Dawn of a new Era

di Fluxx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Nova Era ***
Capitolo 3: *** Shattered ***
Capitolo 4: *** Broken Youth ***
Capitolo 5: *** Welcome Back ***
Capitolo 6: *** New Old Life ***
Capitolo 7: *** Surprise! ***
Capitolo 8: *** Bitterness ***
Capitolo 9: *** Juhan Otso Berg ***
Capitolo 10: *** Ancestors ***
Capitolo 11: *** Don't be afraid ***
Capitolo 12: *** Escape ***
Capitolo 13: *** Nightmare ***
Capitolo 14: *** Wake up, Desmond! ***
Capitolo 15: *** Happy New Year! ***
Capitolo 16: *** La ragazza dai capelli rossi ***
Capitolo 17: *** Thinkin About the Future ***
Capitolo 18: *** Illusions ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Dawn of a new Era


Prologo

Il trio si apprestava a lasciare il tempio, correndo verso l'uscita. Si sentiva solo lo scalpiccio dei loro passi ed i loro respiri che si facevano via via più pesanti.
Shaun di tanto in tanto lanciava uno sguardo dietro di sé per vedere se William stesse al passo. Era difficile per tutti, ma lui era il padre. Nessuno aveva la minima idea di cosa stesse per accadere a Desmond, o meglio, tutti ne avevano il presentimento... Ma nessuna certezza.
Arrivati alla ripida salita Rebecca si arrampicò per prima tra il terriccio e le rocce. Shaun le diede una spinta con la mano sul fondo schiena per agevolarla nella salita. Arrivato ormai in cima, l'inglese volse il capo e notò William lievemente in difficoltà, gli allungò la mano afferrando la sua e tirandolo su.
Rebecca si era avviata già verso il furgoncino per metterlo in moto così da essere pronti per partire... Chissà da cosa stavano fuggendo esattamente.
“Io... Io non posso venire.” Disse trafelato l'uomo, fermandosi quando avevano raggiunto il veicolo.
“Ma.. William, che stai dicendo?!” Domandò Shaun con tono acuto, prima di voltarsi. Era agitato anche lui, più di quanto volesse far vedere.
“E' mio figlio. Non posso.. Abbandonarlo adesso.” Gli occhi cerulei dell'uomo si abbassarono sul pavimento. Il suo sguardo tremava.
“Ragazzi, siamo pronti?!” Domandò la mora, sporgendosi dalla portiera.
“Eccoci!” Rispose prontamente l'inglese, prima di poggiare una mano sul braccio di William. “Lui non lo vorrebbe. Ci ha detto di andare via e... Se la caverà.” Nel dire quelle ultime parole gli tremò la voce, strinse appena i denti. Non incrociò il suo sguardo, seppur il padre del ragazzo non lo stesse guardando a sua volta, ma voleva salvaguardarsi dalla remota possibilità che – se l'uomo avesse incrociato il suo, di sguardo – avrebbe mentito guardandolo negli occhi.
“Andiamo, forza.” Disse flebilmente Shaun, trattenendolo per il braccio per un paio di passi, dopodiché lo lasciò ed aprì gli sportelli posteriori del camioncino salendo su di esso e – dopo di lui – anche William fece lo stesso.
Il tempo di allacciare le cinture, mettere in modo ed i tre videro dagli specchietti il tempio allontanarsi e – con esso – anche Desmond ed ogni speranza di salvare il ragazzo.

'Perdonami, figlio mio...'

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Angolo autrice:

Ta-daaan!
Ammazza, nella one-shot mi lamentavo che sono sparita ed ora posto la seconda storia nello stesso giorno! Wow!
Con la differenza che questa non è una one-shot ma bensì una long (non troppo long, tranquilli! Non vi ammorberò per troppo!)
Ho finito un paio d'ore fa ACIII ed è inutile dirvi che ci sono rimasta una vera M***A!
Insomma, il finale tutto di corsa, tutto raffazzonato così, non mi è piaciuto per nulla! Insomma, era la morte di Desmond, cacchio! Mica del primo che passa!
Che poi, secondo voi, è morto sul serio? Magari ha solo perso i sensi, è svenuto, è in coma, che ne so!
Insomma, potevano metterci un po' di sentimento! Shaun, Rebecca e William che lo abbandonano così, non uno straccio di pensiero da parte sua, un flashback, nulla! 
Che amarezza!
Tocca solo che aspettare il nuovo Assassin's Creed.
Ed io che speravo che il terzo fosse il capitolo di Desmond, interamente dedicato a lui. Sigh.

Beh, spero che questo primo capitolo d'introduzione vi incuriosisca un po', non sarà tragedia, guerra e morte, ma un post finale di ACIII.
Vediamo un po' cosa ne esce fuori, vi va?! ;D
Alla prossima!

Evelyn

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Capitolo 2
*** Nova Era ***


Nova Era


Era parecchio che Rebecca guidava senza meta, solo per allontanarsi dal tempio. Non aveva la minima idea di dove stessero andando.
Shaun, seduto sul sedile del passeggero, aveva visto il panorama mutare velocemente fuori dal finestrino. Nessuno aveva proferito parola. Nessuno aveva osato seppur ciò che si vedeva fuori dal veicolo era uno spettacolo piuttosto insolito: il cielo era completamente dipinto da scie irregolari e mutevoli di un verde intenso, brillante, che danzavano nel blu della notte.
William, Rebecca e Shaun non ne avevano idea, perché si trovavano in macchina, ma la terra sotto i loro piedi tremava. Lo avevano sentito uscendo dal tempio, ma forse erano troppo presi ed agitati dalla situazione per notarlo.
Tutti e tre probabilmente pensavano alla stessa cosa – o meglio – alla stessa persona: Desmond. E tutti e tre si ponevano lo stesso interrogativo: erano realmente salvi? Cosa significava il fatto che aveva liberato Giunone? Dovevano temere? Dovevano tremare? Troppi interrogativi e troppe poche risposte, pressoché nessuna.
Gli occhi della mora saltarono in un istante dalla strada alla spia rossa della riserva che si accese. Strinse il volante con le mani e tornò a guardare la stradina sterrata che stavano percorrendo: sulla sinistra v'era una lunga ed alta parete rocciosa mentre sulla destra alberi e cespugli, qualsiasi tipo di flora e – tra le fronde degli arbusti – si potevano intravedere gli alti palazzi di New York, in lontananza.
La ragazza non sopportava quel silenzio così colmo di tensione, tristezza, rabbia... Di parole non dette e di emozioni non esternate.
Strinse il volante con più forza e finalmente si decise a rompere quel silenzio che era divenuto opprimente, quasi assordante per via di tutti i pensieri che le vorticavano per la mente senza poi trovare una vera e propria via d'uscita, alcuna valvola di sfogo.
“Siamo in riserva.” Sibilò.
Silenzio.
Rebecca cercò lo sguardo del maestro Assassino nello specchietto retrovisore, tutto ciò che vide fu William seduto sul sedile posteriore, ricurvo in avanti con i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani fra i capelli. Il viso affondava tra i palmi.
Serrò le labbra e lo sguardo si spostò nuovamente, con un leggero movimento del capo. Guardò Shaun.
L'inglese se ne stava a fissare il panorama di fuori, sembrava apparentemente assente. In realtà notò con la coda dell'occhio che la ragazza lo guardò per un istante così, a sua volta, volse il capo verso di lei con uno sguardo indecifrabile: sembrava quasi si fosse svegliato in quell'istante da un lungo sonno, quasi da un coma.
“Come? Hai detto qualcosa?” Domandò. La voce era piatta, priva di qualsiasi emozione.
A quel punto Rebecca notò quanto fosse stato sciocco il suo tentativo di rompere il silenzio – seppur ci fosse riuscita.
“Ho solo detto che.. Nulla.” Si morse la lingua e si sentì stupida, inadeguata ed inutile. Non c'era modo di alleviare i loro dolori, non c'era modo per far svanire le loro pene anche se avrebbe voluto farlo con un semplice schiocco di dita.
In quell'istante le parole di Rebecca rifiorirono nella mente dell'inglese, il quale percepì l'informazione che poco tempo prima la compagna aveva riferito ai due.
“Fermiamoci qui. E' tardi... Siamo tutti stanchi e provati, forse dovremmo fermarci, aspettare e vedere che cosa succede. Non farà la differenza se rimaniamo qui o in città se il mondo dovesse realmente... Beh.” Si bloccò.
E se il mondo fosse realmente finito? Non potevano averne la certezza finché... Finché cosa? Finché il 21 Dicembre non sarebbe passato? Il suo sguardo saltò incerto verso l'orologio del veicolo: erano le sette di sera appena passate.
Rebecca non osò completare la frase del compagno, si limitò semplicemente a fare come richiesto espressamente da lui: rallentò e sterzò leggermente verso destra, uscendo dalla stradina sterrata e fermando il furgoncino nell'erba sotto le fronde di alcuni alberi i quali, strusciando contro la carrozzeria del veicolo, provocarono un fastidioso stridio che però, grazie al cielo, finì solo qualche istante dopo.
La ragazza girò la chiave nel quadruccio ed anche il motore si spense, lasciando spazio ad un silenzio più pesante di quanto già non fosse prima.
Rimasero tutti fermi, nessuno proferì parola, fin quando Shaun non si alzò dal suo posto e si sedette dietro, di fronte a William. Appoggiò come lui i gomiti sulle ginocchia e con una mano gli sfiorò il braccio, prima di afferrarlo.
“...” Cosa avrebbe potuto dire? Qualsiasi cosa alla quale pensava gli sembrava di un cinismo assoluto.. Così si limitò ad aprire il suo cuore: per una volta gli sembrava la cosa più giusta da fare.
“William, io...” Fece una pausa e deglutì a fatica. Lanciò uno sguardo alla mora, la quale sembrava completamente estranea alla discussione ma che – in realtà – li stava osservando dallo specchietto retrovisore.
L'inglese tornò a guardare l'uomo, chiuso in sé stesso. Non poteva vederne gli occhi, lo sguardo, il viso... Era stato in silenzio tutto il viaggio quasi fosse diventato invisibile.
“Mi dispiace.” Asserì qualche attimo dopo, stringendogli il braccio. “Lo ha fatto per noi, lo ha fatto per salvarci noi tutti e...”
Non fece in tempo a finire la frase che William alzò il capo di scatto, quasi fulminandolo con lo sguardo, “Sì ma chi ha pensato a salvare lui? Chi ha pensato a salvare mio figlio?!” Domandò, alzando la voce, in un acuto misto di rabbia e disperazione. Nell'istante subito dopo ritirò il braccio, liberandosi dalla presa dell'inglese. Quest'ultimo si tirò appena più indietro, mortificato e interdetto: aveva visto nei suoi occhi la delusione di un Maestro il quale non era riuscito a portare a buon fine il suo lavoro, l'umanità lacerata di un uomo il quale era dovuto scappare da uno spettacolo orrendo e – non meno di tutti – la disperazione di un padre che aveva appena perso il proprio figlio.
“Io non intendevo..”
“Non mi importa cosa intendevi Shaun! Non mi importa!! Lo capisci?!” Si accanì contro l'inglese, prima di allungare un braccio ed aprire gli sportelli posteriori del furgoncino, uscendo.
William inspirò a pieni polmoni, riempendoli con l'aria fresca. Si sentiva distrutto, a pezzi. Non voleva prendersela con Shaun ma non riuscì a fare diversamente: dopotutto era lui che lo aveva fatto salire sul camioncino quasi contro voglia, forse covava un po' di risentimento per quello: per non averlo lasciato andare da suo figlio.
“Accidenti.” Bofonchiò stizzito l'inglese, osservando William allontanarsi.
Rebecca allora si alzò dal sedile di guida e lo raggiunse nella parte posteriore del veicolo. “Lascialo andare... Forse ha bisogno di stare un po' da solo.”
“Io non volevo..”
“Lo so Shaun, lo so.” Lo interruppe Reby poggiandogli una mano sull'avambraccio, sedendosi di fronte a lui nel posto prima occupato dal padre del loro – ormai – defunto compagno.
L'inglese appoggiò una mano su quella della ragazza, quasi in una gentile pacca, poi la guardò.
La terra tremò nuovamente. Rebecca rabbrividì. Strinse la mano del compagno e cercò di mantenersi lucida e positiva, per quanto quella situazione potesse farla rimanere positiva.
“Credi che Desmond...?” Azzardò la ragazza, senza aver il coraggio di finire la frase.
“Non lo so Rebecca, io credo.. Non lo so.” Si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo sulla sua mano, sopra quella della ragazza.
“Perché siamo scappati via?” Domandò ancora la moretta, ormai attanagliata dai sensi di colpa per aver lasciato il compagno di fronte ad un destino così buio, incerto e misterioso.
“Perché era così che doveva andare, perché voleva che andassimo via, perché era giusto così.” Rispose l'inglese. Si rese conto di quanto la sua risposta fu fuori luogo ma non ci poteva fare nulla, il cinismo era parte di lui.
“Era.. Giusto così?” Chiese la ragazza, interdetta. “Era-giusto-così? Ma ti rendi conto di quello che dici?! Sei sempre il solito cinico del cazzo!” Sbraitò la ragazza, prima di ritirare la sua mano e di alzarsi, tornando al sedile del guidatore.
Shaun schiuse appena le labbra, per dire qualcosa e difendersi, ma quello che uscì fuori dalle sue labbra fu solo un flebile sospiro. Non intendeva realmente dire ciò che aveva detto.
La ragazza non aveva alcuna voglia di sentire ancora la voce di quel cretino di Shaun, così ritirando una gamba al petto, appoggiando il ginocchio contro il volante, allungò una mano ed accese la radio.
Sembra una specie di enorme aurora boreale, non si è mai visto nulla del genere. I testimoni parlano di tempeste elettriche e di strani fenomeni atmosferici..”
Rebecca volse appena il capo verso Shaun, la quale la guardò e velocemente si alzò per raggiungere il sedile del passeggero, accanto a lei, alzando poi il volume della radio.
Le autorità invitano a restare in casa e ad aspettare. I geologi riferiscono di attività sismiche nell'intera zona interessata. Nel nord-est del Canada pare che sia in corso la grandinata più violenta mai registrata..” Di tanto in tanto il segnale sfarfallava.
I due compagni si guardarono.
Satelliti e trasformatori saltano ora che i fenomeni sono più intensi. In tutto il mondo ci sono black-out......” La trasmissione si interruppe nuovamente, questa volta per qualche istante, “.. Si sta calmando. Focolai di attività sismica e vulcanica sono ancora attivi... Ma l'intensità e calata drasticamente. Ovviamente ci vorrà del tempo perché gli esperti valutino la gravità dei danni causati dagli eventi di oggi. Tuttavia, sembra che il peggio sia passato. Continueremo a tenervi informati sui nuovi sviluppi.”
I due ragazzi si guardarono. Questo significava che...?
Shaun vide gli occhi della mora riempirsi di lacrime e la sua espressione mutò velocemente. Prima che potesse dire o fare qualcosa si buttò tra le braccia del compagno inglese, il quale strinse appena i denti e le portò le braccia intorno al corpicino della ragazza, scosso dai singhiozzi. La strinse contro il suo petto.
“Sta calma... Shh. Sta calma. Va tutto bene.” Sussurrò prima di spostarsi appena e scivolare dal sedile al pavimento del veicolo assieme alla ragazza che ormai si ritrovava tra le sue gambe, con il viso affondo nel suo petto.
Shaun allungò una mano e spense la radio, riportando poi il braccio intorno al corpo esile di lei. Poggiò le labbra tra i capelli dell'Assassina e rimase in silenzio, cercando quantomeno di farle sentire un po' di calore ed il suo appoggio.
L'inglese doveva ammettere che inizialmente non aveva preso bene l'aggiunta del pivellino nella loro squadra, quando Lucy l'aveva portato nel loro nascondiglio. Si era sempre comportato male con lui in modo scorbutico e sgarbato... Eppure pian piano aveva cominciato ad allacciarci un rapporto, lentamente, pian piano, giorno dopo giorno. Non era stato facile anche perché Shaun non era un tipo facile, non provava simpatia per chiunque, era difficile per lui legare con le persone. Eppure, l'inglese, poteva dire che alla fine tra i due si era formato un certo rapporto, un certo legame. Non poteva negare che gli dispiacesse per quel ragazzo, anzi, forse aveva cominciato da un po' – sempre a modo suo – a volergli bene. Lo apprezzava: non tutti avrebbero avuto la forza d'animo che avrebbe avuto lui, molti altri si sarebbero tirati indietro, non ce l'avrebbero fatta, sarebbero crollati. Shaun stesso non sapeva come si sarebbe comportato al posto del novellino.

Maledizione, Desmond..”

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Angolo autrice:

Hellooo folks!
Ed eccoci qui con il secondo capitolo.
Qui come potete vedere ho lasciato un po' più spazio all'introspezione, più che altro a quella di Shaun e un po' a quella di Rebecca, la quale comunque si nota che prova un certo disagio.
Per una bella introspezione di William - mi riferisco soprattutto a
La Strega di Ilse che mi disse a riguardo nella rece - (approposito ti ringrazio! :D) bisognerà aspettare tra il prossimo capitolo e quello dopo, dunque il terzo ed il quarto. 
Ne varrà la pena, mi piacciono le cose drammatiche a me, e bisogna costruirle bene! Eheheh :°D
Ma solo io e lei ci siam rimaste male per il finale di AC III? E per il povero piccolo Desmy? ç___ç
Sigh. Comunque che dolci Shaun e Rebecca u.u *Love is in the air* aahahah xD
Sciocchezze a parte, ringrazio in anticipo chiunque vorrà recensire o inserire la storia da qualche parte! (Detto così pare brutto! xD)
P.s: ovviamente 'Nova Era' vuol dire 'Nuova era'.. Ma credo sia ovvio xD
Vabbè, mi dileguo u.u

Vi mando un bacio e al prossimo capitolo!




Evelyn

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Capitolo 3
*** Shattered ***


Shattered


Shaun e Rebecca quella sera erano rimasti così, stretti l'uno nell'altro. Entrambi erano spaventati, amareggiati e addolorati. Non sapevano che fine avrebbero fatto di lì a poco. Seppur alla radio dicessero che il peggio fosse passato, come potevano crederci? Coloro che avevano visto così tanto e tutto ciò che era passato di fronte ai loro occhi sembrava come se il resto del mondo volesse nasconderlo. Sarebbero stati testimoni di eventi incredibili per il resto della loro vita, cose che nessuno avrebbe mai creduto di poter vedere, cose sulle quali non bastava 'dormirci su' per cancellarle o lasciarsele alle spalle... Ma quello era il loro destino, dopotutto.
Non si erano più mossi da lì, entrambi sul pavimento tra i due sedili. Erano provati dopo l'accaduto e Shaun era rimasto accanto a Rebecca in quel suo momento di totale sconforto e spavento.
L'inglese teneva un ginocchio piegato mentre l'altra gamba si allungava andando a finire tra il sedile del guidatore e i pedali del furgoncino. La ragazza era rannicchiata tra le sue gambe, sul suo petto.
Le aveva accarezzato la schiena tutto il tempo per cercare di calmarla mentre il suo corpo veniva scosso dai violenti singhiozzi.
Una volta che la mora si fu calmata, nessuno dei due aveva proferito parola. Nel silenzio del momento, dopo lo sfogo appena avvenuto e per le ultime notti insonni passate, Rebecca si era addormentata – sfinita – tra le braccia dell'Assassino inglese il quale, per paura di svegliarla, rimase al suo posto senza scomporsi un minimo.
Dopo lunghi ed interminabili minuti nei quali contemplò il cielo ricoperto dai fasci brillanti di verde che danzavano e ondeggiavano nel buio della notte, in silenzio, socchiuse gli occhi ed appoggiò il capo contro il sedile dietro di lui, esausto. Gli era dispiaciuto vedere Rebecca crollare così... Era preoccupato anche per William ma, come aveva detto la compagna, forse sarebbe stato meglio lasciarlo per un po' da solo.
Fu proprio tra questi pensieri che – lentamente – crollò anche lui in un tiepido torpore mentre Morfeo si accingeva ad accoglierlo tra le sue braccia.

William non appena era sceso dal furgoncino si era allontanato dai due compagni. Si sentiva debole ed impotente di fronte a ciò che era accaduto. Sentiva come se le sue gambe non avessero intenzione di sorreggere il peso del suo corpo ed il dolore dilaniargli il petto.
Non riusciva a pensare, a mettere in fila due singoli pensieri. Non avrebbe mai dovuto abbandonare Desmond lì da solo, perché diavolo lo aveva fatto?
La vita del ragazzo era sempre stata dura, complicata. Lui non c'era mai stato e si era ripromesso, in quei pochi giorni passati insieme, che non appena tutto sarebbe finito le cose sarebbero cambiate.
Non aveva mantenuto fede alla sua promessa. Aveva lasciato che le cose finissero nel peggiore dei modi, aveva lasciato morire i suoi buoni propositi prima di poter far vedere loro la luce.
Era stato un codardo, non era degno di essere un padre: non ne era capace.
Aveva vagato a lungo lì intorno, come uno zombie: sembrava apparentemente non ragionare, privo di qualsiasi sentimento ed emozione. Prima non aveva mai creduto che avrebbe preso così male la morte di suo figlio.
Ma era realmente morto? Era quello il problema.
Questo dubbio lo assaliva, lo tormentava da quando avevano lasciato il tempio: sarebbe morto? Nel suo cuore era ancora acceso un barlume di speranza eppure temeva il peggio.
Rebecca aveva guidato per circa due ore, lui ci avrebbe messo parecchio di più a raggiungere nuovamente il tempio. Non poteva tornare con il furgone: probabilmente Shaun e Rebecca non glielo avrebbero permesso. Bene, ciò significava che sarebbe tornato indietro per conto suo.
Era passato un po' da quando William aveva deciso di avviarsi verso l'ormai lontano tempio. Era buio, era Dicembre, ed il freddo pungente si faceva sentire.
L'Assassino si strinse nel suo cappotto e cominciò a camminare, passo dopo passo, mettendo un piede dopo l'altro.
Cosa avrebbe trovato una volta arrivato lì? Sarebbe stata una tremenda realtà o magari...?
Furono quei pensieri che, girando vorticosi nella sua mente, lo spinsero ad accelerare il passo fin quando non si ritrovò a correre disperato verso suo figlio.

I raggi del sole che filtravano dai vetri del veicolo facevano capolino sul viso fiacco dell'inglese, ravvivando il rosso dei suoi capelli arruffati. Gli occhiali erano ormai totalmente storti e scomposti sul suo naso.
Infastidito da quei raggi di luce che – penetrando tra le fronde degli alberi – si divertivano a danzare sul suo volto assumendo forme diverse, disegnando strane figure, l'inglese strinse gli occhi prima di riaprirli piano. Non riuscì a mettere subito bene a fuoco, sia per gli occhiali scomposti che per gli occhi ancora assonnati.
Si portò il braccio che giaceva sulla sua gamba davanti al viso, notando che con un braccio cingeva ancora il corpo della mora. Si sistemò gli occhiali sul naso e trattenne uno sbadiglio.
Quando Shaun finalmente si liberò la visuale dal braccio e portò lo sguardo fuori dal finestrino, notò un cielo azzurro, chiaro, limpidissimo, come forse mai era stato prima di quel giorno.
Inevitabilmente sentì un lieve calore diffonderglisi nel petto: era il 22 Dicembre 2012. Che il mondo fosse salvo?
“Becca..?” Sussurrò il ragazzo portandole una mano sulla spalla, scuotendola appena.
Rebecca mugolò appena, portandosi entrambe le mani al viso. Era completamente appoggiata contro il busto dell'uomo così, quando finalmente rinsavì, gli poggiò una mano sul petto per tirarsi indietro.
“Cosa..? Che..?” Domandò ancora assonnata, portandosi una mano agli occhi, stropicciandoseli.
“Credo che sia finita.” Mormorò l'inglese prima di offrirle un lieve sorriso.
“Uh..?” Solo in quel momento il cervello della mora mise in moto e ricollegò tutto l'accaduto. Si guardò intorno, come se stesse cercando qualcuno. In realtà cercava Desmond con lo sguardo e Shaun poté leggere la demoralizzazione nei suoi occhi quando non trovò il ragazzo.
La seconda cosa che notò, Rebecca, fu che non c'era neppure William.
“A-aspetta.. Ma dov'è William?” Domandò prima di poggiare una mano sulla spalla del ragazzo per fare leva ed alzarsi in piedi. Sentì i muscoli intorpiditi e le ossa scricchiolare. Si portò entrambe le mani nella parte inferiore della schiena prima di inarcarla all'indietro e stiracchiarsi.
“Non lo so, non è tornato.” Rispose lui prima di alzarsi a sua volta.
“Uh?” La ragazza lanciò uno sguardo verso il cruscotto: l'orologio analogico segnavano quasi le nove. “Ma sono passate più di dodici ore da quand'è andato via!” Disse, allarmata.
“Forse dovremmo andare a cercarlo... Ma ho un impellente bisogno di andare al bagno prima.”
“Muoviti!” Lo canzonò la ragazza prima di aprire gli sportelli posteriori del furgoncino e scendere, seguita subito dopo da Shaun.
Rebecca si allontanò lentamente, guardandosi intorno e notando – stupita – la giornata magnifica di fronte ai suoi occhi. L'inglese nel frattempo se ne approfittò per avviarsi tra i cespugli per adempiere ai suoi bisogni fisiologici.
“William! William!!!” Lo chiamò Rebecca a gran voce, intenta a farsi sentire e a cercare l'uomo.
“Becca, potresti abbassare la voce?! Mi blocchi lo stimolo!” Si lamentò Shaun. La sua voce gli arrivò da dietro alcuni cespugli.
La mora scosse il capo e sospirò pesantemente. “.. William!!”

Non appena Shaun finì di adempiere ai suoi bisogni raggiunse Rebecca. “William!!!” Lo richiamò a gran voce a sua volta.
I due Assassini si misero alla ricerca del compagno il quale non dava alcun cenno di voler spuntare fuori. Ad un certo punto trovarono più fruttuoso dividersi e così fecero: Rebecca rimase a cercare nei paraggi, lungo la strada ed oltre la vasta fauna dove – non appena superati i fitti cespugli – si estendevano un enorme campo di fiori, il quale però non si mostrò come un'esplosione di colori quale doveva essere – sia per il rigido inverno che per i fenomeni atmosferici appena trascorsi – ma bensì come un campo triste e smorto. Non era neppure lì.
Shaun, invece, decise di arrampicarsi sulla parete rocciosa per vedere – oltre cosa vi ci fosse sopra – se l'Assassino fosse lì o se magari dall'alto e da quella prospettiva gli sarebbe risultato più semplice individuarlo.
L'inglese era da un po' che non si cimentava in un po' di sano parkour o di semplice arrampicata: come più o meno tutti gli assassini anche lui si era ritrovato in situazioni che implicassero l'uso dell'agilità... Purtroppo per lui, però, il suo punto di forza era l'intelletto, né l'agilità né la potenza... Difatti ci mise almeno dieci minuti ad arrampicarsi fino in cima a quella parete mentre uno qualsiasi, come Desmond, ci avrebbe impiegato si e no nemmeno un minuto.
'Chi me l'ha fatto fare..' Pensò, maledicendosi. No: non era decisamente roba per lui... Ogni qual volta si cimentava in situazioni simili gli era sempre più chiaro il perché adorava starsene seduto sulla sua bella sedia, comodo comodo, a occuparsi delle sue cose, delle sue mansioni.
Non appena arrivò in cima, tuttavia, poté godere di vista ampia e vasta. Rimase lì sopra per qualche minuto, osservando tutta l'area circostante e sembrava davvero che di William non ce ne fosse neppure l'ombra. Neppure lì sopra. Sospirò sonoramente, notando Rebecca vederlo lì ed avvicinarsi per – probabilmente – chiedergli aggiornamenti, così decise di scendere.
La discesa, però, si dimostrò quasi più faticosa della salita.
“Dai che ci sei quasi! Ce la puoi fare!” Disse Rebecca, quasi ironica.
“Sta zitta! Posso farcela benissimo! Potrei farlo tutti i giorni!” Rispose Shaun con il suo solito tono saccente e di superiorità.
'Non lo farò mai più!' Continuò a lamentarsi, mentalmente, fin quando – quasi arrivato a toccare 'terra ferma' – mancò l'appiglio con il piede e scivolò rovinosamente con il fondo schiena a terra.
La mora, la quale era rimasta a guardare tutta la 'grande impresa' del compagno a braccia conserte, non riuscì a trattenere un risolino che le sfuggì dalle labbra.
L'inglese si rialzò piano, avvertendo un lieve dolore. “Che diavolo hai da ridire!? Può succedere!” Disse indispettito. Quant'era permaloso!
“Ad ogni modo qui intorno non c'è, sono preoccupata..” Rispose la ragazza sorvolando sul ruzzolone dell'inglese.
“Già, e se fosse tornato al tempio?” Le domandò con il tono ancora per un pelo infastidito.
“Pensi che possa essere tornato lì? Maledizione, dobbiamo andare a controllare! Non sappiamo cosa troverà.. Sempre che troverà qualcosa, potrebbe essere un duro colpo.”
“Quell'idiota.” Asserì l'inglese.
“Shaun! E' il padre di Desmond, è normale che voglia... Che voglia sapere qualcosa di suo figlio.” Ancora non sapeva come affrontare l'argomento.
“Forza, andiamo.”
“Aspetta!” Lo fermò la mora, Shaun si voltò.

Cosa?”
“E se non fosse andato al tempio e fosse solo andato a fare un giro? Magari tornerà tra un po' e non ci troverà... Forse dovremmo lasciare qui il furgone, almeno non penserà che ce ne siamo andati senza di lui.”
“Sì, certo, così arriviamo domani mattina!” Le rispose lui con fare saccente. “Andiamo al tempio, se non c'è torniamo qui... Forza, ora muoviti!”

_____________________________________
Angolo autrice:

Ben poco da aggiungere su questo capitolo...
Voglio semplicemente ringraziare  La Strega di Ilse e Ayrton Senna Forever per le recensioni lasciatemi :)
Non penso ci sia da aggiungere o spiegare qualcosa di questo capitolo, forse nei capitoli a venire, invece, sì... Ma scoprirete tutto!
Rimanete sintonizzati, ne varrà la pena!
Grande sorpresa in arrivo! :D
Baci!

P.s.
Piuttosto volevo chiedervi... Come vi trovate con la lunghezza dei capitoli? Sono troppo lunghi? Troppo corti? Vorreste durassero di più o di meno o va bene così?
Per me è importante perché so che magari quando sono troppo lunghi dopo un po' scocciano!
Ditemi pure!

Evelyn

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Capitolo 4
*** Broken Youth ***


Broken Youth


William aveva impiegato tutta la notte e parte della mattinata per raggiungere il tempio a piedi.
Non aveva pensato di metterci così tanto per arrivare ma purtroppo il suo corpo era stanco e provato dalle ultime settimane, dagli eventi accaduti, dalle notti passate insonne per salvare l'umanità, guadagnandosi però solo la morte di suo figlio.
Il suo corpo durante il tragitto gli aveva imposto di fermarsi varie volte, il più delle quali l'Assassino aveva stretto i denti e aveva continuato a camminare.
Quando le prime luci dell'alba avevano cominciato a rischiarare il paesaggio, William cominciò a rendersi conto veramente di quanto tempo avesse impiegato per tornare indietro.
Finalmente, quando ormai il sole era sorto da un po', l'Assassino poté scorgere l'entrata del tempio ma, ciò che vide, non gli piacque per nulla: di fronte ad essa era parcheggiato un furgoncino dell'Abstergo Industries recante il medesimo logo sulla fiancata laterale. Era inconfondibile.
Subito tutti i suoi nervi si contrassero, il cervello cominciò a mandare migliaia di impulsi lungo tutto il corpo ed il cuore a pompare il sangue più velocemente. Prese un gran respiro e così, furtivo, si diresse verso l'entrata.
Passando vicino al veicolo si rese conto che dentro era vuoto, così proseguì. Scivolò lentamente lungo la discesa iniziale, notando che qualcuno vi aveva posto delle rampe per facilitarne la salita. Una volta giù si guardò intorno: non sembrava esserci nessuno, non almeno nei paraggi. Le scale che portavano all'entrata della 'stanza proibita' del tempio gli rendevano difficile vedere chi e cosa ci fosse lì e se Desmond fosse effettivamente ancora laggiù.
Proprio quando mosse un passo per avvicinarsi e scoprire quale fosse stata la sorte di suo figlio notò – dalla sua pessima visuale – due teste fare capolino dalle scale, avvicinarsi e scoprire anche le spalle ed il resto dei loro corpi: indossavano entrambi una tuta bianca, sembravano far parte di qualche unità speciale.
Cosa diavolo ci facevano lì due agenti Abstergo di chissà quale divisione?
William si nascose dietro il piano che fino al giorno prima ospitava una delle fonti di energia, si sporse e continuò ad osservare i loschi individui avanzare verso la sua direzione, diretti verso l'uscita. Notò che stavano trascinando qualcosa.
“Fa attenzione.” Disse uno dei due all'altro mentre nel trascinare quella cosa – ancora ignota – giù per le scale faceva particolare attenzione a non farla sbattere troppo violentemente contro i vari gradini.
Solo quando il divario si accorciò, i metri diminuirono e i due si ritrovarono ad una distanza moderata da William, quest'ultimo poté realizzare che quello che i due uomini stavano trascinando fuori dal tempio aveva tutta l'idea di essere uno di quei sacchi dove si trasportano i morti, i cadaveri.
L'uomo sentì un tuffo al cuore: non poteva attendere oltre, non poteva frenarsi, doveva assolutamente scoprire cosa c'era lì dentro e se i suoi presentimenti fossero fondati... Sperava così tanto di sbagliarsi.
Probabilmente sarebbe stato un suicidio, le sue condizioni fisiche non erano le migliori per un combattimento corpo a corpo... Ma questa volta non aveva più alcuna importanza.
Proprio quando i due agenti Abstergo superarono il suo nascondiglio, William uscì allo scoperto: afferrò l'uomo più vicino tra la collottola ed il cappuccio calato sul volto e senza farsi alcuno scrupolo, con tutta la forza che aveva in corpo, lo strattonò obbligandolo a fargli lasciare la sacca, la quale cadde a terra e provocò un tonfo sordo.
L'Assassino gli portò un piede davanti le gambe per fargli perdere l'equilibrio e dopodiché, con entrambe le mani, gli spinse il capo contro l'angolo del piano roccioso. Il rumore che il cranio dell'uomo fece a contatto con la dura roccia fu secco e orribile, tanto da far accapponare la pelle al suo compagno.
Messo fuori gioco il primo, William si voltò subito verso il secondo il quale gli teneva la pistola puntata contro: fu un riflesso incondizionato che gli fece afferrare con entrambe le mani il polso dell'uomo, deviandone così la traiettoria. Si sentì un boato, uno sparo. Tuttavia il proiettile andò a vuoto, schizzando fuori dalla canna con violenza inaudita per poi disperdersi e frantumarsi contro le pareti del tempio. Dopo quel momento di stasi – in cui i due uomini si guardarono negli occhi come una vittima ed un carnefice, ai quali il destino non aveva ancora però assegnato i ruoli – William trattenne il polso dell'uomo e gli sferrò un calcio alto sulle costole prima che questi potesse reagire in qualsiasi modo. Si sentì un rumore di ossa rompersi e il gemito strozzato di dolore del nemico che si piegò su di un lato. Fu in quel momento che l'Assassino gli afferrò il capo con entrambe le mani e lo spinse giù, proiettandolo contro la ginocchiata che gli sferrò in pieno viso.
Il colpo fu davvero così forte che oltre ad avergli probabilmente rotto il naso, visto il sangue che ne usciva fuori, l'uomo cadde a terra tramortito.
William si ritrovò con il respiro più corto per via dell'agitazione e per lo sforzo compiuto ma sentì di non potersi fermare adesso a riprendere fiato, voleva assolutamente sapere che cosa si nascondesse dentro quella sacca.
Così, senza indugiare ulteriormente, l'Assassino mosse i passi verso l'oggetto: era di un bianco sporco e recava il logo dell'Abstergo Industries. Nella parte superiore aveva delle prese d'aria coperte con della stoffa nera a retina.
Si inginocchiò accanto ad essa e raggiunse la cerniera argentata, afferrandola tra l'indice ed il pollice, dopodiché la tirò giù lentamente. In quei pochi istanti sentì il cuore battere più forte mentre il tempo sembrava essersi fermato. Quando arrivò ad aprirla nemmeno a metà, le estremità si aprirono lasciando intravedere il volto di Desmond pallido, sbattuto. Gli occhi erano chiusi mentre le labbra appena dischiuse.
L'uomo, che fino a quel momento aveva sentito il cuore battere all'impazzata, gli sembrò come d'improvviso fermarsi. Sentì una fitta, il dolore scavarlo a fondo nel petto e la vista appannarglisi per via delle lacrime che sopraggiunsero solo qualche istante dopo.
L'uomo strinse i denti per tentare di ricacciarle dentro. Non ebbe il coraggio di aprire ulteriormente la sacca... Ormai era finita e lui aveva perso.
Provò uno sconforto terribile che mai aveva pensato ti poter provare per Desmond. La cosa che più gli faceva male era che suo figlio aveva rischiato la sua vita e quella dell'intera umanità per andarlo a salvare dall'Abstergo mentre lui, suo padre, non era stato in grado di proteggerlo.
Il fatto che Desmond fosse andato in Italia solo per salvarlo invece che per proseguire la missione – che era slittata in secondo piano – era una pugnalata. Fu proprio quello il momento in cui le cose cambiarono radicalmente ed in cui William capì che, finita tutta quella faccenda, sarebbero stati una famiglia... Ma quella famiglia era ormai spezzata.
Reduce dalle poche ore di sonno, vittima della stanchezza, del dolore e delle emozioni che provava una dietro l'altra, sentì le guance rigate dalle lacrime e provò una sincera e profonda vergogna seppur si trovasse lì da solo.
“Mi dispiace Desmond... Mi dispiace tanto.” Gli uscì dalle labbra tremolanti, in un sussurro.
L'uomo non aggiunse più null'altro. Rimase con le ginocchia poggiate contro la dura roccia ed il capo basso, gli occhi chiusi. Stette lì per un tempo indefinito mentre tutto sembrava essersi fermato. Si era arreso ed era talmente scosso che – sentendo dei passi alle sue spalle – non reagì, rimase lì fermo immobile, sentendoli lontani, percependoli forse appena, forse per nulla.
Solo qualche istante dopo sentì una forte percossa contro la sua schiena mentre una scarica elettrica gli percorse il corpo. Tutti i muscoli si tesero e la schiena si inarcò innaturalmente mentre dai denti stretti e digrignati uscì un grido di dolore.
Quando quella terribile sensazione fu finita, William ricadde privo di forze a terra, su di un lato. La vista gli risultò appannata ed il respiro era più pesante. La visuale venne occupata poi da un altro agente Abstergo, in tuta come gli altri due e dal viso coperto. Probabilmente era lo stesso che lo aveva colpito stando al randello che teneva nella mano destra.
“Il bastardo ha fatto fuori uno dei nostri uomini.” Lo sentì dire mentre gli poggiò il piede sulla spalla, spintonandolo per farlo mettere supino.
L'Assassino non si oppose, era stanco e stremato, senza forze. Socchiuse gli occhi come se si fosse arreso, in attesa della sua esecuzione.
“Porta il Soggetto 17 nel furgone.” Ordinò a qualcuno che – in quel momento – l'Assassino non poteva vedere.
Furono quelle parole a far rinsavire William il quale sbarrò gli occhi.
“No! NO! Che cosa volete ancora da lui?!” Tuonò, cercando in quel momento di alzarsi ma tutto quello che ne ricavò fu un'altra brutale randellata, ma questa volta contro il capo, seguita da un'altra nuova e forte scarica elettrica. Il colpo fu talmente violento che William perse i sensi, sbattendo il capo contro la dura roccia.
“Che cosa ce ne facciamo di lui? Lo portiamo con noi?” Domandò l'uomo al compagno, prima di perquisire il corpo privo di sensi dell'uomo.
“No.” Rispose secco l'altro. “Il capo ha dato ordini ben specifici: vuole il Soggetto 17. Quell'Assassino potrebbe essere un portatore di rogne... E stando al colpo che gli hai dato, probabilmente neppure si rialzerà.”
L'uomo annuì, poggiò le mani sulle ginocchia facendo leva su di esse per alzarsi. “E' pulito.” Asserì avvicinandosi al compagno. Richiuse la sacca con dentro Desmond e poi, insieme, lo trascinarono fino al furgone, caricandocelo sopra e chiudendo i portelloni posteriori.
Proprio quando misero in moto notarono dallo specchietto retrovisore un furgoncino bianco provenire dalla parte opposta. Il guidatore spinse il piede sull'acceleratore alzando un polverone e sparendo qualche istante dopo.
“Ma non era un furgone dell'Abstergo?” Domandò Rebecca allarmata, sporgendosi per cercare di scorgere qualcosa oltre quella fitta coltre di polvere che le ruote del veicolo di fronte a loro avevano alzato poco prima.
“Ho un brutto presentimento.” Rispose Shaun fermandosi di fronte il tempio. Entrambi uscirono velocemente per dirigersi all'entrata, scivolarono lungo la discesa facendo attenzione a non ruzzolare giù e – quando finalmente arrivarono ai piedi di essa – poterono vedere il corpo di tre uomini a terra, di cui, uno di essi, era di William.
“.. Cazzo..!” Bofonchiò Shaun notando il sangue sparso sul pavimento.
Il primo pensiero di entrambi fu che l'uomo fosse morto. Non appena lo raggiunsero, però, furono sollevati nel vedere che ancora respirava.
“William!” Rebecca si inginocchiò accanto a lui, così come fece poi Shaun. Un rivolo di sangue gli scendeva lungo la tempia.
L'inglese lo afferrò per le spalle tirandolo su mentre la mora gli teneva il capo.
“William? William ci sei? Mi senti?” Domandò l'inglese, osservando alcuni movimenti degli occhi sotto le palpebre abbassate.
“Sta riprendendo conoscenza.” Riferì alla compagna guardandola un istante, prima di tornare con l'attenzione su di lui.
L'uomo riaprì lentamente gli occhi, il suo sguardo risultò confuso e smarrito. Sentì le voci dei due compagni ovattate e ne vedeva i volti sfocati. Gli ci volle un po' per rendersi conto nuovamente di dove si trovasse e di cosa fosse accaduto.
“.. Mi senti? Rispondimi.” Continuò a tempestarlo di domande Shaun, aiutandolo a sedersi.
“Vuoi chiudere quella bocca un attimo?! Dagli il tempo di riprendersi!” Lo rimproverò la mora, poggiando una mano sulla spalla di Will.
L'Assassino alzò una mano come per dire che tutto era sotto controllo. “Sto... Sto bene.” Mormorò portandosi una mano sulla fronte. Aveva un mal di testa tremendo, gli pulsavano le tempie.
“Cos'è accaduto?” Riprese a domandare l'inglese, guadagnandosi un'occhiata ammonitrice di Rebecca.
“Hanno... Hanno portato via Desmond. Quei bastardi.” Mormorò con voce piatta e senza alcuna particolare intonazione. Non traspariva alcuna emozione.
“Cosa? Desmond?? E' vivo?” Domandò la ragazza, sembrando illuminarsi.
“Non.. Non credo. Lo portavano dentro uno di quei teli di plastica..”
“Ma l'hai visto? Era lì dentro? Era morto, ne sei sicuro?!” Chiese Shaun.
“Basta! Basta, smettetela con tutte queste domande! Lasciatemi stare!” Sbraitò prima di alzarsi – non senza difficoltà – ed allontanarsi quasi barcollando.
Rebecca e Shaun si scambiarono uno sguardo, prima che la mora abbassasse gli occhi sul pavimento.
L'Assassino si era allontanato dai due, aveva raggiunto gli scalini sui quali poi si sedette. Che cosa voleva l'Abstergo ancora da Desmond? Abbassò il capo, portandosi le mani tra i capelli, sentendo gli occhi bruciare nuovamente per via delle lacrime, solamente che questa volta non era da solo.


Never thought
This day would come so soon
We had no time to say goodbye
How can the world just carry on?
I feel so lost when you are not at my side
But there's nothing but silence now
Around the one I loved
Is this our farewell?“




***

La donna stava scrivendo alcune cose su una cartellina. I capelli erano raccolti sulla nuca mentre altri ciuffetti biondi le ricadevano al lato della fronte. Il camice bianco le calzava a pennello ma faceva risultare la sua pelle più pallida e smorta di quanto già non fosse.
La porta si aprì e l'uomo fece il suo ingresso nella sala ben illuminata dalla luce che entrava dalle ampie vetrate. Aveva i capelli corti e biondi, gli occhi azzurri e portava un pizzetto ben curato. Gli abiti erano informali, quasi civili. A vederlo così nessuno avrebbe mai sospettato del suo alto rango.
“Stanno per arrivare con il Soggetto 17. Non sembra sia stabile. Ho bisogno della vostra massima concentrazione per rimetterlo a nuovo, ci serve ancora.”
La donna aveva alzato lo sguardo non appena l'individuo era entrato. Non appena sentì quelle parole lo stomaco le si strinse in una morsa: presto sarebbe stato lì.
L'uomo notò lo sguardo quasi assente della donna così le si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla, stringendola. Il suo sguardo – da duro che era – cambiò e risultò quasi tenero.
“Pensi di potercela fare? Se non te la senti posso affidare l'incarico a qualcun altro. So che non ti sei ripresa ancora del tutto ma ci penserò io a farti rimettere in sesto, presto sarà tutto solamente un brutto ricordo.”
Lei lo osservò per qualche istante. Era chiaro ormai che avesse un debole per lei. Non una cotta, ma un debole per lei come lavoratrice... O almeno così credeva.
“Non si preoccupi, posso cavarmela, non c'è alcun problema, ho tutto sotto controllo. E' tutto pronto.” Gli rispose riacquistando fiducia.
L'uomo annuì, “D'accordo. Ti ho affidato un'equipe di specialisti, puoi sempre fare affidamento su di loro. E' importante, mi raccomando.” Disse prima di voltarsi e raggiungere nuovamente l'uscita.
Quando si ritrovò di fronte la porta, prima di varcarla, si fermò e volse il capo verso di lei.
“Mi fido di te, Lucy.”

__________________________________
Angolo autrice:

Ta-ta-ta-taaaaan!
Si ringrazia la special guest: LUCY!!! Yeeee! *applausi*
Ebbene sì u.u
Vabbè, non vi dico nulla, poi scoprirete il tutto più avanti.
Volevo diiirvi un paio di cossssse!
1° - Questa è un'immagine che è stata rilasciata da AC Initiates che mi ha stimolato alla scrittura del capitolo
(tanto per farvi comprendere l'aria che si respirava, ecco qui:
http://24.media.tumblr.com/b85e089fa9f1d9f8232f31824f276b3b/tumblr_mhk80qMHUE1qf0ppeo1_500.jpg)
2° - L'uomo che compare alla fine del capitolo (immagine sempre presa da AC Initiates) è costui!
(
http://images2.wikia.nocookie.net/__cb20121125163447/assassinscreed/images/5/5a/ACI_Familyman.jpg)
E' finlandese come mmmmeee! *_____*

Ehmm ehmm.. E poi nulla, volevo scusarmi se la storia è partita un po' a rilento ma volevo fare una bella introspezione dei vari personaggi, ora comincerà ad assumere un tono un po' più concitato, diciamo - e più interessante per chi non prova molta simpatia per Shaun, Rebecca o William!
Volevo anche chiedere venia perché con le scene di lotta non sono proprio un asso, quindi spero di non avervi delusi!

Quì è tutto, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosito a proseguire!
Una recensione è sempre graditissimissimissima! Sono per la campagna pro-recensioni io! :°D
Ringrazio soprattutto
La Strega di Ilse e Ayrton Senna Forever che pazientemente mi seguono e recensiscono ad ogni chappy! <3

Al prossimo capitolo!

Evelyn

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Capitolo 5
*** Welcome Back ***


Welcome Back



Rebecca e Shaun erano tornati sul furgone. Erano seduti sui sedili posteriori l'uno di fronte all'altro in attesa che William sbollisse la rabbia e tornasse da loro.
“Che cosa se ne fa l'Abstergo di un cadavere?” Chiese dopo qualche istante l'inglese, completamente assorto nei suoi pensieri. Teneva i gomiti sulle ginocchia ed il mento appoggiato sulle mani.
“No, dico...” Riprese, “Razionalmente parlando: che cosa può farsene di un morto? E siamo sicuri che sia morto?” A quel punto rivolse un'occhiata verso la mora.
Rebecca se ne stava con le spalle appoggiate contro la parete del veicolo, a gambe accavallate. Si strinse nelle spalle. “Cosa vuoi che ne sappia, Shaun? Ne so quanto te.”
“Non ti puzza la faccenda? Voglio dire..” Si alzò. “Non sappiamo se realmente Desmond sia morto, William stesso ha detto che non lo sa, non si sarà neppure curato di controllargli il battito. Lo hai visto come stava, no?” Si affacciò al finestrino per vedere se William stesse facendo ritorno ma tutto ciò che vide fu l'entrata del tempio circondata da semplice e pura desolazione.
“Non lo so Shaun! Non abbiamo idea neppure di dove lo abbiano portato!”
“Dai, Rebecca! Sicuramente in Italia!” La guardò lui, prima di sedersi sul sedile del guidatore ma in modo che potesse guardarla.
“E cosa vorresti fare? Tornare all'Abstergo per vedere se lo tengono lì? E seppur lo tenessero lì ma Desmond fosse semplicemente morto? Entri lì e dici che sei venuto a riscuotere il cadavere per fargli un funerale?” Domandò quasi con sarcasmo, rendendosi conto di essersi comportata proprio come di solito faceva l'inglese. Difatti, l'uomo, arricciò il naso e la guardò storto. Era ovvio: lui poteva trattare male chiunque ma gli altri non potevano fare lo stesso con lui.
In realtà Rebecca era solo preoccupata: preoccupata per Desmond, per William, per il destino dell'umanità... Cosa intendeva dire Giunone? Quale sarebbe stata la sua vendetta?
“Però forse hai ragione.. Dovremmo andare per lo meno ad assicurarci che Desmond sia realmente... Morto. Se così non fosse non possiamo abbandonarlo al suo destino e nelle mani dell'Abstergo oltretutto.”
“Finalmente riacquisti un po' di lucidità. Pensi di poterci far salire sul primo volo utile?” Le domandò l'inglese alzandosi nuovamente.
“Penso di sì..” Rispose lei stringendosi nelle spalle e prendendo il computer portatile.
“Io penso a recuperare William.” Disse passandole di fronte e facendo per scendere dagli sportelli posteriori.
Rebecca allungò un braccio, afferrandolo per il polso. “Shaun!”
L'uomo si fermò non appena sentì la mano della ragazza trattenerlo. Volse il capo e la guardò negli occhi. “.. Cosa?”
“Non infondergli false speranze.”


Stridii di aquila graffiavano il cielo ricoperto di nuvoloni grigi e minacciosi di pioggia.
Sentiva un gran caos intorno a lui, voci e rumori, alcuni anche familiari... Ma non poteva muoversi: la sua visuale era fissa sul cielo scuro.
Una sensazione di inquietudine cominciò a farsi strada in lui, udiva grida, schiamazzi, richieste d'aiuto e lui era lì, impossibilitato a fare qualunque cosa.
“Non mollare.” Nella sua visuale comparve Ezio, il quale si chinò su di lui, alla sua destra.
Qualche istante dopo un uomo incappucciato occupò un'altra porzione della sua visuale, sulla sinistra. Ad una più attenta visione riuscì a scorgere sotto il cappuccio Altair.
“Forza Assassino, alzati e lotta. Non vorrai arrenderti così?”
E poi sopraggiunse anche Connor. “Abbiamo bisogno di te.”
Che cosa stava succedendo? Dove si trovava? Non riusciva a capirci nulla e le idee gli si confusero ancora di più quando, ai suoi piedi, vide sé stesso.
“Desmond. Desmond, forza, tirati su. Sei un Assassino, combatti.” Udì le parole uscire dalle labbra dell'uomo che sembrava essere proprio lui, la sua perfetta copia. Via via, però, le loro parole risultarono più confuse mentre le immagini cominciarono a sbiadire ed appannasi finché tutto divenne buio.
“Desmond!”

Il ragazzo sbarrò gli occhi.
Era sdraiato supino, sopra di sé poteva vedere una sottile lastra di vetro liscia e trasparente. Oltre di essa tutto ciò che riusciva a scorgere era un soffitto alto e spoglio, bianco, ornato da alcuni tubi grigi. In realtà sembrava fossero i tubi grigi ad essere ornati da qualche macchia bianca, qui e là, del soffitto.
Una sensazione di tranquillità e calma lo pervase. Era stordito e – proprio così come si era svegliato – ricadde in un tiepido torpore.


“Dottoressa Stillman!” Un uomo fece ingresso nella sala relax, “Dottoressa Stillman! Il Soggetto 17 si è svegliato!” Le riferì, trafelato. Doveva essersi precipitato lì all'istante.
La donna stava sorseggiando tranquillamente un caffé dal bicchiere di plastica, di fronte la macchinetta. Non appena udì quelle parole si voltò.
“Si è svegliato?” Chiese conferma, muovendo un passo verso l'uomo. Dopo un primo momento di esitazione buttò il bicchierino – ancora mezzo pieno – nel cestino e si avviò a grandi passi verso l'uscita.
Non appena varcò la soglia e cominciò a percorrere il corridoio che la divideva dalla stanza di Desmond, sentì il cuore cominciare a battere più forte. Non l'aveva ancora visto da quando l'avevano portato dentro, si era limitata soltanto a dare le disposizioni riguardo ciò che avrebbero dovuto farne.
Si rese conto che i passi, dapprima veloci ma moderati, si erano trasformati in una lenta corsa verso la sala dove si trovava il ragazzo. Quando la raggiunse, una volta lì davanti, si fermò. Inspirò e tentò di riacquistare lucidità. Non appena i battiti tornarono nella media la donna fece il suo ingresso.
La stanza era simile a quella dell'Animus, lì all'Abstergo. Cambiava ben poco: era ampia, spaziosa e ben illuminata. Al posto dell'Animus, però, v'era un lettino simile ma con i bordi più alti e ricoperti da una lastra di vetro dove, per l'appunto, si trovava Desmond.
“Si è svegliato?” Domandò la bionda, avanzando lentamente verso il lettino. Camminava con passo lento ma deciso, cercando di non tradirsi e di non far trasparire le emozioni contrastanti che provava in quel momento.
“Sì, ma abbiamo aumentato la dose di sedativi ed è crollato di nuovo.” Rispose uno dei due uomini in sala.
“Perché?!” Chiese contrariata.
“Non è ancora stabile, signorina Stillman. I suoi impulsi celebrali sono irregolari: deboli ma di tanto in tanto raggiungono picchi elevati. Non sappiamo cosa gli è accaduto, potrebbe aver riportato qualche trauma, per ora è meglio andarci cauti.”
Lucy continuò a camminare mentre ascoltava le spiegazioni dello specialista e – finalmente – arrivò fino a quella sottospecie di teca nella quale il ragazzo si trovava.
Desmond era lì dentro: era completamente nudo ed attaccato ad alcuni macchinari. La sua pelle, una volta ambrata, ora era pallida e spenta, così come il suo viso: era sbattuto e smorto.
Gli occhi del ragazzo, così profondi e penetranti, sembravano quasi serrati mentre le labbra erano schiuse e si potevano intravedere i denti.
La donna sentì un lieve calore diffonderlesi nel petto ricordando i momenti passati assieme al ragazzo. Era quasi una pugnalata al cuore e – di certo – vederlo ora in quelle condizioni non la faceva rimanere del tutto indifferente.
Il suo sguardo venne poi rapito dalla mano destra del ragazzo e parte dell'avambraccio i quali sembravano quasi necrotizzati.
Inspirò a fondo e dopodiché prese la cartellina di Desmond, appuntandovi alcune cose. Sentì il bisogno di allontanarsi o sarebbe finita ad osservarlo per ore... Così girò i tacchi ed andò a sedersi alla scrivania. Accavallò le gambe e si mise in attesa che il ragazzo si svegliasse nuovamente.


Rebecca si era messa subito all'opera per trovare un posto sul primo volo utile per l'Italia. Come aveva sospettato, però, di voli ce n'erano davvero pochi, probabilmente a causa di tutti gli eventi atmosferici avvenuti negli ultimi giorni.
Tuttavia la mora riuscì a prenotare tre posti su un volo diretto a Milano.
I tre si misero subito in marcia: Shaun era riuscito a recuperare William, aveva ragionato con lui facendogli capire che sembrava un po' strano che l'Abstergo si fosse incaricata di recuperare un cadavere per chissà quale motivo. Ad ogni modo, finalmente, l'uomo sembrava aver riacquistato la fermezza e lucidità di sempre, tornando ad essere il mentore di una volta.
Quando gli Assassini toccarono la terra ferma era ormai il ventitré Dicembre e la minaccia riguardante la fine del mondo sembrava ormai un incubo lontano. Ciononostante le 'stranezze' atmosferiche non erano del tutto scomparse: ancora si avvertivano dei terremoti in varie zone della terra, così come alcuni vulcani non sembravano essersi del tutto assopiti. Anche le tempeste magnetiche non rendevano le cose più semplici.
Non appena il trio uscì dall'aeroporto si diressero a prendere un taxi. Prima di partire avevano contattato degli Assassini italiani che si erano offerti di dar asilo ai loro compagni. Dovevano assolutamente rimettersi in sesto, non potevano di certo partire all'avventura in quel modo... Così, una volta saliti sul taxi, si diressero in periferia passando per il cuore di Milano. Era ancora buio, era mattino presto, neppure le quattro, ed il paesaggio che mutava velocemente fuori dai finestrini aveva un qualcosa di magico.


Lucy aveva passato tutta la notte nella sala dove tenevano Desmond. Quando le prime luci dell'alba cominciarono a filtrare attraverso le grandi vetrate e a rischiarare la stanza, il viso della biondina, la quale si era addormentata a braccia conserte sul tavolo, venne illuminato anch'esso.
Vidic era morto e non la tormentava più. Il nuovo capo dell'Abstergo invece sembrava nutrire un debole per lei e la cosa, a livello inconscio, le faceva prendere il tutto più alla leggera.
Fu il rumore del computer – che segnalava un e-mail in entrata – a far svegliare la ragazza: riaprì piano gli occhi scoprendo le sue iridi azzurre e limpide simili ad un cielo primaverile. Si portò le mani al viso – per riprendersi qualche istante – e dopodiché si alzò per raggiungere il letto dove giaceva il ragazzo. Doveva ammettere che vederlo così, nudo, le faceva un po' strano.
Scosse il capo per scacciar via quei pensieri, afferrò la cartellina di Desmond per appuntarvi qualcosa e dopo averla riposta decise di andarsi a prendere un caffè, così si diresse fuori.
Fu proprio quando la porta si chiuse alle spalle della bionda che il ragazzo cominciò a riprendere coscienza: gli occhi si muovevano appena sotto le palpebre chiuse le quali, dopo poco, si spalancarono all'istante mostrando i suoi occhi color nocciola.
L'Assassino vide sopra di sé nuovamente il soffitto pieno di tubature aggrovigliate tra di loro che sembravano disegnare un labirinto. Questa volta, però, si rese conto di essere sveglio e cosciente.
'Ma dove...?' Pensò, cercando di tirarsi su: le braccia e le gambe erano assicurate al lettino – tra l'altro scomodo – e tutto quello che riusci ad alzare fu la testa. Lanciò uno sguardo al suo corpo, fino ai piedi, scoprendo così di essere completamente nudo.
'Ma che diavolo...? Dove sono finito?' Si chiese tra sé e sé. Volse il capo a destra e poi a sinistra ma purtroppo la sua visuale era ostacolata dalle pareti laterali del lettino. Tutto ciò che riusciva a vedere era il soffitto sopra di sé, ben illuminato, oltre il vetro.
Notò anche, poco dopo, di avere alcuni elettrodi attaccati al corpo e collegati a loro volta a chissà quali macchine.
In pochi istanti, tutta quella situazione, gli fece crescere una certa ansia nel petto. Si sentì impotente di fare qualsiasi cosa, dimenticato, come se fosse stato sepolto vivo.
“Aiuto?!” Chiamò, “Aiuto!!!” Tentò nuovamente mentre cercava di liberarsi i polsi ma, tuttavia, senza alcun successo. Si accorse soprattutto – dopo qualche istante – di come la mano destra e parte dell'avambraccio sembrassero prive di sensibilità e – a tratti – gli dolessero.
Fece un grande respiro e cercò di calmarsi. Appoggiò il capo contro il lettino e cominciò a guardarsi intorno studiando un modo per potersi liberare.
Lucy, che si era presa il suo bel caffè mattutino ed aveva scambiato due parole con un collega, era già di ritorno.
Non appena Desmond sentì il rumore di una porta aprirsi e dei passi, probabilmente di una donna visto il riecheggiare dei tacchi nella sala, chiuse gli occhi e rimase fermo, immobile.
La donna riprese la sua cartellina e – una volta postasi accanto al lettino – cominciò ad appuntare alcune cose.
Fu allora che Desmond, sottecchi, aprì un occhio: non appena vide il volto della biondina lo stomaco gli si strinse in una morsa. Una catena di ricordi, uno dopo l'altro, gli riaffiorarono nella mente e dentro di sé sentì emozioni e sensazioni contrastanti farsi strada. Non capiva come ciò fosse possibile e nonostante fosse quasi contento di rivederla – anche se cercava di reprimere quel sentimento – da una parte non poteva che nutrire un grande sconforto, se non rabbia, nei suoi confronti.
Ma stava sognando? Era in paradiso...? Gli ci volle solo qualche istante per scartare quest'ultimo pensiero: casomai si trovava all'inferno. Dubitava che in paradiso l'avrebbero legato così, come un salame.
Solo qualche attimo più tardi Lucy abbassò lo sguardo sul ragazzo notando che – finalmente – si era svegliato. Non appena incrociò i suoi occhi così intensi, scuri e profondi sentì un tuffo al cuore. Fu una sensazione che non sarebbe neppure riuscita a spiegare. Desmond la osservava, silenzioso, confuso... Poteva quasi leggere nei suoi occhi tutti i suoi dubbi e le sue paure.
“Sto... Sognando? Sono morto?” Domandò allora il ragazzo. Non ricordava nulla dopo aver toccato la sfera, solo le forze venirgli a mancare, quasi fosse stato svuotato di ogni energia.
La voce di lui le risultava ovattata oltre il vetro che li separava. Sentì un groppone in gola, schiuse appena le labbra ma rimase in silenzio ancora qualche istante prima di rispondere.
“No... No, Desmond. Non sei morto.” E – nel pronunciare quelle parole – Lucy provò quasi una punta di felicità. Era sollevata che il ragazzo fosse ancora nel mondo dei vivi.
“E tu non sei... Morta?” Domandò, pieno di stupore e meraviglia. Che cosa stava accadendo?
La ragazza scosse il capo. In quel momento gli ritornò alla mente il momento in cui Desmond l'aveva pugnalata.
“Fammi uscire di qui, Lucy, che cosa sta succedendo? Dove siamo?”
“Non posso, mi dispiace.” Si limitò a dire lei spostando – a fatica – lo sguardo nuovamente sulla cartellina. Mantenere il contatto visivo con quell'Assassino sarebbe potuto essere deleterio nonché doloroso.
A quel punto il ragazzo ebbe un brutto presentimento: erano all'Abstergo? Riprese a forzare i polsi, cercando di liberarsi, ricordandosi solo in quell'istante di essere nudo davanti la donna. Di certo – ora – non poteva proprio dire di sentirsi a suo agio.
“Lucy, avanti, fammi uscire!” Si lamentò.
“No, Desmond. Non posso.. Non costringermi a sedarti.” Le risultò alquanto complicato mantenere quella dura corazza. Fosse stato per lei lo avrebbe liberato seduta stante, eppure... Qualcosa la frenava.
L'Assassino si sentì pervaso da una collera irrefrenabile. “So tutto! So tutto di te e dei Templari Lucy! Perché?! Mi stai tenendo qui per loro conto? E' per questo? Noi ci fidavamo di te! IO mi fidavo di te! Questo non significa nulla?! Non te ne importa nulla?!” Sbraitò il ragazzo, alzando la voce, sicuro di farsi sentire oltre il vetro, continuando a dimenarsi.
Quelle parole la colpirono come una pugnalata in pieno petto. Le importava... E tanto. Significava molto per lei che il ragazzo si fidasse di lei, ma sapeva anche che da quel momento in poi non sarebbe accaduto, mai più.
Strinse i denti e lo guardò. Faticò ad incrociare il suo sguardo difatti indugiò sulle sue labbra.
“Mi dispiace Desmond.” Fu tutto quello che riuscì a dire prima di posare la cartellina e girare i tacchi, dirigendosi all'uscita a denti stretti. Sentì le lacrime sopraggiungere solo qualche istante dopo ed annebbiarle la vista. Quel ragazzo le faceva male, era capace di toccare delle corde della sua anima come nessuno era mai riuscito a fare prima... E probabilmente mai nessuno sarebbe riuscito a fare dopo di lui.
Desmond serrò la mandibola, scoprendosi con il respiro accelerato per la rabbia appena accumulata e poi sfogata. Si calmò e strinse i pugni con forza, appoggiando nuovamente il capo contro il lettino. Non poteva ancora crederci: era vivo. Lucy era viva... Solo in quel momento il suo pensiero volò verso suo padre, Rebecca e Shaun. Sperava fossero sani e salvi.
L'incubo non era finito.

___________________________________
Angolo Autrice:

Yeee!!!
Finalmente sono riuscita a postare il quinto capitolo! :))
Beh, non penso ci siano particolari delucidazioni da fare, creeedo! Se avete qualsiasi domanda chiedete pure!
OVVIAMENTE non potevo lasciar morire Desmond, chi mi segui dagli albori, da 'After the Death' sa bene che ADORO il personaggio di Desmond...
Sigh. E l'Ubisoft me lo fa morire. LI ODIOOO!!! > <
Ad ooogni modo! Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, lo spero vivamente, davvero! A me piace scrivere, lo faccio per me innanzitutto, ma poi quando c'è qualcuno che apprezza il tuo lavoro, ti riempie davvero il cuore.. E quindi spero davvero vi piaccia la mia storia, non perfetta, ma scritta con tutto quello che possiedo :))
Ringrazio Eldunari_ per la recensioncina lasciatami nell'ultimo capitolo, grazie, grazie, grazie mille! :))

Credo sia tutto eeee... Ah! Se c'è qualcuno di voi che ha giocato Deus Ex lo invito a passare qui!
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1647562&i=1

E' una storiella che ho scritto io, spero vi piaccia! ;D
Dunque passo e chiudo, al prossimo capitolo!!! :)

Evelyn

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Capitolo 6
*** New Old Life ***


New Old Life


Shaun, Rebecca e William erano stati accolti in maniera davvero esemplare dai loro compagni, probabilmente anche perché il mentore era con loro.
Il 'covo' si trovava in periferia, quasi in campagna. Era situato in un vecchio casolare dove abitava una coppia ed altri tre compagni. In tutto v'erano due femmine e tre maschi. Erano tutti bene o male Assassini esperti e anche essi, a loro volta, spesso coordinavano le missioni degli adepti italiani, mantenendosi in contatto poi oltreoceano. Per Shaun erano tutti non più che conoscenti mentre invece William e Rebecca con un paio di loro avevano stretto un bel rapporto.
Non appena arrivarono spiegarono ai compagni la loro situazione e questi ultimi insistettero per farli riposare. Dopotutto era stato un periodo pieno di impegni e stress ed i ragazzi erano al limite della sopportazione.
Così fecero, dunque: ad ognuno fu assegnata una camera e non uscirono da queste fino al pomeriggio. Avevano bisogno davvero di rilassarsi e staccare la spina e decisero che il giorno dopo si sarebbero messi al lavoro. Gli ci voleva anche un po' di tempo per escogitare un piano ed infiltrarsi all'Abstergo anche se, in realtà, la mora aveva già ideato qualcosa.
Era sera quando i tre scesero nella grande sala da pranzo. Il casolare era molto antico ed interamente costruito in mattoni, quasi dava la sensazione ai ragazzi di rivivere i ricordi di uno dei loro antenati per l'aria rustica ed atavica che si respirava lì dentro. Tutt'intorno l'edificio si estendeva un enorme terreno che in primavera sprigionava tutta la sua magia fatta di fiori, colori e profumi. Tuttavia quello che poteva offrire in quel momento dell'anno, però, era un campo di erbacce bruciate dal gelo invernale.
A cena erano presenti solo tre degli Assassini che abitavano in quella casa: Demetrio, Giuseppe ed Alice. Il tavolo era ben imbandito e finalmente, dopo tanto tempo, i tre Assassini stranieri fecero una cena degna di essere chiamata tale.
Shaun aveva mangiato parecchio, quasi sembrava non mangiasse da anni. Quando nel piatto al centro del tavolo rimase l'ultima coscia di pollo, che con il suo profumo intenso ed aromatizzato aveva riempito la stanza, Rebecca cortesemente chiese se qualcun altro la volesse. L'inglese non attese un istante di più e – piantata la forchetta nella tenera carne – la portò nel suo piatto.
“Shaun! Sei un maleducato!” Lo riprese la mora mentre lo osservava addentare quell'ultimo pezzo che aveva sperato di potersi accaparrare.
Gli altri a tavola risero, fatta eccezione per William.
“Se vuoi puoi prendere la mia.” Le offrì Demetrio con un sorriso, guardandola.
Shaun alzò gli occhi dalla coscia di pollo che si stava assaporando avidamente e con gusto. Guardò il ragazzo di fronte a lui, poi la compagna. Rebecca e Demetrio si conoscevano da parecchio tempo e non appena si erano rivisti, dopo tanto, l'inglese non aveva potuto fare a meno di notare una certa sintonia tra i due e – a dire la verità – lo aveva un po' infastidito... Ora si offriva persino di fare il cavaliere e cederle parte della sua cena. Li aveva visti quegli sguardi languidi, non era mica sciocco. Che nervi.
“Ma no!” S'intromise a quel punto, prima che Rebecca potesse rispondere. La mora gli rivolse un'occhiata di sbieco. “Poi ingrassi, già la tua forma non è delle migliori.” Concluse malignamente l'inglese, quasi l'avesse presa sul personale. Se la sarebbe dovuta prendere con il ragazzo italiano, non con lei.
La mora schiuse le labbra e lo fulminò con lo sguardo. “Sei davvero un cafone!”
Giuseppe, Sara e Demetrio risero ancora.
“Eppure io ti trovo in gran forma, sei splendida e raggiante.” La adulò il ragazzo italiano, incrociando lo sguardo di lei con i suoi occhi verdi cangianti. Tuttavia era un bel ragazzo, alto e ben piazzato. Portava i capelli non troppo corti, castani. Aveva un bel un viso armonioso ed uno sguardo sincero.
La mora lo osservò per qualche istante mentre un sorriso lievemente imbarazzato le illuminò il volto e le sue goti si dipinsero di rosso.
L'inglese divenne inquieto. Lasciò ricadere l'osso sul piatto e cominciò a muovere la gamba nervosamente sotto al tavolo: stavano flirtando!
Mandò giù il boccone di carne e dopodiché prese il bicchiere con del vino rosso dentro e se lo scolò tutto d'un sorso, osservando silenziosamente l'italiano il quale sorrideva come un imbecille – a suo dire – alla ragazza... E poi quell'accento che storpiava, secondo lui, il suo inglese già stentato. Santo cielo, che nervi!


Dopo cena William si era ritirato subito in camera, aveva davvero una brutta cera. Rebecca gli disse che dopo sarebbe passata da lui per esporgli quanto aveva ideato per il giorno dopo.
L'inglese e la mora rimasero a tavola per un po' a chiacchierare con gli altri Assassini fin quando, bene o male, non si ritirarono tutti: chi in camera, chi a lavorare e chi a rilassarsi.
Rebecca era uscita fuori dal casolare, indossava un paio di jeans e degli anfibi mentre sopra un semplice maglione bianco pesante. Sì maledì per non aver preso una giacca: lì fuori si gelava!
Quel posto era abbastanza lontano dal centro e le stelle si potevano vedere bene ad occhio nudo visto che l'inquinamento luminoso era molto minore. Anche la luna era davvero splendida, quella notte. Lì intorno era tutto buio, solo la luce delle stelle e della luna rischiaravano un pochino il paesaggio là dove le luci della casa non arrivavano.
L'inglese aveva visto Rebecca uscire e così, non molto dopo, la raggiunse. Non appena mise piede fuori la vide di spalle con il naso all'insù, rivolto verso la volta celeste. Si avvicinò.
“Ehi..” Disse, quasi a bassa voce, come se non volesse spezzare quel silenzio.
La mora lo vide con la coda dell'occhio e tuttavia continuò a guardare su.
“Non è meraviglioso?” Domandò al compagno.
Lui continuò ad osservarla. Gli faceva quasi strano vederla in abiti così 'civili'. “Sì.” Rispose, ma probabilmente neppure ci stava pensando alle stelle, non si riferiva ad esse.
Il volto della mora era rischiarato dai raggi lunari che rendevano le sue forme ancor più morbide e dolci. Solo qualche istante dopo lei lo guardò, incrociando le braccia e stringendosi in esse.
L'inglese notò che tremava e così, senza pensarci un attimo, si tolse la giacca e gliela mise sulle spalle, sorridendole.
“Non sarà meglio che entri dentro? Ti prenderà un malanno qui fuori. Fa freddo.” Le disse.
“E' che.. Da quando è successo tutto quello che è successo non abbiamo avuto un momento per... Ammirare tutto questo. E' assurdo che tutto sia tornato alla normalità.”
“Non direi: non per essere pessimista ma Giunone..”
“Shaun ti prego.” Lo interruppe lei con espressione corrucciata. “Lo so che questa non è la normalità... Ma ho bisogno di credere per un istante, uno soltanto, che tutto vada bene.” Ammise.
L'uomo poté così notare che quella dura corazza che di solito Rebecca portava alla perfezione e che le calzava a pennello non si era ancora riparata del tutto. Come avrebbe potuto spiegarle che in realtà tutto andava bene? Che lui non avrebbe permesso che qualcosa o qualcuno le facesse del male? Non poteva... Probabilmente perché nemmeno lui, ancora, era a piena conoscenza dei suoi sentimenti.
“Sì, forse hai ragione..” Disse semplicemente, prima di schiarirsi la voce, “Piuttosto... Ti piace l'italiano, eh?!” Si mise a braccia conserte, volgendo lo sguardo altrove per non incrociare gli occhi di lei.
“Cos-.. Eh?!” Rebecca alzò le sopracciglia, poi rise appena. “Ma cosa dici?”
“Su, dai! Stavate palesemente flirtando!” Le fece notare l'inglese.
“Ma io non stavo facendo proprio nulla!” Rispose, continuando a ridere. “Sì beh.. E' un bel ragazzo, è affascinante, a modo, con dei principi e dei valori... Lo conosco da una vita, diciamo che la nostra chance la abbiamo avuta.”
“Cosa?!” Chiese lui con un tono di voce che tradì la sua apparente indifferenza, volgendo il capo verso di lei. Si schiarì la voce. “Cioè, voglio dire.. Siete stati insieme?” Domandò accigliato. Quel dannato di un Don Giovanni italiano!
Rebecca si strinse nelle spalle, “Diciamo che c'è stato del tenero, perché sei così sorpreso e curioso?” Sorrise.
“Mah, semplicemente perché non pensavo che una donna come te potesse... Rimediare uomini.” Fece il vago e supponente, stringendosi nelle spalle.
“Rimediare... Uomini?” Il sorriso scomparve dalle labbra della donna che si schiusero dando al volto un'espressione di irritazione: era sempre il solito.
“Sì, insomma..” Fece spallucce. “Non pensavo, wow.. Brava!”
“Non ci si crede, sei davvero un...!”
“Ehi, ragazzi!” La mora non fece in tempo a finire la sua frase che arrivò Demetrio. “Incantevole serata eh?” Più che una domanda era un'affermazione e – nel farla – appoggiò una mano sulla spalla dell'inglese il quale spostò lo sguardo sull'italiano, riluttante. In un impercettibile movimento delle spalle, come se si stesse sgranchendo, con non-chalance, si liberò dalla mano dell'uomo il quale sembrò neppure accorgersi del suo astio.
“Sì, lo era, prima che Shaun non cominciasse a straparlare!” Rispose la ragazza, infastidita. “Io me ne vado a letto.” Concluse, “Buonanotte.” E così, prima di avviarsi, si voltò verso Demetrio e gli si avvicinò con un sorriso, baciandolo sulla guancia.
Il ragazzo sorrise a sua volta e la osservò avviarsi verso l'entrata e – una volta sparita dietro la porta – tornò a guardare l'inglese. “Ti piace, eh?!” Gli domandò tranquillamente, sorridendogli.
“C-cosa? Che? Ma sei matto? Quella? Ma ti prego, fammi il favore!” E di certo non sarebbe andato a rivelarlo a lui che provava dei sentimenti verso Rebecca.
“Dai, si vede lontano un miglio!”
“Lo sai? Aveva proprio ragione Rebecca: era un'incantevole serata, prima! Prima che TU iniziassi a straparlare! E' meglio che me ne vada a dormire, domani abbiamo una missione da portare a termine, noi.”
“Wow.. Sei sempre così tu?” Gli chiese l'italiano, visibilmente divertito e per niente turbato dal comportamento di Shaun.
“Sì, sempre! Non crederti che con te abbia un atteggiamento diverso: non ti calcolo proprio!” Rispose prima di girare i tacchi ed avviarsi verso il casolare, sentendo alle sue spalle l'italiano ridere.


Era mattino. Shaun, Rebecca, William e Demetrio si trovavano in un furgoncino a pochi isolati dall'Abstergo.
Avevano appena fermato il veicolo. Demetrio era seduto dietro con il mentore.
“Non ho ancora capito perché lui è dovuto venire con noi.” Si lamentò l'inglese, riferendosi all'italiano.
“E' meglio essere previdenti se qualcosa dovesse andare storto.” Rispose William.
Rebecca si alzò ed andò a sedersi dietro assieme ai due. “Shaun, vieni qui.” Lo richiamò.
Praticamente Shaun e Demetrio erano gli unici a non sapere del piano, poco male per l'italiano visto che non aveva alcuna parte attiva: il perno di tutto era l'inglese.
“Allora, che cosa si fa ragazzi? Qual è il piano?” Domandò quest'ultimo, sedendosi accanto a William, di fronte a Rebecca e Demetrio.
“Il piano è questo: Shaun, tu entrerai spacciandoti per uno scienziato dell'Abstergo, io ti darò supporto da qui insieme a William. Ti devi solo accertare che Desmond si trovi qui e che sia vivo... Se qualcosa dovesse andare storto..”
“Io ci finisco secco! Ma che bella idea, Rebecca! E poi perché io?!” La interruppe l'inglese con fare lamentoso.
“Perché io ti darò supporto da qui e ti aprirò la strada in caso dovesse essercene bisogno, William è il capo degli Assassini, non pensi che potrebbero riconoscerlo? Diciamo che tu sei quello che passerebbe più inosservato, sei un tipo comune, puoi confonderti bene tra le persone... Non hai un qualcosa che ti contraddistingue insomma.”
L'italiano sorrise sotto i baffi vedendo l'espressione di Shaun. “Se è un problema posso andarci io.” Si offrì, alche l'inglese gli lanciò un'occhiataccia.
“No, andrà Shaun.” S'intromise a quel punto William, “Senza discussioni. Sa muoversi e può cavarsela... E saprebbe riconoscere Desmond.”
“Sì ma che succederebbe se gli agenti mi dovesser riconoscere? E poi io non parlo italiano!” Domandò ancora lui, ora con minor arroganza visto che si rivolgeva al mentore.
“Non preoccuparti Shaun, in caso qualcosa dovesse andare storto verremo in tuo soccorso. Non importa la lingua, l'Abstergo ha molti scienziati stranieri, non devi preoccuparti di questo. Non tutti parlano italiano.” Lo rassicurò William.
L'inglese sospirò rumorosamente ed attese qualche istante prima di annuire. “D'accordo... Va bene.”
Rebecca prese una valigetta e la aprì. “Ecco qui: ci sono un auricolare con cui ci terremo in contatto, un camice ed un tesserino di riconoscimento di un dipendente Abstergo al quale abbiamo sostituito la foto con la tua.” Il tesserino recava il nome di un certo Steve Anderson.
“E dove lo avete preso? E se riconoscono che è un falso?” Replicò lui.
“Non è un falso, non siamo degli sprovveduti: ieri Francesca e Ivan non erano con noi per cena perché si sono appropriati di queste cose.”
“Mh..” Tuttavia Shaun non sembrò convinto.
“Forza, non abbiamo tempo da perdere.” Disse William.
“Va bene, va bene!” Rispose l'inglese infilandosi l'auricolare. Si mise il camice ed attaccò il tesserino al taschino.
“Wow, sembri nato per fare lo scienziato!” Ironizzò Rebecca.
“Ha-ha, divertente!” Rispose lui con aria tutt'altro che divertita, prima di scendere dal furgone.
“Parlami mentre ti avvii, così vediamo se funziona l'auricolare come dovrebbe.”
L'inglese si allontanò, camminando verso la struttura imponente che era l'Abstergo. “Prova, prova, Rebecca, mi senti? Appena finita la missione sta tranquilla che te la farò pagare!”
“Sì, si sente forte e chiaro Shaun. Vedrai che andrà tutto bene, mantieni la calma e non agitarti.”
Era più facile a dirsi che a farsi. Era passato parecchio tempo da quando la mora lo aveva salvato dai templari, ma non erano bei ricordi.. Ogni passo che faceva verso la struttura sentiva il cuore pompare il sangue più forte. Non era fatto per quel tipo di cose, lui era uno storico, al massimo uno stratega, non un soldato!
Salì le scale che portavano all'entrata principale sentendo i piedi farsi sempre più pesanti. Non appena varcò le grandi vetrate e si ritrovò nell'immenso atrio si guardò intorno: c'era molta gente, scienziati ed agenti. Cavoli...
“Sono dentro.” Riferì ai compagni.


 _________________________________
Angolo autrice:

Bonjour mesdames et messieurs!
Come va? Tutto bene? Evviva, sono contenta! :°D (Viva i monologhi! Sto diventando pazza!)
Ad ogni modo... Non mi sono fatta attendere molto nel postare il sesto capitolo, anche perché come vedete è solo un capitolo tranquillo e di 'intermezzo', se così vogliamo chiamarlo.
Devo dirvi la verità? Io mi sono divertita parecchio a scriverlo, immaginandomi le scene, Shaun che odia l'italiano per un pelino di gelosia provata verso la moretta... Tuttavia ancora non se ne rende conto.
E sì, se qualcuno di voi mi segue da più tempo, l'italiano si chiama Demetrio, proprio come il fratello di Shila (nella fic 'Shila, l'Assassina').
Boh, è un nome che mi piace...
Li trovo adorabili Shaun e Rebecca, piuttosto.. E povero inglese, lo tuffo sempre in queste situazioni strambe (come scalare pareti di roccia e infiltrarsi all'Abstergo fingendosi uno scienziato... Ve lo assicuro: vuole ribellarci ed uccidermi!)
Ad ogni modo spero che seppur 'leggero', vi sia piaciuto e vi abbia fatto - magari - anche sorridere.
Devo ammettere che sono abbastanza avanti con la scrittura dei prossimi capitoli.. Tuttavia alcuni non mi convincono a pieno... Vedremo un po'!
Dunque vi lascio e - come dice la carissima Strega di Ilse - non siate timidi, lasciate pure una recensioncina e fate felice un'autrice! :P
Ah... E ovviamente ringrazio come al solito la già citata Strega di Ilse ed Eldunari_ per le recensioni lasciatemi nell'ultimo capitolo e - ovviamente - ringrazio anche la nuova recensitrice Lucy65! :D
Penso di aver detto tutto..?!
Vi lascio con questa chicca per sole femmmmmmene!

http://24.media.tumblr.com/tumblr_ll9ocxry0V1qig6uio1_500.jpg
aaaaand:
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*Tilt*
Ok, basta, la smetto.. Me ne vado! Sto decisamente andando fuori tema! D:
Ahahah, perdonatemi!
Alla prossima!

Evelyn

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Capitolo 7
*** Surprise! ***


7. Surprise!


Shaun si trovava nell'atrio dell'Abstergo. L'ansia gli cresceva in petto ma cercava di mantenere la calma.
“Sono dentro, ed ora..? Cosa faccio?” Domandò a bassa voce, guardandosi intorno e muovendo qualche passo verso il centro.
“Potresti chiedere alla receptionist per quanto riguarda Desmond oppure girare per la struttura... Ma è immensa e andando in giro a vanvera potresti attirare l'attenzione delle guardie ed insospettirle.”
L'inglese sospirò sonoramente e si diresse alla reception e – ignorando il fatto che non sapeva l'italiano – tentò con l'inglese, sperando che non lo scoprissero subito, su due piedi.
“Buongiorno.”
“Salve, buongiorno.” Disse la signorina dietro la scrivania, alzando gli occhi dallo schermo del computer sull'uomo. Shaun ebbe quasi la sensazione che stesse studiando, che lo avrebbe scoperto a momenti.
“Vorrei sapere a che piano si trova la stanza dove tengono Desmond Miles.” Buttò lì.
La ragazza lo osservò per qualche istante, “Un attimo solo.”
Si allontanò con la sedia, grazie alle rotelle, e raggiunse con essa il telefono sulla parete alle sue spalle. Compose un numero interno e l'inglese la poté vedere conversare con qualcuno mentre teneva gli occhi fissi su di lui.
Shaun deglutì... Ecco, era fottuto, lo sapeva. Rebecca e le sue stramaledettissime idee. Si guardò intorno per assicurarsi che nessuna delle guardie si stessero avvicinando a lui.
La signorina attaccò un istante dopo e si riavvicinò. “Mi perdoni signor Anderson.” Disse leggendo il cognome sul tesserino, “Non ero a conoscenza dell'informazione e ho domandato al supervisore. E' al decimo piano, lei fa parte dell'equipe medica?”
L'inglese poté tirare un sospiro di sollievo, anche se tutte quelle domande lo stavano facendo agitare.
“Sì.”
Lei annuì e sorrise. “Bene, allora prego. Penso che dopo il capo vi voglia parlare quindi lo raggiunga nel suo ufficio.”
“Certo, grazie.” Annuì prima di eclissarsi.
'Come no, dal capo, contaci!' Pensò dopo. Vidic era morto, allora chi era ora il nuovo capo?
Ad ogni modo, Desmond dunque era lì? Wow, bingo! Che se ne faceva un morto dell'equipe medica? C'era una bella probabilità che il ragazzo fosse vivo!
Sì avviò lungo il corridoio centrale, verso l'ascensore.
“Allora?”
“Siamo a cavallo, sto andando da lui.” Disse chiamando l'ascensore ed attendendolo lì davanti, guardandosi intorno.
“Sul serio?! E' lì?”
“Sì, ma non cantiamo vittoria troppo presto... Mi sento osservato. Che megalomani che sono qui all'Abstergo, è enorme!” Mormorò.
“Tienici aggiornati. Sta attento alle telecamere di sorveglianza.”
Le porte dell'ascensore si aprirono di fronte a lui ed uscirono alcune persone. Non appena l'ascensore fu vuoto, Shaun entrò. Spinse il tasto del decimo piano e – solo quando le porte si furono richiuse – si sentì libero di risponderle.
“No problem.”
Non appena dinnanzi a lui sì mostrò il decimo piano, Shaun poté notare un altro bancone simile ad una reception, però vuota: non v'era nessuno. C'erano più porte sul piano e sinceramente non aveva idea di quale fosse la stanza dove tenessero Desmond.
“Abbiamo un problema. Ci sono cinque stanze ed un corridoio sul piano.”
“Controlla cosa c'è scritto sulle porte.” Rispose la mora, con voce insinuante quasi che fosse ovvia la cosa da fare.
“Ufficio, ufficio..” Lesse sulle varie targhette poste accanto alle porte. “.. Critical room? Potrebbe essere questa? Non penso lo mettano in un ufficio, sdraiato su una scrivania.”
“Penso sia la più plausibile. Prova.”
L'inglese si avvicinò alla porta e notò che sotto alla targhetta v'era un pannello dove, sicuramente, andava passata una tessera. Prese il cartellino e lo girò, notando che dietro v'era una banda magnetica. Tentò di passare la tesserina nella fessura ma il led spento si colorò di rosso, seguito da un fastidioso 'bip'.
“Dannazione...”
“Cosa?”
“La tessera di riconoscimento non basta a farmi entrare nella stanza, come faccio?”
“Aspetta un attimo...”
L'inglese poté sentire in sottofondo un lieve rumore di tasti spinti rapidamente. Si guardò intorno, per sicurezza.
“C'è scritto solo Critical Room? Non c'è un numero, un codice..?”
Shaun osservò la porta, “C'è scritto un ABS608 nell'angolo superiore destro della porta.”
“Ok. Aspetta.”
“Sbrigati Rebecca! Ci sono le telecamere! Non è normale che uno scienziato stia fermo come uno stoccafisso davanti ad una porta!”
“Chiudi la bocca un attimo! Ci sono quasi!”
L'inglese sospirò sonoramente fin quando, con sua sorpresa, il led divenne verde, seguito da un 'bip', lo stesso di prima ma adesso molto meno fastidioso.
“Brava, è andata..!”
“Bingo!” Sentì esultare la ragazza soddisfatta. Non glielo si poteva negare: era un asso dell'informatica.
“Sì ma ora basta festeggiare.” Bofonchiò Shaun osservando la sala che si aprì dinnanzi a lui: la prima cosa che notò fu il lettino al centro della sala. Fu impossibilitato a vedere cosa ci fosse dentro per via delle alti pareti di quest'ultimo. Vide poi anche delle telecamere.
“Pensi di riuscire a disattivare le telecamere di sicurezza?”
“Posso provarci.”
Shaun continuò ad avanzare e dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno si avvicinò al lettino. Dovette ammettere di sentirsi sollevato e quasi felice di vedere che lì dentro giaceva Desmond e che respirava. Gli venne quasi spontaneo sorridere...
“Grazie al cielo.”
“Cosa?” Domandò la mora assorta.
“Desmond è qui. E' vivo, respira.” Riferì l'inglese. Tuttavia il compagno sembrava in uno stato di sonno profondo.
“E' vivo?!” Chiese conferma la ragazza.
“E' vivo??!” Sì sentì subito dopo la voce di William.
“Sì, sì, è vivo, è vivo! Ora disattiva le telecamere oppure non potrò fare nulla, sto con le mani legate!”
“Sì, un momento solo.”
Shaun osservò il ragazzo privo di coscienza: era completamente nudo, attaccato ad alcune macchine, e ai piedi del lettino si trovava una cartellina.
“Non ti senti a disagio, Des?” Domandò l'inglese ironico, come se potesse sentirlo. Afferrò la cartellina e cominciò a sfogliarla. C'era scritto ben poco, nessuna diagnosi certa o robe simili, solo appunti... E c'era scritto che lo avevano tenuto sotto sedativi per le prime quarantotto ore e tutt'ora sotto un dosaggio piuttosto elevato di morfina.
Desmond aveva perso completamente la concezione del tempo: alternava momenti da sveglio e vigile a momenti di sonno profondo – e sogni strani che gli facevano sembrare di essere cosciente.
Proprio quando l'inglese arrivò all'ultima pagina del fascicolo e – arrivato quasi alla firma che avrebbe svelato una sconcertante verità – l'Assassino si svegliò: sbarrò gli occhi quando riuscì a scorgere il volto dell'Assassino inglese. Che cosa ci faceva lì e soprattutto con un camice? Faceva anche lui parte dei templari in realtà? Era un traditore?
“No, Shaun, anche tu..?” Gli uscì dalle labbra in un debole sibilo.
Le parole del compagno riportarono l'inglese all'attenzione, spostò lo sguardo oltre il vetro e lo vide, finalmente sveglio.
“Desmond! Pensavamo fossi morto.. Dimmi, come ti senti?” Chiese posando nuovamente la cartellina ed appoggiando le mani al bordo del lettino. Non avrebbe mai pensato di sentire di nuovo la voce dell'americano.
Il ragazzo sembrò confuso: lui si stava preoccupando, Lucy non lo aveva fatto. Non ci stava capendo più nulla.
“Vuoi dire che.. Non.. Siamo all'Abstergo? Non sei con Lucy?”
“Lucy??!” Chiese l'altro, alzando le sopracciglia. “Desmond, Lucy è morta... Sì, siamo all'Abstergo ma sono qui per liberarti.”
“N-no.. Lucy non è morta, io l'ho vista Shaun!” Si agitò.
L'inglese sospirò, doveva essere stato duro per lui ucciderla, ancora ne riportava le conseguenze.
“Des, sei sotto shock, devi aver subito un trauma, ti hanno tenuto quarantotto ore sotto sedativi e ti somministrano ancora morfina, è normale che tu sia stordito. Devi essertelo immaginato, sta tranquillo.”
“Telecamere disattivate. Si è svegliato?”
“Sì Rebecca, si è svegliato... E' solo un po' rintronato.”
“Ma io..” Cercò di replicare il ragazzo, ma prima di poter dire nulla le porte della sala si aprirono e rivelarono la verità sconcertante che Shaun stava per scoprire poco prima: Lucy.
La ragazza dai capelli biondi aveva aperto la porta della sala con la tessera ma era intenta a parlare con qualcuno fuori dalla visuale dell'inglese e così ancora non si era accorta di quest'ultimo, il quale aveva un'espressione a dir poco indecifrabile.
“Merda.” La sua prima reazione fu quella di voltarsi con le spalle verso l'entrata e di allontanarsi un po'. Si passò una mano tra i capelli cercando di appiattire il ciuffo sbarazzino, temendo che da dietro potesse riconoscerlo.
“Cosa? Che succede Shaun? Shaun...?!” Si preoccupò la mora.
“D'accordo, digli che dopo passerò!” Riferì la bionda al suo interlocutore prima di entrare. Teneva gli occhi su alcuni fogli e non appena li alzò, vicina ormai al lettino di Desmond, notò l'individuo di spalle di fronte a sé.
“E lei chi è?” Domandò.
Desmond intese la pericolosità della situazione e capì anche che se Shaun fosse stato scoperto le sue possibilità di evadere sarebbero state pari a zero, così il ragazzo simulò un colpo di tosse.
“L-Lucy!” La richiamò.
La ragazza si voltò verso di lui e si chinò sul vetro. “Desmond, sei sveglio. Come ti senti?”
“Male...” Disse il ragazzo con voce roca, fingendo.
“Che ti succede? Cos'hai? Cosa senti?” Chiese la bionda, preoccupata. Si vedeva che per lei non era un semplice paziente, una semplice cavia.
Shaun era agitato, aveva il cuore che gli martellava nel petto e ancora non riusciva a capacitarsi di ciò che aveva visto. Era sicuro solo di una cosa: doveva agire, doveva approfittare di quel momento in cui Lucy era distratta... Ma come? Sarebbe potuto uscire e fuggire ma, in quel modo, non appena la bionda se ne fosse accorta avrebbe sicuramente chiamato la sicurezza. Dunque.. Avrebbe potuto stordirla.
L'inglese prese un respiro profondo e lentamente fece un lungo giro, con passo felpato, per raggiungere la ragazza alle spalle.
“Non.. Non lo so, mi formicolano le braccia, mi fa male la testa.”
Shaun si trovò dietro alla ragazza e – proprio mentre fece per colpirla – quest'ultima notò un'ombra e il riflesso di qualcuno sul vetro: si voltò di scatto ed afferrò il braccio dell'inglese storcendoglielo e obbligandolo ad inginocchiarsi così a terra, di fronte a lei, dandogli le spalle.
“Ahhh!!” Il povero uomo gridò di dolore e fu in quel momento che Lucy lo riconobbe.
“Shaun?!” Disse, sorpresa, tuttavia senza lasciargli il braccio.
“Lasciami Lucy! Lasciami!” Le gridò contro sentendo che se gli avesse torto il braccio ancora di poco gli si sarebbe spezzato.
Desmond era legato a quel dananto lettino e non poteva vedere nulla di ciò che stava accadendo. Cercò di liberarsi dalle costrizioni delle cinghie che lo tenevano ben saldo al lettino ma non vi riuscì.
“Shaun! Che succede? Lucy? Ma che stai dicendo?!” Domandò la mora, allarmata.
La bionda inspirò a fondo, cercando di riacquistare lucidità, dopodiché allentò la presa ma lo fece voltare verso di lei e – poggiandogli il piede sul petto – lo spintonò contro il pavimento facendolo finire con i gomiti a terra, semi-seduto. Così avrebbe potuto controllarlo bene.
“Cosa ci fai qui?!” Gli domandò, cercando di rimanere quanto più possibile ostile e distaccata. Eppure le faceva male mantenere quel comportamento con il suo ex compagno.
Shaun aveva ancora il viso contratto in una lieve smorfia di dolore.
“Cosa ci fai TU qui! Non eri morta?! Sono venuto al tuo funerale!” Disse incredulo, meravigliato e furioso. “Hai continuato a prenderci in giro tutti quanti! Persino dall'oltretomba!”
“Shaun, si può sapere cosa sta succedendo?!” S'intromise nuovamente Rebecca.
La ragazza strinse i denti. Le risultava difficile mantenere quel distacco e fingere che quelle parole non la ferissero affatto.
“Mi dispiace.” Disse, per l'ennesima volta. “Ho fatto ciò che ritenevo giusto.” Affermò con tono grave.
“Sei una meschina traditrice, ecco cosa sei!” Gli sputò addosso tutto il suo risentimento.
“Adesso basta! Smettila! Non sei nelle condizioni per potermi parlare in questo modo!” Difatti, alla fine, era lei che in quel momento aveva il coltello dalla parte del manico.
“Non me lo sarei mai aspettato da te, Lucy..” Fu tutto quello che riuscì poi a dire l'inglese.
Desmond ascoltò la conversazione dei due, impossibilitato a fare qualunque cosa. Gli faceva male sentire le parole così dure della bionda, gli era quasi impossibile crederci.
Ci fu un momento di silenzio nel quale i due, una volta compagni – ora nemici – si guardarono, fin quando Lucy non abbassò lo sguardo, colpevole.
“Sono qui per Desmond, penso sia evidente.” Riprese allora l'inglese.
“Non posso lasciarvi andare via. Desmond deve rimanere qui.”
“E cos'hai intenzione di fare? Far internare anche me?”
La ragazza mosse un passo indietro, verso il lettino del ragazzo, rimanendovi comunque di spalle. Sembrò pensarci su. Non se la sentiva di chiamare le guardie, probabilmente gli avrebbero fatto fare una gran brutta fine... Ed anche se per loro, ora, era difficile crederlo, Lucy gli voleva bene.
“Puoi andartene, ma non devi più fare ritorno. Dovete stare alla larga da qui o la prossima volta non sarò così.. Clemente.”
“Beh, grazie, molto gentile!” Rispose sarcastico l'inglese, alzandosi, “Ma non posso andarmene senza Desmond!”
“Desmond rimane, tu te ne vai. O questo, o niente.” Insistette lei.
“Shaun, va via..” Sentirono allora i due, la voce del ragazzo. “Me la caverò, proprio come ho sempre fatto.”
“Shaun, esci fuori di lì per l'amor del cielo!” Poté sentire Rebecca nell'auricolare. “William ha detto che non fa niente, troveremo un'altra soluzione per tirare fuori Desmond da lì!”
Lucy sapeva che se qualcuno fosse venuto a sapere di ciò che stava accadendo avrebbe passato dei guai, dei guai molto grossi... Ma non le importava.
“...” Shaun rivolse un'occhiata alla ragazza, poi indietreggiò di qualche passo, verso l'uscita.
“Sei stata una vera delusione. Per tutti quanti, Lucy... Per tutti quanti.” Asserì l'inglese prima di voltarsi e varcare velocemente la soglia della porta. Sentì l'ansia crescere e i nervi tendersi: sperava vivamente non fosse una trappola e che sarebbe riuscito ad uscire di lì vivo. Così, a passo spedito e ancora amareggiato, prese l'ascensore e si avviò verso l'atrio.
“Perché l'hai fatto..?” Domandò Desmond, vedendo la figura di spalle della ragazza lì accanto.
Lucy non ebbe il coraggio di voltarsi, i morsi della sua coscienza erano troppo forti in quel momento.
“Non sono il mostro che voi crediate che io sia.” Rispose semplicemente, prima di avviarsi verso l'uscita ed abbandonare la sala a sua volta.




______________________________________
Angolo Autrice:

Stavo pensando che a breve mi banneranno dal fandom: ieri una one-shot su Haytham e Connor, oggi una su Desmond ed in serata aggiorno pure!
Bene...
Torniamo seri.
Devo essere brutalmente sincera?
Sono un po' dubbiosa ed incerta sul destino e sulla piega che prenderà questa fic.
Mi spiego.. Oggi ho finito di scrivere l'ennesimo capitolo, però ieri giocando ad AC III boh, vedendo la fine, non so... Non so quanto ne valga la pena, ecco.
Nel senso, boh, Desmond è morto °-° e... Non so spiegarmi!
A dir la verità ho anche pensato di accantonarla.. :/
Vabbè, sono un po' incerta u_u diciamo che m'è venuto un blocco d'ispirazione ieri, alcuni capitoli li ho già in mente belli pronti, solo in attesa di essere scritti.
Ora vedrò, insomma.
DANNATA UBISOFT!
Dicevo, mi spiace che stia postando ancora il 7° capitolo > < vorrei foste al 12° con me! :D
Vi assicuro che l'azione arriverà! Non preoccupatevi! Ne sto scrivendo :3

Ad ogni modo, se vi interessa vi linko le one-shot che ho partorito tra ieri ed oggi.
Quella di Desmond:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1670984&i=1

Quella di Haytham e Connor:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1667815&i=1

Vorrei scrivere ulteriormente di Haytham, ma non ho idee u___u quindi se avete richieste, mi propongo anche per scrivere storie su commissione! è.é
Ringrazio Eldunari_ e Lucy65 per aver recensito pazientemente l'ultimo capitolo! :3
Scusate la mia demotivazione momentanea, cercherò di farmela passare!
Al prossimo capitolo, baci a tutti!


Evelyn

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Capitolo 8
*** Bitterness ***


8. Bitterness



Non appena Shaun varcò l'uscita dell'Abstergo aumentò il passo. Nonostante fosse finalmente fuori non riusciva a tenere a bada l'ansia e così cominciò a correre lungo quei pochi isolati che lo dividevano dal furgone dei compagni.
Demetrio era fuori dal veicolo, si stava sgranchendo le gambe e si stava tenendo pronto se avessero dovuto soccorrere l'inglese. Solo qualche istante dopo lo vide arrivare, come una furia, trafelato.
“Ehi, tutto bene?!” Gli domandò.
L'inglese non rispose, lo superò e si affacciò agli sportelli posteriori: aveva la fronte imperlata di sudore ed il fiatone. “A-andiamo via!”
Non appena la mora sentì la voce dell'uomo si voltò: sentì che la preoccupazione la abbandonò lentamente.
“Shaun! Cos'è successo??!” Domandò.
“Demetrio, sali, guida tu!” Ordinò William all'italiano, il quale eseguì l'ordine all'istante: salì – poco dopo Shaun – e si mise al posto di guida, mettendo in moto.
L'inglese si sedette sul sedile posteriore, tenendosi le mani premute contro l'addome. Era sfinito, psicologicamente e fisicamente.
“Come sta Desmond?” Domandò a quel punto William, curioso di conoscere le sorti del figlio.
Shaun prese un profondo respiro e deglutì. “L-Lucy... Lucy è viva..!”
“Cosa?” Chiese la mora con tono acuto. Lo aveva sentito nominare il nome della bionda ma non credeva che... “Cosa stai dicendo?!”
“.. D-Desmond sta bene.. Ma Lucy. Non posso crederci.”
“Ci hanno.. Ingannati? Non ci voleva. Non posso crederci.” Mormorò gravemente il padre del ragazzo, seppur una parte di lui volesse esultare nel sapere che il figlio fosse vivo e stesse bene.


Desmond si svegliò di soprassalto, sbarrando gli occhi. Scattò seduto sul letto e... Non era più in quella sottospecie di 'capsula' in cui lo tenevano.
Inizialmente non se ne accorse nemmeno, angosciato dall'incubo dal quale si era appena svegliato ma di cui non ricordava più nulla.
Finalmente, quando si rese conto di non essere più dentro a quel lettino che lo costringeva a star sdraiato ed impossibilitato a fare nulla, si guardò intorno: la stanza sembrava pressoché identica a quella dove lo tenevano quand'era costretto alle sedute di Animus assieme a Vidic. Era assurdo: stesso letto, stessi armadietti e – sulla destra – c'era la porta che conduceva al bagno... Non volevano mica rimetterlo dentro quel macchinario infernale?!
Sì guardò il corpo notando – sollevato – di essere finalmente vestito: indossava un paio di pantaloni bianchi ed una maglietta del medesimo colore. Sembravano dello stesso materiale di quei camici che ti rendevano in ospedale.
Lo sguardo del ragazzo venne rapito dalla sua mano destra. Piegò il gomito, tirando su il braccio. Tuttavia la sensibilità alla mano era pressoché nulla, persino tastandola e pizzicandosi. Deglutì. Era una sensazione terribile, come se quel pezzo dell'arto non facesse più parte di lui.
Non ricordava nulla da quando Shaun e Lucy avevano lasciato la sala... Forse l'avevano sedato nuovamente. Aveva totalmente perso la concezione del tempo: non aveva idea se fosse giorno o notte né da quanto tempo si trovava all'Abstergo.
Si trascinò e scivolò fino al bordo del letto, dopodiché poggiò i piedi nudi sul pavimento freddo e si alzò: si sentì debole ma tuttavia riuscì a mantenersi in piedi, notò una presa d'aria sopra la porta. Poco più a destra di essa c'era un led di colore rosso, evidentemente segnava che la porta era chiusa a chiave.
Desmond la raggiunse, prese la sedia accanto al tavolo e una volta salitoci sopra osservò fuori dalla presa d'aria: ora non ne aveva più alcun dubbio, era la stanza dell'Animus. Vide fuori dai grandi finestroni la luce solare... Era giorno, non sapeva che ora fosse, ma sapeva che era giorno. Il mondo era salvo.
Solo qualche istante dopo sentì la porta della stanza adiacente aprirsi.
“Ma no, non è un problema, dammele a me.” Era la voce di Lucy.
“Ne è sicura dottoressa Stillman?” Sentì la voce di un'altra donna.
Desmond scese dalla sedia e la rimise accanto al tavolo, dopodiché si allontanò dalla porta e si sedette sul letto, tenendosi la mano di cui non aveva più alcuna sensibilità.
“D'accordo, allora la lascio oppure ha bisogno di aiuto?”
“No, va' pure.” Rispose la bionda.
Il ragazzo sentì dei passi e solo qualche istante dopo il led – da rosso – divenne verde. La porta sì aprì e lasciò intravedere la donna con il lungo camice bianco.
Lucy entrò e notò che Desmond era già cosciente. In realtà temeva un po' quel momento, il confronto.
“Ah, sei sveglio.” Disse lei in tono cordiale, le sue labbra sembravano quasi voler accennare un sorriso.
Il ragazzo la guardò da capo a piedi. Notò che tra le mani teneva una cassetta medica. Il comportamento ostile gli risultò quasi naturale.
“Che c'è? Vuoi drogarmi ancora?” Le domandò, con voce piatta.
Lucy inspirò: se lo meritava, dopotutto. “No. Voglio vedere la tua mano.. Come la senti?” Chiese avvicinandosi al letto, così appoggiò la cassetta accanto al ragazzo e si sedette anche lei.
“A dir la verità non la sento affatto.” Mormorò il ragazzo con una vena di preoccupazione nel tono, continuando ad osservarla mentre lei si accingeva a e a tirare fuori una fascia ed una pomata.
“Cosa ti è successo?” Chiese ancora continuando a frugare e tenendo lo sguardo basso. Quella vicinanza così 'intima' le faceva battere il cuore più forte... Ma nonostante quella distanza ravvicinata sembrava come se ci fosse un abisso enorme a dividerli: erano le loro due fazioni contrapposte a dare, non solo a Lucy, questa sensazione.
“Cos'è, preoccupazione o stai semplicemente indagando per conto dei tuoi superiori?” Sputò a quel punto acido il ragazzo.
Lo sguardo della bionda incrociò quello di lui. “Mi preoccupo Desmond, mi preoccupo. Che tu ci creda oppure no.”
“Sì, in effetti mi è difficile crederlo.” Tagliò corto lui... Eppure come poteva quel viso così angelico lavorare per quei bastardi dei Templari? Più ci pensava e più non riusciva a capacitarsene.
“Dammi qua la mano.”
Dopo un primo istante di titubanza il ragazzo le porse la mano e – non appena a contatto con quella di lei – si sentì sollevato, quasi al sicuro, nonostante sapesse che non era affatto così.
Lucy lo medicò con cura ed attenzione mentre lui la osservava silenziosamente.
“Perché Lucy...?” Gli uscì in un sibilo dalle labbra. Ricordò quando sull'isola dell'Animus aveva sentito Shaun parlare con i suoi compagni e dire a loro di quando la ragazza gli aveva confidato i sentimenti che provava per lui.
“Desmond, basta, ti prego.” Disse lei finendo di fasciargli la mano. Alzò lo sguardo ed incrociò il suo. “E' ciò che io trovo giusto.”
“Ora capisco perché quando eravamo a Monteriggioni continuavo a vedere impronte nemiche. Ma.. Perché? Non me lo aspettavo davvero... Io... Io credevo che tra di noi ci fosse qualcosa Lucy.” Le ultime parole gli ruzzolarono fuori dalle labbra con una spontaneità ed ingenuità tipica dei bambini.
La ragazza incassò il colpo. Le fece male. Come poteva nascondere ora i sentimenti che provava per quell'Assassino, soprattutto quando i suoi occhi così puri e teneri la scrutavano a quel modo?
Non riuscendo più a sostenere il suo sguardo, abbassò il capo.
Silenzio.
Desmond strinse i denti e subito dopo le afferrò il mento con la mano sinistra e la costrinse a guardarlo negli occhi.
Il cuore di lei perse un battito: si sentiva sporca, colpevole.. Era macchiata di tradimento, una macchia che neppure l'acqua più pura sarebbe stata in grado di lavar via.
Lucy si svincolò dalla sua presa – e dal suo sguardo – e alzandosi con goffaggine fece cadere la cassetta medica e tutto il suo contenuto si sparse sul pavimento.
Dopo un primo momento di stallo totale, la ragazza si diresse verso la porta ma Desmond si alzò e la afferrò prontamente per un polso, facendola voltare.
“Lucy, guardami!” Le ordinò. In un istante si rese conto che se avesse dovuto giocare sporco per riuscire ad uscire di lì, lo avrebbe fatto. Nonostante tutto lo aveva fatto anche lei e... Tuttavia si rese conto di star realizzando ciò che in realtà avrebbe voluto fare da molto tempo.
“Desmond, lasciami..” Rispose lei, muovendo un passo indietro, cercando di ritirare il polso.
“Devo uscire di qui Lucy, ti prego, è importante.. Davvero.” Disse, sincero.
“Cos'è successo al tempio Des?”
“Non posso fidarmi di te se non me ne dai modo.” Rispose, scendendo dal polso di lei fino alla mano, intrecciando le dita con le sue. “Ti prego, Lucy. So che non sei il mostro che vuoi far credere di essere, hai persino lasciato che Shaun fuggisse... Aiutami ad uscire di qui come già hai fatto, per favore.”
Lucy sviò con lo sguardo. “Desmond ora.. Ora lasciami andare. Davvero, devo andare.” Disse a fatica.
“...” Il ragazzo continuò a guardarla e – proprio quando stava per lasciare la presa – con gran sorpresa la porta della stanza si aprì.
La bionda alzò subito gli occhi verso l'uomo, praticamente di fronte a lei. Era Juhan Otso Berg, il nuovo capo dell'Abstergo.
Lo sguardo di Juhan scese sulla mano del Soggetto 17 e sulle loro dita intrecciate così strette.
Lucy ritirò subito la mano e a quel punto il ragazzo la lasciò, comprendendo la gravità della situazione.
“Portatelo nel mio ufficio, io arriverò tra qualche istante.” Ordinò ai due agenti alle sue spalle i quali eseguirono subito l'ordine: entrarono e proprio quando fecero per afferrare il ragazzo per le braccia, quest'ultimo scattò indietro ed allontanò le loro mani, con la sua sinistra.
“Guarda, ragazzino, non ti conviene fare il capriccioso. So come trattare quelli come te.” Esclamò allora Juhan entrando nello stanzino mentre uno dei due soldati tirò fuori il manganello.
Lucy deglutì e – alle spalle di tutti – lanciò uno sguardo al ragazzo, scuotendo il capo, come per fargli capire di non mettersi contro di loro.
Desmond riconobbe di essere ancora troppo debole per azzardare, soprattutto senza neppure avere la certezza che la ragazza sarebbe stata dalla sua parte... Così lasciò che i due uomini lo prendessero e lo portassero via.
Quando Juhan si fu accertato che fossero usciti, si voltò verso la bionda.
“Posso fidarmi di te, non è vero Lucy?” Domandò puntando i suoi occhi blu e profondi in quelli azzurri e cristallini di lei.
La ragazza deglutì e si sentì agitata.. E se avesse sentito di Shaun? Ma no, ora non l'avrebbe trattata a quel modo, con tale gentilezza.
“Certo.” Annuì.
“Se ci fosse qualcosa... Me lo diresti, non è vero?” Insistette.
“Ma.. Ma certo.” Rispose lei. Santo cielo...
Sul volto dell'uomo si dipinse un sorriso: le poggiò una mano sulla spalla in una pacca, poi scese lungo la schiena e – affiancandosi a lei – la condusse fuori dalla stanza del Soggetto 17.
“Bene, mi fa piacere. Ho in serbo grandi cose per te, dottoressa Stillman... Grandi cose.”



________________________________
Angolo Autrice:

Bonjour!
Mi sto rendendo di quanti capitolini 'tranquilli' ci siano.. Ma ve lo prometto, tempo uno o due capitoli e l'azione arriverà!
Allora, parto subito con i ringraziamenti, perché poi ho da dire un'altra cosa ancora.
Ringrazio la mia ossessione Eldunari_ per la recensione all'ultimo capitolo e tutte le splendide recensioni che mi lascia in generale, soprattutto alle ultime one-shot. Sei adorabile! ♥
Ringrazio anche - ed ovviamente - La Strega di Ilse che pazientemente recensisce ogni volta e mi consiglia :3
Ringrazio anche SaraStone per averla messa tra le preferite e Hamber of the Elves, Eldunari_ e La Strega di Ilse per averla messa nelle seguite. ♥

Ora... Comunicazione di servizio:
Non
so se da queste parti, a leggere questa storia, ci sia ancora qualcuno di coloro che seguiva la mia vecchia long Shila, l'Assassina.
Ebbene, se qualcuno ci fosse ancora - come saprà - la storia è rimasta incompleta a lungo, nonostante mi mancassero solo... Due o tre capitoli? Ecco bene.. Sappiate che a breve metterò parola fine a quella fyccina a qui ad ogni modo tengo davvero molto, se la merita!
In caso qualcuno fosse interessato, cliccate QUI per leggere la storia in questione.
Premetto: l'ho iniziata ad inizio 2011, dunque due anni fa ormai ('mmazza come passa veloce il tempo o_o) e quindi è probabile che ci siano errori e robe (più di quanti ne faccia adesso, si intende! :°D) e che quindi magari gli ultimi capitoli avranno uno stile un po' 'diverso', o meglio.. Sono io che sono cresciuta e mi sono evoluta... Almeno un po' - spero - :D

Ad ogni modo, penso che questo sia tutto..
Vi bacio e lascio a voi la parola!
Alla prossima!



Evelyn

.

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Capitolo 9
*** Juhan Otso Berg ***


9. Juhan Otso Berg


Desmond era lì seduto di fronte la scrivania di Juhan. A differenza del resto della struttura, quella sala era comoda ed accogliente: le pareti erano in legno così come il tavolo di qualche materiale pregiato. Dietro la scrivania v'era comunque una grande vetrata e dietro di lui v'erano due tavolini, ai lati della stanza, con dei divanetti e dei tappeti.
I due agenti Abstergo erano in piedi ai lati del ragazzo, fermi e zitti. Desmond intanto cercava di escogitare un modo per darsi alla fuga ma.. Era debole e aveva la mano destra fuori uso.
Dopo qualche minuto la porta si aprì e fece il suo ingresso il biondo.
“Perdona l'attesa Soggetto 17.” Esordì: il suo tono sembrava essere cambiato, più informale e tranquillo. “Avanti ragazzi, toglietegli le manette e lasciateci soli.” Concluse arrivando dall'altra parte della scrivania, sedendosi.
I due soldati tolsero le manette al moro e dopodiché, come d'ordine, uscirono.
Il ragazzo portò le mani di fronte a sé, sotto la scrivania, tastandosi il polso della mano destra, insensibile.
“Cos'è tutta questa cortesia adesso?” Si mise subito sulla difensiva, il ragazzo.
Juhan lo osservava, tenendo un gomito sul bracciolo della poltrona ed il mento appoggiato sulla mano.
“Allora?” Insisté il ragazzo, quasi con sprezzo.
“Calmo Soggetto 17, calmo.” Rispose l'uomo, mettendosi composto.
“Soggetto 17? Vuoi finirla di chiamarmi così? Ho un nome e mi rifiuto di collaborare con voi per qualsiasi altra cosa! Non sono più un vostro 'soggetto'!”
“Questo lo dici tu.”
“Puoi giurarci.” Controbatté Desmond, guardando, a quel punto, altrove.
“E se ti inducessimo al coma?”
Juhan riacquistò subito l'attenzione del ragazzo, ma non sembrava essere spaventato o che volesse cedere, sembrava amareggiato, arrabbiato, deluso.
“Non so chi tu sia, da dove esca o chi ti creda di essere... Ma forse non hai idea di che cosa ho passato in questi ultimi mesi, ad un passo dalla morte così tante volte che ormai ne ho perso il conto. Non penso più di essere così debole da piegarmi a queste minacce.”
Il biondo annuì. “Certo.” E si avvicinò alla scrivania con la sedia. “Desmond, vorrei potessimo collaborare. Essere 'amici'.”
Il ragazzo non credette alle sue orecchie, alzò le sopracciglia in un'espressione di incredulità.
“Prego?”
“Vorrei che..”
“Ho capito.” Lo interruppe l'Assassino. “Ma per essere 'amici', c'è bisogno innanzitutto di fiducia reciproca.. E quello che provo per l'Abstergo e per voi Templari è quanto di più lontano esista dalla fiducia.”
“Capisco.” Si limitò a rispondere il biondo, incrociando le mani sul grembo. “Facciamo così: ti lascio un po' di tempo per pensarci, va bene? Spero vivamente che tu possa cambiare idea.” Asserì prima di alzarsi. “O le conseguenze saranno davvero terribili.” Appoggiò le mani sulla scrivania e continuò ad osservarlo negli occhi, senza accennare a voler spostare lo sguardo altrove.
Un brivido percorse la schiena del ragazzo: aveva paura, non poteva nasconderlo... Ma non voleva dimostrarlo davanti a quell'uomo. Rimase in silenzio e sostenne il suo sguardo.
Juhan sorrise, dopodiché allungò una mano e schiacciò un pulsante, accostandosi ad un microfono.
“Riportate il Soggetto 17 nella sua stanza.” Ordinò.
Di lì a qualche istante le porte della sala si aprirono e ne entrarono i due agenti Abstergo che presero Desmond per le braccia.
“Lasciatemi!” Sbraitò lui, liberandosi dalla presa dei due soldati. In un istante fece per avventarsi contro il Templare di fronte a lui, il quale però si scansò tempestivamente.
Prontamente uno dei due agenti tirò fuori il manganello e – senza esitare – colpì il ragazzo dietro le ginocchia. Non appena il duro randello fu a contatto con il corpo di Desmond, l'uomo spinse un tastino ed una forte scarica elettrica percorse tutto il suo corpo.
Un urlo smorzato uscì dai denti stretti dell'Assassino, il quale sentì un dolore indescrivibile, tutti i nervi tesi e – quando la scarica elettrica finì – il cuore gli pulsava dentro le tempie. Si accasciò a terra, ansante.
“Stai diventando fin troppo ostico, Miles. Non costringermi ad usare le maniere forti o potresti pentirtene, sul serio.” Lo minacciò a quel punto Juhan. “Portatelo via.”
I due uomini tirarono su Desmond – in malo modo – per le braccia, sicuri che non si sarebbe più ribellato.
Una volta arrivati nella stanza del ragazzo i due uomini lo scaricarono per terra, uscendo. Il corpo dell'Assassino era percorso dai brividi ed una sensazione di sconforto si stava facendo via via spazio nel suo petto, assalendolo.
Poggiò entrambe le mani, tremolanti, sul pavimento e tentò di rialzarsi. La mano destra, pressoché priva di ogni sensibilità, cedette sotto il suo peso, così si ritrovò ad usare solo la sinistra.
Quando finalmente fu in piedi sentì le gambe sostenerlo a malapena. Si guardò intorno: non poteva rimanere lì ulteriormente, doveva trovare una via di fuga, così tentò di attivare l'occhio dell'aquila. Non appena lo fece, però, una forte fitta alla testa gli tolse il fiato.
Si portò la mano sinistra al capo, tra i capelli, stringendoli. Il dolore era vivo, sembrava come se qualcuno lo stesse prendendo a martellate in testa. Era.. Terribile.
“B-basta!” Disse, solo qualche istante dopo, sentendo delle aquile stridere.
Si accasciò sulle ginocchia, stringendo gli occhi. “BASTA!!!”
Grida ed urla affollavano la sua testa. Parole confuse, schiamazzi, aquile.
“Desmond, alzati in piedi e reagisci, sei un Assassino!”
Le parole di Altair gli arrivarono confuse, quasi sovrastate dal resto del caos. Parlava in arabo ma lui poté ben comprenderlo lo stesso... Tuttavia non si accorse di questa sottigliezza, le fitte erano troppo forti.
“Vuoi lasciare che tutti i nostri sacrifici siano vani?” Udì ancora altre parole, questa volta in italiano, da Ezio.
“Cos..?” Il ragazzo tentò di aprire gli occhi, nonostante il dolore lancinante: di fronte a lui notò la stanza scura girare vorticosamente, cogliendo alcune ombre, alcuni flash. “B-basta..!”
“Si vince e si perde, Desmond, ma non lasciarti condizionare dai tuoi errori, non è ancora finita.” Si aggiunse poi Connor.
“Alzati Assassino! Combatti!”
“Sei uno di noi, non disonorarci!”
“Avanti, lo so che puoi farcela!”
“Tirati su Desmond! Adesso!”
“B-basta! BASTA!” Alzò la voce. “Mi ordinate ciò che devo fare ma non mi aiutate! Non avete idea di quanto dura sia! NON NE AVETE IDEA! Smettetela! Sparite! ANDATE VIA!” Gridò con quanto fiato aveva in petto, stringendo gli occhi e tenendosi la testa con la mano. Sognava? Era sveglio? Era reale ciò che vedeva o era tutto frutto di una visione onirica?
“Desmond?!” Sentì una porta aprirsi, la voce di una donna, il tocco fermò di due mani sulle sue spalle. Era tutto confuso, caotico, disordinato.
“L-Lucy! Falli smettere Lucy!” La pregò il ragazzo.
La bionda lo teneva per le spalle, lui era in ginocchio a terra, si teneva il capo tra le mani.
Sembrava quasi fosse tornato a soffrire per via dell'effetto osmosi. Era dura vederlo così, le faceva male.
“Far smettere chi, Desmond?” Gli domandò a quel punto lei. “Va tutto bene!”
“Ti.. Ti prego...!” Disse ancora il ragazzo, sull'orlo della disperazione. Via via il caos nella sua testa cominciò a calmarsi, le voci sparire, le rise smorzarsi. La testa non girava più e la stanza era tornata al suo posto, luminosa.
L'Assassino si ritrovò a terra, stretto tra le braccia della Templare.
“Desmond, va tutto bene, sta' tranquillo..” Continuava a ripetergli lei, stringendolo a sé.
“... Lucy..?” Sibilò il ragazzo alzando lo sguardo verso la donna, prima di perdere i sensi.


Era sera. Nel covo aleggiava un'aria di quiete e tranquillità.
Dopo quello che era accaduto la mattina stessa i tre Assassini, seppur speranzosi per la vita del ragazzo, erano rimasti decisamente perplessi nello scoprire che Lucy fosse ancora viva.
In cucina Alice stava preparando la cena aiutata da Giuseppe e Demetrio, quest'ultimo – seppur fosse un Assassino – aveva davvero le mani d'oro quando si trattava di cucina. Insomma, l'uomo perfetto da sposare!
Le stanze antiche del casale si stavano via via riempiendo di profumi ed aromi, sinonimi che la cena a breve sarebbe stata in tavola.
William, da quando erano tornati, si era ritirato nella sua stanza dicendo che avrebbe pensato a qualcos'altro e si sarebbe messo in contatto con gli altri Assassini in giro per il mondo per scoprire quali fossero le situazioni nel resto del globo, se fosse tutto stabile e tranquillo.
Shaun era in una delle stanze del casale: le luci ai lati delle pareti, che riflettevano contro i muri in pietra, facevano assumere all'intera sala un'aria soffusa e delicata diffondendo un colore tenue tendente al rosso salmone.
V'erano parecchi scaffali contenenti dei libri, alcuni storici, altri di narrativa e letteratura italian. Dove poteva spendere Shaun il suo tempo se non lì dentro?
L'Assassino era semi-seduto su uno dei divani: teneva la schiena contro il bracciolo e le gambe allungate lungo il resto del divano, una sopra l'altra. Sfogliava lentamente le pagine di un libro sulle crociate e – inevitabilmente – immaginava Altair.
Accanto all'inglese, vicino al divano, giaceva una pila di libri che l'uomo aveva accuratamente scelto per dare un'occhiata. Aveva passato l'intero pomeriggio a preoccuparsi di ciò che era accaduto la mattina prima ed ora aveva decisamente bisogno di staccare un attimo... O almeno se ne convinceva visto che il suo cervello, subconsciamente, continuava a lavorare su ciò che era successo, mandandogli di tanto in tanto alcuni impulsi ed alcune idee su come agire successivamente.
Rebecca fece il suo ingresso nella sala, vide l'inglese assorto tra le pagine del libro e sorrise. Alzò la mano e con le nocche bussò all'arco di pietra.
Shaun volse il capo e la vide. “Rebecca.” Mormorò prima di tornare con lo sguardo sulle fitte righe della pagina che stava leggendo.
“Come stai?” Domandò gentile l'amica, avanzando ed infilando le mani nelle tasche posteriori della solita tuta che aveva ripreso ad indossare.
Lui sospirò, chiudendo il libro e tenendo il dito indice tra le pagine in modo da non perdere il segno, adagiando poi l'opera sul suo addome. Guardò dritto di fronte a sé.
“Sinceramente..? Stanco, confuso... Ed un po' spaventato.” Il fatto che non la stesse guardando probabilmente lo aiutò a pronunciare quell'ultima parola. Sembrava quasi che stesse pensando ad alta voce, parlando con sé stesso.
“E tu?” Chiese a quel punto, volgendo il capo verso la mora, la quale a piccoli e lenti passi lo aveva raggiunto, rimanendo in piedi accanto al divano.
Rebecca tirò fuori le mani dalle tasche e – lentamente – si inginocchiò accanto al divano, poggiando le mani sulle gambe in modo da essere pronta a far leva su di esse non appena si sarebbe dovuta alzare.
“Penso.. Penso che io possa dire lo stesso. E' assurdo.”
L'inglese annuì, guardandola negli occhi ancora per qualche istante, dopodiché il suo sguardo scese pian piano fino ad arrivare alla pila di libri.
“Comunque tra poco è pronta la cena!” Esclamò allora la ragazza con tono più allegro, cercando di risollevare i loro morali.
'Wow, meraviglioso..!' Pensò con sarcasmo l'inglese, immaginandosi già le scene a cui avrebbe dovuto assistere tra l'amica e l'italiano durante la cena.
“Ah, bene.” Rispose, quasi mettendosi sulla difensiva.
La mora lo guardò accigliata, non capendo quel suo repentino cambio di tono.
“Sei stato coraggioso, comunque” Interruppe nuovamente lei il silenzio.
L'inglese portò lo sguardo nel suo. “Hm?”
“Per oggi, intendo..” Gli sorrise.
Shaun si strinse nelle spalle, non sapendo cosa dire. “Nulla che un altro non avrebbe fatto, Rebecca. Nulla che un altro non avrebbe fatto.” Ripeté, rivedendo ancora vivide, nella sua mente, le immagini vissute la mattina stessa.
La ragazza allungò una mano fino al suo braccio, stringendolo. “Non è vero, lo sei stato.” Sorrise.
Sulle labbra dell'uomo si dipinse inevitabilmente un sorriso, notando la mora fare lo stesso.
“Ragazzi!!” Esclamò a quel punto l'italiano, arrivando sulla porta.
Come per magia il sorriso dalle labbra dell'inglese svanì in un istante non appena alzò lo sguardo e vide Demetrio.
Rebecca si voltò appena, tre quarti, con il sorriso ancora sulle labbra.
“Ehi!”
“E' pronta la cena, venite?” Domandò con un tono di voce allegro e quasi coinvolgente. Aveva inteso che era un momento pessimo, soprattutto per loro e per quello che stavano passando, così si sentì in dovere di tirare su i loro animi... O almeno l'animo di Rebecca, l'inglese non faceva altro che essergli ostile, lo rendeva certo il fatto che lo stava guardando in cagnesco da quando aveva fatto il suo ingresso – o meglio, per correggersi – da quando erano arrivati al covo.
“Seh, seh, veniamo..!” Borbottò l'Assassino riponendo il libro sopra la pila accanto al divano, prima di alzarsi.
Rebecca ridacchiò sotto i baffi. Era fenomenale vedere con quanta ostilità si rivolgesse Shaun ogni volta che conosceva qualcuno di nuovo... E che non gli stesse propriamente a genio!
Durante il breve tragitto tra la biblioteca – se così si poteva chiamare – e la sala da pranzo, l'inglese si sentì escluso e lasciato indietro mentre Rebecca e Demetrio chiacchieravano e scherzavano tra di loro. Tuttavia, non appena varcarono la soglia della sala da pranzo, videro Alice e Giuseppe seduti alla tavola ben imbandita con ogni cibo e prelibatezza e William – a capotavola – in piedi.
Le risate della mora e dell'italiano si smorzarono. L'inglese inarcò le sopracciglia: sembrava li stesse aspettando.
“Sedetevi.” Disse a quel punto il mentore, “Ho bisogno di parlarvi.”



____________________________________
Angolo Autrice:

Salve a tutti!
E' da un bel po' che son sparita (lo dico sempre a chi importa, eh!) e non sono riuscita ad aggiornare.
Purtroppo ho iniziato a fare l'affiancamento per lavoro e domani comincerò a lavorare ufficialmente.. Quindi sarà una bella impresa stare dietro alla storia ed aggiornarla... Uff ._.
Chiedo venia se in questo capitolo ci saranno errori vari o cose varie, è solo che non ho avuto tempo di rileggerlo ma volevo farvi vedere che non sono muerta!
Ad ooogni modo.. :3 Spero che comunque il capitolo vi piaccia con tutte (se ci sono) le sue imperfezioni!

Ah, Lunedì passato sono stata ad un concerto...
Ho messo lyrics qui e lì in varie storie del suddetto gruppo.
Loro sono gli HURTS, andate ad ascoltarli e amateli.
Oh.

Passo e chiudo!

Evelyn

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Capitolo 10
*** Ancestors ***


10. Ancestors


Non funzionerà, è ancora troppo debole. Non possiamo aiutarlo se lui per primo non vuole alzarsi e combattere.” Sentì una prima voce, parlare in arabo.
“E cosa proponi di fare? Lasciarlo al suo destino?” Una seconda voce, in italiano.
“Non ne uscirà vivo in queste condizioni, soprattutto se continua così.” Riprese la prima. Era assurdo come capisse due lingue totalmente differenti dalla sua e come – queste due persone – sembrassero capirsi.
Desmond riaprì piano gli occhi, alzò leggermente il capo e notò ai piedi del letto – nello stanzino dove lo tenevano accanto all'Animus – Ezio ed Altair.
“Oh no.. Ancora.” Mormorò il giovane, lasciando ricadere pesantemente il capo sul cuscino. La stanza era diversa, più buia, e gli antenati risaltavano bene nell'oscurità: emanavano quasi una luce, un alone luminoso fasciava i loro corpi. Era un sogno?
I due Assassini, sentendo la voce del ragazzo, si voltarono verso di lui.
“Bentornato nel mondo dei vivi, Desmond.” Disse Altair.
“Perché non mi lasciate in pace? Voi non siete reali!” Affermò il ragazzo tirato in causa, prima di tirarsi su, sui gomiti, ed osservarli.
“Arrivati a questo punto sapresti dire cosa lo è?” Domandò Ezio.
L'americano notò che assieme ai due non c'era il suo antenato più giovane. “Dov'è Connor?”
“Perché non ce lo dici tu?” Rinviò la domanda Altair.
Desmond li guardò accigliato. Era bizzarro... E quella discussione stava assumendo un tono decisamente insolito. Decise, dunque, di mettersi seduto, continuando a guardare i due, imbambolato. Perché glielo avrebbe dovuto dire lui dov'era Connor? Forse perché erano frutto della sua immaginazione e che – quindi – decideva lui, inconsciamente, chi c'era e chi no?
Altair incrociò le braccia al petto. “Hai intenzione di rimanere lì seduto a far nulla ancora a lungo?”
“E che cosa dovrei fare?!”
“Se non ti sbrighi quelli ti friggono il cervello, Desmond. Devi fuggire.” Asserì gravemente Ezio.
“Quando?”
“Ora! Sta succedendo adesso!” S'intromise l'arabo, alzando di un tono la voce. “Vieni con noi.”
I due Assassini si voltarono verso la porta, dirigendosi verso essa. Il led luminoso era rosso, sinonimo che era chiusa dall'esterno. Che volevano fare?
Desmond li guardò allontanarsi fin quando, continuando a camminare verso di essa, la trapassarono senza alcun problema. Il giovane strabuzzò gli occhi. Avrebbe dovuto farlo anche lui?
Si alzò in piedi, riscoprendosi pieno di energie: che sensazione magnifica, era da parecchio che non si sentiva così.
Raggiunse la porta a sua volta, un po' titubante, e – di fronte ad essa – si fermò. La osservò per qualche istante, prima di allungare una mano e notare con sorpresa che vi passò attraverso. Stupito, fece la stessa cosa con l'altra, al che sentì qualcuno dall'altra parte afferrargli il polso e tirarlo oltre.
“Vuoi smetterla di giocare, ragazzino?” Sentì l'inconfondibile voce dell'arabo.
L'americano si limitò a guardarlo per un istante in cagnesco, solo dopo si accorse di essere nella stanza accanto, quella dell'Animus, assieme ai due antenati. Guardò dritto di fronte a sé e – con sorpresa e stupore – vide sé stesso dentro il macchinario, Lucy accanto a lui che si preoccupava di scrivere alcune cose su una cartellina. C'era anche Juhan, alla scrivania, ed altre due persone al ragazzo sconosciute. Un brivido gli percorse la schiena.
“Sta accadendo realmente?” Domandò con un filo di voce.
“In questo istante.” Annuì l'italiano.
Le braccia e le gambe del giovane erano assicurate saldamente al lettino.
“Quando possiamo iniziare?” Domandò Juhan, il quale sembrava spazientito.
“Non lo so, i suoi impulsi celebrali sono instabili. Raggiunge picchi molto elevati.” Rispose la bionda che – di tanto in tanto – affidava il suo sguardo ad un monitor posto lì accanto.
“Non ho più intenzione di aspettare, dottoressa Stillman.” Era da un po' che il templare era diventato freddo e scontroso nei confronti nella donna, a volte quasi sospettoso.
“Siete voi?” Domandò allora l'americano, o per lo meno la parte di lui cosciente, ai due antenati.
“Sei tu Desmond. Sei tu. Lo stai facendo da solo.” Rispose Ezio.
“Non capisco..” Sembrava una di quelle esperienze extrasensoriali, l'anima fuori dal proprio corpo.
I due antenati mossero alcuni passi verso il centro della sala, dopodiché si voltarono verso il giovane.
“Devi decidere Desmond, non hai più molto tempo.” Disse il grande Assassino arabo.
Il ragazzo notò che le loro figure stavano iniziando a sbiadire lentamente, a dissolversi nel nulla.
“Aspettate! Che cosa devo fare?!”
“Combatti.” Gli arrivò la voce di Altair, vacillante, prima che entrambi scomparissero e lasciassero campo libero alla sua visuale: il nulla.



Il ragazzo spalanco gli occhi, ritrovandosi nella medesima stanza che affiancava la sala dell'Animus. Aveva sognato, quindi.. Che sollievo.
Si alzò lentamente, guardandosi intorno. Il silenzio più assoluto regnava dentro quelle quattro mura. Non c'era nessuno: niente antenati, niente Templari, niente Lucy... Era solo.
Si portò una mano al viso e si stropicciò gli occhi. Stava rischiando di impazzire: fino a dove ciò che vedeva era reale e fino a dove era frutto della sua immaginazione?
Poggiò i piedi nudi contro il pavimento freddo ed un brivido strisciò lungo la sua spina dorsale. Osservò per qualche istante la porta che recava al bagno, indeciso se farsi o meno una lunga doccia. Si alzò e mosse alcuni passi in quella direzione, dicendo a sé stesso che forse sarebbe stato meglio rilassarsi, dedicare un lungo momento a sé stesso e cercare di riordinare le idee confuse.
Non riusciva a capire che cos'era che rendesse i suoi pensieri così caotici e aggrovigliati e lui stesso così irrequieto. Era stato il globo che aveva toccato? Era stato l'Animus? E perché quando aveva tentato di usare l'occhio dell'aquila aveva cominciato a vedere e sentire cose che non esistevano?
Cominciava a temere che la sua mente stesse crollando di nuovo, proprio com'era successo dopo aver pugnalato Lucy, sotto il Colosseo.
Il ragazzo chiuse l'acqua, raggiunse l'asciugamano e lo sistemò intorno ai fianchi. Uscì dal box della doccia e si avvicinò allo specchio sopra il lavandino, pieno di microscopiche goccioline di condensa che gli impedivano di vedere il suo stesso riflesso.
Allungò la mano e con la stessa ripulì la superficie appannata. Non appena fu libero di vedersi nello specchio, tuttavia, trasalì: notò che proprio dietro di lui v'era Lucy e – ancor prima che potesse fare qualsiasi cosa – la donna cinse il collo di Desmond da dietro, con la mano destra, mentre, con la sinistra, afferrò il suo mento e fece leva roteandolo verso di sé in modo innaturale.
Un dolore intenso e vivo, mai provato prima, annebbiò la mente del ragazzo mentre sentì il rumore del suo stesso collo spezzarsi ed il suo corpo afflosciarsi tra le braccia della bionda.

Un urlo straziato di dolore squarciò la sala mentre piccoli aghi si conficcavano nella carne tenera della schiena del ragazzo.
Se quell'urlo si fosse dovuto associare ad un colore sicuramente sarebbe stato il rosso, il rosso sangue, il dolore più vivo ed intenso.
La schiena di Desmond si inarcò, come mossa da un desiderio inconscio di liberarsi da quel male accecante. Fu proprio in quel momento che si svegliò, con gli occhi lucidi di lacrime per via delle intense sensazioni – per nulla piacevoli – che scuotevano il suo corpo. Ogni muscolo ed ogni singolo nervo era contratto, percorso da scariche di dolore che partivano dal cervello.
Era vivo, lo sentiva... E quel dolore era reale, non lo stava sognando.
Lucy serrò i denti, incapace di guardare quello spettacolo ulteriormente. Si voltò e raggiunse uno dei suoi colleghi.
“E' davvero necessario tutto ciò?” Chiese a bassa voce, mentre alle sue spalle sentiva ancora i lamenti del ragazzo.
“Purtroppo abbiamo riscontrato dei problemi con l'hacking del sistema. Non siamo ancora in grado di ripercorrere i ricordi senza un successore degli antenati... E se il ragazzo non vuole collaborare, è l'unico modo. Saremmo noi a dover pilotare i suoi ricordi, tentando di farli proseguire verso la direzione desiderata.”
La bionda sospirò, portandosi una mano al viso, stringendosi la base del naso tra l'indice ed il pollice.
“E quant'è rischioso per il Soggetto?”
“Dipende dalla sua forza di volontà e da quanta intenzione ha di ostacolarci.”
Quelle parole non rasserenarono per nulla la ragazza che – scansando la mano – scrutò il viso del collega.
“Vuoi dire che in poche parole potrebbe...”
“Fare una brutta fine, sì. Ma non c'è da preoccuparsi, abbiamo tutti i mezzi per rianimarlo.” La precedette lui.
“Cosa..?!” Lucy lo guardò stupefatta ed atterrita. Juhan non le aveva accennato nulla del metodo con cui volevano estrapolare i ricordi a Desmond, tanto meno cosa volessero farci visto che oramai la Mela era in loro possesso... Probabilmente erano gli altri frutti dell'Eden ciò che volevano. Non gli avevano neppure detto delle modifiche che avevano apportato all'Animus.
Così era questo ciò che volevano fare: giocare con la vita del ragazzo spremendolo fino all'ultimo per appropriarsi delle informazioni necessarie. Non importava quanto lontano si sarebbero spinti, tanto – come detto dall'uomo – avrebbero potuto rianimarlo. E se Desmond non si fosse deciso a collaborare? Cosa sarebbe successo? Avrebbero proseguito con quella tremenda crudeltà, rianimandolo ogni volta che sarebbe stato necessario, fin quando il suo cuore, il suo corpo ed il suo cervello non avrebbero più retto, lasciandolo in uno stato vegetativo, disfacendosi poi di ciò che era rimasto una volta che non gli serviva più?
Quei pensieri le fecero accapponare la pelle. Rivolse un'occhiata al ragazzo il quale si contorceva in preda a violenti spasmi muscolari dettati dal dolore che in quel momento provava.
Vide gli aghi – che fuoriuscivano dal lettino – conficcarsi nella schiena di lui mentre alcune goccioline di sangue percorrevano il metallo lucido. Due elettrodi erano posti sulle sue tempie, in modo da poter ben monitorare la sua attività celebrale e stimolarla esternamente.
Tutto ciò era terribile.
Nuovamente il bisogno di staccare lo sguardo da quell'orrenda visione fu così forte che le fece decidere di non trattenersi oltre ed uscire dalla sala. Come poteva permettere che tutto ciò accadesse? I morsi della coscienza iniziavano a farsi sentire e lo stomaco le si era stretto in una morsa.
Non appena uscì dalla sala, proseguì dritto lungo il corridoio. Svoltò sulla destra per scendere le scale, lasciandosi alle spalle le urla di sofferenza del ragazzo, attenuate dalla distanza che via via diveniva sempre maggiore.

Shaun quella notte non riusciva a prendere sonno, probabilmente ciò era dato dal fatto che il giorno dopo sarebbero dovuti tornare all'Abstergo.
Era nella sua stanza, al piano di sopra, nel casale. Si rigirò per l'ennesima volta nel letto, volgendo lo sguardo verso l'orologio analogico e luminoso sul comodino: l'una e venti. Seppur avesse un gran sonno e le palpebre risultassero davvero pesanti, non riusciva ad addormentarsi.
Così, l'inglese, decise di alzarsi e scendere in cucina per prendersi una bottiglietta d'acqua.
I piedi nudi a contatto con la pietra fredda gli procurarono un brivido che gli percorse tutta la schiena. Dovette appoggiare una mano al muro mentre scendeva le scale visto che erano inghiottite dal buio, sembrava come se non ci fosse nulla in fondo.
Non appena appena arrivò di sotto raggiunse la cucina – senza far rumore – e prese una bottiglietta d'acqua dal frigo, quando poi però fece per tornare indietro – passando per il corridoio – notò con la coda dell'occhio, in una stanza alla sua sinistra, Rebecca.
Si fermò, voltandosi ed accostandosi all'arco della porta: la stanza era completamente buia, era rischiarata solo dalla fioca luce dello schermo del portatile, sul tavolo, al quale la ragazza stava lavorando, digitando velocemente lunghi e fitti codici sulla tastiera.
“Ancora sveglia?” Chiese a quel punto l'inglese, a bassa voce.
Un tremito percorse la schiena della mora, la quale sussultò e si voltò istintivamente verso la porta. “Oh, Shaun! Sei tu... Mi hai fatto paura.” Disse portandosi una mano sul petto, sentendo il cuore battere più forte per lo spavento.
Le labbra dell'inglese si incurvarono all'insù, disegnando un lieve sorriso divertito sul suo volto. Si avvicinò.
“Che cosa stai facendo?”
La mora appoggiò un gomito sulla spalliera, volgendo nuovamente il capo verso il suo lavoro.
“Stavo finendo di sistemare le cose per domani, ero entrata nel sistema dell'Abstergo per acquisire i codici di sicurezza e le varie pass che ci serviranno domani per aprirci un varco nel sistema.”
“Ah..”
L'inglese allora, una volta arrivato accanto a lei, prese una sedia dal tavolo e la spostò accanto alla ragazza, sedendocisi.
A quel punto Rebecca riprese a digitare alcune cose sulla tastiera. “E tu come mai ancora in piedi?” Chiese ma a quel punto completamente immersa in ciò che stava facendo.
“Non riuscivo a prendere sonno..” Ammise.
“Sei agitato per domani?” Domandò ancora. Nonostante fosse concentrata e sembrasse in un altro mondo, riusciva comunque a tenere l'attenzione anche sul compagno.
“Forse un po'.”
La mora schiacciò il tastò dell'invio e sulla schermata nera cominciarono a caricarsi una miriade di codici e numeri.
“Ecco qua!” Esclamò allora lei, finalmente libera di voltarsi a guardare Shaun. “Dai, vedrai che andrà bene, saremo in tanti... E poi tu ed Alice rimarrete ad aiutarci da dietro le quinte.”
“In tanti? In cinque, o meglio in sette contando anche me ed Alice, contro l'intera Abstergo.. Però! Che consolazione!”
Rebecca sorrise. “Sei il solito pessimista.”
“E poi non capisco perché tu debba andare con loro: sei una ragazza e sei tu che dovresti occuparti di disattivare i loro sistemi di sicurezza.. Voglio dire: è sempre stato così!” La ragazza inarcò le sopracciglia, osservandolo. Si stava forse preoccupando per lei? “Alice è ancora giovane e secondo William non ha l'esperienza sufficiente.. Che cosa poteva fare? Mandare te?”
“Beh, sì! Poteva mandare me!” Gracchiò l'inglese, con sufficienza.
Lei rise. “Maddai, Shaun! Sii realista: non sopravviveresti un minuto lì dentro da solo!”
“Cos-..?! Ma che stai dicendo? E ieri allora?”
“Ieri ti sei finto uno di loro, non vale! E poi se Lucy non ti avesse lasciato scappare non oso pensare a che fine avresti potuto fare.. Piuttosto, chissà perché ti ha lasciato andare..” Il tono di Rebecca, inizialmente divertito, si fece pensieroso e quasi malinconico.
“Hm..”
Il portatile emise un lieve 'bip' che fece tornare Rebecca con l'attenzione sullo schermo. Inserì un disco e riprese in ciò che stava facendo.
Shaun rimase lì, in silenzio, ad osservarla lavorare... Doveva ammettere a sé stesso che era adorabile quando era immersa in ciò che sapeva fare meglio: gli occhi fissi sullo schermo che di tanto in tanto guizzavano da una riga all'altra, il viso dall'espressione concentrata, le mani che digitavano veloci sulla tastiera. Adorava soprattutto quando, se qualcosa non le quadrava, arricciava il naso o serrava gli occhi in due fessure, tornando sui codici precedenti a vedere se avesse commesso qualche errore... E quando alla fine un sorrisetto soddisfatto, appagato ed orgoglioso le si disegnava sulle labbra, nonostante – probabilmente – la mora neppure se ne accorgesse.
Era adorabile, davvero.
“Ok...!” Esclamò ad un certo punto Rebecca, tirando fuori il dischetto e mettendolo nell'apposita custodia. “Finito...!” Disse, stiracchiandosi e trattenendo uno sbadigliò.
“Di già..?” Domandò l'inglese. Sembrò quasi deluso. Gli piaceva stare lì ad osservarla.
“Di già? Sono le due!” Rispose la mota, spegnendo il computer, chiudendolo ed alzandosi. Ora solo la luce lunare rischiarava lo stanzino.
Shaun fece lo stesso “Già, sarebbe meglio andare a dormire.. Domani ci aspetta una lunga giornata.”
“Mh-hm.” Annuì lei. “Buonanotte Shaun. Domani vi spiegherò tutto ciò che dovrete fare: è semplice.” Disse salutandolo con una pacca sulla spalla, stringendogliela, dopodiché si avviò alla porta e solo qualche istante dopo venne inghiottita dalle tenebre.
L'inglese sospirò: avrebbe fatto bene a tentare nuovamente di dormire.




_________________________________________
Angolo Autrice:

Odiatemi. Fareste bene.
Ve lo chiedo come favore: odiatemi.
E' da Marzo che sono sparita, sono una schifosa... T_T 
Chiedo venia a chi abbia ancora voglia di seguirmi, ma ad Aprile ho iniziato a lavorare - seriamente - e non ho avuto davvero tempo, poi sono uscita di contratto (sì perrché in Italia va' così) e... L'ispirazione era passata, poi sono rientrata ed il 31 Ottobre uscita nuovamente.
Qual è il problema? Non avevo tempo.. E ho accantonato completamente la scrittura.. E quando ho smesso, non avevo proprio ispirazione.
Ho una voglia MATTA di tornare a scrivere e di continuare questa fiction. So che ormai è uscito Black Flag e tutti sanno che le cose non sono andate come in questa fyccina (tranne io che ancora non ho giocato a Black Flag)..
Ma spero che qualcuno apprezzi comunque!
Ho 3 o 4 capitoli nuovi e pronti della fic che scrissi prima di iniziare a lavorare e prima della mancanza d'ispirazione.
Vi posto il primo, il seguito, sperando voi lo apprezziate e... Non so, voglio rimettermi a scrivere, continuarla.. Vediamo un po' voi che ne pensate, se c'è ancora qualcuno che desidera leggerla :)
Ad ogni modo.. Vi ringrazio per la pazienza, e mi scuso per avervi abbandonati.
Sono una persona orribile, ma mi rifarò!
Baci a tutti! :)

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Capitolo 11
*** Don't be afraid ***


11. Don't be afraid

 

 

Il sole era ormai alto nel cielo, non vi erano nubi in vista e si prospettava essere una splendida giornata nonostante il freddo pungente.
Un furgoncino bianco era fermo ad alcuni isolati dalla struttura Abstergo, dentro gli Assassini stavano finendo di accordarsi sul da farsi.
“Demetrio, Rebecca, Giuseppe e Giovanni, voi verrete insieme a me come stabilito. Shaun ed Alice, voi rimarrete qui.” Disse William, con la più completa attenzione di tutti quanti gli Assassini. “E' un azzardo, lo so... Ma confido nelle abilità di tutti voi. Prima di tutto troviamo Desmond, come suggeritoci da Shaun si dovrebbe trovare al decimo piano, tuttavia non sappiamo se l'abbiano spostato dopo la sua visita... Un'altra priorità è ritrovare la Mela: non possiamo lasciarla in mano ai Templari... Capite che è pericoloso.”
“Sì, certo.” Si levò un coro comune.
“Bene allora, ci terremo in contatto con gli auricolari. Demetrio: cerca di stare il più possibile accanto a Rebecca. Giuseppe, Giovanni.. Anche voi due vi muoverete insieme.”
“E per quanto riguarda lei?” Domandò Alice, la quale non sarebbe entrata insieme a loro in quanto William la reputava ancora troppo giovane e priva della esperienza necessaria.
“Io me la saprò cavare.”
Detto ciò gli Assassini scesero dal furgone, solo Rebecca si trattenne un attimo in più per dare indicazioni a Shaun ed Alice su come disattivare i circuiti di sicurezza dell'Abstergo. Teoricamente sarebbe dovuta essere lei ad occuparsene, ma era una mediocre combattente e William ritenne opportuno farla andare con loro... Oltretutto la mora confidava nelle capacità dei due compagni di eseguire alla lettera le sue informazioni.
“Allora Shaun, Alice..” Si avvicinò ai due, seduti rispettivamente sul sedile del conducente e del passeggero. Appoggiò il portatile sul cruscotto in modo che i due potessero vedere, dopodiché si piegò lievemente in avanti cominciando a digitare lunghi, fitti e complicati codici.
“Vi sto sistemando le cose, in modo che sia già tutto pronto...” Mormorò concentrata.
L'inglese la osservò silenzioso. In quei momenti rimpiangeva il fatto di non essere un lottatore come – magari – era Demetrio. Lui sarebbe dovuto stare lì, dietro le quinte, senza poter aiutare Rebecca. E se le fosse successo qualcosa? E se qualcosa fosse andato storto? Lui non sarebbe potuto intervenire.
“Voi dovrete solo infilare questo disco ed attendere che il virus si carichi al 100%.” Disse la mora, tirando per l'appunto fuori un dischetto, poggiandolo sulla tastiera. Guardò prima Alice, poi Shaun.
“Attenzione però: saremo noi a dirvi quando farlo, ci penserò io a comunicarvelo. Se lo metteste troppo in anticipo potrebbe essere un problema: se ne accorgerebbero e cercherebbero subito di sistemare il problema, tagliandoci fuori... Se al contrario ritardaste troppo potremmo avere problemi noi all'interno, chiaro?” Li guardò. I due annuirono.
“Bene. Dentro la custodia vi ho scritto tre codici di sicurezza: sono quelli che vi chiederà via via caricherete il virus, dovrete solo inserirli.”
“D'accordo, va bene.” Annuirono.
“Ehmm...” La mora alzò un attimo lo sguardo in alto, meditante, riflettendo bene e cercando di vedere se li avesse messi a conoscenza ed in guardia di tutto quanto.
“Credo sia tutto..” Concluse poco dopo.
“Rebecca! Andiamo?!” Si sentì la voce dell'italiano da fuori.
“Sì arrivo!” Rispose lei. “Mi raccomando ragazzi: quando ve lo dico io.. E non dormite: dovete essere veloci! Ci vediamo dopo.”
Proprio quando fece per allontanarsi, Shaun – che fino a quel momento era stato imbambolato ad osservarla ed ascoltarla – la fermò per un braccio.
La mora lo si voltò e lo guardò. “Cosa..? Che c'è? Qualcosa non ti è chiaro?” Domandò sbrigativa.
“No, tutto chiaro. Volevo solo dirti... Di fare attenzione... Sì, sta attenta, d'accordo?”
Rebecca incrociò il suo sguardo, nei suoi occhi poté leggere una velata preoccupazione e – dovette ammettere – che ciò le scaldò il cuore.
Sorrise ed annuì. “Non preoccuparti.” Rispose prima di raggiungere velocemente gli altri.

 

 

Desmond era sopravvissuto a quella tortura... Era stato orribile. Quando si era ritrovato lì, sul lettino a soffrire come un cane, aveva realmente pensato di preferire l'oblio, la morte.
La notte trascorsa non era stata migliore: aveva riportato le conseguenze di quelle terribili crudeltà. Il corpo era dolorante, i brividi percorrevano il suo corpo mentre si era ritrovato a fronteggiare il senso di nausea molte volte, il più delle quali aveva finito per vomitare tutto quello che v'era presente – ed anche ciò che invece non v'era – nel suo stomaco. Assieme a tutto ciò si erano aggiunti anche forti dolori addominali causati dallo sforzo di rimettere tutte quelle volte, persino quando dentro al suo corpo non v'era più nulla, rendendolo talmente esausto da crollare nel letto.
Quando il sole sorse, lui nemmeno se ne accorse: era chiuso in quella stanza dov'era impossibile comprendere che ora del giorno – o della notte – fosse.
Tuttavia gli effetti 'collaterali' provati durante la nottata erano spariti, lasciando spazio ad una immensa debolezza. Il fatto che si sentisse meglio gli diede la sensazione di aver dormito molto e che – quindi – a breve sarebbero ricominciate le sofferenze.
Il giovane era raggomitolato in posizione fetale sul letto, privo di energie. Aveva fissato un punto indefinito di fronte a sé per un tempo indefinito. Solo quando socchiuse gli occhi, qualche istante dopo, sentì dei rumori dalla stanza adiacente, dei passi. Non aveva idea di come sarebbe riuscito ad affrontare un'altra giornata simile, doveva escogitare velocemente qualcosa.
La porta dello stanzino si aprì.
“Desmond..?” La voce fin troppo familiare di Lucy arrivò alle sue orecchie, ma questa volta non riuscì ad associarla a nulla di positivo.
“Desmond, sbrigati! Alzati!” Continuò Lucy con voce bassa e cauta.
Il ragazzo solo a quel punto riaprì gli occhi, volgendo appena il capo e vedendo la donna bionda – in camice – con in braccio i suoi vestiti ripiegati. L'americano aggrottò la fronte, dando vita al suo volto con un'espressione confusa.
“Devi sbrigarti Desmond, sono quasi le dieci. Alle dieci e mezza inizia le seduta dell'Animus e se non ti dai una mossa mi farai scoprire.” Disse lei osservando il volto sbattuto del ragazzo... Era anche colpa sua, di certo non se la stava passando bene.
“Cosa..?” A quel punto l'Assassino si tirò su seduto. “Vuoi dire che mi aiuterai ad uscire di qui?”
Lucy schiuse appena le labbra, poi scosse il capo avvicinandosi al letto e lasciandovi i suoi vestiti. “No, per quello dovrai cavartela da solo.. Ora cambiati, forza.” Disse prima di dargli le spalle, in modo da non guardarlo.
“Perché stai facendo tutto questo?” Domandò a quel punto Desmond, alzandosi in piedi. Si sentì debolissimo e per un istante la stanza cominciò a girare vorticosamente, tanto da costringerlo a portarsi una mano al capo e a socchiudere gli occhi un istante. Quando passò, poi, cominciò a spogliarsi per mettersi i suoi vestiti.
Che cosa avrebbe potuto rispondergli Lucy? Perché non approvava i loro metodi? Perché provava dei sentimenti per lui e non si sarebbe mai perdonata se gli fosse accaduto qualcosa?
Il ragazzo non ricevette risposta, dunque proseguì. “Pensi ancora che i Templari siano nel giusto, Lucy? Pensi che ciò che mi hanno fatto..”
“Desmond, non si tratta di giusto o sbagliato. Si tratta di cos'è meglio per il mondo intero e tu dovresti saperlo.” Lo interruppe lei.
L'Assassino la guardò corrucciato. Finì di chiudersi i jeans e – dopodiché – si sedette sul letto per infilarsi velocemente le scarpe.
“Dov'è il mio zaino? La lama celata?”
La ragazza a quel punto si voltò. “Non... Non ne ho idea. Sei arrivato qui solo con i tuoi vestiti.”
“Perfetto.. E come uscirò da qui senza nemmeno un'arma? E la Mela? Dov'è la Mela?” Chiese una volta finito di allacciarsi le scarpe. Si alzò nuovamente in piedi, battendo il tacco e la punta della scarpa sul pavimento, per sistemarla meglio.
“Ce l'ha Berg, la tiene con sé.”
Desmond le si avvicinò, fermandosi di fronte a lei. “L'avevo vista nel suo ufficio, sei sicura che non la tenga lì?”
“Quando c'è la tiene lì, quando non c'è la porta con sé... Ed oggi non c'è.”
“Quindi... Mi stai velatamente dicendo che devo tornare qui, a riprenderla.”
“Non ti sto dicendo nulla, Desmond. Anzi, se fosse per me ti direi di stare il più lontano possibile da qui.. Di sparire.” Mormorò lei con un tono velato di tristezza. Evitò il suo sguardo.
“Lo sai che non posso farlo... Non ho scelto io di ritrovarmi catapultato in questa guerra, ma ormai ci sono e non posso più tirarmi indietro. Se prima non era una mia scelta, ora lo è. Non posso permettermi di mandare tutto all’aria.” Rispose continuando a guardarla.
Lucy serrò appena le labbra ed annuì, poi sospirò, incrociando nuovamente il suo sguardo. “Allora… Buona fortuna, Desmond.”
“... Perché non vieni via con me..? Questa volta sul serio, come mia alleata..” Le calde mani del ragazzo raggiunsero le sue guance, mentre i pollici le accarezzarono delicatamente le goti.
Desmond l'aveva capito che Lucy non era una cattiva persona... Chissà quali idee le aveva messo in testa Vidic. Forse aveva solo bisogno di qualcuno che le facesse aprire gli occhi e vedere realmente come stavano le cose.
“Desmond..” Mormorò la ragazza, restia, poggiando una mano sul suo polso, sfuggendo nuovamente ai suoi occhi.
“Lucy, guardami.” La intimò lui, “Vuoi sapere cos'è successo al tempio? E' vero, non si tratta più di cosa sia giusto o sbagliato... Si tratta di cos'è meglio per il mondo intero. Potevo scegliere se far perire l'intera umanità o se salvarla ma ponendola sotto la minaccia di Giunone. Siamo qui... E siamo salvi, per ora. Forse un Assassino avrebbe seguito il consiglio di Minerva, non ci avrebbe posti sotto la tirannia di Giunone. Un Templare lo avrebbe fatto... Non si tratta più di chi è buono o chi è cattivo, si tratta di trovare un giusto equilibrio nelle cose. In tutte le cose.”
La ragazza mosse un passo indietro. In realtà aveva ragione.. E come la diceva lui faceva sembrare il tutto più semplice, ma nella realtà dei fatti non era così.
“Vai Desmond... Tra poco verranno gli altri, se non ti sbrighi ti troveranno. Buona fortuna.”
“Ne avrai bisogno più tu che io.” Fu la risposta del ragazzo, prima di ritirare le mani e raggiungere la porta.


I cinque Assassini erano di fronte la struttura. Non c'era altro modo di entrare se non dall'entrata principale, avevano studiato vari piani ma – purtroppo per loro – quello parve essere il migliore, seppur ancora sembrasse un suicidio.
Mentre salirono gli scalini che li dividevano dalla struttura, Rebecca si mise in contatto con i due Assassini nel furgone.
“Stiamo entrando. Caricate il virus.” Mormorò.
“Ricevuto. Buona fortuna.” Sentirono la voce di Shaun.
“Fate attenzione.” Subito dopo quella di Alice.
“Entriamo e ci dirigiamo all'ascensore... Vorrei fosse così semplice e che non accada nulla, ma sicuramente ci fermeranno e ci riconosceranno: Giuseppe e Giovanni, voi creerete un diversivo mentre io, Rebecca e Demetrio ci precipiteremo all'ascensore e raggiungeremo i piani alti. Non appena vi sarete sbarazzati degli agenti, raggiungeteci.”
“Certo Maestro, come vuole lei.” Risposero i due giovani Assassini.
“Mi raccomando: collaborazione.” Furono le ultime parole di William prima di varcare la soglia e ritrovarsi all’interno della struttura.
“Il virus è al 100%, i sistemi di sicurezza e le telecamere di sorveglianza sono fuori uso... Almeno per un po'. In bocca al lupo ragazzi.”
L'atrio della struttura era ampio e luminoso, per via delle grandi vetrate. Destino volle che quel giorno sembrava essere anche parecchio affollato. Se la fortuna fosse stata dalla loro parte, ci avrebbero messo un po' prima di individuarli.
I cinque Assassini continuarono a camminare calmi, dividendosi di tanto in tanto per confondersi con le persone. Fu nel momento in cui superarono la reception ed arrivarono al corridoio, il quale portava all'ascensore ed il quale era costeggiato dai due laboratori – in quel giorno pieni di scienziati – che iniziarono i primi problemi. Un agente sembrò adocchiarli, continuando a seguirli silenziosamente con lo sguardo, a loro insaputa. Tirò fuori la ricetrasmittente e comunicò con i suoi compagni.
Difatti, quando gli Assassini arrivarono all'ascensore, un agente si avvicinò a loro, guardandoli con fare sospetto.
“Ehi voi, dove state andando? Non potete proseguire senza un permesso accordato dal signor Berg.”
I ragazzi si lanciarono uno sguardo, sottecchi, e fu in quel momento che Giuseppe, il più vicino all'agente, si voltò verso di lui avvicinandosi di qualche passo, con un sorrisetto sghembo.
Proprio quando il soldato cominciò a sospettare e a portare una mano al manganello, il giovane Assassino era ormai troppo vicino e – in un gesto calcolato quanto veloce – lo pugnalò dritto al cuore. La lama lacerò la carne senza la minima difficoltà, il sangue caldo e denso che cominciò ad uscire a fiotti dalla ferita, imbrattando il metallo della lama e le vesti del ragazzo, il quale poté vedere dai suoi occhi la vita defluire, i suoi ultimi istanti, ed il corpo afflosciarsi tra le sue braccia.
Giuseppe tentò di tenerlo in piedi per non destare troppi sospetti, ma quando il sangue cominciò a colare fino al pavimento, formando una chiazza di sangue scuro, uno scienziato sembrò accorgersi di tale anormalità e – spaventato – cominciò a gridare.
Solo qualche istante dopo si poté sentire uno scalpiccio di passi veloci, il panico e le urla, i nemici sempre più vicini.
Fu in quel momento che il giovane Assassino spinse il corpo dell'agente a terra, senza più remore, aguzzando tutti i sensi come anche i suoi compagni fecero.
Era guerra.



___________________________
Angolo Autrice:

Poche parole: ringrazio Ladyjessy e Lightning00 per le recensioni all'ultimo capitolo... E' bello vedere che qualcuno sia ancora interessato alla storia! *-*
Grazie, grazie, grazie!!!
Chiunque nuovo, ben venga! Non fate i timidi e fatevi sentire! :P Fa sempre piacere una recensione (critica o meno che sia) e poi su: a Natale siamo tutti più buoni! Facciamocelo un regalo! :P
Ci vediamo al prossimo capitolo e ne approfitto per augurarvi buone feste!
Un bacione!!!

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Capitolo 12
*** Escape ***


12. Escape

 

 

Desmond uscendo dalla sala dell'Animus si rese conto di trovarsi al ventunesimo piano. Bene: non ricordava pienamente la struttura e la via per l'uscita semplicemente perché, quando era fuggito la prima volta, si era limitato a seguire Lucy.
Trovò via libera così corse fino all'ascensore, spinse il tastino e le porte – grazie al cielo – gli si aprirono di fronte.
Fu quando entrò nell'ascensore, però, che ci fu una brutta sorpresa: quell'ascensore scendeva solo fino al decimo piano, quindi avrebbe dovuto raggiungere un secondo ascensore che dal decimo piano lo portasse fino all’atrio.
Sospirò e poi spinse il numero '10' sul tastierino: le porte gli si chiusero di fronte e la cabina cominciò a scendere.
Il reale problema – in quel momento – era che Desmond si ritrovava disarmato: non aveva con sé né la lama celata né il suo zainetto e – a dirla tutta – non si sentiva affatto bene. Era ancora provato da quella sottospecie di sessione di Animus del giorno prima.
Non appena le porte gli si aprirono di fronte si ritrovò davanti due agenti Abstergo: i sensi gli si aguzzarono all'istante mentre sferrò un pugno sul viso di uno, per prendere tempo, mentre poi con la stessa mano, la sinistra, afferrò l'altro da dietro la nuca e lo proiettò contro il suo ginocchio.
L'uomo cadde a terra stordito mentre l'altro aveva già provveduto a tirare fuori la pistola.
Desmond gli afferrò il polso per deviare la traiettoria del proiettile in caso avesse sparato, dopodiché sfruttò quel momento di stasi completa per sferrargli un bel calcio sulle parti basse e – notando che non voleva mollare la presa – ne seguì subito un altro.
Fu a quel punto che il soldato lasciò la pistola, costretto dal dolore ad incurvarsi appena e così – non appena Desmond prese il controllo dell'arma – gli diede una botta secca sulla nuca con il calcio della pistola, tramortendolo.
D’altro canto se Desmond si era ritrovato a raggiungere solo il decimo piano con l’ascensore, per Demetrio, Rebecca e William fu l’inverso: lasciarono Giuseppe e Giovanni di sotto, a fronteggiare gli agenti Abstergo mentre loro salirono ai piani superiori, fino al decimo.
Non appena si aprirono le porte, comunque, c’era da aspettarselo: un’orda di agenti erano lì ad attenderli.
“Forza ragazzi.” Li spronò William, prima di partire all’attacco: si precipitò contro quello direttamente di fronte a lui il quale tentò di colpirlo con il randello. In quel momento il mentore capì che non aveva armi da fuoco e – di certo – la cosa era a suo vantaggio. Si piegò fulmineo, evitando il colpo, e nello stesso momento allungò la mano lacerandogli lo stomaco da parte a parte con la lama celata.
In un attimo il corpo del templare si accasciò al suolo, William ne approfittò per appropriarsi della sua arma e fronteggiare gli altri due soldati che erano arrivati alle sue spalle.
Anche Rebecca e Demetrio avevano seguito l’esempio del Mentore, scagliandosi contro i nemici. L’Italiano si assicurava sempre con un occhio che la ragazza stesse bene e non corresse alcun rischio.
La moretta, dal canto suo, non se la cavava male nel corpo a corpo, anzi! Tuttavia un attimo di disattenzione le costò caro: non appena mandò a terra l’ennesimo uomo sentì una forte percossa contro il fianco destro. Le mancò il respiro per un istante e prima che potesse fare qualsiasi altra cosa il Templare la calciò dietro le gambe, costringendola ad inginocchiarsi.
Solo un lieve e frettoloso movimento della ragazza, per tentare di sbrogliarsi da quella situazione, e poté sentire la canna della pistola poggiarsi contro il suo capo.
“Non così in fretta.” La minacciò l’uomo alle sue spalle.
Proprio in quell’istante sia Demetrio che William diedero il colpo di grazia ai loro rispettivi nemici, si voltarono verso il corridoio e videro la scena: Rebecca in ginocchio e l’ultimo soldato che li teneva tutti quanti in pugno.
“No..!” Gridò Demetrio, facendo per avvicinarsi.
Il Templare spinse ulteriormente la canna della pistola contro il capo della mora, la quale strinse gli occhi e gemette appena. William portò un braccio davanti il giovane, a bloccarlo. Probabilmente se avesse fatto un altro passo ancora, quel bastardo avrebbe ritinteggiato le pareti del corridoio con il cervello di Rebecca.
“Non vi muovete.” Li intimò lui, con un sorrisetto sghembo sul volto.
Proprio in quell’istante, però, il caso volle che a far capolino dall’angolo opposto del corridoio – alle spalle del Templare – vi fosse Desmond. Aveva sentito dei rumori non propriamente rassicuranti lungo quel corridoio e aveva tentato di starne alla larga quanto più poteva: non era nelle condizioni per combattere: sudorazione, nausea, giramenti di testa… Tuttavia quella sembrava l’unica via per raggiungere l’ascensore e così fu costretto a proseguire.
Non appena svoltò l’angolo, con passo felpato, poté ben vedere la scena: inizialmente fu stupito di rivedere suo padre. Fu felice, meravigliato… Ma subito dopo comprese la gravità della situazione e come – ancora una volta – tutto dipendesse da lui.
Nella mano sinistra teneva ancora la pistola sottratta all’agente tramortito poco prima e così non ci pensò due volte: allungò il braccio sinistro, teso, prese bene la mira e… Bang!
Non appena il rumore dello sparo riecheggiò per il piano, Rebecca sussultò e strozzò un gridolino in gola, portandosi entrambe le mani alla bocca. Gli occhi rimasero stretti, serrati, per alcuni istanti. Era ancora viva! Il Templare non aveva premuto il grilletto? Allora chi aveva sparato?
“Desmond!!!” Esclamò allora William, raggiungendo il ragazzo.
Rebecca fu così spaventata che non si rese neppure conto del tonfo sordo del corpo dell’uomo alle sue spalle. Demetrio si apprestò a raggiungerla, aiutandola così ad alzarsi. Non appena la mora si voltò  poté scorgere la figura familiare del ragazzo. Era vero! Desmond era ancora vivo!
William gli si fermò di fronte, poggiandogli le mani sulle spalle.
“Desmond..! Sei salvo.. Grazie al cielo.” Commentò, stringendo le mani.
Il ragazzo sorrise appena poi deglutì e sentì un mancamento il quale William riuscì a colmare sorreggendolo: le gambe si afflosciarono sotto il suo stesso peso, lasciando che crollasse giù, il padre gli passò un braccio attorno alla vita, tenendolo.
“Ehi..?” Gli afferrò il viso con una mano, scuotendolo appena.
“S-sì.. Sto.. Sto bene..” Rispose il ragazzo, riacquistando lucidità un attimo dopo, riuscendo nuovamente a reggersi in piedi, seppur precariamente.
Anche Rebecca si avvicinò, notando il volto sbattuto del compagno ed il colorito piuttosto pallido.
“Des..” Gli sorrise appena.
A quel punto sopraggiunse anche l’Italiano. “Non vorrei rovinarvi il momento, ma credo sia ora di muoversi: se saremo fortunati Giuseppe e Giovanni saranno ancora giù ad occuparsi degli altri agenti e probabilmente avremo la strada aperta.. Più o meno.”
Rebecca annuì, dopodiché diede una mano a William per sorreggere Desmond, lasciando che il ragazzo le passasse un braccio attorno alle spalle.
I quattro Assassini tornarono nell’ascensore, schiacciando il tasto del pian terreno.
“Avanti Des.. Ci siamo quasi. E’ tutto finito.” Gli disse piano a quel punto William.
Il ragazzo teneva il capo basso, gli occhi socchiusi, cominciava a sentire suoni, rumori, profumi e voci che non erano reali e questo lo sapeva bene. Nonostante tutto cercava di contrastare quel senso di straniamento con tutte le sue forze.
“La.. La Mela.. E Lucy..” Mormorò.
“Non adesso Desmond. Lucy… Sta bene dov’è.” Rispose Rebecca con un po’ di rammarico.
“E la Mela.. Sai dov’è la Mela?” Domandò allora William.
“.. C-ce l’ha Berg..”
“Chi?”
“.. Non è q-qui..” Si limitò a dire il ragazzo, tagliando corto, per non doversi dilungare troppo in spiegazioni.
“Non possiamo lasciare la Mela nelle mani dei Templari!” Commentò Demetrio.
“No, non possiamo… Ma non possiamo nemmeno rischiare in questo momento.” Rispose il Mentore.
“Non è qui.. La Mela. S-sarebbe folle rimanere a cercarla..” Biascicò l’americano, in preda a delle terribili fitte alla testa. “Tornerò a prenderla..” Concluse.
“Non se ne parla Desmond.” Lo ammonì il padre, solo un istante prima che le porte si aprissero di fronte ai loro occhi: v’erano decine e decine di agenti Abstergo a terra e – tra di loro – anche il corpo esanime di Giuseppe.
Giovanni era ferito e – con le ultime forze – stava cercando di respingere altri Templari.
“Merda!” Esclamò a quel punto William, lasciando che fosse solo Rebecca a sorreggere Desmond.
“Rebecca, porta Desmond dagli altri! Demetrio, con me!” Ordinò, prima di uscire fuori dall’ascensore e raggiungere Giovanni, il quale stava per incassare l’ennesimo colpo, ma William lo evitò: allungò il braccio ed il meccanismo della lama celata scattò, trafiggendo il Templare – di fronte al giovane – nella trachea.
“G-Giuseppe.. L’hanno ucciso! Quei bastardi!” Biascicò Giovanni.

“Dai Desmond, ci siamo quasi..!” Lo incitò Rebecca, tentando di tenerlo su e condurlo al furgoncino. Riuscirono ad uscire senza problemi, arrivando fino alla scalinata… Ma fu lì che cominciarono i guai.
“Shaun, Alice, mi ricevete??” Chiese la Mora, faticando non poco a portarsi dietro l’Americano.
“Rebecca, che succede? Lo avete trovato?” Sentì la voce di Shaun, che si trovava solo a pochi isolati da loro, arrivargli attraverso l’auricolare.
“Sì Shaun, siamo fuori, stiamo arrivando.. Ma Giuseppe credo che.. Che non ce l’abbia fatta. Vi sto raggiungendo con Desmond. William e Demetrio sono ancora dentro.”
”Mh. Speriamo si muovano.” Rispose l’Inglese, il quale non seppe cosa dire riguardo alla notizia di Giuseppe.
Di fronte la scalinata v’era una Mercedes nera, dai vetri oscurati. Era parcheggiata proprio lì, Rebecca non seppe dire se fosse appena arrivata o era lì da un pezzo. Certo era che – non appena la portiera si aprì – si rese conto che era fonte di guai.
Mise piede dall’ultimo scalino al marciapiede, assieme a Desmond, notò poi la figura di un uomo uscire dall’automobile e prima che potesse fare qualsiasi cosa, questi puntò una pistola contro i due, solo a pochi metri di distanza.
“Merda..!” Esclamò la mora.
“Fine della corsa, Soggetto Diciassette.” Disse il biondo, e Desmond poté riconoscere la voce di Otso Berg. Solo un istante dopo scesero altri due uomini, armati.
“Desmond!” Lo corresse ringhiando, Rebecca. Non era un Soggetto, era una persona!
“Rebecca, che succede?” Domandò allarmato Shaun.
Il biondino sorrise. “Ma certo, Desmond, come preferisci!”
L’Americano a quel punto alzò il capo, gli girava vorticosamente la testa ma riuscì a concentrarsi su di lui. Aveva ancora stretta nella mano sinistra la pistola, come se fosse il gioiello più prezioso, ma Juhan sembrò intercettare le sue intenzioni.
“Mollala.. O vi faccio saltare la testa! Ti ho detto che non sono un tipo che scherza, ragazzino.”
Solo qualche attimo dopo uscirono dalla struttura anche William, Demetrio e Giovanni, trafelati e provati dagli scontri con gli agenti Abstergo che sembravano non finire mai. Non appena arrivarono a metà della scalinata, però, notarono cosa stesse accadendo. Allungarono il passo, raggiungendo gli altri due compagni.
“Ahh, ma come siete audaci! Tutti in gruppo, ma che bravi!” Si fece beffe di loro Berg.
“Sarà meglio per te che ti faccia da parte.” Disse William, cercando di mantenere la lucidità. Erano in una situazione di merda.
“Ah sì? Sennò che cosa fate? Dubito che tu sia nella posizione di darmi ordini, Assassino! Sono io che tengo il coltello dalla parte del manico.. Lasciate il Soggetto Diciassette qui, da bravi, e forse avrò pietà di voi.”
Le persone che erano per strada e che avevano assistito alla scena o che avevano sentito il trambusto da dentro la struttura cominciarono a fuggire terrorizzate.
“Non ci penso nemmeno.. E poi sappiamo bene che non gli spareresti. Ti serve.” Aggiunse William.
Juhan sorrise. “Arguta osservazione. Lui sì…” Ma poi spostò la mira verso Rebecca. “Ma lei… Lei no.”
Demetrio sentì il sangue gelarglisi nelle vene.
“A-andate via..” Biascicò Desmond.
“Non se ne parla.” Sussurrò Rebecca a quel punto.
“Non avete altra alternativa.” Li intimò il biondo.
Gli occhi di Demetrio e di Giovanni si spostarono sul Mentore, il quale guardò Rebecca e Desmond poco di fronte a loro: non poteva permettersi di perdere anche Rebecca per tentare un azzardo.. Ma non poteva neppure lasciare Desmond nelle loro mani, così – poi – in quel momento che sembrava più indifeso che mai.
“Allora..?” Domandò Berg, facendo cenno ai suoi due uomini di avvicinarsi.
“Allora io credo che dovresti lasciarli andare..!” Si sentì una voce, fin troppo familiare, in cima alla scalinata.
Juhan alzò lo sguardo, così anche William, Demetrio e Giovanni volsero appena al capo, seguiti da Rebecca. Desmond riuscì a riconoscerla senza neppure voltarsi a guardarla: Lucy..! Ma era matta? Voleva farsi ammazzare?
La biondina teneva la pistola puntata contro il capo dei Templari, da lì sopra. Il suo camice bianco svolazzava a seconda del vento.
“Lo sapevo..!” Ringhiò stizzito il Templare. “Sei una traditrice, Stillman!”
La ragazza deglutì, tenendolo sempre sotto tiro, scese un paio di scalini. “E’ ora di finirla. Li lasci andare.”
“Cosa credi di guadagnarci, eh? Sei finita!” Disse allora lui, collerico.
“La consapevolezza di aver fatto una giusta azione.. E di sperare nel perdono.” Rispose Lucy.
Tutto ciò aveva dell’incredibile. La situazione si era completamente – o quasi – ribaltata.. A meno che non fosse un altro dei loro giochetti.
“Lasciali andare.” Disse una volta arrivata accanto a Desmond e Rebecca.
“Ma sei matta? Ti farai ammazzare..!” Bofonchiò Rebecca titubante. Stava facendo sul serio?
“N-non se.. Se verrà con noi..” Disse Desmond con un filo di voce.
“E’ fuori discussione!” Si intromise William.
“Già, è fuori discussione.” Gli fece l’eco Juhan, spostando poi lo sguardo verso Lucy che sembrò abbastanza minacciosa con quella pistola, puntata su di lui.
“Non ho niente da perdere. Ci metto un istante a premere il grilletto.” Aggiunse la bionda.
Berg capì bene che se Lucy avesse premuto il grilletto, i suoi uomini avrebbero fatto lo stesso. Il Soggetto Diciassette sarebbe rimasto all’Abstergo ma.. Lui stesso probabilmente sarebbe morto, e non aveva assolutamente nessuna voglia di morire! Così sembrò pensarci sopra: avrebbero potuto trattare.
“E va bene.. Ho perso. Una battaglia, non la guerra. Badate bene. Potete andare Assassini, ma la biondina rimane qui con me..” Guardò Lucy.
Desmond rivolse un’occhiata alla ragazza, la quale ricambiò ed annuì.
“N-no.. P-papà, dobbiamo portarla con noi..!” Si agitò.
“Desmond, andiamo via. Ci è andata fin troppo bene.” Rispose William. Tutta quella situazione non gli piaceva: sembrava troppo semplice. Poggiò una mano sulla schiena di Rebecca, intimandola ad avviarsi, poi fece cenno a Giovanni e Demetrio lo stesso. Lui si avviò per ultimo, continuando a guardarsi alle spalle.
Juhan osservò il Mentore allontanarsi. Abbassò la pistola, notando di essere ancora sotto il tiro della ragazza. Probabilmente Lucy voleva assicurarsi di vederli sparire all’orizzonte prima di rassegnarsi al suo triste destino.
Ad ogni modo il Templare non era stupido: aveva ben capito cosa vi fosse tra i due. C’era qualcosa.. E Desmond sarebbe sicuramente tornato a ‘salvarla’ o – per lo meno – sarebbe tornato per la Mela.
“P-papà.. N-non possiamo lasciarla..” Biascicò Desmond, il quale si reggeva ancora a Rebecca, volgendo il capo di tanto in tanto. Erano ormai vicini al furgone.
“Non si discute. Comando io qui.” Ed era vero. Forse far sentire la sua autorità era l’unico modo, in quel momento. Già avevano perso Giuseppe, sarebbe stato folle.
Shaun era di fronte al furgoncino che passeggiava avanti e indietro nervosamente, non aveva più sentito Rebecca e si stava chiedendo se fosse giusto andare a vedere cosa fosse accaduto. Si sentì sollevato quando li vide avvicinarsi assieme al ragazzo… E si sentì ancor meglio notando che Rebecca stesse bene.
“Metti in moto, di corsa, andiamo via!” Ordinò William, mentre gli altri salirono sul retro del furgone. Aveva un brutto presentimento, e se li avessero seguiti?
“.. E.. Giuseppe?” Domandò Alice, una volta che Demetrio e Rebecca lasciarono che Desmond si sedesse sul sedile posteriore. Giovanni la guardò, scuotendo appena il capo con un’espressione grave sul volto.
Un attimo dopo anche William fu sul furgoncino, chiusero tutte le porte e partirono.






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Angolo Autrice:

Ta-daaan! Eccoci qui con il nostro appuntamento settimanale!
Innanzitutto chiedo venia se dovesse esservi qualche errore: la prima volta ho letto e corretto, però poi per sbaglio non ho salvato e ho dovuto rileggerlo e correggerlo una seconda volta, speriamo in bene!
Seconda cosa: chiedo venia alla seconda, le scene d'azione non sono il mio forte e credo si noti u.u non mentite!
E... Niente! Vi lascio al capitolo! :)
Volevo ringraziare tutti quelli che hanno recensito: Lightning00, MaryQueen999, SlytherinSoul e maria98.
Ringrazio anche cartacciabianca che ha iniziato a seguire la mia fic e per le tre recensioni lasciate ai capitoli precedenti :)
Vi ringrazio, non mi aspettavo di trovare tutto questo calore al mio ritorno *o*
Beh, visto che l'altra volta vi ho fatto gli auguri di Natale, quest'oggi vi faccio quelli per un buono e sereno anno nuovo! :D

P.s.
Se ci fosse qualche fan di Mass Effect, tra di voi, vi lascio il link di una one-shot scritta ieri, chissà se anche tra di voi c'è qualcuno in - ormai - fissa quanto a me con questo gioco! :P
http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2364607&i=1

Al prossimo capitolo e... BUON ANNO!!! <3

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Capitolo 13
*** Nightmare ***


13. Nightmare

 

Desmond stesso si stupì di quanto riuscì a dormire. Nonostante all’Abstergo l’avessero tenuto costantemente sotto sedativi, probabilmente i suoi sonni non erano stati così rilassati e tranquilli da fargli recuperare le energie. Difatti, il ragazzo, si svegliò solo nel tardo pomeriggio del giorno successivo.
Non appena riaprì gli occhi, riacquistando lentamente coscienza, sentì il capo pesante per le lunghe ore di sonno che si era concesso. Tuttavia, seppur rintronato, trovò piacevole risvegliarsi in un luogo non ostile.
Con questo pensiero si alzò dal letto e raggiunse il bagno. Durante il tragitto sentì un parlottare sommesso ed attutito dalle mura mentre riuscì a riconoscere anche il rumore di una televisione accesa, probabilmente sintonizzata su qualche telegiornale, stando alle poche parole che riuscì a carpire.
Il ragazzo però proseguì dritto, diretto al bagno, si sarebbe preoccupato dopo di quello che stava accadendo al piano di sotto.
Nella sala da pranzo, attorno al tavolo, erano presenti Rebecca, Shaun, William e Demetrio.
L’inglese stava sorseggiando una tazza di tè, il quale non aveva nulla a che vedere con quello che era solito bere nella sua patria: dall’aroma inebriante e dal gusto intenso.
Gli altri stavano stuzzicando qualcosa nell’attesa che la cena fosse pronta. Erano quasi le sette e fuori era buio.
Seppur in un clima tranquillo, gli Assassini stavano parlando di qualcosa di serio ed importante: da una parte si ritrovavano l’Abstergo ed i Templari alle calcagna, dall’altra invece aleggiava ancora il mistero riguardo la minaccia di Giunone che però, tuttavia, sembrava essere scomparsa nel nulla.
“E quindi? Cosa si fa?” Domandò il giovane italiano.
“Continuiamo ciò che facciamo da sempre: lottiamo i Templari.” Rispose William.
“E per quanto riguarda Giunone?” S’intromise l’inglese.
Il mentore rimase in silenzio, sembrò pensarci un po’ su. “Non appena Desmond si sarà ripreso ci penseremo. Magari la Mela ci può aiutare e svelare qualcosa… Bisogna tornare a prenderla.”
“Ora che Giunone è libera il solo il pensiero di usare la Mela mi fa rabbrividire.” Mormorò Rebecca. “Dopotutto era attraverso i frutti dell’Eden che si mettevano in contatto con gli antenati.. E con Desmond.”
“Ehilà, ragazzi..!” Esordì proprio il giovane tirato in causa, entrando nella sala dall’arco principale.
Tutti si voltarono inevitabilmente a guardarlo: non avevano avuto modo di parlargli dopo essere tornati, il ragazzo era indebolito e spossato, decisamente aveva bisogno di riposare.
Notarono che le profonde occhiaie che marcavano i suoi occhi solo il giorno prima, erano diminuite e andavano via via sparendo. Era ancora pallido e debilitato, si vedeva, ma nulla che non avrebbe potuto risolvere con un po’ di sano riposo.
William non riuscì a contenere un lieve sorriso, fiero ed orgoglioso di suo figlio. Era ancor più bello vederlo nuovamente tra di loro e poter sentire la sua voce.
“Desmond..” Lo salutò l’inglese, voltandosi di tre quarti in quanto il ragazzo gli stava proprio alle spalle.
“Come ti senti?” Domandò Rebecca, sorridendogli.
“Bene, meglio.. Grazie.” Rispose ricambiando il sorriso. Fu inevitabile: una sensazione di calore gli abbracciò il petto nel vivere quella situazione di familiarità. Si sentiva rilassato, al sicuro.
“Hai fame?” Chiese William.
Desmond si portò una mano alla pancia, rendendosi conto solo in quel momento che dentro v’era una voragine. Era da parecchio che non mangiava in modo decente: all’Abstergo non l’avevano trattato proprio come in un albergo a cinque stelle. L’aroma che aleggiava nel casale, proveniente dalla cucina, risvegliò i sensi del ragazzo ed il suo stomaco brontolò rumorosamente.
“Direi… Direi di sì.” Ridacchiò.
Il padre spostò la sedia accanto a lui, come per incitarlo a sedersi, dopodiché si alzò. “Ragazzi, devo lasciarvi. Ivan e Francesca mi stanno attendendo in centro. Dobbiamo occuparci di alcune cose. Demetrio, vieni con me?”
L’italiano annuì. “Certo, Maestro. Di che si tratta?”
“Ne parleremo strada facendo.” Rispose William, avviandosi all’uscita e passando accanto a Desmond, fermandosi proprio vicino a quest’ultimo.
“Sono felice di riaverti qui con noi, figliolo.” Mormorò con un tono di voce più basso, poggiandogli una mano sulla spalla e stringendola.
Il giovane lo guardò negli occhi. Un lieve sorriso, poi annuì appena come per fargli capire che per lui era altrettanto. Le parole erano superflue, era ovvio.
Mentore ed Assassino lasciarono la stanza e così Desmond si ritrovò con i suoi due compagni d’avventura più ‘vecchi’. Si sedette al tavolo assieme a loro.
Ci fu qualche istante di intenso silenzio finché non venne interrotto dal brontolio dello stomaco di Desmond.
Rebecca rise. “Dai, resisti ancora un po’! A breve la cena sarà in tavola e oltretutto cucinano veramente bene qui!”
Proprio quando la mora finì la frase, dalla cucina si sentì un gran frastuono, come del pentolame cadere a terra e – subito dopo – delle grida.
I tre Assassini si lanciarono uno sguardo fugace mentre i loro sensi si aguzzarono e – ancor prima di accorgersene – tutti e tre scattarono in piedi.
“Alice?!” La richiamò Rebecca, dirigendosi velocemente verso la porta che recava alla cucina, seguita dagli altri due.
Non appena la mora aprì la porta sussultò, ritrovandosi di fronte un agente Abstergo con la pistola puntata praticamente contro il suo viso, ad un palmo dal naso.
Fu una reazione istintiva quella di afferrare il polso dell’uomo di fronte a sé e storcerglielo per fargli lasciare l’arma, dopodiché lo colpì con una ginocchiata tra le gambe. Non appena il soldato perse lucidità per via del dolore provocato da quel colpo basso, la pistola cadde sul pavimento con un tonfo sordo e metallico. Subito dopo la mora gli rigirò ulteriormente l’arto, ritrovandosi alle spalle del nemico. Fu proprio in quel momento che con l’altro braccio pose fine alle sue sofferenze, raggiungendogli il capo e roteandolo verso di sé in modo da spezzargli l’osso del collo. Il rumore che ne susseguì fu terrificante.
La donna ebbe solo un momento per girarsi e realizzare che erano sotto attacco e che l’Abstergo li aveva trovati. Alle sue spalle sia l’americano che l’inglese erano intenti in una lotta corpo a corpo, ad armi impari visto le pistole e i manganelli di cui si servivano i Templari.
La mora decise di andare ad aiutare il compagno inglese, quello meno portato per la lotta. Seppur Desmond fosse ancora spossato ed indebolito dagli ultimi avvenimenti, era sicura che se la potesse cavare anche da solo.
La stanza venne ben presto riempita dai rumori di una battaglia lunga, dolorosa ed estenuante: i passi che strusciavano sul pavimento ruvido, i lamenti, le ossa rompersi, i respiri che si facevano via via più affannati e – non meno – i tonfi dei corpi che cadevano a terra privi di vita.
Desmond si ritrovò a fronteggiare due degli agenti: i suoi riflessi, seppur ancora intorpiditi, furono abbastanza pronti – come quelli della mora – per afferrare uno dei due nemici e ritorcergli il braccio, ritrovandosi subito alle sue spalle.
L’altro Templare, nell’intento di sparare all’Assassino, colpì il collega con il quale il giovane americano si fece scudo.
Non appena il ragazzo sentì il corpo dell’uomo afflosciarsi tra le sue braccia lo spinse contrò l’altro soldato di fronte a lui: quest’ultimo, non aspettandoselo, perse l’equilibrio e cadde a terra. La pistola finì sul pavimento, scivolando lontano, e Desmond approfittò del momento per scagliarsi contro il nemico il quale, però, seppur impossibilitato nei movimenti per via del corpo dell’agente defunto sopra di lui, fu abbastanza veloce da tirare fuori il manganello con una mano.
L’Assassino gli afferrò il polso, bloccandolo, mentre nella sua mente riaffiorava il ricordo delle forti scariche elettriche che aveva dovuto sorbire quando era loro prigioniero: decisamente non ci teneva a riviverle!
Il Templare aprì il pugno, lasciando scivolare il manganello ed afferrandolo poi con l’altra mano. Tentò di colpire Desmond ma quest’ultimo riuscì a fermargli anche l’altro polso.
I due si guardarono in cagnesco per alcuni brevi istanti che sembrarono interminabili mentre la situazione era in completo stallo. Quando l’Assassino notò il fulmine che illuminò lo sguardo nel nemico, comprese che avrebbe dovuto agire – ed alla svelta – o da predatore sarebbe diventato una preda.
Così il giovane non ci pensò due volte e – alzandosi appena ma trattenendogli comunque i polsi – gli sferrò una violenta ginocchiata in faccia e poi un’altra ancora. Poté sentire il viso dell’uomo ammaccarsi sotto le sue percosse e questi lamentarsi fin quando – continuando a colpirlo – non sentì più nulla. Non gli piaceva uccidere le persone in modo così brutale e sanguinario, ma non aveva avuto scelta.
La cucina sembrò calare in un silenzio tetro, cupo e profondo tutto d’un tratto. Li avevano già messi tutti al tappeto? Si era estraniato così tanto durante la lotta, concentrato su ciò che stava facendo, che non si era accorto di ciò che gli stava accadendo intorno. Venne riportato con i piedi per terra solo qualche attimo dopo quando – ancora sul corpo del Templare – sentì dei singhiozzi, il pianto di Rebecca.
Sentì il sangue gelarsi nelle vene ed ebbe quasi paura ad alzare il capo, ma poi lo fece e ciò che si ritrovò di fronte fu terribile: oltre ad alcuni corpi di agenti templari, dal lato opposto al quale si ritrovava lui, notò Shaun privo di sensi a terra, tra le braccia di Rebecca inginocchiata accanto a lui. Solo poco più in là giaceva anche il corpo di Alice.
“No..” Sussurrò appena. Nemmeno si rese conto di quel lieve sussurro che gli sfuggì dalle labbra.
Si alzò e faticò a mandare giù la saliva. Si avvicinò e – una volta che fu lì accanto – notò gli occhi dell’inglese spalancati mentre un rivolo di sangue scivolava giù dal suo orecchio ed un altro dal naso. Non respirava.
Rebecca teneva il capo chino, i capelli scuri le coprivano il volto mentre il suo corpo veniva percosso dai singhiozzi.
“.. Shaun..” Mormorò il ragazzo. Gli sembrò come se il tempo si fosse fermato, come se tutto ciò non fosse reale… Non poteva essere reale!
“Dannazione!” Sbraitò.
A quel punto la ragazza alzò il capo e puntò gli occhi, carichi di odio e risentimento, in quelli di lui.
“.. Ti stupisce..? Ti stupisce tutto questo, eh, Desmond?!” Gli domandò con la voce interrotta dal pianto.
“Rebecca.. Io..” Non seppe che cosa dire. Perché gli si era rivolta in modo così ostile? Lui.. Non era colpa sua!
“E’ colpa tua Desmond! E’ COLPA TUA! Sei sempre tu! Accade tutto sempre a causa tua! Perché sei tornato? Perché non sei morto in quel cazzo di tempio?!” Cominciò a gridargli contro, lasciando il corpo di Shaun sul pavimento ed alzandosi, poggiandogli le mani sul petto e spingendolo.
Il ragazzo indietreggiò appena a causa della spinta, ritrovandosi contro il tavolo di legno al centro della stanza. Rimase ad osservarla con un’espressione smarrita, le labbra schiuse ed incapace di dire qualsiasi cosa. I Templari erano lì per lui.. Era colpa sua se Shaun era morto? Forse non era stato abbastanza attento, abbastanza scaltro, abbastanza sveglio..
“Vattene Desmond..! Vattene! Tutti quelli che sono intorno a te muoiono! Tutti! Hai fatto abbastanza, vattene via!” Continuò a gridargli contro Rebecca, prima di portarsi le mani di fronte al viso e lasciandosi andare ad un pianto violento e disperato.
Lui rimase ad osservarla per qualche istante: era stato incapace di proteggerli, di salvare Shaun. Aveva fatto del male a Lucy a Roma e non era stato in grado di portarla in salvo quando lei li aveva fatti fuggire dall’Abstergo il giorno prima.. Forse aveva ragione lei.
“Io.. Rebecca..” Allungò appena una mano verso la spalla dell’amica, sfiorandola, ma questa si liberò da essa ancor prima che potesse toccarla, dandogli le spalle.
“V-vattene Desmond.. Ti prego.. V-vattene.. E non tornare..” Sussurrò.
La mano di Desmond rimase sospesa a mezz’aria mentre il senso di colpa si abbatteva su di lui come un fiume in piena. Il suo cuore sembrava scoppiare ma non di felicità, bensì di tristezza, di rabbia, di sconforto, di angoscia ed amarezza.
Ritirò la mano ed annuì appena, seppur lei non poté vederlo. Il suo sguardo – prima acceso dal fuoco della battaglia – si era spento, era diventato cupo, triste.
“Va.. Va bene.. Io.. Mi dispiace..” Sussurrò. Fu tutto ciò che riuscì a dire. Non ebbe nemmeno il coraggio di guardare il corpo privo di vita di Shaun – o di Alice – prima di uscire dalla porta della cucina che dava sull’esterno, lì da dove erano entrati i Templari.
Forse Rebecca aveva bisogno di un po’ di tempo? O forse avrebbe fatto realmente meglio a sparire? La terra l’aveva salvata, chi aveva più bisogno di lui ormai, se non i Templari?
Non appena mise piede all’esterno sentì l’aria gelida sferzargli il viso, aveva solo la felpa e fuori faceva davvero freddo.. Ma non gli importava nulla.
Mosse solo qualche passo verso l’angolo del casale quando notò un altro corpo privo di vita di un agente Abstergo. In quel momento gli si aguzzarono tutti i sensi ed il dubbio e l’angoscia lo colpirono come una scarica elettrica fino al cervello.
Con uno scatto cominciò a correre verso la parte anteriore del casale e – non appena superò l’angolo e l’ampia e buia distesa gli si mostrò davanti – notò decine di corpi sparsi per l’erba alta e bruciata dal gelo.
Sentì il cuore schizzargli in gola, l’agitazione crescere a dismisura. No, non era possibile! Si stava sbagliando!
“Papà?!” Lo richiamò a gran voce, guardandosi intorno.
“PAPA’?!” Tentò ancora, sentendo la sua stessa voce quasi strozzata in gola, disperata, poi cominciò a spostarsi da un corpo all’altro, fin quando il cuore non gli si fermò nel petto: William era lì, steso per terra, con due buchi sul petto ed uno nello stomaco.
“Papà!!!” Lo raggiunse a grandi passi. Si inginocchiò a terra e lo prese tra le braccia, scuotendolo leggermente.
L’uomo respirava appena, debolmente.
“P-papà.. Ti prego.. Anche tu, no..” Sussurrò Desmond, stringendolo. Sentì gli occhi bruciargli ed un istante dopo gli si appannò la vista.
“.. D-Desmond..” William tossì. Sangue.
“O-ora ti.. Ti porto in città.. In ospedale..! Andrà.. Andrà tutto bene..!” Gli disse allora il ragazzo, tentando un tono convincente, ma le lacrime e la sua espressione lo tradirono.
Il mentore afferrò flebilmente il suo braccio. “N-no..” Biascicò. “.. C-credo che.. F-fossi già morto ma.. La tua voce… D-Desmond io..”
“P-papà ti.. Ti prego, no..!” Sentì le lacrime scorrere copiose lungo le sue goti e poi giù per le guance.
“.. I-io.. S-sii.. Forte e.. R-ricorda ciò p-per cui noi… C-combattiamo.. Io.. S-sarò con te..” Disse in un sussurro, con le sue ultime forze, prima che la stretta della sua mano attorno al braccio del ragazzo non si fece più fievole, fino a lasciarlo.
“P-papà.. N-non lasciarmi.. Ti prego.. Io ho.. Ho bisogno di te.. Non sono pronto a questo.. Papà..? Papà..?!”
Desmond un attimo dopo notò che William aveva smesso di respirare. Era morto.. E con lui probabilmente lo era anche una parte del giovane ragazzo.
Sentì i suoi stessi violenti singhiozzi scuoterlo, le lacrime che non volevano accennare a smettere di fermarsi.
“Perché…? Perché?!” Alzò la voce, collerico, stringendo i pugni. Perché avevano dovuto portarglielo via proprio in quel momento in cui le cose sembravano stessero pian piano cominciando a sistemarsi? Perché tutte le persone che aveva attorno erano destinate a morire?
“Perché non te la prendi con me, eh?! Perché?!” Gridò alzando il capo verso il cielo, stringendo i pugni tanto da farsi male.
Nessuna risposta, ovviamente. Era chiaro..
Sentì quasi le forze venirgli a mancare, si sentì svuotato di tutto, di qualsiasi cosa, di ogni emozione positiva. Tutto lasciava spazio ad una grande tristezza, un’enorme desolazione.
Abbassò nuovamente il capo, poggiò le braccia sul petto del padre e la fronte su di esse. Sentì l’odore pungente del sangue.. E della sconfitta.
Rimase lì fermo assieme a lui per un tempo indefinito, solo dopo sentì dei passi avvicinarsi. Pensò che probabilmente si trattasse di Rebecca ma.. Dovette subito ricredersi.
Il rumore di una pistola carica contro la sua testa, la sensazione della canna fredda poggiata contro la sua nuca.
“Mi dispiace Desmond.. E’ meglio che tu venga assieme a noi, senza fare storie.”
La voce di Lucy.. E la sensazione di essere stato preso in giro ancora un’altra volta.

 

_________________________________________
Angolo Autrice:

Ok. Di solito non vedo l'ora di postare per sentire le vostre opinioni e leggere le vostre recensioni.
Devo ammetterlo: questa volta ho realmente paura!
Insultatemi, sì, me lo merito.
Ma a tutto c'è un perché u___u e lo capirete nel prossimo capitolo!
So che questo non vi rincuorerà molto, ma ci tenevo a dirvelo x°D
Sono crudele, mooooolto crudele! I know ._.''
E... Non so che altro dire se non che mi aspetto una valanga di insulti u.u''
Ah e buon anno a tutti! E visto che ci siamo buona befana! x°D
Ringrazio come al solito nel mio piccolo spazio SlytherinSoul, maria 98 e Lightning00 per la recensione all'ultimo capitolo. Voi siete autorizzati ad insultarmi!
Bwhuahuahuahuah x°D

Che dire... Al prossimo capitolo! <3
Baci e bacini a tutti voi!


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(Rubata alla car'amica Cartacciabianca, spero non me ne vorrei! La adoro!)
Detto ciò: 3... 2... 1... Fatevi sentire! ;P

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Capitolo 14
*** Wake up, Desmond! ***


14. Wake up, Desmond!

 

 

Desmond si svegliò di soprassalto: scattò seduto sul letto e sentì il cuore battere talmente forte che sembrava volergli schizzare fuori dal petto.
Aveva la fronte imperlata di sudore ed il respiro accelerato. Si guardò intorno agitato, riscoprendosi nella stanza del casale, al buio.
Si portò una mano al viso, sulla fronte, asciugandosi, mentre la consapevolezza che ciò che era accaduto fosse solo un brutto sogno cominciò a rassicurarlo.
“Oddio.. Cazzo..” Sussurrò appena, tra sé, a bassa voce. Era sembrato così reale.. Così fottutamente vero.
Prese un profondo respiro, cercando di regolarizzarlo e sperando che il suo cuore smettesse di martellargli il petto a breve.
Si lasciò ricadere all’indietro con il capo sul morbido cuscino mentre osservò il soffitto buio della stanza, rischiarata lievemente solo dai raggi lunari che entravano dalla serranda, quasi completamente abbassata. Allargò le braccia sul letto mentre sentì la tensione accumulata durante il sonno lentamente scaricarsi.
Solo un attimo dopo scattò nuovamente seduto sul letto e – ancor più velocemente – si alzò. Si passò le mani sul viso e raggiunse la sedia dalla quale raccattò la maglietta, infilandosela velocemente, dopodiché scese velocemente al piano di sotto.
Shaun era in sala assieme a Demetrio, Rebecca e William. Stavano chiacchierando tra di loro in attesa della cena, stuzzicando qualcosa.
L’inglese sorseggiò dalla tazza quel tè che nulla aveva a che vedere con quello inglese.
“Credo sia un suicidio tornare all’Abstergo per prendere la Mela.” Mormorò Rebecca.
“Ma non possiamo neppure lasciarla nelle mani dei templari.” Disse di tutta risposta Demetrio.
William era lì in silenzio ad ascoltarli, a braccia conserte, non fece nemmeno in tempo a rispondere che notò Desmond fare capolino dall’arco principale. Fu felice di rivederlo, ma subito notò la sua espressione scossa e sconvolta, smarrita, quasi spaventata.
“Papà..” Disse il ragazzo, entrando nella sala. Subito dopo tutti quanti volsero il capo per guardarlo e notarono a loro volta il suo aspetto così sbattuto.
Dalla parte sua Desmond, invece, notò quella situazione così familiare, proprio così come l’aveva vissuta nel sogno. Shaun, Rebecca, William e quel ragazzo sconosciuto dalle fattezze italiane, tutti ad aspettare che si svegliasse.
Il mentore si alzò ed un lampo di terrore percorse il volto del giovane.
“N-no papà, dove vai?!” Gli uscì in un mormorio, quasi piagnucolando.
William alzò appena le sopracciglia, non capendo quel comportamento. Si avvicinò al ragazzo.
“Ehi, Desmond.. Calmati, che ti succede? Non vado da nessuna parte.” Gli sorrise. Doveva essere parecchio scosso dagli ultimi avvenimenti. Gli poggiò una mano sulla spalla, stringendola, l’altra si posò sul petto.
“Stai bene..?” Gli chiese. “Hai dormito per più di ventiquattro ore.. Cominciavo a preoccuparmi.”
“Sì..” Mormorò appena, poco convinto. “Credo.. Credo di sì. Ho fatto solo un brutto sogno..” Commentò abbassando lo sguardo, il quale riportò solo un istante dopo sul padre.
“Ma.. Siamo al sicuro qui?” Domandò.
Rebecca sorrise, a quel punto si alzò anche lei e gli diede una pacca sulla spalla.
“Non so cosa tu abbia sognato Des, ma qui siamo al sicuro, non preoccuparti..”
“Stavamo parlando proprio di te.. E della Mela.” S’intromise a quel punto Demetrio, ancora seduto.
Gli occhi di Desmond si spostarono sull’italiano, così come quelli del Mentore che lo fulminò con uno sguardo.
“Non è questo il momento Demetrio.” Lo ammonì.
Il ragazzo alzò appena le sopracciglia ed alzò le mani, in segno di resa. “Scusate, scusate..” Bofonchiò.
Un lieve sorrisetto si dipinse sul volto di Shaun che lo nascose dietro la tazza di tè, sorseggiandone un po’ ancora.
“Non lo vedi? Ha bisogno di tempo, è sconvolto.” Continuò allora William.
“Scusate!” Ripeté Demetrio, “Non volevo mettere fretta a nessuno..!”
“Papà.. Sto bene. Tranquillo.” Si mise in mezzo Desmond.
Will sospirò, tornando a guardarlo. “Andiamo a prendere una boccata d’aria prima di cena, ti va? Ti farà bene.”
Il ragazzo annuì, così i due uscirono dalla sala.
Rebecca si avvicinò nuovamente al tavolo, rimanendo in piedi lì accanto ed appoggiando entrambe le mani sullo schienale della sedia sulla quale sedeva poco prima.
“Qualcuno ha fatto incazzare William..” Borbottò l’inglese con un velo di sarcasmo, nascondendo ancora la bocca dietro la tazza, sorseggiando un altro po’ di tè.
“Shaun..” Lo ammonì Rebecca.
“Che c’è?” Domandò il rosso indispettito, poggiando la tazza.
“C’è che dovresti smetterla di fare lo stronzetto.” Rispose a quel punto Demetrio.
“Eh? Oh, questa è bella..!” Shaun si mise seduto più composto, guardando male l’italiano. “Sennò che cosa fai?”
“Che cosa faccio? Ti faccio passare la voglia di fare lo spiritoso. E’ da quando sei arrivato qui che ti comporti come ti pare, fai il supponente, il superiore.. Ma chi ti credi di essere?!”
“Wooh, ragazzi! Calmatevi!” S’intromise Rebecca, guardando prima uno e poi l’altro.
“.. Tsk. Volevo solo sottolineare che non sono l’unico cinico qui, non sono mica io che.. Ahhh, vabbè! Lasciamo perdere!” Borbottò Shaun.
“Seh, lasciamo perdere.” Demetrio si alzò, prima di avviarsi all’arco principale e lasciare la sala a sua volta.
“Ma si può sapere che ti prende? Che cosa ti dice quel cervello inglese?” Lo riprese la mora.
“Cosa c’è? Che cos’ho fatto io? E’ lui che è partito in quinta a fare il gradasso!” Si lamentò Shaun.
“Sei proprio un’idiota..!” Disse la ragazza prima di lasciare anche lei la sala, lasciando l’inglese da solo.
“.. Ma qui sono tutti matti!”

William uscì fuori assieme a Desmond dopo averlo fatto coprire bene: faceva davvero un gran freddo fuori.
“Allora, come stai?” Domandò William al figlio, raggiungendo la staccionata che girava tutt’intorno al casale. Vi si appoggiò.
Desmond si strinse nelle spalle. “Adesso bene. Sono.. Finalmente libero. Chissà per quanto.. Ma vi ringrazio per avermi tirato fuori di lì, probabilmente non sarei riuscito ad uscirne da solo.. Non vivo, per lo meno.”
“Sei mio figlio Desmond, cosa ti aspettavi? Che ti avrei lasciato lì a marcire?”
Il ragazzo scosse il capo. “No.. Ma siamo stati fortunati.”
“Intendi.. Lucy? Non possiamo fidarci di lei, lo sai.”
In quell’istante nella mente del ragazzo riaffiorò il ricordo del sogno, della fine del sogno: la pistola puntata contro il capo e la voce piatta di Lucy.
“Forse no. Ma ci ha aiutati a fuggire.. E mi ha fatto evadere lei dalla stanza dove mi tenevano.” Gli confessò.
“Dici sul serio?”
“Mh-mh.” Annuì.
“E quindi? Cos’hai intenzione di fare..?”
Desmond si strinse nelle spalle, evitando il suo sguardo. “Dovremmo pur tornare a prendere la Mela, no? Voglio solo assicurarmi che stia bene o.. Non so.”
“Ehi, non preoccuparti. Non pensarci adesso, d’accordo?” Gli poggiò una mano sulla spalla. “Abbiamo un piano B, ma tu ora pensa a rimetterti.. Piuttosto, come sta la tua mano?” Chiese scendendo con le dita fino all’avambraccio, costringendo a togliere la mano dalla tasca. Aveva ancora la fasciatura che le aveva fatto Lucy.
“Non ne ho ancora la sensibilità e forse.. Forse non l’avrò mai più. A meno che la Mela non possa aiutare anche in questo.”
William sospirò sonoramente. “Desmond mi dispiace.. Faremo in modo di non metterti in pericolo o di farti lottare.”
“Ma che stai dicendo?” Domandò il ragazzo, guardandolo con un sorriso. “Non mi fermerà una mano fuori uso! Altair usava una sola lama celata anziché due come Ezio. Perché io dovrei essere da meno e non riuscire a combattere al cinquanta per cento delle mie possibilità?”
Will sorrise. Quel ragazzo era una fonte di idee e di energia non indifferente.
“William, puoi venire un attimo? Ci sono novità!” Si sentì la voce di Giovanni, il quale fece capolino dalla porta principale.
L’uomo guardò il ragazzo ed annuì. “Arrivo!”
“Novità su che cosa..?” Domandò Desmond.
“Ne parleremo dopo figliolo. Rientra dentro che tra poco è pronta la cena.. E fuori fa freddo.” Disse prima di avviarsi all’interno del casale.
L’americano si voltò nuovamente verso la vasta distesa di erba ed osservò la città lontana. Si piegò appena in avanti ed appoggiò le mani sulla staccionata. Inevitabilmente il suo sguardo scese sulla mano fasciata e priva di sensibilità. Sospirò pesantemente chiedendosi se l'avrebbe mai riacquistata.
“Ti fa male?” Sentì una voce alle sue spalle.
Dal momento che Des non aveva sentito nessuno avvicinarsi, si voltò di scatto.
“.. Oh no. Starai scherzando?!” Si lamentò il giovane quando nel voltarsi si ritrovò di fronte la figura di Ezio. Sembrava così.. Reale.
“Perché continuate a tormentarmi? Non sei realmente qui! Vattene via!” Disse contrariato.
“Se non siamo realmente qui, perché ci rivolgi la parola? Sembrerai un folle.” Rispose l’arabo, giungendo qualche istante dopo e posizionandosi accanto all’italiano. Teneva le braccia incrociate al petto, con il cappuccio calato sul volto.
Desmond indietreggiò di qualche passo, finendo contro alla staccionata. Si poggiò una mano sul viso e si stropicciò gli occhi.
“Ora conto fino a tre, apro gli occhi e.. Non ci sono più. Non ci sono più..” Si ripeté. “Uno.. Due.. Tre.” Riaprì gli occhi e guardò di fronte a sé: ora invece di due erano persino tre! Si era aggiunto anche Connor! E lo stavano osservando alquanto sconcertati, come se fosse realmente matto.
“Oh, avanti, ragazzi! Non potete tornarvene nella parte più nascosta e remota del mio cervello?!”
“Non siamo mica noi il problema!” Sottolineò Connor.
Desmond sospirò frustrato.
“Dovresti portarci un po’ di rispetto Novellino!” Lo riprese Altair, sembrò scocciato. “E’ solo grazie a noi se sei uscito dall’Abstergo. Dovresti mostrarci un po’ di riconoscenza.”
“Grazie a voi? Ma che stai dicendo? Voi mi state portando alla follia! Ecco cosa state facendo! Dovrei ringraziarvi per questo? Non so neppure perché vi sto parlando!” Disse incrociando le braccia al petto.
L’italiano sospirò e scosse il capo. “Siamo stati noi ad incitarti a combattere, a tirarti su, a non lasciarti andare mentre eri dentro a quella macchina infernale.” Gli spiegò.
“Che poi.. Ai nostri tempi tutta quella tecnologia non c’era, vi immaginate?” Commentò Connor.
“Parli tu.. Pensa ad Altair.” Lo corresse Ezio, ridacchiando.
Altair lanciò un’occhiata ammonitrice ad entrambi, dopodiché si avvicinò a Des. Quest’ultimo tentò di indietreggiare ulteriormente, ma non vi riuscì per via della staccionata, così si limitò a sporgersi indietro.
“Se noi non ci fossimo stati, dentro la tua testolina..” Cominciò l’arabo. Alzò una mano e gli picchiò con l’indice sul centro della fronte. “Chi ti avrebbe fatto rialzare?”
“Ahia!” Si lamentò Desmond, portandosi la mano alla fronte. Possibile che lo avesse sentito?
“Che donnicciola!” Bofonchiò Ezio.
Desmond rimase a guardarli attonito: ora chiacchieravano ed interagivano tra di loro, si prendevano in giro e scherzavano.. Ma era mai possibile? Due erano le possibilità: o stava ancora sognando oppure stava seriamente perdendo la ragione.
La mano sulla fronte scivolò pianto di fronte agli occhi. L’ultima cosa che l’americano vide fu lo sguardo di Altair che sembrava trapassarlo. Prese un profondo respiro, mentre sentiva di sottofondo Connor ed Ezio parlare, forse punzecchiarsi, ma cercò di non prestare troppa attenzione e di concentrarsi solo su sé stesso, sul farli sparire. Avrebbe contato fino a dieci, avrebbe respirato a fondo e loro sarebbero scomparsi.
“Uno.. Due.. Tre… Quattro… Cinque..”
“Ehi..?”
“Sei.. Sette.. Otto..”
“C’è nessuno..? Desmond?”
“Nove.. Dieci..!” Scostò la mano da davanti al viso e riaprì gli occhi: si ritrovò Shaun ad un palmo dal naso, sussultò.
“Ah, ma mi senti? Ma che stai facendo? Giochi a nascondino con le lepri?” Domandò il Rosso, guardandolo sconcertato.
Il ragazzo si sentì avvampare per l’imbarazzo. Si schiarì la voce. “No ehm.. Stavo.. Sai, esercizi di autocontrollo..!”
Shaun rimase ad osservarlo con un sopracciglio alzato per qualche istante, in silenzio, poi sospirò sonoramente e scosse il capo.
“E’ pronta la cena.” Annunciò. “Andiamo..!” E si avviò.
Desmond sospirò, dopodiché si avviò anche lui. Quando si ritrovò a metà tra la staccionata ed il casale si fermò e si voltò: non c’era più nessuno.
“Desmond! Le lepri sono in letargo! Non le troverai mai! Muoviti!” Gli arrivò la voce scocciata di Shaun che lo fece tornare con i piedi per terra.
“Arrivo!!” Rispose voltandosi e allungando il passo, raggiungendo il compagno.






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Angolo Autrice:

http://m2.paperblog.com/i/88/882671/come-inserire-le-trollface-nella-chat-di-face-L--O18ja.jpeg

Mwhuahuahuahuahauhauhauhauahuhauha.
Ok. Basta.
Paura, ehhhh?!?! U___U
Ehhh, sì, lo so! Sono cattiva!
CATTIVISSIMA!
Mwhahuahuahauhuhauha!
Ok, potete stare tranquilli! Tutti salvi! Niente morti! Ahahaha!
Beh, direi che non c'è nulla da dire su questo capitolo oltre che Desmond sta perdendo la ragione.. O forse no?
Ad ogni modo, ringraziamenti obbligatori: MaryQueen999, SlytherinSoul eeee... Poi basta? Dimentico qualcuno? Uhmm.. No. No, no! Non mi sembra..
Bwhuahuahuah! Ma nnnnooo! Scherzo!
La mia carissima Lightning00 che mi ha fatto morire con la sua ultima recensione!
Vi avverto: se non dovessi più postare è colpa sua! Sicuramente sarà stata lei o che mi avrà fatto morire con una recensione o con il suo Death Note. Quindi prendetevela con lei u.u
E poi vorrei ringraziare anche, cosa che faccio non sempre ma ogni tanto mi piace ricordarli, tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite, le ricordate o le seguite.
Grazie a voi: cartacciabianca, IleWriters, Kiaretta_Kudo, ladyjessy, Lightning00, MaryQueen999, MustaineWife_MegadethLife, SlytherinSoul, xXEliniferXx, playstation, GreenPhoenix, Hamber of the Elves, La Strega di Ilse, Naruto92 ed ultimo (ma non per importanza!) ofelia!
Ecco qua, anche i ringraziamenti fatti.. Non sapete quanto mi fa piacere <3
Eee.. Niente, tutto qui! Come al solito a voi la parola e son curiosa :3 
Da domani inizierò un nuovo corso per lavoro che durerà fino a Venerdì, il prossimo capitolo è già a metà e spero di riuscire a postarlo in tempo.. In caso contrario saranno solo un paio di giorni di ritardo!
Alla prossima e.. Buona serata! <3 



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Capitolo 15
*** Happy New Year! ***


15. Happy New Year!

 

Era il 31 Dicembre 2012.
Chi avrebbe mai creduto che la terra sarebbe arrivata integra fino a quel giorno? Gli Assassini di certo no.
Nel casale si respirava un’aria più allegra, non di festa, ma decisamente più leggera.
Era vero, c’era ben poco da festeggiare: i guai non erano finiti, i Templari non erano sconfitti e – soprattutto – avevano ancora la Mela… E non da meno la scomparsa prematura del povero Giuseppe, caduto in battaglia all’Abstergo. Tutto ciò faceva si che gli Assassini non potessero godersi quell’ultimo giorno dell’anno a pieno, ma almeno tentarono.
Alice era quella rimasta probabilmente più colpita per la morte del povero Giuseppe, difatti gli ultimi giorni era stata molto silenziosa e sulle sue: teneva particolarmente a quel ragazzo. Rebecca aveva provato a starle accanto, così come Giovanni, il quale aveva visto uno dei suoi migliori amici morirgli di fronte gli occhi.
Tuttavia quella sera, seppur tutte quelle preoccupazioni e ‘piccole’ cose che non tornavano, decisero di festeggiare a modo loro. Certo, la parola ‘festeggiare’ era un po’ grande ed esagerata, ma avevano organizzato una tranquilla cena, tutti loro assieme, tra chiacchiere, cibo e risate, in attesa del nuovo anno.
Fu dopo cena che gli Assassini si dispersero: chi a sistemare la sala, chi in cucina, chi a chiacchierare.
Desmond raggiunse l’esterno del casale, il grande terreno circostante. Infilò le mani nelle tasche del giaccone ed osservò la nuvoletta densa di vapore uscire dalle sue labbra.
Il ragazzo si strinse di più nel giubbotto, osservando poi la distesa buia di terreno, illuminata solo per una porzione dalla luce che proveniva dall’interno del casale alle sue spalle, e poi ancora le luci lontane lontane della città, di Milano.
Desmond mosse qualche passo per raggiungere la staccionata, dopodiché si sedette su di essa, mentre il suo sguardo si perse lontano.
Si sentiva sicuro, si sentiva a casa. Si sentiva protetto e doveva ammettere che adorava quella sensazione: quasi gli sembrava di poter lasciare scorrere ogni pensiero, ogni preoccupazione.. Ma – tuttavia – sapeva che era solo una sensazione apparente, non del tutto reale, una mera illusione: i guai non erano finiti, l’Abstergo probabilmente ancora gli dava la caccia e non era al sicuro da nessuna parte, non a lungo almeno.
Nonostante ciò era contento di non essere morto dentro a quel tempio. Chissà se l’Abstergo non fosse arrivata a prelevarlo.. Sarebbe stato ancora vivo a quell’ora? Forse un qualcosa glielo ‘doveva’.. E qualcosa doveva sicuramente anche a Lucy, colei che l’aveva aiutato a fuggire e che aveva messo a repentaglio la sua stessa vita per far si che potesse scappare. Chissà come se la stava passando. Chissà se era ancora viva. Chissà che fine le aveva fatto fare Berg. Un po’ se ne sentiva colpevole: avrebbero dovuta portarla assieme a loro. Ma nessuno si fidava più di lei, seppur li avesse aiutati. Nessuno tranne lui.
Inspirò a fondo e riempì i polmoni di aria gelida. Alzò il capo ed osservò la volta celeste, quel blu infinito e così profondo, ornato da tante piccole stelle luminose. Fu talmente preso dai suoi pensieri che non si accorse neppure che la mezzanotte stava quasi per scoccare.
Solo qualche istante dopo William sopraggiunse alle sue spalle, passandogli di fianco e fermandosi quasi di fronte a lui.
Desmond abbassò il naso – all’insù – e lo osservò, notando poi che teneva in mano due calici di spumante dal gambo lungo, sottile e la forma allungata.
“Prendi..” Lo incoraggiò il padre, porgendogliene uno.
Il ragazzo alzò appena le sopracciglia, tirando poi fuori la mano sinistra dalla tasca del giaccone ed afferrando il piccolo e fragile calice.
“Mio padre non dovrebbe in teoria tenermi lontano da questi vizi?” Gli domandò ironico.
William rise appena. “E’ un’occasione speciale Des.. E non provare a fare il secondo giro o ti spezzo le gambe.”
Il ragazzo si lasciò andare ad una flebile e sincera risata, cogliendo l’ironia nelle parole del padre. Gli sembrava come se le cose tra di loro si fossero un pochino sistemate, come un’enorme puzzle che pian piano cominciava a prendere forma, e ne era estremamente contento.
“Cosa c’è?” Chiese Will, notando che Desmond lo osservava con un lieve sorrisetto stampato sul volto, immerso nei suoi pensieri.
L’Americano abbassò appena il capo, poi lo sguardo, mentre il suo sorriso si fece più marcato ed imbarazzato.
“Niente è che…” Rialzò piano gli occhi sul padre. “.. Sono felice di essere qui.” Confessò.
In quel freddo notturno, quelle parole, scaldarono William tanto da far sciogliere il suo cuore come neve al sole.
“Anche io sono felice che tu sia qui.. Insieme a me.”  Precisò lui.
Solo un istante dopo si sentirono da lontano i fuochi d’artificio iniziare a scoppiare, lo spettacolo di centinaia di fuochi salire in cielo ed esplodere in tutte le loro luci intense, vive e brillanti, illuminare tutto e dipingere il blu profondo della notte con i loro mille colori.
“Auguri Desmond.” Disse William porgendo il calice verso il ragazzo.
“Auguri Papà.” Rispose lui, allungando il braccio finché i loro calici non si scontrarono dolcemente, risuonando con un lieve tintinnio.
Entrambi si portarono il bicchiere alle labbra, sorseggiando quel liquido dolce, aromato e frizzantino con migliaia di piccole bollicine che andavano a solleticare il palato e scendevano giù lungo la gola.
William volse lo sguardo verso il casale, notando anche gli altri Assassini di fuori, più lontani, sotto il piccolo portico ad osservare i fuochi d’artificio. Porse appena il calice verso di loro in un silenzioso e sincero augurio. Si sarebbe perso dopo in parole, in quel momento voleva solo passare qualche istante tranquillo con suo figlio, tant’è che diede nuovamente le spalle agli altri e si appoggiò contro la staccionata, accanto al ragazzo, a godersi quello spettacolo fatto di luci e colori.
Rimasero entrambi in silenzio, con il viso rivolto verso quello spettacolo che offriva il Capodanno, ad ammirarlo in silenzio e da lontano. Sembrava quasi non vi fosse bisogno di alcuna parola, stavano bene in silenzio e tutto il resto era superfluo.. Tuttavia William volse il capo verso il ragazzo e lo scrutò qualche istante osservare la città lontana. Il silenzio era prezioso, era oro, soprattutto in quei momenti, ma voleva che fosse veramente chiaro per Desmond quanto fosse fiero di lui.
“Sei stato.. Coraggioso, figliolo.” Disse con voce bassa.
Il ragazzo cominciò a girarsi piano il calice tra le mani, poi lo guardò. “Nulla che non avresti fatto anche tu.” Si limitò a dire mentre le sue labbra si incurvarono in un sorriso.
“Sì ma.. E’ diverso. Io so bene qual è il mio ruolo, l’ho sempre saputo, tu no. Io sono pronto a sacrificarmi per la Confraternita, lo sono sempre stato.. Per l’umanità. Ho anche una certa età e la mia vita, bene o male, l’ho vissuta. Ho visto molte cose, molti posti.. Ma tu sei solo un ragazzo, con tutta una vita davanti.”
“Papà.. Questa è la mia vita. Ed era la cosa giusta da fare. E’ per questo che facciamo ciò che facciamo, no? Perché è giusto.. Lo facciamo per un bene comune e superiore, non per un semplice tornaconto. A volte è vero, il sacrificio di uno è necessario per la vita di molti. Quando lo sentivo dire prima mi sembrava una idiozia, lo devo ammettere. Ma quando mi sono ritrovato lì..” Il ragazzo interruppe il contatto visivo, i suoi occhi spaziarono sull’ampia distesa di erba gelata dal freddo invernale. “Lì.. Di fronte al piedistallo.. Ho capito. Dipendeva tutto da me: la vita dei miei amici, delle persone che amavo, ma anche di persone sconosciute e a loro volta di persone da loro amate. Andava fatto.”
William per poco non si commosse nel sentire quelle parole. Quello era il suo ragazzo, anni fa così piccolo, ora un ometto così saggio, responsabile, con la testa sulle spalle.
“Mi dispiace di non essere rimasto lì assieme a te, Desmond.”
Il ragazzo scosse il capo e tornò a guardarlo con un sorriso. “Non devi dispiacerti, non devi scusarti.. Né sentirti in colpa. Saresti stato in pericolo probabilmente ed io ho fatto ciò che ho fatto proprio per poter salvare anche te, avresti reso vane le mie gesta.” Gli spiegò tranquillamente e senza un minimo di rancore o risentimento nei suoi confronti.
L’uomo sorrise, allungò un braccio con il quale cinse le spalle del ragazzo, stringendolo. “Ti voglio bene Desmond.”
Quelle parole lo colpirono dritto al cuore, il quale sentì quasi esplodere di felicità: da quando si erano ritrovati non v’erano mai stati reali momenti ‘padre e figlio’, solo tante liti, corse, parole non dette..
“Anche io, Papà.”

Anche gli altri assassini stavano osservando lo spettacolo dei fuochi d’artificio, lontani, in città.
Shaun notò che Rebecca, per avere una migliore visuale, era salita sul tetto, così come anche Giovanni ed Alice.
Visto che lui non era così agile decise di salire al piano superiore ed entrare nella stanza la cui finestra dava sul tetto. La aprì e scavalcò il parapetto, in modo da trovarsi sulle tegole.
‘Ecco. Se scivolo giù sono morto.. Beh oddio, magari morto no, ma una gamba rotta me la ritrovo sicuramente. Con la fortuna che ho, probabilmente, mi si rompono tutte e due.’ Si lamentò tra sé e sé.
Raggiunse Rebecca, seduta un po’ più giù, ed una volta accanto a lei si sedette alla sua sinistra.
La mora volse il capo e lo vide. Sorrise.
“Adoro i fuochi d’artificio.” Commentò quello spettacolo, tornando con il naso all’insù verso il cielo.
L’inglese sospirò per la faticata del concentrarsi a non scivolare, poi annuì.
“Mah, sì.. Ma sono troppo rumorosi.” Borbottò.
“Ti lamenti sempre, non ti sta mai bene niente..!” Rispose Rebecca, ma non in tono polemico, lo disse tranquillamente, con un sorriso sulle labbra.
Il Rosso scosse il capo, limitandosi a guardare il cielo.
“Sono felice che Desmond sia nuovamente con noi.. Almeno oggi. Ha dovuto passare il Natale all’Abstergo, non che avremmo fatto chissà cosa comunque.. Ma non deve essere stato bello. E adesso, la vigilia del nuovo anno, è qui. Con noi. Con suo padre.. E credo che questa sia la cosa più importante. William ha sofferto tanto quando l’avevamo dato per spacciato.” E – nel dire quelle parole – Rebecca abbassò il capo ed osservò i due seduti sulla staccionata a chiacchierare tra di loro.
“Speriamo sia un anno migliore per tutti noi. Ce lo meritiamo.” Disse l’inglese, sistemandosi gli occhiali sul naso.
“Già..” Mormorò Rebecca. Il suo sguardo tornò sul cielo notturno variopinto dai mille colori scintillanti e vibranti. Era uno spettacolo bellissimo e non seppe perché ma dentro di sé, nel petto, sentì come una nuova speranza. Avevano passato un anno assurdo, terribile, e nonostante tutto ce l’avevano fatta: erano lì, ancora, contro l’aspettativa di tutti. Il mondo sarebbe dovuto finire undici giorni prima, ed invece..
Shaun osservò la ragazza assorta nei suoi pensieri. Aveva un viso così tenero: lo sguardo assente, lontano, chissà dove, le labbra schiuse, il naso all’insù verso il cielo, le stelle, l’infinito..
“.. Sei bellissima..” Gli uscì dalle labbra in un sussurro.
Rebecca tornò con i piedi per terra in quel momento. Aveva sentito l’inglese dire qualcosa ma solo un istante dopo realizzò che cosa. Credeva di non aver sentito bene, di aver capito male, frainteso.
Alzò appena le sopracciglia e volse il capo per guardarlo. Gli occhi di Rebecca fecero appena in tempo ad incrociare lo sguardo di Shaun che – quest’ultimo – appoggiò una mano tra loro due, sporgendosi verso di lei, mentre scivolò con l’altra mano sulla sua nuca, le dita tra i capelli, e la attirò leggermente verso di sé, prima di sfiorarle le labbra.
Accadde talmente in fretta che Rebecca non capì bene il tutto, in realtà non capì bene niente dal momento che il cuore le cominciò a martellare nel petto e – solo un istante dopo – si ritrovò le labbra di Shaun sulle sue. Sbarrò gli occhi ed avvampò, scommise di essere diventata rossa come un peperone, ma solo dopo aver percorso tutta la scala dei colori. Raggiunse il braccio dell’inglese e lo strinse appena, ma poi pian piano si abituò a quella sensazione così strana ed inaspettate, dunque allentò la presa e socchiuse gli occhi. Non sapeva bene per quanto lo avesse desiderato.. Certamente aveva sperato in una cosa simile da ormai troppo tempo, ma mai avrebbe pensato che sarebbe accaduto, soprattutto per il carattere dell’inglese, i suoi modi di fare e beh, oltre al ‘punzecchiamento ossessivo compulsivo’ non aveva mai mostrato alcun reale interesse nei suoi confronti.. Ed ora non ci poteva credere.
Dall’altra parte, Shaun, era messo più o meno alla stessa maniera: mai avrebbe creduto di fare una cosa simile, più stupida! Quella ragazza era insopportabile, una testona! Era antipatica, lo punzecchiava sempre, stava sempre contro di lui! Ma era bellissima, nonostante tutto. Bellissima, con un grande cuore, una grande pazienza, era schifosamente adorabile, tanto che gli faceva venire il diabete! E poi… Era perfetta. Perfetta per lui.
La baciò ancora, a lungo, con lenta passione. La sua mano scivolò attorno alla sua vita, avvicinandola tanto da stringerla contro di sé. In quel momento poteva sentire il suo profumo, il suo respiro, quasi il suo cuore battere. Gli sembrava come se fossero una cosa soltanto.
Rebecca portò un braccio attorno al collo dell’inglese, mentre l’altra mano gliela poggiò sul petto, ricambiando i suoi baci.
Desmond, di sotto con William, volse il capo per vedere dove fossero gli altri e – dopo aver notato Ivan, Francesca e Demetrio sotto al portico del casale – notò Giovanni ed Alice sul tetto e solo poco più in là anche Shaun e Rebecca, avviluppati uno all’altro. Sorrise e scosse il capo, schiarendosi la voce.
“Sembra proprio che quest’anno sia iniziato nel migliore dei modi..” Ironizzò, sghignazzando.
“Hm?” William lo guardò con sguardo interrogativo.
Desmond fece un cenno con il capo, così il Mentore portò lo sguardo su di loro.
“Ahh, finalmente! Ce l’hanno fatta!” Esclamò a quel punto, ridacchiando a sua volta.
Il giovane sorrise e scosse appena il capo, poi tornò a guardare le luci di Milano in lontananza e sospirò. Inevitabilmente il suo pensiero volò ad una sola ed unica persona, quella biondina che gli aveva fatto perdere la testa. Lucy.





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Angolo Autrice:

Bonsoirrrr!!!
Non ve lo sareste aspettato, neh?! u.u
Bene.. E' stata una settimana assurdamente tremenda! Un sacco da fare e... Questo fine settimana dovevo andare a Bari per i 18 di una mia amica, tra l'altro (oltre al corso e tutto il resto) ma mi sono ammalata e dunque il fine settimana l'ho passato a casa.
Il capitolo lo avevo già per metà pronto, così ho avuto modo di finirlo ed iniziare già il prossimo (e quello dopo, lol!)
Quindi sono sfinita dal corso ed ancora malaticcia, domani mattina altra alzataccia e si inizia l'affiancamento! >___<
Tengo subito a precisare che ho letto tutte le vostre recensioni e che per stasera giurin giurello e mano sul cuore rispondero a tutti, solo che è stata una settimana di puro delirio ed è già tanto se ho avuto il tempo di finire il cappy!
Sì, è un capitolo molto tranquillo u.u se lo meritano dopotutto, no?
Vi anticipo subito che nel prossimo capitolo si riprende ed arriverà una nuova persona u.u quindi stay tuned! :D
Ringrazio come al solito i miei recensori adoratissimi (<3): Hamber of the Elves, Lightning00, SlytherinSoul e xXx Fremione xXx!
Siete adoVVVabili! <3
Ringrazio tutti quanti gli altri che son passati e che hanno letto :) che hanno ancora la pazienza di seguire i miei deliri!
Eee... Credo sia tutto!
Con i recensori del precedente capitolo ci vediamo stasera con la risposta alle loro rece è.é
(Sembra una minaccia e vi assicuro che LO E'. Auhauhauha, scherzo!)
Un bacione a tutti quanti!
Grazie, grazie, grazie e grazie!

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Capitolo 16
*** La ragazza dai capelli rossi ***


Attenzione!
Ci tengo a precisare solo due cose prima che iniziate a leggere questo capitolo.

1. Lei è la prestafaccia del nuovo personaggio che introdurrò in questo capitolo:
Immagine 1 e Immagine 2
2. Le battute scritte in corsivo sono in lingua italiana, tutti noi sappiamo che i nostri assassini sono per lo più americani, dunque non facciamo mai la distinzione perché tutti i discorsi si svolgono in inglese. Da ora in poi no: quelli in corsivo saranno in lingua italiana fino a nuovo ordine! (poi casomai ve lo ricorderò nei capitoli a seguire!)
Buona lettura! :D








16. La ragazza dai capelli rossi

 

Quella mattina Desmond aveva un cerchio alla testa non indifferente: davvero bel modo per cominciare l’anno! Si limitava a seguire il ragazzo italiano di fronte a lui per le strade milanesi.
Odiava il tempo di Milano: uggioso, nuvole grigie dalle quali non si sapeva mai se dovesse scendere la pioggia o meno. Freddo, gelo, e quelli che sembravano i resti della neve sui lati delle strade. Era stato un Natale piuttosto rigido, a quanto aveva sentito sul notiziario.
Si stringeva nelle braccia e cercava di riscaldarsi un pochino quando aumentò il passo per rimanere al fianco di Demetrio. Una volta raggiunto si infilò le mani nelle tasche.
Non avevano parlato molto dopo essere usciti dalla metropolitana. Beh, in realtà neppure prima di prenderla avevano parlato un granché.
“Insomma… tu e Rebecca…” accennò il giovane americano. Notò una nuvoletta di vapore uscirgli dalle labbra e andarsi a disperdere velocemente.
“Io e Rebecca che cosa?” domandò Demetrio volgendo il capo verso Desmond e sorridendogli.
“Avete avuto una storia.”
“Sì, una volta” rispose l’italiano.
“Non ce ne aveva mai parlato…” commentò. Forse non era stato un commento molto carino. “O meglio, diciamo che nessuno di noi ha mai raccontato agli altri le proprie esperienze sentimentali!” si corresse.
“Non c’è problema Desmond. Seppur non ve ne avesse parlato io so quello che c’è stato tra di noi. E quanto ha contato per entrambi” sorrise.
“Guarda che non avevo intenzione di sminuirti.”
“Sminuirmi? Tranquillo. Dico sul serio, non me la sono mica presa!” rise appena.
Desmond sorrise ed annuì. “Meno male.”
Silenzio. Di nuovo.
Continuarono a camminare per un po’ e Desmond rimase nuovamente di qualche passo indietro, così si sbrigò ad affiancarlo ancora.
“Ma…” si schiarì la voce. “Pensi di farti sotto di nuovo?” domandò. Aveva ben visto la sera prima Rebecca e Shaun baciarsi. Aveva paura che l’italiano potesse intromettersi ora che i due sembravano essersi ‘dichiarati’.
“Desmond… io non credo che queste sono cose di cui tu ti debba preoccupare, sinceramente” disse quest’ultimo, volgendo il capo per guardarlo. “Non voglio essere scortese, bada bene. Ma anche se fosse? In amore ed in guerra non ci sono regole. Se volessi riprendermi Rebecca non vedo che male ci sarebbe se lei fosse della stessa idea. So che ti preoccupi per Shaun… e ad ogni modo sta tranquillo: non ne ho intenzione. Siamo buoni amici ora.”
Desmond annuì. “Certo, certo. Scusami. Non volevo essere invadente” si strinse nelle spalle.
Demetrio si fermò solo un attimo dopo, portandogli una davanti al petto per intimarlo a fermarsi.
“Fermo. Eccola lì” mormorò.
Erano vicini al D’Uomo e – dal marciapiede opposto al loro – una ragazza uscì da un portone. Aveva dei lunghi capelli rossicci e mossi, Desmond non riuscì a vedere bene il suo viso dal momento che non appena uscì svoltò a destra dando le spalle ai due.
“Sì, ok, è lei. Ma io non ho ancora capito… lei chi?” Domandò l’americano.
Demetrio ridacchiò. “Penso che oggi tuo padre ti spiegherà tutto. Io devo raggiungere Rebecca a breve...” si alzò la manica e vide l’ora. “Merda, è tardissimo! Devo andare!”
Desmond sbuffò. “Ma perché io sono sempre all’oscuro di tutto?! Siamo venuti qui solo per vedere una ragazza che se ne va a spasso per Milano? Il primo dell’anno? Non potevate lasciarmi dormire un’ora in più?”
“Chi dorme non piglia pesci Desmond! Ci vediamo stasera!” Gli diede una pacca sulla spalla e si allontanò a passo spedito.
Il ragazzo sospirò frustrato. Si infilò nuovamente le mani in tasca e si guardò intorno. Bene, ed ora lui che faceva? Sarebbe potuto tornare al casale ma… un attimo dopo vide la ragazza svoltare l’angolo e sparire dalla sua visuale. Chissà perché avevano detto a Demetrio di fargliela vedere. Era curioso e così decise di seguirla. Non era una grande idea girare per i grandi centri visto la concentrazione di Templari, ma voleva assolutamente sapere che cosa si nascondesse dietro quella ragazza.
Svoltò l’angolo a sua volta e con una mano si tirò il cappuccio sopra la testa, tentando di nascondersi da occhi indiscreti.
Vide la ragazza continuare a camminare stretta nel suo cappottino color carne, tra le strade dell’affollata Milano. Desmond si chiedeva come mai anche il primo dell’anno quella città brulicasse di persone.
Continuò ad avanzare facendosi spazio tra la folla, mentre pian piano una sensazione di inquietudine cominciò a serpeggiargli nel petto: si sentiva osservato. Brutta storia.
Si guardò intorno con discrezione e in quel momento gli sembrò come se tutti gli occhi dei passanti fossero puntati su di lui. Sentì il cuore cominciare a battere più forte per via dell’agitazione mentre si imponeva mentalmente di mantenere la calma. Diamine, e se fossero i Templari? Non voleva tornare all’Abstergo! Sarebbe dovuto tornare al casale, maledizione!
La testa cominciò a girargli vorticosamente fin quando tutto non divenne offuscato e nero. Una miriade di pensieri si accavallavano l’un l’altro e nel frattempo continuava a sentire le voci dei passanti martellargli i timpani. Aveva un caos enorme nella testa al quale sembrava non riuscire a mettere ordine, tant’è che si portò entrambe le mani al capo, sperando che tutta quella confusione cessasse.
Il tutto venne inghiottito qualche attimo dopo da un profondo silenzio.

“Ehi?” sentì una voce accanto a lui.
“Ehi, si sente bene?” gli domandò ancora la medesima voce, fluida e cristallina, di una ragazza.
Desmond riprese coscienza di sé: aprì piano gli occhi e si riscoprì inginocchiato sul marciapiede, con le mani che stringevano ancora saldamente il cappuccio bianco della felpa. Alzò lentamente il capo notando che v’erano parecchie persone intorno a lui, dei curiosi che si erano fermati quando lo avevano visto accasciarsi al suolo. Da quanto era lì per terra?
Desmond volse piano il capo verso la sua destra, da dove aveva sentito la voce, e sorpreso notò la ragazza dai capelli rossi piegata sulle gambe accanto a lui, che gli teneva una mano sulla spalla. Aveva due occhi grandi, azzurri, del colore del cielo più limpido. La pelle era bianca, diafana, perfetta. Le labbra ben delineate erano colorate di rosso. Santo cielo, gli sembrò una visione!
La ragazza notò lo sguardo smarrito ed insistente del ragazzo su di lei, così tento nuovamente.
“Si sente bene?” domandò ancora, gentile, per l’ennesima volta.
Gli occhi di Desmond si posarono su qualcosa oltre la ragazza: vide due uomini farsi spazio tra la folla, erano loschi e familiari, li ricollegò subito ad una sola cosa. Abstergo.
“Oh merda!” esclamò sentendo i campanelli d’allarme cominciare a suonare. Si alzò in piedi di scatto, tanto da spaventare la ragazza. Quest’ultima non ebbe il tempo di fare nulla che la mano di Desmond raggiunse la sua.
“Andiamo!” disse strattonandola per tirarla su.
La rossa si ritrovò in piedi un attimo dopo, mentre quel giovane strano e bizzarro partì di corsa stringendole la mano e costringendola a seguirlo.
“Ehi! Ehi, lasciami!”
si lamentò lei nella sua lingua madre, in italiano, sotto gli occhi basiti dei passanti che si erano fermati qualche attimo prima, quando Desmond si era sentito male.
L’americano continuò a farsi spazio tra la folla, sentendo l’adrenalina schizzare alle stelle.
“Vuoi lasciarmi?! Guarda che mi metto a gridare!” disse ancora lei, ormai spaventata dalla situazione e da quel ragazzo.
“Vuoi chiudere quella bocca? Conserva il fiato per correre!” le rispose Desmond in inglese, non comprendendo a pieno le parole della ragazza ma intuendo ciò che volesse comunicargli.
Miles volse il capo e notò quei due loschi figuri che continuavano a seguirli svelti. Ecco, lo sapeva, Maledizione!
Continuò a sgattaiolare tra le persone mentre dalle labbra gli uscivano una miriade di ‘scusa’ e ‘permesso’.
Desmond si voltò ancora una volta, non vedendo più i due uomini alle loro spalle. Spinse la rossa in un vicolo alla fine del quale v’era un cancello.
“Che cosa stai facendo? Ehi?! Che fai?” gli chiese lei.
L’americano raggiunse il cancello e prese la ragazza per i fianchi, in braccio, per agevolarla nel scavalcarlo.
“Sali! Sbrigati! Forza!” la intimò, ricordandosi della sua pressoché nulla sensibilità alla mano destra, dovendo così fare tutto con la sinistra.
La ragazza arrivò con le mani in cima alla cancellata, poi con una spinta della mando di Desmond sul suo fondoschiena riuscì finalmente a scavalcarlo. Il giovane la seguì subito dopo: con una mano sola e l’ausilio delle due gambe, in men che non si dica, anche lui fu dall’altra parte della cancellata, sotto gli occhi stupefatti della rossa.
Desmond la prese e la spinse sotto la rientranza dell’arco di un portone: poggiò entrambe le mani ai lati del suo viso e aderì con il corpo al suo in modo che risultassero invisibili a chi guardasse nel vicolo dalla strada.
La rossa deglutì mentre le guance le si imporporarono. Entrambi avevano il respiro accelerato ed il cuore che gli martellava nel petto. Rimase ad osservare il volto del giovane americano senza spiccicare una parola, mentre quest’ultimo rimase attento ad ogni singolo rumore.
Qualche attimo dopo poterono sentire dei passi di corsa superare il vicolo. Solo in quel momento Desmond si abbandonò ad un sospiro.
Il portone accanto a loro si aprì, rivelando la figura di un signore che li guardò storto nel vederli così avvinghiati.
“Buongiorno” disse Desmond con il suo italiano maccheronico, mimando un sorriso più tranquillo e naturale possibile.
Quello gli rifilò un’altra occhiataccia e proseguì poi per la sua strada.
Silenzio.
Gli occhi scuri ed intensi del moro si posarono in quelli azzurri e limpidi di lei.
“Mi… mi sei troppo vicino” sussurrò, visibilmente in imbarazzo.
Lo sguardo di Desmond scivolò dai suoi occhi fino al suo petto, lì dove giaceva il ciondolo della sua collana: era sferico e dorato, con delle scanalature. Aveva tutto l’aspetto di una riproduzione della Mela.
“Maledizione, mi hai sentito? Mi sei troppo vicino!” si lamentò lei quando lo sguardo di Desmond divenne più insistente. Gli portò entrambe le mani sul petto e lo spinse.
L’americano sembrò tornare finalmente con i piedi per terra.
“Scusami” le disse.
La rossa a quel punto comprese che il ragazzo non parlava italiano. Lo aveva sentito parlare in inglese poco prima, ma era talmente agitata da quella situazione bizzarra che non ci aveva fatto caso.
“Sei completamente matto!” lo canzonò allora nella lingua madre di lui. “Come ti permetti?”
Desmond notò come quel tono e quell’espressione arrabbiata non facessero assolutamente parte di lei, come se fosse veramente raro vederla così.
“Potrei averti salvato la vita” rispose semplicemente lui.
Le sopracciglia di lei si aggrottarono, dipingendo un’espressione dubbiosa sul suo volto. “Ma chi sei?”
“Mi chiamo Desmond, e tu?”
La ragazza continuò a guardarlo titubante, poi il suo viso si rilassò. Non seppe perché ma quel ragazzo le ispirava fiducia, a pelle.
“Siria.”
“Siria? Che bel nome” le sorrise. “Mi dispiace di averti sballottato un po’.”
“Stavi fuggendo da qualcuno… ma da chi? Sei un… criminale?” domandò allora lei, preoccupata.
L’americano si abbandonò ad una sincera risata. “No, non preoccuparti. Non sono in criminale e non ho intenzione di farti male.”
La rossa sospirò sollevata. “Meno male. Ma credo che non me lo diresti, anche se fosse.”
“Non preoccuparti” le disse con un sorriso, prima di guardare a destra e a sinistra. Sembrava tutto sgombro e tranquillo.
“Da chi stavi scappando?” domandò ancora Siria.
Desmond guardò il suo ciondolo. Si avvicinò di un paio di passi e lo prese tra le dita.
“Che mi dici di questo?”
La ragazza abbassò lo sguardo sulla sua mano. “E’… una collana” gli disse ridacchiando.
Lui scosse appena il capo e sospirò. “Dove lo hai preso?”
“Cosa?” lo guardò nuovamente accigliata. “Me lo sono fatto fare, ma perché?”
“Te lo sei fatta fare? Ispirandoti a cosa?”
Ma che cos’erano tutte quelle domande? “Ad un gingillo che abbiamo trovato quando ero piccola” disse lei innocentemente, stringendosi nelle spalle.
Bingo! Lo sguardo di Desmond venne traversato da un bagliore. Ora si spiegavano molte cose.
“Ah” sorrise.
“Perché tutto questo interesse?” chiese allora lei.
Lui si strinse nelle spalle. “Così.”
Siria alzò le sopracciglia. “Perché non ti credo?”
Desmond rise appena, ritirando la mano e guardandola negli occhi.
“Senti… ora devo proprio andare. Non dire a nessuno del nostro incontro, va bene?”
“Oh, certo! E alla mia compagna di università che cosa le dirò quando mi presenterò da lei con un’ora di ritardo?” si lamentò la giovane.
L’americano sorrise. “Improvvisa! Ah e…” raggiunse nuovamente il suo ciondolo, prendendolo e lasciandolo scivolare sotto l’ampia sciarpa che la ragazza teneva attorno al collo. “Così va molto meglio” annuì. “Tienilo nascosto e fa attenzione.”
“Attenzione a che cosa?”
“Ci vediamo presto Siria” le disse prima di voltarsi e correre verso il cancello. Con uno slancio ed un gioco coordinato di mani e piedi arrivò in cima ad esso, scavalcandolo e lasciandosi cadere dall’altra parte. Una volta con i piedi nuovamente per terra si tirò su il cappuccio ed uscì dal vicolo, confondendosi tra la folla.
La ragazza lo osservò allontanarsi stupefatta: era più agile di un felino. Raggiunse con una mano il ciondolo, tirandolo fuori ed osservandolo. Si domandava che cosa ci fosse dietro tutto ciò, quel ragazzo, quegli uomini… le aveva detto che si sarebbero rivisti presto, chissà se era vero. Forse un po’ ci sperava.
Lo infilò nuovamente nella la sciarpa, lasciandolo scivolare sotto la maglietta, dopodiché si avviò dalla parte opposta.
Desmond. Che strano ragazzo.






__________________________________
Angolo Autrice:

Ta-daaaan!
Pensavaaaate che vi avessi abbandonati, eh?!
Ed invece per la vostra (s)fortuna, no! :D
E con tre settimane di ritardo vi posto l'aggiornamento! Yeeee!!!
*Coriandoli ovunque*
(Tanto è carnevale, i coriandoli ci stanno!)
Ok, ahem... *coff coff* torniamo a fare i seri!
Chiedo veeeenia per il ritardo nel postare il sedicesimo capitolo, ma voi non avete idea di che cosa mi sia successo!
Ebbene: ho finito Mass Effect 3!
(Cori di: OOHHHHH!!! :0)
No, ok. Serio. Ho finito la trilogia di Mass Effect e... Wow, ragazzi, che videogioco! Ci sono rimasta talmente alla fine che ho dovuto esorcizzare il mio dolore in qualche modo - ovvero - scrivendo fan fiction su ME!
Per chi lo conosce e lo ha giocato, sa bene di cosa sto parlando!
Difatti non mi andava di inventarmi quali scuse per questo ritardo enorme, anche perché avreste potuto benissimo vedere sulla mia pagina che sono rimasta comunque attiva nel fandom di Mass Effect, quindi perché mentire? *tlin*
Semplicemente ero (e sono tutt'ora) terribilmente ispirata per quel fandom, e così mi sono buttata a pesce su di esso, ho scritto già parecchie cosucce e ne sto continuando a sfornare altre *w*
Chi di voi ci ha giocato? Chi di voi l'ha finito? Chi di voi lo ha amato?
IO! - Ehm... Vabbè, fatemi sapere u.u così potrò assillarvi con i miei feels... *piagnucola*
(*comincia a dispensare migliaia di piccoli cuoricini per Kaidan e Shepard... E tutti gli altri pg*)
*Sbava*

Passaaando alle cose seeerie! Ebbene sì, finalmente è entrato questo nuovo personaggio! E ad un mese esatto dall'ultimo capitolo postato, posto il nuovo!
Spero che vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosito un minimo u____u
E come al solito, passiamo ai ringraziamenti: ringrazio come al solito i fedelissimi SlytherinSoul, Lightning00 e Hamber of the Elves per aver recensito l'ultimo capitolo. Ringrazio anche il nostro nuovo compagno di viaggio: KeynBlack! Benvenuto nei miei scleri più profondi! :D
Come al solito ringrazio chi legge e ringrazio coloro che dopo gli ultimi capitoli hanno inserito la storia tra le seguite, le ricordate e le preferite! Tanti cuori per tutti voi! <3

E... Che dire?
Grazie, grazie, grazie e grazie!
Ci vediamo al prossimo capitolo! 
Se sparisco per troppo tempo (cosa che spero vivamente di non fare) siete autorizzati a scrivermi i peggio insulti per mp! (So che Lightning00 mi prenderà in parola, caaaaVVa! <3)
Ahahaha e bene: alla prossima!
Baci! :)

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Capitolo 17
*** Thinkin About the Future ***


17. Thinking About the Future

 

 

“Sei stato un incosciente! Hai idea di quanto mi sia preoccupato?” la voce di William risuonava alta, chiara e furiosa dalla sala da pranzo del casale.
“Ma che cosa ho fatto di male?” si lamentò Desmond.
“Che cosa hai fatto di male? Hai solo attirato l’attenzione e hanno solo cercato di catturarti di nuovo! E se avessero riconosciuto la ragazza? Eh?”
Shaun era seduto nella stanza accanto, sul divano, a gambe accavallate mentre cercava di leggere un libro, operazione assai complicata con quelle grida. Sospirò sonoramente e quando sentì dei passi avvicinarsi chiuse il libro e volse il capo verso l’arco della porta.
Demetrio e Rebecca entrarono nella stanza, erano appena tornati dal fare provviste.
“Ma che sta succedendo?” domandò Demetrio.
“William è furibondo. Una curiosità: dove hai lasciato Desmond questa mattina?” chiese con la sua solita supponenza, ignorando completamente la mora che – al contrario suo – lo osservava.
“Che vuoi dire? In centro… gli ho fatto vedere la ragazza e ho raggiunto Rebecca. Perché?”
“Beh è tornato da poco, avrebbe dovuto fare ritorno quasi un paio d’ore fa, sono sicuro che William non vede l’ora di parlarti” ghignò l’inglese.
Le voci del padre e del figlio si erano fatte più vicine, fin quando Desmond non varcò la soglia opposta della stanza in cui si trovava Shaun assieme a Rebecca e Demetrio.
“Ma che cosa vuoi da me, si può sapere?” domandò esasperato al padre prima di fermarsi e voltarsi verso di lui, ormai entrambi nella stanza.
“Voglio solo che tu diventi un pochino più responsabile e smetta di comportarti come un bambino di cinque anni! Hai delle responsabilità maledizione!”
“Questo non sarebbe successo se non fossi sempre l’ultimo a sapere le cose qui dentro!”
"Qui pensiamo solo al tuo bene!"
“Smettila!” Desmond alzò ancor di più la voce. “Da quand’è che pensi al mio bene, eh? Da quando mi hai buttato in tutto questo casino? Da quando mi hai abbandonato al mio destino? O da quando mi hai lasciato solo dentro a quel tempio a morire?!”
Quelle parole colpirono William come una pugnalata in pieno petto. Ancora non si era perdonato per ciò che aveva fatto, figurarsi sentirselo rinfacciato dal proprio figlio. Tacque.
“Per lo meno l’Abstergo ha avuto la creanza di portarmi da loro e non lasciarmi morire! Forse dovrei tornare da loro a dirgli almeno grazie!” aggiunse il giovane, sarcastico. Non avrebbe voluto dire quelle parole, solo che in quel momento era troppo nervoso ed arrabbiato per soppesarle, non capiva perché dovesse essere tenuto sempre all’oscuro di tutto, perché dovesse essere sempre l’ultimo a sapere le cose.
William non riuscì a trattenersi oltre, tanto che a quel punto alzò la mano e gli diede un sonoro schiaffo.
Rebecca e Demetrio si sentirono piuttosto in imbarazzo a stare ad assistere a quella scena, mentre l’inglese aveva riaperto il libro ed aveva abbassato lo sguardo su di esso, seppur non leggendolo, ed estraniandosi dalla conversazione.
La stanza venne inghiottita dal più completo silenzio, un silenzio denso e carico di tensione, di sguardi, di rabbia.
L’aria era pesante, tanto da voler far scappare a gambe levate i tre ragazzi non coinvolti nella discussione.
Il respiro di William era lievemente accelerato per via della collera e delle ultime parole del figlio che avevano fatto traboccare il vaso, portandolo a quel gesto.
“Rispetto ragazzo. Rispetto” sibilò il mentore, guardandolo dritto negli occhi. “Non hai idea di quello che stai dicendo, sei un ingrato.”
Desmond si portò una mano sulla guancia, la sentiva pizzicare per via dell’intensità dello schiaffo, era stato piuttosto violento.
Inizialmente l’istinto gli aveva suggerito di saltargli alla gola, ma poi la razionalità lo aveva riportato con i piedi per terra, facendogli capire che non era suo padre il nemico. Tuttavia quel gesto lo aveva irritato come non mai, avrebbe mandato tutto al diavolo se fosse stato per lui.
Gli occhi scuri ed intensi del ragazzo rimasero immersi in quelli del padre. Lo fulminò con lo sguardo, senza aggiungere altro, quell’occhiata sarebbe valsa più di mille parole. Si voltò e si diresse verso l’uscita, notando solo a quel punto i compagni che si erano eclissati e rendendosi conto solamente in quel momento di aver dato grande spettacolo.
“Dove stai andando?!” tuonò la voce del padre.
“Lontano da te!” rispose il ragazzo.
“Torna subito qui! Non abbiamo ancora finito! Desmond! Desmond?!” lo vide lasciare la stanza, tant’è che fece per lanciarsi al suo inseguimento ma Rebecca, che era di fronte l’arco della porta, lo fermò.
“Non credo sia il caso William. Credo che dobbiate sbollire entrambi” le parole le uscirono dalla bocca con una tale facilità e semplicità che se ne stupì: in realtà non avrebbe voluto mettersi in mezzo e anzi, quando gli occhi del mentore si posarono su di lei, tremò.
William tuttavia non aggiunse nulla, forse aveva ragione la mora. A quel punto però volse il capo verso Demetrio.
“Come ti è saltato in mente di lasciarlo lì da solo? Ti saresti dovuto assicurare che sarebbe tornato indietro!” lo rimproverò.
Shaun chiuse nuovamente il libro ed incrociò le braccia su di esso. Volse il capo verso i nuovi due litiganti, molleggiando appena sul divano per trovare una posizione più comoda, intento a godersi lo spettacolo. Dov’erano i pop-corn?
“Io sinceramente non pensavo che…” tentò di giustificarsi l’italiano.
“Tu non devi pensare! Devi fare quello che ti si dice! E se Desmond fosse stato catturato di nuovo?”
“Io… mi dispiace William. Per qualsiasi cosa sia accaduta” disse sincero il giovane, abbassando il capo.
“Aspettami di sopra.”
Demetrio annuì. Lo aspettava una bella lavata di capo. Ma che diavolo era successo? Silenziosamente sgattaiolò via dalla stanza per dirigersi in cima alle scale.
William guardò Shaun, poi volse il capo verso Rebecca. Li scrutò entrambi per lunghi ed interminabili secondi.
‘E dai… ma io che cosa ho fatto? Sono stato tutta la mattinata a leggere qui da bravo!’ pensò il rosso, sostenendo lo sguardo del mentore.
Rebecca si sentì osservata e anche piuttosto colpevole, seppur non ne avesse motivo: lei non c’entrava nulla con quella storia!
William a quel punto si voltò e si diresse fuori dalla stanza, lasciando i due Assassini da soli.
Il silenzio non accennava a farsi meno denso, anzi, era ancora carico di elettricità. Solo il sospiro di sollievo di Rebecca scandì quella calma, assieme al ticchettio dell’orologio alla parete.
“Bel modo per iniziare l’anno” commentò la mora, spostando finalmente lo sguardo su Shaun. Dopo la ‘festa’ di fine anno e la dichiarazione di Shaun, sempre che così si potesse chiamare, avevano passato il primo momento del nuovo anno insieme, poi con gli altri, ed entrambi si erano addormentati sul divano, l’uno tra le braccia dell’altra. Quella mattina non si erano incontrati: Rebecca si era dovuta alzare presto per andare a sbrigare delle cose in centro. Sapeva che molto di ciò che era accaduto il giorno prima era stato per via dell’alcool, tuttavia ricordava tutto e ne era felice, ma voleva avere un punto di vista anche dell’inglese, il quale non tardò ad arrivare.
Shaun volse il capo verso la ragazza ed incrociò il suo sguardo. Si ritrovò piuttosto in difficoltà ma decise di dissimulare quel disagio e comportarsi normalmente, con non-chalance.
“Rebecca…” cominciò.
“Sì?” la voce di lei si fece quasi più melodiosa. Sorrise.
“Riguardo a ieri sera…” continuò. Lo sguardo della mora era puntato su di lui, curiosa.
“Avevamo bevuto, no? Ricordi?” domandò lui.
“Certo. E non mi sembra l’unica cosa che abbiamo fatto” si sforzò lei di tirare in ballo il discorso del loro bacio, comprendendo che se avesse dovuto aspettare lui probabilmente avrebbero fatto l’anno dopo ancora.
“Ecco, appunto… volevo parlare di quello.”
“Dimmi, sono tutta orecchi” rispose la ragazza avvicinandosi e sedendosi accanto a lui, sul bracciolo del divano. Sorrise ancora: che forse avesse finalmente il coraggio di farle una dichiarazione con i fiocchi?
“No è che… volevo dire per l’appunto che avevamo bevuto e che… quando si beve succedono cose di cui poi potresti pentirti, no?”
L’espressione sul volto di Rebecca cominciò a mutare. Incrociò le braccia al petto.
“Continua” gli disse, senza batter ciglio.
“E che quindi concorderai con me sul passarci sopra e far finta che non sia successo nulla, senza alcun rancore no?”
Rebecca rimase in silenzio per alcuni secondi ad osservarlo. Non poté mentire a sé stessa sul fatto che quelle parole la ferirono. Era da tanto, troppo tempo che aveva desiderato quel bacio ed ora che finalmente era accaduto… Shaun sembrava non volerlo davvero. Ma perché?
“Certo” si limitò a dire con tono piatto.
“Dopotutto lo sai, non sei proprio il mio tipo… insomma, vorrei una ragazza colta, intelligente, avvenente, che abbia le forme di una donna… sì, nel senso, una donna.”
Rebecca si sentì sempre più sconcertata.
“Prego?” alzò le sopracciglia. “Perché io non sarei una donna secondo te?”
“Beh diciamo che insomma, lasci un po’ a desiderare.”
“Ah sì?” a quel punto il tono della mora lasciò trasparire il suo disappunto. “Eppure ieri non mi sembravi disdegnare tanto il mio essere donna!” ora era davvero indispettita.
“Ero ubriaco, te l’ho detto! Un uomo ubriaco si accontenterebbe di tutto! Non vede le cose come sono realmente!”
“Sei un idiota!” disse alzandosi, prendendo il libro che poco prima Shaun aveva lasciato sul divano e lanciandoglielo contro, colpendolo alla bocca dello stomaco. Si voltò e si diresse velocemente all’uscita.
L’inglese annaspò in cerca d’aria.
“E dai! Rebecca! Sei permalosa!” le gridò dietro, vedendola sparire oltre l’arco della porta.
Shaun sospirò, portandosi una mano sullo sterno e massaggiandosi piano. Non voleva essere cattivo ma… non se la sentiva proprio di esporsi così tanto, non in quel momento, non in quel modo. Probabilmente dispiaceva anche a lui aver troncato quella cosa sul nascere, ma il suo orgoglio gli impediva di vederlo.

 

La mora raggiunse l’esterno del casale: era furente di rabbia e – inutile negarlo – anche piuttosto triste.
Si fermò sotto al portico ed inspirò a pieni polmoni l’aria fresca, solo qualche istante più tardi notò Desmond più lontano, seduto ai piedi di un albero di mimosa, ancora spoglio dai suoi bellissimi fiori gialli e profumati.
La mora si avviò e superò la staccionata, raggiungendo lentamente il giovane.
Desmond era lì, all’ombra, mentre guardava un punto indefinito di fronte a sé, lontano. Se ne stava seduto con le gambe ritirate al petto e le braccia appoggiate sulle ginocchia. Sentì dei passi avvicinarsi, ma non se ne curò.
Una volta che Rebecca fu accanto a lui, gli appoggiò una mano sulla spalla.
“Ehi Des, posso?”
L’americano si strinse nelle spalle e le fece cenno con il capo di mettersi seduta, e così lei fece.
“Che cos’è successo?” domandò allora la mora, incrociando le gambe e guardando il compagno. Lui sospirò.
“Niente. Stamattina Demetrio mi ha portato in centro per farmi vedere la ragazza… Siria, no? Quella che credete possa avere uno dei frutti dell’Eden.”
“Ahhh, sì! E…?”
“E quando Demetrio ti ha raggiunta, io sono rimasto lì e l’ho seguita. Nessuno mi aveva detto niente, né di che cosa si trattasse. Ero curioso… e due agenti Abstergo ci hanno seguiti. Sono riuscito a seminarli e a portare in salvo la ragazza, e mio padre se l’è presa. ‘Avresti potuto compromettere la missione!’” gli fece il verso.
Rebecca sorrise. “Si preoccupa per te Desmond.”
Lui scosse il capo. “No…”
“Smettila, lo sai che è così” disse allora più seria la ragazza.
L’americano si strinse nelle spalle. “E’ che a volte sono stanco di tutto questo. Oggi mentre ero in città e vedevo le persone vivere tranquillamente le loro vite, senza il bisogno di nascondersi o di temere ogni singolo istante della loro vita… mi sono sentito un estraneo. Sono stanco di tutto questo. Sono le cose che vedi al cinema, sui libri o nei videogiochi: eroi che danno tutta la loro vita per la salvezza dell’umanità, per un bene comune… è bello impersonarsi in un eroe il tempo di un film o di un videogioco, ma poi torni alla vita reale… e noi? Quando torneremo alla vita reale? Quando saremo liberi di costruirci un futuro nostro?”
Rebecca ascoltò le sue parole in religioso silenzio, rimanendo ad osservare il ragazzo con lo sguardo immerso in un luogo lontano, forse in un futuro lontano, nel quale la sua vita sarebbe stata quella di un ragazzo normale.
“Spero presto Desmond” rispose lei cingendogli le spalle con un braccio. “Te lo meriti più di chiunque altro” aggiunse poi piano, in un sussurro, appoggiandogli il capo contro la spalla e vagando a sua volta lontano con lo sguardo, in un futuro perfetto creato da loro.








____________________________________
Angolo Autrice:

Ma guardate un po' chi si rivedeeehhhh!
Eccomi con un nuovo capitolo! :D
Dai, non vi ho fatto aspettare troppo questa volta, meno di un mese u.ù
*Si fa le congratulazioni da sola*
Ahahahaha, no ok, scherzi a parte!
Per il prossimo dovrete aspettare ancor di meno visto che il capitolo è già in lavorazione, nonché quasi finito! :3
Non credo ci siano chiarimenti da fare riguardo al capitolo, ovviamente si svolge sempre il primo di Gennaio, dopo che Desmond ha incontrato Siria e che ha 'rischiato' di metterla in pericolo!
E... Shaun, che cretino! *facepalm* ma dovevo farlo!! Qualcuno dovrà pur mettere un po' di sale in questa storia, no? *Prende un sacco di sale e lo svuota sul computer*
Direi di passare subito ai ringraaaziamenti!
Ringrazio Hamber of the Elves, KeynBlack e SlytherinSoul (la quale voglio rassicurare che oggi filerò a leggere la sua fan fiction *yeeee, oggi ozio! :3*) per essere come al solito i miei assidui recensori! <3
Ringrazio anche Lightning00 per essere una mia assidua recensitrice e per avermi risparmiato la posta invasa dai suoi insulti, sei davvero caVVa! <3
Ringrazio - e son felicissima - di rivedere ladyjessy e Morgause___ (che cambia nick ogni 3x2 e mi fa rinstupidire più di quanto io non lo sia già!) per essere sbucate di nuovo fuori! :*
Quindi vi ringrazio tutti quanti per le recensioni all'ultimo capitolo!
Ringrazio i lettori e coloro che hanno inserito la storia tra le ricordate, seguite e preferite!
Grazie, grazie, grazie e grazie!
Ormai è più di un anno che questo delirio va avanti, tra momenti morti e momenti di intensa ispirazione... e per lo più è grazie a voi che va avanti, alla fin fine, perché con le vostre belle parole mi spronate sempre a continuare e a far di meglio! <3
Non nasconderò il fatto che spesso, visto come prosegue ACBF, ho pensato di accantonare la storia perché alla fine non si intona affato con ciò che succede nel quarto capitolo. Di tanto in tanto mi capita ancora di pensarci ma alla fine beh, le fan fiction sono fatte per questo no? Per esplorare tanti piccoli universi paralleli che si sarebbero potuti andare a creare!
(Tra le altre cose mi sa che tra poco tra le note dovrò metterci la 'What if?', visto come prosegue la storia principale x°D ma di Shaun barista, ne vogliamo parlare? *muore*)
Ok dai, mi sto dilungando troppo!
Grazie ancora a tutti voi, davvero! Siete magnifici! :)

Un abbraccione forte a tutti quanti e - come al solito - al prossimo capitolo!


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Capitolo 18
*** Illusions ***


18. Illusions

 

C’era una calma davvero surreale lì fuori: il vento che accarezzava l’erba e smuoveva leggera le fronde degli alberi, le nuvole che si inseguivano lentamente nel cielo ed il sole che brillava intenso.
Rebecca era stretta ad un braccio di Desmond, con il capo appoggiato sulla sua spalla. Era da parecchio che erano seduti lì da soli, in silenzio, a riflettere sul tempo, sul futuro.
La quiete venne interrotta quando, alle loro spalle, sentirono dei passi. Era Demetrio.
“Che bella giornata eh?” domandò l’italiano fermandosi alle loro spalle.
Sia Rebecca che Desmond volsero il capo e lo guardarono dal basso. La mora si ritirò dal corpo dell’americano.
“Ehi, mi dispiace per la discussione con tuo padre.” disse Demetrio.
“Non preoccuparti, non è colpa tua. Anzi, mi dispiace che se la sia presa con te.”
L’italiano si strinse nelle spalle.
Desmond puntellò una mano sull’erba e si alzò. “Vi lascio, vado a farmi due passi e poi forse rientro a riposarmi un po’, sono stanco.”
“D’accordo” disse Rebecca osservandolo allontanarsi, poi Demetrio qualche istante dopo prese il suo posto e si sedette accanto alla ragazza.
“Bel modo di iniziare l’anno nuovo eh?” mormorò lui.
“Puoi dirlo forte, ci stavo pensando proprio poco fa… se il buongiorno si vede dal mattino, voglio seppellirmi” rispose lei tornando a guardare la distesa di fronte a sé.
Demetrio continuò ad osservarla insistentemente, curioso. “Perché dici così? Non per lamentarmi ma sembra che il tuo anno sia iniziato meglio di quello di chiunque altro qui.”
Rebecca volse il capo verso di lui, era ovvio che si riferisse a Shaun.
“Certo, infatti sarebbe stato così se… beh, niente” preferì tacere, abbassò lo sguardo.
“Se? Che succede? Qualcosa ti turba?”
“Se non fossi stata scaricata dopo solo qualche ora” concluse la frase lasciata in sospeso. “Shaun è un idiota. Un ragazzino. E’ infantile, puntiglioso, egoista, sempre con le sue smanie di superiorità. Ma che avevo in testa?”
Il ragazzo poté percepire un fondo di rabbia e delusione nel suo tono.
“Scherzi? Mi dispiace… hai ragione comunque, è un idiota. Come gli è venuto in mente di lasciarsi sfuggire un fiorellino come te?”
Reby portò nuovamente l’attenzione su di lui, il suo accento italiano le dipinse un lieve sorriso sulle labbra.
“Non posso biasimarlo dopotutto, a volte neppure ci rendiamo conto di ciò che ci stiamo lasciando scappare. Io ho fatto lo stesso con te, dopotutto. Non dovresti difendermi così a spada tratta.”
“Ma la situazione era diversa Rebecca. Non lo hai fatto perché ti andava o perché ti eri stufata o perché eri capricciosa. Lo hai fatto per noi.”
La mora annuì appena. “Sì, forse hai ragione… ma cosa importa ormai, sono trascorsi anni, è acqua passata” e – dicendo ciò – il suo sguardo si perse nuovamente all’orizzonte.
“Lo credi davvero?” chiese lui continuando a scrutarla.
Non seppe perché ma Reby in quelle parole carpì molto più di ciò che il ragazzo le avesse appena detto. Demetrio era sempre stato un buon amico oltre che il suo ragazzo, anni prima. Teneva a lui davvero molto, a prescindere da tutto quanto.
Immerse i suoi occhi cristallini in quelli verdi di lui.
“Tu no?” azzardò con un filo di voce.
Ci furono degli attimi di silenzio in cui l’italiano soppesò le parole da dire.
“In verità…” cominciò un po’ titubante. “Quando ti ho vista varcare la soglia del casale mi sono chiesto: come ho fatto a stare per tutto questo tempo senza di lei?”
Sul volto della mora si dipinse una sincera espressione di stupore.
“E’ difficile, ma se devo essere sincero non ho smesso di pensarti in questi anni… ho sempre sperato di rivederti, e sembra come se in questo Natale così triste e cupo io abbia comunque ricevuto un regalo, il più bello. Tu, Rebecca.”
Lei rimase senza parole, sentì il cuore batterle più forte e l’agitazione assalirla. Quella sì che era una dichiarazione! E se fosse stato Demetrio il suo destino? Se fosse stato lui l’uomo giusto per lei?
“Io… non so che dire” sussurrò, imbarazzata. Lei era sempre esuberante, diretta e chiara, ma quelle parole le sciolsero il cuore, ma forse non come lo avrebbero fatto le stesse parole uscite dalla bocca di un certo inglese idiota.
“Non so, potresti dirmi che anche per te è così, magari…” disse l’italiano sorridendole.
“Non lo so… sono un po’ confusa” ammise, e lo era davvero! Ormai era chiaro che provasse qualcosa per l’inglese, ma se i sentimenti verso l’italiano si fossero esauriti non avrebbe avuto motivo di essere così agitata, o no?
“Non ho bisogno di una risposta adesso, sono stato così tanto tempo senza di te che per qualche giorno in più non morirò… spero” ironizzò, cercando di spezzare la tensione.
Rebecca sorrise.
“Pensaci” e – detto ciò – Demetrio si sporse appena per schioccarle un bacio quasi al lato del labbro, poi si alzò e si diresse nuovamente verso il casale.
La mora rimase sbigottita, probabilmente rossa come un peperone. Ora sì che era davvero confusa!

 

La giornata era trascorsa lenta e tranquilla. Desmond si era ritirato in camera dopo una breve passeggiata: aveva sentito l’accenno di un mal di testa arrivare in punta di piedi per poi esplodere in una vera e propria emicrania non appena aveva raggiunto il letto.
William avrebbe voluto mettere il ragazzo al corrente riguardo a Siria, ogni minimo particolare, ma Desmond non si era fatto vivo per tutto il resto della giornata così aveva immaginato che stesse poco bene o che non avesse ancora sbollito la collera, così preferì lasciarlo riposare.
L’americano si svegliò tardi, quando fuori si era fatto già buio. Non appena lanciò un’occhiata all’orologio sul comodino notò che ormai era il due di Gennaio, mezzanotte passata. Il mal di testa sembrava essere andato via del tutto, fatta eccezione per la pesantezza che sentiva gravare come un macigno sul capo.
Il giovane decise di alzarsi e scendere di sotto per vedere se qualcuno fosse sveglio e – soprattutto – perché stava morendo di fame. Quando uscì dalla stanza notò che era tutto buio, sinonimo che tutti stessero già dormendo. Eppure, mentre cominciò a scendere le scale a tastoni, iniziò a sentire delle voci confuse provenienti dal piano di sotto, probabilmente dalla cucina. Sperava vivamente che non ci fosse suo padre: era dispiaciuto per ciò che gli aveva detto ma era ancora arrabbiato riguardo la loro discussione.
Non appena arrivò alla cucina e accese la luce fu meravigliato, anche se non molto, di ritrovarsi davanti i tre antenati.
La stanza era grande abbastanza, abitabile: aveva tutti i mobili della cucina su una parete, la stessa alla quale, vicino all’angolo, v’era la porta del retro del casale. Era bella e ben tenuta, rustica, prevalentemente bianca e marrone. Al centro v’era un tavolo al quale Connor era seduto. Altair era appoggiato contro il frigo a braccia conserte mentre l’Assassino italiano se ne stava seduto sul bancone della cucina con le gambe a penzoloni. Sembravano più reali che mai, l’alone che di solito li circondava era completamente sparito, tanto che sembrava fossero lì, in carne ed ossa, assieme a lui. Ormai gli risultava davvero complicato comprendere quando stesse avendo delle visioni e quando no, l’unica cosa che lo guidava oramai era il suo buonsenso.
‘Ci risiamo…’ pensò Desmond, demoralizzato. Entrò nella cucina e decise di ignorarli, magari così gli avrebbero fatto la cortesia di sparire quanto prima.
“Si è svegliato” disse Ezio, guidando gli altri due compagni a portare l’attenzione sull’americano.
“Mi chiedo come ci si aspetti che questo novizio salvi il mondo dal momento che preferisce dormire piuttosto che rendersi utile” furono le parole aspre dell’arabo.
“Non essere così cattivo con lui” si intromise Connor.
Desmond continuò ad ignorarli. Passò davanti ad Altair e si fermò di fronte ai fornelli, scoperchiò una pentola e vi ritrovò dentro della pasta, ancora, per l’ennesima volta. Sospirò ed aprì un cassetto, prese una forchetta e portò la pentola sul tavolo, dopodiché si sedette di fronte a Connor e cominciò a mangiare in silenzio. Teneva lo sguardo basso, sul cibo, fin quando solo qualche istante dopo si ritrovò anche Ezio ed Altair seduti al tavolo a fissarlo.
Con un filo di pasta che gli penzolava ancora dalle labbra, Desmond alzò lo sguardo e li guardò tutti e tre, uno ad uno, prima di risucchiare lo spaghetto con un suono tutto fuorché elegante. Si prese il suo tempo per masticare e mandare giù il boccone sotto lo sguardo attento degli antenati, poi non ce la fece più.
“Che c’è? Avete fame? Mi guardate come se non mangiaste da millenni, non lo sapete che è maleducazione?” disse esasperato.
“La tua mancanza di serietà mi lascia allibito” rispose Altair appoggiandosi contro lo schienale ed incrociando le braccia al petto.
“Ma fa sempre così?” chiese allora l’americano, guardando gli altri due.
“Pian piano ci farai l’abitudine. Se ci siamo riusciti noi, ci riuscirai anche tu… dopotutto sei tu quello che si ambienta facilmente e si abitua a tutto, no?” disse l’italiano.
Desmond alzò lievemente le sopracciglia e lo guardò per qualche istante.
“Si può sapere che cosa volete da me? Perché continuate a darmi il tormento? Non esistete!”
“Ne sei sicuro?” domandò ancora l’italiano.
“Ovviamente!”
“La certezza è la madre degli idioti” commentò l’arabo.
“Io non lo sopporto” bofonchiò Desmond, voltandosi poi verso Altair. “E allora visto che sai tutto perché non mi illumini? E soprattutto spiegami perché quando rivivevo i tuoi ricordi sembravi così saggio ed affascinante, il grande Assassino arabo, e ora che rivivi grazie alla mia testa sei un completo stronzo!” concluse cominciando davvero ad alterarsi, ma poi alla fine dei conti con chi stava litigando? Con l’aria? Con sé stesso? Tutto ciò era assurdo.
Altair non fece in tempo a rispondere che sentirono qualcuno bussare alla porta d’entrata. Desmond volse il capo verso il corridoio e quando tornò a guardare gli antenati, essi non c’erano più.
“Chiaramente. Al diavolo…” bofonchiò il ragazzo, alzandosi. Mentre imboccava il corridoio, rischiarato solo dalla luce proveniente dalla cucina alle sue spalle, si chiedeva chi potesse essere. Dal momento che aveva dormito tutto il giorno e non sapeva chi dei compagni fosse entrato ed uscito, immaginò che potesse essere uno di loro.
Arrivò a tastoni fino all’entrata, non prima di aver sbattuto il ginocchio contro un mobile ed imprecare a bassa voce. Appoggiò la mano sulla maniglia e lentamente aprì la massiccia porta blindata, sporgendosi per vedere chi vi fosse. Non poté credere ai suoi occhi: sentì un tuffo al cuore ed un vuoto allo stomaco quasi inghiottirlo mentre il senso di colpa cominciò a serpeggiare dentro di lui.






___________________________________
Angolo Autrice:

Sono stata bravaaaa?!?!? *--*
Ho aggiornato preeesto! u.ù
*Si applaude da sola*
*Rotola*
Ok, la smetto :3 posto al volo e scaaaappo viaaaa, veloce come il veeento!
Scherzi a parte u.ù chi sarà la persona misteriosa alla porta?
Sono UFFICIALMENTE aperte le scommesse!
Porterà pace o scompiglio?
Chi lo sa! èwé
Il prossimo capitolo sarà un po' più lunghetto u.u ho dovuto separarlo dal prossimo che sennò sarebbe venuto TROPPO lungo!
Ok, queste note d'autore sono pressoché inutili, uno sclero continuo!
Prima di passare - e chiudere - ci tengo a fare i miei piccoli ma meritati ringraziamenti!
ladyjessy, Lightning00 (continua a farmi morire dalle risate, ti prego!), KeynBlack e SlytherinSoul per aver recensito il mio ultimo capitolo!
Grazie, grazie, grazie, grazie! <3
Ringrazio anche Dooinfe per aver inserito la storia tra le preferite,
Fantom94 per aver inserito la storia tra le seguite
E GjXD per averla inserita tra le ricordate!
Grazie, grazie e grazie!
E come al solito grazie a tutti voi, chiunque passa di qui e spende solo qualche minuto del suo tempo a leggere :)

Al prossimo capitolo!
Tanti baci! <3

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