persone... Non hai un qualcosa che ti
contraddistingue insomma.”
L'italiano sorrise sotto i baffi
vedendo l'espressione di Shaun. “Se è un problema
posso andarci
io.” Si offrì, alche l'inglese gli
lanciò un'occhiataccia.
“No,
andrà Shaun.” S'intromise a quel punto William,
“Senza
discussioni. Sa muoversi e può cavarsela... E saprebbe
riconoscere
Desmond.”
“Sì ma che succederebbe se gli agenti mi dovesser riconoscere? E
poi io non parlo italiano!” Domandò ancora lui,
ora con minor
arroganza visto che si rivolgeva al mentore.
“Non preoccuparti
Shaun, in caso qualcosa dovesse andare storto verremo in tuo
soccorso. Non importa la lingua, l'Abstergo ha molti scienziati
stranieri, non devi preoccuparti di questo. Non tutti parlano
italiano.” Lo rassicurò William.
L'inglese sospirò
rumorosamente ed attese qualche istante prima di annuire.
“D'accordo... Va bene.”
Rebecca prese una valigetta e la aprì.
“Ecco qui: ci sono un auricolare con cui ci terremo in
contatto, un
camice ed un tesserino di riconoscimento di un dipendente Abstergo al
quale abbiamo sostituito la foto con la tua.” Il tesserino
recava
il nome di un certo Steve Anderson.
“E dove lo avete preso? E se
riconoscono che è un falso?” Replicò
lui.
“Non è un falso,
non siamo degli sprovveduti: ieri Francesca e Ivan non erano con noi
per cena perché si sono appropriati di queste
cose.”
“Mh..”
Tuttavia Shaun non sembrò convinto.
“Forza, non abbiamo tempo
da perdere.” Disse William.
“Va bene, va bene!” Rispose
l'inglese infilandosi l'auricolare. Si mise il camice ed
attaccò il
tesserino al taschino.
“Wow, sembri nato per fare lo
scienziato!” Ironizzò Rebecca.
“Ha-ha, divertente!” Rispose
lui con aria tutt'altro che divertita, prima di scendere dal
furgone.
“Parlami mentre ti avvii, così vediamo se funziona
l'auricolare come dovrebbe.”
L'inglese si allontanò, camminando
verso la struttura imponente che era l'Abstergo. “Prova,
prova,
Rebecca, mi senti? Appena finita la missione sta tranquilla che te la
farò pagare!”
“Sì, si sente forte e chiaro Shaun.
Vedrai
che andrà tutto bene, mantieni la calma e non
agitarti.”
Era
più facile a dirsi che a farsi. Era passato parecchio tempo
da
quando la mora lo aveva salvato dai templari, ma non erano bei
ricordi.. Ogni passo che faceva verso la struttura sentiva il cuore
pompare il sangue più forte. Non era fatto per quel tipo di
cose,
lui era uno storico, al massimo uno stratega, non un soldato!
Salì
le scale che portavano all'entrata principale sentendo i piedi farsi
sempre più pesanti. Non appena varcò le grandi
vetrate e si ritrovò
nell'immenso atrio si guardò intorno: c'era molta gente,
scienziati
ed agenti. Cavoli...
“Sono dentro.” Riferì ai compagni.
_________________________________
Angolo
autrice:
Bonjour mesdames et messieurs!
Come
va? Tutto bene? Evviva, sono contenta! :°D (Viva i monologhi!
Sto
diventando pazza!)
Ad ogni modo... Non
mi sono fatta attendere molto nel postare il sesto capitolo, anche
perché come vedete è solo un capitolo tranquillo
e di 'intermezzo',
se così vogliamo chiamarlo.
Devo dirvi
la verità? Io mi sono divertita parecchio a scriverlo,
immaginandomi
le scene, Shaun che odia l'italiano per un pelino di gelosia provata
verso la moretta... Tuttavia ancora non se ne rende conto.
E
sì, se qualcuno di voi mi segue da più tempo,
l'italiano si chiama
Demetrio, proprio come il fratello di Shila (nella fic 'Shila,
l'Assassina').
Boh, è un nome che mi
piace...
Li trovo adorabili Shaun e
Rebecca, piuttosto.. E povero inglese, lo tuffo sempre in queste
situazioni strambe (come scalare pareti di roccia e infiltrarsi
all'Abstergo fingendosi uno scienziato... Ve lo assicuro: vuole
ribellarci ed uccidermi!)
Ad ogni modo
spero che seppur 'leggero', vi sia piaciuto e vi abbia fatto - magari
- anche sorridere.
Devo ammettere che
sono abbastanza avanti con la scrittura dei prossimi capitoli..
Tuttavia alcuni non mi convincono a pieno... Vedremo un po'!
Dunque
vi lascio e - come dice la carissima Strega di Ilse - non siate
timidi, lasciate pure una recensioncina e fate felice un'autrice!
:P
Ah... E ovviamente ringrazio come al
solito la già citata Strega di Ilse ed Eldunari_ per le
recensioni
lasciatemi nell'ultimo capitolo e - ovviamente - ringrazio anche la
nuova recensitrice Lucy65! :D
Penso di
aver detto tutto..?!
Vi lascio con
questa chicca per sole
femmmmmmene!
http://24.media.tumblr.com/tumblr_ll9ocxry0V1qig6uio1_500.jpg
aaaaand:
http://i2.listal.com/image/4026165/600full-francisco-randez.jpg
aaand:
http://postfiles5.naver.net/20111210_148/xeto12_1323507877089zAF6L_JPEG/tumblr_lvuyxsPYoq1qgtcg1o1_500.jpg?type=w2
*Tilt*
Ok,
basta, la smetto.. Me ne vado! Sto decisamente andando fuori tema!
D:
Ahahah, perdonatemi!
Alla prossima!
Evelyn
|
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Capitolo 7 *** Surprise! ***
7. Surprise!
Shaun si trovava nell'atrio
dell'Abstergo. L'ansia gli
cresceva in petto ma cercava di mantenere la calma.
“Sono
dentro, ed ora..? Cosa faccio?” Domandò a bassa
voce, guardandosi
intorno e muovendo qualche passo verso il centro.
“Potresti
chiedere alla receptionist per quanto riguarda Desmond oppure girare
per la struttura... Ma è immensa e andando in giro a vanvera
potresti attirare l'attenzione delle guardie ed
insospettirle.”
L'inglese sospirò sonoramente e si diresse
alla reception e – ignorando il fatto che non sapeva
l'italiano –
tentò con l'inglese, sperando che non lo scoprissero subito,
su due
piedi.
“Buongiorno.”
“Salve, buongiorno.” Disse la
signorina dietro la scrivania, alzando gli occhi dallo schermo del
computer sull'uomo. Shaun ebbe quasi la sensazione che stesse
studiando, che lo avrebbe scoperto a momenti.
“Vorrei sapere a
che piano si trova la stanza dove tengono Desmond Miles.”
Buttò
lì.
La ragazza lo osservò per qualche istante, “Un
attimo
solo.”
Si allontanò con la sedia, grazie alle rotelle, e
raggiunse con essa il telefono sulla parete alle sue spalle. Compose
un numero interno e l'inglese la poté vedere conversare con
qualcuno
mentre teneva gli occhi fissi su di lui.
Shaun deglutì... Ecco,
era fottuto, lo sapeva. Rebecca e le sue stramaledettissime idee. Si
guardò intorno per assicurarsi che nessuna delle guardie si
stessero
avvicinando a lui.
La signorina attaccò un istante dopo e si
riavvicinò. “Mi perdoni signor
Anderson.” Disse leggendo il
cognome sul tesserino, “Non ero a conoscenza
dell'informazione e ho
domandato al supervisore. E' al decimo piano, lei fa parte
dell'equipe medica?”
L'inglese poté tirare un sospiro di
sollievo, anche se tutte quelle domande lo stavano facendo agitare.
“Sì.”
Lei annuì e sorrise. “Bene, allora prego. Penso
che dopo il capo vi voglia parlare quindi lo raggiunga nel suo
ufficio.”
“Certo, grazie.” Annuì prima di
eclissarsi.
'Come no, dal capo, contaci!' Pensò dopo. Vidic era morto,
allora chi era ora il nuovo capo?
Ad ogni modo, Desmond dunque era
lì? Wow, bingo! Che se ne faceva un morto dell'equipe
medica? C'era
una bella probabilità che il ragazzo fosse vivo!
Sì avviò lungo
il corridoio centrale, verso l'ascensore.
“Allora?”
“Siamo
a cavallo, sto andando da lui.” Disse chiamando l'ascensore
ed
attendendolo lì davanti, guardandosi intorno.
“Sul serio?!
E' lì?”
“Sì, ma non cantiamo vittoria troppo
presto...
Mi sento osservato. Che megalomani che sono qui all'Abstergo,
è
enorme!” Mormorò.
“Tienici aggiornati. Sta attento alle
telecamere di sorveglianza.”
Le porte dell'ascensore si
aprirono di fronte a lui ed uscirono alcune persone. Non appena
l'ascensore fu vuoto, Shaun entrò. Spinse il tasto del
decimo piano
e – solo quando le porte si furono richiuse – si
sentì libero di
risponderle.
“No problem.”
Non appena dinnanzi a lui sì
mostrò il decimo piano, Shaun poté notare un
altro bancone simile
ad una reception, però vuota: non v'era nessuno. C'erano
più porte
sul piano e sinceramente non aveva idea di quale fosse la stanza dove
tenessero Desmond.
“Abbiamo un problema. Ci sono cinque stanze
ed un corridoio sul piano.”
“Controlla cosa c'è scritto
sulle porte.” Rispose la mora, con voce insinuante
quasi che
fosse ovvia la cosa da fare.
“Ufficio, ufficio..” Lesse sulle
varie targhette poste accanto alle porte. “.. Critical room?
Potrebbe essere questa? Non penso lo mettano in un ufficio, sdraiato
su una scrivania.”
“Penso sia la più plausibile.
Prova.”
L'inglese si avvicinò alla porta e notò
che sotto
alla targhetta v'era un pannello dove, sicuramente, andava passata
una tessera. Prese il cartellino e lo girò, notando che
dietro v'era
una banda magnetica. Tentò di passare la tesserina nella
fessura ma
il led spento si colorò di rosso, seguito da un fastidioso
'bip'.
“Dannazione...”
“Cosa?”
“La tessera
di riconoscimento non basta a farmi entrare nella stanza, come
faccio?”
“Aspetta un attimo...”
L'inglese poté
sentire in sottofondo un lieve rumore di tasti spinti rapidamente. Si
guardò intorno, per sicurezza.
“C'è scritto solo Critical
Room? Non c'è un numero, un codice..?”
Shaun osservò la
porta, “C'è scritto un ABS608 nell'angolo
superiore destro della
porta.”
“Ok. Aspetta.”
“Sbrigati Rebecca! Ci
sono le telecamere! Non è normale che uno scienziato stia
fermo come
uno stoccafisso davanti ad una porta!”
“Chiudi la bocca un
attimo! Ci sono quasi!”
L'inglese sospirò sonoramente fin
quando, con sua sorpresa, il led divenne verde, seguito da un 'bip',
lo stesso di prima ma adesso molto meno fastidioso.
“Brava, è
andata..!”
“Bingo!” Sentì
esultare la ragazza
soddisfatta. Non glielo si poteva negare: era un asso
dell'informatica.
“Sì ma ora basta festeggiare.”
Bofonchiò
Shaun osservando la sala che si aprì dinnanzi a lui: la
prima cosa
che notò fu il lettino al centro della sala. Fu
impossibilitato a
vedere cosa ci fosse dentro per via delle alti pareti di
quest'ultimo. Vide poi anche delle telecamere.
“Pensi di
riuscire a disattivare le telecamere di sicurezza?”
“Posso
provarci.”
Shaun continuò ad avanzare e dopo essersi
assicurato che non ci fosse nessuno si avvicinò al lettino.
Dovette
ammettere di sentirsi sollevato e quasi felice di vedere che
lì
dentro giaceva Desmond e che respirava. Gli venne quasi spontaneo
sorridere...
“Grazie al cielo.”
“Cosa?” Domandò
la mora assorta.
“Desmond è qui. E' vivo, respira.”
Riferì
l'inglese. Tuttavia il compagno sembrava in uno stato di sonno
profondo.
“E' vivo?!” Chiese conferma la
ragazza.
“E'
vivo??!” Sì sentì subito dopo
la voce di William.
“Sì,
sì, è vivo, è vivo! Ora disattiva le
telecamere oppure non potrò
fare nulla, sto con le mani legate!”
“Sì, un momento
solo.”
Shaun osservò il ragazzo privo di coscienza: era
completamente nudo, attaccato ad alcune macchine, e ai piedi del
lettino si trovava una cartellina.
“Non ti senti a disagio,
Des?” Domandò l'inglese ironico, come se potesse
sentirlo. Afferrò
la cartellina e cominciò a sfogliarla. C'era scritto ben
poco,
nessuna diagnosi certa o robe simili, solo appunti... E c'era scritto
che lo avevano tenuto sotto sedativi per le prime quarantotto ore e
tutt'ora sotto un dosaggio piuttosto elevato di morfina.
Desmond
aveva perso completamente la concezione del tempo: alternava momenti
da sveglio e vigile a momenti di sonno profondo – e sogni
strani
che gli facevano sembrare di essere cosciente.
Proprio quando
l'inglese arrivò all'ultima pagina del fascicolo e
– arrivato
quasi alla firma che avrebbe svelato una sconcertante verità
–
l'Assassino si svegliò: sbarrò gli occhi quando
riuscì a scorgere
il volto dell'Assassino inglese. Che cosa ci faceva lì e
soprattutto
con un camice? Faceva anche lui parte dei templari in
realtà? Era un
traditore?
“No, Shaun, anche tu..?” Gli uscì dalle
labbra in
un debole sibilo.
Le parole del compagno riportarono l'inglese
all'attenzione, spostò lo sguardo oltre il vetro e lo vide,
finalmente sveglio.
“Desmond! Pensavamo fossi morto.. Dimmi,
come ti senti?” Chiese posando nuovamente la cartellina ed
appoggiando le mani al bordo del lettino. Non avrebbe mai pensato di
sentire di nuovo la voce dell'americano.
Il ragazzo sembrò
confuso: lui si stava preoccupando, Lucy non lo aveva fatto. Non ci
stava capendo più nulla.
“Vuoi dire che.. Non.. Siamo
all'Abstergo? Non sei con Lucy?”
“Lucy??!” Chiese l'altro,
alzando le sopracciglia. “Desmond, Lucy è morta...
Sì, siamo
all'Abstergo ma sono qui per liberarti.”
“N-no.. Lucy non è
morta, io l'ho vista Shaun!” Si agitò.
L'inglese sospirò,
doveva essere stato duro per lui ucciderla, ancora ne riportava le
conseguenze.
“Des, sei sotto shock, devi aver subito un trauma,
ti hanno tenuto quarantotto ore sotto sedativi e ti somministrano
ancora morfina, è normale che tu sia stordito. Devi
essertelo
immaginato, sta tranquillo.”
“Telecamere disattivate. Si è
svegliato?”
“Sì Rebecca, si è
svegliato... E' solo un
po' rintronato.”
“Ma io..” Cercò di replicare il ragazzo,
ma prima di poter dire nulla le porte della sala si aprirono e
rivelarono la verità sconcertante che Shaun stava per
scoprire poco
prima: Lucy.
La ragazza dai capelli biondi aveva aperto la porta
della sala con la tessera ma era intenta a parlare con qualcuno fuori
dalla visuale dell'inglese e così ancora non si era accorta
di
quest'ultimo, il quale aveva un'espressione a dir poco indecifrabile.
“Merda.” La sua prima reazione fu quella di
voltarsi con le
spalle verso l'entrata e di allontanarsi un po'. Si passò
una mano
tra i capelli cercando di appiattire il ciuffo sbarazzino, temendo
che da dietro potesse riconoscerlo.
“Cosa? Che succede Shaun?
Shaun...?!” Si preoccupò la mora.
“D'accordo, digli che
dopo passerò!” Riferì la bionda al suo
interlocutore prima di
entrare. Teneva gli occhi su alcuni fogli e non appena li
alzò,
vicina ormai al lettino di Desmond, notò l'individuo di
spalle di
fronte a sé.
“E lei chi è?” Domandò.
Desmond intese la
pericolosità della situazione e capì anche che se
Shaun fosse stato
scoperto le sue possibilità di evadere sarebbero state pari
a zero,
così il ragazzo simulò un colpo di tosse.
“L-Lucy!” La
richiamò.
La ragazza si voltò verso di lui e si chinò sul
vetro. “Desmond, sei sveglio. Come ti senti?”
“Male...”
Disse il ragazzo con voce roca, fingendo.
“Che ti succede?
Cos'hai? Cosa senti?” Chiese la bionda, preoccupata. Si
vedeva che
per lei non era un semplice paziente, una semplice cavia.
Shaun
era agitato, aveva il cuore che gli martellava nel petto e ancora non
riusciva a capacitarsi di ciò che aveva visto. Era sicuro
solo di
una cosa: doveva agire, doveva approfittare di quel momento in cui
Lucy era distratta... Ma come? Sarebbe potuto uscire e fuggire ma, in
quel modo, non appena la bionda se ne fosse accorta avrebbe
sicuramente chiamato la sicurezza. Dunque.. Avrebbe potuto
stordirla.
L'inglese prese un respiro profondo e lentamente fece
un lungo giro, con passo felpato, per raggiungere la ragazza alle
spalle.
“Non.. Non lo so, mi formicolano le braccia, mi fa male
la testa.”
Shaun si trovò dietro alla ragazza e – proprio
mentre fece per colpirla – quest'ultima notò
un'ombra e il
riflesso di qualcuno sul vetro: si voltò di scatto ed
afferrò il
braccio dell'inglese storcendoglielo e obbligandolo ad inginocchiarsi
così a terra, di fronte a lei, dandogli le spalle.
“Ahhh!!”
Il povero uomo gridò di dolore e fu in quel momento che Lucy
lo
riconobbe.
“Shaun?!” Disse, sorpresa, tuttavia senza
lasciargli il braccio.
“Lasciami Lucy! Lasciami!” Le gridò
contro sentendo che se gli avesse torto il braccio ancora di poco gli
si sarebbe spezzato.
Desmond era legato a quel dananto lettino e
non poteva vedere nulla di ciò che stava accadendo.
Cercò di
liberarsi dalle costrizioni delle cinghie che lo tenevano ben saldo
al lettino ma non vi riuscì.
“Shaun! Che succede? Lucy? Ma
che stai dicendo?!” Domandò la mora,
allarmata.
La bionda
inspirò a fondo, cercando di riacquistare
lucidità, dopodiché
allentò la presa ma lo fece voltare verso di lei e
– poggiandogli
il piede sul petto – lo spintonò contro il
pavimento facendolo
finire con i gomiti a terra, semi-seduto. Così avrebbe
potuto
controllarlo bene.
“Cosa ci fai qui?!” Gli domandò,
cercando
di rimanere quanto più possibile ostile e distaccata. Eppure
le
faceva male mantenere quel comportamento con il suo ex
compagno.
Shaun aveva ancora il viso contratto in una lieve
smorfia di dolore.
“Cosa ci fai TU qui! Non eri morta?! Sono
venuto al tuo funerale!” Disse incredulo, meravigliato e
furioso.
“Hai continuato a prenderci in giro tutti quanti! Persino
dall'oltretomba!”
“Shaun, si può sapere cosa sta
succedendo?!” S'intromise nuovamente Rebecca.
La ragazza
strinse i denti. Le risultava difficile mantenere quel distacco e
fingere che quelle parole non la ferissero affatto.
“Mi
dispiace.” Disse, per l'ennesima volta. “Ho fatto
ciò che
ritenevo giusto.” Affermò con tono grave.
“Sei una meschina
traditrice, ecco cosa sei!” Gli sputò addosso
tutto il suo
risentimento.
“Adesso basta! Smettila! Non sei nelle condizioni
per potermi parlare in questo modo!” Difatti, alla fine, era
lei
che in quel momento aveva il coltello dalla parte del manico.
“Non
me lo sarei mai aspettato da te, Lucy..” Fu tutto quello che
riuscì
poi a dire l'inglese.
Desmond ascoltò la conversazione dei due,
impossibilitato a fare qualunque cosa. Gli faceva male sentire le
parole così dure della bionda, gli era quasi impossibile
crederci.
Ci fu un momento di silenzio nel quale i due, una volta
compagni – ora nemici – si guardarono, fin quando
Lucy non
abbassò lo sguardo, colpevole.
“Sono qui per Desmond, penso sia
evidente.” Riprese allora l'inglese.
“Non posso lasciarvi
andare via. Desmond deve rimanere qui.”
“E cos'hai intenzione
di fare? Far internare anche me?”
La ragazza mosse un passo
indietro, verso il lettino del ragazzo, rimanendovi comunque di
spalle. Sembrò pensarci su. Non se la sentiva di chiamare le
guardie, probabilmente gli avrebbero fatto fare una gran brutta
fine... Ed anche se per loro, ora, era difficile crederlo, Lucy gli
voleva bene.
“Puoi andartene, ma non devi più fare ritorno.
Dovete stare alla larga da qui o la prossima volta non sarò
così..
Clemente.”
“Beh, grazie, molto gentile!” Rispose sarcastico
l'inglese, alzandosi, “Ma non posso andarmene senza
Desmond!”
“Desmond rimane, tu te ne vai. O questo, o niente.”
Insistette lei.
“Shaun, va via..” Sentirono allora i due, la
voce del ragazzo. “Me la caverò, proprio come ho
sempre
fatto.”
“Shaun, esci fuori di lì per l'amor del
cielo!”
Poté sentire Rebecca nell'auricolare. “William
ha detto che
non fa niente, troveremo un'altra soluzione per tirare fuori Desmond
da lì!”
Lucy sapeva che se qualcuno fosse venuto a sapere
di ciò che stava accadendo avrebbe passato dei guai, dei
guai molto
grossi... Ma non le importava.
“...” Shaun rivolse un'occhiata
alla ragazza, poi indietreggiò di qualche passo, verso
l'uscita.
“Sei stata una vera delusione. Per tutti quanti, Lucy... Per
tutti quanti.” Asserì l'inglese prima di voltarsi
e varcare
velocemente la soglia della porta. Sentì l'ansia crescere e
i nervi
tendersi: sperava vivamente non fosse una trappola e che sarebbe
riuscito ad uscire di lì vivo. Così, a passo
spedito e ancora
amareggiato, prese l'ascensore e si avviò verso l'atrio.
“Perché
l'hai fatto..?” Domandò Desmond, vedendo la figura
di spalle della
ragazza lì accanto.
Lucy non ebbe il coraggio di voltarsi, i
morsi della sua coscienza erano troppo forti in quel momento.
“Non
sono il mostro che voi crediate che io sia.” Rispose
semplicemente,
prima di avviarsi verso l'uscita ed abbandonare la sala a sua volta.
______________________________________
Angolo Autrice:
Stavo
pensando che a breve mi banneranno dal fandom: ieri una one-shot su
Haytham e Connor, oggi una su Desmond ed in serata aggiorno pure!
Bene...
Torniamo seri.
Devo essere brutalmente sincera?
Sono un po' dubbiosa ed incerta sul destino e sulla piega che
prenderà questa fic.
Mi spiego.. Oggi ho finito di scrivere l'ennesimo capitolo,
però ieri giocando ad AC III boh, vedendo la fine, non so...
Non so quanto ne valga la pena, ecco.
Nel senso, boh, Desmond è morto °-° e... Non
so spiegarmi!
A dir la verità ho anche pensato di accantonarla.. :/
Vabbè, sono un po' incerta u_u diciamo che m'è
venuto un blocco d'ispirazione ieri, alcuni capitoli li ho
già in mente belli pronti, solo in attesa di essere scritti.
Ora vedrò, insomma.
DANNATA UBISOFT!
Dicevo, mi spiace che stia postando ancora il 7° capitolo
> < vorrei foste al 12° con me! :D
Vi assicuro che l'azione arriverà! Non preoccupatevi! Ne sto
scrivendo :3
Ad ogni modo, se vi interessa vi linko le one-shot che ho partorito tra
ieri ed oggi.
Quella di Desmond:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1670984&i=1
Quella di Haytham e Connor:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1667815&i=1
Vorrei scrivere ulteriormente di Haytham, ma non ho idee u___u quindi
se avete richieste, mi propongo anche per scrivere storie su
commissione! è.é
Ringrazio Eldunari_ e
Lucy65 per
aver recensito pazientemente l'ultimo capitolo! :3
Scusate la mia demotivazione momentanea, cercherò di farmela
passare!
Al prossimo capitolo, baci a tutti!
Evelyn
|
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Capitolo 8 *** Bitterness ***
8. Bitterness
Non appena Shaun varcò l'uscita
dell'Abstergo aumentò
il passo. Nonostante fosse finalmente fuori non riusciva a tenere a
bada l'ansia e così cominciò a correre lungo quei
pochi isolati che
lo dividevano dal furgone dei compagni.
Demetrio era fuori dal
veicolo, si stava sgranchendo le gambe e si stava tenendo pronto se
avessero dovuto soccorrere l'inglese. Solo qualche istante dopo lo
vide arrivare, come una furia, trafelato.
“Ehi, tutto bene?!”
Gli domandò.
L'inglese non rispose, lo superò e si affacciò
agli sportelli posteriori: aveva la fronte imperlata di sudore ed il
fiatone. “A-andiamo via!”
Non appena la mora sentì la voce
dell'uomo si voltò: sentì che la preoccupazione
la abbandonò
lentamente.
“Shaun! Cos'è successo??!”
Domandò.
“Demetrio,
sali, guida tu!” Ordinò William all'italiano, il
quale eseguì
l'ordine all'istante: salì – poco dopo Shaun
– e si mise al
posto di guida, mettendo in moto.
L'inglese si sedette sul sedile
posteriore, tenendosi le mani premute contro l'addome. Era sfinito,
psicologicamente e fisicamente.
“Come sta Desmond?” Domandò a
quel punto William, curioso di conoscere le sorti del figlio.
Shaun
prese un profondo respiro e deglutì. “L-Lucy...
Lucy è viva..!”
“Cosa?” Chiese la mora con tono acuto. Lo aveva
sentito
nominare il nome della bionda ma non credeva che... “Cosa
stai
dicendo?!”
“.. D-Desmond sta bene.. Ma Lucy. Non posso
crederci.”
“Ci hanno.. Ingannati? Non ci voleva. Non posso
crederci.” Mormorò gravemente il padre del
ragazzo, seppur una
parte di lui volesse esultare nel sapere che il figlio fosse vivo e
stesse bene.
Desmond si svegliò di
soprassalto, sbarrando gli occhi.
Scattò seduto sul letto e... Non era più in
quella sottospecie di
'capsula' in cui lo tenevano.
Inizialmente non se ne accorse
nemmeno, angosciato dall'incubo dal quale si era appena svegliato ma
di cui non ricordava più nulla.
Finalmente, quando si rese conto
di non essere più dentro a quel lettino che lo costringeva a
star
sdraiato ed impossibilitato a fare nulla, si guardò intorno:
la
stanza sembrava pressoché identica a quella dove lo tenevano
quand'era costretto alle sedute di Animus assieme a Vidic. Era
assurdo: stesso letto, stessi armadietti e – sulla destra
– c'era
la porta che conduceva al bagno... Non volevano mica rimetterlo
dentro quel macchinario infernale?!
Sì guardò il corpo notando –
sollevato – di essere finalmente vestito: indossava un paio
di
pantaloni bianchi ed una maglietta del medesimo colore. Sembravano
dello stesso materiale di quei camici che ti rendevano in ospedale.
Lo sguardo del ragazzo venne rapito dalla sua mano destra.
Piegò
il gomito, tirando su il braccio. Tuttavia la sensibilità
alla mano
era pressoché nulla, persino tastandola e pizzicandosi.
Deglutì.
Era una sensazione terribile, come se quel pezzo dell'arto non
facesse più parte di lui.
Non ricordava nulla da quando Shaun e
Lucy avevano lasciato la sala... Forse l'avevano sedato nuovamente.
Aveva totalmente perso la concezione del tempo: non aveva idea se
fosse giorno o notte né da quanto tempo si trovava
all'Abstergo.
Si
trascinò e scivolò fino al bordo del letto,
dopodiché poggiò i
piedi nudi sul pavimento freddo e si alzò: si
sentì debole ma
tuttavia riuscì a mantenersi in piedi, notò una
presa d'aria sopra
la porta. Poco più a destra di essa c'era un led di colore
rosso,
evidentemente segnava che la porta era chiusa a chiave.
Desmond la
raggiunse, prese la sedia accanto al tavolo e una volta salitoci
sopra osservò fuori dalla presa d'aria: ora non ne aveva
più alcun
dubbio, era la stanza dell'Animus. Vide fuori dai grandi finestroni
la luce solare... Era giorno, non sapeva che ora fosse, ma sapeva che
era giorno. Il mondo era salvo.
Solo qualche istante dopo sentì
la porta della stanza adiacente aprirsi.
“Ma no, non è un
problema, dammele a me.” Era la voce di Lucy.
“Ne è sicura
dottoressa Stillman?” Sentì la voce di un'altra
donna.
Desmond
scese dalla sedia e la rimise accanto al tavolo, dopodiché
si
allontanò dalla porta e si sedette sul letto, tenendosi la
mano di
cui non aveva più alcuna sensibilità.
“D'accordo, allora la
lascio oppure ha bisogno di aiuto?”
“No, va' pure.” Rispose
la bionda.
Il ragazzo sentì dei passi e solo qualche istante dopo
il led – da rosso – divenne verde. La porta
sì aprì e lasciò
intravedere la donna con il lungo camice bianco.
Lucy entrò e
notò che Desmond era già cosciente. In
realtà temeva un po' quel
momento, il confronto.
“Ah, sei sveglio.” Disse lei in tono
cordiale, le sue labbra sembravano quasi voler accennare un
sorriso.
Il ragazzo la guardò da capo a piedi. Notò che
tra le
mani teneva una cassetta medica. Il comportamento ostile gli
risultò
quasi naturale.
“Che c'è? Vuoi drogarmi ancora?” Le
domandò,
con voce piatta.
Lucy inspirò: se lo meritava, dopotutto. “No.
Voglio vedere la tua mano.. Come la senti?” Chiese
avvicinandosi al
letto, così appoggiò la cassetta accanto al
ragazzo e si sedette
anche lei.
“A dir la verità non la sento affatto.”
Mormorò
il ragazzo con una vena di preoccupazione nel tono, continuando ad
osservarla mentre lei si accingeva a e a tirare fuori una fascia ed
una pomata.
“Cosa ti è successo?” Chiese ancora
continuando a
frugare e tenendo lo sguardo basso. Quella vicinanza così
'intima'
le faceva battere il cuore più forte... Ma nonostante quella
distanza ravvicinata sembrava come se ci fosse un abisso enorme a
dividerli: erano le loro due fazioni contrapposte a dare, non solo a
Lucy, questa sensazione.
“Cos'è, preoccupazione o stai
semplicemente indagando per conto dei tuoi superiori?”
Sputò a
quel punto acido il ragazzo.
Lo sguardo della bionda incrociò
quello di lui. “Mi preoccupo Desmond, mi preoccupo. Che tu ci
creda
oppure no.”
“Sì, in effetti mi è difficile
crederlo.”
Tagliò corto lui... Eppure come poteva quel viso
così angelico
lavorare per quei bastardi dei Templari? Più ci pensava e
più non
riusciva a capacitarsene.
“Dammi qua la mano.”
Dopo un
primo istante di titubanza il ragazzo le porse la mano e –
non
appena a contatto con quella di lei – si sentì
sollevato, quasi al
sicuro, nonostante sapesse che non era affatto così.
Lucy lo
medicò con cura ed attenzione mentre lui la osservava
silenziosamente.
“Perché Lucy...?” Gli uscì in
un sibilo
dalle labbra. Ricordò quando sull'isola dell'Animus aveva
sentito
Shaun parlare con i suoi compagni e dire a loro di quando la ragazza
gli aveva confidato i sentimenti che provava per lui.
“Desmond,
basta, ti prego.” Disse lei finendo di fasciargli la mano.
Alzò lo
sguardo ed incrociò il suo. “E' ciò che
io trovo giusto.”
“Ora
capisco perché quando eravamo a Monteriggioni continuavo a
vedere
impronte nemiche. Ma.. Perché? Non me lo aspettavo
davvero... Io...
Io credevo che tra di noi ci fosse qualcosa Lucy.” Le ultime
parole
gli ruzzolarono fuori dalle labbra con una spontaneità ed
ingenuità
tipica dei bambini.
La ragazza incassò il colpo. Le fece male.
Come poteva nascondere ora i sentimenti che provava per
quell'Assassino, soprattutto quando i suoi occhi così puri e
teneri
la scrutavano a quel modo?
Non riuscendo più a sostenere il suo
sguardo, abbassò il capo.
Silenzio.
Desmond strinse i denti e
subito dopo le afferrò il mento con la mano sinistra e la
costrinse
a guardarlo negli occhi.
Il cuore di lei perse un battito: si
sentiva sporca, colpevole.. Era macchiata di tradimento, una macchia
che neppure l'acqua più pura sarebbe stata in grado di lavar
via.
Lucy si svincolò dalla sua presa – e dal suo
sguardo – e
alzandosi con goffaggine fece cadere la cassetta medica e tutto il
suo contenuto si sparse sul pavimento.
Dopo un primo momento di
stallo totale, la ragazza si diresse verso la porta ma Desmond si
alzò e la afferrò prontamente per un polso,
facendola
voltare.
“Lucy, guardami!” Le ordinò. In un
istante si rese
conto che se avesse dovuto giocare sporco per riuscire ad uscire di
lì, lo avrebbe fatto. Nonostante tutto lo aveva fatto anche
lei e...
Tuttavia si rese conto di star realizzando ciò che in
realtà
avrebbe voluto fare da molto tempo.
“Desmond, lasciami..”
Rispose lei, muovendo un passo indietro, cercando di ritirare il
polso.
“Devo uscire di qui Lucy, ti prego, è importante..
Davvero.” Disse, sincero.
“Cos'è successo al tempio
Des?”
“Non posso fidarmi di te se non me ne dai modo.”
Rispose, scendendo dal polso di lei fino alla mano, intrecciando le
dita con le sue. “Ti prego, Lucy. So che non sei il mostro
che vuoi
far credere di essere, hai persino lasciato che Shaun fuggisse...
Aiutami ad uscire di qui come già hai fatto, per
favore.”
Lucy
sviò con lo sguardo. “Desmond ora.. Ora lasciami
andare. Davvero,
devo andare.” Disse a fatica.
“...” Il ragazzo continuò a
guardarla e – proprio quando stava per lasciare la presa
– con
gran sorpresa la porta della stanza si aprì.
La bionda alzò
subito gli occhi verso l'uomo, praticamente di fronte a lei. Era
Juhan Otso Berg, il nuovo capo dell'Abstergo.
Lo sguardo di Juhan
scese sulla mano del Soggetto 17 e sulle loro dita intrecciate
così
strette.
Lucy ritirò subito la mano e a quel punto il ragazzo la
lasciò, comprendendo la gravità della situazione.
“Portatelo
nel mio ufficio, io arriverò tra qualche istante.”
Ordinò ai due
agenti alle sue spalle i quali eseguirono subito l'ordine: entrarono
e proprio quando fecero per afferrare il ragazzo per le braccia,
quest'ultimo scattò indietro ed allontanò le loro
mani, con la sua
sinistra.
“Guarda, ragazzino, non ti conviene fare il
capriccioso. So come trattare quelli come te.”
Esclamò allora
Juhan entrando nello stanzino mentre uno dei due soldati
tirò fuori
il manganello.
Lucy deglutì e – alle spalle di tutti –
lanciò
uno sguardo al ragazzo, scuotendo il capo, come per fargli capire di
non mettersi contro di loro.
Desmond riconobbe di essere ancora
troppo debole per azzardare, soprattutto senza neppure avere la
certezza che la ragazza sarebbe stata dalla sua parte...
Così lasciò
che i due uomini lo prendessero e lo portassero via.
Quando Juhan
si fu accertato che fossero usciti, si voltò verso la
bionda.
“Posso fidarmi di te, non è vero Lucy?”
Domandò puntando i
suoi occhi blu e profondi in quelli azzurri e cristallini di lei.
La
ragazza deglutì e si sentì agitata.. E se avesse
sentito di Shaun?
Ma no, ora non l'avrebbe trattata a quel modo, con tale
gentilezza.
“Certo.” Annuì.
“Se ci fosse qualcosa... Me
lo diresti, non è vero?” Insistette.
“Ma.. Ma certo.”
Rispose lei. Santo cielo...
Sul volto dell'uomo si dipinse un
sorriso: le poggiò una mano sulla spalla in una pacca, poi
scese
lungo la schiena e – affiancandosi a lei – la
condusse fuori
dalla stanza del Soggetto 17.
“Bene, mi fa piacere. Ho in serbo
grandi cose per te, dottoressa Stillman... Grandi cose.”
________________________________
Angolo Autrice:
Bonjour!
Mi sto rendendo di quanti capitolini 'tranquilli' ci siano.. Ma ve lo
prometto, tempo uno o due capitoli e l'azione arriverà!
Allora, parto subito con i ringraziamenti, perché poi ho da
dire un'altra cosa ancora.
Ringrazio la mia ossessione
Eldunari_
per la recensione all'ultimo capitolo e tutte le splendide recensioni
che mi lascia in generale, soprattutto alle ultime one-shot. Sei
adorabile! ♥
Ringrazio anche - ed ovviamente - La
Strega di Ilse che pazientemente recensisce ogni volta e
mi consiglia :3
Ringrazio anche SaraStone
per averla messa tra le preferite e
Hamber of the Elves,
Eldunari_ e La
Strega di Ilse per averla messa nelle seguite.
♥
Ora... Comunicazione di
servizio:
Non so se da queste parti, a leggere
questa storia, ci sia ancora qualcuno di coloro che seguiva la mia
vecchia long Shila,
l'Assassina.
Ebbene, se
qualcuno ci fosse ancora - come saprà - la storia
è rimasta incompleta a lungo, nonostante mi mancassero
solo... Due o tre capitoli? Ecco bene.. Sappiate che a breve
metterò parola fine a quella fyccina a qui ad ogni modo
tengo davvero molto, se la merita!
In caso qualcuno fosse interessato, cliccate QUI
per leggere la storia in questione.
Premetto: l'ho iniziata ad inizio 2011, dunque due anni fa ormai
('mmazza come passa veloce il tempo o_o) e quindi è
probabile che ci siano errori e robe (più di quanti ne
faccia adesso, si intende! :°D) e che quindi magari gli ultimi
capitoli avranno uno stile un po' 'diverso', o meglio.. Sono io che
sono cresciuta e mi sono evoluta... Almeno un po' - spero - :D
Ad ogni modo, penso che questo sia tutto..
Vi bacio e lascio a voi la parola!
Alla prossima!
Evelyn
.
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Capitolo 9 *** Juhan Otso Berg ***
9. Juhan Otso Berg
Desmond era lì seduto di fronte
la scrivania di Juhan.
A differenza del resto della struttura, quella sala era comoda ed
accogliente: le pareti erano in legno così come il tavolo di
qualche
materiale pregiato. Dietro la scrivania v'era comunque una grande
vetrata e dietro di lui v'erano due tavolini, ai lati della stanza,
con dei divanetti e dei tappeti.
I due agenti Abstergo erano in
piedi ai lati del ragazzo, fermi e zitti. Desmond intanto cercava di
escogitare un modo per darsi alla fuga ma.. Era debole e aveva la
mano destra fuori uso.
Dopo qualche minuto la porta si aprì e
fece il suo ingresso il biondo.
“Perdona l'attesa Soggetto 17.”
Esordì: il suo tono sembrava essere cambiato, più
informale e
tranquillo. “Avanti ragazzi, toglietegli le manette e
lasciateci
soli.” Concluse arrivando dall'altra parte della scrivania,
sedendosi.
I due soldati tolsero le manette al moro e dopodiché,
come d'ordine, uscirono.
Il ragazzo portò le mani di fronte a sé,
sotto la scrivania, tastandosi il polso della mano destra,
insensibile.
“Cos'è tutta questa cortesia adesso?” Si
mise
subito sulla difensiva, il ragazzo.
Juhan lo osservava, tenendo un
gomito sul bracciolo della poltrona ed il mento appoggiato sulla
mano.
“Allora?” Insisté il ragazzo, quasi con
sprezzo.
“Calmo
Soggetto 17, calmo.” Rispose l'uomo, mettendosi composto.
“Soggetto
17? Vuoi finirla di chiamarmi così? Ho un nome e mi rifiuto
di
collaborare con voi per qualsiasi altra cosa! Non sono più
un vostro
'soggetto'!”
“Questo lo dici tu.”
“Puoi giurarci.”
Controbatté Desmond, guardando, a quel punto, altrove.
“E se ti
inducessimo al coma?”
Juhan riacquistò subito l'attenzione del
ragazzo, ma non sembrava essere spaventato o che volesse cedere,
sembrava amareggiato, arrabbiato, deluso.
“Non so chi tu sia, da
dove esca o chi ti creda di essere... Ma forse non hai idea di che
cosa ho passato in questi ultimi mesi, ad un passo dalla morte
così
tante volte che ormai ne ho perso il conto. Non penso più di
essere
così debole da piegarmi a queste minacce.”
Il biondo annuì.
“Certo.” E si avvicinò alla scrivania
con la sedia. “Desmond,
vorrei potessimo collaborare. Essere 'amici'.”
Il ragazzo non
credette alle sue orecchie, alzò le sopracciglia in
un'espressione
di incredulità.
“Prego?”
“Vorrei che..”
“Ho
capito.” Lo interruppe l'Assassino. “Ma per essere
'amici', c'è
bisogno innanzitutto di fiducia reciproca.. E quello che provo per
l'Abstergo e per voi Templari è quanto di più
lontano esista dalla
fiducia.”
“Capisco.” Si limitò a rispondere il
biondo,
incrociando le mani sul grembo. “Facciamo così: ti
lascio un po'
di tempo per pensarci, va bene? Spero vivamente che tu possa cambiare
idea.” Asserì prima di alzarsi. “O le
conseguenze saranno
davvero terribili.” Appoggiò le mani sulla
scrivania e continuò
ad osservarlo negli occhi, senza accennare a voler spostare lo
sguardo altrove.
Un brivido percorse la schiena del ragazzo: aveva
paura, non poteva nasconderlo... Ma non voleva dimostrarlo davanti a
quell'uomo. Rimase in silenzio e sostenne il suo sguardo.
Juhan
sorrise, dopodiché allungò una mano e
schiacciò un pulsante,
accostandosi ad un microfono.
“Riportate il Soggetto 17 nella
sua stanza.” Ordinò.
Di lì a qualche istante le porte della
sala si aprirono e ne entrarono i due agenti Abstergo che presero
Desmond per le braccia.
“Lasciatemi!” Sbraitò lui,
liberandosi dalla presa dei due soldati. In un istante fece per
avventarsi contro il Templare di fronte a lui, il quale però
si
scansò tempestivamente.
Prontamente uno dei due agenti tirò
fuori il manganello e – senza esitare –
colpì il ragazzo dietro
le ginocchia. Non appena il duro randello fu a contatto con il corpo
di Desmond, l'uomo spinse un tastino ed una forte scarica elettrica
percorse tutto il suo corpo.
Un urlo smorzato uscì dai denti
stretti dell'Assassino, il quale sentì un dolore
indescrivibile,
tutti i nervi tesi e – quando la scarica elettrica
finì – il
cuore gli pulsava dentro le tempie. Si accasciò a terra,
ansante.
“Stai diventando fin troppo ostico, Miles. Non costringermi
ad
usare le maniere forti o potresti pentirtene, sul serio.” Lo
minacciò a quel punto Juhan. “Portatelo
via.”
I due uomini
tirarono su Desmond – in malo modo – per le
braccia, sicuri che
non si sarebbe più ribellato.
Una volta arrivati nella stanza
del ragazzo i due uomini lo scaricarono per terra, uscendo. Il corpo
dell'Assassino era percorso dai brividi ed una sensazione di
sconforto si stava facendo via via spazio nel suo petto, assalendolo.
Poggiò entrambe le mani, tremolanti, sul pavimento e
tentò di
rialzarsi. La mano destra, pressoché priva di ogni
sensibilità,
cedette sotto il suo peso, così si ritrovò ad
usare solo la
sinistra.
Quando finalmente fu in piedi sentì le gambe sostenerlo
a malapena. Si guardò intorno: non poteva rimanere
lì
ulteriormente, doveva trovare una via di fuga, così
tentò di
attivare l'occhio dell'aquila. Non appena lo fece, però, una
forte
fitta alla testa gli tolse il fiato.
Si portò la mano sinistra al
capo, tra i capelli, stringendoli. Il dolore era vivo, sembrava come
se qualcuno lo stesse prendendo a martellate in testa. Era..
Terribile.
“B-basta!” Disse, solo qualche istante dopo,
sentendo delle aquile stridere.
Si accasciò sulle
ginocchia, stringendo gli occhi. “BASTA!!!”
Grida ed
urla affollavano la sua testa. Parole
confuse,
schiamazzi, aquile.
“Desmond, alzati in piedi e
reagisci, sei un Assassino!” Le parole di Altair
gli arrivarono
confuse, quasi sovrastate dal resto del caos. Parlava in arabo ma lui
poté ben comprenderlo lo stesso... Tuttavia non si accorse
di questa
sottigliezza, le fitte erano troppo forti.
“Vuoi lasciare che
tutti i nostri sacrifici siano vani?” Udì
ancora altre parole,
questa volta in italiano, da Ezio.
“Cos..?” Il ragazzo tentò
di aprire gli occhi, nonostante il dolore lancinante: di fronte a lui
notò la stanza scura girare vorticosamente, cogliendo alcune
ombre,
alcuni flash. “B-basta..!”
“Si vince e si perde,
Desmond, ma non lasciarti condizionare dai tuoi errori, non
è ancora
finita.” Si aggiunse poi Connor.
“Alzati Assassino!
Combatti!”
“Sei uno di noi, non disonorarci!”
“Avanti,
lo so che puoi farcela!”
“Tirati su Desmond!
Adesso!”
“B-basta! BASTA!”
Alzò la voce. “Mi
ordinate ciò che devo fare ma non mi aiutate! Non avete idea
di
quanto dura sia! NON NE AVETE IDEA! Smettetela!
Sparite!
ANDATE VIA!” Gridò con quanto
fiato aveva in petto,
stringendo gli occhi e tenendosi la testa con la mano. Sognava? Era
sveglio? Era reale ciò che vedeva o era tutto frutto di una
visione
onirica?
“Desmond?!” Sentì una porta aprirsi, la
voce di una
donna, il tocco fermò di due mani sulle sue spalle. Era
tutto
confuso, caotico, disordinato.
“L-Lucy! Falli smettere Lucy!”
La pregò il ragazzo.
La bionda lo teneva per le spalle, lui era
in ginocchio a terra, si teneva il capo tra le mani.
Sembrava
quasi fosse tornato a soffrire per via dell'effetto osmosi. Era dura
vederlo così, le faceva male.
“Far smettere chi, Desmond?”
Gli domandò a quel punto lei. “Va tutto
bene!”
“Ti.. Ti
prego...!” Disse ancora il ragazzo, sull'orlo della
disperazione.
Via via il caos nella sua testa cominciò a calmarsi, le voci
sparire, le rise smorzarsi. La testa non girava più e la
stanza era
tornata al suo posto, luminosa.
L'Assassino si ritrovò a terra,
stretto tra le braccia della Templare.
“Desmond, va tutto bene,
sta' tranquillo..” Continuava a ripetergli lei, stringendolo
a
sé.
“... Lucy..?” Sibilò il ragazzo alzando
lo sguardo verso
la donna, prima di perdere i sensi.
Era sera. Nel covo
aleggiava un'aria di quiete e tranquillità.
Dopo quello che era
accaduto la mattina stessa i tre Assassini, seppur speranzosi per la
vita del ragazzo, erano rimasti decisamente perplessi nello scoprire
che Lucy fosse ancora viva.
In cucina Alice stava preparando la
cena aiutata da Giuseppe e Demetrio, quest'ultimo – seppur
fosse un
Assassino – aveva davvero le mani d'oro quando si trattava di
cucina. Insomma, l'uomo perfetto da sposare!
Le stanze antiche del
casale si stavano via via riempiendo di profumi ed aromi, sinonimi
che la cena a breve sarebbe stata in tavola.
William, da quando
erano tornati, si era ritirato nella sua stanza dicendo che avrebbe
pensato a qualcos'altro e si sarebbe messo in contatto con gli altri
Assassini in giro per il mondo per scoprire quali fossero le
situazioni nel resto del globo, se fosse tutto stabile e
tranquillo.
Shaun era in una delle stanze del casale: le luci ai
lati delle pareti, che riflettevano contro i muri in pietra, facevano
assumere all'intera sala un'aria soffusa e delicata diffondendo un
colore tenue tendente al rosso salmone.
V'erano parecchi scaffali
contenenti dei libri, alcuni storici, altri di narrativa e
letteratura italian. Dove poteva spendere Shaun il suo tempo se non
lì dentro?
L'Assassino era semi-seduto su uno dei divani: teneva
la schiena contro il bracciolo e le gambe allungate lungo il resto
del divano, una sopra l'altra. Sfogliava lentamente le pagine di un
libro sulle crociate e – inevitabilmente –
immaginava Altair.
Accanto all'inglese, vicino al divano, giaceva una pila di libri
che l'uomo aveva accuratamente scelto per dare un'occhiata. Aveva
passato l'intero pomeriggio a preoccuparsi di ciò che era
accaduto
la mattina prima ed ora aveva decisamente bisogno di staccare un
attimo... O almeno se ne convinceva visto che il suo cervello,
subconsciamente, continuava a lavorare su ciò che era
successo,
mandandogli di tanto in tanto alcuni impulsi ed alcune idee su come
agire successivamente.
Rebecca fece il suo ingresso nella sala,
vide l'inglese assorto tra le pagine del libro e sorrise.
Alzò la
mano e con le nocche bussò all'arco di pietra.
Shaun volse il
capo e la vide. “Rebecca.” Mormorò prima
di tornare con lo
sguardo sulle fitte righe della pagina che stava leggendo.
“Come
stai?” Domandò gentile l'amica, avanzando ed
infilando le mani
nelle tasche posteriori della solita tuta che aveva ripreso ad
indossare.
Lui sospirò, chiudendo il libro e tenendo il dito
indice tra le pagine in modo da non perdere il segno, adagiando poi
l'opera sul suo addome. Guardò dritto di fronte a
sé.
“Sinceramente..? Stanco, confuso... Ed un po'
spaventato.”
Il fatto che non la stesse guardando probabilmente lo aiutò
a
pronunciare quell'ultima parola. Sembrava quasi che stesse pensando
ad alta voce, parlando con sé stesso.
“E tu?” Chiese a quel
punto, volgendo il capo verso la mora, la quale a piccoli e lenti
passi lo aveva raggiunto, rimanendo in piedi accanto al
divano.
Rebecca tirò fuori le mani dalle tasche e –
lentamente
– si inginocchiò accanto al divano, poggiando le
mani sulle gambe
in modo da essere pronta a far leva su di esse non appena si sarebbe
dovuta alzare.
“Penso.. Penso che io possa dire lo stesso. E'
assurdo.”
L'inglese annuì, guardandola negli occhi ancora per
qualche istante, dopodiché il suo sguardo scese pian piano
fino ad
arrivare alla pila di libri.
“Comunque tra poco è pronta la
cena!” Esclamò allora la ragazza con tono
più allegro, cercando
di risollevare i loro morali.
'Wow, meraviglioso..!' Pensò
con sarcasmo l'inglese, immaginandosi già le scene a cui
avrebbe
dovuto assistere tra l'amica e l'italiano durante la cena.
“Ah,
bene.” Rispose, quasi mettendosi sulla difensiva.
La mora lo
guardò accigliata, non capendo quel suo repentino cambio di
tono.
“Sei stato coraggioso, comunque” Interruppe
nuovamente
lei il silenzio.
L'inglese portò lo sguardo nel suo. “Hm?”
“Per
oggi, intendo..” Gli sorrise.
Shaun si strinse nelle spalle, non
sapendo cosa dire. “Nulla che un altro non avrebbe fatto,
Rebecca.
Nulla che un altro non avrebbe fatto.” Ripeté,
rivedendo ancora
vivide, nella sua mente, le immagini vissute la mattina stessa.
La
ragazza allungò una mano fino al suo braccio, stringendolo.
“Non è
vero, lo sei stato.” Sorrise.
Sulle labbra dell'uomo si dipinse
inevitabilmente un sorriso, notando la mora fare lo
stesso.
“Ragazzi!!” Esclamò a quel punto
l'italiano,
arrivando sulla porta.
Come per magia il sorriso dalle labbra
dell'inglese svanì in un istante non appena alzò
lo sguardo e vide
Demetrio.
Rebecca si voltò appena, tre quarti, con il sorriso
ancora sulle labbra.
“Ehi!”
“E' pronta la cena, venite?”
Domandò con un tono di voce allegro e quasi coinvolgente.
Aveva
inteso che era un momento pessimo, soprattutto per loro e per quello
che stavano passando, così si sentì in dovere di
tirare su i loro
animi... O almeno l'animo di Rebecca, l'inglese non faceva altro che
essergli ostile, lo rendeva certo il fatto che lo stava guardando in
cagnesco da quando aveva fatto il suo ingresso – o meglio,
per
correggersi – da quando erano arrivati al covo.
“Seh, seh,
veniamo..!” Borbottò l'Assassino riponendo il
libro sopra la pila
accanto al divano, prima di alzarsi.
Rebecca ridacchiò sotto i
baffi. Era fenomenale vedere con quanta ostilità si
rivolgesse Shaun
ogni volta che conosceva qualcuno di nuovo... E che non gli stesse
propriamente a genio!
Durante il breve tragitto tra la biblioteca
– se così si poteva chiamare – e la sala
da pranzo, l'inglese si
sentì escluso e lasciato indietro mentre Rebecca e Demetrio
chiacchieravano e scherzavano tra di loro. Tuttavia, non appena
varcarono la soglia della sala da pranzo, videro Alice e Giuseppe
seduti alla tavola ben imbandita con ogni cibo e prelibatezza e
William – a capotavola – in piedi.
Le risate della mora e
dell'italiano si smorzarono. L'inglese inarcò le
sopracciglia:
sembrava li stesse aspettando.
“Sedetevi.” Disse a quel punto
il mentore, “Ho bisogno di parlarvi.”
____________________________________
Angolo Autrice:
Salve a
tutti!
E' da un bel po' che son sparita (lo dico sempre a chi importa, eh!) e
non sono riuscita ad aggiornare.
Purtroppo ho iniziato a fare l'affiancamento per lavoro e domani
comincerò a lavorare ufficialmente.. Quindi sarà
una bella impresa stare dietro alla storia ed aggiornarla... Uff ._.
Chiedo venia se in questo capitolo ci saranno errori vari o cose varie,
è solo che non ho avuto tempo di rileggerlo ma volevo farvi
vedere che non sono muerta!
Ad ooogni modo.. :3 Spero che comunque il capitolo vi piaccia con tutte
(se ci sono) le sue imperfezioni!
Ah, Lunedì passato sono stata ad un concerto...
Ho messo lyrics qui e lì in varie storie del suddetto gruppo.
Loro sono gli HURTS, andate ad ascoltarli e amateli.
Oh.
Passo e chiudo!
Evelyn
|
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Capitolo 10 *** Ancestors ***
10. Ancestors
“Non
funzionerà, è ancora troppo debole. Non possiamo
aiutarlo se lui
per primo non vuole alzarsi e combattere.” Sentì
una prima voce,
parlare in arabo.
“E cosa proponi di fare? Lasciarlo al suo
destino?” Una seconda voce, in italiano.
“Non ne uscirà vivo
in queste condizioni, soprattutto se continua
così.” Riprese la
prima. Era assurdo come capisse due lingue totalmente differenti
dalla sua e come – queste due persone – sembrassero
capirsi.
Desmond riaprì piano gli occhi, alzò leggermente
il
capo e notò ai piedi del letto – nello stanzino
dove lo tenevano
accanto all'Animus – Ezio ed Altair.
“Oh no.. Ancora.”
Mormorò il giovane, lasciando ricadere pesantemente il capo
sul
cuscino. La stanza era diversa, più buia, e gli antenati
risaltavano
bene nell'oscurità: emanavano quasi una luce, un alone
luminoso
fasciava i loro corpi. Era un sogno?
I due Assassini, sentendo la
voce del ragazzo, si voltarono verso di lui.
“Bentornato nel
mondo dei vivi, Desmond.” Disse Altair.
“Perché non mi
lasciate in pace? Voi non siete reali!” Affermò il
ragazzo tirato
in causa, prima di tirarsi su, sui gomiti, ed osservarli.
“Arrivati
a questo punto sapresti dire cosa lo è?”
Domandò
Ezio.
L'americano notò che assieme ai due non c'era il suo
antenato più giovane. “Dov'è
Connor?”
“Perché non ce lo
dici tu?” Rinviò la domanda Altair.
Desmond li guardò
accigliato. Era bizzarro... E quella discussione stava assumendo un
tono decisamente insolito. Decise, dunque, di mettersi seduto,
continuando a guardare i due, imbambolato. Perché glielo
avrebbe
dovuto dire lui dov'era Connor? Forse perché erano frutto
della sua
immaginazione e che – quindi – decideva lui,
inconsciamente, chi
c'era e chi no?
Altair incrociò le braccia al petto. “Hai
intenzione di rimanere lì seduto a far nulla ancora a
lungo?”
“E
che cosa dovrei fare?!”
“Se non ti sbrighi quelli ti friggono
il cervello, Desmond. Devi fuggire.” Asserì
gravemente
Ezio.
“Quando?”
“Ora! Sta succedendo adesso!”
S'intromise l'arabo, alzando di un tono la voce. “Vieni con
noi.”
I due Assassini si voltarono verso la porta, dirigendosi verso
essa. Il led luminoso era rosso, sinonimo che era chiusa
dall'esterno. Che volevano fare?
Desmond li guardò allontanarsi
fin quando, continuando a camminare verso di essa, la trapassarono
senza alcun problema. Il giovane strabuzzò gli occhi.
Avrebbe dovuto
farlo anche lui?
Si alzò in piedi, riscoprendosi pieno di
energie: che sensazione magnifica, era da parecchio che non si
sentiva così.
Raggiunse la porta a sua volta, un po' titubante, e
– di fronte ad essa – si fermò. La
osservò per qualche istante,
prima di allungare una mano e notare con sorpresa che vi
passò
attraverso. Stupito, fece la stessa cosa con l'altra, al che
sentì
qualcuno dall'altra parte afferrargli il polso e tirarlo oltre.
“Vuoi
smetterla di giocare, ragazzino?” Sentì
l'inconfondibile voce
dell'arabo.
L'americano si limitò a guardarlo per un istante in
cagnesco, solo dopo si accorse di essere nella stanza accanto, quella
dell'Animus, assieme ai due antenati. Guardò dritto di
fronte a sé
e – con sorpresa e stupore – vide sé
stesso dentro il
macchinario, Lucy accanto a lui che si preoccupava di scrivere alcune
cose su una cartellina. C'era anche Juhan, alla scrivania, ed altre
due persone al ragazzo sconosciute. Un brivido gli percorse la
schiena.
“Sta accadendo realmente?” Domandò con
un filo di
voce.
“In questo istante.” Annuì l'italiano.
Le braccia e
le gambe del giovane erano assicurate saldamente al lettino.
“Quando
possiamo iniziare?” Domandò
Juhan, il quale sembrava
spazientito.
“Non
lo so, i
suoi impulsi celebrali sono instabili. Raggiunge picchi molto
elevati.” Rispose la bionda che
– di tanto in tanto –
affidava il suo sguardo ad un monitor posto lì accanto.
“Non
ho più intenzione di aspettare, dottoressa
Stillman.” Era
da un po' che il templare era diventato freddo e scontroso nei
confronti nella donna, a volte quasi sospettoso.
“Siete voi?”
Domandò allora l'americano, o per lo meno la parte di lui
cosciente,
ai due antenati.
“Sei tu Desmond. Sei tu. Lo stai facendo da
solo.” Rispose Ezio.
“Non capisco..” Sembrava una di quelle
esperienze extrasensoriali, l'anima fuori dal proprio corpo.
I due
antenati mossero alcuni passi verso il centro della sala,
dopodiché
si voltarono verso il giovane.
“Devi decidere Desmond, non hai
più molto tempo.” Disse il grande Assassino arabo.
Il ragazzo
notò che le loro figure stavano iniziando a sbiadire
lentamente, a
dissolversi nel nulla.
“Aspettate! Che cosa devo
fare?!”
“Combatti.” Gli arrivò la voce di
Altair,
vacillante, prima che entrambi scomparissero e lasciassero campo
libero alla sua visuale: il nulla.
Il ragazzo spalanco gli
occhi, ritrovandosi nella medesima stanza che affiancava la sala
dell'Animus. Aveva sognato, quindi.. Che sollievo.
Si alzò
lentamente, guardandosi intorno. Il silenzio più assoluto
regnava
dentro quelle quattro mura. Non c'era nessuno: niente antenati,
niente Templari, niente Lucy... Era solo.
Si portò una mano al
viso e si stropicciò gli occhi. Stava rischiando di
impazzire: fino
a dove ciò che vedeva era reale e fino a dove era frutto
della sua
immaginazione?
Poggiò i piedi nudi contro il pavimento freddo ed
un brivido strisciò lungo la sua spina dorsale.
Osservò per qualche
istante la porta che recava al bagno, indeciso se farsi o meno una
lunga doccia. Si alzò e mosse alcuni passi in quella
direzione,
dicendo a sé stesso che forse sarebbe stato meglio
rilassarsi,
dedicare un lungo momento a sé stesso e cercare di
riordinare le
idee confuse.
Non riusciva a capire che cos'era che rendesse i
suoi pensieri così caotici e aggrovigliati e lui stesso
così
irrequieto. Era stato il globo che aveva toccato? Era stato l'Animus?
E perché quando aveva tentato di usare l'occhio dell'aquila
aveva
cominciato a vedere e sentire cose che non esistevano?
Cominciava
a temere che la sua mente stesse crollando di nuovo, proprio com'era
successo dopo aver pugnalato Lucy, sotto il Colosseo.
Il ragazzo
chiuse l'acqua, raggiunse l'asciugamano e lo sistemò intorno
ai
fianchi. Uscì dal box della doccia e si avvicinò
allo specchio
sopra il lavandino, pieno di microscopiche goccioline di condensa che
gli impedivano di vedere il suo stesso riflesso.
Allungò la mano
e con la stessa ripulì la superficie appannata. Non appena
fu libero
di vedersi nello specchio, tuttavia, trasalì:
notò che proprio
dietro di lui v'era Lucy e – ancor prima che potesse fare
qualsiasi
cosa – la donna cinse il collo di Desmond da dietro, con la
mano
destra, mentre, con la sinistra, afferrò il suo mento e fece
leva
roteandolo verso di sé in modo innaturale.
Un dolore intenso e
vivo, mai provato prima, annebbiò la mente del ragazzo
mentre sentì
il rumore del suo stesso collo spezzarsi ed il suo corpo afflosciarsi
tra le braccia della bionda.
Un
urlo straziato di dolore squarciò la sala mentre piccoli
aghi si
conficcavano nella carne tenera della schiena del ragazzo.
Se
quell'urlo si fosse dovuto associare ad un colore sicuramente sarebbe
stato il rosso, il rosso sangue, il dolore più vivo ed
intenso.
La
schiena di Desmond si inarcò, come mossa da un desiderio
inconscio
di liberarsi da quel male accecante. Fu proprio in quel momento che
si svegliò, con gli occhi lucidi di lacrime per via delle
intense
sensazioni – per nulla piacevoli – che scuotevano
il suo corpo.
Ogni muscolo ed ogni singolo nervo era contratto, percorso da
scariche di dolore che partivano dal cervello.
Era vivo, lo
sentiva... E quel dolore era reale, non lo stava sognando.
Lucy
serrò i denti, incapace di guardare quello spettacolo
ulteriormente.
Si voltò e raggiunse uno dei suoi colleghi.
“E' davvero
necessario tutto ciò?” Chiese a bassa voce, mentre
alle sue spalle
sentiva ancora i lamenti del ragazzo.
“Purtroppo abbiamo
riscontrato dei problemi con l'hacking del sistema. Non siamo ancora
in grado di ripercorrere i ricordi senza un successore degli
antenati... E se il ragazzo non vuole collaborare, è l'unico
modo.
Saremmo noi a dover pilotare i suoi ricordi, tentando di farli
proseguire verso la direzione desiderata.”
La bionda sospirò,
portandosi una mano al viso, stringendosi la base del naso tra
l'indice ed il pollice.
“E quant'è rischioso per il Soggetto?”
“Dipende dalla sua forza di volontà e da quanta
intenzione ha
di ostacolarci.”
Quelle parole non rasserenarono per nulla la
ragazza che – scansando la mano – scrutò
il viso del collega.
“Vuoi dire che in poche parole potrebbe...”
“Fare una
brutta fine, sì. Ma non c'è da preoccuparsi,
abbiamo tutti i mezzi
per rianimarlo.” La precedette lui.
“Cosa..?!” Lucy lo
guardò stupefatta ed atterrita. Juhan non le aveva accennato
nulla
del metodo con cui volevano estrapolare i ricordi a Desmond, tanto
meno cosa volessero farci visto che oramai la Mela era in loro
possesso... Probabilmente erano gli altri frutti dell'Eden
ciò che
volevano. Non gli avevano neppure detto delle modifiche che avevano
apportato all'Animus.
Così era questo ciò che volevano fare:
giocare con la vita del ragazzo spremendolo fino all'ultimo per
appropriarsi delle informazioni necessarie. Non importava quanto
lontano si sarebbero spinti, tanto – come detto dall'uomo
–
avrebbero potuto rianimarlo. E se Desmond non si fosse deciso a
collaborare? Cosa sarebbe successo? Avrebbero proseguito con quella
tremenda crudeltà, rianimandolo ogni volta che sarebbe stato
necessario, fin quando il suo cuore, il suo corpo ed il suo cervello
non avrebbero più retto, lasciandolo in uno stato
vegetativo,
disfacendosi poi di ciò che era rimasto una volta che non
gli
serviva più?
Quei pensieri le fecero accapponare la pelle.
Rivolse un'occhiata al ragazzo il quale si contorceva in preda a
violenti spasmi muscolari dettati dal dolore che in quel momento
provava.
Vide gli aghi – che fuoriuscivano dal lettino –
conficcarsi nella schiena di lui mentre alcune goccioline di sangue
percorrevano il metallo lucido. Due elettrodi erano posti sulle sue
tempie, in modo da poter ben monitorare la sua attività
celebrale e
stimolarla esternamente.
Tutto ciò era terribile.
Nuovamente
il bisogno di staccare lo sguardo da quell'orrenda visione fu
così
forte che le fece decidere di non trattenersi oltre ed uscire dalla
sala. Come poteva permettere che tutto ciò accadesse? I
morsi della
coscienza iniziavano a farsi sentire e lo stomaco le si era stretto
in una morsa.
Non appena uscì dalla sala, proseguì dritto lungo
il corridoio. Svoltò sulla destra per scendere le scale,
lasciandosi
alle spalle le urla di sofferenza del ragazzo, attenuate dalla
distanza che via via diveniva sempre maggiore.
Shaun
quella notte non riusciva a prendere sonno, probabilmente
ciò era
dato dal fatto che il giorno dopo sarebbero dovuti tornare
all'Abstergo.
Era nella sua stanza, al piano di sopra, nel casale.
Si rigirò per l'ennesima volta nel letto, volgendo lo
sguardo verso
l'orologio analogico e luminoso sul comodino: l'una e venti. Seppur
avesse un gran sonno e le palpebre risultassero davvero pesanti, non
riusciva ad addormentarsi.
Così, l'inglese, decise di alzarsi e
scendere in cucina per prendersi una bottiglietta d'acqua.
I
piedi nudi a contatto con la pietra fredda gli procurarono un brivido
che gli percorse tutta la schiena. Dovette appoggiare una mano al
muro mentre scendeva le scale visto che erano inghiottite dal buio,
sembrava come se non ci fosse nulla in fondo.
Non appena appena
arrivò di sotto raggiunse la cucina – senza far
rumore – e prese
una bottiglietta d'acqua dal frigo, quando poi però fece per
tornare
indietro – passando per il corridoio –
notò con la coda
dell'occhio, in una stanza alla sua sinistra, Rebecca.
Si fermò,
voltandosi ed accostandosi all'arco della porta: la stanza era
completamente buia, era rischiarata solo dalla fioca luce dello
schermo del portatile, sul tavolo, al quale la ragazza stava
lavorando, digitando velocemente lunghi e fitti codici sulla
tastiera.
“Ancora sveglia?” Chiese a quel punto l'inglese, a
bassa voce.
Un tremito percorse la schiena della mora, la quale
sussultò e si voltò istintivamente verso la
porta. “Oh, Shaun!
Sei tu... Mi hai fatto paura.” Disse portandosi una mano sul
petto,
sentendo il cuore battere più forte per lo spavento.
Le labbra
dell'inglese si incurvarono all'insù, disegnando un lieve
sorriso
divertito sul suo volto. Si avvicinò.
“Che cosa stai
facendo?”
La mora appoggiò un gomito sulla spalliera, volgendo
nuovamente il capo verso il suo lavoro.
“Stavo finendo di
sistemare le cose per domani, ero entrata nel sistema dell'Abstergo
per acquisire i codici di sicurezza e le varie pass che ci serviranno
domani per aprirci un varco nel sistema.”
“Ah..”
L'inglese
allora, una volta arrivato accanto a lei, prese una sedia dal tavolo
e la spostò accanto alla ragazza, sedendocisi.
A quel punto
Rebecca riprese a digitare alcune cose sulla tastiera. “E tu
come
mai ancora in piedi?” Chiese ma a quel punto completamente
immersa
in ciò che stava facendo.
“Non riuscivo a prendere sonno..”
Ammise.
“Sei agitato per domani?” Domandò
ancora. Nonostante
fosse concentrata e sembrasse in un altro mondo, riusciva comunque a
tenere l'attenzione anche sul compagno.
“Forse un po'.”
La
mora schiacciò il tastò dell'invio e sulla
schermata nera
cominciarono a caricarsi una miriade di codici e numeri.
“Ecco
qua!” Esclamò allora lei, finalmente libera di
voltarsi a guardare
Shaun. “Dai, vedrai che andrà bene, saremo in
tanti... E poi tu ed
Alice rimarrete ad aiutarci da dietro le quinte.”
“In tanti?
In cinque, o meglio in sette contando anche me ed Alice, contro
l'intera Abstergo.. Però! Che consolazione!”
Rebecca sorrise.
“Sei il solito pessimista.”
“E poi non capisco perché tu
debba andare con loro: sei una ragazza e sei tu che dovresti
occuparti di disattivare i loro sistemi di sicurezza.. Voglio dire:
è
sempre stato così!” La ragazza inarcò
le sopracciglia,
osservandolo. Si stava forse preoccupando per lei? “Alice
è ancora
giovane e secondo William non ha l'esperienza sufficiente.. Che cosa
poteva fare? Mandare te?”
“Beh, sì! Poteva mandare me!”
Gracchiò l'inglese, con sufficienza.
Lei rise. “Maddai, Shaun!
Sii realista: non sopravviveresti un minuto lì dentro da
solo!”
“Cos-..?! Ma che stai dicendo? E ieri allora?”
“Ieri ti
sei finto uno di loro, non vale! E poi se Lucy non ti avesse lasciato
scappare non oso pensare a che fine avresti potuto fare.. Piuttosto,
chissà perché ti ha lasciato andare..”
Il tono di Rebecca,
inizialmente divertito, si fece pensieroso e quasi
malinconico.
“Hm..”
Il portatile emise un lieve 'bip' che
fece tornare Rebecca con l'attenzione sullo schermo. Inserì
un disco
e riprese in ciò che stava facendo.
Shaun rimase lì, in
silenzio, ad osservarla lavorare... Doveva ammettere a sé
stesso che
era adorabile quando era immersa in ciò che sapeva fare
meglio: gli
occhi fissi sullo schermo che di tanto in tanto guizzavano da una
riga all'altra, il viso dall'espressione concentrata, le mani che
digitavano veloci sulla tastiera. Adorava soprattutto quando, se
qualcosa non le quadrava, arricciava il naso o serrava gli occhi in
due fessure, tornando sui codici precedenti a vedere se avesse
commesso qualche errore... E quando alla fine un sorrisetto
soddisfatto, appagato ed orgoglioso le si disegnava sulle labbra,
nonostante – probabilmente – la mora neppure se ne
accorgesse.
Era adorabile, davvero.
“Ok...!” Esclamò ad un
certo punto Rebecca, tirando fuori il dischetto e mettendolo
nell'apposita custodia. “Finito...!” Disse,
stiracchiandosi e
trattenendo uno sbadigliò.
“Di già..?” Domandò
l'inglese.
Sembrò quasi deluso. Gli piaceva stare lì ad
osservarla.
“Di
già? Sono le due!” Rispose la mota, spegnendo il
computer,
chiudendolo ed alzandosi. Ora solo la luce lunare rischiarava lo
stanzino.
Shaun fece lo stesso “Già, sarebbe meglio andare a
dormire.. Domani ci aspetta una lunga giornata.”
“Mh-hm.”
Annuì lei. “Buonanotte Shaun. Domani vi
spiegherò tutto ciò che
dovrete fare: è semplice.” Disse salutandolo con
una pacca sulla
spalla, stringendogliela, dopodiché si avviò alla
porta e solo
qualche istante dopo venne inghiottita dalle tenebre.
L'inglese
sospirò: avrebbe fatto bene a tentare nuovamente di dormire.
_________________________________________
Angolo Autrice:
Odiatemi.
Fareste bene.
Ve lo chiedo come favore: odiatemi.
E' da Marzo che sono sparita, sono una schifosa... T_T
Chiedo venia a chi abbia ancora voglia di seguirmi, ma ad Aprile ho
iniziato a lavorare - seriamente - e non ho avuto davvero tempo, poi
sono uscita di contratto (sì perrché in Italia
va' così) e... L'ispirazione era passata, poi sono rientrata
ed il 31 Ottobre uscita nuovamente.
Qual è il problema? Non avevo tempo.. E ho accantonato
completamente la scrittura.. E quando ho smesso, non avevo proprio
ispirazione.
Ho una voglia MATTA di tornare a scrivere e di continuare questa
fiction. So che ormai è uscito Black Flag e tutti sanno che
le cose non sono andate come in questa fyccina (tranne io che ancora
non ho giocato a Black Flag)..
Ma spero che qualcuno apprezzi comunque!
Ho 3 o 4 capitoli nuovi e pronti della fic che scrissi prima di
iniziare a lavorare e prima della mancanza d'ispirazione.
Vi posto il primo, il seguito, sperando voi lo apprezziate e... Non so,
voglio rimettermi a scrivere, continuarla.. Vediamo un po' voi che ne
pensate, se c'è ancora qualcuno che desidera leggerla :)
Ad ogni modo.. Vi ringrazio per la pazienza, e mi scuso per avervi
abbandonati.
Sono una persona orribile, ma mi rifarò!
Baci a tutti! :)
|
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Capitolo 11 *** Don't be afraid ***
11. Don't be afraid
Il sole era ormai alto nel cielo, non
vi erano nubi in vista
e si prospettava essere una splendida giornata nonostante il freddo
pungente. Un furgoncino bianco era fermo ad
alcuni isolati dalla
struttura Abstergo, dentro gli Assassini stavano finendo di accordarsi
sul da
farsi.
“Demetrio, Rebecca, Giuseppe e Giovanni, voi verrete insieme
a me come
stabilito. Shaun ed Alice, voi rimarrete qui.” Disse William,
con la più
completa attenzione di tutti quanti gli Assassini. “E' un
azzardo, lo so... Ma
confido nelle abilità di tutti voi. Prima di tutto troviamo
Desmond, come
suggeritoci da Shaun si dovrebbe trovare al decimo piano, tuttavia non
sappiamo
se l'abbiano spostato dopo la sua visita... Un'altra
priorità è ritrovare la
Mela: non possiamo lasciarla in mano ai Templari... Capite che
è pericoloso.”
“Sì, certo.” Si levò un coro
comune.
“Bene allora, ci terremo in contatto con gli auricolari.
Demetrio: cerca di
stare il più possibile accanto a Rebecca. Giuseppe,
Giovanni.. Anche voi due vi
muoverete insieme.”
“E per quanto riguarda lei?” Domandò
Alice, la quale non sarebbe entrata
insieme a loro in quanto William la reputava ancora troppo giovane e
priva
della esperienza necessaria.
“Io me la saprò cavare.”
Detto ciò gli Assassini scesero dal furgone, solo Rebecca si
trattenne un
attimo in più per dare indicazioni a Shaun ed Alice su come
disattivare i
circuiti di sicurezza dell'Abstergo. Teoricamente sarebbe dovuta essere
lei ad
occuparsene, ma era una mediocre combattente e William ritenne
opportuno farla
andare con loro... Oltretutto la mora confidava nelle
capacità dei due compagni
di eseguire alla lettera le sue informazioni.
“Allora Shaun, Alice..” Si avvicinò ai
due, seduti rispettivamente sul sedile
del conducente e del passeggero. Appoggiò il portatile sul
cruscotto in modo
che i due potessero vedere, dopodiché si piegò
lievemente in avanti cominciando
a digitare lunghi, fitti e complicati codici.
“Vi sto sistemando le cose, in modo che sia già
tutto pronto...” Mormorò
concentrata.
L'inglese la osservò silenzioso. In quei momenti rimpiangeva
il fatto di non
essere un lottatore come – magari – era Demetrio.
Lui sarebbe dovuto stare lì,
dietro le quinte, senza poter aiutare Rebecca. E se le fosse successo
qualcosa?
E se qualcosa fosse andato storto? Lui non sarebbe potuto intervenire.
“Voi dovrete solo infilare questo disco ed attendere che il
virus si carichi al
100%.” Disse la mora, tirando per l'appunto fuori un
dischetto, poggiandolo
sulla tastiera. Guardò prima Alice, poi Shaun.
“Attenzione però: saremo noi a dirvi quando farlo,
ci penserò io a
comunicarvelo. Se lo metteste troppo in anticipo potrebbe essere un
problema:
se ne accorgerebbero e cercherebbero subito di sistemare il problema,
tagliandoci fuori... Se al contrario ritardaste troppo potremmo avere
problemi
noi all'interno, chiaro?” Li guardò. I due
annuirono.
“Bene. Dentro la custodia vi ho scritto tre codici di
sicurezza: sono quelli
che vi chiederà via via caricherete il virus, dovrete solo
inserirli.”
“D'accordo, va bene.” Annuirono.
“Ehmm...” La mora alzò un attimo lo
sguardo in alto, meditante, riflettendo
bene e cercando di vedere se li avesse messi a conoscenza ed in guardia
di
tutto quanto.
“Credo sia tutto..” Concluse poco dopo.
“Rebecca! Andiamo?!” Si sentì la voce
dell'italiano da fuori.
“Sì arrivo!” Rispose lei. “Mi
raccomando ragazzi: quando ve lo dico io.. E non
dormite: dovete essere veloci! Ci vediamo dopo.”
Proprio quando fece per allontanarsi, Shaun – che fino a quel
momento era stato
imbambolato ad osservarla ed ascoltarla – la fermò
per un braccio.
La mora lo si voltò e lo guardò.
“Cosa..? Che c'è? Qualcosa non ti è
chiaro?”
Domandò sbrigativa.
“No, tutto chiaro. Volevo solo dirti... Di fare attenzione...
Sì, sta attenta,
d'accordo?”
Rebecca incrociò il suo sguardo, nei suoi occhi
poté leggere una velata
preoccupazione e – dovette ammettere – che
ciò le scaldò il cuore.
Sorrise ed annuì. “Non preoccuparti.”
Rispose prima di raggiungere velocemente
gli altri.
Desmond era sopravvissuto a quella
tortura... Era stato
orribile. Quando si era ritrovato lì, sul lettino a soffrire
come un cane,
aveva realmente pensato di preferire l'oblio, la morte.
La notte trascorsa non era stata migliore: aveva riportato le
conseguenze di
quelle terribili crudeltà. Il corpo era dolorante, i brividi
percorrevano il
suo corpo mentre si era ritrovato a fronteggiare il senso di nausea
molte
volte, il più delle quali aveva finito per vomitare tutto
quello che v'era
presente – ed anche ciò che invece non v'era
– nel suo stomaco. Assieme a tutto
ciò si erano aggiunti anche forti dolori addominali causati
dallo sforzo di
rimettere tutte quelle volte, persino quando dentro al suo corpo non
v'era più
nulla, rendendolo talmente esausto da crollare nel letto.
Quando il sole sorse, lui nemmeno se ne accorse: era chiuso in quella
stanza
dov'era impossibile comprendere che ora del giorno – o della
notte – fosse.
Tuttavia gli effetti 'collaterali' provati durante la nottata erano
spariti,
lasciando spazio ad una immensa debolezza. Il fatto che si sentisse
meglio gli
diede la sensazione di aver dormito molto e che – quindi
– a breve sarebbero
ricominciate le sofferenze.
Il giovane era raggomitolato in posizione fetale sul letto, privo di
energie.
Aveva fissato un punto indefinito di fronte a sé per un
tempo indefinito. Solo
quando socchiuse gli occhi, qualche istante dopo, sentì dei
rumori dalla stanza
adiacente, dei passi. Non aveva idea di come sarebbe riuscito ad
affrontare
un'altra giornata simile, doveva escogitare velocemente qualcosa.
La porta dello stanzino si aprì.
“Desmond..?” La voce fin troppo familiare di Lucy
arrivò alle sue orecchie, ma
questa volta non riuscì ad associarla a nulla di positivo.
“Desmond, sbrigati! Alzati!” Continuò
Lucy con voce bassa e cauta.
Il ragazzo solo a quel punto riaprì gli occhi, volgendo
appena il capo e
vedendo la donna bionda – in camice – con in
braccio i suoi vestiti ripiegati.
L'americano aggrottò la fronte, dando vita al suo volto con
un'espressione
confusa.
“Devi sbrigarti Desmond, sono quasi le dieci. Alle dieci e
mezza inizia le
seduta dell'Animus e se non ti dai una mossa mi farai
scoprire.” Disse lei
osservando il volto sbattuto del ragazzo... Era anche colpa sua, di
certo non
se la stava passando bene.
“Cosa..?” A quel punto l'Assassino si
tirò su seduto. “Vuoi dire che mi
aiuterai ad uscire di qui?”
Lucy schiuse appena le labbra, poi scosse il capo avvicinandosi al
letto e
lasciandovi i suoi vestiti. “No, per quello dovrai cavartela
da solo.. Ora
cambiati, forza.” Disse prima di dargli le spalle, in modo da
non guardarlo.
“Perché stai facendo tutto questo?”
Domandò a quel punto Desmond, alzandosi in
piedi. Si sentì debolissimo e per un istante la stanza
cominciò a girare
vorticosamente, tanto da costringerlo a portarsi una mano al capo e a
socchiudere gli occhi un istante. Quando passò, poi,
cominciò a spogliarsi per
mettersi i suoi vestiti.
Che cosa avrebbe potuto rispondergli Lucy? Perché non
approvava i loro metodi?
Perché provava dei sentimenti per lui e non si sarebbe mai
perdonata se gli
fosse accaduto qualcosa?
Il ragazzo non ricevette risposta, dunque proseguì.
“Pensi ancora che i
Templari siano nel giusto, Lucy? Pensi che ciò che mi hanno
fatto..”
“Desmond, non si tratta di giusto o sbagliato. Si tratta di
cos'è meglio per il
mondo intero e tu dovresti saperlo.” Lo interruppe lei.
L'Assassino la guardò corrucciato. Finì di
chiudersi i jeans e – dopodiché – si
sedette sul letto per infilarsi velocemente le scarpe.
“Dov'è il mio zaino? La lama celata?”
La ragazza a quel punto si voltò. “Non... Non ne
ho idea. Sei arrivato qui solo
con i tuoi vestiti.”
“Perfetto.. E come uscirò da qui senza nemmeno
un'arma? E la Mela? Dov'è la
Mela?” Chiese una volta finito di allacciarsi le scarpe. Si
alzò nuovamente in
piedi, battendo il tacco e la punta della scarpa sul pavimento, per
sistemarla
meglio.
“Ce l'ha Berg, la tiene con sé.”
Desmond le si avvicinò, fermandosi di fronte a lei.
“L'avevo vista nel suo
ufficio, sei sicura che non la tenga lì?”
“Quando c'è la tiene lì, quando non
c'è la porta con sé... Ed oggi non
c'è.”
“Quindi... Mi stai velatamente dicendo che devo tornare qui,
a riprenderla.”
“Non ti sto dicendo nulla, Desmond. Anzi, se fosse per me ti
direi di stare il
più lontano possibile da qui.. Di sparire.”
Mormorò lei con un tono velato di
tristezza. Evitò il suo sguardo.
“Lo sai che non posso farlo... Non ho scelto io di ritrovarmi
catapultato in
questa guerra, ma ormai ci sono e non posso più tirarmi
indietro. Se prima non
era una mia scelta, ora lo è. Non posso permettermi di
mandare tutto all’aria.”
Rispose continuando a guardarla.
Lucy serrò appena le labbra ed annuì, poi
sospirò, incrociando nuovamente il
suo sguardo. “Allora… Buona fortuna,
Desmond.”
“... Perché non vieni via con me..? Questa volta
sul serio, come mia alleata..”
Le calde mani del ragazzo raggiunsero le sue guance, mentre i pollici
le
accarezzarono delicatamente le goti.
Desmond l'aveva capito che Lucy non era una cattiva persona...
Chissà quali
idee le aveva messo in testa Vidic. Forse aveva solo bisogno di
qualcuno che le
facesse aprire gli occhi e vedere realmente come stavano le cose.
“Desmond..” Mormorò la ragazza, restia,
poggiando una mano sul suo polso,
sfuggendo nuovamente ai suoi occhi.
“Lucy, guardami.” La intimò lui,
“Vuoi sapere cos'è successo al tempio? E'
vero, non si tratta più di cosa sia giusto o sbagliato... Si
tratta di cos'è
meglio per il mondo intero. Potevo scegliere se far perire l'intera
umanità o
se salvarla ma ponendola sotto la minaccia di Giunone. Siamo qui... E
siamo
salvi, per ora. Forse un Assassino avrebbe seguito il consiglio di
Minerva, non
ci avrebbe posti sotto la tirannia di Giunone. Un Templare lo avrebbe
fatto...
Non si tratta più di chi è buono o chi
è cattivo, si tratta di trovare un
giusto equilibrio nelle cose. In tutte le cose.”
La ragazza mosse un passo indietro. In realtà aveva
ragione.. E come la diceva
lui faceva sembrare il tutto più semplice, ma nella
realtà dei fatti non era
così.
“Vai Desmond... Tra poco verranno gli altri, se non ti
sbrighi ti troveranno.
Buona fortuna.”
“Ne avrai bisogno più tu che io.” Fu la
risposta del ragazzo, prima di ritirare
le mani e raggiungere la porta.
I cinque Assassini erano di fronte la struttura. Non c'era altro modo
di
entrare se non dall'entrata principale, avevano studiato vari piani ma
– purtroppo
per loro – quello parve essere il migliore, seppur ancora
sembrasse un
suicidio.
Mentre salirono gli scalini che li dividevano dalla struttura, Rebecca
si mise
in contatto con i due Assassini nel furgone.
“Stiamo entrando. Caricate il virus.”
Mormorò.
“Ricevuto. Buona fortuna.” Sentirono
la voce di Shaun.
“Fate attenzione.” Subito dopo
quella di Alice.
“Entriamo e ci dirigiamo all'ascensore... Vorrei fosse
così semplice e che non
accada nulla, ma sicuramente ci fermeranno e ci riconosceranno:
Giuseppe e
Giovanni, voi creerete un diversivo mentre io, Rebecca e Demetrio ci
precipiteremo all'ascensore e raggiungeremo i piani alti. Non appena vi
sarete
sbarazzati degli agenti, raggiungeteci.”
“Certo Maestro, come vuole lei.” Risposero i due
giovani Assassini.
“Mi raccomando: collaborazione.” Furono le ultime
parole di William prima di
varcare la soglia e ritrovarsi all’interno della struttura.
“Il virus è al 100%, i sistemi di
sicurezza e le telecamere di sorveglianza
sono fuori uso... Almeno per un po'. In bocca al lupo
ragazzi.”
L'atrio della struttura era ampio e luminoso, per via delle grandi
vetrate.
Destino volle che quel giorno sembrava essere anche parecchio
affollato. Se la
fortuna fosse stata dalla loro parte, ci avrebbero messo un po' prima
di
individuarli.
I cinque Assassini continuarono a camminare calmi, dividendosi di tanto
in
tanto per confondersi con le persone. Fu nel momento in cui superarono
la
reception ed arrivarono al corridoio, il quale portava all'ascensore ed
il
quale era costeggiato dai due laboratori – in quel giorno
pieni di scienziati –
che iniziarono i primi problemi. Un agente sembrò
adocchiarli, continuando a
seguirli silenziosamente con lo sguardo, a loro insaputa.
Tirò fuori la
ricetrasmittente e comunicò con i suoi compagni.
Difatti, quando gli Assassini arrivarono all'ascensore, un agente si
avvicinò a
loro, guardandoli con fare sospetto.
“Ehi voi, dove state andando? Non potete proseguire senza un
permesso accordato
dal signor Berg.”
I ragazzi si lanciarono uno sguardo, sottecchi, e fu in quel momento
che
Giuseppe, il più vicino all'agente, si voltò
verso di lui avvicinandosi di
qualche passo, con un sorrisetto sghembo.
Proprio quando il soldato cominciò a sospettare e a portare
una mano al
manganello, il giovane Assassino era ormai troppo vicino e –
in un gesto
calcolato quanto veloce – lo pugnalò dritto al
cuore. La lama lacerò la carne
senza la minima difficoltà, il sangue caldo e denso che
cominciò ad uscire a
fiotti dalla ferita, imbrattando il metallo della lama e le vesti del
ragazzo,
il quale poté vedere dai suoi occhi la vita defluire, i suoi
ultimi istanti, ed
il corpo afflosciarsi tra le sue braccia.
Giuseppe tentò di tenerlo in piedi per non destare troppi
sospetti, ma quando
il sangue cominciò a colare fino al pavimento, formando una
chiazza di sangue
scuro, uno scienziato sembrò accorgersi di tale
anormalità e – spaventato –
cominciò a gridare.
Solo qualche istante dopo si poté sentire uno scalpiccio di
passi veloci, il
panico e le urla, i nemici sempre più vicini.
Fu in quel momento che il giovane Assassino spinse il corpo dell'agente
a
terra, senza più remore, aguzzando tutti i sensi come anche
i suoi compagni
fecero.
Era guerra.
___________________________
Angolo Autrice:
Poche
parole: ringrazio Ladyjessy e Lightning00 per le recensioni all'ultimo
capitolo... E' bello vedere che qualcuno sia ancora interessato alla
storia! *-*
Grazie, grazie, grazie!!!
Chiunque nuovo, ben venga! Non fate i timidi e fatevi sentire! :P Fa sempre piacere una recensione (critica o meno che sia) e poi su: a Natale siamo tutti più buoni! Facciamocelo un regalo! :P
Ci vediamo al prossimo capitolo e ne approfitto per augurarvi buone
feste!
Un bacione!!!
|
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Capitolo 12 *** Escape ***
12. Escape
Desmond
uscendo dalla sala dell'Animus si rese conto di
trovarsi al ventunesimo piano. Bene: non ricordava pienamente la
struttura e la
via per l'uscita semplicemente perché, quando era fuggito la
prima volta, si
era limitato a seguire Lucy.
Trovò via libera così corse fino all'ascensore,
spinse il tastino e le porte –
grazie al cielo – gli si aprirono di fronte.
Fu quando entrò nell'ascensore, però, che ci fu
una brutta sorpresa:
quell'ascensore scendeva solo fino al decimo piano, quindi avrebbe
dovuto
raggiungere un secondo ascensore che dal decimo piano lo portasse fino
all’atrio.
Sospirò e poi spinse il numero '10' sul tastierino: le porte
gli si chiusero di
fronte e la cabina cominciò a scendere.
Il reale problema – in quel momento – era che
Desmond si ritrovava disarmato:
non aveva con sé né la lama celata né
il suo zainetto e – a dirla tutta – non
si sentiva affatto bene. Era ancora provato da quella sottospecie di
sessione
di Animus del giorno prima.
Non appena le porte gli si aprirono di fronte si ritrovò
davanti due agenti
Abstergo: i sensi gli si aguzzarono all'istante mentre
sferrò un pugno sul viso
di uno, per prendere tempo, mentre poi con la stessa mano, la sinistra,
afferrò
l'altro da dietro la nuca e lo proiettò contro il suo
ginocchio.
L'uomo cadde a terra stordito mentre l'altro aveva già
provveduto a tirare fuori
la pistola.
Desmond gli afferrò il polso per deviare la traiettoria del
proiettile in caso
avesse sparato, dopodiché sfruttò quel momento di
stasi completa per sferrargli
un bel calcio sulle parti basse e – notando che non voleva
mollare la presa – ne
seguì subito un altro.
Fu a quel punto che il soldato lasciò la pistola, costretto
dal dolore ad
incurvarsi appena e così – non appena Desmond
prese il controllo dell'arma –
gli diede una botta secca sulla nuca con il calcio della pistola,
tramortendolo.
D’altro canto se Desmond si era ritrovato a raggiungere solo
il decimo piano
con l’ascensore, per Demetrio, Rebecca e William fu
l’inverso: lasciarono
Giuseppe e Giovanni di sotto, a fronteggiare gli agenti Abstergo mentre
loro
salirono ai piani superiori, fino al decimo.
Non appena si aprirono le porte, comunque, c’era da
aspettarselo: un’orda di
agenti erano lì ad attenderli.
“Forza ragazzi.” Li spronò William,
prima di partire all’attacco: si precipitò
contro quello direttamente di fronte a lui il quale tentò di
colpirlo con il
randello. In quel momento il mentore capì che non aveva armi
da fuoco e – di
certo – la cosa era a suo vantaggio. Si piegò
fulmineo, evitando il colpo, e
nello stesso momento allungò la mano lacerandogli lo stomaco
da parte a parte
con la lama celata.
In un attimo il corpo del templare si accasciò al suolo,
William ne approfittò
per appropriarsi della sua arma e fronteggiare gli altri due soldati
che erano
arrivati alle sue spalle.
Anche Rebecca e Demetrio avevano seguito l’esempio del
Mentore, scagliandosi
contro i nemici. L’Italiano si assicurava sempre con un
occhio che la ragazza
stesse bene e non corresse alcun rischio.
La moretta, dal canto suo, non se la cavava male nel corpo a corpo,
anzi!
Tuttavia un attimo di disattenzione le costò caro: non
appena mandò a terra
l’ennesimo uomo sentì una forte percossa contro il
fianco destro. Le mancò il
respiro per un istante e prima che potesse fare qualsiasi altra cosa il
Templare la calciò dietro le gambe, costringendola ad
inginocchiarsi.
Solo un lieve e frettoloso movimento della ragazza, per tentare di
sbrogliarsi
da quella situazione, e poté sentire la canna della pistola
poggiarsi contro il
suo capo.
“Non così in fretta.” La
minacciò l’uomo alle sue spalle.
Proprio in quell’istante sia Demetrio che William diedero il
colpo di grazia ai
loro rispettivi nemici, si voltarono verso il corridoio e videro la
scena:
Rebecca in ginocchio e l’ultimo soldato che li teneva tutti
quanti in pugno.
“No..!” Gridò Demetrio, facendo per
avvicinarsi.
Il Templare spinse ulteriormente la canna della pistola contro il capo
della
mora, la quale strinse gli occhi e gemette appena.
William
portò un braccio davanti il giovane, a bloccarlo.
Probabilmente se avesse fatto un altro passo ancora, quel bastardo
avrebbe
ritinteggiato le pareti del corridoio con il cervello di Rebecca.
“Non vi muovete.” Li intimò lui, con un
sorrisetto sghembo sul volto.
Proprio in quell’istante, però, il caso volle che
a far capolino dall’angolo
opposto del corridoio – alle spalle del Templare –
vi fosse Desmond. Aveva
sentito dei rumori non propriamente rassicuranti lungo quel corridoio e
aveva
tentato di starne alla larga quanto più poteva: non era
nelle condizioni per
combattere: sudorazione, nausea, giramenti di testa…
Tuttavia quella sembrava
l’unica via per raggiungere l’ascensore e
così fu costretto a proseguire.
Non appena svoltò l’angolo, con passo felpato,
poté ben vedere la scena:
inizialmente fu stupito di rivedere suo padre. Fu felice,
meravigliato… Ma
subito dopo comprese la gravità della situazione e come
– ancora una volta –
tutto dipendesse da lui.
Nella mano sinistra teneva ancora la pistola sottratta
all’agente tramortito
poco prima e così non ci pensò due volte:
allungò il braccio sinistro, teso,
prese bene la mira e… Bang!
Non appena il rumore dello sparo riecheggiò per il piano,
Rebecca sussultò e
strozzò un gridolino in gola, portandosi entrambe le mani
alla bocca. Gli occhi
rimasero stretti, serrati, per alcuni istanti. Era ancora viva! Il
Templare non
aveva premuto il grilletto? Allora chi aveva sparato?
“Desmond!!!” Esclamò allora William,
raggiungendo il ragazzo.
Rebecca fu così spaventata che non si rese neppure conto del
tonfo sordo del
corpo dell’uomo alle sue spalle. Demetrio si
apprestò a raggiungerla, aiutandola
così ad alzarsi. Non appena la mora si voltò
poté scorgere la figura familiare del ragazzo.
Era vero! Desmond era
ancora vivo!
William gli si fermò di fronte, poggiandogli le mani sulle
spalle.
“Desmond..! Sei salvo.. Grazie al cielo.”
Commentò, stringendo le mani.
Il ragazzo sorrise appena poi deglutì e sentì un
mancamento il quale William
riuscì a colmare sorreggendolo: le gambe si afflosciarono
sotto il suo stesso
peso, lasciando che crollasse giù, il padre gli
passò un braccio attorno alla vita,
tenendolo.
“Ehi..?” Gli afferrò il viso con una
mano, scuotendolo appena.
“S-sì.. Sto.. Sto bene..” Rispose il
ragazzo, riacquistando lucidità un attimo
dopo, riuscendo nuovamente a reggersi in piedi, seppur precariamente.
Anche Rebecca si avvicinò, notando il volto sbattuto del
compagno ed il
colorito piuttosto pallido.
“Des..” Gli sorrise appena.
A quel punto sopraggiunse anche l’Italiano. “Non
vorrei rovinarvi il momento,
ma credo sia ora di muoversi: se saremo fortunati Giuseppe e Giovanni
saranno ancora
giù ad occuparsi degli altri agenti e probabilmente avremo
la strada aperta..
Più o meno.”
Rebecca annuì, dopodiché diede una mano a William
per sorreggere Desmond,
lasciando che il ragazzo le passasse un braccio attorno alle spalle.
I quattro Assassini tornarono nell’ascensore, schiacciando il
tasto del pian
terreno.
“Avanti Des.. Ci siamo quasi. E’ tutto
finito.” Gli disse piano a quel punto
William.
Il ragazzo teneva il capo basso, gli occhi socchiusi, cominciava a
sentire
suoni, rumori, profumi e voci che non erano reali e questo lo sapeva
bene.
Nonostante tutto cercava di contrastare quel senso di straniamento con
tutte le
sue forze.
“La.. La Mela.. E Lucy..” Mormorò.
“Non adesso Desmond. Lucy… Sta bene
dov’è.” Rispose Rebecca con un
po’ di rammarico.
“E la Mela.. Sai dov’è la
Mela?” Domandò allora William.
“.. C-ce l’ha Berg..”
“Chi?”
“.. Non è q-qui..” Si limitò
a dire il ragazzo, tagliando corto, per non
doversi dilungare troppo in spiegazioni.
“Non possiamo lasciare la Mela nelle mani dei
Templari!” Commentò Demetrio.
“No, non possiamo… Ma non possiamo nemmeno
rischiare in questo momento.”
Rispose il Mentore.
“Non è qui.. La Mela. S-sarebbe folle rimanere a
cercarla..” Biascicò
l’americano, in preda a delle terribili fitte alla testa.
“Tornerò a
prenderla..” Concluse.
“Non se ne parla Desmond.” Lo ammonì il
padre, solo un istante prima che le
porte si aprissero di fronte ai loro occhi: v’erano decine e
decine di agenti
Abstergo a terra e – tra di loro – anche il corpo
esanime di Giuseppe.
Giovanni era ferito e – con le ultime forze – stava
cercando di respingere
altri Templari.
“Merda!” Esclamò a quel punto William,
lasciando che fosse solo Rebecca a
sorreggere Desmond.
“Rebecca, porta Desmond dagli altri! Demetrio, con
me!” Ordinò, prima di uscire
fuori dall’ascensore e raggiungere Giovanni, il quale stava
per incassare
l’ennesimo colpo, ma William lo evitò:
allungò il braccio ed il meccanismo
della lama celata scattò, trafiggendo il Templare
– di fronte al giovane –
nella trachea.
“G-Giuseppe.. L’hanno ucciso! Quei
bastardi!” Biascicò Giovanni.
“Dai Desmond, ci siamo quasi..!” Lo
incitò Rebecca, tentando di tenerlo su e
condurlo al furgoncino. Riuscirono ad uscire senza problemi, arrivando
fino
alla scalinata… Ma fu lì che cominciarono i guai.
“Shaun, Alice, mi ricevete??” Chiese la Mora,
faticando non poco a portarsi
dietro l’Americano.
“Rebecca, che succede? Lo avete
trovato?”
Sentì la voce di Shaun, che si trovava solo a
pochi isolati da loro,
arrivargli attraverso l’auricolare.
“Sì Shaun, siamo fuori, stiamo arrivando.. Ma
Giuseppe credo che.. Che non ce
l’abbia fatta. Vi sto raggiungendo con Desmond. William e
Demetrio sono ancora
dentro.”
”Mh. Speriamo si muovano.”
Rispose
l’Inglese, il quale non seppe cosa dire riguardo alla notizia
di Giuseppe.
Di fronte la scalinata v’era una Mercedes nera, dai vetri
oscurati. Era
parcheggiata proprio lì, Rebecca non seppe dire se fosse
appena arrivata o era
lì da un pezzo. Certo era che – non appena la
portiera si aprì – si rese conto
che era fonte di guai.
Mise piede dall’ultimo scalino al marciapiede, assieme a
Desmond, notò poi la
figura di un uomo uscire dall’automobile e prima che potesse
fare qualsiasi
cosa, questi puntò una pistola contro i due, solo a pochi
metri di distanza.
“Merda..!” Esclamò la mora.
“Fine della corsa, Soggetto Diciassette.” Disse il
biondo, e Desmond poté
riconoscere la voce di Otso Berg. Solo un istante dopo scesero altri
due
uomini, armati.
“Desmond!” Lo corresse ringhiando, Rebecca. Non era
un Soggetto, era una
persona!
“Rebecca, che succede?” Domandò
allarmato Shaun.
Il biondino sorrise. “Ma certo, Desmond, come
preferisci!”
L’Americano a quel punto alzò il capo, gli girava
vorticosamente la testa ma
riuscì a concentrarsi su di lui. Aveva ancora stretta nella
mano sinistra la
pistola, come se fosse il gioiello più prezioso, ma Juhan
sembrò intercettare
le sue intenzioni.
“Mollala.. O vi faccio saltare la testa! Ti ho detto che non
sono un tipo che
scherza, ragazzino.”
Solo qualche attimo dopo uscirono dalla struttura anche William,
Demetrio e
Giovanni, trafelati e provati dagli scontri con gli agenti Abstergo che
sembravano non finire mai. Non appena arrivarono a metà
della scalinata, però,
notarono cosa stesse accadendo. Allungarono il passo, raggiungendo gli
altri
due compagni.
“Ahh, ma come siete audaci! Tutti in gruppo, ma che
bravi!” Si fece beffe di
loro Berg.
“Sarà meglio per te che ti faccia da
parte.” Disse William, cercando di
mantenere la lucidità. Erano in una situazione di merda.
“Ah sì? Sennò che cosa fate? Dubito che
tu sia nella posizione di darmi ordini,
Assassino! Sono io che tengo il coltello dalla parte del manico..
Lasciate il
Soggetto Diciassette qui, da bravi, e forse avrò
pietà di voi.”
Le persone che erano per strada e che avevano assistito alla scena o
che
avevano sentito il trambusto da dentro la struttura cominciarono a
fuggire
terrorizzate.
“Non ci penso nemmeno.. E poi sappiamo bene che non gli
spareresti. Ti serve.”
Aggiunse William.
Juhan sorrise. “Arguta osservazione. Lui
sì…” Ma poi spostò la mira
verso
Rebecca. “Ma lei… Lei no.”
Demetrio sentì il sangue gelarglisi nelle vene.
“A-andate via..” Biascicò Desmond.
“Non se ne parla.” Sussurrò Rebecca a
quel punto.
“Non avete altra alternativa.” Li intimò
il biondo.
Gli occhi di Demetrio e di Giovanni si spostarono sul Mentore, il quale
guardò
Rebecca e Desmond poco di fronte a loro: non poteva permettersi di
perdere
anche Rebecca per tentare un azzardo.. Ma non poteva neppure lasciare
Desmond
nelle loro mani, così – poi – in quel
momento che sembrava più indifeso che
mai.
“Allora..?” Domandò Berg, facendo cenno
ai suoi due uomini di avvicinarsi.
“Allora io credo che dovresti lasciarli andare..!”
Si sentì una voce, fin
troppo familiare, in cima alla scalinata.
Juhan alzò lo sguardo, così anche William,
Demetrio e Giovanni volsero appena
al capo, seguiti da Rebecca. Desmond riuscì a riconoscerla
senza neppure
voltarsi a guardarla: Lucy..! Ma era matta? Voleva farsi ammazzare?
La biondina teneva la pistola puntata contro il capo dei Templari, da
lì sopra.
Il suo camice bianco svolazzava a seconda del vento.
“Lo sapevo..!” Ringhiò stizzito il
Templare. “Sei una traditrice, Stillman!”
La ragazza deglutì, tenendolo sempre sotto tiro, scese un
paio di scalini. “E’
ora di finirla. Li lasci andare.”
“Cosa credi di guadagnarci, eh? Sei finita!” Disse
allora lui, collerico.
“La consapevolezza di aver fatto una giusta azione.. E di
sperare nel perdono.”
Rispose Lucy.
Tutto ciò aveva dell’incredibile. La situazione si
era completamente – o quasi
– ribaltata.. A meno che non fosse un altro dei loro
giochetti.
“Lasciali andare.” Disse una volta arrivata accanto
a Desmond e Rebecca.
“Ma sei matta? Ti farai ammazzare..!”
Bofonchiò Rebecca titubante. Stava
facendo sul serio?
“N-non se.. Se verrà con noi..” Disse
Desmond con un filo di voce.
“E’ fuori discussione!” Si intromise
William.
“Già, è fuori discussione.”
Gli fece l’eco Juhan, spostando poi lo sguardo
verso Lucy che sembrò abbastanza minacciosa con quella
pistola, puntata su di
lui.
“Non ho niente da perdere. Ci metto un istante a premere il
grilletto.”
Aggiunse la bionda.
Berg capì bene che se Lucy avesse premuto il grilletto, i
suoi uomini avrebbero
fatto lo stesso. Il Soggetto Diciassette sarebbe rimasto
all’Abstergo ma.. Lui
stesso probabilmente sarebbe morto, e non aveva assolutamente nessuna
voglia di
morire! Così sembrò pensarci sopra: avrebbero
potuto trattare.
“E va bene.. Ho perso. Una battaglia, non la guerra. Badate
bene. Potete andare
Assassini, ma la biondina rimane qui con me..”
Guardò Lucy.
Desmond rivolse un’occhiata alla ragazza, la quale
ricambiò ed annuì.
“N-no.. P-papà, dobbiamo portarla con
noi..!” Si agitò.
“Desmond, andiamo via. Ci è andata fin troppo
bene.” Rispose William. Tutta
quella situazione non gli piaceva: sembrava troppo semplice.
Poggiò una mano
sulla schiena di Rebecca, intimandola ad avviarsi, poi fece cenno a
Giovanni e
Demetrio lo stesso. Lui si avviò per ultimo, continuando a
guardarsi alle
spalle.
Juhan osservò il Mentore allontanarsi. Abbassò la
pistola, notando di essere
ancora sotto il tiro della ragazza. Probabilmente Lucy voleva
assicurarsi di
vederli sparire all’orizzonte prima di rassegnarsi al suo
triste destino.
Ad ogni modo il Templare non era stupido: aveva ben capito cosa vi
fosse tra i
due. C’era qualcosa.. E Desmond sarebbe sicuramente tornato a
‘salvarla’ o –
per lo meno – sarebbe tornato per la Mela.
“P-papà.. N-non possiamo lasciarla..”
Biascicò Desmond, il quale si reggeva
ancora a Rebecca, volgendo il capo di tanto in tanto. Erano ormai
vicini al
furgone.
“Non si discute. Comando io qui.” Ed era vero.
Forse far sentire la sua
autorità era l’unico modo, in quel momento.
Già avevano perso Giuseppe, sarebbe
stato folle.
Shaun era di fronte al furgoncino che passeggiava avanti e indietro
nervosamente, non aveva più sentito Rebecca e si stava
chiedendo se fosse
giusto andare a vedere cosa fosse accaduto. Si sentì
sollevato quando li vide
avvicinarsi assieme al ragazzo… E si sentì ancor
meglio notando che Rebecca
stesse bene.
“Metti in moto, di corsa, andiamo via!”
Ordinò William, mentre gli altri
salirono sul retro del furgone. Aveva un brutto presentimento, e se li
avessero
seguiti?
“.. E.. Giuseppe?” Domandò Alice, una
volta che Demetrio e Rebecca lasciarono
che Desmond si sedesse sul sedile posteriore. Giovanni la
guardò, scuotendo
appena il capo con un’espressione grave sul volto.
Un attimo dopo anche William fu sul furgoncino, chiusero tutte le porte
e
partirono.
____________________________________
Angolo Autrice:
Ta-daaan! Eccoci qui con il
nostro appuntamento settimanale!
Innanzitutto chiedo
venia se dovesse esservi qualche errore: la prima volta ho letto e
corretto, però poi per sbaglio non ho salvato e ho dovuto
rileggerlo e correggerlo una seconda volta, speriamo in bene!
Seconda cosa: chiedo
venia alla seconda, le scene d'azione non sono il mio forte e credo si
noti u.u non mentite!
E... Niente! Vi lascio
al capitolo! :)
Volevo ringraziare
tutti quelli che hanno recensito: Lightning00,
MaryQueen999, SlytherinSoul e maria98.
Ringrazio anche cartacciabianca
che ha
iniziato a seguire la mia fic e per le tre recensioni lasciate ai
capitoli precedenti :)
Vi ringrazio, non mi
aspettavo di trovare tutto questo calore al mio ritorno *o*
Beh, visto che l'altra
volta vi ho fatto gli auguri di Natale, quest'oggi vi faccio quelli per
un buono e sereno anno nuovo! :D
P.s.
Se ci fosse qualche
fan di Mass Effect, tra di voi, vi lascio il link di una one-shot
scritta ieri, chissà se anche tra di voi c'è
qualcuno in - ormai - fissa quanto a me con questo gioco! :P
http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2364607&i=1
Al
prossimo capitolo e... BUON
ANNO!!! <3
|
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Capitolo 13 *** Nightmare ***
13. Nightmare
Desmond stesso
si stupì di quanto riuscì a dormire.
Nonostante all’Abstergo l’avessero tenuto
costantemente sotto sedativi,
probabilmente i suoi sonni non erano stati così rilassati e
tranquilli da
fargli recuperare le energie. Difatti, il ragazzo, si
svegliò solo nel tardo
pomeriggio del giorno successivo.
Non appena riaprì gli occhi, riacquistando lentamente
coscienza, sentì il capo
pesante per le lunghe ore di sonno che si era concesso. Tuttavia,
seppur
rintronato, trovò piacevole risvegliarsi in un luogo non
ostile.
Con questo pensiero si alzò dal letto e raggiunse il bagno.
Durante il tragitto
sentì un parlottare sommesso ed attutito dalle mura mentre
riuscì a riconoscere
anche il rumore di una televisione accesa, probabilmente sintonizzata
su
qualche telegiornale, stando alle poche parole che riuscì a
carpire.
Il ragazzo però proseguì dritto, diretto al
bagno, si sarebbe preoccupato dopo
di quello che stava accadendo al piano di sotto.
Nella sala da pranzo, attorno al tavolo, erano presenti Rebecca, Shaun,
William
e Demetrio.
L’inglese stava sorseggiando una tazza di tè, il
quale non aveva nulla a che
vedere con quello che era solito bere nella sua patria:
dall’aroma inebriante e
dal gusto intenso.
Gli altri stavano stuzzicando qualcosa nell’attesa che la
cena fosse pronta.
Erano quasi le sette e fuori era buio.
Seppur in un clima tranquillo, gli Assassini stavano parlando di
qualcosa di
serio ed importante: da una parte si ritrovavano l’Abstergo
ed i Templari alle
calcagna, dall’altra invece aleggiava ancora il mistero
riguardo la minaccia di
Giunone che però, tuttavia, sembrava essere scomparsa nel
nulla.
“E quindi? Cosa si fa?” Domandò il
giovane italiano.
“Continuiamo ciò che facciamo da sempre: lottiamo
i Templari.” Rispose William.
“E per quanto riguarda Giunone?”
S’intromise l’inglese.
Il mentore rimase in silenzio, sembrò pensarci un
po’ su. “Non appena Desmond
si sarà ripreso ci penseremo. Magari la Mela ci
può aiutare e svelare qualcosa…
Bisogna tornare a prenderla.”
“Ora che Giunone è libera il solo il pensiero di
usare la Mela mi fa
rabbrividire.” Mormorò Rebecca.
“Dopotutto era attraverso i frutti dell’Eden
che si mettevano in contatto con gli antenati.. E con
Desmond.”
“Ehilà, ragazzi..!” Esordì
proprio il giovane tirato in causa, entrando nella
sala dall’arco principale.
Tutti si voltarono inevitabilmente a guardarlo: non avevano avuto modo
di parlargli
dopo essere tornati, il ragazzo era indebolito e spossato, decisamente
aveva bisogno
di riposare.
Notarono che le profonde occhiaie che marcavano i suoi occhi solo il
giorno
prima, erano diminuite e andavano via via sparendo. Era ancora pallido
e
debilitato, si vedeva, ma nulla che non avrebbe potuto risolvere con un
po’ di
sano riposo.
William non riuscì a contenere un lieve sorriso, fiero ed
orgoglioso di suo
figlio. Era ancor più bello vederlo nuovamente tra di loro e
poter sentire la
sua voce.
“Desmond..” Lo salutò
l’inglese, voltandosi di tre quarti in quanto il ragazzo
gli stava proprio alle spalle.
“Come ti senti?” Domandò Rebecca,
sorridendogli.
“Bene, meglio.. Grazie.” Rispose ricambiando il
sorriso. Fu inevitabile: una
sensazione di calore gli abbracciò il petto nel vivere
quella situazione di
familiarità. Si sentiva rilassato, al sicuro.
“Hai fame?” Chiese William.
Desmond si portò una mano alla pancia, rendendosi conto solo
in quel momento
che dentro v’era una voragine. Era da parecchio che non
mangiava in modo
decente: all’Abstergo non l’avevano trattato
proprio come in un albergo a
cinque stelle. L’aroma che aleggiava nel casale, proveniente
dalla cucina,
risvegliò i sensi del ragazzo ed il suo stomaco
brontolò rumorosamente.
“Direi… Direi di sì.”
Ridacchiò.
Il padre spostò la sedia accanto a lui, come per incitarlo a
sedersi, dopodiché
si alzò. “Ragazzi, devo lasciarvi. Ivan e
Francesca mi stanno attendendo in
centro. Dobbiamo occuparci di alcune cose. Demetrio, vieni con
me?”
L’italiano annuì. “Certo, Maestro. Di
che si tratta?”
“Ne parleremo strada facendo.” Rispose William,
avviandosi all’uscita e
passando accanto a Desmond, fermandosi proprio vicino a
quest’ultimo.
“Sono felice di riaverti qui con noi, figliolo.”
Mormorò con un tono di voce
più basso, poggiandogli una mano sulla spalla e stringendola.
Il giovane lo guardò negli occhi. Un lieve sorriso, poi
annuì appena come per
fargli capire che per lui era altrettanto. Le parole erano superflue,
era
ovvio.
Mentore ed Assassino lasciarono la stanza e così Desmond si
ritrovò con i suoi
due compagni d’avventura più
‘vecchi’. Si sedette al tavolo assieme a loro.
Ci fu qualche istante di intenso silenzio finché non venne
interrotto dal
brontolio dello stomaco di Desmond.
Rebecca rise. “Dai, resisti ancora un po’! A breve
la cena sarà in tavola e
oltretutto cucinano veramente bene qui!”
Proprio quando la mora finì la frase, dalla cucina si
sentì un gran frastuono,
come del pentolame cadere a terra e – subito dopo –
delle grida.
I tre Assassini si lanciarono uno sguardo fugace mentre i loro sensi si
aguzzarono e – ancor prima di accorgersene – tutti
e tre scattarono in piedi.
“Alice?!” La richiamò Rebecca,
dirigendosi velocemente verso la porta che
recava alla cucina, seguita dagli altri due.
Non appena la mora aprì la porta sussultò,
ritrovandosi di fronte un agente
Abstergo con la pistola puntata praticamente contro il suo viso, ad un
palmo
dal naso.
Fu una reazione istintiva quella di afferrare il polso
dell’uomo di fronte a sé
e storcerglielo per fargli lasciare l’arma,
dopodiché lo colpì con una
ginocchiata tra le gambe. Non appena il soldato perse
lucidità per via del
dolore provocato da quel colpo basso, la pistola cadde sul pavimento
con un
tonfo sordo e metallico. Subito dopo la mora gli rigirò
ulteriormente l’arto,
ritrovandosi alle spalle del nemico. Fu proprio in quel momento che con
l’altro
braccio pose fine alle sue sofferenze, raggiungendogli il capo e
roteandolo
verso di sé in modo da spezzargli l’osso del
collo. Il rumore che ne susseguì
fu terrificante.
La donna ebbe solo un momento per girarsi e realizzare che erano sotto
attacco
e che l’Abstergo li aveva trovati. Alle sue spalle sia
l’americano che
l’inglese erano intenti in una lotta corpo a corpo, ad armi
impari visto le
pistole e i manganelli di cui si servivano i Templari.
La mora decise di andare ad aiutare il compagno inglese, quello meno
portato
per la lotta. Seppur Desmond fosse ancora spossato ed indebolito dagli
ultimi
avvenimenti, era sicura che se la potesse cavare anche da solo.
La stanza venne ben presto riempita dai rumori di una battaglia lunga,
dolorosa
ed estenuante: i passi che strusciavano sul pavimento ruvido, i
lamenti, le
ossa rompersi, i respiri che si facevano via via più
affannati e – non meno – i
tonfi dei corpi che cadevano a terra privi di vita.
Desmond si ritrovò a fronteggiare due degli agenti: i suoi
riflessi, seppur
ancora intorpiditi, furono abbastanza pronti – come quelli
della mora – per
afferrare uno dei due nemici e ritorcergli il braccio, ritrovandosi
subito alle
sue spalle.
L’altro Templare, nell’intento di sparare
all’Assassino, colpì il collega con
il quale il giovane americano si fece scudo.
Non appena il ragazzo sentì il corpo dell’uomo
afflosciarsi tra le sue braccia
lo spinse contrò l’altro soldato di fronte a lui:
quest’ultimo, non
aspettandoselo, perse l’equilibrio e cadde a terra. La
pistola finì sul
pavimento, scivolando lontano, e Desmond approfittò del
momento per scagliarsi
contro il nemico il quale, però, seppur impossibilitato nei
movimenti per via
del corpo dell’agente defunto sopra di lui, fu abbastanza
veloce da tirare
fuori il manganello con una mano.
L’Assassino gli afferrò il polso, bloccandolo,
mentre nella sua mente
riaffiorava il ricordo delle forti scariche elettriche che aveva dovuto
sorbire
quando era loro prigioniero: decisamente non ci teneva a riviverle!
Il Templare aprì il pugno, lasciando scivolare il manganello
ed afferrandolo
poi con l’altra mano. Tentò di colpire Desmond ma
quest’ultimo riuscì a
fermargli anche l’altro polso.
I due si guardarono in cagnesco per alcuni brevi istanti che sembrarono
interminabili mentre la situazione era in completo stallo. Quando
l’Assassino
notò il fulmine che illuminò lo sguardo nel
nemico, comprese che avrebbe dovuto
agire – ed alla svelta – o da predatore sarebbe
diventato una preda.
Così il giovane non ci pensò due volte e
– alzandosi appena ma trattenendogli
comunque i polsi – gli sferrò una violenta
ginocchiata in faccia e poi un’altra
ancora. Poté sentire il viso dell’uomo ammaccarsi
sotto le sue percosse e
questi lamentarsi fin quando – continuando a colpirlo
– non sentì più nulla. Non
gli piaceva uccidere le persone in modo così brutale e
sanguinario, ma non
aveva avuto scelta.
La cucina sembrò calare in un silenzio tetro, cupo e
profondo tutto d’un tratto.
Li avevano già messi tutti al tappeto? Si era estraniato
così tanto durante la
lotta, concentrato su ciò che stava facendo, che non si era
accorto di ciò che
gli stava accadendo intorno. Venne riportato con i piedi per terra solo
qualche
attimo dopo quando – ancora sul corpo del Templare
– sentì dei singhiozzi, il
pianto di Rebecca.
Sentì il sangue gelarsi nelle vene ed ebbe quasi paura ad
alzare il capo, ma
poi lo fece e ciò che si ritrovò di fronte fu
terribile: oltre ad alcuni corpi
di agenti templari, dal lato opposto al quale si ritrovava lui,
notò Shaun
privo di sensi a terra, tra le braccia di Rebecca inginocchiata accanto
a lui.
Solo poco più in là giaceva anche il corpo di
Alice.
“No..” Sussurrò appena. Nemmeno si rese
conto di quel lieve sussurro che gli
sfuggì dalle labbra.
Si alzò e faticò a mandare giù la
saliva. Si avvicinò e – una volta che fu
lì
accanto – notò gli occhi dell’inglese
spalancati mentre un rivolo di sangue
scivolava giù dal suo orecchio ed un altro dal naso. Non
respirava.
Rebecca teneva il capo chino, i capelli scuri le coprivano il volto
mentre il
suo corpo veniva percosso dai singhiozzi.
“.. Shaun..” Mormorò il ragazzo. Gli
sembrò come se il tempo si fosse fermato,
come se tutto ciò non fosse reale… Non poteva
essere reale!
“Dannazione!” Sbraitò.
A quel punto la ragazza alzò il capo e puntò gli
occhi, carichi di odio e
risentimento, in quelli di lui.
“.. Ti stupisce..? Ti stupisce tutto questo, eh,
Desmond?!” Gli domandò con la
voce interrotta dal pianto.
“Rebecca.. Io..” Non seppe che cosa dire.
Perché gli si era rivolta in modo
così ostile? Lui.. Non era colpa sua!
“E’ colpa tua Desmond! E’ COLPA TUA! Sei
sempre tu! Accade tutto sempre a causa
tua! Perché sei tornato? Perché non sei morto in
quel cazzo di tempio?!”
Cominciò a gridargli contro, lasciando il corpo di Shaun sul
pavimento ed
alzandosi, poggiandogli le mani sul petto e spingendolo.
Il ragazzo indietreggiò appena a causa della spinta,
ritrovandosi contro il
tavolo di legno al centro della stanza. Rimase ad osservarla con
un’espressione
smarrita, le labbra schiuse ed incapace di dire qualsiasi cosa. I
Templari
erano lì per lui.. Era colpa sua se Shaun era morto? Forse
non era stato
abbastanza attento, abbastanza scaltro, abbastanza sveglio..
“Vattene Desmond..! Vattene! Tutti quelli che sono intorno a
te muoiono! Tutti!
Hai fatto abbastanza, vattene via!” Continuò a
gridargli contro Rebecca, prima
di portarsi le mani di fronte al viso e lasciandosi andare ad un pianto
violento e disperato.
Lui rimase ad osservarla per qualche istante: era stato incapace di
proteggerli, di salvare Shaun. Aveva fatto del male a Lucy a Roma e non
era
stato in grado di portarla in salvo quando lei li aveva fatti fuggire
dall’Abstergo il giorno prima.. Forse aveva ragione lei.
“Io.. Rebecca..” Allungò appena una mano
verso la spalla dell’amica,
sfiorandola, ma questa si liberò da essa ancor prima che
potesse toccarla,
dandogli le spalle.
“V-vattene Desmond.. Ti prego.. V-vattene.. E non
tornare..” Sussurrò.
La mano di Desmond rimase sospesa a mezz’aria mentre il senso
di colpa si
abbatteva su di lui come un fiume in piena. Il suo cuore sembrava
scoppiare ma
non di felicità, bensì di tristezza, di rabbia,
di sconforto, di angoscia ed
amarezza.
Ritirò la mano ed annuì appena, seppur lei non
poté vederlo. Il suo sguardo –
prima acceso dal fuoco della battaglia – si era spento, era
diventato cupo,
triste.
“Va.. Va bene.. Io.. Mi dispiace..”
Sussurrò. Fu tutto ciò che riuscì a
dire.
Non ebbe nemmeno il coraggio di guardare il corpo privo di vita di
Shaun – o di
Alice – prima di uscire dalla porta della cucina che dava
sull’esterno, lì da
dove erano entrati i Templari.
Forse Rebecca aveva bisogno di un po’ di tempo? O forse
avrebbe fatto realmente
meglio a sparire? La terra l’aveva salvata, chi aveva
più bisogno di lui ormai,
se non i Templari?
Non appena mise piede all’esterno sentì
l’aria gelida sferzargli il viso, aveva
solo la felpa e fuori faceva davvero freddo.. Ma non gli importava
nulla.
Mosse solo qualche passo verso l’angolo del casale quando
notò un altro corpo
privo di vita di un agente Abstergo. In quel momento gli si aguzzarono
tutti i
sensi ed il dubbio e l’angoscia lo colpirono come una scarica
elettrica fino al
cervello.
Con uno scatto cominciò a correre verso la parte anteriore
del casale e – non
appena superò l’angolo e l’ampia e buia
distesa gli si mostrò davanti – notò
decine di corpi sparsi per l’erba alta e bruciata dal gelo.
Sentì il cuore schizzargli in gola, l’agitazione
crescere a dismisura. No, non
era possibile! Si stava sbagliando!
“Papà?!” Lo richiamò a gran
voce, guardandosi intorno.
“PAPA’?!” Tentò ancora,
sentendo la sua stessa voce quasi strozzata in gola,
disperata, poi cominciò a spostarsi da un corpo
all’altro, fin quando il cuore
non gli si fermò nel petto: William era lì, steso
per terra, con due buchi sul
petto ed uno nello stomaco.
“Papà!!!” Lo raggiunse a grandi passi.
Si inginocchiò a terra e lo prese tra le
braccia, scuotendolo leggermente.
L’uomo respirava appena, debolmente.
“P-papà.. Ti prego.. Anche tu, no..”
Sussurrò Desmond, stringendolo. Sentì gli
occhi bruciargli ed un istante dopo gli si appannò la vista.
“.. D-Desmond..” William tossì. Sangue.
“O-ora ti.. Ti porto in città.. In ospedale..!
Andrà.. Andrà tutto bene..!” Gli
disse allora il ragazzo, tentando un tono convincente, ma le lacrime e
la sua
espressione lo tradirono.
Il mentore afferrò flebilmente il suo braccio.
“N-no..” Biascicò. “.. C-credo
che.. F-fossi già morto ma.. La tua voce…
D-Desmond io..”
“P-papà ti.. Ti prego, no..!”
Sentì le lacrime scorrere copiose lungo le sue
goti e poi giù per le guance.
“.. I-io.. S-sii.. Forte e.. R-ricorda ciò p-per
cui noi… C-combattiamo.. Io..
S-sarò con te..” Disse in un sussurro, con le sue
ultime forze, prima che la
stretta della sua mano attorno al braccio del ragazzo non si fece
più fievole,
fino a lasciarlo.
“P-papà.. N-non lasciarmi.. Ti prego.. Io ho.. Ho
bisogno di te.. Non sono
pronto a questo.. Papà..? Papà..?!”
Desmond un attimo dopo notò che William aveva smesso di
respirare. Era morto..
E con lui probabilmente lo era anche una parte del giovane ragazzo.
Sentì i suoi stessi violenti singhiozzi scuoterlo, le
lacrime che non volevano
accennare a smettere di fermarsi.
“Perché…?
Perché?!” Alzò la voce, collerico,
stringendo i pugni. Perché avevano
dovuto portarglielo via proprio in quel momento in cui le cose
sembravano
stessero pian piano cominciando a sistemarsi? Perché tutte
le persone che aveva
attorno erano destinate a morire?
“Perché non te la prendi con me, eh?!
Perché?!” Gridò alzando il capo verso
il
cielo, stringendo i pugni tanto da farsi male.
Nessuna risposta, ovviamente. Era chiaro..
Sentì quasi le forze venirgli a mancare, si sentì
svuotato di tutto, di
qualsiasi cosa, di ogni emozione positiva. Tutto lasciava spazio ad una
grande
tristezza, un’enorme desolazione.
Abbassò nuovamente il capo, poggiò le braccia sul
petto del padre e la fronte
su di esse. Sentì l’odore pungente del sangue.. E
della sconfitta.
Rimase lì fermo assieme a lui per un tempo indefinito, solo
dopo sentì dei
passi avvicinarsi. Pensò che probabilmente si trattasse di
Rebecca ma.. Dovette
subito ricredersi.
Il rumore di una pistola carica contro la sua testa, la sensazione
della canna
fredda poggiata contro la sua nuca.
“Mi dispiace Desmond.. E’ meglio che tu venga
assieme a noi, senza fare
storie.”
La voce di Lucy.. E la sensazione di essere stato preso in giro ancora
un’altra
volta.
_________________________________________
Angolo Autrice:
Ok. Di solito non vedo l'ora
di postare per sentire le vostre opinioni e leggere le vostre
recensioni.
Devo ammetterlo:
questa volta ho realmente paura!
Insultatemi,
sì, me lo merito.
Ma a tutto
c'è un perché u___u e lo capirete nel prossimo
capitolo!
So che questo non vi
rincuorerà molto, ma ci tenevo a dirvelo x°D
Sono crudele,
mooooolto crudele! I know ._.''
E... Non so che altro
dire se non che mi aspetto una valanga di insulti u.u''
Ah e buon anno a
tutti! E visto che ci siamo buona befana! x°D
Ringrazio come al
solito nel mio piccolo spazio SlytherinSoul,
maria 98 e
Lightning00
per la
recensione all'ultimo capitolo. Voi siete autorizzati ad insultarmi!
Bwhuahuahuahuah
x°D
Che dire... Al
prossimo capitolo! <3
Baci e bacini a tutti
voi!
Campagna di Promozione
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Dona l’8 % del tuo tempo alla causa pro
recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Rubata alla car'amica
Cartacciabianca, spero non me ne vorrei! La adoro!)
Detto ciò: 3... 2... 1... Fatevi sentire! ;P
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Capitolo 14 *** Wake up, Desmond! ***
14.
Wake up, Desmond!
Desmond
si svegliò di soprassalto: scattò seduto sul
letto e
sentì il cuore battere talmente forte che sembrava volergli
schizzare fuori dal
petto.
Aveva la fronte imperlata di sudore ed il respiro accelerato. Si
guardò intorno
agitato, riscoprendosi nella stanza del casale, al buio.
Si portò una mano al viso, sulla fronte, asciugandosi,
mentre la consapevolezza
che ciò che era accaduto fosse solo un brutto sogno
cominciò a rassicurarlo.
“Oddio.. Cazzo..” Sussurrò appena, tra
sé, a bassa voce. Era sembrato così
reale.. Così fottutamente vero.
Prese un profondo respiro, cercando di regolarizzarlo e sperando che il
suo
cuore smettesse di martellargli il petto a breve.
Si lasciò ricadere all’indietro con il capo sul
morbido cuscino mentre osservò
il soffitto buio della stanza, rischiarata lievemente solo dai raggi
lunari che
entravano dalla serranda, quasi completamente abbassata.
Allargò le braccia sul
letto mentre sentì la tensione accumulata durante il sonno
lentamente
scaricarsi.
Solo un attimo dopo scattò nuovamente seduto sul letto e
– ancor più
velocemente – si alzò. Si passò le mani
sul viso e raggiunse la sedia dalla
quale raccattò la maglietta, infilandosela velocemente,
dopodiché scese
velocemente al piano di sotto.
Shaun era in sala assieme a Demetrio, Rebecca e William. Stavano
chiacchierando
tra di loro in attesa della cena, stuzzicando qualcosa.
L’inglese sorseggiò dalla tazza quel tè
che nulla aveva a che vedere con quello
inglese.
“Credo sia un suicidio tornare all’Abstergo per
prendere la Mela.” Mormorò
Rebecca.
“Ma non possiamo neppure lasciarla nelle mani dei
templari.” Disse di tutta
risposta Demetrio.
William era lì in silenzio ad ascoltarli, a braccia
conserte, non fece nemmeno
in tempo a rispondere che notò Desmond fare capolino
dall’arco principale. Fu
felice di rivederlo, ma subito notò la sua espressione
scossa e sconvolta,
smarrita, quasi spaventata.
“Papà..” Disse il ragazzo, entrando
nella sala. Subito dopo tutti quanti
volsero il capo per guardarlo e notarono a loro volta il suo aspetto
così
sbattuto.
Dalla parte sua Desmond, invece, notò quella situazione
così familiare, proprio
così come l’aveva vissuta nel sogno. Shaun,
Rebecca, William e quel ragazzo
sconosciuto dalle fattezze italiane, tutti ad aspettare che si
svegliasse.
Il mentore si alzò ed un lampo di terrore percorse il volto
del giovane.
“N-no papà, dove vai?!” Gli
uscì in un mormorio, quasi piagnucolando.
William alzò appena le sopracciglia, non capendo quel
comportamento. Si
avvicinò al ragazzo.
“Ehi, Desmond.. Calmati, che ti succede? Non vado da nessuna
parte.” Gli
sorrise. Doveva essere parecchio scosso dagli ultimi avvenimenti. Gli
poggiò
una mano sulla spalla, stringendola, l’altra si
posò sul petto.
“Stai bene..?” Gli chiese. “Hai dormito
per più di ventiquattro ore..
Cominciavo a preoccuparmi.”
“Sì..” Mormorò appena, poco
convinto. “Credo.. Credo di sì. Ho fatto solo un
brutto sogno..” Commentò abbassando lo sguardo, il
quale riportò solo un
istante dopo sul padre.
“Ma.. Siamo al sicuro qui?” Domandò.
Rebecca sorrise, a quel punto si alzò anche lei e gli diede
una pacca sulla
spalla.
“Non so cosa tu abbia sognato Des, ma qui siamo al sicuro,
non preoccuparti..”
“Stavamo parlando proprio di te.. E della Mela.”
S’intromise a quel punto
Demetrio, ancora seduto.
Gli occhi di Desmond si spostarono sull’italiano,
così come quelli del Mentore
che lo fulminò con uno sguardo.
“Non è questo il momento Demetrio.” Lo
ammonì.
Il ragazzo alzò appena le sopracciglia ed alzò le
mani, in segno di resa.
“Scusate, scusate..” Bofonchiò.
Un lieve sorrisetto si dipinse sul volto di Shaun che lo nascose dietro
la
tazza di tè, sorseggiandone un po’ ancora.
“Non lo vedi? Ha bisogno di tempo, è
sconvolto.” Continuò allora William.
“Scusate!” Ripeté Demetrio,
“Non volevo mettere fretta a nessuno..!”
“Papà.. Sto bene. Tranquillo.” Si mise
in mezzo Desmond.
Will sospirò, tornando a guardarlo. “Andiamo a
prendere una boccata d’aria
prima di cena, ti va? Ti farà bene.”
Il ragazzo annuì, così i due uscirono dalla sala.
Rebecca si avvicinò nuovamente al tavolo, rimanendo in piedi
lì accanto ed
appoggiando entrambe le mani sullo schienale della sedia sulla quale
sedeva
poco prima.
“Qualcuno ha fatto incazzare William..”
Borbottò l’inglese con un velo di
sarcasmo, nascondendo ancora la bocca dietro la tazza, sorseggiando un
altro
po’ di tè.
“Shaun..” Lo ammonì Rebecca.
“Che c’è?” Domandò
il rosso indispettito, poggiando la tazza.
“C’è che dovresti smetterla di fare lo
stronzetto.” Rispose a quel punto
Demetrio.
“Eh? Oh, questa è bella..!” Shaun si
mise seduto più composto, guardando male
l’italiano. “Sennò che cosa
fai?”
“Che cosa faccio? Ti faccio passare la voglia di fare lo
spiritoso. E’ da
quando sei arrivato qui che ti comporti come ti pare, fai il
supponente, il
superiore.. Ma chi ti credi di essere?!”
“Wooh, ragazzi! Calmatevi!” S’intromise
Rebecca, guardando prima uno e poi
l’altro.
“.. Tsk. Volevo solo sottolineare che non sono
l’unico cinico qui, non sono
mica io che.. Ahhh, vabbè! Lasciamo perdere!”
Borbottò Shaun.
“Seh, lasciamo perdere.” Demetrio si
alzò, prima di avviarsi all’arco
principale e lasciare la sala a sua volta.
“Ma si può sapere che ti prende? Che cosa ti dice
quel cervello inglese?” Lo
riprese la mora.
“Cosa c’è? Che cos’ho fatto
io? E’ lui che è partito in quinta a fare il
gradasso!” Si lamentò Shaun.
“Sei proprio un’idiota..!” Disse la
ragazza prima di lasciare anche lei la
sala, lasciando l’inglese da solo.
“.. Ma qui sono tutti matti!”
William uscì fuori assieme a Desmond dopo averlo fatto
coprire bene: faceva
davvero un gran freddo fuori.
“Allora, come stai?” Domandò William al
figlio, raggiungendo la staccionata che
girava tutt’intorno al casale. Vi si appoggiò.
Desmond si strinse nelle spalle. “Adesso bene. Sono..
Finalmente libero. Chissà
per quanto.. Ma vi ringrazio per avermi tirato fuori di lì,
probabilmente non
sarei riuscito ad uscirne da solo.. Non vivo, per lo meno.”
“Sei mio figlio Desmond, cosa ti aspettavi? Che ti avrei
lasciato lì a
marcire?”
Il ragazzo scosse il capo. “No.. Ma siamo stati
fortunati.”
“Intendi.. Lucy? Non possiamo fidarci di lei, lo
sai.”
In quell’istante nella mente del ragazzo riaffiorò
il ricordo del sogno, della
fine del sogno: la pistola puntata contro il capo e la voce piatta di
Lucy.
“Forse no. Ma ci ha aiutati a fuggire.. E mi ha fatto evadere
lei dalla stanza
dove mi tenevano.” Gli confessò.
“Dici sul serio?”
“Mh-mh.” Annuì.
“E quindi? Cos’hai intenzione di fare..?”
Desmond si strinse nelle spalle, evitando il suo sguardo.
“Dovremmo pur tornare
a prendere la Mela, no? Voglio solo assicurarmi che stia bene o.. Non
so.”
“Ehi, non preoccuparti. Non pensarci adesso,
d’accordo?” Gli poggiò una mano
sulla spalla. “Abbiamo un piano B, ma tu ora pensa a
rimetterti.. Piuttosto,
come sta la tua mano?” Chiese scendendo con le dita fino
all’avambraccio,
costringendo a togliere la mano dalla tasca. Aveva ancora la fasciatura
che le
aveva fatto Lucy.
“Non ne ho ancora la sensibilità e forse.. Forse
non l’avrò mai più. A meno che
la Mela non possa aiutare anche in questo.”
William sospirò sonoramente. “Desmond mi
dispiace.. Faremo in modo di non
metterti in pericolo o di farti lottare.”
“Ma che stai dicendo?” Domandò il
ragazzo, guardandolo con un sorriso. “Non mi
fermerà una mano fuori uso! Altair usava una sola lama
celata anziché due come
Ezio. Perché io dovrei essere da meno e non riuscire a
combattere al cinquanta
per cento delle mie possibilità?”
Will sorrise. Quel ragazzo era una fonte di idee e di energia non
indifferente.
“William, puoi venire un attimo? Ci sono
novità!” Si sentì la voce di Giovanni,
il quale fece capolino dalla porta principale.
L’uomo guardò il ragazzo ed annuì.
“Arrivo!”
“Novità su che cosa..?”
Domandò Desmond.
“Ne parleremo dopo figliolo. Rientra dentro che tra poco
è pronta la cena.. E
fuori fa freddo.” Disse prima di avviarsi
all’interno del casale.
L’americano si voltò nuovamente verso la vasta
distesa di erba ed osservò la
città lontana. Si piegò appena in avanti ed
appoggiò le mani sulla staccionata.
Inevitabilmente il suo sguardo scese sulla mano fasciata e priva di
sensibilità. Sospirò pesantemente chiedendosi se l'avrebbe mai riacquistata.
“Ti fa male?” Sentì una voce alle sue
spalle.
Dal momento che Des non aveva sentito nessuno avvicinarsi, si
voltò di scatto.
“.. Oh no. Starai scherzando?!” Si
lamentò il giovane quando nel voltarsi si
ritrovò di fronte la figura di Ezio. Sembrava
così.. Reale.
“Perché continuate a tormentarmi? Non sei
realmente qui! Vattene via!” Disse
contrariato.
“Se non siamo realmente qui, perché ci rivolgi la
parola? Sembrerai un folle.”
Rispose l’arabo, giungendo qualche istante dopo e
posizionandosi accanto
all’italiano. Teneva le braccia incrociate al petto, con il
cappuccio calato
sul volto.
Desmond indietreggiò di qualche passo, finendo contro alla
staccionata. Si
poggiò una mano sul viso e si stropicciò gli
occhi.
“Ora conto fino a tre, apro gli occhi e.. Non ci sono
più. Non ci sono più..”
Si ripeté. “Uno.. Due.. Tre.”
Riaprì gli occhi e guardò di fronte a
sé: ora
invece di due erano persino tre! Si era aggiunto anche Connor! E lo
stavano
osservando alquanto sconcertati, come se fosse realmente matto.
“Oh, avanti, ragazzi! Non potete tornarvene nella parte
più nascosta e remota
del mio cervello?!”
“Non siamo mica noi il problema!”
Sottolineò Connor.
Desmond sospirò frustrato.
“Dovresti portarci un po’ di rispetto
Novellino!” Lo riprese Altair, sembrò
scocciato. “E’ solo grazie a noi se sei uscito
dall’Abstergo. Dovresti
mostrarci un po’ di riconoscenza.”
“Grazie a voi? Ma che stai dicendo? Voi mi state portando
alla follia! Ecco
cosa state facendo! Dovrei ringraziarvi per questo? Non so neppure
perché vi
sto parlando!” Disse incrociando le braccia al petto.
L’italiano sospirò e scosse il capo.
“Siamo stati noi ad incitarti a
combattere, a tirarti su, a non lasciarti andare mentre eri dentro a
quella
macchina infernale.” Gli spiegò.
“Che poi.. Ai nostri tempi tutta quella tecnologia non
c’era, vi immaginate?”
Commentò Connor.
“Parli tu.. Pensa ad Altair.” Lo corresse Ezio,
ridacchiando.
Altair lanciò un’occhiata ammonitrice ad entrambi,
dopodiché si avvicinò a Des.
Quest’ultimo tentò di indietreggiare
ulteriormente, ma non vi riuscì per via
della staccionata, così si limitò a sporgersi
indietro.
“Se noi non ci fossimo stati, dentro la tua
testolina..” Cominciò l’arabo.
Alzò
una mano e gli picchiò con l’indice sul centro
della fronte. “Chi ti avrebbe
fatto rialzare?”
“Ahia!” Si lamentò Desmond, portandosi
la mano alla fronte. Possibile che lo
avesse sentito?
“Che donnicciola!” Bofonchiò Ezio.
Desmond rimase a guardarli attonito: ora chiacchieravano ed
interagivano tra di
loro, si prendevano in giro e scherzavano.. Ma era mai possibile? Due
erano le
possibilità: o stava ancora sognando oppure stava seriamente
perdendo la
ragione.
La mano sulla fronte scivolò pianto di fronte agli occhi.
L’ultima cosa che l’americano
vide fu lo sguardo di Altair che sembrava trapassarlo. Prese un
profondo
respiro, mentre sentiva di sottofondo Connor ed Ezio parlare, forse
punzecchiarsi, ma cercò di non prestare troppa attenzione e
di concentrarsi
solo su sé stesso, sul farli sparire. Avrebbe contato fino a
dieci, avrebbe
respirato a fondo e loro sarebbero scomparsi.
“Uno.. Due.. Tre… Quattro…
Cinque..”
“Ehi..?”
“Sei.. Sette.. Otto..”
“C’è nessuno..? Desmond?”
“Nove.. Dieci..!” Scostò la mano da
davanti al viso e riaprì gli occhi: si
ritrovò Shaun ad un palmo dal naso, sussultò.
“Ah, ma mi senti? Ma che stai facendo? Giochi a nascondino
con le lepri?”
Domandò il Rosso, guardandolo sconcertato.
Il ragazzo si sentì avvampare per l’imbarazzo. Si
schiarì la voce. “No ehm..
Stavo.. Sai, esercizi di autocontrollo..!”
Shaun rimase ad osservarlo con un sopracciglio alzato per qualche
istante, in
silenzio, poi sospirò sonoramente e scosse il capo.
“E’ pronta la cena.” Annunciò.
“Andiamo..!” E si avviò.
Desmond sospirò, dopodiché si avviò
anche lui. Quando si ritrovò a metà tra la
staccionata ed il casale si fermò e si voltò: non
c’era più nessuno.
“Desmond! Le lepri sono in letargo! Non le troverai mai!
Muoviti!” Gli arrivò
la voce scocciata di Shaun che lo fece tornare con i piedi per terra.
“Arrivo!!” Rispose voltandosi e allungando il
passo, raggiungendo il compagno.
__________________________________
Angolo Autrice:
Mwhuahuahuahuahauhauhauhauahuhauha.
Ok. Basta.
Paura, ehhhh?!?! U___U
Ehhh, sì, lo so! Sono cattiva!
CATTIVISSIMA!
Mwhahuahuahauhuhauha!
Ok, potete stare tranquilli! Tutti salvi! Niente morti! Ahahaha!
Beh, direi che non c'è nulla da dire su questo capitolo
oltre che Desmond sta perdendo la ragione.. O forse no?
Ad ogni modo, ringraziamenti obbligatori: MaryQueen999, SlytherinSoul eeee...
Poi basta? Dimentico qualcuno? Uhmm.. No. No, no! Non mi sembra..
Bwhuahuahuah! Ma nnnnooo! Scherzo!
La mia carissima
Lightning00
che mi ha fatto morire
con la sua ultima recensione!
Vi avverto: se non dovessi più postare è colpa
sua! Sicuramente sarà stata lei o che mi avrà
fatto morire con una recensione o con il suo Death Note. Quindi
prendetevela con lei u.u
E poi vorrei ringraziare anche, cosa che faccio non sempre ma ogni
tanto mi piace ricordarli, tutti coloro che hanno inserito la storia
tra le preferite,
le ricordate
o le seguite.
Grazie a voi: cartacciabianca,
IleWriters, Kiaretta_Kudo, ladyjessy, Lightning00, MaryQueen999,
MustaineWife_MegadethLife, SlytherinSoul, xXEliniferXx, playstation,
GreenPhoenix, Hamber of the Elves, La Strega di Ilse, Naruto92 ed
ultimo (ma non per importanza!) ofelia!
Ecco qua, anche i ringraziamenti fatti.. Non sapete quanto
mi fa piacere <3
Eee.. Niente, tutto qui! Come al solito a voi la parola e son curiosa
:3
Da domani inizierò un nuovo corso per lavoro che
durerà fino a Venerdì, il prossimo capitolo
è già a metà e spero di riuscire a
postarlo in tempo.. In caso contrario saranno solo un paio di giorni di
ritardo!
Alla prossima e.. Buona serata! <3
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di Promozione
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Farai felici milioni di
scrittori.
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Capitolo 15 *** Happy New Year! ***
15. Happy New
Year!
Era il 31 Dicembre 2012.
Chi avrebbe mai creduto che la terra sarebbe arrivata integra fino a
quel
giorno? Gli Assassini di certo no.
Nel casale si respirava un’aria più allegra, non
di festa, ma decisamente più
leggera.
Era vero, c’era ben poco da festeggiare: i guai non erano
finiti, i Templari
non erano sconfitti e – soprattutto – avevano
ancora la Mela… E non da meno la
scomparsa prematura del povero Giuseppe, caduto in battaglia
all’Abstergo.
Tutto ciò faceva si che gli Assassini non potessero godersi
quell’ultimo giorno
dell’anno a pieno, ma almeno tentarono.
Alice era quella rimasta probabilmente più colpita per la
morte del povero
Giuseppe, difatti gli ultimi giorni era stata molto silenziosa e sulle
sue:
teneva particolarmente a quel ragazzo. Rebecca aveva provato a starle
accanto,
così come Giovanni, il quale aveva visto uno dei suoi
migliori amici morirgli
di fronte gli occhi.
Tuttavia quella sera, seppur tutte quelle preoccupazioni e
‘piccole’ cose che
non tornavano, decisero di festeggiare a modo loro. Certo, la parola
‘festeggiare’ era un po’ grande ed
esagerata, ma avevano organizzato una
tranquilla cena, tutti loro assieme, tra chiacchiere, cibo e risate, in
attesa
del nuovo anno.
Fu dopo cena che gli Assassini si dispersero: chi a sistemare la sala,
chi in
cucina, chi a chiacchierare.
Desmond raggiunse l’esterno del casale, il grande terreno
circostante. Infilò
le mani nelle tasche del giaccone ed osservò la nuvoletta
densa di vapore
uscire dalle sue labbra.
Il ragazzo si strinse di più nel giubbotto, osservando poi
la distesa buia di
terreno, illuminata solo per una porzione dalla luce che proveniva
dall’interno
del casale alle sue spalle, e poi ancora le luci lontane lontane della
città,
di Milano.
Desmond mosse qualche passo per raggiungere la staccionata,
dopodiché si
sedette su di essa, mentre il suo sguardo si perse lontano.
Si sentiva sicuro, si sentiva a casa. Si sentiva protetto e doveva
ammettere
che adorava quella sensazione: quasi gli sembrava di poter lasciare
scorrere
ogni pensiero, ogni preoccupazione.. Ma – tuttavia
– sapeva che era solo una
sensazione apparente, non del tutto reale, una mera illusione: i guai
non erano
finiti, l’Abstergo probabilmente ancora gli dava la caccia e
non era al sicuro
da nessuna parte, non a lungo almeno.
Nonostante ciò era contento di non essere morto dentro a
quel tempio. Chissà se
l’Abstergo non fosse arrivata a prelevarlo.. Sarebbe stato
ancora vivo a quell’ora?
Forse un qualcosa glielo ‘doveva’.. E qualcosa
doveva sicuramente anche a Lucy,
colei che l’aveva aiutato a fuggire e che aveva messo a
repentaglio la sua
stessa vita per far si che potesse scappare. Chissà come se
la stava passando.
Chissà se era ancora viva. Chissà che fine le
aveva fatto fare Berg. Un po’ se
ne sentiva colpevole: avrebbero dovuta portarla assieme a loro. Ma
nessuno si
fidava più di lei, seppur li avesse aiutati. Nessuno tranne
lui.
Inspirò a fondo e riempì i polmoni di aria
gelida. Alzò il capo ed osservò la
volta celeste, quel blu infinito e così profondo, ornato da
tante piccole
stelle luminose. Fu talmente preso dai suoi pensieri che non si accorse
neppure
che la mezzanotte stava quasi per scoccare.
Solo qualche istante dopo William sopraggiunse alle sue spalle,
passandogli di
fianco e fermandosi quasi di fronte a lui.
Desmond abbassò il naso –
all’insù – e lo osservò,
notando poi che teneva in
mano due calici di spumante dal gambo lungo, sottile e la forma
allungata.
“Prendi..” Lo incoraggiò il padre,
porgendogliene uno.
Il ragazzo alzò appena le sopracciglia, tirando poi fuori la
mano sinistra
dalla tasca del giaccone ed afferrando il piccolo e fragile calice.
“Mio padre non dovrebbe in teoria tenermi lontano da questi
vizi?” Gli domandò
ironico.
William rise appena. “E’ un’occasione
speciale Des.. E non provare a fare il
secondo giro o ti spezzo le gambe.”
Il ragazzo si lasciò andare ad una flebile e sincera risata,
cogliendo l’ironia
nelle parole del padre. Gli sembrava come se le cose tra di loro si
fossero un
pochino sistemate, come un’enorme puzzle che pian piano
cominciava a prendere
forma, e ne era estremamente contento.
“Cosa c’è?” Chiese Will,
notando che Desmond lo osservava con un lieve
sorrisetto stampato sul volto, immerso nei suoi pensieri.
L’Americano abbassò appena il capo, poi lo
sguardo, mentre il suo sorriso si
fece più marcato ed imbarazzato.
“Niente è che…”
Rialzò piano gli occhi sul padre. “.. Sono felice
di essere
qui.” Confessò.
In quel freddo notturno, quelle parole, scaldarono William tanto da far
sciogliere
il suo cuore come neve al sole.
“Anche io sono felice che tu sia qui.. Insieme a
me.” Precisò
lui.
Solo un istante dopo si sentirono da lontano i fuochi
d’artificio iniziare a
scoppiare, lo spettacolo di centinaia di fuochi salire in cielo ed
esplodere in
tutte le loro luci intense, vive e brillanti, illuminare tutto e
dipingere il
blu profondo della notte con i loro mille colori.
“Auguri Desmond.” Disse William porgendo il calice
verso il ragazzo.
“Auguri Papà.” Rispose lui, allungando
il braccio finché i loro calici non si
scontrarono dolcemente, risuonando con un lieve tintinnio.
Entrambi si portarono il bicchiere alle labbra, sorseggiando quel
liquido
dolce, aromato e frizzantino con migliaia di piccole bollicine che
andavano a
solleticare il palato e scendevano giù lungo la gola.
William volse lo sguardo verso il casale, notando anche gli altri
Assassini di
fuori, più lontani, sotto il piccolo portico ad osservare i
fuochi d’artificio.
Porse appena il calice verso di loro in un silenzioso e sincero
augurio. Si
sarebbe perso dopo in parole, in quel momento voleva solo passare
qualche
istante tranquillo con suo figlio, tant’è che
diede nuovamente le spalle agli
altri e si appoggiò contro la staccionata, accanto al
ragazzo, a godersi quello
spettacolo fatto di luci e colori.
Rimasero entrambi in silenzio, con il viso rivolto verso quello
spettacolo che
offriva il Capodanno, ad ammirarlo in silenzio e da lontano. Sembrava
quasi non
vi fosse bisogno di alcuna parola, stavano bene in silenzio e tutto il
resto
era superfluo.. Tuttavia William volse il capo verso il ragazzo e lo
scrutò
qualche istante osservare la città lontana. Il silenzio era
prezioso, era oro,
soprattutto in quei momenti, ma voleva che fosse veramente chiaro per
Desmond
quanto fosse fiero di lui.
“Sei stato.. Coraggioso, figliolo.” Disse con voce
bassa.
Il ragazzo cominciò a girarsi piano il calice tra le mani,
poi lo guardò.
“Nulla che non avresti fatto anche tu.” Si
limitò a dire mentre le sue labbra
si incurvarono in un sorriso.
“Sì ma.. E’ diverso. Io so bene qual
è il mio ruolo, l’ho sempre saputo, tu no.
Io sono pronto a sacrificarmi per la Confraternita, lo sono sempre
stato.. Per
l’umanità. Ho anche una certa età e la
mia vita, bene o male, l’ho vissuta. Ho
visto molte cose, molti posti.. Ma tu sei solo un ragazzo, con tutta
una vita
davanti.”
“Papà.. Questa è la mia vita. Ed era la
cosa giusta da fare. E’ per questo che
facciamo ciò che facciamo, no? Perché
è giusto.. Lo facciamo per un bene comune
e superiore, non per un semplice tornaconto. A volte è vero,
il sacrificio di
uno è necessario per la vita di molti. Quando lo sentivo
dire prima mi sembrava
una idiozia, lo devo ammettere. Ma quando mi sono ritrovato
lì..” Il ragazzo
interruppe il contatto visivo, i suoi occhi spaziarono
sull’ampia distesa di
erba gelata dal freddo invernale. “Lì.. Di fronte
al piedistallo.. Ho capito.
Dipendeva tutto da me: la vita dei miei amici, delle persone che amavo,
ma
anche di persone sconosciute e a loro volta di persone da loro amate.
Andava
fatto.”
William per poco non si commosse nel sentire quelle parole. Quello era
il suo
ragazzo, anni fa così piccolo, ora un ometto così
saggio, responsabile, con la
testa sulle spalle.
“Mi dispiace di non essere rimasto lì assieme a
te, Desmond.”
Il ragazzo scosse il capo e tornò a guardarlo con un
sorriso. “Non devi
dispiacerti, non devi scusarti.. Né sentirti in colpa.
Saresti stato in
pericolo probabilmente ed io ho fatto ciò che ho fatto
proprio per poter
salvare anche te, avresti reso vane le mie gesta.” Gli
spiegò tranquillamente e
senza un minimo di rancore o risentimento nei suoi confronti.
L’uomo sorrise, allungò un braccio con il quale
cinse le spalle del ragazzo,
stringendolo. “Ti voglio bene Desmond.”
Quelle parole lo colpirono dritto al cuore, il quale sentì
quasi esplodere di
felicità: da quando si erano ritrovati non v’erano
mai stati reali momenti
‘padre e figlio’, solo tante liti, corse, parole
non dette..
“Anche io, Papà.”
Anche gli altri assassini stavano
osservando lo spettacolo
dei fuochi d’artificio, lontani, in città.
Shaun notò che Rebecca, per avere una migliore visuale, era
salita sul tetto,
così come anche Giovanni ed Alice.
Visto che lui non era così agile decise di salire al piano
superiore ed entrare
nella stanza la cui finestra dava sul tetto. La aprì e
scavalcò il parapetto,
in modo da trovarsi sulle tegole.
‘Ecco. Se scivolo giù sono morto.. Beh oddio,
magari morto no, ma una gamba
rotta me la ritrovo sicuramente. Con la fortuna che ho, probabilmente,
mi si
rompono tutte e due.’ Si lamentò tra sé
e sé.
Raggiunse Rebecca, seduta un po’ più
giù, ed una volta accanto a lei si sedette
alla sua sinistra.
La mora volse il capo e lo vide. Sorrise.
“Adoro i fuochi d’artificio.”
Commentò quello spettacolo, tornando con il naso
all’insù verso il cielo.
L’inglese sospirò per la faticata del concentrarsi
a non scivolare, poi annuì.
“Mah, sì.. Ma sono troppo rumorosi.”
Borbottò.
“Ti lamenti sempre, non ti sta mai bene niente..!”
Rispose Rebecca, ma non in
tono polemico, lo disse tranquillamente, con un sorriso sulle labbra.
Il Rosso scosse il capo, limitandosi a guardare il cielo.
“Sono felice che Desmond sia nuovamente con noi.. Almeno
oggi. Ha dovuto
passare il Natale all’Abstergo, non che avremmo fatto
chissà cosa comunque.. Ma
non deve essere stato bello. E adesso, la vigilia del nuovo anno,
è qui. Con
noi. Con suo padre.. E credo che questa sia la cosa più
importante. William ha
sofferto tanto quando l’avevamo dato per
spacciato.” E – nel dire quelle parole
– Rebecca abbassò il capo ed osservò i
due seduti sulla staccionata a
chiacchierare tra di loro.
“Speriamo sia un anno migliore per tutti noi. Ce lo
meritiamo.” Disse
l’inglese, sistemandosi gli occhiali sul naso.
“Già..” Mormorò Rebecca. Il
suo sguardo tornò sul cielo notturno variopinto dai
mille colori scintillanti e vibranti. Era uno spettacolo bellissimo e
non seppe
perché ma dentro di sé, nel petto,
sentì come una nuova speranza. Avevano
passato un anno assurdo, terribile, e nonostante tutto ce
l’avevano fatta:
erano lì, ancora, contro l’aspettativa di tutti.
Il mondo sarebbe dovuto finire
undici giorni prima, ed invece..
Shaun osservò la ragazza assorta nei suoi pensieri. Aveva un
viso così tenero:
lo sguardo assente, lontano, chissà dove, le labbra schiuse,
il naso all’insù
verso il cielo, le stelle, l’infinito..
“.. Sei bellissima..” Gli uscì dalle
labbra in un sussurro.
Rebecca tornò con i piedi per terra in quel momento. Aveva
sentito l’inglese
dire qualcosa ma solo un istante dopo realizzò che cosa.
Credeva di non aver
sentito bene, di aver capito male, frainteso.
Alzò appena le sopracciglia e volse il capo per guardarlo.
Gli occhi di Rebecca
fecero appena in tempo ad incrociare lo sguardo di Shaun che
– quest’ultimo –
appoggiò una mano tra loro due, sporgendosi verso di lei,
mentre scivolò con
l’altra mano sulla sua nuca, le dita tra i capelli, e la
attirò leggermente
verso di sé, prima di sfiorarle le labbra.
Accadde talmente in fretta che Rebecca non capì bene il
tutto, in realtà non capì
bene niente dal momento che il cuore le cominciò a
martellare nel petto e –
solo un istante dopo – si ritrovò le labbra di
Shaun sulle sue. Sbarrò gli
occhi ed avvampò, scommise di essere diventata rossa come un
peperone, ma solo
dopo aver percorso tutta la scala dei colori. Raggiunse il braccio
dell’inglese
e lo strinse appena, ma poi pian piano si abituò a quella
sensazione così
strana ed inaspettate, dunque allentò la presa e socchiuse
gli occhi. Non
sapeva bene per quanto lo avesse desiderato.. Certamente aveva sperato
in una
cosa simile da ormai troppo tempo, ma mai avrebbe pensato che sarebbe
accaduto,
soprattutto per il carattere dell’inglese, i suoi modi di
fare e beh, oltre al
‘punzecchiamento ossessivo compulsivo’ non aveva
mai mostrato alcun reale
interesse nei suoi confronti.. Ed ora non ci poteva credere.
Dall’altra parte, Shaun, era messo più o meno alla
stessa maniera: mai avrebbe
creduto di fare una cosa simile, più stupida! Quella ragazza
era
insopportabile, una testona! Era antipatica, lo punzecchiava sempre,
stava
sempre contro di lui! Ma era bellissima, nonostante tutto. Bellissima,
con un
grande cuore, una grande pazienza, era
schifosamente adorabile, tanto che gli faceva venire il
diabete! E poi… Era
perfetta. Perfetta per lui.
La baciò ancora, a lungo, con lenta passione. La sua mano
scivolò attorno alla
sua vita, avvicinandola tanto da stringerla contro di sé. In
quel momento
poteva sentire il suo profumo, il suo respiro, quasi il suo cuore
battere. Gli
sembrava come se fossero una cosa soltanto.
Rebecca portò un braccio attorno al collo
dell’inglese, mentre l’altra mano
gliela poggiò sul petto, ricambiando i suoi baci.
Desmond, di sotto con William, volse il capo per vedere dove fossero
gli altri
e – dopo aver notato Ivan, Francesca e Demetrio sotto al
portico del casale –
notò Giovanni ed Alice sul tetto e solo poco più
in là anche Shaun e Rebecca,
avviluppati uno all’altro. Sorrise e scosse il capo,
schiarendosi la voce.
“Sembra proprio che quest’anno sia iniziato nel
migliore dei modi..” Ironizzò,
sghignazzando.
“Hm?” William lo guardò con sguardo
interrogativo.
Desmond fece un cenno con il capo, così il Mentore
portò lo sguardo su di loro.
“Ahh, finalmente! Ce l’hanno fatta!”
Esclamò a quel punto, ridacchiando a sua
volta.
Il giovane sorrise e scosse appena il capo, poi tornò a
guardare le luci di
Milano in lontananza e sospirò. Inevitabilmente il suo
pensiero volò ad una
sola ed unica persona, quella biondina che gli aveva fatto perdere la
testa.
Lucy.
_________________________________
Angolo Autrice:
Bonsoirrrr!!!
Non ve lo sareste aspettato, neh?! u.u
Bene.. E' stata una settimana assurdamente tremenda! Un sacco da fare
e... Questo fine settimana dovevo andare a Bari per i 18 di una mia
amica, tra l'altro (oltre al corso e tutto il resto) ma mi sono
ammalata e dunque il fine settimana l'ho passato a casa.
Il capitolo lo avevo già per metà pronto,
così ho avuto modo di finirlo ed iniziare già il
prossimo (e quello dopo, lol!)
Quindi sono sfinita dal corso ed ancora malaticcia, domani mattina
altra alzataccia e si inizia l'affiancamento! >___<
Tengo subito a precisare
che ho letto tutte
le vostre recensioni e che per stasera giurin giurello e mano sul cuore
rispondero a tutti, solo che è stata una settimana di puro
delirio ed è già tanto se ho avuto il tempo di
finire il cappy!
Sì, è un capitolo molto tranquillo u.u se lo
meritano dopotutto, no?
Vi anticipo subito che nel prossimo capitolo si riprende ed
arriverà una nuova persona u.u quindi stay tuned! :D
Ringrazio come al solito i miei recensori adoratissimi (<3): Hamber of the Elves,
Lightning00,
SlytherinSoul
e xXx Fremione xXx!
Siete adoVVVabili!
<3
Ringrazio tutti quanti gli altri che son passati e che hanno letto :)
che hanno ancora la pazienza di seguire i miei deliri!
Eee... Credo sia tutto!
Con i recensori del precedente capitolo ci vediamo stasera con la
risposta alle loro rece è.é
(Sembra una minaccia e vi assicuro che LO E'. Auhauhauha, scherzo!)
Un bacione a tutti quanti!
Grazie, grazie, grazie e grazie!
|
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Capitolo 16 *** La ragazza dai capelli rossi ***
Attenzione!
Ci tengo a precisare solo due cose prima che iniziate a leggere questo
capitolo.
1. Lei è la prestafaccia
del nuovo personaggio che introdurrò in questo capitolo:
Immagine
1 e
Immagine
2
2. Le battute scritte
in corsivo sono in lingua italiana, tutti noi sappiamo che i
nostri assassini sono per lo più americani, dunque non
facciamo mai la distinzione perché tutti i discorsi si
svolgono in inglese. Da ora in poi no: quelli in corsivo saranno in lingua italiana
fino a nuovo ordine! (poi casomai ve lo ricorderò nei
capitoli a seguire!)
Buona
lettura! :D
16. La ragazza
dai capelli rossi
Quella
mattina Desmond aveva un cerchio alla testa non indifferente: davvero
bel modo
per cominciare l’anno! Si limitava a seguire il ragazzo
italiano di fronte a
lui per le strade milanesi.
Odiava il tempo di Milano: uggioso, nuvole grigie dalle quali non si
sapeva mai
se dovesse scendere la pioggia o meno. Freddo, gelo, e quelli che
sembravano i
resti della neve sui lati delle strade. Era stato un Natale piuttosto
rigido, a
quanto aveva sentito sul notiziario.
Si stringeva nelle braccia e cercava di riscaldarsi un pochino quando
aumentò
il passo per rimanere al fianco di Demetrio. Una volta raggiunto si
infilò le
mani nelle tasche.
Non avevano parlato molto dopo essere usciti dalla metropolitana. Beh,
in
realtà neppure prima di prenderla avevano parlato un
granché.
“Insomma… tu e Rebecca…”
accennò il giovane americano. Notò una nuvoletta
di
vapore uscirgli dalle labbra e andarsi a disperdere velocemente.
“Io e Rebecca che cosa?” domandò
Demetrio volgendo il capo verso Desmond e
sorridendogli.
“Avete avuto una storia.”
“Sì, una volta” rispose
l’italiano.
“Non ce ne aveva mai parlato…”
commentò. Forse non era stato un commento molto
carino. “O meglio, diciamo che nessuno di noi ha mai
raccontato agli altri le proprie
esperienze sentimentali!” si corresse.
“Non c’è problema Desmond. Seppur non ve
ne avesse parlato io so quello che c’è
stato tra di noi. E quanto ha contato per entrambi” sorrise.
“Guarda che non avevo intenzione di sminuirti.”
“Sminuirmi? Tranquillo. Dico sul serio, non me la sono mica
presa!” rise
appena.
Desmond sorrise ed annuì. “Meno male.”
Silenzio. Di nuovo.
Continuarono a camminare per un po’ e Desmond rimase
nuovamente di qualche
passo indietro, così si sbrigò ad affiancarlo
ancora.
“Ma…” si schiarì la voce.
“Pensi di farti sotto di nuovo?”
domandò. Aveva ben
visto la sera prima Rebecca e Shaun baciarsi. Aveva paura che
l’italiano
potesse intromettersi ora che i due sembravano essersi
‘dichiarati’.
“Desmond… io non credo che queste sono cose di cui
tu ti debba preoccupare,
sinceramente” disse quest’ultimo, volgendo il capo
per guardarlo. “Non voglio
essere scortese, bada bene. Ma anche se fosse? In amore ed in guerra
non ci
sono regole. Se volessi riprendermi Rebecca non vedo che male ci
sarebbe se
lei fosse della stessa idea. So che ti preoccupi per Shaun…
e ad ogni modo sta
tranquillo: non ne ho intenzione. Siamo buoni amici ora.”
Desmond annuì. “Certo, certo. Scusami. Non volevo
essere invadente” si strinse
nelle spalle.
Demetrio si fermò solo un attimo dopo, portandogli una
davanti al petto per
intimarlo a fermarsi.
“Fermo. Eccola lì” mormorò.
Erano vicini al D’Uomo e – dal marciapiede opposto
al loro – una ragazza
uscì da
un portone. Aveva dei lunghi
capelli rossicci e mossi, Desmond non riuscì a vedere bene
il suo viso dal
momento che non appena uscì svoltò a destra dando
le spalle ai due.
“Sì, ok, è lei. Ma io non ho ancora
capito… lei chi?” Domandò
l’americano.
Demetrio ridacchiò. “Penso che oggi tuo padre ti
spiegherà tutto. Io devo
raggiungere Rebecca a breve...” si alzò la manica
e vide l’ora. “Merda, è tardissimo!
Devo andare!”
Desmond sbuffò. “Ma perché io sono
sempre all’oscuro di tutto?! Siamo venuti
qui solo per vedere una ragazza che se ne va a spasso per Milano? Il
primo
dell’anno? Non potevate lasciarmi dormire un’ora in
più?”
“Chi dorme non piglia pesci Desmond! Ci vediamo
stasera!” Gli diede una pacca
sulla spalla e si allontanò a passo spedito.
Il ragazzo sospirò frustrato. Si infilò
nuovamente le mani in tasca e si guardò
intorno. Bene, ed ora lui che faceva? Sarebbe potuto tornare al casale
ma… un
attimo dopo vide la ragazza svoltare l’angolo e sparire dalla
sua visuale.
Chissà perché avevano detto a Demetrio di
fargliela vedere. Era curioso e così decise di seguirla. Non era una grande idea girare per i grandi centri
visto la
concentrazione di Templari, ma voleva assolutamente sapere che cosa si
nascondesse dietro quella ragazza.
Svoltò l’angolo a sua volta e con una mano si
tirò il cappuccio sopra la testa,
tentando di nascondersi da occhi indiscreti.
Vide la ragazza continuare a camminare stretta nel suo cappottino color
carne,
tra le strade dell’affollata Milano. Desmond si chiedeva come
mai anche il
primo dell’anno quella città brulicasse di persone.
Continuò ad avanzare facendosi spazio tra la folla, mentre
pian piano una
sensazione di inquietudine cominciò a serpeggiargli nel
petto: si sentiva
osservato. Brutta storia.
Si guardò intorno con discrezione e in quel momento gli
sembrò come se tutti
gli occhi dei passanti fossero puntati su di lui. Sentì il
cuore cominciare a
battere più forte per via dell’agitazione mentre
si imponeva mentalmente di
mantenere la calma. Diamine, e se fossero i Templari? Non voleva
tornare all’Abstergo!
Sarebbe dovuto tornare al casale, maledizione!
La testa cominciò a girargli vorticosamente fin quando tutto
non divenne
offuscato e nero. Una miriade di pensieri si accavallavano
l’un l’altro e nel
frattempo continuava a sentire le voci dei passanti martellargli i
timpani.
Aveva un caos enorme nella testa al quale sembrava non riuscire a
mettere
ordine, tant’è che si portò entrambe le
mani al capo, sperando che tutta quella
confusione cessasse.
Il tutto venne inghiottito qualche attimo dopo da un profondo silenzio.
“Ehi?”
sentì una voce accanto a lui.
“Ehi, si sente bene?” gli
domandò
ancora la medesima voce, fluida e cristallina, di una ragazza.
Desmond riprese coscienza di sé: aprì piano gli
occhi e si riscoprì
inginocchiato sul marciapiede, con le mani che stringevano ancora
saldamente il
cappuccio bianco della felpa. Alzò lentamente il capo
notando che v’erano
parecchie persone intorno a lui, dei curiosi che si erano fermati
quando lo
avevano visto accasciarsi al suolo. Da quanto era lì per
terra?
Desmond volse piano il capo verso la sua destra, da dove aveva sentito
la voce,
e sorpreso notò la ragazza dai capelli rossi piegata sulle
gambe accanto a lui,
che gli teneva una mano sulla spalla. Aveva due occhi grandi, azzurri,
del
colore del cielo più limpido. La pelle era bianca, diafana,
perfetta. Le labbra
ben delineate erano colorate di rosso. Santo cielo, gli
sembrò una visione!
La ragazza notò lo sguardo smarrito ed insistente del
ragazzo su di lei, così
tento nuovamente.
“Si sente bene?”
domandò ancora,
gentile, per l’ennesima volta.
Gli occhi di Desmond si posarono su qualcosa oltre la ragazza: vide due
uomini
farsi spazio tra la folla, erano loschi e familiari, li
ricollegò subito ad una
sola cosa. Abstergo.
“Oh merda!” esclamò sentendo i
campanelli d’allarme cominciare a suonare. Si
alzò in piedi di scatto, tanto da spaventare la ragazza.
Quest’ultima non ebbe
il tempo di fare nulla che la mano di Desmond raggiunse la sua.
“Andiamo!” disse strattonandola per tirarla su.
La rossa si ritrovò in piedi un attimo dopo, mentre quel
giovane strano e
bizzarro partì di corsa stringendole la mano e
costringendola a seguirlo.
“Ehi! Ehi, lasciami!” si
lamentò lei nella sua lingua madre, in italiano,
sotto gli occhi basiti dei passanti che si erano fermati qualche
attimo prima,
quando Desmond si era sentito male.
L’americano continuò a farsi spazio tra la folla,
sentendo l’adrenalina
schizzare alle stelle.
“Vuoi lasciarmi?! Guarda che mi
metto a
gridare!” disse ancora lei, ormai
spaventata dalla situazione e da quel
ragazzo.
“Vuoi chiudere quella bocca? Conserva il fiato per
correre!” le rispose Desmond
in inglese, non comprendendo a pieno le parole della ragazza ma
intuendo ciò
che volesse comunicargli.
Miles volse il capo e notò quei due loschi figuri che
continuavano a seguirli
svelti. Ecco, lo sapeva, Maledizione!
Continuò a sgattaiolare tra le persone mentre dalle labbra
gli uscivano una
miriade di ‘scusa’ e
‘permesso’.
Desmond si voltò ancora una volta, non vedendo
più i due uomini alle loro
spalle. Spinse la rossa in un vicolo alla fine del quale
v’era un cancello.
“Che cosa stai facendo? Ehi?! Che
fai?”
gli chiese lei.
L’americano raggiunse il cancello e prese la ragazza per i
fianchi, in braccio,
per agevolarla nel scavalcarlo.
“Sali! Sbrigati! Forza!” la intimò,
ricordandosi della sua pressoché nulla
sensibilità alla mano destra, dovendo così fare
tutto con la sinistra.
La ragazza arrivò con le mani in cima alla cancellata, poi
con una spinta della
mando di Desmond sul suo fondoschiena riuscì finalmente a
scavalcarlo. Il
giovane la seguì subito dopo: con una mano sola e
l’ausilio delle due gambe, in
men che non si dica, anche lui fu dall’altra parte della
cancellata, sotto gli
occhi stupefatti della rossa.
Desmond la prese e la spinse sotto la rientranza dell’arco di
un portone:
poggiò entrambe le mani ai lati del suo viso e
aderì con il corpo al suo in
modo che risultassero invisibili a chi guardasse nel vicolo dalla strada.
La rossa deglutì mentre le guance le si imporporarono.
Entrambi avevano il
respiro accelerato ed il cuore che gli martellava nel petto. Rimase ad
osservare il volto del giovane americano senza spiccicare una parola,
mentre
quest’ultimo rimase attento ad ogni singolo rumore.
Qualche attimo dopo poterono sentire dei passi di corsa superare il
vicolo.
Solo in quel momento Desmond si abbandonò ad un sospiro.
Il portone accanto a loro si aprì, rivelando la figura di un
signore che li
guardò storto nel vederli così avvinghiati.
“Buongiorno” disse
Desmond con il suo
italiano maccheronico, mimando un sorriso più tranquillo e
naturale possibile.
Quello gli rifilò un’altra occhiataccia e
proseguì poi per la sua strada.
Silenzio.
Gli occhi scuri ed intensi del moro si posarono in quelli azzurri e
limpidi di
lei.
“Mi… mi sei troppo
vicino” sussurrò,
visibilmente in imbarazzo.
Lo sguardo di Desmond scivolò dai suoi occhi fino al suo
petto, lì dove giaceva
il ciondolo della sua collana: era sferico e dorato, con delle
scanalature.
Aveva tutto l’aspetto di una riproduzione della Mela.
“Maledizione, mi hai sentito? Mi sei
troppo
vicino!” si lamentò lei quando lo
sguardo di Desmond divenne più
insistente. Gli portò entrambe le mani sul petto e lo spinse.
L’americano sembrò tornare finalmente con i piedi
per terra.
“Scusami” le disse.
La rossa a quel punto comprese che il ragazzo non parlava italiano. Lo
aveva
sentito parlare in inglese poco prima, ma era talmente agitata da
quella
situazione bizzarra che non ci aveva fatto caso.
“Sei completamente matto!” lo canzonò
allora nella lingua madre di lui. “Come
ti permetti?”
Desmond notò come quel tono e quell’espressione
arrabbiata non facessero
assolutamente parte di lei, come se fosse veramente raro vederla
così.
“Potrei averti salvato la vita” rispose
semplicemente lui.
Le sopracciglia di lei si aggrottarono, dipingendo
un’espressione dubbiosa sul
suo volto. “Ma chi sei?”
“Mi chiamo Desmond, e tu?”
La ragazza continuò a guardarlo titubante, poi il suo viso
si rilassò. Non
seppe perché ma quel ragazzo le ispirava fiducia, a pelle.
“Siria.”
“Siria? Che bel nome” le sorrise. “Mi
dispiace di averti sballottato un po’.”
“Stavi fuggendo da qualcuno… ma da chi? Sei
un… criminale?” domandò allora
lei, preoccupata.
L’americano si abbandonò ad una sincera risata.
“No, non preoccuparti. Non sono
in criminale e non ho intenzione di farti male.”
La rossa sospirò sollevata. “Meno male. Ma credo
che non me lo diresti, anche
se fosse.”
“Non preoccuparti” le disse con un sorriso, prima
di guardare a destra e a
sinistra. Sembrava tutto sgombro e tranquillo.
“Da chi stavi scappando?” domandò ancora
Siria.
Desmond guardò il suo ciondolo. Si avvicinò di un
paio di passi e lo prese tra
le dita.
“Che mi dici di questo?”
La ragazza abbassò lo sguardo sulla sua mano.
“E’… una collana” gli disse
ridacchiando.
Lui scosse appena il capo e sospirò. “Dove lo hai
preso?”
“Cosa?” lo guardò nuovamente accigliata.
“Me lo sono fatto fare, ma perché?”
“Te lo sei fatta fare? Ispirandoti a cosa?”
Ma che cos’erano tutte quelle domande? “Ad un
gingillo che abbiamo trovato
quando ero piccola” disse lei innocentemente, stringendosi
nelle spalle.
Bingo! Lo sguardo di Desmond venne traversato da un bagliore. Ora si
spiegavano
molte cose.
“Ah” sorrise.
“Perché tutto questo interesse?” chiese
allora lei.
Lui si strinse nelle spalle. “Così.”
Siria alzò le sopracciglia. “Perché non
ti credo?”
Desmond rise appena, ritirando la mano e guardandola negli occhi.
“Senti… ora devo proprio andare. Non dire a
nessuno del nostro incontro, va
bene?”
“Oh, certo! E alla mia compagna di università che
cosa le dirò quando mi
presenterò da lei con un’ora di
ritardo?” si lamentò la giovane.
L’americano sorrise. “Improvvisa! Ah
e…” raggiunse nuovamente il suo ciondolo,
prendendolo e lasciandolo scivolare sotto l’ampia sciarpa che
la ragazza teneva
attorno al collo. “Così va molto meglio”
annuì. “Tienilo nascosto e fa
attenzione.”
“Attenzione a che cosa?”
“Ci vediamo presto Siria” le disse prima di
voltarsi e correre verso il
cancello. Con uno slancio ed un gioco coordinato di mani e piedi
arrivò in cima
ad esso, scavalcandolo e lasciandosi cadere dall’altra parte.
Una volta con i
piedi nuovamente per terra si tirò su il cappuccio ed
uscì dal vicolo, confondendosi
tra la folla.
La ragazza lo osservò allontanarsi stupefatta: era
più agile di un felino.
Raggiunse con una mano il ciondolo, tirandolo fuori ed osservandolo. Si
domandava che cosa ci fosse dietro tutto ciò, quel ragazzo,
quegli uomini… le
aveva detto che si sarebbero rivisti presto, chissà se era
vero. Forse un po’
ci sperava.
Lo infilò nuovamente nella la sciarpa, lasciandolo scivolare
sotto la
maglietta, dopodiché si avviò dalla parte opposta.
Desmond. Che strano ragazzo.
__________________________________
Angolo Autrice:
Ta-daaaan!
Pensavaaaate che vi avessi abbandonati, eh?!
Ed invece per la vostra (s)fortuna, no! :D
E con tre settimane di ritardo vi posto l'aggiornamento! Yeeee!!!
*Coriandoli ovunque*
(Tanto è carnevale, i coriandoli ci stanno!)
Ok, ahem... *coff coff* torniamo a fare i seri!
Chiedo veeeenia per il ritardo nel postare il sedicesimo capitolo, ma
voi non avete idea di che cosa mi sia successo!
Ebbene: ho finito Mass Effect 3!
(Cori di: OOHHHHH!!! :0)
No, ok. Serio. Ho finito la trilogia di Mass Effect e... Wow, ragazzi,
che videogioco! Ci sono rimasta talmente alla fine che ho dovuto
esorcizzare il mio dolore in qualche modo - ovvero - scrivendo fan
fiction su ME!
Per chi lo conosce e lo ha giocato, sa bene di cosa sto parlando!
Difatti non mi andava di inventarmi quali scuse per questo ritardo
enorme, anche perché avreste potuto benissimo vedere sulla
mia pagina che sono rimasta comunque attiva nel fandom di Mass Effect,
quindi perché mentire? *tlin*
Semplicemente ero (e sono tutt'ora) terribilmente ispirata per quel
fandom, e così mi sono buttata a pesce su di esso, ho
scritto già parecchie cosucce e ne sto continuando a
sfornare altre *w*
Chi di voi ci ha giocato? Chi di voi l'ha finito? Chi di voi lo ha
amato?
IO! - Ehm... Vabbè, fatemi sapere u.u così
potrò assillarvi con i miei feels... *piagnucola*
(*comincia a dispensare migliaia di piccoli cuoricini per Kaidan e
Shepard... E tutti gli altri pg*)
*Sbava*
Passaaando alle cose seeerie! Ebbene sì, finalmente
è entrato questo nuovo personaggio! E ad un mese esatto
dall'ultimo capitolo postato, posto il nuovo!
Spero che vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosito un minimo u____u
E come al solito, passiamo ai ringraziamenti: ringrazio come al solito
i fedelissimi SlytherinSoul,
Lightning00
e Hamber of the Elves
per aver recensito l'ultimo capitolo. Ringrazio anche il nostro nuovo
compagno di viaggio: KeynBlack!
Benvenuto nei miei scleri più profondi! :D
Come al solito ringrazio chi legge e ringrazio coloro che dopo gli
ultimi capitoli hanno inserito la storia tra le seguite, le ricordate e
le preferite! Tanti cuori per tutti voi! <3
E... Che dire?
Grazie, grazie, grazie e grazie!
Ci vediamo al prossimo capitolo!
Se sparisco per troppo tempo (cosa che spero vivamente
di non
fare) siete autorizzati a scrivermi i peggio insulti per mp! (So che Lightning00 mi
prenderà in parola, caaaaVVa! <3)
Ahahaha e bene: alla prossima!
Baci! :)
|
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Capitolo 17 *** Thinkin About the Future ***
17. Thinking
About the Future
“Sei
stato
un incosciente! Hai idea di quanto mi sia preoccupato?” la
voce di William
risuonava alta, chiara e furiosa dalla sala da pranzo del casale.
“Ma che cosa ho fatto di male?” si
lamentò Desmond.
“Che cosa hai fatto di male? Hai solo attirato
l’attenzione e hanno solo
cercato di catturarti di nuovo! E se avessero riconosciuto la ragazza?
Eh?”
Shaun era seduto nella stanza accanto, sul divano, a gambe
accavallate
mentre cercava di leggere un libro, operazione assai complicata con
quelle
grida. Sospirò sonoramente e quando sentì dei
passi avvicinarsi chiuse il libro
e volse il capo verso l’arco della porta.
Demetrio e Rebecca entrarono nella stanza, erano appena tornati dal
fare
provviste.
“Ma che sta succedendo?” domandò
Demetrio.
“William è furibondo. Una curiosità:
dove hai lasciato Desmond questa mattina?”
chiese con la sua solita supponenza, ignorando completamente la mora
che – al contrario
suo – lo osservava.
“Che vuoi dire? In centro… gli ho fatto vedere la
ragazza e ho raggiunto
Rebecca. Perché?”
“Beh è tornato da poco, avrebbe dovuto fare
ritorno quasi un paio d’ore fa,
sono sicuro che William non vede l’ora di parlarti”
ghignò l’inglese.
Le voci del padre e del figlio si erano fatte più vicine,
fin quando Desmond
non varcò la soglia opposta della stanza in cui si trovava
Shaun assieme a
Rebecca e Demetrio.
“Ma che cosa vuoi da me, si può sapere?”
domandò esasperato al padre prima di
fermarsi e voltarsi verso di lui, ormai entrambi nella stanza.
“Voglio solo che tu diventi un pochino più
responsabile e smetta di comportarti
come un bambino di cinque anni! Hai delle responsabilità
maledizione!”
“Questo non sarebbe successo se non fossi sempre
l’ultimo a sapere le cose qui
dentro!” "Qui pensiamo solo al tuo bene!"
“Smettila!” Desmond alzò ancor di
più la voce. “Da quand’è che
pensi al mio
bene, eh? Da quando mi hai buttato in tutto questo casino? Da quando mi
hai
abbandonato al mio destino? O da quando mi hai lasciato solo dentro a
quel tempio
a morire?!”
Quelle parole colpirono William come una pugnalata in pieno petto.
Ancora non
si era perdonato per ciò che aveva fatto, figurarsi
sentirselo rinfacciato dal
proprio figlio. Tacque.
“Per lo meno l’Abstergo ha avuto la creanza di
portarmi da loro e non lasciarmi
morire! Forse dovrei tornare da loro a dirgli almeno grazie!”
aggiunse il
giovane, sarcastico. Non avrebbe voluto dire quelle parole, solo che in
quel
momento era troppo nervoso ed arrabbiato per soppesarle, non capiva
perché dovesse
essere tenuto sempre all’oscuro di tutto, perché
dovesse essere sempre l’ultimo
a sapere le cose.
William non riuscì a trattenersi oltre, tanto che a quel
punto alzò la mano e
gli diede un sonoro schiaffo.
Rebecca e Demetrio si sentirono piuttosto in imbarazzo a stare ad
assistere a
quella scena, mentre l’inglese aveva riaperto il libro ed
aveva abbassato lo
sguardo su di esso, seppur non leggendolo, ed estraniandosi dalla
conversazione.
La stanza venne inghiottita dal più completo silenzio, un
silenzio denso e
carico di tensione, di sguardi, di rabbia.
L’aria era pesante, tanto da voler far scappare a gambe
levate i tre ragazzi
non coinvolti nella discussione.
Il respiro di William era lievemente accelerato per via della collera e
delle
ultime parole del figlio che avevano fatto traboccare il vaso,
portandolo a
quel gesto.
“Rispetto ragazzo. Rispetto” sibilò il
mentore, guardandolo dritto negli occhi.
“Non hai idea di quello che stai dicendo, sei un
ingrato.”
Desmond si portò una mano sulla guancia, la sentiva
pizzicare per via dell’intensità
dello schiaffo, era stato piuttosto violento.
Inizialmente l’istinto gli aveva suggerito di saltargli alla
gola, ma poi la
razionalità lo aveva riportato con i piedi per terra,
facendogli capire che non
era suo padre il nemico. Tuttavia quel gesto lo aveva irritato come non
mai,
avrebbe mandato tutto al diavolo se fosse stato per lui.
Gli occhi scuri ed intensi del ragazzo rimasero immersi in quelli del
padre. Lo
fulminò con lo sguardo, senza aggiungere altro,
quell’occhiata sarebbe valsa
più di mille parole. Si voltò e si diresse verso
l’uscita, notando solo a quel
punto i compagni che si erano eclissati e rendendosi conto solamente in
quel momento
di aver dato grande spettacolo.
“Dove stai andando?!” tuonò la voce del
padre.
“Lontano da te!” rispose il ragazzo.
“Torna subito qui! Non abbiamo ancora finito! Desmond!
Desmond?!” lo vide
lasciare la stanza, tant’è che fece per lanciarsi
al suo inseguimento ma
Rebecca, che era di fronte l’arco della porta, lo
fermò.
“Non credo sia il caso William. Credo che dobbiate sbollire
entrambi” le parole
le uscirono dalla bocca con una tale facilità e
semplicità che se ne stupì: in
realtà non avrebbe voluto mettersi in mezzo e anzi, quando
gli occhi del
mentore si posarono su di lei, tremò.
William tuttavia non aggiunse nulla, forse aveva ragione la mora. A
quel punto
però volse il capo verso Demetrio.
“Come ti è saltato in mente di lasciarlo
lì da solo? Ti saresti dovuto
assicurare che sarebbe tornato indietro!” lo
rimproverò.
Shaun chiuse nuovamente il libro ed incrociò le
braccia su di
esso. Volse il capo verso i nuovi due litiganti, molleggiando appena
sul divano
per trovare una posizione più comoda, intento a godersi lo
spettacolo. Dov’erano
i pop-corn?
“Io sinceramente non pensavo che…”
tentò di giustificarsi l’italiano.
“Tu non devi pensare! Devi fare quello che ti si dice! E se
Desmond fosse stato
catturato di nuovo?”
“Io… mi dispiace William. Per qualsiasi cosa sia
accaduta” disse sincero il
giovane, abbassando il capo.
“Aspettami di sopra.”
Demetrio annuì. Lo aspettava una bella lavata di capo. Ma
che diavolo era
successo? Silenziosamente sgattaiolò via dalla stanza per
dirigersi in cima
alle scale.
William guardò Shaun, poi volse il capo verso Rebecca. Li
scrutò entrambi per
lunghi ed interminabili secondi.
‘E dai… ma io che cosa ho
fatto? Sono
stato tutta la mattinata a leggere qui da bravo!’ pensò
il rosso,
sostenendo lo sguardo del mentore.
Rebecca si sentì osservata e anche piuttosto colpevole,
seppur non ne avesse
motivo: lei non c’entrava nulla con quella storia!
William a quel punto si voltò e si diresse fuori dalla
stanza, lasciando i due
Assassini da soli.
Il silenzio non accennava a farsi meno denso, anzi, era ancora carico
di
elettricità. Solo il sospiro di sollievo di Rebecca
scandì quella calma,
assieme al ticchettio dell’orologio alla parete.
“Bel modo per iniziare l’anno”
commentò la mora, spostando finalmente lo
sguardo su Shaun. Dopo la ‘festa’ di fine anno e la
dichiarazione di Shaun,
sempre che così si potesse chiamare, avevano passato il
primo momento del nuovo
anno insieme, poi con gli altri, ed entrambi si erano addormentati sul divano,
l’uno tra le braccia dell’altra. Quella mattina non
si erano incontrati:
Rebecca si era dovuta alzare presto per andare a sbrigare delle cose in
centro.
Sapeva che molto di ciò che era accaduto il giorno prima era
stato per via dell’alcool,
tuttavia ricordava tutto e ne era felice, ma voleva avere un punto di
vista
anche dell’inglese, il quale non tardò ad arrivare.
Shaun volse il capo verso la ragazza ed incrociò il suo
sguardo. Si ritrovò
piuttosto in difficoltà ma decise di dissimulare quel
disagio e comportarsi
normalmente, con non-chalance.
“Rebecca…” cominciò.
“Sì?” la voce di lei si fece quasi
più melodiosa. Sorrise.
“Riguardo a ieri sera…”
continuò. Lo sguardo della mora era puntato su di lui,
curiosa.
“Avevamo bevuto, no? Ricordi?” domandò
lui.
“Certo. E non mi sembra l’unica cosa che abbiamo
fatto” si sforzò lei di tirare
in ballo il discorso del loro bacio, comprendendo che se avesse dovuto
aspettare lui probabilmente avrebbero fatto l’anno dopo
ancora.
“Ecco, appunto… volevo parlare di
quello.”
“Dimmi, sono tutta orecchi” rispose la ragazza
avvicinandosi e sedendosi
accanto a lui, sul bracciolo del divano. Sorrise ancora: che forse avesse
finalmente
il coraggio di farle una dichiarazione con i fiocchi?
“No è che… volevo dire per
l’appunto che avevamo bevuto e che… quando si beve
succedono cose di cui poi potresti pentirti, no?”
L’espressione sul volto di Rebecca cominciò a
mutare. Incrociò le braccia al
petto.
“Continua” gli disse, senza batter ciglio.
“E che quindi concorderai con me sul passarci sopra e far
finta che non sia
successo nulla, senza alcun rancore no?”
Rebecca rimase in silenzio per alcuni secondi ad osservarlo. Non
poté mentire a
sé stessa sul fatto che quelle parole la ferirono. Era da
tanto, troppo tempo
che aveva desiderato quel bacio ed ora che finalmente era
accaduto… Shaun
sembrava non volerlo davvero. Ma perché?
“Certo” si limitò a dire con tono piatto.
“Dopotutto lo sai, non sei proprio il mio tipo…
insomma, vorrei una ragazza
colta, intelligente, avvenente, che abbia le forme di una
donna… sì, nel senso,
una donna.”
Rebecca si sentì sempre più sconcertata.
“Prego?” alzò le sopracciglia.
“Perché io non sarei una donna secondo
te?”
“Beh diciamo che insomma, lasci un po’ a
desiderare.”
“Ah sì?” a quel punto il tono della mora
lasciò trasparire il suo disappunto. “Eppure
ieri non mi sembravi disdegnare tanto il mio essere donna!”
ora era davvero
indispettita.
“Ero ubriaco, te l’ho detto! Un uomo ubriaco si
accontenterebbe di tutto! Non
vede le cose come sono realmente!”
“Sei un idiota!” disse alzandosi, prendendo il
libro che poco prima Shaun aveva
lasciato sul divano e lanciandoglielo contro, colpendolo alla bocca
dello
stomaco. Si voltò e si diresse velocemente
all’uscita.
L’inglese annaspò in cerca d’aria.
“E dai! Rebecca! Sei permalosa!” le
gridò dietro, vedendola sparire oltre l’arco
della porta.
Shaun sospirò, portandosi una mano sullo sterno e
massaggiandosi piano. Non
voleva essere cattivo ma… non se la sentiva proprio di
esporsi così tanto, non
in quel momento, non in quel modo. Probabilmente dispiaceva anche a lui
aver
troncato quella cosa sul nascere, ma il suo orgoglio gli impediva di
vederlo.
La mora
raggiunse l’esterno del casale: era furente di rabbia e
– inutile negarlo –
anche piuttosto triste.
Si fermò
sotto al portico ed inspirò a pieni polmoni l’aria
fresca, solo
qualche istante più tardi notò Desmond
più lontano, seduto ai piedi di un
albero di mimosa, ancora spoglio dai suoi bellissimi fiori gialli e
profumati.
La mora si
avviò e superò la staccionata, raggiungendo
lentamente il giovane.
Desmond era lì, all’ombra, mentre
guardava un punto indefinito di fronte a sé, lontano. Se ne
stava seduto con le
gambe ritirate al petto e le braccia appoggiate sulle ginocchia.
Sentì dei
passi avvicinarsi, ma non se ne curò.
Una volta che Rebecca
fu accanto a lui, gli appoggiò una mano sulla spalla.
“Ehi Des,
posso?”
L’americano
si strinse nelle spalle e le fece cenno con il capo di mettersi
seduta, e così lei fece.
“Che
cos’è successo?” domandò
allora la mora, incrociando le gambe e guardando
il compagno. Lui sospirò.
“Niente.
Stamattina Demetrio mi ha portato in centro per farmi vedere la
ragazza… Siria, no? Quella che credete possa avere uno dei
frutti dell’Eden.”
“Ahhh,
sì! E…?”
“E quando
Demetrio ti ha raggiunta, io sono rimasto lì e
l’ho seguita. Nessuno
mi aveva detto niente, né di che cosa si trattasse. Ero
curioso… e due agenti
Abstergo ci hanno seguiti. Sono riuscito a seminarli e a portare in
salvo la
ragazza, e mio padre se l’è presa.
‘Avresti potuto compromettere la
missione!’”
gli fece il verso.
Rebecca sorrise.
“Si preoccupa per te Desmond.”
Lui scosse il capo.
“No…”
“Smettila,
lo sai che è così” disse allora
più seria la ragazza.
L’americano
si strinse nelle spalle. “E’ che a volte sono
stanco di tutto
questo. Oggi mentre ero in città e vedevo le persone vivere
tranquillamente le
loro vite, senza il bisogno di nascondersi o di temere ogni singolo
istante
della loro vita… mi sono sentito un estraneo. Sono stanco di
tutto questo. Sono
le cose che vedi al cinema, sui libri o nei videogiochi: eroi che danno
tutta
la loro vita per la salvezza dell’umanità, per un
bene comune… è bello
impersonarsi in un eroe il tempo di un film o di un videogioco, ma poi
torni
alla vita reale… e noi? Quando torneremo alla vita reale?
Quando saremo liberi
di costruirci un futuro nostro?”
Rebecca
ascoltò le sue parole in religioso silenzio, rimanendo ad
osservare il
ragazzo con lo sguardo immerso in un luogo lontano, forse in un futuro
lontano,
nel quale la sua vita sarebbe stata quella di un ragazzo normale.
“Spero
presto Desmond” rispose lei cingendogli le spalle con un
braccio. “Te lo
meriti più di chiunque altro” aggiunse poi piano,
in un sussurro, appoggiandogli
il capo contro la spalla e vagando a sua volta lontano con lo sguardo,
in un
futuro perfetto creato da loro.
____________________________________
Angolo Autrice:
Ma guardate un po' chi si
rivedeeehhhh!
Eccomi con un nuovo capitolo! :D
Dai, non vi ho fatto aspettare troppo questa volta, meno di un mese
u.ù
*Si fa le congratulazioni da sola*
Ahahahaha, no ok, scherzi a parte!
Per il prossimo dovrete aspettare ancor di meno visto che il capitolo
è già in lavorazione, nonché quasi
finito! :3
Non credo ci siano chiarimenti da fare riguardo al capitolo, ovviamente
si svolge sempre il primo di Gennaio, dopo che Desmond ha incontrato
Siria e che ha 'rischiato' di metterla in pericolo!
E... Shaun, che cretino! *facepalm* ma dovevo farlo!! Qualcuno
dovrà pur mettere un po' di sale in questa storia, no?
*Prende un sacco di sale e lo svuota sul computer*
Direi di passare subito ai ringraaaziamenti!
Ringrazio Hamber of the
Elves, KeynBlack e SlytherinSoul
(la quale voglio rassicurare che oggi filerò a
leggere la sua fan fiction *yeeee, oggi ozio! :3*) per essere come al
solito i miei assidui recensori! <3
Ringrazio anche Lightning00
per essere una mia assidua recensitrice e per avermi risparmiato la
posta invasa dai suoi insulti, sei davvero caVVa! <3
Ringrazio - e son felicissima - di rivedere ladyjessy e Morgause___ (che
cambia nick ogni 3x2 e mi fa rinstupidire più di quanto io
non lo sia già!) per essere sbucate di nuovo fuori! :*
Quindi vi ringrazio tutti quanti per le recensioni all'ultimo capitolo!
Ringrazio i lettori
e coloro che hanno inserito la storia tra le ricordate, seguite e preferite!
Grazie, grazie, grazie e grazie!
Ormai è più di un anno che questo delirio va
avanti, tra momenti morti e momenti di intensa ispirazione... e per lo
più è grazie a voi che va avanti, alla fin fine,
perché con le vostre belle parole mi spronate sempre a
continuare e a far di meglio! <3
Non nasconderò il fatto che spesso, visto come prosegue
ACBF, ho pensato di accantonare la storia perché alla fine
non si intona affato con ciò che succede nel quarto
capitolo. Di tanto in tanto mi capita ancora di pensarci ma alla fine
beh, le fan fiction sono fatte per questo no? Per esplorare tanti
piccoli universi paralleli che si sarebbero potuti andare a creare!
(Tra le altre cose mi sa che tra poco tra le note dovrò
metterci la 'What if?', visto come prosegue la storia principale
x°D ma di Shaun barista, ne vogliamo parlare? *muore*)
Ok dai, mi sto dilungando troppo!
Grazie ancora a tutti voi, davvero! Siete magnifici! :)
Un abbraccione forte a tutti quanti e - come al solito - al prossimo
capitolo!
♥
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Capitolo 18 *** Illusions ***
18. Illusions
C’era
una
calma davvero surreale lì fuori: il vento che accarezzava
l’erba e smuoveva
leggera le fronde degli alberi, le nuvole che si inseguivano lentamente
nel
cielo ed il sole che brillava intenso.
Rebecca era stretta ad un braccio di Desmond, con il capo appoggiato
sulla sua
spalla. Era da parecchio che erano seduti lì da soli, in
silenzio, a riflettere
sul tempo, sul futuro.
La quiete venne interrotta quando, alle loro spalle, sentirono dei
passi. Era
Demetrio.
“Che bella giornata eh?” domandò
l’italiano fermandosi alle loro spalle.
Sia Rebecca che Desmond volsero il capo e lo guardarono dal basso. La
mora si
ritirò dal corpo dell’americano.
“Ehi, mi dispiace per la discussione con tuo
padre.” disse Demetrio.
“Non preoccuparti, non è colpa tua. Anzi, mi
dispiace che se la sia presa con
te.”
L’italiano si strinse nelle spalle.
Desmond puntellò una mano sull’erba e si
alzò. “Vi lascio, vado a farmi due
passi e poi forse rientro a riposarmi un po’, sono
stanco.”
“D’accordo” disse Rebecca osservandolo
allontanarsi, poi Demetrio qualche
istante dopo prese il suo posto e si sedette accanto alla ragazza.
“Bel modo di iniziare l’anno nuovo eh?”
mormorò lui.
“Puoi dirlo forte, ci stavo pensando proprio poco
fa… se il buongiorno si vede
dal mattino, voglio seppellirmi” rispose lei tornando a
guardare la distesa di
fronte a sé.
Demetrio continuò ad osservarla insistentemente, curioso.
“Perché dici così?
Non per lamentarmi ma sembra che il tuo anno sia iniziato meglio di
quello di
chiunque altro qui.”
Rebecca volse il capo verso di lui, era ovvio che si riferisse a Shaun.
“Certo, infatti sarebbe stato così se…
beh, niente” preferì tacere, abbassò lo
sguardo.
“Se? Che succede? Qualcosa ti turba?”
“Se non fossi stata scaricata dopo solo qualche
ora” concluse la frase lasciata
in sospeso. “Shaun è un idiota. Un ragazzino.
E’ infantile, puntiglioso,
egoista, sempre con le sue smanie di superiorità. Ma che
avevo in testa?”
Il ragazzo poté percepire un fondo di rabbia e delusione nel
suo tono.
“Scherzi? Mi dispiace… hai ragione comunque,
è un idiota. Come gli è venuto in
mente di lasciarsi sfuggire un fiorellino
come te?”
Reby portò nuovamente l’attenzione su di lui, il
suo accento italiano le
dipinse un lieve sorriso sulle labbra.
“Non posso biasimarlo dopotutto, a volte neppure ci rendiamo
conto di ciò che
ci stiamo lasciando scappare. Io ho fatto lo stesso con te, dopotutto.
Non
dovresti difendermi così a spada tratta.”
“Ma la situazione era diversa Rebecca. Non lo hai fatto
perché ti andava o
perché ti eri stufata o perché eri capricciosa.
Lo hai fatto per noi.”
La mora annuì appena. “Sì, forse hai
ragione… ma cosa importa ormai, sono trascorsi
anni, è acqua passata” e – dicendo
ciò – il suo sguardo si perse nuovamente
all’orizzonte.
“Lo credi davvero?” chiese lui continuando a
scrutarla.
Non seppe perché ma Reby in quelle parole carpì
molto più di ciò che il ragazzo
le avesse appena detto. Demetrio era sempre stato un buon amico oltre
che il
suo ragazzo, anni prima. Teneva a lui davvero molto, a prescindere da
tutto
quanto.
Immerse i suoi occhi cristallini in quelli verdi di lui.
“Tu no?” azzardò con un filo di voce.
Ci furono degli attimi di silenzio in cui l’italiano
soppesò le parole da dire.
“In verità…”
cominciò un po’ titubante. “Quando ti ho
vista varcare la soglia
del casale mi sono chiesto: come ho fatto a stare per tutto questo
tempo senza
di lei?”
Sul volto della mora si dipinse una sincera espressione di stupore.
“E’ difficile, ma se devo essere sincero non ho
smesso di pensarti in questi
anni… ho sempre sperato di rivederti, e sembra come se in
questo Natale così
triste e cupo io abbia comunque ricevuto un regalo, il più
bello. Tu, Rebecca.”
Lei rimase senza parole, sentì il cuore batterle
più forte e l’agitazione
assalirla. Quella sì che era una dichiarazione! E se fosse
stato Demetrio il
suo destino? Se fosse stato lui l’uomo giusto per lei?
“Io… non so che dire”
sussurrò, imbarazzata. Lei era sempre esuberante, diretta
e chiara, ma quelle parole le sciolsero il cuore, ma forse non come lo
avrebbero fatto le stesse parole uscite dalla bocca di un certo inglese
idiota.
“Non so, potresti dirmi che anche per te è
così, magari…” disse
l’italiano
sorridendole.
“Non lo so… sono un po’
confusa” ammise, e lo era davvero! Ormai era chiaro che
provasse qualcosa per l’inglese, ma se i sentimenti verso
l’italiano si fossero
esauriti non avrebbe avuto motivo di essere così agitata, o
no?
“Non ho bisogno di una risposta adesso, sono stato
così tanto tempo senza di te
che per qualche giorno in più non
morirò… spero” ironizzò,
cercando di spezzare
la tensione.
Rebecca sorrise.
“Pensaci” e – detto ciò
– Demetrio si sporse appena per schioccarle un bacio
quasi al lato del labbro, poi si alzò e si diresse
nuovamente verso il casale.
La mora rimase sbigottita, probabilmente rossa come un peperone. Ora
sì che era
davvero confusa!
La giornata
era trascorsa lenta e tranquilla. Desmond si era ritirato in camera
dopo una
breve passeggiata: aveva sentito l’accenno di un mal di testa
arrivare in punta
di piedi per poi esplodere in una vera e propria emicrania non appena
aveva
raggiunto il letto.
William avrebbe voluto mettere il ragazzo al corrente riguardo a Siria,
ogni
minimo particolare, ma Desmond non si era fatto vivo per tutto il resto
della
giornata così aveva immaginato che stesse poco bene o che
non avesse ancora sbollito
la collera, così preferì lasciarlo riposare.
L’americano si svegliò tardi, quando fuori si era
fatto già buio. Non appena
lanciò un’occhiata all’orologio sul
comodino notò che ormai era il due di
Gennaio, mezzanotte passata. Il mal di testa sembrava essere andato via
del
tutto, fatta eccezione per la pesantezza che sentiva gravare come un
macigno
sul capo.
Il giovane decise di alzarsi e scendere di sotto per vedere se qualcuno
fosse
sveglio e – soprattutto – perché stava
morendo di fame. Quando uscì dalla
stanza notò che era tutto buio, sinonimo che tutti stessero
già dormendo.
Eppure, mentre cominciò a scendere le scale a tastoni,
iniziò a sentire delle
voci confuse provenienti dal piano di sotto, probabilmente dalla
cucina.
Sperava vivamente che non ci fosse suo padre: era dispiaciuto per
ciò che gli
aveva detto ma era ancora arrabbiato riguardo la loro discussione.
Non appena arrivò alla cucina e accese la luce fu
meravigliato, anche se non
molto, di ritrovarsi davanti i tre antenati.
La stanza era grande abbastanza, abitabile: aveva tutti i mobili della
cucina
su una parete, la stessa alla quale, vicino all’angolo,
v’era la porta del
retro del casale. Era bella e ben tenuta, rustica, prevalentemente
bianca e
marrone. Al centro v’era un tavolo al quale Connor era
seduto. Altair era
appoggiato contro il frigo a braccia conserte mentre
l’Assassino italiano se ne
stava seduto sul bancone della cucina con le gambe a penzoloni.
Sembravano più
reali che mai, l’alone che di solito li circondava era
completamente sparito,
tanto che sembrava fossero lì, in carne ed ossa, assieme a
lui. Ormai gli
risultava davvero complicato comprendere quando stesse avendo delle
visioni e
quando no, l’unica cosa che lo guidava oramai era il suo
buonsenso.
‘Ci risiamo…’ pensò Desmond,
demoralizzato. Entrò nella cucina e decise di
ignorarli, magari così gli avrebbero fatto la cortesia di
sparire quanto prima.
“Si è
svegliato” disse Ezio, guidando
gli altri due compagni a portare l’attenzione
sull’americano.
“Mi chiedo come ci si aspetti che
questo
novizio salvi il mondo dal momento che preferisce dormire piuttosto che
rendersi utile” furono le parole aspre
dell’arabo.
“Non essere così cattivo con lui” si
intromise Connor.
Desmond continuò ad ignorarli. Passò davanti ad
Altair e si fermò di fronte ai
fornelli, scoperchiò una pentola e vi ritrovò
dentro della pasta, ancora, per
l’ennesima volta. Sospirò ed aprì un
cassetto, prese una forchetta e portò la
pentola sul tavolo, dopodiché si sedette di fronte a Connor
e cominciò a
mangiare in silenzio. Teneva lo sguardo basso, sul cibo, fin quando
solo
qualche istante dopo si ritrovò anche Ezio ed Altair seduti
al tavolo a
fissarlo.
Con un filo di pasta che gli penzolava ancora dalle labbra, Desmond
alzò lo
sguardo e li guardò tutti e tre, uno ad uno, prima di
risucchiare lo spaghetto
con un suono tutto fuorché elegante. Si prese il suo tempo
per masticare e
mandare giù il boccone sotto lo sguardo attento degli
antenati, poi non ce la
fece più.
“Che c’è? Avete fame? Mi guardate come
se non mangiaste da millenni, non lo
sapete che è maleducazione?” disse esasperato.
“La tua mancanza di
serietà mi lascia
allibito” rispose Altair appoggiandosi contro lo
schienale ed incrociando
le braccia al petto.
“Ma fa sempre così?” chiese allora
l’americano, guardando gli altri due.
“Pian piano ci farai
l’abitudine. Se ci
siamo riusciti noi, ci riuscirai anche tu… dopotutto sei tu
quello che si
ambienta facilmente e si abitua a tutto, no?” disse
l’italiano.
Desmond alzò lievemente le sopracciglia e lo
guardò per qualche istante.
“Si può sapere che cosa volete da me?
Perché continuate a darmi il tormento?
Non esistete!”
“Ne sei sicuro?” domandò
ancora
l’italiano.
“Ovviamente!”
“La certezza è la madre
degli idioti” commentò
l’arabo.
“Io non lo sopporto” bofonchiò Desmond,
voltandosi poi verso Altair. “E allora
visto che sai tutto perché non mi illumini? E soprattutto
spiegami perché
quando rivivevo i tuoi ricordi sembravi così saggio ed
affascinante, il grande
Assassino arabo, e ora che rivivi grazie alla mia testa sei un completo
stronzo!”
concluse cominciando davvero ad alterarsi, ma poi alla fine dei conti
con chi
stava litigando? Con l’aria? Con sé stesso? Tutto
ciò era assurdo.
Altair non fece in tempo a rispondere che sentirono qualcuno bussare
alla porta
d’entrata. Desmond volse il capo verso il corridoio e quando
tornò a guardare
gli antenati, essi non c’erano più.
“Chiaramente. Al diavolo…”
bofonchiò il ragazzo, alzandosi. Mentre imboccava il
corridoio, rischiarato solo dalla luce proveniente dalla cucina alle
sue
spalle, si chiedeva chi potesse essere. Dal momento che aveva dormito
tutto il
giorno e non sapeva chi dei compagni fosse entrato ed uscito,
immaginò che
potesse essere uno di loro.
Arrivò a tastoni fino all’entrata, non prima di
aver sbattuto il ginocchio
contro un mobile ed imprecare a bassa voce. Appoggiò la mano
sulla maniglia e
lentamente aprì la massiccia porta blindata, sporgendosi per
vedere chi vi
fosse. Non poté credere ai suoi occhi: sentì un
tuffo al cuore ed un vuoto allo
stomaco quasi inghiottirlo mentre il senso di colpa cominciò
a serpeggiare
dentro di lui.
___________________________________
Angolo Autrice:
Sono
stata bravaaaa?!?!? *--*
Ho aggiornato preeesto! u.ù
*Si applaude da sola*
*Rotola*
Ok, la smetto :3 posto al volo e scaaaappo viaaaa, veloce come il
veeento!
Scherzi a parte u.ù chi sarà la persona
misteriosa alla porta?
Sono UFFICIALMENTE aperte le scommesse!
Porterà pace o scompiglio?
Chi lo sa! èwé
Il prossimo capitolo sarà un po' più lunghetto
u.u ho dovuto separarlo dal prossimo che sennò sarebbe
venuto TROPPO lungo!
Ok, queste note d'autore sono pressoché inutili, uno sclero
continuo!
Prima di passare - e chiudere - ci tengo a fare i miei piccoli ma
meritati ringraziamenti!
ladyjessy, Lightning00
(continua a farmi morire dalle risate, ti prego!), KeynBlack e SlytherinSoul per
aver recensito il mio ultimo capitolo!
Grazie, grazie, grazie, grazie! <3
Ringrazio anche Dooinfe
per aver inserito la storia tra le preferite,
Fantom94 per
aver inserito la storia tra le seguite
E GjXD per
averla inserita tra le ricordate!
Grazie, grazie e grazie!
E come al solito grazie a tutti voi, chiunque passa di qui e spende
solo qualche minuto del suo tempo a leggere :)
Al prossimo capitolo!
Tanti baci! <3
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