Son of the Sea.

di AriiiC_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue: I remember you said: Don't leave me here alone. ***
Capitolo 2: *** A journey to death. ***
Capitolo 3: *** You better run. ***
Capitolo 4: *** I'm not a killer; not like them. ***
Capitolo 5: *** Just careers or something more? ***
Capitolo 6: *** What are you living for? ***
Capitolo 7: *** No light in your bright blue eyes. ***
Capitolo 8: *** Just a child. ***
Capitolo 9: *** I need you now. ***
Capitolo 10: *** This Hurricane. ***
Capitolo 11: *** Pterodactyl. ***
Capitolo 12: *** Help. ***
Capitolo 13: *** You're in ruin. ***
Capitolo 14: *** The pariah. ***
Capitolo 15: *** Live your lifes. ***



Capitolo 1
*** Prologue: I remember you said: Don't leave me here alone. ***











Prologue:
I remember you said: "Don't leave me here alone."



 

  Finnick aveva quattordici anni, uno smocking ceruleo addosso e il sorriso più falso del mondo in viso.
 Lo avevano strappato alla sua famiglia, alla sua casa, al mare. Al suo mare. Ora era costretto a rimanere qui, per il divertimento delle parrucche colorate sedute sulle mille seggiole, che non aspettavano altro che lui. Sarebbe potuto morire, nonostante l'allenamento: i favoriti dell'uno e del due erano più grossi e meglio addestrati. Solo l'iniziale alleanza lo avrebbe salvato. Ma anche quella sarebbe volta al termine, prima o poi. Più poi che prima, sperava.
 - Conquistali, e la metà del lavoro è fatta. - aveva detto Mags. E lui aveva solo obbedito. Lo amavano, dall'inizio alla fine. Non aspettavano altro che il Figlio del Mare si rivelasse all'intervista con Ceasar, dopo il 10 alle sessioni private e lo splendido vestito color acquamarina della sfilata. Ma Finnick non sapeva che dire. Come spiegare loro che gli avevano appena tolto la vita? L'unica speranza che ancora gli batteva in petto erano gli occhi verdi di Tess, che lo guardavano piangendo.

 La bambina con il vestito azzurro a scacchi, mora tanto quanto il fratello è biondo, rompeva il silenzio della stanza con la moquette blu. Gli correva incontro, e si abbandonava tra le sue braccia. Non sapeva che altro fare. Non era di troppe parole, ma cercava sempre di renderlo allegro. Ora l'incudine che aveva nel petto era troppo anche per lei.
 Come puoi portare il sole nella vita degli altri quando non riesci a portarlo nella tua?
 Aveva solo dodici anni, lei, e credeva ancora nelle favole: si fidava dei diciottenni, sapeva che si sarebbero offerti come ogni anno. Invece, non lo fecero. Forse per ripicca nei confronti del quattordicenne sbruffone che, in Accademia, non faceva altro che sfidarli. E vincere.
 - Finn... - sussurrava con quella sua voce calda, resa candida dalle lacrime che le rigavano il viso. - Mi prometti che tornerai, Finn? - Il suo corpo era sempre più scosso dai singhiozzi. Fremeva tra le sue braccia solide, mentre il tempo stava scorrendo troppo veloce per i due ragazzi. Ma a Finnick non importava: sapeva che, a parte lei, nessun altro sarebbe venuto a dirgli addio: i suoi genitori li odiava, vivevano nella stessa casa solo perchè non aveva abbastanza soldi per scappare. Non aveva amici di nessun tipo: diciamo che non era mai stato bravo a creare rapporti con gli estranei. Di fatto, l'unica persona a cui teneva era Tess. La stessa che da roccia su cui basare ogni certezza era appena diventata foglia d'autunno caduca, in bilico tra la vita e la morte.


 - Il tributo maschio del quattro in onda tra cinque secondi! - urlava un Capitolino dalla parte delle quinte più vicina al palco. Sabrin aveva giusto il tempo di aggiustare la T-shirt sotto la giacca, appuntandovi il fastidioso microfono. Ma Finnick si mosse, e il tessuto bianco venne strappato, lasciando i suoi pettorali completamente in vista.
 - Oh mio Dio! - aveva trillato la donna dai capelli verde menta. - Non ti posso mica far andare davanti a tutta Panem così! Chi sa cosa direbbero di me! - Finnick era insofferente e, a dire il vero, parecchio seccato. Non gliene poteva fregare di meno di quello che avrebbero detto i suoi colleghi di lei. Sinceramente, gli sarebbe solo piaciuto avere la testa attaccata al collo per un altro paio di anni, almeno. - Forza, toglitela. - concludeva risoluta.
 - Togliermi... cosa? - chiedeva il ragazzo, totalmente cosciente della risposta ma, allo stesso tempo, spaventato da essa.
 - Come cosa? E' ovvio: la maglietta. Andrai sul palco solo con la giacca. -
 E Finnick obbedì. In fondo, poteva solo fruttargli maggior popolarità di quanta già ne avesse. Così, in un attimo, era pronto: niente canottiere, niente di niente. Solo lo smocking blu mare.
 Ceasar lo stava già chiamando da un paio di secondi: farsi attendere poteva andare bene o no.  Non dipendeva da lui, in ogni caso. Quando fu pronto, iniziò a correre verso la luce accecante che, per un paio di secondi, gli abbagliò gli occhi. Il boato generale si levò dalla folla, mentre diverse signore avevano già iniziato a lanciargli rose rosse.
 Finnick odiava le rose: gli ricordavano i momenti in cui sua madre usciva di casa e le raccoglieva nel grande giardino. Non tutti avevano un giardino. Loro sì, dato che vivevano nel villaggio dei vincitori. E la signora Odair si pungeva ogni volta il dito, rientrando in casa e piangendo per il rosso. Odiava il rosso: le ricordava il sangue che suo marito le faceva uscire ogni sera, dopo cena, quando la voleva obbligare a fare qualcosa. La picchiava per renderla schiava, per farla soccombere. Ma lei non poteva combattere, e obbediva.
 Finnick aveva ereditato questo terrore: la paura del rosso. Qualcuno la trovava stupida, perciò decise di non darlo a vedere, e di sorridere.
 E Finnick sorrise.

 - Non lo so, piccola. Lo spero. - Finnick non mentiva mai. Non lo faceva per incoraggiare, non lo faceva per deludere, non lo faceva neppure per stroncare le persone. Ma a Finnick piacevano le mezze verità: quelle che non sono bugie ma non lasciano il cuore in pezzi. E allora le usava, sempre. Anche questa volta. Non sarebbe tornato, ne era certo e neppure ci sperava. Ma sua sorella doveva andare avanti, con o senza di lui.
 - Finn... Ti prego, Finn... Non puoi dirmi così! Finn, papà mi piacchierà! - gli s'era stretta al ventre con le braccia gracili, tenendolo forte. Singhiozzava tanto, pulendosi il naso sull'elaborata spallina dell'abito buono. Lo chignon, prima ordinato e perfetto, era del tutto scompigliato, e la frangetta le s'era attaccata alla fronte. Il ragazzo odiava il suo modo di fare, perchè lo uccideva. - Finn, devi difendermi! - Era vero. Avrebbe dovuto farlo, ma non poteva. Quando gli Hunger Games chiamano, non hai modo di scappare: non puoi sottrarti alla tortura che essi rappresentano. Se sei fortunato, morirai in fretta; se non lo sei, avrai una lunga agonia. Se hai un buon motivo, tornerai a casa.
 Palle.
 Tutti i tributi che di anno in anno venivano mandati al macello avevano qualcosa ad aspettarli, avevano qualcuno importante da riabbracciare, Finnick lo sapeva. Ma solo uno, di anno in anno, tornava. E sarebbe stato difficile, se non impossibile, che fosse stato lui.
Finnick sapeva bene anche questo.


 Era come se il tempo si fosse fermato in quella stanza del palazzo di giustizia: Finnick sentiva la stessa morsa fracassargli il petto, lo stesso magone che era riuscito a sfogare in privato in quella saletta. Solo e sconsolato. Ma, quando aveva sentito una mano afferrargli il polso e accompagnarlo alla poltrona di velluto rosso, aveva capito che non avrebbe potuto piangere. Per non essere spacciato. Era una tattica, certo: era anche stata usata con buoni risultati negli anni passati. Eppure, dopo un 10, sarai molto poco credibile. Non aveva scelta. Si chinò, prese uno di quegli orrendi fiori e se lo appunto alla tasca della giacca. Poi, lanciò un bacio al nulla, e tutti pensarono fosse per loro.
 Illusi.
 Finnick non avrebbe mai sprecato un bacio per delle facce da mocio multicolor.
 Pensava fosse inutile.
 E lo era.
 Ma, a loro, non importava.
 Finnick Odair aveva appena baciato ognuna delle donne, vecchie o giovani che fossero, sedute in quella stanza.
 Ceasar rise della sua risata gutturale. Questa volta, aveva i capelli arancio. Ma non come il tramonto sul mare di casa. Li aveva arancio come le tigri. Non ne aveva mai vista una dal vivo, ma a volte capitava di trovarle nei libri di scuola. Così, lo guardò negli occhi, cercando di capire se sapesse quello che stava facendo. Ma ormai era adulto, il presentatore, e aveva visto morire più ragazzi di quanti se ne possano sopportare in una vita intera. E aveva ancora tanti anni di carrire davanti.
 Flickerman era infastidito dagli occhi verdemare del tributo: lo scrutavano a fondo, gli dimostravano che tutti i pensieri che aveva tentato di scacciare, prima o poi, tornavano. Così decise semplicemente di parlare, e di farlo fare anche a lui.
 - Allora, Finnick Odair, per chi era quel bacio? - aveva detto.
 Come rispondere ad una domanda tale, senza farsi odiare?
 - Oh, per nessuna in particolare: era rivolto a tutte. - rispose, e la terra cominciò a tremare.
 L'uomo rise di nuovo, se possibile anche più odioso di prima. - Tu sì che ci sai fare con le donne! -
 - Solo se sono così maledettamente belle. - ecco una bugia: non erano belle, per niente. Erano solo degli aborti di bellezza mal riusciti. Ma non poteva dirglielo: sarebbe significato scavarsi la fossa. 
 - E c'è qualche ragazza che ti aspetta a casa? -
 La domanda era ambigua, e lui rimase al gioco.
 - Certo. - malizioso verso le telecamere.
 In effetti, forse c'era davvero.

 Mancavano pochi minuti al termine delle visite. Tess era appena stata trascinata via di peso da un pacificatore, ancora in lacrime. A volte c'era da chiedersi se avessero un cuore o meno, quegli esseri umani nascosti dietro le maschere. A patto che lo fossero, umani. Le orecchie di Finnick erano contaminate dalle urla fin troppo forti della sorellina. I suoi occhi verde ago-di-pino erano stati consumati da quel rosso che il ragazzo tanto odiava, forse anche più del sangue: il rosso del pianto. Il peggiore tra tutti i rossi.
 Ma ecco la porta aprirsi di nuovo, e un'altra figura femminile entrava.
 Non s'aspettava che sarebbe venuta. In realtà, era quello che temeva: Annie Cresta era un po' la piattola che gli si attaccava al piede e non lo mollava mai. Era amica e coetanea di sua sorella, e il fatto che fosse venuta a salutarlo lo lasciava perplesso. Per un attimo, aveva sperato che la sua sfacciataggine non fosse abbastanza. Invece lo era.
 - Finnick Odair, so che non mi avresti voluta vedere. - ed ecco che gli aveva appena risparmiato una cattiveria gratuita che, dato il suo temperamento non esattamente delicato e l'occasione, era sicuro avrebbe detto. - Ma puoi avere un portafortuna nell'arena, e tua madre mi ha chiesto di darti questo. * - e la bimba gli porse un pezzo di corda mezzo rovinato e mangiucchiato dalle dita che l'avevano annodato così forte da non riuscirlo più a sciogliere. Sapeva bene il significato che aveva per la donna, e non rifiutò. Solo ringraziò la dodicenne che gli rubò un bacio sulla guancia e se ne andò.
 Le scocche rosse.
 E forse, questo era un rosso ancora peggiore del pianto: era il rosso dell'amore.


 - Certo? - il presentatore era sconvolto e divertito allo stesso tempo. - E ce lo dici così?! -
 - Non so chi abbia capito, Ceasar, ma io parlavo di mia sorella. -
non sapeva che ci trovassero di divertente, ma la platea rise, forse per il sollievo: non doveva dimenticare che, ognuna di quelle ragazze, pensava di essere l'unica al mondo, per lui.
 - Oh, come ho fatto a non capirlo?! - disse lui. - E... altri incontri qui a Capitol? -
 - Qui ho incontrato solo Mags e  Sabrin, a dire il vero. E la mia compagna. E poi te, che sei il più sexy di tutti! - ancora risate, questa volta più lunghe. E Finnick li lasciò ridere: in fondo, erano solo parole in meno che uscivano dalla sua bocca.
 E il segnale acustico arrivò, come la luce in mezzo al buio.
 I boati aumentarono, e Finnick lanciò altri baci.
 Camminò, barcollando un po' ma senza cadere. Fin che la luce non s'attenuò, e tutto riprese forma.
  E' qui, dietro le quinte, che il ragazzo capì: non era finita, ma appena iniziata.




 * = Non sapevo come far ottenere a Finn il suo portafortuna, così ho tirato in ballo Annie. So che potrebbe sembrare simile alla scena in cui Madge va da Catnip, ma non mi sono per niente ispirata a quella.


 My (little) space:
 Buonsalve a tutti :3
 Non è la prima volta che mi cimento in una long che non sia una raccolta, ma la prima non è andata benissimo xD Spero vi piaccia, dato che non ho molte pretese. E' una di quelle idee che ti vengono la notte e sviluppi tanto per non lasciarle marcire in un angolo da sole. Mi facevano pena :'3
 Bene, per chi avesse voglia, ecco la mia raccola: Un poesia anche per te.
 Ora ho finito :3
 A presto!
 Enjoy!
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥

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Capitolo 2
*** A journey to death. ***









Chapter one:
A journey to death.





  La notte era passata insonne, in preda agli incubi che sembravano non voler dare alcun segno di resa al ragazzo, che taceva e subiva. Come ogni condannato, non  aveva chiuso occhio la sera prima dell'esecuzione. Alcuni camminano, altri urlano, altri piangono o restano in silenzio, riflettendo sui propri sbagli. L'unico sbaglio che Finnick Odair aveva fatto, però, era stato quello di attaccarsi troppo alla vita calma e tranquilla che aveva vissuto. Era troppo innamorato della sorella, aveva la voglia di farla pagare ai genitori che gli ronzava nel cervello come una cimice. Dovevano odiarlo, anche solo la metà di quanto li odiava lui. Quando la luce del sole di Capitol City aveva bussato timida alla sua finestra, il quattordicenne del Distretto Quattro avrebbe voluto essere già in paradiso, per non dover sopportare la tortura della fine lenta che gli sarebbe spettata. Ai più giovani, capitava sempre. E lui era stato estratto solo alla terza mietitura. Si alzò dal letto nell'elaboratissima stanza a cui non aveva fatto caso in quella settimana. E non lo fece. Invece, andò a spostare la tendina chiara e guardò il cielo. Per la prima volta si fermava ad osservarlo. Non era come quello di casa. Contemplava la bellezza del creato senza esitazioni: aveva pensieri ben peggiori per la testa. Non sapendo come scacciarli, s'era perso in quell'azzurro macchiato da fumo e nuvole. L'alba non era rosata: tendeva al grigio e al rosso. Chi sa se qualcuno aveva mai spiegato a quei Capitolini che programmano ogni cosa, che il colore di un cielo di mattina non è quello, ma un altro. Finnick rise da solo per la stupidità in cui la loro capitale annegava. Rise anche perchè erano governati da idioti, ma nessuno se ne rendeva conto.
 Si mise rapido una tuta nera, anonima. Sabrin fece irruzione nella sua stanza senza bussare. Oltre che stupidi, gli abitanti  di Capitol City erano anche maledettamente maleducati. - Oh, Finnick caro. - disse con quella voce che non si poteva ascoltare per più di un paio di secondi di seguito. - Un ragazzo attraente come te non dovrebbe indossare niente di così banale. Ma ti prometto che la divisa per l'arena sarà molto più... accattivante, diciamo. - parlava come se quella fosse l'unica priorità del tributo. Suonava più come una presa in giro, più tipo: - Caro Finnick, dato che potresti crepare nelle prossime tre ore, ci tengo al fatto che tu venga scannato con indosso qualcosa di decente. -
 Le rise in faccia, senza neanche pensare troppo a quello che diceva.
 Non aveva fame, e non vide il perchè dovesse fare colazione. La sua compagna, stava divorando tutto ciò che di commestibile c'era in tavola. Si chiamava Alliyah, aveva diciassette anni ed era un vero e proprio mostro: mascella squadrata, capelli biondo unto lunghi fino alle spalle, tirati all'indietro da un codino. Attaccatura decisamente troppo alta per una ragazza. Corpo enorme, robusto, praticamente privo di seno. Occhi piccoli, azzurri, contornati da sopracciglia folte da morire. Agghiacciante.
 - Adesso fai lo splendido e non mangi? - ringhiò con quella sua voce più simile a quella di un cavernicolo. - Non sai cosa troverai nell'arena: potresti non mangiare per giorni. - effettivamente, aveva tutte le ragioni del mondo per dire ciò. - Fossi in te, ci penserei bene: potrebbe essere il tuo ultimo pasto. - ripensandoci, suonava molto come una minaccia. Tra loro non era mai scorso buon sangue. Forse voleva togliere il suo compagno di distretto giovane e dal bel visetto di mezzo il prima possibile.
 Motivo in più per sgranocchiare qualcosa: già le possibilità che la uccidesse erano minime. A stomaco vuoto si riducevano pericolosamente vicino allo zero.
 E Finnick magiò, controvoglia, certo, ma mangiò. Il latte caldo gli ustionava la gola mentre scendeva, ricordandogli che la sua vita non era stata del tutto inutile e che la sua morte non avrebbe fatto male a nessuno. Tranne che a Tess. Il pensiero della sorellina in lacrime bussò di nuovo alla porta della sua mente. Ma Finnick decise di non aprire, di non lasciarsi andare alla depressione che quei ricordi gli avrebbero causato. L'assassina seduta accanto non aspettava altro. E lui non voleva accontentarla.
 Il rumore che fece sussultare tutti veniva dal balcone, dove un hovercraft bianco come la neve aveva fatto la sua comparsa, sventolando  una scaletta pronta ad accogliere i tributi. Mags non s'aspettava che sarebbero stati così bruschi nel prelevare i ragazzi, ma non potè fare altro che lasciarli salire sull'elicottero. Ed è ora che Finnick se ne accorse: Alliyah abbracciava il mentore in un abbraccio amorevole e sincero. Lui aveva la sua stessa corporatura, la stessa attaccatura alta, lo stesso sguardo capace di farti gelare il sangue nelle vene. Si chiamava Caden, e aveva vinto appena due anni prima. I suoi pensieri si fecero rapidi, fino a che la testa non iniziò a fargli male: Alliyah nel villagio dei vincitori da poco tempo, i loro sguardi a confronto, il modo in cui Caden uccideva le vittime e in cui la ragazza aveva squartato i manichini in addestramento. E' difficile vincere contro una che è il doppio di te, soprattutto se il suo mentore è suo fratello.
 Ragionare divenne difficile, fino a che non diventò impossibile. Finn era davanti ad una morte certa, lunga e agoniosa. Le gambe tremavano, e servirono due pacificatori per metterlo a sedere nelle fredde sedute di metallo istallate nei muri dell'areoplano. I finestrini oscurati non permettevano più di vedere il cielo che aveva portato conforto al giovane fino a poco prima. La rabbia stava prendendo il sopravvento, così come la tristezza e lo sconforto. Ma non urlò. Neppure quando i due favoriti dell'uno gli si siederono uno a destra e uno a sinistra. Lei si chiamava qualcosa come Kae o Kaelea. Non era molto grossa, avrà avuto sì e no una quindicina di anni, forse anche sedici. Capelli bianchi legati in due codini non troppo lunghi e occhi di un azzurro che si avvicinava molto al colore della chioma. - E' colpa dell'albinismo. - spiegava in uno dei pranzi insieme. - E' perchè mi manca non so quale proteina. - Ma l'aveva vista tirare con l'arco e sapeva che era una di quelle da temere, nonostante l'apparente semplicità: centrava sempre il bersaglio, anche da una parte all'altra del Centro. Aveva 10 alle sessioni private. Niente in confronto a Junior, il suo compagno, che aveva preso addirittura 11. Aveva dei normalissimi capelli lunghi, un po' ricciolini e rosso carota. Il suo viso era quello di un bambino, tranquillo e familiare. 
Gli occhi scuri e profondi, come un oceano di segreti. E di segreti, il suo corpo assolutamente nella norma, era pieno: sapeva creare veleni anche con una mela, facendola ammuffire in modo che l'alcool creato ti deteriorasse il sangue; in più, lanciava gli stiletti. Proprio così: gli stiletti, arma da taglio per eccezione, quasi impossibili da tirare senza perdere la mano. Sapeva le tecniche del corpo a corpo: spaccare il collo di un ragazzo gli sarebbe riuscito in un batter d'occhio. Era un agnellino, che nascondeva un lupo capace di ucciderti in un milione diverso di modi. Davanti a lui, era seduta la ragazzina del Distretto Sei: capelli scuri, occhi verde smeraldo. Viso delicato. Aveva solo dodici anni. Se Finnick pensava che sarebbe dovuta morire perchè lui vincesse, ogni voglia di rivedere Tess lo abbandonava. Aveva preso 3 alle sessioni private, cosa abbastanza comune per le giovani che vengono da posti periferici. Il suo nome non lo ricordava, ma il suo sguardo era un qualcosa di indimenticabile.
 Uno stratega alto e di colore passava con una siringa in mano, bucando le braccia di ognuno. Finnick odiava gli aghi, quindi ciò non lo rendeva entusiasta. - Dai, Odair, non fare la mammoletta! In fondo, è solo il rivelatore. Non sentirai nulla. - gli sussurrò amichevolmente Junior, prima di contorcere il viso in una smorfia di dolore. Finnick avrebbe voluto allontanare il braccio, ma lui fece prima: in un attimo venne bucato, e la stessa espressione dell'alleato gli si dipinse in viso. Cazzo, se faceva male. Era come sentirsi  impiantare un sasso di cinquanta grammi in vena. Ma non uscì sangue. Il brusio che s'era creato aveva lasciato il posto ad un silenzio agghiacciante, freddo quasi quanto il ferro. Gli sguardi divennero mortali: anche solo guardare la persona sbagliata poteva fare la differenza. Ma non per lui. Lui era un favorito, avrebbe dovuto andare in cerca di vittime da mietere il prima possibile. Invece, non si sa perchè, rimase con la testa bassa, a fissarsi i piedi. I suoi compagni stavano già sicuramente puntando alla bambina sedutagli davanti. E lui lr rivolse un altro sguardo: aveva qualcosa di familiare, una luce in fondo agli occhi sconsolati. 

 - Mamma... - il bambino di sei anni taceva, e aspettava.
 La donna non poteva rispondere, immersa nelle lacrime. Era successo di nuovo: gli occhi neri, il labbro spaccato, l'anima in pezzi. Questa volta era perchè s'era arrabbiata per il gioco d'azzardo: non poteva continuare a scommettere, o i pochi soldi che portavano a casa sarebbero finiti anche prima. Non era più il vincitore di cui s'era innamorata, quello che aveva vinto i giochi solo per tornare da lei. Ora che i ricordi lo martoriavano, era diventato un mostro. Si sfogava con lei, cercando di scordare i ragazzini che era stato costretto ad ammazzare. Ma non bastava, non bastava mai. Ci voleva sempre più alcool, sempre una distrazione nuova per non affogare nello sconforto.
 - Finnick. Amore, vieni qui... - le sue braccia insanguinate avevano un calore disumano. Un calore che nessuno avrebbe mai sentito a parte lui e Tess. Perchè era sua madre, quel calore. E' il calore di chi riesce ad andare avanti con solo un motivo per sorridere ancora e non smettere. Lacrime salate come il mare, tristi come la pioggia. Occhi verdi come le alghe inondati da un acqua che Finnick voleva fermare.* Ma non poteva far niente contro l'ombra dell'uomo cattivo con cui erano costretti a vivere. Alle volte aveva voglia di ammazzarlo. Ma lo avrebbero ucciso, e non poteva abbandonarle. Così puliva il rosso dal volto della madre, e si stringeva alla sorellina.
 L'unico bagliore di luce rimastogli.



 - Tributi. Siete pregati di scendere. - una voce computerizzata lo riportava alla realtà. Si alzava piano, stando attento ad ogni singolo passo. Non voleva cadere. Non ora.
 Così ci riuscì: camminò osservando dove metteva i piedi. Scese dalla scaletta e andò nel corridoio che si trovava davanti. C'era una sola porta per lui: quella con scritto 'District four; male'. Chi sa chi avrebbe trovato lì. Alzò la maniglia senza osservare chi avesse intorno, e si isolò in quella stanzetta, prima di notare una chioma di un verde troppo innaturale per appartenere a qualcuno che non fosse lei.
 - Eccomi, Finnick caro. Come promesso, questa sarà la tua tuta per l'arena. - e gli parò davanti una calzamaglia blu scura, che copriva anche collo e mani. Tra queste ultime era istallata una stoffa plastificata di color verde acido, quasi vomito. Aveva anche dei segni intorno alle spalle, simili alle spalline di una canottiera, dello stesso colore di quelle pinne che aveva ai piedi e alle mani. Non era del tutto scomoda, se non fosse che non si poteva tenere biancheria intima sotto, e lui si dovette cambiare di fronte a quella pervertita che non aspettava altro. Vide le sue guance arrossire, ma non se ne curò e si vestì più in fretta possibile. Poi, si sedette sulla poltrona di stoffa blu, e iniziò a girarsi i pollici. Gli sarebbe piaciuto avere Mags davanti, anzi che Sabrin. Si ricordò non molto in fretta del pezzetto di corda che aveva nella tasca degli altri vestiti. Così si alzò e, semplicemente, lo prese. Iniziò ad annodarlo come faceva sua madre, sotto lo sguardo vigile della donna. Aveva creato due o tre volte un cappio per ammazzarsi il dito. Gli sarebbe piaciuto poter fare la stessa fine. Ma non poteva, e iniziò a fantasticare sull'arena: sperava in parecchia acqua, e data la divisa era probabile che ci fosse. Magari un mare, sarebbe stato splendido, per lui che era abituato a vivere in quell'habitat che era il suo naturale.
 - Venti secondi. Tributi in cabina. -
 La cabina che dicevano, era in realtà un tubo. Era il tubo, quello che ti portava nell'arena.
 Il ragazzo si sforzò di non tremare, anche se era quasi impossibile.
 Stranamente, la capitolina se ne accorse, e lo abbracciò. Non era solito ricambiare, ma lo fece, stringendosi a lei.
 - Vinci, Finnick caro. So che puoi farlo. - gli baciò la fronte piano. - Tutti noi lo sappiamo. -
 - Dieci secondi. Tributi in cabina. -

 Il ragazzo si allontanò a malincuore, senza che i ricordi prendessero il sopravvento.
 Come entrambi i suoi piedi furono sulla piastra di metallo mobile, il vetro insonorizzato che fa la differenza tra vita e morte lo avvolse.
Provò a tirare un pugno, ma si fece solo male alla mano.
Non aveva scampo, non più.

 Finnick aveva voglia di scappare, di correre.
 Finnick aveva voglia di urlare al mondo che tutto ciò era ingiusto.
 Finnick li voleva condannare.
 Finnick voleva essere a casa; voleva morire per tornare vicino al mare in una cassa di legno sporca.
 Ma Finnick non si mosse: semplicemente, tacque.
 Assaporò ogni respiro preparandosi a quella che sarebbe potuta diventare la fine.
 E che gli Hunger Games abbiano inizio, caro Finnick Odair.












* Lacrime salate... ...
un acqua che Finnick voleva fermare. = mia citazione dalla OS 'Il primo mentore sull'hovercraft.'





 My (little) space:
Alloraaaa :3
 Dato lo sciopero collettivo a scuola, sono riuscita a finire il capitolo :3
 Inizio a ringraziare MOLTO calorosamente le quattro persone che hanno recensito, e le due che mi hanno messo tra i preferiti. Davvero, mi fate piangere il cuore (':
 Questo capitolo è un'altra anticipazione dell'arena. Ci tenevo a metterlo perchè penso che non ci sia niente di più spaventoso del "tubo". Cioè, è anche peggio dell'arena stessa, a mio parere!
 Aspetto le vostre impressioni (:
 Hope you don't mind ;)
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥

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Capitolo 3
*** You better run. ***







Chapter two:
You better run.





  La lastra di metallo ai suoi piedi iniziò a muoversi, imperterrita di ciò che avrebbe causato: la pallida luce che veniva dalla superficie sarebbe stata la tomba di sogni, di amori. Sarebbe stata l'assassina di lacrime mai piante e parole mai dette. Quella luce artificiale, che da tutto proveniva tranne che dal sole, avrebbe accolto i loro corpi ancora caldi di vita, martoriati da una spada o colpiti da una freccia. Sotto quella cupola, ragazzi puri avrebbero venduto ciò che erano per diventare assassini a sangue freddo e tornare a casa con le proprie gambe.
 A che prezzo?
 Tenevi il tuo respiro e prendevi il pacchetto promozionale con gli incubi dei tributi che avevi dovuto uccidere: erano esattamente come te. Stesse speranze, stessa famiglia a casa, stessa voglia di andare avanti dopo l'inferno. Stesso rosso, stessa pelle, stessi occhi imploranti davanti alla morte. Stesso cuore che batteva all'unisono col tuo.
 Finnick lo sapeva, ed era questo a spaventarlo: le conseguenze che la vittoria avrebbe avuto sulla sua mente, sul suo modo di fare, sulla sua vita. Su Tess. Su Annie.
 Chiuse forte gli occhi e mise le mani a tappargli le orecchie, contò fino a dieci in un sussurro quasi impercettibile. E' così che gli era stato insegnato a fare per calmarsi. Spesso e volentieri, capitava lo facesse come per svegliarsi, quando tutto sembrava solo un brutto sogno. Quando si decise a guardarsi intorno, aveva ancora addosso la calzamaglia e davanti un cono d'oro, riempito da ogni tipo di arma. Quella maestosa struttura era in bilico su un isolotto circondato da acqua. Finnick stava per piangere dalla gioia: certo, non acqua azzurra, come il mare, ma acqua verde e putrida, infestata da piante e chi sa quali ibridi. Comunque, acqua. Era pieno di insetti, forse Aghi inseguitori. Nessuna via per arrivare alla Cornucopia se non attraversando il canale, dove galleggiavano tanti zaini, alcuni dai colori sgargianti e altri più mimetici, a nuoto. Finnick si voltò, cercando di vedere cosa avesse alle spalle: piante basse, un altro fiume ricco di ninfee non troppo lontano. Alberi radi, sembravano tutti salici piangenti o pini. Nessun nascondiglio, a prima vista. Quella sarebbe stata una delle edizioni dei giochi più cruente. E le probabilità di un'immensa agonia sembravano aumentare sempre di più. Guardò in faccia gli altri tributi: Alliyah sfoggiava uno dei suoi sorrisi più sadici non troppo distante da lui, Kae e Mar - o forse si chiamava Marylin, la biondina del 2 - si scambiavano occhiate complici, cercando vittime da mietere il prima possibile. Junior lo guardava attentamente, cercando di indovinare se se la sarebbe svignata o meno. Il quattordicenne reggeva lo sguardo, provando a capire cosa stesse pensando. Quando il favorito dell'1 gli fece cenno con la testa, il Figlio del Mare capì: un ragazzo alla sua destra, distante non più di dieci metri, tremava. Sicuramente, aveva paura dell'acqua. Lui si voltò di nuovo verso il compagno, che si passò un dito tra testa e collo in modo agghiacciante. Ecco che voleva: o lo uccidi, o io ucciderò te. Non voleva essere un assassino, ed era questo il momento per scegliere: morte o incubi?
 - Signori e signori, che i sessantacinquesimi Hunger Games abbiano inizio! - trillò la voce di Claudius Templesmith sopra le loro teste.
 Morte o incubi?
 Non dormire più e essere torturato dagli occhi verdi di quel sedicenne che già l'acqua aveva quasi ucciso?
 Il cronometro sulla Cornucopia segnava 60.
 59...
 58...
 - Finnick, me lo fai un sorriso? -
 gli chiedeva Tess, alle volte.
 Finnick, perchè non sorridi? Sei un favorito, dovresti spaventarli.
 Ma la sua testa veniva tartassata: morte o incubi?
 Non sapeva come muoversi, che fare.
 In realtà erano loro, a terrorizzare lui.
 30...
 29...
 28...

 Zeph, il tredicenne scaltro e veloce del due, iniziava a prepararsi per il tuffo. A nuotare era uno dei più veloci - niente in confronto a Finnick, ovviamente - , ed era bravo con ogni arma. Aveva i capelli neri e degli occhi blu cerulei che sembravano innocenti. In realtà, era un mostro. Bravissimo con le asce e le balestre, sapeva accendere un fuoco con qualsiasi cosa. Ecco la vera disgrazia dell'essere in arena con lui: era un piromane.
 10...
 9...
 8...

 Il tempo stringeva, le domande aumentavano.
 Cosa vuoi fare della tua vita, Finnick?
 Come vuoi che sia il tuo futuro?

 7...
 6...
 5...

 C'era chi pregava un ultima volta, chi si preparava allo scatto per raggiungere il bagno di sangue o per correre dal lato opposto, per scappare.
 4...
 3...
 2...

 Solo Finnick era fermo e si domandava ancora:
  - 
 Cosa vuoi fare della tua vita, Finnick? Come vuoi che sia il tuo futuro? -
 1...

 - Voglio solo averlo, un futuro. -



 Come preannunciato, Zeph fu il primo ad arrivare al corno dorato, in pochissimi secondi.
 La dodicenne del sei era scappata via, rapida verso l'ignoto.
 Alcuni stavano correndo in direzioni diverse, altri si erano lanciati a capofitto nella battaglia.
 Il ragazzo che Junior aveva indicato era ancora pietrificato, in bilico sulla lastra di ferro. I suoi occhi verdi cercavano aiuto nei visi di coloro che sarebbero potuti diventare i suoi carnefici. Finnick non sapeva come muoversi, fin che non si osservò intorno meglio. Il ragazzo del due setacciava le armi nella ricerca di qualcosa da usare. Mar, robusta com'era, stava lottando con la tributa del 7 che faceva di tutto per scappare dalle sue braccia. Kae era alle prese con la sua prima vittima, il mostruoso diciottenne del Distretto 12. Finnick osservò: le sue grida, i tentativi vani di combatterla. Lei gli s'era seduta sopra il ventre, provando a tenerlo fermo solo con le proprie forze. Quando notò che non ce l'avrebbe fatta, si fece lanciare due coltelli dal compagno: col primo, gli piantò la mano a terra; col secondo, gli trapassò il collo. Il primo cannone avrebbe suonato per lui. Alliyah, che era arrampicata sulla Cornucopia, aveva già piantato una fiocina tra le scapole di uno dei ragazzi che stava nuotando alla disperata ricerca di uno zaino.
 Era questo quello che voleva fare?
 - Forza, Odair! Tieni questa e fa' quel che ti ho detto! - quello di Junior era più un ordine che altro.
 Il quattordicenne acchiappò al volo la lancia che il rosso gli tirò e la scagliò contro quel tributo ancora fermo, colpendolo in mezzo alla fronte. Non ci aveva neanche pensato: era come se il suo braccio si fosse mosso da solo in preda ad un rapsus di follia. Solo mentre le urla dello sciagurato si propagavano per l'arena, capì che una vita era appena finita a causa sua. Era un assassino, non poteva più tornare indietro. Cosa avrebbe pensato sua sorella di lui? - Scusa, Tess. - sussurrò piano, mentre la sua vittima ancora barcollava. Quando non riuscì più a reggersi in piedi, cadde nel lago, e il Figlio del Mare rabbrividì: l'acqua era diventata rossa. Rossa come il sangue. Non poteva essere vero. Non era possibile. I suoi incubi si stavano concretizzando uno per uno, e tutti negli stessi istanti.
 L'acqua e il rosso erano due universi troppo lontani per fondersi, pensava Finnick. Ma l'impensabile era appena successo.
 - Grande Finnick! - urlò la biondina, che, stanca di combattere, pose fine alle sofferenze della ragazza spaccandole il collo con un sonoro crack! e guardando altrove.
 Cosa aveva fatto?
 I suoi muscoli non rispondevano più al cervello: era come se tutto fosse scollegato. Le sue gambe correvano rapide intorno al canale, fino a che Zeph non gli lanciò una cintura foderata di coltelli. Lo guardò per ringraziarlo, prima che squartasse un tributo che s'era avvicinato troppo al corno d'oro con la sua spada. Era il figlio di un vincitore, per lui versare sangue era la cosa giusta. Solo chi versa sangue, è un bravo ragazzo. Il corpo esanime cadde in acqua, tagliato a metà. Quando vide delle frecce volare, non fu troppo difficile capire chi ne fosse la causa: Kae era in piedi sulla Cornucopia, con l'arco in mano e l'occhio sinistro chiuso, come suo solito per prendere la mira. Centrava ogni bersaglio: nuotatori colpiti alle spalle che galleggiavano in quel mare di morte e disperazione, corridori a terra con i polpacci trapassati. Non li ammazzava per lasciare ad Alliyah e Mar il divertimento di vederli soffrire e chiedere perdono per peccati mai commessi. A loro, d'altro canto, piaceva vederli implorare, davanti alla fine certa. L'ultimo bagliore di luce abbandonava i loro occhi e le due ragazze avevano un sorriso sadico dipinto in viso. Continuavano a martoriare quei corpi anche quando non c'era più vita. Lo trovavano eccitante.
 Il ragazzo dai capelli color carota prese Finnick per il braccio e lo portò all'inseguimento del tributo del distretto 8, che s'era trattenuto troppo nella zona del bagno di sangue alla ricerca di un'arma che, evidentemente, non aveva trovato. Aveva i capelli chiari, gli occhi scuri e un corpo non troppo robusto. Era veloce, certo. Ma loro di più.
 Junior gli saltò addosso come fa un giaguaro con la preda nel momento prima di ucciderla. Non ci mise molto ad immobilizzarlo.
 - Finn, avanti! Passami uno dei tuoi pugnali! - urlò risoluto.
 E il quattordicenne obbedì. Appena le dita del diciottenne si serrarono intorno al manico della lama, il malcapitato emise un urlo e iniziò a divincolarsi sotto il ventre forte del favorito. Lui, per tutta risposta, rise e andò a creare un profondo taglio sulla tempia della sua vittima. La sua voce echeggiò nell'arena, costringendo tutti a voltarsi. Tutti, tranne Finnick. Non voleva assistere all'orrore a cui anche lui aveva contribuito. Si odiava per questo. Quando notò che non c'erano altre torture in corso, a parte quella da cui cercava di fuggire, vide anche che, quello che prima era un paesaggio come un altro, ora era dominato dal rosso. Era ovunque: rosso sull'erba, rosso nell'acqua, rosso sulle loro mani. Rosso nel sangue dei bambini dilaniati che avevano appena strappato alla vita. Le loro anime erano rosse. Perchè loro erano assassini. Anche lui. Aveva ammazzato un ragazzo che non riusciva a muoversi per paura. Aveva scagliato una lancia senza neppure pensare alle conseguenze che le sue azioni avrebbero avuto. Un cuore aveva smesso di battere a causa sua, rendendolo
rosso.
 Tutto si collegò nella sua mente, e i pensieri divennero insopportabili, insostenibili. L'agonia del tributo del distretto 8 continuava. Non aveva più due dita, le unghie delle mani, la calzamaglia aveva diversi tagli in tutte le parti del corpo. Era evidente che il suo compagno voleva dare spettacolo ancora per molto.
 - Va' al diavolo, Junior! - urlò senza pensarci troppo. - Hai intenzione di continuare per molto? -
 Il favorito si girò verso di lui, guardandolo con un'espressione a metà tra rabbia e confusione. Quegli occhi neri come la morte lo stavano sfidando. E Finnick accolse la sfida: si tolse un pugnale dalla cintura, e lo piantò nel petto di quell'ammasso di carne informe a cui era già stato fatto il servizietto.
 Finnick voleva morire.
 E il primo cannone sparò.
















My (little) space:
 Okay, diciamo solo che mi è costato una fatica immane e fa schifo lo stesso (':
 Ma voi siete fantastici e ci tengo a ringraziarvi di nuovo per tutte le belle parole che mi regalate (':
 GRAZIE
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥


ps. Evitate di parlar male di Junior nelle recensioni, perchè lo amo e potreste fare una brutta, bruttissima fine :3

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Capitolo 4
*** I'm not a killer; not like them. ***







Chapter three:
I'm not a killer; not like them.





 Dieci.
 Come i colpi di cannone.
 Come le vite strappate al mondo.
 Come gli ostacoli in meno verso casa.
 Come i corpi che giacevano sull'erba o nel prato, come i donatori del sangue che colorava l'ambiente.
 E Finnick si odiava.
 Tutti i favoriti ghignavano, ridendo di un omicidio o di un altro.
 - L'hai vista come si divincolava? - chiedeva tranquilla Mar, affilando un ramo col coltello.
 - Sì! - grugniva Alliyah. - Era terrorizzata! Ti prego, non uccidermi...- la imitava, e un altro sadico sorriso le colorava il volto.
 E Finnick che diceva?
 Lui taceva e si guardava i piedi.
 Come avrebbe fatto a tornare a casa? Cosa avrebbe detto a Tess? Sicuramente la ragazzina aveva guardato tutto in Tv, sperando che il fratello non si macchiasse di colori che non avrebbe potuto cancellare neppure il tempo. Ma lui l'aveva fatto: un violento strappo aveva separato il Finnick che era dal Finnick che era diventato. Un assassino, ecco cos'era. Un assassino a sangue freddo e niente di più. Come sarebbe riuscito a riabbracciarla? Ad accarezzarla, con quelle stesse mani che avevano tolto una vita al mondo? A baciarla, con quella bocca che non aveva neppure detto una parola per aiutare quel ragazzo? Tutto il mondo sembrava cascargli addosso: il cielo pareva cadere, la terra sotto i piedi tremare e franare per inghiottirlo. Si sarebbe nutrita di lui, della sua anima, di tutto ciò che ancora lo rendeva vivo. Perchè vivo, Finnick, non lo era più da un pezzo, precisamente dal giorno in cui il padre iniziò a bere. E lui iniziò a nascondersi. Sentiva le grida, ma si costringeva a non vedere quello che accadeva: sotto il letto tutto era cupo, freddo. Era come la realtà: buio. Finnick aveva imparato a vivere, in quel buio. Ciò che gli riusciva impossibile era conviverci. Un po' come quando nasci cieco: non sai com'è il mondo, quindi riesci ad andare avanti immaginandolo. Ma quando smetti di vedere dopo mesi o anni, è come se tutto finisse improvvisamente: niente luce, niente visi, niente di ciò che conoscevi esiste più per i tuoi occhi. Solo per i tuoi, perchè gli altri vedono ancora il sole. Questa è la convivenza peggiore, quella a cui non ti abitui mai. Le cose che hai perso, quando non ritornano. Quando Finnick si nascondeva, sembrava la cosa giusta: il non vedere e non avere mai visto, immaginando un prato costellato di margherite e facendo finta di non sentire quelle urla. La consapevolezza di non aver provato neppure ad aiutare, però, si faceva strada in lui pian piano nei giorni. E lo logorava. E lo bruciava dentro. E gli toglieva il respiro, costringendolo a piangere. Lo faceva sentire inutile e, agli occhi di quella famiglia, lo era: solo il vincere quei giochi lo avrebbe potuto riscattare. Finnick lo sapeva. Ma il buio e il rosso erano forti. Sapeva anche questo.
 - Tu lo sei di più, fratellone! - avrebbe detto Tess, se fosse stata lì. Ma Tess non c'era. Tess non poteva parlargli. A Tess, non restava che pregare. Finnick non era religioso, ma lei sì: confidava in qualcuno che avrebbe salvato il mondo rendendoli liberi. Che brutta parola, pensava il ragazzo ridendo in faccia alle farneticazioni sulla Nuova Panem della sorella. Non era il tipo da accettare la sua condanna senza lottare, ma questa volta non lo avrebbe fatto: non voleva che qualcuno sfiorasse anche solo con un dito i capelli neri e ricci di quella bambina che lo aspettava a casa. Tess lo guardava attenta. Era diventata il suo angelo custode, ricambiando il favore al fratello che a scuola la difendeva dalle stronze.
 - Finn, tu che ne pensi? - chiedeva uno Zeph estasiato da non si sa quale parte di un discorso che il Figlio del Mare non aveva neppure lontanamente seguito.
 - Riguardo cosa? - domandava imabrazzato.
 - Odair, sicuro di stare bene? - e il colpetto alla spalla di Junior faceva più male del previsto. Le sue risate gelide gli distruggevano i timpani facendogli tremare il cuore.
 - Ah, Junior, piantala! Sarà solo un po' scosso: in fondo, non capita ogni giorno di finire agli Hunger Games! - non si aspettava che qualcuno lo difendesse, ma Kae lo aveva fatto. Mentre affilava la punta della sua freccia con un coltello preso alla Cornucopia, alzava rapidamente gli occhi chiari che, inaspettatamente, si scontarono con quelli verdi del ragazzo. Le sue guance arrossirono, e tornò a concentrarsi sul suo lavoretto. Era bella, così semplice e letale. Soprattutto letale. I capelli color della neve incorniciavano quel viso decisamente troppo chiaro macchiato da piccole lentiggini. Le lunghe ciglia la facevano sembrare una bambola di porcellana, di quelle che nel distretto 4 a volte si potevano permettere le famiglie ricche. Quelle più invidiate, perchè  lavorate da mani esperte che sapevano esattamente come renderle perfette. Così era lei: il naso all'insù, le labbra sottili e le fossette un po' spostate verso le orecchie. Piccole zampette di gallina rendevano le sue espressioni ancora più inconfondibili.
 - Grazie, Kae. - sussurrò, prima di voltarsi verso gli altri favoriti. - E quindi cosa mi sono perso? - tentò disinvoltura. Ma fallì. Era palesemente teso. Non ci voleva una scienza a capirlo.
 - Vogliamo andare a caccia. - in un primo momento, era tentato ad accettare. Ma poi il termine caccia prese un altro senso, molto più macabro. - Pensaci: non ci sono nascondigli. Più ne uccidiamo, più siamo vicini alla vittoria. - 
 Era vero: pochi alberi, solo un fiume e il lago della Cornucopia. Le grotte sarebbero state facilmente individuabili. Ma come avrebbe potuto rifiutare? Si sarebbe semplicemente condannato. E non avere scelta è la cosa più brutta al mondo, perchè ci porta a prendere la scelta peggiore. Annuì rapido, senza aggiungere parole che sarebbero potute risultare inutili al suo discorso. Tacque, e in quel silenzio ci furono urla disperate, richieste di aiuto, pianti e ferite; ricordi abbandonati al vento pronti a volare via contro la volontà di chi avrebbe voluto tenerli stretti al proprio cuore. Perchè i ricordi sono solo pezzi di vita che ti tengono fermo al tuo passato senza andare al futuro. E' in quel passato, che Finnick si sarebbe rifugiato volentieri: si sarebbe concesso di morire solo per vagare nel tempo e vedere quanto era bello sorridere e cosa si provava quando tuo padre ti abbracciava e ti chiamava campione. Oramai, non se lo ricordava nemmeno più: era da troppi anni che dalla bocca dell'uomo non uscivano parole di conforto per il figlio. Da quando gli incubi erano ricominciati. Il vero terrore del quattordicenne era quello di diventare come lui. Non voleva, avrebbe combattuto con se stesso per non farlo.
 Non doveva lasciarsi andare, perchè chi si lascia andare è perduto.
Era ancora seduto su quel prato, mentre guardava il ragazzo dell'1 avvicinarsi all'orecchio della compagna per sussurrarle qualcosa. Lei, semplicemente, fece cenno di sì con la testa, e si avviò verso di lui.
 - Abbiamo deciso di dividerci in gruppi. Jun ti voleva con sè, ma l'ho convinto ad andare con Zeph mentre Marylin sta con Alliyah. - e gli tese la mano. Non era un gesto teatrale, e neppure pianificato. La grossa curva che le colorò il viso ne era la prova. - Alzati e andiamo, allora! - era gentile, con lui. Nessuno dei favoriti lo era mai stato. Forse era stata incaricata di ucciderlo. - Prendi una lancia, io porto l'arco. - e gli sorrise di nuovo.
Kae era sicuramente il migliore dei mali che avrebbe potuto subire.
 
 
La passeggiata fu piacevole, la ragazza faceva di tutto per parlare e distrarsi. Aveva sicuramente più paura di quanto sembrasse. Era una bambina dal corpo bianco e dalle guance rosse. Rosse, ma di un rosso piacevole perchè Finnick non avrebbe dovuto sopportarlo a lungo. Uno dei due sarebbe morto prima della settimana successiva, con ogni probabilità. Quindi non avrebbe neppure avuto il tempo per temere i colori che le dipingevano il volto. Cercavano cibo insieme, quando un urlo squarciò l'aria. La favorita sembrava diventata un segugio alla ricerca della fonte del rumore: la freccia stretta in mano pronta ad essere incoccata, il viso che si girava prima a destra e poi a sinistra provando a capire se il cannone avrebbe sparato. Ma nessun cannone sparò. Solo altre grida a distruggere il cielo di un azzurro perfetto, quasi inquietante.
 Le dita del ragazzo intersecarono quelle della ragazza mentre la sua voce chiara pareva un ordine: - Corri, Kae! Corri! -
 Per andare dove? Se era lì vicino, non sarebbero potuti scappare comunque. Se era uno dei loro compagni, non avrebbero potuto salvarlo. Ma lei doveva correre con lui. Per allontanarsi dal male nascosto in ogni angolo di quell'arena, per fargli sentire che lo sosteneva nonostante la sua vita significasse la morte dell'altro. Dopo non troppo, si trovarono in uno spiazzo d'erba più alta che negli altri posti dove erano stati. Davanti a loro, una scena raccapricciante: Alliyah e Mary erano chine su una tributa che si divincolava impotente. Zeph e Junior arrivarono quasi contemporaneamente a loro: il secondo corse subito verso la vera azione, ma il primo si pietrificò. Finnick non capiva perchè, fino a che non osservò meglio la vittima: aveva tredici anni. Come il ragazzo del due. I suoi occhi blu lasciavano chiaramente trapelare il terrore nel vedere quel corpicino letteralmente aperto a metà dalle due diciassettenni. E ancora non moriva. - Lasciatemi, vi prego! - le lacrime le bagnavano le guance. Aveva gli stessi occhi di Zeph, sembravano appartenere alla stessa famiglia. Lo stesso blu ceruleo. Forse solo ora il ragazzino si accorse del fatto che sarebbe stata la stessa fine che avrebbe fatto lui, se non fosse scappato il prima possibile: in fondo, non sarebbe mai potuto essere utile. Sapeva combattere, certo, ma i più giovani rappresentano sempre un peso. Le sue gambe non risposero più al cervello e iniziò ad attraversare la piccola radura più veloce della luce: a Finnick parve un piccolo fulmine a ciel sereno, di quelli che vedi un attimo e il secondo dopo già non ci sono più.
 Junior alzò il viso dalla ragazza che giaceva a terra. La sua espressione diventò indefinibile: guardò quel piccolo corpo che correva come un traditore. E forse lo era, ma quella situazione era più grossa di lui.
 Alzò il coltello.
 Kae si raggomitolò al petto del tributo del 4 come fanno i gatti col padrone.
 Un urlo disumano.
 La ragazza dell'1 iniziò a piangere.
 E il cannone sparò.





 My (little) spacee:
 Aloha!
 Allora, inizio dicendo che non sapevo come finire questo capitolo, quindi vi ho lasciato con la suspance (?)
 Continuo ringraziando tutte le persone che hanno letto e recensito (o non recensito) gli scorsi capitoli: sono all'ottavo posto nella classifica delle multicapitolo brevi con più parole per recensione e all'undicesimo posto nella classifica delle multicapitolo brevi con più recensioni positive per capitolo! E sono solo al quarto!
 Grazie!
 Finisco scusandomi se non rispondo alle recensioni, ma domani inizierò a rispondere a tutti!
 E piesso (parola di mia invenzione, voce del verbo "piessare" che significa introdurre un ps) con una domanda: che ne pensate dei favoriti di questa edizione che ho inventato? Sono credibili? Il vostro preferito? Quello che odiate di più?
 Il mio preferito è Junior, e odio Alliyah (':
 Cioè, non è una sola domanda, ma mi serve per migliorarmi ;)
 Inoltre vi prego di non uccidere Kae a parole per il rapporto che le ho dato con Finnick: capirete più avanti ;)
 Bascio ♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall ♥

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Capitolo 5
*** Just careers or something more? ***







Chapter four:
Just careers or something more?




 A Queen che, come me,
 ha un debole per i cattivi
 e per i 30 Seconds to Mars.





 
 La sera scendeva rapida nell'arena mentre le imprecazioni di Junior diventavano sempre più colorite e meno delicate. L'aveva mancato. Lui, che non mancava mai, aveva mandato il suo stiletto a conficcarsi in un tronco accanto all'orecchio del tredicenne del due e non nel suo cranio. La sua ira stava diventando implacabile, mentre il cielo iniziava a colorarsi di viola. Era un colore innaturale, nonostante fosse il crepuscolo. Tutti tacevano davanti al diciottenne che con i suoi coltelli trafiggeva parti nel terreno a caso, per sfogare la sua rabbia. E meglio che lo facesse così che non si accanisse su di loro.
 Quando ormai l'erba era bucherellata qua e là, l'inno di Capitol City risuonò all'orizzonte. Ancora non era buio.
 - Undici morti, in totale, giusto? - chiese Alliyah, calma.
 - Undici che sarebbero potuti essere dodici, se qualcuno non avesse sbagliato mira... - la frecciatina di Marylin era palesemente rivolta al rosso, che le avrebbe volentieri puntato il coltello alla gola, se non ci fosse stata Kae a tenerlo buono. Non era guerrafondaia per indole, diciamo solo che sapeva come e quando farsi rispettare. Anche Finnick lo avrebbe fatto, se non fosse stato certo che lo avrebbe ucciso, come minimo. Ma con lei c'era qualcosa di diverso, come se si conoscessero.
 La prima a comparire in cielo è la ragazza del distretto 3, naso acquilino e corti capelli scuri. Quella che aveva lottato con Mar.
 La segue il suo compagno, dai capelli corvini e gli occhi verde mela. Uno dei tanti colpiti mentre cercava di nuotare.
 Il ragazzo del Distretto 5 illumina il cielo. Era il tributo squartato dalla spada di Zeph perchè troppo vicino alla Cornucopia.
 La tributa del 7, quindi entrambi i ragazzi del 6 sono vivi. E' la malcapitata uccisa da Alliyah e compagna.
 - Diamine, con lei ci siamo proprio divertite! - ringhia una delle due.
 Il settimo distretto ha perso anche il tributo maschio. Un brivido percorre la schiena del Figlio del Mare: capelli biondi, occhi verdi.
 - Questo l'hai ammazzato tu, non è vero Odair? - chiede Junior in una mostruosa risata.
  Anche la lei dell'8 è fuori, con il suo amico. L'altro ucciso da Finnick, per salvarlo dal mostro dell'1.
 - Dai, Finn, potevo dare un altro po' di spettacolo! -
 I distretti periferici vedono solo quattro dei loro tributi andarsene: la ragazza del 9, il ragazzo del 10 ed entrambi quelli del 12.
 - Lui l'ho ucciso io... - sussura Kae a denti stretti, guardando la luna. Non sembrava felice o fiera per ciò che ha fatto, anzi, il contrario. Era strano, contando che era una favorita e sarebbe dovuta morire dalla voglia di uccidere.
 Ma lei non era così: fosse per lei, forse, non avrebbe alzato un dito contro un avversario.
 Il fuoco scoppiettava sui ramoscelli, mentre i favoriti stavano seduti intorno alla fioca luce calda. I loro occhi puntati su uno zaino pieno di cibo, scegliendo quale addentare prima. La ragazza del Distretto 2 si fiondò rapida su una busta di carne essiccata. Sapeva della guerra che sarebbe scoppiata con la favorita del 4 per quelle due strisce di pancetta, ma era pronta a lottare. Il rosso, stranamente, era molto per le sue: non parlava, non cercava nulla da mettere sotto i denti. Si masticava le unghie e, sicuramente, s'era già massacrato a sangue l'interno guancia. La sua compagna siedeva malinconica, tenendo le gambe strette al petto. Era una posizione un po' innaturale, per una come lei sempre pronta a mettersi in gioco. Non le vedeva gli occhi, ma poteva scommettere avesse pianto. Non era difficile capirlo: dato il loro colore chiaro, bastava una fugace lacrima a renderli rossi e gonfi. Il Figlio del Mare si guardava intorno, innocuo, indeciso sul da farsi. Rimanere in quel gruppo e in quell'apparente sicurezza o scappare incontro alla morte, per ciò che davvero si è?
 Marshmallow s'abbrustolivano sulla bollente fiamma mentre tutto continuava a tacere. Alliyah e Mar strafogavano la metà delle scorte come se non avessero mai visto alimenti prima. Nessuno avevaapparende voglia di parlare, fino a che una voce calma ruppe il silenzio.
 - Chi avete, voi, ad aspettarvi? - non era un sentimentale, ma lo sconforto stava avendo la meglio. Forse non era l'argomento giusto, ma avrebbe pagato oro per riuscire a distrarsi.
 La domanda lasciò tutti i favoriti, che si voltarono a guardarlo, perplessi: era davvero lui ad averlo chiesto? Da qualcuno ci si sarebbe aspettata una domanda del genere, ma da lui proprio no. La fiamma stava sciogliendo anche il suo cuore di ghiaccio. Il silenzio, comunque, non durò molto: Marylin decise di rispondere prima di chiunque altro.
 - Io ho quattro sorelle e un fratello ad aspettarmi. Mia madre è morta e mio padre è mentalmente instabile: sono tutto ciò che hanno... - il suo tono era privo di emozioni: nè tristezza, nè malinconia, nè rabbia. Sembrava che non gliene fregasse nulla.
 - Mio fratello, Caden, è il mio mentore. - spiegava mesta Alliyah. - Vuole che vinca per vantarsi di me. E io voglio essere come lui, ecco perchè mi sono offerta... - concluse. Era vero: la diciassettenne aveva fatto un balzo avanti con quel suo vestito rosa da mietitura che la faceva sembrare un gorilla col tutù. Aveva osservato la telecamera senza dire una parola. Dopo aver sciolto i capelli, fulminò con lo sguardo i telespettatori e sorrise di un sorriso agghiacciante. Accanto a lei, era arrivato lui: bassino, muscoli poco scolpiti, grandi occhi verde mare e capelli ramati. Il viso dipinto da un pittore coi tratti di un bambino. "Il Bello e la Bestia", li avevano soprannominati i cronisti. Ogni singolo capitolino che avesse guardato le repliche, avrebbe scommesso sul Distretto 4.
 - Odair...? -
 - Oh, io ho mia sorella Tess, a casa. Ha dodici anni e temo che mio padre la picchierà: lui beve... -
non servì pronunciare il finale della frase. Temeva di scoppiare in lacrime, quando junior disse qualcosa che nessuno si aspettava, stupendoli di nuovo: - Wow, anche io ho una sorellina. Ha tredici anni e si chiama Indigo. Ma prima erano in due: Indigo e Sam. Indistinguibili, se non ci vivevi insieme. Ma Sam è stata estratta l'anno scorso: Sam Abbey, scommetto che la ricordate, nonostante sia morta alla Cornucopia. Io non ho potuto fare niente per salvarla. Voglio tornare perchè la mia carota non ce la farebbe senza di me... - nessuno fiatò:stava piangendo. Il mastodontico Favorito senza scrupoli del Distretto Uno che si emozionava parlando della sua famiglia. Finnick lo scrutò attentamente: non stava facendo come i coccodrilli, che piangono prima di mangiare la preda. Tutto ciò gli faceva male davvero, nonostante non lo desse a vedere: Junior Abbey aveva appena assunto una luce diversa agli occhi del quattordicenne. Una luce più umana. Se la ricordava bene, il Figlio del Mare, quella bimbetta così simile al suo piccolo angelo per corporatura e lineamenti. Aveva fluenti e lisci capelli arancioni del tutto identici a quelli del fratello e grandi occhi del colore delle castagne: uno sguardo indifeso che qualche mostro s'era divertito a far chiedere pietà, prima di stroncarlo e rendere tutto buio e rosso. E nessuno avrebbe potuto fare niente, niente per cambiare le cose. Tess, nell'arena, molto probabilmente, avrebbe fatto la stessa fine: sterminata da un tributo che, come lei, desiderava solo rientrare tra le mura accoglienti di casa.
 - Io non ho nessuno, a parte me. Sono sola. - Kae sussurrò queste parole più a se stessa che ai suoi compagni. Solo Capitol City aveva la colpa di tutto ciò: - I miei li hanno fucilati pubblicamente per furto, e io sono finita nell'orfanotrofio cittadino che avevo sette anni. -
 Gli orfanotrofi sono una delle cose più brutte al mondo: nel Distretto Quattro ce n'era uno buio, sporco, da cui provenivano grida disperate giorno e notte. Le educatrici erano a picchiare i ragazzi come gli allenatori dell'Accademia e anche di più. Usavano le fruste, e ogni colpo era una cicatrice. Si diceva ci andassero giù pesante, mentre i bambini non potevano difendersi e tacevano. Il loro unico sogno era finire agli Hunger Games, così che sarebbero morti o sarebbero diventati ricchi. In ogni modo, sarebbero scampati a quell'inferno.
 Finn immaginava una giovane Kae chiusa in una di quelle stanze senza via d'uscita. Provò a pensare come avrebbe potuto fare lei, ma non gli riuscì: sembrava avere dentro tutto il sole che le polverose finestre non avevano fatto passare in quei nove lunghissimi anni di vita rinchiusa. Era una gabbia, come quelle per i cani: solo chi ha la chiave può farti uscire, e lo fa solo il giorno della mietitura o quando sei maggiorenne e puoi finalmente andartene. Intanto devi subire le torture che gli adulti ti voglioni riservare in silenzio, accettando ogni loro volere e, in casi estremi, soddisfando le loro voglie.
 - Ragazzi, penso sia meglio dormiate: io e Alliy prendiamo il primo turno di guardia. -
 Nessuno contraddisse la biondina: era stata una giornata piena e a tutti serviva un po' di riposo.
 La luna era ormai allo zenit mentre una stella cadente attraversò quel manto scuro: che fosse un riflesso del vero cielo o solo un'invenzione degli strateghi, non importava, perchè ogni favorito espresse un desiderio. Junior rivoleva la sorellina con sè, la ragazzina coi capelli bianchi sperò di morire felice. Marylin sognò la gloria, Alliyah solo un altro po' di cibo. Finnick, inconsciamente, chiese al cielo il bene di quella ragazza albina. Chiese un suo abbraccio, un semplice "Mi mancherai" o anche solo una carezza in più.
 L'acqua aveva riflessi chiari e non si rifrangeva sulla riva come il mare. Era piatta, di una calma innaturale.
 Kae s'accuccio accanto a Finnick su quel letto d'erba alta, incerta sul da farsi. Dopo averla guardata di sottecchi per un po', lui finse di sbadigliare, portando il braccio destro a cingerle le spalle. Non ebbe più dubbi: mesta posò il capo sul petto del quattordicenne, proprio dove batteva il cuore. Lo sentiva rapido, troppo, ma non le importava poi tanto. Lo guardò e notò che, fingendo di dormire, sorrideva.
 La notte che avevano davanti si prospettava luna e pericolosa ma lei, con lui vicino, si sentiva più al sicuro.
 Perchè, a volte, i desideri si avverano.









 My (little) spacee:
 Sciiaooo raga!
 Allora, premetto che sono in lutto per la morte di una tributa in una storia interattiva e mi devo riprendere.
 ANCHE per questo, il capitolo manca di azione, ma volevo dare spessore ai favoriti che non sono solo assassini. Alliyah magari sì :3
 In più: sì, sto distruggendo la Fannie :3 Avete il diritto di odiare Kae, ma a me piace troppo! Shippo Kinn (?), io!
 Il prossimo sarà un altro capitolo "di passaggio" diciamo, prima della vera azione ;)
 Basciooo e spero vi farete sentire in molti!♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥

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Capitolo 6
*** What are you living for? ***





 

Chapter five:
What are you living for?




 A Coral,
 perchè "c'è una ragazza che si chiama Coral
 che ama i capitoli dedicati a lei." 




 
 La mattina fu annunciata da un urlo isterico di Alliyah.
 Finnick si alzò di scatto, dimenticandosi della testa di Kae sul suo petto, e si guardò intorno: alberi. Salici e ontani. Gli strateghi avevano fatto in modo di farli addormentare tutti, così che potessero cambiare aspetto alla palude. Adesso c'erano migliaia di possibili nascondigli, foglie disposte ad offrire riparo a tributi indifesi.
 - Che diamine significa questo? - gridò storcendo il naso Marylin, fregandosene di chi ancora non s'era del tutto svegliato. 
 Junior le sbadigliò in faccia: - Qualcuno deve avere degli sponsor molto influenti... -
 - In che senso? -
 chiede ingenuamente il Figlio del Mare, prima che la ragazza dai capelli chiari inizi a svegliarsi piano. - Buongiorno. - e le stampò un piccolo e sfuggente bacio sulla fronte. Tutti gli occhi dei favoriti furono, in un attimo, puntati su di loro.
 - Sono io, o hai fatto colpo? - chiese la compagna a Finn.
 - Come siete teneri! - disse la ragazza del 2.
 - Odair. Allontanati da lei. - sibilò il Rosso con gli occhi ridotti a fessure. Il quattordicenne sostenne lo sguardo, imperterrito. Sapeva che l'avrebbe potuto uccidere in un secondo, ma non capiva la sua gelosia nei confronti della sedicenne. In fondo, era in grado di scegliere cosa era giusto e cosa no. Non aveva bisogno di lui. Le iridi azzurre, quasi vitree, della ragazza si puntarono sul diciottenne, obbligandolo a tacere. A Finnick piaceva, questa sua sorta di autorità in grado di far stare zitto chiunque dovesse. Le sue labbra toccarono la guancia del biondo, che rispose con un sorriso semplice e spontaneo, di quelli che non accadono spesso. Il ragazzo del Primo Distretto aveva le orecchie paonazze di rabbia, ma si obbligò a non reagire. In fondo, il ragazzino gli serviva ancora: se la menava, certo, ma era l'unico in grado di attirare dei doni in quel gruppetto. - Prima o poi, arriverà anche la sua ora. - pensò. - E mi impegnerò perchè non sia indolore... - Nessuno doveva osare avvicinarsi a Kae. Nessuno. Soprattutto in quel posto. Era stata l'unica in grado di riportare luce nella sua vita dopo la morte di Sam, e da quel momento tutto aveva ripreso senso per Junior. Leggevano insieme, amavano dipingere, facevano ogni cosa che due ragazzi normali fanno. La sera prima, però, nessuno s'era ricordato dell'offerta del Favorito. Non avevano fatto caso alla mietitura, o semplicemente gli era passata di mente. Non erano innamorati, certo, ma era un po' la reincarnazione di sua sorella. E ora aveva l'occasione per salvarla. Per salvarsi. Per fare in modo che la sua anima non bruciasse all'inferno - nonostante sapesse che sarebbe accaduto comunque.
 - Il cibo sta finendo. - annunciò, infine, senza aggiungere altro.
 Ognuno capì che quella sarebbe stata una giornata di caccia. Presero un'arma a testa, e si avviarono in quello che ora era diventato una specie di bosco. Ai ragazzi dell'1, un arco e un paio di stiletti. Alla lei del 2, una spada. Ai ragazzi del 4, una fiocina e una lancia. Tutti una borraccia. Non ci fu discussione neppure per la scelta dei gruppi: maschi con maschi e femmine con femmine. In realtà, nessuno dei due moriva dalla voglia di stare con l'altro. L'aria tra loro era tesa, si poteva tagliare con un gesto della mano troppo rapido. Attraversarono a nuoto il canale e s'incamminarono rapidi. Dopo ogni passo sembrava che tutto si aggiustasse almeno un po'. Si ritrovarono tra le fronde dei salici piangenti a colpire scoiattoli, facendo a gara a chi lo prendeva prima. Non fu troppo difficile trovare un rigagnolo, con giusto un filo d'acqua. Poteva tranquillamente non essere potabile, ma all'accampamento avevano della tintura di iodio per purificarla. Si misero seduti, mentre tutto sembrava tacere, aspettando che fossero loro a parlare. Si guardarono, prima di iniziare a lanciare coltelli ai pesci, provando ad ucciderli. In realtà, lo scopo era puramente ricreativo. Meglio se, invece di scannarsi a vicenda, scannassero degli animali che potevano anche tornare utili. Ma nessuno dei due era in grado di rimanere seduto e fermo troppo a lungo, così finì che si alzarono e iniziarono a far rimbalzare dei sassi sull'acqua. Di certo, Junior non era bravo come Finn, che aveva anni di esperienza alle spalle, ma se la cavava. Il quattordicenne dai capelli chiari gli si avvicinò, spiegandogli piano qual era la giusta posizione da tenere e come muovere le mani.
 Tre colpi.
 Non male.
 Riprovò.
 Quattro colpi.
 Sembrava che la calma progredisse insieme al numero di volte che la pietruzza si alzava dall'acqua.
  - Junior, tu l'hai amata subito Kae?¹ - il coraggio che dimostrò il bambino, domandando ciò al gigante, per un attimo spiazzò entrambi. Era una domanda più che lecita, ma nessuno si sarebbe aspettato che arrivasse a domandarlo. Si piegò un po', mosse agilmente il polso e il sassolino partì.
 Sei colpi.
 - In realtà, io non amo Kae. - prima di essere interrotto, continuò: - Diciamo solo che non voglio che si affezioni a qualcuno che potrebbe ucciderla. Ecco. - la preoccupazione nella sua voce era smorzata, ma trapelava. C'erano cose che il Rosso, per quanto fosse impenetrabile, non riusciva proprio a nascondere. A volte, risultava proprio trasparente. Un libro aperto, ecco cos'era. Un libro di cui devi ancora esplorare le pagine ma che già conosci. Se non tutto, per metà. Se non per metà, un quarto. E se non un quarto, conosci la copertina. Sai cosa significa, ma non cosa ti aspetta a metà del racconto.
 - Sai che non sarò io ad ammazzarla. - sussurrò, un po' a lui e un po' a sè.
 Jun si piegò di nuovo: gambe divaricate, schiena non eretta, braccio pronto al tiro.
 Affondo. Nessun rimbalzo.
 Un colpo di cannone.
 - Sappiamo tutti e due che nessuno la ucciderà, se non lo farà uno di noi. - dice in fine, con una punta d'odio nella voce piatta. - Penso sia ora di andare. -ma, prima di muoversi, aggiunge: - Per cosa stai vivendo, Odair? -
 Non ribattè, forse intelligentemente, forse stupidamente. Ora i suoi istinti erano pacati, certo, ma ogni parola avrebbe peggiorato la sua situazione. Camminarono per un paio di kilometri, rapidamente, senza rivolgersi più la parola. Avevano cinque scoiattoli, tre uccelli e due pesci. Un paio di radici e due borracce d'acqua. Le ragazze li raggiungono non troppo lontano dallo spiazzo con la Cornucopia e il lago. Il Rosso era in testa, e la vide subito: la piccola albina aveva le guance rosse e le mani sporche di sangue. Quando li notò, una luce le illuminò gli occhi e tutto parve chiaro: corse rapida verso di loro. Il suo compagno aprì le braccia, pronto ad accoglierla, ma lei si precipitò addosso a Finnick. Dopo un attimo di indecisione, le sue mani si avvolgono intorno alla vita della ragazza, in un gesto che potrebbe essere fraterno come no. Il diciottenne bestemmiò, mentre le compagne lo seguivano attonite verso il corno d'oro, provando a calmare la sua ira.
 - Che problemi ha? - ride Kae pericoloramente vicina.
 - Semplicemente penso che tu gli piaccia. - dice Finn sorridente.
 - Oh, ma a me lui non piace! - esclama.
 - Ah, sì? E chi ti piace? - la malizia nella sua voce è inconfondibile. Gli occhi azzurri di lei lo guardano come se la risposta fosse la più ovvia del mondo. In effetti, lo è. Il Figlio del Mare sente una strana sensazione salirgli per le gambe, per le braccia, arrivare fino alla bocca dello stomaco e soffocare in gola. Non sapeva come si trovò ad avvicinarsi a lei ancora di più, mentre in quella foresta sembrò non esistere nessun altro al di fuori di loro. In un attimo fu come se tutto diventasse rosa, e i petali dei fiori iniziassero a volare. Nei film, di solito, si alzava anche una musica di violini come se tutti non aspettassero altro che un minimo contatto.
 Le sue iridi chiare, in effetti, richiedevano silenziosamente una leggera velocità. Velocità che lui non voleva acquisire, assaporando il momento dall'inizio alla fine: le passo un dito sulla punta del naso, portandola a ridere. Le scostò una ciocca di capelli bianchi - che, stranamente, erano legati a coda anziché a mo' di codini - dalla fronte, e le sue guance divennero rosse. Il rosso che aveva odiato in Annie, lo stava facendo impazzire in lei. Le prese il viso dagli zigomi con entrambe le mani. Ora nessuno dei due capiva ciò che succedeva e nessun tributo avrebbe osato interromperli.
 Le labbra si sfiorarono.
 Prima che il fuoco divampasse alle loro spalle.















 ¹= Frase riadattata: "Finnick, tu l'hai amata subito Annie?"





 
My (little) spacee:
 Questo capitolo fa cagare ed è scritto di getto. Ma è di una Kinnosità (?) assurda!
 Bene, sperando che non mi truciderete per il fatto che la mia storia non è ancora Fannie, vi ringrazio di cuore per le recensioni (diamine, sono tra le multicapitolo brevi più popolari e scommetto mi farete arrivare anche tra le più popolari e basta! :3)
 Biennn :3
 Ringrazio ancora di più Clovely per il fantastico nuovo banner *-*
 Sciiiaoooo chicos! 
 Hasta luego!♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥

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Capitolo 7
*** No light in your bright blue eyes. ***


 

 

 


 

Chapter six:
No light in your bright blue eyes.


 



 Penso sia doveroso un punto di vista diverso per spiegare al meglio gli avvenimenti dello scorso capitolo.
Capirete quando torno a Finnick.
Buona lettura :3

 

 

 Il piccolo Zeph tremava nel suo nascondiglio spoglio: una buca con solo delle foglie a coprirlo. La sera non era certo calda, neppure tiepida, e la tuta era leggerissima. Come essere nudo. Se i suoi alleati – o meglio dire ex alleati – avessero voluto ucciderlo, non ci sarebbe stato assolutamente niente a fermarli. L’unica cosa in grado di salvarlo era un aiuto, un qualche capitolino ricco che avesse provato compassione per il povero favorito tredicenne. Tutto ciò di cui aveva bisogno era un qualcosa da bruciare, dato che aveva già raccolto un paio di pietre da sfregare per mandare tutto in fiamme. Pregò silenziosamente che Enobaria sapesse cosa fare, nonostante era noto che non fosse chi sa quale genio. E s’addormentò con ancora le lacrime agli occhi. Fece freddo quella notte, sentì come se la terra tremasse. Sapeva che, se l’avrebbero voluto ammazzare, sarebbe dovuto essere ben sveglio. Così si costrinse a non pensarci: sarebbe arrivato alla sua fine a testa alta, abbracciandola e convivendoci. Ma ancora non era il momento. O almeno, questo fu ciò che lo cullò in un sonno senza sogni, così che non fossero incubi.
 Il sole timido dell’alba fece capolino anche per lui. I suoi occhi ci misero un po’ ad abituarsi alla luce fioca ma non troppo di quel cielo che pareva bruciare. Forse moriva dalla voglia di vedere fuoco, o forse quella fu solo una sua impressione. Decise di alzarsi senza un vero perché. Quando un paracadute argenteo arrivò col suo scampanellio e lo beccò in testa, si ricordò di essere nell’arena. Lo aprì e vi trovò una matassa di uno strano filo, qualcosa di simile ad una miccia. Lesse il bigliettino in allegato: “Fagli vedere quanto vali”. La calligrafia era sghemba, pendente, per niente femminile. Era stata la sua mentore a inviarlo, pareva ovvio. E, quando in fine si guardò meglio attorno, capì che non aveva fatto solo quello: ciò che al crepuscolo era niente più che un manto d’erba, ora era una foresta grande, piena di piante da far bruciare per divertimento e per la vita. Le ombre che creavano davano all’ambiente un aspetto, se possibile, ancora più spettrale di quanto già non fosse. Ma, per il bambino, era appena diventato il paradiso: finalmente quelle poche possibilità che aveva di tornare si stavano concretizzando, facendolo sorridere. Pianse un paio di lacrime - per la felicità - e ringraziò quella donna un po’ ottusa che gli aveva appena salvato la pelle. O l’aveva condannato, dipende dai punti di vista. Senza pensarci si mise a correre verso un salice. Si arrampicò agilmente fino ai rami più alti e guardò il panorama: era pieno di piante dalla corteccia morbida e dalle foglie larghe. Non come gli aghi dei pini, che per bruciare ci mettono un’eternità: solo una piccola scintilla sarebbe significata un incendio di dimensioni bibliche. Tutto perché qualcuno aveva scommesso su di lui. Piccolo e indifeso Zeph, mingherlino e senza armi da maneggiare se non la sua conoscenza in fatto di fiamme. Sorridendo al mondo, si mosse tra le chiome dei vari alberi srotolandola bobina attento a farla passare bene tra i rami, in modo che tutto si accelerasse. Lui sarebbe rimasto accanto al fiume, sentendo le urla degli sciagurati che sarebbero bruciati vivi a causa sua. Non sapeva se fosse splendido o semplicemente orrendo: non era mai capitato che scottasse qualcuno – a parte suo fratello Cato che si divertiva a prenderlo in giro, nonostante in casa fosse lui il maggiore, ovviamente – perciò non capiva come avrebbe potuto reagire: urla disperate, lacrime o semplicemente ghigni diabolici. Avrebbe riso mentre guardava Junior morire, forse? O sarebbe stato il contrario? Non lo sapeva, ma conosceva bene la regola del Carpe diem, cogli l’attimo in qualche strana lingua antica. E quello era il suo attimo, pronto a diventare qualcosa di mostruosamente grande. Sfregò rapido le due pietre, e la miccia s’infiammò, rendendo i salici prima verdi scuri e poi rossi. Si gettò rapido in acqua, mentre osservava il suo sogno di gloria prendere forma. Piano iniziò a risalire il fiumiciattolo controcorrente, per sbucare nel lago vicino alla Cornucopia, dove il rigagnolo sfociava. Pensava. Se niente fosse andato storto, allora avrebbe avuto salva la pelle. Altrimenti il suo compagno dell’1 non avrebbe avuto scrupoli e l’avrebbe fatto chiedere venia per ore, prima di dargli il colpo di grazia o prima che, semplicemente, fosse morto a causa delle ferite o del dissanguamento. Il letto del torrente era alto, il ragazzino era bagnato solo fino alla vita. Non sarebbe stata una buona via di fuga, dato che non permetteva di dare bracciate per nuotare o di muovere mesto le gambe per correre. Sentì il calore blandire l’erba accanto alla sua spalla, e sorrise beato mentre i favoriti stavano sicuramente scappando dalla sua trappola. Aveva corso intorno alla Cornucopia, in modo che tutto prendesse fuoco, stritolandoli nella sua morsa bollente. Lo stagno che stava attorno al corno d’oro non era lontano. Il tredicenne si abbassò ulteriormente in modo che solo la testa facesse capolino. Tutto era calmo, in un primo momento. Poi il caos. Junior corse fuori dalla foresta seguito dalle ragazze del 2 e del 4. Diamine, non era riuscito a farli bruciare vivi. Ma qualcosa di positivo c’era: il Figlio del Mare e la ragazza albina non s’erano ancora fatti vivi. Zeph sentì una morsa stringergli lo stomaco, a quel pensiero. In fondo, loro erano stati gli unici a non penalizzarlo per la sua giovane età e a non condannarlo per la sua paura. Inoltre Finnick aveva solo un anno in più di lui. Non sapeva esattamente cosa sperare: se fossero stati tutti interi, ci sarebbero stati due tributi in più da uccidere per tornare a casa. Se fossero morti, non se lo sarebbe perdonato. Eppure, in cuor suo, sperava di non vederli uscire dal folto, per non vedersi costretto ad ammazzarli in un’altra occasione. – In fondo, - pensò. – crederanno che questo sia stato solo un tiro mancino degli strateghi. – 


 

×
 

 - Corri, Kae, forza! Corri! –urlò il quattordicenne a squarciagola. La ragazza era caduta sbattendo il naso contro una pietra. Aveva le labbra – quelle che un secondo prima il giovane Odair stava per baciare – tinte dal sangue che continuava a perdere. Non riusciva ad alzarsi. – Kae, avanti, so che puoi farcela! –
 Ma Kae non ce la faceva. Guardò, con le lacrime che minacciavano pericolosamente di scendere dai suoi occhi vitrei, il ragazzo, facendogli cenno con la mano di andare al sicuro senza di lei. – Finnick, salvati! Non pensare a me! – Quelle parole fecero più male del previsto. Come poteva lasciarla lì, ora che tutto sembrava prendere la giusta piega tra loro? Sarebbe morta, come l’avrebbe fatto lui – in cuor suo, lo sapeva – ma non era questo il momento, e soprattutto non perché aveva preferito salvarsi la vita piuttosto che aiutarla. E poi, in realtà, la ragazza albina avrebbe anche potuto vincere: era bella, tanto bella e capace di fare tutto. Di combattere. Di uccidere. In un attimo le gambe del biondo si fermarono e fece dietrofront, incontro al fuoco. Tutto, per lei. Le arrivò accanto fulmineo, la prese in braccio ed iniziò a scappare. Fortunatamente il tragitto era breve e lui forte e veloce, nonostante il “peso” sulle braccia poco muscolose. Quando la lanciò nel laghetto per farle disinfettare la ferita, gli si lanciò al collo baciandogli la guancia.
 Ne era decisamente valsa la pena. E poi, lo sguardo del Rosso era uno spettacolo più unico che raro. Finnick avrebbe riso volentieri, alla vista del gigante del Distretto 1 geloso perché il quattordicenne gli aveva rubato la scena, salvando la sua “amata” – non l’aveva mai detto esplicitamente, ma era chiaro che la ragazzina piacesse ad entrambi. Questo avrebbe tranquillamente potuto portare il diciottenne ad ucciderlo nel sonno. Ma l’ira di Kae non sarebbe stata una cosa contenibile, quindi sapeva che non lo avrebbe fatto.
 - Come ti senti? –le chiese, con tono amorevole. Non sapeva dove avesse trovato quella voce che pareva appartenergli così poco, ma gli piacque. Così come parve piacere a lei.
 - Meglio, grazie. E grazie anche per essere tornato indietro. Ti devo la vita. –
 Junior esplose in una risata tanto glaciale quanto sprezzate, da far gelare il sangue nelle vene. In meno di un secondo quattro paia di occhi – cinque, se contiamo l’infiltrato ancora nascosto nel fiume - furono puntati su di lui, che continuò a ridere, imperterrito. Era evidente che voleva essere sentito, per una volta al centro dell’attenzione. Li guardò con sguardo assassino, prima di tuonare un: - Niente di meglio da dire, ragazza? – 
 Provò a non darlo a vedere, ma quella risposta così inaspettata le fece male davvero. Si alzò, uscendo mesta dall’acqua con il naso ancora sanguinante. Dovette mettersi in punta di piedi per guardare meglio il ragazzo, e ancora non arrivò all’altezza dei suoi occhi. Si avvicinò pericolosamente a lui prima di sussurrare: - Problemi, per caso? Ci tengo a ricordarti che la mia vita sentimentale non ti riguarda. –
 Le guance del destinatario della domanda diventarono dello stesso colore della sua chioma. Stava per lanciarle un’altra frecciatina, quando il suo sguardo si scontrò con quello azzurro ghiaccio del tredicenne nascosto nel fiume. Nulla importò più, mentre Zeph cercava di scappare nell’acqua, dando bracciate disperate e Junior corse verso di lui costeggiando il ruscello.  Tutti si voltarono un secondo attoniti senza capire che stesse accadendo, quando lo raggiunse e lo sollevò per la chioma scura, divincolante e piangente.
 - Jun, Jun, lasciami Jun! Ti prego… -disse tra le lacrime.
 - Tu mi preghi? –quasi sembrava divertito. – Vigliacco che non sei altro! Avevi paura. Ci hai abbandonato per poi farci bruciare vivi? –
 Nella mente di Finnick i pezzi non si collegarono fino a che Junior non pronunciò quella frase. Il ragazzino che si divertiva a dare fuoco ad oggetti a caso al centro d’addestramento. Gli alberi apparsi nel bel mezzo della notte. Il terrore sul suo viso e il fatto che li stesse pregando per farlo tornare nel loro gruppo, anche solo come pedina. Per un attimo, si immedesimò in lui: si vide scappare, si vide escogitare un piano per ammazzarli tutti. Si vide morto. Vide tutto il dolore che avrebbe provato Zeph.
 - Alliyah, Mary, portatemi tutti i tipi di lame che abbiamo all’accampamento. Qui c’è da divertirsi. – guardò il corpicino implorante del tributo del Distretto 2 con una luce sadica negli occhi neri.
 Come obbedienti soldatini di piombo, tornarono dal ragazzo dopo pochi minuti con una schiera di coltelli, lance e spade che sarebbero bastati per un esercito. Per prima cosa, usarono quattro pugnali per impalarlo al terreno, facendogli trapassare le sue mani e i suoi piedi. Urlò. Kae era combattuta, così come il Figlio del Mare. Se non avessero assistito alla tortura, gli avrebbero dato dei codardi. Se l’avessero fatto, avrebbero avuto incubi su quel corpo senza vita fino a che il paradiso non li avrebbe accolti. Lei lo abbracciò mentre il coltello recideva la tempia di quello che era stato uno splendido viso, ora dilaniato dalla rabbia e dalla cattiveria di quei ragazzi. Solo l’interno del Corno d’Oro pareva un posto sicuro. Il ragazzo sollevò la sedicenne da terra, portandola in braccio fin dove non  avrebbero più visto nulla. Le lacrime le arrossarono gli occhi, mentre le grida del tributo si facevano ora più forti ora più deboli. Alle volte si sentivano parole, suppliche strillate al cielo. – Vigliacco. – era la risposta più nitida e frequente. – Non riesci neppure ad andare incontro alla fine a testa alta. –
 Risate. Non di quelle che era capitato di sentire la sera, o quando si trovava del cibo e non si doveva attingere alle scorte. Risate di quelle che ti fanno rizzare i capelli in testa e venire la pelle d’oca. Risate di assassini che bramano nel vedere la loro vittima chiedere perdono per non si sa quale peccato. La ragazza albina si strinse sempre di più a Finnick, fin quasi a strozzarlo. – Scusa. – mormorò con le guance calde. La sua risposta, fu un semplice bacio sulla fronte.
 Ci vollero ore – che parvero giorni ai due Favoriti rintanati nella Cornucopia – prima che il cannone sparasse. Uscirono dal loro nascondiglio trovando gli alleati gongolanti.
 - E’ morto. –sentenziarono, come se qualcuno avesse dubbi. Non era semplicemente morto: tutto ciò che rimaneva di lui era un ammasso di pelle informe, privo di ogni tipo di organo. Le ossa in vista e gli occhi aperti. Li aveva guardati in volto mentre traeva l’ultimo respiro. Rendevano quello spettacolo ancora più raccapricciante. Mentre il fuoco bruciava ancora gli alberi, un hovercraft si decise a raccogliere quello scempio. Cato, il fratellino del defunto, piangendo davanti alla televisione giurò vendetta.
 Quando qualcuno si degnò di spegnere il tutto, rimase semplicemente cenere nera pronta a volare via col primo alito di vento. Nera come i capelli del bambino appena strappato al mondo. Nera come i ricordi che gli avevano annebbiato la mente. Nera come la morte, ma non come il sangue.
 Perché, il sangue, è rosso.



 










 My (little) spacee:
 Eccomi quaaa!
 Sinceramente, penso che questo sia il meglio riuscito dei miei obrobri :3
 Ma devo ringraziarvi! Sono al TERZO posto nella classifica del sito per la media più alta di parole per recensione! (': Diciamo che mi piacerebbe continuaste a scrivermi pareri taaaaaaaaaaanto lunghi, anche magari dicendomi che avete mangiato per cena e come è stato preparato (?)
 Sapete cosa? 
 Voglio dire GRAZIE anche ai 10 (10, gente, mica pochi!) che mi hanno messo nei preferiti, agli 8 nelle seguite e ai 2 nelle ricordate!
 Opss D:
 Zeph è morto, xoxo♥
 E nel prossimo ci sarà un altro avvenimento sconvolgente D: (Spoooooooooooooiler! :D)
 Ora che sto iniziando a dire cavolate!
 Recensite in tantiiiii miei ancilli! (?)
 Un bascio e a presto♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥




 ps. chiedo scusa a tutti gli autoi incazzati a cui non ho ancora recensito la storia. E' un periodo che sono occupatissima, ma mi impegnerò per farcela!

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Capitolo 8
*** Just a child. ***






Chapter seven:
Just a child.

 
 
 
 
 


 Delle risate lo svegliarono nel cuore della notte.
 Ascoltando meglio, sentì suppliche e lacrime. La voce implorante era indubbiamente femminile – riconoscibile dalle note fin troppo acute sulle vocali – e giovane. Troppo giovane. Sarebbe tranquillamente potuta appartenere a Tess. Così piccola, così ardente di voglia di vivere. Così pura, e innocente. Così spensierata ma colorata da un terrore che non dovrebbe esistere.
 Sentì risate fredde. Qualcuno – impossibile non capire chi – sussurrò: – Non preoccuparti: non sarò io ad ucciderti. –
 Un brivido percosse la schiena del quattordicenne. Chi, se non lui? Junior era l’assassino del gruppo, insieme ad Alliyah e Marylin. Ma, evidentemente, non parlava di loro, dato che stavano beatamente dormendo non troppo lontano dalla bocca della Cornucopia. Kae sedeva, impietrita e tremante col volto pallido, come se sapesse cosa stesse accadendo. Finnick sentì un vuoto all’altezza del petto. Perché era sveglia? Perché sembrava capire quello che il suo compagno stava facendo? Si conoscevano, certo, ma non era mai stata con lui quando aveva ammazzato un tributo. Perché cambiare. Mesto le si avvicinò, pronto a domandare. Ma i suoi occhi erano vuoti. Prima che chiedesse qualsiasi cosa, lei alzò un dito in direzione di un salice non troppo lontano. Il Rosso teneva per i capelli una bimba alta sì e no un metro e quaranta. Capelli neri come la pece legati in una coda alta. Occhi che si intravedevano da lontano nella notte, tanto erano verdi. Sembravano smeraldi incastonati nelle orbite di quel viso vitreo, fatto quasi in porcellana tanto era perfetto. Un urlo gli si fermò in gola, facendolo sentire come se stesse soffocando: Tess.
 
 – Finn, ti va di ballare? – chiese la piccola con occhi chiari e capelli scuri. Non aveva niente a che fare, il suo aspetto, con quello del fratello. Solo la bellezza quasi eterea della madre. L’aveva persa sposando un uomo come il marito, ma l’aveva lasciata in eredità ai suoi bimbi. Alla minore, in particolare. Tutti vedevano il ragazzo come quello perfetto, il più angelico. La sua era una bellezza virile, che non aveva niente a che fare con quella dell’undicenne. Era delicata, piccola, con le guance sempre rosse come se fosse emozionata. Non sapeva mai come definirla: alle volte avrebbe osato dire splendida, alle volte anche quello pareva riduttivo per lei. Theresa. Anche il suo nome era perfetto per una come lei. Theresa, colei che porta la buona stella. Ed è questo che era, lei: la sua piccola stella, che sorrideva sempre e non piangeva – quasi – mai, portando il sole quando tutto sembrava in balia della tempesta.
 
 Si lanciò contro il diciottenne, come in preda ad un lapsus.
  – Lascia mia sorella! –urlò. – Tessie, Tessie, arrivo! – e corse. Veloce, addosso alle sue spalle. La gracile figura che teneva in pugno cadde a terra sbattendo la testa mentre il ragazzino menava pugni a destra e a manca senza neppure sapere cosa stesse colpendo.
  –Che diamine stai facendo? –chiese l’altro, prima di imprecare in modo un po’ troppo colorito. L’albina li guardava stupita e addolorata. Sapeva che fine avrebbe fatto quella tributa tanto piccola e indifesa. Immaginava che idea avrebbe avuto il suo compagno, ma non osava definirla più che un’ipotesi non concreta. Il Figlio del Mare si prese un colpo dritto sul setto nasale prima di finire di nuovo steso sul prato, con le verdi foglie piangenti che stavano sopra il suo viso.
 
  – Amore, se tu vuoi, io voglio. – diceva il fratello più grande di due anni a quella che era la sua piccola protetta o il suo angelo custode.
 E le sue mani cinsero i suoi fianchi, iniziando a vorticare insieme. Come un valzer, guardando il suo viso sorridente. Theresa, l’unica per cui valeva la pena di vivere. Tess, come la chiamava lui. Le piaceva quell’appellativo. Era un qualcosa di solo loro, intimo, come un rifugio sicuro. Un posto in cui rifugiarsi quando il mondo era buio e spento e voleva far loro del male. Una piccola caverna fatata in cui nessuno li avrebbe raggiunti mai.
 E lei rideva forte, a bocca aperta. Rideva sentendo la presa forte del ragazzo che non la voleva lasciar andare.
   – Tess, stai bene davvero? – chiese allora, con un pizzico di allegria di troppo nella voce. Non era la ragazza che amava ballare. Poi, era il giorno prima della sua prima mietitura, e non sarebbe dovuta essere così spensierata. Ma anche lui, in cuor suo, lo era. Nel Distretto 4 c’erano sempre volontari, ogni anno. Quello non avrebbe certo fatto eccezione.
 
 – Odair, che cazzo hai intenzione di fare? –domandò ancora.
 –Non toccare mia sorella… –  sibilò lui allora .
 – Tua sorella? –gli rise in faccia. – Che hai al posto del cervello? Lei non è tua sorella. Deve morire, se vuoi rivederla. – aggiunse.
 Il ragazzo restò allibito osservando la piccola ancora per terra. Portava una calzamaglia in stoffa sintetica esattamente identica alla sua, con mani e piedi palmati. Era bagnata come un pulcino, e il sangue sgorgava da una ferita che aveva sulla fronte - forse se l’era causata sbattendo. Non portava la frangetta come Tess, ma aveva quella stessa aria da principessina in viso. Finnick sbatté le palpebre un paio di volte, confrontando l’immagine che aveva davanti con il volto che ricordava. Theresa Odair non era mai salita sul palco alla sua prima mietitura, non era stata con lui nel Centro d’Addestramento o sul carro della sfilata. Non aveva preso un voto alle Sessioni Private. Non s’era mai bagnata nell’acqua di quel lago di  sangue.
 Stessi occhi verdi paragonabili a smeraldi incastonati nelle orbite, stessa chioma scura come il cielo in piena notte. Ma diversa sorte. Lei, sicuramente, sarebbe morta giovane. Non avrebbe mai permesso che lo stesso accadesse alla sorellina.
 Alliyah e Marylin avevano raggiunto i due ragazzi, nella speranza che uno di loro morisse senza il bisogno che fossero loro ad ucciderlo. E, invece, trovarono semplicemente Junior che metteva in mano al quattordicenne un pugnale dalla punta acuminata. Tirò un calcio alla dodicenne stesa per terra facendola sussultare, e disse: - Avanti. Ammazzala o io ammazzo te. –
 E il mondo gli cadde addosso.
 
 - Certo, perché non dovrei? – rispose la piccola con l’abito da regina.
 In effetti, era un po’ quello che tutte le sue coetanee sognavano: il principe che le andava a prendere, le portava al ballo e giurava loro amore eterno fino a che la morte non li avrebbe separati.
 - Oh, non lo so. – ribatté. – Forse, semplicemente, sei troppo allegra per stare bene. –
 
 - Io non sono allegra, Finnick. –rispose una voce che non era quella della sorellina. Nella sua mente, tutto era confuso.
 - Sì, lo sei. – sussurrò risoluto, con l’orrore dipinto nell’espressione.
 - No, Finnick. Mi stai uccidendo. Non posso essere allegra. –
 - Tessie… sai che non potrei mai farti male, vero? –
 - Finnick, svegliati, io non sono Tess. –
 Tutto vorticava rapido nella sua mente.
 Piano s’avvicinò a quel corpicino che lo guardava sconfortato.
 
 - Non puoi uccidermi, ragazzo: lo so.– sembrava dire. – Ti ricordo troppo Tessa. –
 
 Ma non poteva conoscerla: non avevano avuto occasione di contatto. Erano due universi paralleli, costretti a inseguirsi per sempre senza riuscire a raggiungersi.
 - E’ strano, -pensò Finn – come il destino a volte cucia addosso a innocenti così simili destini così differenti. –
 
 Kae s’avvicinò piano e gli toccò una spalla.
 Non si capiva se stesse cercando di incutergli timore, incoraggiarlo ad ucciderla o a non farlo oppure dirgli che, qualsiasi cosa farebbe, lei sarebbe con lui. Mise le labbra accanto al suo orecchio e le mosse in modo quasi impercettibile: - Se non vuoi, non sei obbligato. –
 - Invece sì che lo è! –sbraitò il Rosso facendosi sempre più rapido nell’andare verso di loro. – E’ un debole, così come lo sei anche tu! Pensi che non vi abbia visto, quando vi siete nascosti nella Cornucopia? Ora è il suo turno, ma sta pur certa che arriverà anche il tuo! – fu la rabbia a farlo urlare. Non avrebbe voluto essere così cruento con lei, ma era obbligato. Il fine giustifica il mezzo., e anche sta volta sarebbe stato così. Un leader non può far crepare la sua armatura, neppure quando in ballo c’è una ragazza. O una morte. O un dolore passato che non dovrebbe mai tornare a galla ma si ripresenta sempre, puntuale come la notte. Distretto 6 – lo sapeva dal numero sulla divisa – gli ricordava maledettamente Sam. E lui non la avrebbe mai uccisa. Era un test per il ragazzo del 4, e un modo per non vedersi costretto a farla fuori.
 - Avanti, Odair, -lo sfidò. – è solo una bambina.
 E l’ultima parola colpì entrambi. Anche se affondò solo chi l’aveva pronunciata.
 Voleva fargli male, certo, ma non pensava che avrebbe avuto un effetto ancora peggiore su di sé. Chi sa se i favoriti che avevano pugnalato Sam l’avevano presa come una sfida, come stava facendo lui. Si sentì colpevole, per la seconda volta in tutta la sua vita. Non riuscì a crederci, ma tutto si scatenò in un solo attimo. Il ragazzo prese il coltello e si avvicinò alla piccola che era come pietrificata. Kae urlò forte, e piante correndo verso Finnick. Ma Junior le cinse la vita con le braccia tenendola lontana da tutto ciò. Alliyah e Mar guardavano tutto con ammirazione. Sapevano che quella non era la loro battaglia: inutile combattere.
 Il Figlio del Mare si avvicinò a quello scricciolo che lo guardava terrorizzato. Sentiva di dover dire qualcosa, ma non sapeva cosa. Nei suoi occhi, vedeva Tess. Le sue labbra, erano perfettamente identiche a quelle di Tess. Inoltre, i suoi capelli lisci avevano le punte leggermente arricciate all’insù esattamente come i suoi. Ma lei non era Tessa, non poteva. Si costrinse a non pensarci, ma il ricordo affiorava sempre, come una persona che cerca di annegare ma non si dà per vinta e continua a salire a galla per prendere un po’ d’aria. E lui la tenne giù, affogò il ricordo di sua sorella morendo con lui. Stava vendendo la sua integrità. Stava uccidendo ciò che era. Sentì il dovere morale di capire che lei non era Theresa. Non poteva essere Theresa.
 Quando era ormai chino su di lei, chiese piano: - Come ti chiami? –
  Tra le lacrime, sentì solo una parola affiorare: - Calypso. –
 Calypso, non Tess.
 Sembrò incredibile, ma con quell’unica parola biascicata in mezzo al pianto si accorse che non era lei, che sua sorella non sarebbe morta con quella bimba che tanto le somigliava. Che il suo terrore sarebbe sparito, che sarebbe morta comunque e, l’unica cosa che poteva fare per aiutarla, era risparmiarle l’agonia che avrebbe usato qualcun altro.
 Non la conosceva, certo, ma sentì il bisogno di aggiungere qualcosa: - Calypso, è un bel nome, sai? – annuì rapida, come se pensava che stesse prendendo in considerazione l’ipotesi di risparmiarla. Ma lui era un favorito, non poteva farsi colpire così facilmente. – Bèh, Calypso, mi dispiace. Mi spiace davvero. Tieni un posto all’inferno per me, Okay? –
 Detto ciò, il coltello si conficcò nel petto della ragazzina. Uscì solo un rivolo di sangue, mentre l’espressione dei suoi occhi era indecifrabile: lui la vide trarre l’ultimo respiro, abbandonare la vita mentre tutto le scivolava tra le mani. Aveva una famiglia, qualcuno lo stava maledicendo per non aver avuto pietà. Le sue dita si strinsero attorno al braccio di Finnick, mentre lui si costrinse a non pensarle. Scrollò il polso, e s’allontanò.
 Kae lo guardò attonita.
 Junior pareva non poterci credere.
 Marylin e Alliy erano sinceramente colpite.
 - Avanti, Odair, è solo una bambina. –
 Ma il Finnick Odair che era esistito fino a quel momento, era morto con lei.
















 My (little) spacee:
 Se vi chiedete il perchè del mio aggiornamento lampo, è perchè avevo il capitolo in ballo già da un po'.
 Queen, ti ricordi che t'avevo detto che avresti odiato Junior?
 Bèh, ecco il perchè.
 Ma io continuo ad amarlo :3
 Nel prossimo capitolo ci sarà un altro evento sconvolgente, ma non dirò cosa ùù
 Bèh, presto paherò tutti i miei debiti con voi, lo giuro!
 Un bascio♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥




 ps. cosa vi piacerebbe leggere in un capitolo che uscisse dall'arena? Datemi i vostri pareri :3

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Capitolo 9
*** I need you now. ***





 

Chapter eight:
I need you now.

(Tessie's POV)




 A darky,
 perchè, nella sua dolcissima follia,
riesce ad avere idee geniali.♥


 
 
 
 
 
 Theresa Odair sedeva sul costosissimo divano davanti alla Tv di casa. Suo padre era chi sa dove a bere. Sua madre, stranamente, le stava accanto. Tremava guardando suo fratello sotto quel salice. Che avrebbe fatto Finnick – il suo Finnick?
 Non riusciva a capire quale sarebbe stata la sua mossa, dato che il fratello che conosceva ormai non esisteva più: era stato ucciso e martoriato da quell’arena in grado solo di fare danni. Non sapeva come avrebbe potuto riabbracciarlo, ma era certa che l’avrebbe fatto. In fondo, se fosse riuscito a tornare, sarebbe stato per lei. Nonostante quello che aveva fatto, erano comunque legati da un sottile filo che neanche la morte avrebbe potuto spezzare. Era sempre la sua piccola Tess, e nulla lo avrebbe cambiato. Quando vide la ragazzina stesa per terra, ebbe un tuffo al cuore, come se il suo petto fosse stato svuotato da tutta l’aria che poteva avere in corpo e stesse galleggiando senza vita in riva al mare.
 Tessa odiava il mare. Era così infinito, così salato e amaro. Il mare avrebbe potuto ucciderla con un’onda, con una semplice corrente fredda di quelle che ti tolgono il fiato. Il mare era quello che spegneva il sole ogni sera quando abbandonava la linea dell’orizzonte facendo diventare tutto buio. Forse era questo che Tess Odair temeva davvero: il buio, il nero. Mentre Finnick Odair non poteva guardare il rosso, la sorellina rabbrividiva al pensiero del nero. Il nero, il colore che non ti fa vedere. E ogni persona, nel suo piccolo, teme ciò che non può osservare. Lei, nella sua debolezza, soprattutto. Immedesimandosi nel quattordicenne, vide la sua fotocopia stesa sul prato, ansimante in cerca di un po’ d’aria. La botta al naso la faceva sanguinare e le sembrava di provare lo stesso suo dolore. Nel frattempo, i favoriti programmavano la sua morte imminente. Non li poteva sentire, Tessa, ma lo sapeva. Capitava ogni anno, ogni santa volta che un tributo veniva estratto alla sua prima mietitura. Se veniva dai Distretti 1, 2 e 4 durava di più, altrimenti era condannato al bagno di sangue. Senza accorgersene, la ragazza si stupì che quello scricciolo fosse durato fino al secondo giorno: era mirabolante per una indifesa come lei. Pareva che le telecamere volessero far guardare a tutti gli occhi di quella bambina mentre traeva l’ultimo respiro. Non capì bene cosa stava accadendo a causa di un primo piano dove le sembrò di guardarsi riflessa in uno specchio: occhi verdi, capelli scuri – anche se senza frangetta. Si chiese come avrebbe potuto fare lei nell’arena. Non era addestrata, ma sapeva come lanciare un coltello o maneggiare una spada. Forse, avrebbe semplicemente agito come stava facendo il fratello: uccidendo quando non si presentava altra alternativa.
 - Ma c’è sempre, un’altra alternativa. –pensò, rabbrividendo. Non aveva imparato, in quella sua vita che le aveva dato più spine che rose, che a volte non si poteva cambiare il destino, non si poteva scegliere cosa fare e si era obbligati a seguire il disegno che qualcuno tessette per noi, senza chiederci il permesso.
 Le sue labbra si mossero in modo impercettibile, alla ricerca di un aiuto che non sarebbe arrivato. Cercava Finn, le sue braccia forte e il suo cuore pronto a battere con lo stesso ritmo che conosceva e amava. Ma lui non c’era. Lui era in Tv, una ferita in testa e un peso sul cuore. Lui era distante miglia e miglia da quella bambina che se sentiva così maledettamente persa senza averlo vicino.
 Torna., avrebbe voluto urlare. Torna a casa, che è pronta la cena!, come faceva ogni sera. Ma le parole non vennero. Boccheggiò un paio di secondi prima che qualcosa le bagnasse la guancia. Portò rapida una mano a cogliere la lacrima, mentre gli strateghi inquadravano il viso del bellissimo Figlio del Mare, dipinto in un’espressione di rabbia mista a dolore.
 L’audio tornò, appena in tempo per sentire il favorito dai capelli rossi sussurrare, con voce piena di disprezzo: - Avanti, Odair, è solo una bambina. –
 Un brivido le percosse la schiena, mandandola a sbattere contro il corpo della donna seduta sul sofà vicino a lei. Quasi s’era dimenticata che fosse lì, ad assistere a quello scempio insieme a lei.
 - Mamma, non lo farà, vero? Finnick non la ucciderà… -ma non trovò conforto nella risposta distaccata di Laut. Il suo nome significava “oceano”, e quello era il colore dei suoi occhi, anche ora che erano vuoti
 - Temo non abbia scelta. –
 La speranza è l’ultima a morire, ma è la prima ad illudere. Questo era il suo motto. Non riusciva a trattenere ciò che pensava, e spesso questo andava a discapito della minore dei suoi figli. Tess non s’avvicinò, e tacque aspettando di vedere cosa avrebbe fatto il fratello.
 Vide il fratello esitare, lo vide prendere il coltello e avviarsi verso la piccola. Sentì l’urlo sconvolto della ragazza albina, ma le cose e i rumori erano ovattati intorno alla bimba che pensava solo alle azioni del ragazzo. Si inginocchiò accanto alla figura minuta a carponi che lo guardava spaesata e terrorizzata. La dodicenne non riusciva a smettere di fissare lo schermo dove vedeva quel volto così familiare e ora estraneo. Il primo piano fu solo loro: l’assassino e la vittima vicini nell’attimo prima dell’omicidio.
 - Come ti chiami? –lo udì sussurrare. Venne colta dal timbro della tributa del 6, troppo per comprendere la parola che biascicò tra le lacrime. Non l’avrebbe fatto: nel suo cuore, Tess lo sapeva. In fondo, era lo stesso che si faceva scrupoli quando pescava, perché non voleva togliere la vita ai pesci – nonostante fosse necessario per la loro sopravvivenza. Era quello che la prendeva in braccio, facendola volare fino a farle toccare il cielo.
 - E’ blu, come i tuoi occhi. –scherzava a volte. Ma lei non ci credeva, perché non puoi avere occhi del colore del cielo, se tuo fratello li ha del colore del mare.
 - Bèh, Calypso, – suonò la cassa accanto alla televisione, e non ci volle molto perché la più giovane degli Odair capisse che era quello il suo nome. -  mi dispiace. Mi spiace davvero. Tieni un posto all’inferno per me, Okay? –
 Ebbe il tempo di pregare che non lo facesse, quando vide la lama trapassare il torace di quell’indifesa. Un sussulto la scosse, mentre si lanciò addosso al magrissimo corpo attonito, ancora sedutole accanto. Non poteva averlo fatto, non il suo Finn.
 Ma, solo dopo parecchie lacrime e singhiozzi, capì che se suo fratello stava facendo tutto ciò, era per tornare.
 Era per Annie – magari non tanto per Annie, ma anche un po’ per lei -, per Laut, per farla pagare a Cristopher. Per far vedere ai diciottenni che ce l’aveva fatta, nonostante l’avessero lasciato solo.
 Era per lei.
 Perchè aveva bisogno di lei ora.


















 

 Adolf's corner:

 Alloraaaa...
 Il fatto sconvolgente è rimandato al prossimo, e questo capitolo è inutile (LOL)
 Solo mi pareva carino farvi sapere che ha pensato Tess vedendo suo fratello uccidere una ragazza che le somigliava così tanto.
 Bèh, voglio pareri lo stesso ùù
 E luuuuuuuuuuunghi, perchè, se volete che io resti prima, dovete trovare taaaaaaaaaaaante parole da dirmi :3
 So, al prossimo, che arriverà dopo Natale :3
 Bascio♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥


ps. Cristopher e Laut sono i nomi dei signori Odair, nel caso non si capisse xD

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Capitolo 10
*** This Hurricane. ***





Chapter nine:
This Hurricane.










Pianto.
L’unica parola che Finnick era in grado di concepire era quella: pianto. Pianto come una cascata che cadeva dai suoi occhi nelle sue braccia, passando per le guance e il collo. La mattina era ormai vicina, ma tutti dormivano ancora. Tranne Kae, a cui era toccato l’ultimo turno di guardia insieme al Figlio del Mare. Di solito, si vergognava a piangere davanti ad una ragazza, ma ora si trovava a non avere scelta: aveva ucciso una bambina, forse era la prima volta che se ne rendeva conto. Una bambina, di dodici anni e con tutta una vita da vivere. Si sentiva un mostro, uno stronzo, una merda. Si sentiva come se non gli fosse importato niente: sarebbe potuto morire lì, in quel momento, nel preciso istante in cui il suo coltello aveva trapassato la gabbia toracica della piccola Calypso.
 Calypso…
 Conosceva anche il suo nome. Eppure neanche quello sembrava averlo frenato. Anzi, pareva gli avesse dato la spinta che l’aveva fatto uscire dal seminato.
 La sedicenne gli lanciava degli sguardi fugaci, alle volte, quando pensava che lui non la vedesse. Ma Finnick vedeva tutto, soprattutto ora che la paura aveva il sopravvento sul pudore. Cosa provava per Kae? Gli piaceva la sua autorità, i suoi splendidi occhi chiarissimi e i suoi capelli bianchi legati in una coda alta pieni di nodi da districare. Le piaceva il suo modo di riuscire ad essere fragile, e non temere di mostrarlo agli altri. Amava il fatto che, in mezzo a quella banda di macchine da guerra, Kae avesse un cuore.
 Era come il sole in una mattina di inverno, quando illuminava la neve senza scioglierla, come il mare che spinge piano una barca senza affondarla o farle male. Kae era così: come una stella cadente che ti fa esprimere un desiderio. Ma, l’unico desiderio di Finnick in quel momento, era lei. La lei seduta al limite dell’isolotto che conteneva la cornucopia, con i piedi nello stretto canale d’acqua sporca. La lei che aveva avuto paura e s’era nascosta tra le sue braccia alla ricerca di un po’ di conforto. Decise di alzarsi, asciugandosi gli occhi sulla tuta sintetica. Le gambe erano intorpidite. Ci vollero diversi secondi perché riuscissero a muoversi come avrebbero dovuto. Poi, rapido, camminò con passo felpato fino a mettersi accanto alla favorita del Distretto 1, lo sguardo perso in direzione del cielo.
 - E’ bella, l’alba. Non pensi? –un attimo di esitazione colorò il viso di lei, prima che sorridesse in un modo freddo e distaccato.
 - Non pensavo che avessi la forza di guardare il cielo, dopo questa notte… -disse, austera. – Pensavo che il ricordo ti avrebbe fatto male.
 - E’ per questo che mi costringo a non pensarci. –ribatté. – Perché ci sono cose che non puoi dimenticare.
 - Hai deciso tu. Potevi scegliere come agire. –per tutta risposta, il suo tono divenne cinico.
 - No. Non potevo, o sarei morto. –le parole uscirono dalla sua bocca senza che le avesse programmate. Ormai era sporco. Non aveva più paura di morire. Non tanto quanto aveva paura di perdere chi amava. La rabbia ribolliva in lui. Il silenzio di quella che aveva creduto sua amica faceva male come niente. Non pensò a quello che diceva, quando sussurrò: - Tu non capisci: tu non hai nessuno.  
 Il viso incredulo di Kae si voltò verso di lui, guardandolo come se l’avesse appena ammazzata. Il Figlio del Mare la osservò per dei secondi che parvero interminabili. Provò a capire che le passasse per la mente, ma non ci riuscì. In fondo, non capiva neppure cosa passasse per la sua, di mente. Come poteva comprendere la ragazza albina del Distretto uno? – Quindi ritieni che la tua vita sia più importante di quella di una bambina innocente? – sputò quelle parole come se quello che aveva davanti fosse semplicemente un ragazzo che non conosceva, con cui non aveva mai parlare. Come se Finnick fosse semplicemente un pallone gonfiato a causa del bel visetto.
 - Forse non è il caso di litigare. – si disse il ragazzo. Ma lo sguardo di sfida di Kae lo fece scoppiare di nuovo. – Non ho detto questo. Ho solo detto che non capisci, perché non hai un motivo per tornare. Io ce l’ho. – rifletté un paio di secondi – per quanto sia possibile riflettere in preda alla rabbia – e poi aggiunse: - Lo sai cosa mi ha detto Junior?  - lei scosse la testa. – Ha detto che uno di noi ti ucciderà. Ha detto anche che pensa sarò io a farlo.
 Le sue pupille si dilatarono in un’espressione incredula per un secondo o due, prima che tornasse la Kae calma e moderata di sempre, con la risposta pronta. – E tu che hai risposto? – domandò con tono di scherno.
 - Ho risposto che non lo avrei fatto. –voleva continuare, ma le sue parole avevano fatto già abbastanza male.
Il suo viso si contorse in qualcosa a metà tra l’urlo e il pianto, prima di tornare impassibile. Le emozioni trapelavano per un paio di secondi, come i lampi. Poi la calma. E infine l’uragano. – Tu e lui… tu e Junior siete uguali.
 Il disprezzo nella sua voce, Finnick non l’aveva mai sentito in nessun’altra; neppure in quella di suo padre quando diceva a Laut che era una puttana. Cristopher la sposò tempo prima, per amore. Quando anche l’ultima goccia di sentimento se ne andò, la vita per la donna divenne un inferno. Così lei ora: lo aveva paragonato a Junior, quando poco tempo prima aveva giurato che non avessero niente a che fare l’uno con l’altro.  Ma ora ai suoi occhi erano identici: due assassini senza scrupoli, che per la propria salvezza farebbero di tutto. Quello che non sapeva era che Finnick, di scrupoli, se n’era fatto fin troppi. E lei lo aveva comunque liquidato così. Aveva davvero smesso di volergli bene? E lui, aveva lasciato che tutto andasse via senza neppure provare a mettere insieme i pezzi?
 Le guance di Kae erano rosse, di un rosso insopportabilmente vivo. Vivo come la rabbia che si espandeva nel suo corpo, vivo come lei. Ma non lo sarebbe stata ancora per molto, se lui non l’avesse protetta. Ma lo avrebbe fatto. Sarebbe stato il suo prezzo da pagare per non finire all’inferno.
 - Scusa… - sussurrò. Non s’era mai sentito tanto in colpa, come quando lei semplicemente si alzò e gli voltò le spalle, andandosene da quel ruscello con i piedi ancora bagnati. Il ragazzo scattò in piedi e le prese il polso, con una rapida scossa di braccio come unico risultato. Si osservarono un paio di secondi: il giovane Odair notò come le pupille della ragazza risultassero assolutamente fuori luogo nei suoi occhi, con quel loro nero brillante che sembrava sfumare nell’iride quasi bianca. La favorita, dentro sé, si sentì bollire. Si sentì come se tutto ciò che aveva imparato non esistesse più, quando di mezzo c’era Finnick. Si sentiva già uccisa, dentro. Dopo diversi secondi che parvero un’eternità, Kae parlò.  
 - Sai cosa? Alla fine, non m’importa. –disse piano. – Sono finita qui, ma sapevo sarei morta giovane comunque. Speravo di morire per qualcosa di buono, per salvare qualcuno. Mi sarebbe piaciuto essere seppellita da un prete. Speravo che ci sarebbe stato qualcuno a piangere sul mio corpo, all’alba. Come ho fatto io con i miei genitori, quando li hanno fucilati: sono rimasta tutta la notte a fare la veglia, al cimitero, sotto la pioggia. La mattina avevo finito le lacrime. Erano delle brave persone. Sono morte perché volevano salvare un bimbo dalle frustate. E io sognavo di diventare come loro. – prima che Finnick potesse anche solo provare a dire qualcosa, lei continuò, con un tono malinconico e distante: - Sai, non mi sono mai immaginata vecchia.
 Ormai era indifferente a tutto, mentre la palla rossa che segna l’inizio del giorno era per metà in cielo. Kae si rese conto, nell’esatto momento in cui tacque, che era esattamente così: non ne aveva mai parlato a nessuno, prima. Eppure non conosceva il Figlio del Mare, non quanto avrebbe voluto. Ma lui aveva qualcosa. C’era qualcosa – una luce nel suo sguardo, una ruga quando sorrideva, un senso di sicurezza che Kae non capì mai – che la faceva sentire come se fosse il suo compagno di una vita, la persona con cui era cresciuta. Ma quello era Junior.
 Il ragazzo sentì un vuoto nel petto. Mentre lui combatteva per la vita, lei s’era già arresa. Lei aveva già pensato di morire per salvare qualcuno. E, forse, avrebbe anche preso le difese della piccola Calypso la sera prima. Ma Finnick non sapeva più che pensava. Kae non s’allontanò ulteriormente, così Finnick si sporse e le prese la mano, obbligandola a tornare seduta accanto a sé. La strinse forte.  Allora, chiese: - E chi vorresti salvare, se potessi scegliere?
 Kae s’osservò i piedi, esitando un secondo o due prima di rispondere. Non voleva che lo sapesse, non in questo modo. Ma non sapeva se avrebbe mai avuto il coraggio o l’occasione per dirglielo. - Te.
 Le dita di Finnick si mossero rapide verso il suo zigomo, mentre la mano faceva ancora presa sulla sua. Un brivido percorse la schiena della ragazza e, per la prima volta in vita sua, Kae ebbe paura. Non sapeva cosa fosse quella sensazione che dalla schiena arrivava alla gola, impedendole di respirare. Non conosceva quelle emozioni, e le temeva. Perché pensava l’avrebbero legata alla vita più di quanto non fosse già. Trattenne il respiro, mentre il ragazzo si avvicinava ancora di più, tracciando con il polpastrello il contorno delle sue labbra.
 - Perché lo fai? –domandò, con la voce ridotta ad un sussurro, dato che non serviva a niente urlare: lui, l’avrebbe sentita. I suoi occhi verdemare si spostarono dalla sua bocca alla punta del  naso lentigginoso, al ciuffo di capelli ribelle che le scendeva sulla fronte, fino ad osservarle le ciglia. Sembrava perfetta in ogni minimo particolare, dalla pelle lattea alle guance rosee. Forse, lo era solo per lui.
 - Perché potremmo morire oggi, -sussurrò. – E non voglio rimpianti.
 Senza indugiare ancora, la baciò con una forza che non aveva programmato.
 Lei rimase interdetta un paio di secondi prima di ricambiare. Kae non aveva mai visto il mare, ma avrebbe giurato che aveva lo stesso sapore delle labbra di Finnick, che poco prima erano state bagnate dalle sue lacrime. Kae non aveva mai volato, ma era pronta a scommettere che non sarebbe stato per nulla paragonabile a quel momento.
 Finnick sentì le dita della ragazza stringersi intorno alle proprie. Se avesse dovuto paragonarla a qualcosa, quel qualcosa sarebbe stato un uragano. Era così libera, come il vento che turbina prima di mandare tutto in pezzi. E lui era così: a pezzi. E non sapeva se sarebbe mai riuscito a tornare intero, dopo quei giorni. Non sapeva neppure se avrebbe avuto l’occasione, per tornare intero. Ma non ce l’avrebbe fatta.
 Forse, non senza Kae.
 Quando la luce del sole le accarezzò i capelli, la ragazza si scostò, riprendendo fiato. Erano così vicini, che il tutto parve ridicolo. Un sorriso aperto le curvò le labbra, colorandole il viso. Quando il ragazzo non capì, scoppiò in una risata, cominciando a correre verso il corno d’oro.
 - Tanto  di prendo. E quando ti prendo, non sarò più responsabile delle mie azioni…
 Ma lei era già lontana, e lui la seguì, come se non esistesse niente al di fuori di loro. 




























 Adolf's corner:

 Da quanto volervo scrivere questo capitolo solo io lo so!
 E fa schifo D:
 Perdonatemi, ma Natale è Natale ùù
 Oraaaaaaaaaaaa... vi auguro Buon Anno, dato che Son of the Sea non verrà aggiornata prima del 4 gennaio ùù
 Cooomunque, se avete voglia di leggere qualcosa di mio, vi lascio il link di Da grande, sarò., la mia nuova raccolta spezzacuori.
 Sciaooo ragazzi♥
 E recensite lungamente, dicendo che amate tanto la Kinn (':
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥



 ps. Sì, il disegno obrobrioso usato come banner l'ho fatto io (':

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Capitolo 11
*** Pterodactyl. ***





 

 Chapter ten:
 Pterodactyl.

 
 
 
 














Passarono pochi minuti – giusto il tempo per rincorrersi un po’ – e Junior si alzò. Il suo primo sbadiglio fece svegliare anche Marilyn, che imprecò sostenendo che “era troppo presto”. Certo, non era tardi, ma in arena non è mai troppo presto. Finnick e Kae erano stesi nel Corno d’Oro, mano nella mano, sorridenti come mai erano stati negli ultimi tre giorni e mezzo.
 « Dove sono gli idioti che dovrebbero fare la guardia? » chiese Alliyah, stiracchiandosi vistosamente dopo che una gomitata della bionda l’aveva svegliata.
 « Potrei chiederti la stessa cosa… » le fece eco il Rosso, una luce sadica negli occhi neri.
 La piccola albina ebbe un lieve fremito, il tempo di un attimo. Abbastanza, però, perché il Figlio del Mare lo percepisse. Le fece segno con un dito sulla bocca di fare silenzio. Poi fece capolino fuori dalla Bocca della Cornucopia, guardando beffardo i tre favoriti vicino alle scorte. Quando fischiò, e i loro occhi si rivolsero verso di lui, le loro espressioni erano un qualcosa di impagabile; avrebbe dato qualsiasi cosa per poterle immortalare per sempre e riguardarle ogni volta che ne avesse avuto voglia.
 « Siamo qui. – annunciò poi. – Abbiamo pensato che si vedesse meglio se arrivava qualcuno, dall’alto. » La ragazza si tirò su senza essere chiamata in causa, ma sapeva ch’era il suo momento – se lo sentiva, in un certo senso. Finnick le sorrise, intervallando di nuovo le dita alle sue. Il contatto lo fece rabbrividire un po’, dalle dita dei piedi fino alle radici dei capelli. Non gli capitava spesso – anzi, era la prima volta che si sentiva in quel modo – ma era una delle sensazioni più belle che avesse mai sentito.
 « Junior, qualcosa non va? » domandò Kae, con quella sua voce naturalmente dolce, ora diventata odiosa e sarcastica.
 Finnick capì perché le voleva bene: era per quella sua capacità di avere ciò che voleva, quando lo voleva e come lo voleva.
 « Niente di che, Kae cara. – rispose, palesemente seccato. – Solo che penso ci servirà qualche provvista, dato che la ragazza qui accanto ha intenzione di finirle… » indicò poi Alliyah che, sentendosi chiamata in causa, smise di strafogare l’ultimo pacchetto di carne essiccata, per guardarli in modo innocente con la faccia ancora sporca e le mani ancora piene.
 « Allora a caccia! » esclamò l’albina. Il quattordicenne fece un paio di acrobazie per uscire dalla bocca del Corno. Scivolò una volta o due, rischiando di slogarsi una caviglia o un ginocchio. Quando arrivò alle pendici  della luccicante scultura, porse la mano alla sedicenne, che la accolse con un sorriso e scese accanto a lui. Ci fu un secondo di esitazione in cui – Finnick ci avrebbe giurato – tutti gli occhi lì intorno erano fissi su di loro. Poi la ragazza si sporse in avanti e lo baciò. Non fu come il primo, delicato e disperato: fu semplicemente un leggero e lieve contatto tra le loro labbra, che portò le guance di lui ad arrossire. Non voleva lo sapessero. Per lo meno, non esattamente in quel modo.
 Soprattutto a causa del violento e ben assestato pugno sulla mascella che gli arrivò poi. La velocità del diciottenne lo aveva sconvolto. Ma, in fondo, che si sarebbe mai dovuto aspettare da uno che ha preso 11 alle Sessioni Private? Sentì un sapore dolciastro, e si chiese se fosse un residuo di cibo mai mangiato o il sapore del suo stesso sangue. Le gambe cedettero e finì a terra, il viso rivolto verso il cielo. O meglio, verso il volto di Junior che lo sovrastava, pronto a colpirlo di nuovo.
 E ancora.
 E ancora.
 Se solo Kae non si fosse messa in mezzo e non lo avesse fermato. « Secondo me è meglio se iniziamo ad andare, non pensi, Jun? » disse, tenendolo per un braccio e allontanandolo dal ragazzo ancora sul prato. Gli alberi non c’erano più da quando Zeph li aveva bruciati, prima di morire, perciò erano una preda facile, per di più in bella vista. Lasciò il Favorito attraversare il canale da solo per tornare indietro a prendere una spada e una lancia e lanciando un’occhiata rapida al quattordicenne – sotto lo sguardo vigile del compagno.
 Quando erano ormai lontani, Marilyn si accovacciò accanto a Finnick e gli parlò. « Come ti senti? – chiese. – Anche i miei fratelli a volte si sentivano così quando mio padre li picchiava. Posso passarti qualcosa. » concluse poi, alludendo all’unico tubetto di pomata che avevano trovato il primo giorno.
 « Andiamo, ce la può fare. Non lo vedi che è tutto muscoli? » sbraitò Alliyah. Non ne era sicuro, ma avrebbe potuto giurare di aver sentito una punta di gelosia nella sua voce.
 « Sto bene. – la rassicurò, vedendo nei suoi occhi che era sinceramente preoccupata. – Ora mi alzo e andiamo a caccia. »
 Si iniziò a tirare su piano, facendo leva sui gomiti. Non ci volle molto a mettersi seduto, ma si accorse che la faccia gli faceva molto più male di quanto pensasse. Si sentiva stordito, come se tutto fosse ovattato. Quando portò le dita a sfiorare la fonte del dolore, si accorse – con suo grande orrore  – che aveva già iniziato a gonfiarsi.
 « Spero per te che la tua amica riesca a calmarlo. – disse la sua compagna di Distretto, tendendogli la mano. Lui vi si aggrappò saldamente, facendo leva su di lei per alzarsi sulle gambe. Le ginocchia parvero cedere, ma la spalla di Alliyah lo sorresse bene senza fargli sbattere il setto nasale sul prato. – Altrimenti, – aggiunse – è la volta buona che se ne frega della tua utilità e t’ammazza. » I suoi occhi azzurri erano spalancati, ma continuavano ad essere piccoli e per niente femminei. Eppure avevano dentro una luce di solidarietà mista a pena. Era vero: Caden era suo fratello, il suo mentore. Si sarebbe tagliato la gola piuttosto che lasciare morire la sua adorata sorellina minore.
 « Ce la farà, ce la farà. » rispose provando a scansarsi da lei per un paio di passi, con l’unico e solo risultato di doversi aggrappare alla sua clavicola ancora più saldamente, per non cadere.
 « Però, deve essere stato bello forte se t’ha intaccato addirittura uno dei nervi che va al cervello! » rise Marilyn, apparentemente inconsapevole che non c’è nessun nervo che controlli le gambe nella mascella e che tutti i nervi portano al cervello. Non seppe bene come, si ritrovò con una ragazza a desta e una a sinistra, una armata di lancia e una di arco, mentre lui era completamente disarmato. Attraversare lo stretto canale non fu molto facile, contando che il ragazzo aveva ancora i muscoli indolenziti. Uscendo dall’acqua con la tuta attaccata alla pelle più di quanto non fosse già normalmente, si guardò intorno davvero dopo la morte di Calypso: quel salice che la notte prima era parso semplicemente un albero come un altro, ora era l’unica pianta alta nell’arco di centinaia di metri, o forse anche kilometri. C’era ancora il piccolo rivolo di sangue che il cuoricino della dodicenne aveva lasciato scappare a macchiare l’erba. Non sapeva se la causa di quello che avvenne fosse la sua morte ancora fresca nella sua memoria – sicuramente il fatto che fosse una sua vittima influiva più di quanto avrebbe dovuto –, ma sentì un senso di nausea invaderlo e un’acidità innaturale in fondo alla gola. Rivedeva il suo corpicino steso a terra, inerme, già rassegnato mentre cercava negli occhi di Finnick un po’ di speranza. Speranza che lui gli aveva dato. E solo ora si accorgeva di quanto schifo davvero si facesse. Avrebbe potuto semplicemente colpirla, senza parlarle. E invece era come se fosse ancora in piedi, lì, con il buco della lama in mezzo al petto. Le sue labbra si muovevano in modo impercettibile, in modo che solo il Figlio del Mare percepisse le sue parole: « Conoscevi il mio nome. Allora, perché m’hai uccisa? »
 « Odair, sei davvero sicuro di riuscire a camminare? » domandò un’altra volta Alliyah, forse preoccupata, forse seccata perché – in quel preciso momento – il ragazzino risultava un peso morto alle ragazze che dovevano procurare del cibo.
 « Senti, non dipendo da te. Se cado, comunque, sarò io a farmi male. » rispose in malo modo, allontanandosi.
 « Appunto: – s’intromise la ragazza del Distretto 2, forse allegra, forse sarcastica. – ci servi tutto intero. »
 Finnick pensò che il rapporto tra quelle due fosse proprio strano: alle volte sembravano amiche per la pelle, di quelle che si conoscono in Accademia e fanno di tutto per vincere i giochi in anni consecutivi, sposarsi altri vincitori e costruire una vita come la loro per i loro figli. Altre, invece, parevano solo degli animali pronti a scannarsi da un secondo all’altro, senza pensare troppo al resto del mondo.
 Un silenzio imbarazzante calò, mentre si muovevano cauti alla ricerca di qualche animale o di un tributo da uccidere. Il naso della Compagna di Finnick continuava a muoversi su e giù come quelli dei segugi quando seguono una pista olfattiva. La sua “amica”, invece, sembrava tranquilla, e semplicemente osservava il cielo. Non erano carichi di lame, ma erano al sicuro – anche senza contare che giravano comunque intorno alla Cornucopia, quindi avrebbero potuto lanciarsi in acqua e raggiungere le scorte.
 Il Figlio del Mare ricordava: il sorriso di Tess, il viso stravolto di Laut, la rabbia negli occhi di Christopher prima che lo colpisse. Il mare, che cullava la barca. Il sole che batteva sul suo viso mentre la rete era in acqua. Uno spruzzo fresco a bagnargli il collo e farlo rabbrividire.
 « Che rumore è? » chiede una delle due – il ragazzo non controllò quale. I suoi occhi scrutarono il cielo cristallino, senza capire di cosa stesse parlando. Aguzzò le orecchie, cercando il suono incriminato. Tutto si fermò. La calma divenne un qualcosa di quasi ultraterreno, anche innaturale. Era come nei film, quando sta per succedere qualcosa di sconvolgente e di spaventoso.
 Infatti, accadde: dall’alto crollò ai loro piedi un corpo. Nel momento stesso in cui toccò terra, rimbombò il colpo di cannone. Il viso era quello di una tributa adulta, forse diciottenne, dai biondi capelli legati. Le orbite spalancate, insanguinate ma prive di occhi fecero rabbrividire i tre ragazzi. La calzamaglia scura era strappata in diversi punti, lungo tutto il corpo. Le mancavano diverse dita, e – cosa peggiore – aveva un buco all’altezza del petto, dove mancava il cuore. Si capiva dalle vene che ancora fuoriuscivano, senza che niente pompasse il sangue al loro interno. Le gambe e le braccia erano in posizione innaturale, tanto che parecchie formavano angoli ottusi o erano proprio al contrario. Parecchie ossa dovevano essersi rotte a causa dell’impatto.
 « Porca troia, la sua testa è… » fu la voce di Alliyah a parlare. Il ragazzo pensava si riferisse alla mancanza di bulbi oculari. Dovette passare un paio di minuti ad osservare attentamente quello scempio per capire: il posto dove ci sarebbe dovuto essere il seno era piatto, anzi mostrava due scapole sporgenti il doppio del normale. Si chiese come avesse fatto a non accorgersi di quel particolare prima, ma c’erano fin troppe cose di cui non avrebbe voluto accorgersi. Una in più, una in meno. Il capo era completamente girato sul collo. Diverse chiazze rosse macchiavano la chioma chiara. La sua bocca era distrutta, prima di lingua, ma spalancata come a voler avvertire qualcuno che non avrebbe mai conosciuto.
 Giusto il tempo di chiedersi chi avesse fatto quello scempio, e il colpevole si fece vedere: planò rapido su di loro, provando a graffiarli. I riflessi dei ragazzi si mostrarono più pronti del previsto, così che crollassero a terra più o meno illesi.
 Il predatore tornò all’attacco, e solo ora Finnick lo vide bene: corpo più grande di quello di un leone, grosse ali palmate, pelle squamata di un verde che ricordava vagamente il vomito. Aveva le zampe come quelle delle papere, ma con artigli più affilati di quelli delle aquile. Il cranio era grosso come una palla da bowling, con piccoli occhi neri e un lungo becco – più che becco: muso, ma simile a quelli dei delfini – foderato di denti appuntiti che fecero rizzare i capelli in capo al ragazzo. Gli ricordava un’immagine che aveva visto nei libri di storia, un qualcosa di antico e non certo positivo. Le loro iridi si scontrarono, prima che la bestia emettesse uno strano suono e iniziasse a volare in cerchio, prima di planare. Non sapeva perché ma non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
 Solo quando Marilyn lo tirò su, lui distolse lo sguardo e iniziò a correre.
 Aveva un unico pensiero in testa ma, quando provò a domandare, le parole gli morirono sulle labbra.
 Cosa diamine ci faceva uno pterodattilo nell’arena?





























 Adolf's corner.

 Oh, mio Dio! Non ci credo, ma ce l'ho fatta!
 Lol, che arena faiga :3
 Comunque, temo che il prossimo non arriverà prima del 20 gennaio.
 So che è molto, ma a causa della scuola non scriverò molto. Inoltre è un momento importante e voglio che venga reso al meglio.
 Cioè, stop. Non so che altro dire.
 Vi amo tutti♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥

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Capitolo 12
*** Help. ***





 

 Chapter eleven:
  Help.

 
 
 
 


 RIP Ptery.
 xoxo♥











 «Come diamine hai fatto?» chiese Junior per la millesima volta, strabuzzando gli occhi.
 «Ho tirato la freccia… – disse Alliyah a bocca piena, rosicchiando un ossicino di pterodattilo – più precisamente, della sua ala. Un ghigno indescrivibile le curvò le labbra, mentre mordeva di nuovo. – E l’ho preso in fronte.» il suo sguardo non nascondeva minimamente il suo orgoglio per l’impresa eroica che aveva compiuto. In effetti, rifletté Finnick, non era certo una cosa da tutti abbattere un ibrido in un colpo solo. Che poi, a dirla tutta, lui non aveva neppure capito come avesse fatto la compagna. Gli eventi si erano susseguiti troppo velocemente, per i suoi gusti. In un primo momento, Marilyn lo tirava forte, facendo in modo che si muovesse per non venire ammazzato. Poi si era ritrovato nel lago accanto alla Cornucopia, quasi inerme, mentre le due ragazze erano corse ad armarsi. In meno di un secondo, la bestia gli era addosso. Aveva artigliato il suo braccio e l’aveva sollevato da terra, prima che ricadesse con un tonfo sordo. Con il volatile addosso. I suoi arti erano intorpiditi, ma il peso dell’animale lo soffocava. E tutto era diventato buio, mentre sentiva due voci femminili litigare.
 «Uccidiamolo. – disse la prima, priva di emozioni. – Facciamolo fuori, e non sarà più un pericolo.»
 «Ci serve. – sottolineò la seconda. – È l’unico che potrebbe far colpo e portarci qualche profitto dagli sponsor.»
 «Me ne fotto degli sponsors! – urlò in tono cavernoso di nuovo la prima. – Non ci metterebbe più di un secondo ad ucciderci. Solo Junior può tenergli davvero testa.»
 Finnick sentì un’ombra accovacciata sul suo corpo. Aveva capito le intenzioni di Marilyn, ed era intenzionato a non contraddirla. In fondo, se si fosse mostrato stordito e danneggiato dall’impatto, allora avrebbe potuto avere qualche possibilità in più per scappare.
 O in meno.
 Non sapeva come agire, come comportarsi. Ancor meno quando sentì la lama fredda sfiorargli la giugulare.
 Spalancò gli occhi. L’espressione di Alliyah passò da tranquilla a concentrata. Il ragazzo scommise per un attimo che lo avrebbe tagliato, velocemente e in modo tutt’altro che preciso, lasciandolo a morire dissanguato in cerca dell’aria che non sarebbe mai riuscito a respirare. I suoi occhi azzurri erano vuoti, le pupille dilatate come uno che ha appena preso un colpo. Quelli verdi mare del ragazzino si fusero nei suoi. Non aveva mai prestato tanta attenzione alla sua compagna come ora, nell’istante in cui avrebbe potuto ammazzarlo con un movimento. Allora, Finnick Odair sarebbe stato out. Uno in meno e un altro passo verso la fine. Le iridi chiare di Alliyah parvero ghiaccio, pronte a far gelare il sangue nelle vene dello sciagurato che se la fosse trovata davanti. Era cattiva e preparata. Forse, una tra le avversarie peggiori. Il suo respiro diventò affannoso, il suo petto faceva su e giù freneticamente. Non sarebbe morto. Non senza opporsi almeno un po’.
 «Spostati. – disse inaspettatamente la favorita dal 2. Vedendo che l’altra ragazza non aveva la minima intenzione di muoversi, la prese di peso, tendando di allontanarla dal quattordicenne. – Mi hai sentito? – ringhiò poi, sentendo il suo grugnito. – Ti ho detto di levarti.»
 Quasi come a sentirsi chiamati, Junior e Kae arrivarono accanto a loro, strabuzzando gli occhi alla vista della carcassa.
 «Direi che abbiamo la cena!» esclamò allora l’albina, prima di prendere un coltello e iniziare l’operazione di scuoiamento della bestia.
 Finnick la osservò, ringraziando silenziosamente che la testa fosse ancora al suo posto prima di osservarsi intorno, provando a capire meglio le cose. Il lago era sempre quello, sempre lì a circondare lo stretto isolotto con la Cornucopia nel centro. Nessun albero, tranne il salice sotto il quale Calypso era morta e un’altra pianta come quella dalla parte opposta. Erba per lo più alta e fitta, con grotte sotterranee usate come nascondiglio qua e là. Ma ora tutto era in un’ottica diversa, per il quattordicenne: niente vulcani, certo; niente di tutto ciò che aveva immaginato leggendo il libro di storia. Eppure non avrebbe mai potuto immaginare quell’animale che quasi l’aveva ucciso. Quello era vero. Vivo e vegeto una volta, ora quasi del tutto disossato dalla ragazza dell’1. E, se c’era uno pterodattilo, quanto ci sarebbe voluto perché comparissero anche i brontosauri e i tirannosauri? E il meteorite?, quanto ci avrebbe messo il meteorite a cadere e distruggerli?
 Forse, gli strateghi avevano chiara in mente l’immagine di un’edizione senza vincitore. Senza accorgersene, qualcuno gli andò accanto bendandogli il braccio con della stoffa bianca immacolata, pronta a diventare rossa. Bruciava, e la completa mancanza di disinfettante faceva temere un’infezione. Eppure questo fu l’ultimo dei problemi che si presentarono nella lista del ragazzo.
 «Odair, ancora a guardare le farfalline?» gli chiese il diciottenne, prima di tornare ad osservare la compagna. Solo in quel momento, il giovane si rese d’essersi incantato a guardare il cielo. I suoi pensieri erano così confusi: non s’era, certo, mai fidato della compagna. Eppure pensava che avrebbe potuto avere una maggiore considerazione di lui. Un po’ come Marilyn, che l’aveva risparmiato. Non perché gli voleva bene, ma perché gli serviva. Comunque era vivo grazie a lei. Provò per la prima volta riconoscenza verso la gigantesca tributa del Distretto 2. La stessa che non ci aveva pensato su due volte quando si trattava di uccidere il giovane Zeph. Lo Zeph con cui aveva passato una settimana a mangiare nella stessa stanza, a dormire porta a porta, a salutarsi e ad elaborare strategie. Lo Zeph che aveva solo un anno in meno di Finnick…
 Finn mandò via i brutti pensieri che lo tormentavano solo quando Kae urlò: «Ragazzi, la cena!» e fu costretto a raggiungerli. Il fuoco venne acceso nel silenzio più totale, mentre una nuvola oscurava il cielo. La luce rossa delle fiamme riverberava sull’erba, lanciando ombre lugubri sul corno d’oro che le rifletteva di nuovo intorno a loro.
 E, insieme al calore, arrivò il vento. Col vento ci furono i brividi, gli abbracci, la sensazione dell’aria fresca sulla pelle. La paura di non provarla mai più.
 Insieme al vento, il freddo. Con il quale ci furono i primi bocconi e il silenzio. Un silenzio lontano, come nuovo. Come se ognuno volesse morire o andarsene da lì in quel momento. Ma nessuno voleva morire, così come nessuno poteva andarsene.
 Insieme al freddo, il buio.
 Ed eccoci tornati al punto di partenza, con un’Alliyah che aveva ancora in mano l’ossicino dell’ala di pterodattilo mangiucchiato e, miracolosamente, nessuna testa staccata dal collo del proprietario.
 «Sì: diciamo che hai avuto una gran botta di culo.» disse Marilyn alla bionda, che le lanciò un’occhiata assassina. Finnick pensò che sarebbero potute essere amiche, se si fossero conosciute in un posto diverso e in un momento differente. Un po’ come lui e la sedicenne del Distretto 1. Kae non s’avvicinava più: lanciava sguardi furtivi e complici al ragazzo, sapendo che li avrebbe colti senza farsi vedere. In fondo, era l’ultimo dei suoi desideri vederlo ucciso da Junior in un lapsus di gelosia.
 «Chi fa la guardia?» chiese il Rosso, indifferente. Un coltello in mano e un osso spesso nell’altra, stava modellando la punta del resto in modo che fosse acuminata. Sarebbe potuta diventare un ottima arma, attaccata ad un supporto rigido. Il diciottenne rifletté: non sarebbe mai stato in grado di costruire una cosa del genere, se non fosse passato dalla sessione “Costruzione armi” all’addestramento. Fu la prima volta in cui capì che la forza bruta non era tutto, se si voleva vincere. Ma faceva la sua parte, Junior lo sapeva bene: se non fosse servita, Sam non sarebbe mai morta. Invece non c’era più. Forse, era l’unica cosa che gli faceva intuire che tutto ciò stava accadendo davvero e non era un incubo. Che Junior Abbey ancora respirava. E non avrebbe smesso presto.
 Scusse la testa. Una ciocca arancione gli andò in viso e dovette portarla dietro all’orecchio con il dito, mentre aspettava la risposta dei compagni.
 «Faccio io il primo turno.» sussurrò il Figlio del Mare, lasciando gli altri a bocca aperta.
 «Sicuro, Odair? – gli domandò il Rosso. – Hai presente cosa vuol dire? Stare sveglio, senza dormire, per due o tre ore… non so quanto sia conveniente nelle tue condizioni, bambolina.» finì sarcastico, con un sorriso dipinto in viso.
 «Non preoccuparti. – ribatté acido. – So quello che faccio.»
 Anche se questo non era esattamente vero. Finnick non aveva idea dei pericoli che avrebbe corso se un tributo – di quelli grossi, ovviamente – fosse arrivato e lo avrebbe colto di sorpresa. Il suo braccio gli mandava ancora dolorose fitte, ma il suo volto rimase impassibile: alla luce degli avvenimenti del giorno, non voleva assolutamente essere visto come il “debole” della situazione.
 «Contento tu, Odair, contenti tutti.» disse Alliyah finalmente a bocca vuota, mentre si stuzzicava i denti con un ossicino appuntito, ormai finemente rosicchiato. Fatto ciò, si alzò lesta e andò a prendere un sacco a pelo nel Corno d’Oro, prima di mettersi nel lato ombroso di esso.
 «Vado anche io.» sentenziò Marilyn, ripercorrendo i passi fatti dalla Favorita del 4.
 Il ragazzo pensava che sarebbe toccato a Kae.
 Ma lei non si mosse.
 Junior neppure. A momenti pareva osservasse il fuoco. In altri istanti, il ragazzo sentiva come se i suoi occhi gli si fossero puntati addosso. Non sapeva come comportarsi, in effetti: una parte di lui urlava forte di correre dalla sedicenne e di abbracciarla forte, stretta, perché sarebbe potuta essere l’ultima volta che si trovavano vicini. L’altra metà della sua anima gli imponeva di stare fermo, di non muovere muscolo. Gli sussurrava all’orecchio che il Favorito non ci avrebbe messo nulla a colpirlo.
 Che non ne valeva la pena.
 Ma, lui lo sapeva bene: per Kae, questo ed altro.
 I suoi glutei strisciarono sul terreno, senza che si alzassero mai da terra. I metri vennero bruciati in fretta, mentre gli occhi chiari di lei non riuscivano a staccarsi dai suoi. Junior se ne accorse, certo. Ma capì che non era quello il momento di ucciderlo.
 «Non ti riposi?» chiese Finnick alla ragazzina.
 «Non vi lascio da soli, voi due. – rispose, non troppo calma. – Ho paura.»
 «Allora portalo via con te.» risolse per lei il quattordicenne. Vedendo la sua espressione interrogativa, le sfiorò una mano in cerca di un po’ di sicurezza anche per lei. Kae s’aggrappò a quelle dita come se fossero la sua ancora di salvezza, l’ultimo appiglio verso la luce.
 Poi s’alzò risoluta, andando verso il compagno. La sua mente era tutto tranne che sgombra, ma provò a sembrare disinvolta, quando aiutò Junior a mettersi in piedi e lo trascinò sottobraccio verso il punto in cui le altre si riposavano. Il Rosso la seguì di malavoglia, sorridendo solo quando lei gli stampò un bacio sulla guancia e di allontanò. Guardò il Figlio del Mare per cogliere la sua reazione, ma lo trovò a guardare da tutt’altra parte e si coricò.
 Il quattordicenne s’era già perso, affogando i suoi occhi nella luce che la luna lanciava dal cielo. Ogni cosa aveva dei contorni definiti e il buio in mezzo.
 Tutto poteva farti male, chiunque poteva ucciderti.
 Ma ora l’importante non era quello.
 Non in quell’istante, quando un paracadute argenteo cadde dal cielo verso il canale che circondava l’isolotto. Il riflesso dell’astro notturno sulla stoffa lucida lo costrinse a socchiudere gli occhi per capire che stesse accadendo. Si avvicinò piano all’acqua, senza toccarla. Osservò l’involucro inzupparsi fin quasi ad affondare con il “dono”. Fu un riflesso involontario del suo braccio a fargli afferrare la stoffa e tirarla a sé. Era pesante, ed ebbe bisogno di un paio di secondi per portarlo del tutto sull’erba. Le sue dita erano intorpidite dal freddo dell’acqua, ma si mossero rapidamente per rivelare cosa gli sponsor avessero inviato al Figlio del Mare. Quando si iniziò ad intravedere qualcosa, il cuore del quattordicenne mancò un battito: un manico d’oro e tre punte acuminate. Avrebbe riconosciuto quella sagoma ovunque.
 Mentre le sue dita carezzavano la parte innocua dell’arma, pensò a quanto aveva desiderato trovarlo alla Cornucopia. Pensò a quanto poteva essere costato e, quindi, a quante persone avevano scommesso su di lui. Ricordò quando sulla barca di famiglia pescava qualcosa, aiutato anche da delle reti costruite al momento.
 Concretizzò il fatto che, forse, Finnick Odair avrebbe potuto davvero vincere quegli Hunger Games.
 Le sue dita stavano ancora girando intorno all’arma, come per rendersi conto che fosse vera, quando trovò un biglietto. Una calligrafia inconfondibile, solo poche parole: “So che puoi farlo. vai, e vinci.”




























 Adolf's corner.

 Ho partorito di nuovo.
 Ora... spero non faccia schifo come temo.
 Sì, Mags è una figa e la amo da fare schifo.
 Penso che non aggiornerò prima del 10 febbraio, causa ragazzo e impegni vari.
 So che sono sintetica, ma è tutto oggi che scrivo.
 Ciao belli♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥

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Capitolo 13
*** You're in ruin. ***





 

 Chapter twelve:
 You're in ruin.

 
 







 Un quattordicenne correva, ignaro dei pericoli che avrebbero potuto coglierlo alla sprovvista. Le sue gambe si muovevano rapide sulla terra battuta di quella palude infausta che in un secondo l’avrebbe potuto uccidere. Una voce dentro, però, gli diceva di sorridere, ché tutto sarebbe andato per il verso giusto. E lui attraversava rapido le valli, stando attento a non cadere a causa dell’erba alta. A volte zoppicava un paio di passi incerti, prima di andare avanti verso l’ignoto un po’ più sicuro. Il peso dell’arma gli gravava sulle spalle mentre si muoveva, ma ile sue ginocchia erano forti e lo sorreggevano. In fondo, quella sarebbe stata la sua salvezza: la sua ancora verso la vita. La sua vita nel suo Distretto 4.
 La sua vita, con la sua Tess.
 
 «È nata! – urlò Christopher in preda ad una gioia disumana, che il figlio non aveva mai visto. – Theresa è nata!»
 Il maggiore dei suoi pargoli aveva solo due anni, ma i suoi grandi occhi verdi erano felici tanto quanto quelli del vincitore. Perché Laut glielo aveva detto più di una volta: papà aveva vinto. Ma il ragazzino non sapeva cosa avesse concretamente vinto o meno. Ma gli andava bene così. Alla fin fine, aveva due anni: non poteva importargli veramente.
 Nel Distretto 4, nonostante la ricchezza, le donne usavano chiamare un ginecologo e partorire in casa. Neppure l’egregia e ricca Laut Odair, conosciuta e rispettata da tutti, poteva permettersi di andare in ospedale. L’infermiera di turno aveva biondi capelli che le ricadevano sulle spalle in ricci disordinati e irregolari. I movimenti erano calmi e lasciavano intendere che facesse quel mestiere da tutta una vita. Portava in braccio una creaturina piangente, sporca di rosso. La pose delicatamente sotto il getto d’acqua fresca e si pulì. Ora pareva più tranquilla: il suo respiro era regolare e quasi schematico. Su e giù, dentro e fuori: niente di più naturale. L’uomo dalla chioma chiara le si avvicinò, prendendo lo scricciolo in braccio e stringendolo forte. La presa della minuscola mano della bimba si serrò intorno alla maglia del padre, quasi come se capisse che il sangue che aveva nelle vene era suo. Finnick pensò che non ci fosse niente di più bello al mondo: niente era meglio di Tessa.
 «Finn… – balbettò il trentenne, un po’ spaesato. – Dio, Finn: mi ero scordato di te! Vuoi vederla meglio?»
 Il piccolo si avvicinò piano alla sorella, come se ci fosse un qualcosa di invisibile a proteggerla che lui avrebbe potuto mandare in pezzi. Eppure lei continuava ad avere la sua espressione tranquilla e serena in viso, anche quando lui le s’era messo accanto. Odorava di buono, di pulito e di sicuro. Non sapeva come definire quella precisa sensazione, ma era un qualcosa di assolutamente unico e irripetibile. I suoi lineamenti erano delicati, come dipinti da qualcuno che le aveva voluto bene. Le labbra sottili, il naso leggermente a patata, gli zigomi un po’ tondi e un abbozzo di lentiggini sulle guance. Le sopracciglia le incorniciavano gli occhietti ancora chiusi, mentre le dita piccole erano ancora chiuse intorno alla stoffa bianca mentre la bocca del bimbo s’era avvicinata alla sua. Ora respirava il suo respiro. Erano una cosa sola: stesso sangue, stesso cuore. Niente li avrebbe divisi, pensavano. Quando s’allontanò appena, le palpebre dell’appena nata Tess si spalancarono, soffermandosi sul fratello. Le iridi erano di un azzurro cristallino, quasi innaturale. Tutte le persone che la incontrarono, paragonarono il loro colore al cielo. Solo Finnick appena la vide, pensò istintivamente al mare.
 
 «Corri, forza, Finn: corri.» lo incitò una voce nella sua testa.
 Ce l’avrebbe fatta, se lo sentiva. Per Tess, per il mare. Per riuscire a dimenticare tutto e vivere una vita degna di quel nome. Ma non sapeva ancora che nessuno dimentica mai, quando ci sono di mezzo gli Hunger Games.
 E lui voleva essere l’unico a rimanere in piedi, l’unico in grado di respirare alla fine di tutto quello. L’unico con un cuore ancora battente in petto.
 Ma poi pensava a Kae. Alla sorridente Kae che aveva fatto di tutto per proteggerlo, dagli altri e da se stesso. Pensava ai suoi capelli, alle lentiggini che mille volte avrebbe potuto contare e ricontare senza mai annoiarsi, all’increspatura delle labbra quando sorrideva o parlava. Le mani affusolate e per niente dritte, le guance scavate e ogni altro particolare che solo lui aveva notato. Come sarebbe morta Kae? Chi l’avrebbe uccisa?
 Un ricordo tornò nella sua mente vivido. Il Rosso stava di fronte a lui, un sasso in una mano mentre l’altra stava lungo il fianco. «Sai che non sarò io ad ammazzarla.», aveva sussurrato. Ma la risposta del diciottenne ora gli rimbombava nelle orecchie, chiara e forte: «Sappiamo tutti e due che nessuno la ucciderà, se non lo farà uno di noi. Penso sia ora di andare. Per cosa stai vivendo, Odair?»
 Scosse la testa, quando uno scampanellio gli fece vibrare i timpani. Si stupì della velocità con cui i suoi sponsor riuscissero ad inviargli doni. Aprì rapido la stoffa argentea, controllando per un secondo con la mano di avere ancora il tridente in spalla. Ebbene: l’arma c’era. Non aveva sognato. Trovò una corda spessa e resistente, quasi nera. Evidentemente era creata a Capitol City, perché nel Distretto 4 non ne aveva mai viste di simili. La rigirò tra le dita, osservandola. Potevano essere non meno di cinque metri. Ricordò quello che gli aveva dato Annie, e subito i suoi polpastrelli corsero alla cintura, dove c’era annodato il portafortuna datogli dalla madre. Lo carezzò come fosse un tesoro di valore inestimabile, prima di capire che avrebbe dovuto fare come Laut gli aveva insegnato. Richiuse la pezza intorno al lazo e ricominciò a correre. Le sue gambe si mossero incessantemente, fino a che non trovò un salice su cui rifugiarsi. S’arrampicò fino ai rami più nascosti, dove si sentiva al sicuro. Lì le sue mani iniziarono a muoversi agili e precise, fino a che l’intreccio non prese vita. Osservò la sua rete crescere fino a diventare abbastanza grande da contenere un tributo. Uscì dal suo nascondiglio per sistemare nel prato la trappola, agganciandola ad un meccanismo imparato al Centro d’Addestramento che l’avrebbe fatta scattare.
 Poi tornò su, e attese, muovendo le mani intorno al piccolo laccio che le dita della giovane madre avevano già consumato.
 E attese ancora. L’odore acre dell’aria gli ricordava un altro odore, altrettanto forte, ma ben peggiore.
 E rumori.
 
 Finnick stava montando una barchetta di legno in soggiorno, sul tappeto buono decorato da ghirigori multicolori concentrici che lo avevano sempre incantato, quando il padre, Christopher, era entrato in casa trascinando per un braccio la madre, Laut.
Il bimbo dai capelli biondi lo aveva guardato, prima contento perché finalmente non era più solo, poi impaurito perché l'espressione che l'uomo aveva dipinta in volto era mostruosamente paurosa.
«Stupido bambino, levati dai piedi.» aveva ordinato il padre con un’espressione rabbiosa e allo stesso tempo infastidita. 
Finnick aveva lasciato cadere la sua piccola opera d’arte, stringendo le mani a pugno sul petto, gli occhi verdi grandi dal terrore.

Il primogenito degli Odair aveva nove anni. Tess solo sette.
Nove anni e una paura immane del padre, che ogni volta lo tormentava con una terribile e ferrea morsa allo stomaco.
Fino a che non era cresciuto e maturato troppo velocemente per gli standard di un bambino qualunque, non aveva saputo dargli un nome. Ma quando ciò era accaduto, era infine riuscito a distinguere la differenza tra il bene e il male ma, soprattutto, tra l'amore di un uomo e una donna e il sentimento violento che legava i suoi genitori.
Ma, fino ad allora, avrebbe creduto che sua madre e suo padre veramente si amassero, solo che Christopher aveva qualche problema nel controllare i propri sentimenti e quindi era costretto a sfogarsi in qualche modo.
«Non hai capito, cretino? – aveva sbraitato l’uomo, lasciando un attimo la moglie per raggiungere il figlio ad ampie falcate – Ti ho appena detto di levarti dai piedi: sei forse sordo?!»
«P-Papà...» aveva balbettato il giovane, specchiandosi in due iridi azzurre, rese lucide dal troppo alcol.
Anche questa, però, era una cosa che l'allegro Finnick non sapeva: dall'alto della sua innocente età, credeva che gli occhi luccicanti appartenessero solo al padre della famiglia Odair e che, una volta cresciuto, li avrebbe ereditati anche lui.
«Non fare quella faccia da cane bastonato:  mi dà fastidio! Muovi il culo e sparisci di qui, la tua sola presenza mi disgusta.» aveva detto Chris, irato.
Prima che il bambino avesse avuto anche solo la volontà di rispondere – in ogni caso non lo avrebbe mai fatto: era troppo spaventato anche solo per muovere un muscolo –, Laut era intervenuta, posando una mano sulla spalla del marito al fine di calmarlo. 
«Chris, non urlare al bambino, per piacere.»
Quest'ultimo non si era neanche premurato di darle una risposta: semplicemente; le aveva soffocato la mano in una stretta disumana e aveva ruotato il colpo fulmineo; schiaffeggiandola. «Non dirmi cosa devo o non devo fare, puttana!»
La donna aveva barcollato lievemente e subito si era presa la guancia lesa fra le mani; il labbro spaccato e sanguinante.
Nonostante il dolore il suo viso si era aperto in un sorriso luminoso, rivolto sia a l'innocente Finnick che al marito.
«Finn, tesoro mio, va' in cucina. Tra un po' verrò a prepararti qualcosa da mangiare.» aveva detto.
Il bimbo, ormai precipitato in  stato di panico, si era alzato fulmineamente e subito fiondato nella stanza adiacente al soggiorno: porta chiusa a chiave, finestre sprangate.
Aveva tagliato i suoi contatti col mondo, Finnick, per restare solo, in grazia di Dio.
Ma nella sua solitudine non riusciva a fare a meno di provare ancora più paura.
Perché la solitudine è triste e lui non amava assolutamente essere triste.
Però, se stare solo significava essere al sicuro da grida troppo forti e occhi luccicanti, allora andava bene.
Indeciso sul da farsi, aveva acceso la televisione e messo su la prima cassetta trovata: in fondo, sua madre ne aveva comprate tante di cassette. Cassette belle, di cartoni animati, le quali raccontavano storie di amicizia e felicità.
Storie d'amore, che spesso lo facevano dormire, ma comunque meglio delle trasmissioni capitoline in onda ogni giorno e ogni ora su canali decisamente troppo capitolini.
Solo che ai suoi occhi questa cassetta era parsa subito diversa: innanzitutto era partito l'Inno di Panem, tonante e forte, poi le figure nel video erano sembrate troppo vere per essere solo delle creature fatte al computer.
Poi era accaduto qualcosa di inaspettato: un essere viola – a metà fra una piovra e un gambero – aveva gridato il nome di suo padre con tanta forza che Finnick aveva avuto paura per lo schermo dell'apparecchio televisivo.
«Papà è in un film?» Aveva pensato dunque, pieno d'orgoglio e d'emozione, dimenticando i sentimenti provati poco prima.
Nessuno gli aveva mai detto che Christopher era una star di Capitol City e, a questa notizia, le gemme verdi che possedeva come iridi avevano brillato come mille stelle.
Aveva seguito la pellicola con trepidazione; trattenendo il fiato quando il genitore, allora diciottenne, aveva sgominato i propri nemici (il che comprendeva trucidarli, maciullarli, sventrarli, smembrarli, torturarli, impalarli e cose di quel tipo) in quella fabbrica abbandonata, fino a che non erano rimasti solo in due. La compagna di Christopher lo guardava dal basso dei suoi tredici anni, chiedendo perdono per essere rimasta l’ultima, con lui. Ma il ragazzo pareva avere tutt’altro in mente, quando le corse incontro, tagliandole la testa di netto con la sua ascia. Il bambino osservò tutto sgranando gli occhi ed esultando, con tanto di battito eccitato di mani, quando lo aveva visto vincitore, ricoperto di oro e soldi. Eppure, accanto al giovane Chris Odair, giaceva ancora il corpo minuto, senza testa e biondissimo di quella ragazzina che aveva protetto per settimane, prima di ucciderla. Finnick non sapeva il suo nome, ma avrebbe giurato che fosse Katy. Katy, il nome che l’uomo urlava la notte quando si alzava di botto, correva in cucina e beveva grosse sorsate di liquido trasparente da una bottiglia squadrata. Katy aveva i capelli biondi, Katy era innocente, e il diciottenne lo sapeva. Eppure l’aveva uccisa, perché aveva preferito la propria vita alla sua.
 Stranamente, nei giorni seguenti, il piccolo Finnick Odair non aveva visto che rosso.
 Rosso intorno a lui.
 Rosso su di lui.
 Rosso sul tappeto.

 Rosso sulle sue mani.
 Rosso nei suoi incubi.
 
 Non ci mise molto, la trappola, per scattare.
 Il povero malcapitato era un tributo storpio, iridi scure e capelli chiari che ricadevano sulle spalle. Il quattordicenne lo studiò esitante, indeciso sul da farsi. Non avrebbe creato nessuna sorta di contatto con lui perché non doveva andare come con Calypso. Nonostante sapeva che sarebbe accaduto comunque, voleva prevenire che quello sconosciuto potesse apparire nei suoi incubi. Soppesò la possibilità di lasciarlo andare – era, comunque, un avversario debole – e di ritendere la rete. Ma qualcosa in lui gli diceva che non doveva farlo, ché sarebbe finita male. Scese agilmente dal ramo più alto dell’albero con la sua adorata arma in mano e si posizionò davanti a lui. L’espressione del – forse – diciassettenne mutò in puro terrore. La mano del Figlio del Mare si mosse rapida, colpendo.
 Un rivolo rosso scese dal petto del ragazzo, andando a macchiare il tridente di Finn. I suoi occhi marroni lo guardarono, prima che la pupilla s’ingigantisse, facendoli diventare neri. Il quattordicenne lo osservò attonito, prima che le gocce di sangue scorressero fino al manico dell’arma, sulle dita di Finnick.
 Rosso sul prato.
 Rosso che gocciolava.
 Rosso su di lui.
 Rosso intorno.
 E, per la prima volta in vita sua, Finnick Odair desiderò di essere più simile a suo padre.




























 Adolf's corner.

 Oh, here I am.
 Non ci credo, ma ci sono.
 Non sapevo che scrivere. Quindi flashbacks abbestia ùù
 Grazie a Marti, grazie tanto♥
 Anzi, vi invito dalla sua figa ff sui giochi di Mags, Into the West.
 Il prossimo aggiornamento forse al 17 ;)
 Bascio♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥

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Capitolo 14
*** The pariah. ***




 

 Chapter thirteen:
  The pariah.







 La bionda fu la prima a destarsi: in uno stato di dormiveglia semipermanente uscì dal suo sacco a pelo barcollante. Spettava a lei il secondo turno di guardia. Il sole ancora non si faceva vedere all’orizzonte, mentre i suoi piedi di piantarono a terra instabili e mosse incerti passi verso il punto in cui il giovane compagno avrebbe dovuto sorvegliare l’arena.
 Non lo trovò.
 Fece più volte il giro del Corno d’Oro, ma Finnick non c’era.
 Era sparito.
 Il buio spettrale rendeva il tutto più simile ad un film che alla realtà. Alliyah fece tre volte il giro della Cornucopia senza trovare il compagno. Controllò il canale, ma nessun corpo vi galleggiava dentro. I suoi pensieri conversero tutti nello stesso punto: Finnick Odair era morto, e loro non avevano sentito il cannone perché troppo addormentati. Assaporò la sensazione come fosse un muffin, che ad ogni morso ti sazia di più: il suo compagno di Distretto, quello bello da fare invidia al cielo, morto. Senza neppure il bisogno che uno di loro lo uccidesse. Se era stato sfortunato, poi, poteva essere stato dilaniato da un ibrido dinosauro come la sciagurata dell’11. Nella sua mente comparve la visione del corpicino del quattordicenne con la tuta sgualcita, strappata di qua e di là. La gola non tagliata di netto, ma lacerata tanto quanto basta per non riuscire a respirare ma non morire ancora. Gli mancavano diverse dita delle mani e, quelle che non mancavano, non avevano più le unghie. I capelli erano intrisi di rosso, mentre l’unico occhio rimastogli non aveva più pupilla, e il suo azzurro s’era scolorito tanto da ricordare il vetro. Il mastodontico Tirannosauro – perché sì: se Alliyah ha una visione la ha fatta bene – si chinava sul cadavere per recidere una gamba con gli artigli prima di mangiarla. E Finn provava ad urlare, ma non ci riusciva. E Finn iniziava a respirare in modo più affannoso e frettoloso, fino a che non ce la faceva più.
Si sentiva come al cinema. Anche se non c’era mai stata, avrebbe scommesso che la sensazione era più o meno quella.
Oppure come se stesse leggendo un libro – cosa che non aveva mai fatto in vita sua –, quando muore quel personaggio che hai tanto odiato e non vedevi l’ora di toglierti dai piedi.
 Alliyah era così, con quell’espressione di beatitudine di chi s’è perso tra le righe già da un pezzo e ci sono ben poche possibilità che torni indietro. Solo che la sua mente era ancora fissa sul corpo trucidato di quel compagno che tanto odiava. Si maledisse per aver perso la scena ma, pensò, la avrebbero sicuramente inclusa nel filmato sui suoi giochi, e la avrebbe vista una volta vincitrice, con Ceasar accanto che faceva commenti del tipo “quanto era stupido quel quattordicenne senza cervello”.
 In realtà, Alliyah ignorava che, se di una persona si diceva che era stupida, non serviva affatto aggiungere che fosse senza cervello.
 Tutto sembrava quadrare nel suo paradisiaco dipinto dell’orrore, se non fosse stato per un particolare che attirò la sua attenzione: in fondo al canale che delimitava l’isolotto dove lei e gli altri Favoriti avevano passato quei giorni in arena, giaceva un pezzo di stoffa. Non ci pensò due volte, quando si tuffò agilmente in acqua e arrivò a prendere il brandello di tessuto. Mentre lo riportava su, si stupì del suo peso incredibilmente eccessivo per il materiale.
 Sarà colpa dell’acqua, si disse. Ma le bastò uscire dal ruscello per capire che non era così. Si passò una delle robuste mani tra i capelli chiari in modo da scompigliarli un po’ e osservò quello che si trovava davanti: un paracadute argenteo che rifletteva la luce del pallido sole che iniziava a lanciare i suoi raggi sul salice sotto il quale Calypso era morta. Era grosso, troppo per contenere solo cibo o acqua. I suoi occhi azzurri si sgranarono involontariamente. Tutti parlavano di continuo di quanto Mags fosse brava ad arruffianarsi sponsor – ma, a suo modesto parere, Caden lo era molto di più e non le aveva ancora mandato niente perché voleva fare le cose in grande –, ma non aveva mai creduto che lo fosse abbastanza da mandare un’arma nell’arena, dove di armi ce n’erano a bizzeffe.
 E poi, che arma?
 Il suo cervello pensò veloce, i suoi neuroni passarono in rassegna tutte le cose che Finnick Odair sapeva fare ma non aveva ancora fatto da quando erano entrati negli Hunger Games. Sapeva pescare, quindi usare le reti, ma il paracadute era troppo grosso per contenere solo delle corde. Usava bene le fiocine ma, stesso discorso, gliene avrebbe dovute mandare quattro o cinque e – in fondo – erano identiche alle lance: tanto valeva usare quelle!
 La prima volta che ci pensò, le parve irreale. Non poteva stare né in cielo né in terra. Poi prese un po’ le misure: veniva anche lei dal Distretto 4, e ne aveva maneggiati abbastanza da ricordarsi quanto fossero grandi. E pesavano, abbastanza da lacerare le corde che chiudevano il paracadute.
 E tutto le parse chiaro.
 E vide il suo compagno correre via, con l’arma incriminata in spalla senza che nessuno lo seguisse.
 E lo vide ridere di gioia.
 E si sentì stupida, perché, fino a pochi minuti prima, era sicura fosse morto.
 Quando il ragionamento quadrò, niente la trattenne dall’urlare, metà trionfante per l’ammirevole deduzione e metà terrorizzata perché, se davvero era così, erano praticamente spacciati.
 Una sola parola, abbastanza forte da svegliare tutti gli altri Favoriti: «Tridente!»
 Le bestemmie di Junior furono abbastanza colorite da far arrossire le perlacee guance di Kae, appena alzatasi e ancora in dormiveglia. Nessuno di loro si spiegava quel brusco modo per destarli, eppure qualcosa doveva essere successo, se Alliyah era così irrequieta e terrorizzata da prendere Marylin per i capelli pur di farla smettere di dormire. La chioma del Rosso era scompigliata intorno al capo. Diligentemente, prese il codino portafortuna che teneva intorno al polso destro e la legò in una coda, in modo che non desse fastidio. Iniziò a chiedersi cosa potesse voler dire la parola “tridente”, ma attese a parlare. Prima cercò di raccogliere tutta la calma che possedeva per non urlare addosso alla prima alleata che gli capitava davanti. Respirò profondamente, osservando i visi che si trovava davanti: un’albina, un gorilla, una bionda inquietantemente sveglia nonostante fino a pochi secondi prima non lo era.
 Si sentì come se mancasse qualcuno, qualcuno importante…
 «Dov’è Odair?» chiese sbadigliando col tono più piatto che il suo repertorio poteva offrire.
 A quella domanda, Alliyah sbottò.
 «Se n’è andato! – strillò. – Quel piccolo ingrato se n’è andato!»
 A sentir quelle parole, tutta la sicurezza di Kae crollò. Perché era scappato? Perché di notte? E, soprattutto, perché non le aveva chiesto di andare con lui? Si sentì come spezzata, come un vaso che cade e non ha nessuno con la voglia e la colla per rimetterlo insieme. Le lacrime le salirono in gola, e minacciavano di uscire.
 Solo una parola sgorgò dalle sue labbra: «Perché?»
 Eppure, non era neanche lontanamente sufficiente a riassumere le sue emozioni. Si sentiva tradita, ferita nel profondo di un cuore che non aveva mai subìto colpi tali. Provò a giustificarlo, dicendosi e ripetendosi che Finnick aveva avuto le sue buone ragioni, che, se l’aveva abbandonata, era stato per il suo bene. Ma nulla resse quando la risposta della diciassettenne del 4 arrivò: «Gli hanno mandato un tridente, gli sponsor…  e ha tagliato la corda.»
 A Junior bastò un solo sguardo verso la compagna per capire che tutta quella situazione stava diventando più seria del previsto. Sapeva fin da troppo tempo che il Figlio del Mare le avrebbe fatto male, ma solo ora si rendeva conto concretamente di quanto gliene avesse fatto davvero. Non gli era mai capitato di vederla in quelle condizioni, combattendo contro i singhiozzi che iniziavano a diventare incontrollabili. Dalla prima volta in cui l’aveva vista, lei era stata per lui la personificazione dell’autorità, della forza, era stata una di quelle persone che passano sopra ogni cosa e non cedono mai. Ma ora si stava spezzando, come farebbe anche un baobab dopo troppe tempeste: arriva l’ennesimo fulmine e il tutto diventa troppo da sopportare.
 L’avrebbe voluta abbracciare, stringere forte cancellando ogni cosa presente in quell’arena.
 «Come lo sai?» chiese ad Alliyah, nascondendo le sue emozioni. Non sapeva come l’avrebbe potuta prendere l’Albina, così non fece nulla. L’unica cosa che li legava, erano sfuggenti occhiate di conforto che le cornee arrossate di Kaelea non avrebbero mai colto. Perché lei era assente, distante da quei momenti troppo dolorosi per il suo cuore, già in tempesta. Sapeva benissimo che sarebbe dovuta morire, se voleva che Finnick vincesse – ed eccome, se lo voleva. Soltanto sperava che sarebbero riusciti a passare un paio di giorni insieme, magari senza Junior. Solo Finn e Kae. Con l’unico intoppo che Finn ora non c’era più e la ragazza aveva come la sensazione che non sarebbe tornato a cercarla.
 «Quando mi sono alzata, - spiegò sbrigativa una delle due bionde. – lui non c’era più. Ho perlustrato tutto qui intorno, e per un momento ho anche pensato che fosse morto. Poi, guardando meglio in giro, ho trovato questo.» lanciò in braccio a Mary il paracadute. Se lo rigirò tra le dita, sentendo la sensazione che quella stoffa le regalava sui polpastrelli: era ruvida, ma non abbastanza da fare male. Piacevole al tatto, ma non abbastanza liscia da scivolare via. Era fatta per affondare ma non scivolare tra le foglie di eventuali alberi, facendo così perdere il dono al prescelto.
«E, precisamente, cosa ti fa pensare che ci fosse dentro un tridente?» chiese.
«Veniamo dal Distretto 4, e Finnick pesca da tutta una vita. Uno più uno fa due.»
 Alliyah si stava palesemente pavoneggiando ma, in fondo al cuore, non le importava: era bello essere, per una volta, la prima ad intuire le cose e non l’ultima ad arrivarci. Si sentiva come la prima della classe a scuola – cosa che non era mai stata.
 «Io non ci credo. – proruppe Kae, sforzandosi di non piangere davvero. – Fino a che non ne avrò le prove, non ci crederò mai.»
 La Kae forte era salita a galla nonostante il dolore la volesse trattenere in basso. Si sentiva come se stesse annegando, ma le sue gambe si muovevano rapide verso la superficie del suo lago di lacrime. Si era sentita così una volta sola in tutta la vita: alla sua quarta mietitura, quando era stato estratto il suo nome, e Junior era salito sul palco.
 
 «Sam, Sam, dove vai?» una bimba di dieci anni, i capelli color della neve, guardava una piccolissima Pel di Carota correrle davanti in direzione dell’orfanotrofio in cui abitava. Non voleva tornare nella struttura buia in cui sarebbe stata costretta a passare tutte le notti che la separavano dai diciotto anni. Ma Sam non capiva: lei era libera, lei non aveva il problema di temere il buio ogni sera. Perché buio significava freddo, freddo voleva dire solitudine. E solitudine sangue.
 «Andiamo, Kae, e davvero mi dovresti fare da babysitter? – le rise in viso la piccola di sette anni. – Io sono Indigo!»
 Era facile confondere le due gemelle Abbey, tanto si somigliavano.
 Alle volte, desiderava con tutto il suo cuore di avere una sorella. Non aveva mai conosciuto i suoi genitori, quindi teoricamente la avrebbe anche potuta avere. Fatto stava, che non l’aveva mai conosciuta e – con ogni probabilità – non lo avrebbe mai fatto. Magari la aveva incontrata in giro per le strade del Distretto 1, i loro occhi si erano scontrati senza riconoscersi e la loro vita aveva ripreso il suo corso.
 In fondo, tutti glielo ripetevano costantemente: sua madre era una puttana.
 Le prime volte, s’era chiesta cosa quella parola significasse ma, a furia di sentirsela ripetere, aveva acquistato significato da sola. E, quel significato, tutto era tranne che positivo.
 «E Sam dov’è?» chiese la ragazza in preda al panico. I genitori della rossa erano tra i più facoltosi del Distretto, e l’avevano assunta come babysitter perché – sostanzialmente – gli faceva pena e la volevano aiutare. C’era chi vociferava che conoscevano suo padre, altri pettegolezzi dicevano che era proprio il signor Holden Abbey il genitore della piccola albina. Ma nessuno poteva darne conferma, dato che l’uomo era morto in fabbrica a causa di un malfunzionamento.
 E, con lui, anche la questione fu sepolta.
 «Sam è in Accademia. – Indigo rispose semplicemente, – è con Junior.»
 Kae aveva sempre desiderato andare in Accademia, ma non ci aveva mai messo piede.
 Le sembrò una buona idea sussurrare in modo complice alla piccola: «Allora la andiamo a prendere!»
 Ma non riuscì mai ad arrivare alla struttura, perché Junior e Sam li scontrarono sulla strada. Gli occhi della giovane erano delusi: in fondo, le sarebbe piaciuto visitare quel posto di cui tutti parlavano e in cui tutti i figli di papà del Distretto 1 dovevano – tassativamente – frequentare per un periodo più o meno lungo della loro vita.
E, quando la signora Abbey li raggiunse per riprendere le due figlie, il dodicenne si offrì di riportare l’amica a casa – casa, se l’orfanotrofio poteva essere chiamato in questo modo.
 «Cos’hai?» chiese il ragazzino dagli occhi verdi e i capelli arancio guardandola attentamente. Riusciva a capire tutto di lei, mentre Kae non capiva nulla. Gli voleva bene, certo, e questo la spaventava. Non era mai stata legata a nessuno, e non voleva esserlo.
 «Mi sarebbe piaciuto venire in Accademia, oggi.» rispose sinceramente la piccola.
«Perché?»
Già, Kae, perché?
 «Perché mi piacerebbe essere allenata, riuscire a vincere… – era la prima volta che pensava agli Hunger Games come ad un trampolino di lancio. La prima e ultima. – vincere, riscattarmi… capisci?»
 E Junior capiva, lo faceva davvero. Anche lui aveva deciso di vincere, così, per ridare onore al nome di quella famiglia caduta in rovina quando il capostipite era morto senza ragione.
 «Vinceremo, in anni consecutivi.» le promise, tendendole la mano.
 Kae esitò. Non sapeva se fosse la cosa giusta o meno.
 «Insieme?» domandò ancora insicura.
 «Insieme o niente.» giurò Junior.
 «Insieme o niente.» acconsentì la piccola, intersecando le dita con le sue.
 E si diresse verso il buio edificio mentre lui la guardava.
 «Cosa farai domani?» domandò prima di andarsene del tutto. Si voltò verso di lui, lo osservò a lungo, e lui ricambiò.
 «Domani vado in Accademia.» le disse sorridendo.
 «Allora vengo con te.»
 La porta buia le si chiuse dietro le spalle.
 Ora, aveva un po’ meno paura.
 Dal canto suo, Junior si sentiva meglio: aveva appena fatto una promessa.
 E l’avrebbe mantenuta.
 
 Ci fu un momento in cui nessun Favorito osò muoversi.
 Poi gli occhi verdi di Junior si puntarono in quelli vitrei della compagna, cercando cosa dire. Tacque un paio di secondi, prima che la sua forza di volontà lo portasse a sentenziare, senza alcuna emozione ad incrinare il suo tono di voce:
 «Io vado a cercarlo.»
 «Vengo con te.»



























 Adolf's corner.

 Quanto tempo fa dovevo aggiornare?
 Un mese, un lunghissimo mese fa.
 Vi chiedo perdono, e non voglio giustificarmi. Voglio solo essere fiera di me perchè, nonostante avessi in programma di mollare tutto, sono di nuovo qui, con questo capitolo.
 Mi spiace di avere un preferito in meno e di aver "perso per strada" cinque e anche più recensori, ma prometto di diventare più costante.
 Che dire del capitolo?
 So che non è granchè, ma meglio di nulla. E poi, inizierà a "saziare" gli shipper di Kaenior (Kae/Junior), in attera del momento clue (?) della loro nonlovestory. E no: non ve lo dico se sono davvero fratelli ùù
 Inoltre, ho deciso di dare più spazio ad Alliyah per rendere felici i suoi fan che la vedono sempre trascurata.
 E sì: Alliyah ha dei fan, e io sono una di quelli ùù
 Bèh... non voglio darvi date precise, ma prometto che aggiornerò entro un mese!
 E grazie mille, proprio a te, lettore che è arrivato fin qui, e ha letto anche il mio sclero. E che, anche se non recensisci, continui a supportare la mia mente malata.
 Un bascio♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥










 ps. Il titolo, letteralmente, vuol dire "cane bastardo, senza razza" e penso che, in questo momento, Finnick non sia nè carne e nè pesce. Proprio come i bastardini. E poi mi ispirava.

pps. Parlavamo di cani? Bao!♥

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Capitolo 15
*** Live your lifes. ***




 

 Chapter fourteen:
   Live your lifes.







  Il sole era allo zen.
 Finnick stava seduto sul suo ramo, aspettando che la rete catturasse altre vittime.
 Pensava.
 Rifletteva.
 Lo volevano vivo. La capitale aveva scelto anche quell’anno il suo vincitore, ed era lui. Il piccolo e indifeso quattordicenne del Distretto 4 che s’era creduto spacciato fino a pochi giorni prima, che aveva ucciso quella bimba senza pietà, ora si vedeva ricompensato. Tutti i suoi sforzi, tutto ciò che aveva fatto per sopravvivere, ora venivano ricompensati. Eppure, il suo animo si sentiva in colpa; era triste. Si trovò davanti il viso di Kae,  gli occhi chiari con le pupille dilatate, arrossati, e la pelle pallida che faceva risaltare le lentiggini. La vide sfregarsi con forza una mano sulla guancia, cercando di asciugare una delle tante lacrime.
 Non sapeva perché la vedeva così. O, forse, la risposta era racchiusa nel suo inconscio: Kae non piangeva mai. E il pensiero che lo facesse per lui lo faceva sentire importante, parte di qualcosa. Perché lui era sempre stato solo Finnick. Il Finnick di cui importava solo a Tess.
 Tess, così simile a Calypso.
 Calypso morta per mano sua.
 Così indifesa e fragile, così spaventata e rassegnata all’idea della fine.
 Il coltello le aveva spaccato le costole, distruggendole il cuore o perforandole un polmone. Non ci aveva messo molto a morire, e questo lo rassicurava. Eppure, il suo sguardo era così… così bambino e innocente…
 Scosse la testa, cercando di dimenticare: s’illudeva che, con la vittoria, ogni cosa sarebbe semplicemente andata via, come cancellata di netto. Non sapeva ancora che non accadeva così: tutto pareva accentuato dal fatto che tu ancora respiravi, e i ragazzi che le tue mani avevano ucciso no. Ti sentivi in colpa, come se fosse dipeso da te – e, in parte, era così – e non dalle circostanze. Eppure ti facevi forza per non suicidarti, pensando che tutti i tuoi sforzi sarebbero stati vani, se l’avessi fatto.
 E, parecchie volte in quei giorni, anche a Finnick Odair era capitato di volerla fare finita. Così, con una freccia in testa o un pugnale in petto.
 Ma gli occhi verdi di sua sorella ancora lo tenevano vivo, vicino a casa solo grazie ad un ricordo che ancora gli faceva battere il cuore. Glielo racconterò., si disse.
 Quando sentì uno scampanellio quasi familiare sopra la sua testa, guardò curioso oltre la cima del salice. Dopo aver scorto la stoffa grigia argentea del paracadute, s’arrampicò per raccoglierlo e scoprire cosa ci fosse dentro questa volta.
 
 «Minchia, se era incazzato!» rise Marilyn, alludendo a Junior quando aveva scoperto che il Figlio del Mare se l’era data a gambe.
 «Puoi dirlo forte! – assentì Alliyah, mordendo l’ultimo pezzo di carne di pterodattilo rimasto. – Quello lì fa la fine del tuo compagno, te lo dico io!»
 La ragazza del 2 la osservò divertita mentre si puliva la bocca con il retro della mano. Era buffa, Alliyah, alle volte. Lo era perché pareva che non le importasse assolutamente nulla del resto: lei aveva il suo cibo, e questo le bastava. Nel caso fosse finito, magari…
 «Secondo me no. Sai, c’è quell’albina di mezzo…» rifletté. In fondo, entrambe sapevano che nessuno si sarebbe potuto divertire appieno con Finnick fino a che Kae fosse stata in circolazione. Neppure Junior.
 «Prima o poi morirà e, allora, non ci sarà più nessuno a salvare il bel culetto di quel quattordicenne.»
 «Come fai ad esserne certa? Potrebbe sempre durare più di noi.»
 «Se permetti, io penso che-»
 Non finì mai la frase. Si alzò in piedi con l’arco in mano mentre la compagna la guardava: alle sue spalle, s’era innalzata un’ombra scura. Marilyn ci mise un po’ a capire ma, quando il buio le piombò addosso, tutto parse almeno un po’ più chiaro.
 La terra tremò.
 
 Junior guardava Kae silenziosamente: qualcosa nel nero dei suoi occhi chiedeva ciò che la sua voce non aveva il coraggio di pronunciare. Si tartassava, chiedendosi cosa avesse sbagliato, perché l’Albina stesse così male per un ragazzo che conosceva appena e non capisse che lui, fratello maggiore delle bimbe a cui lei badava per guadagnare qualcosa, sarebbe morto solo per tenerla in vita.
 Non vedeva quanto quello bastasse a legarli?
 «Brucia ancora.» ribatté improvvisamente la sedicenne, quasi avesse colto la silenziosa domanda delle iridi del compagno.
 Un attimo di silenzio interminabile, mentre i loro piedi continuavano a muoversi, meccanicamente, verso un punto non esattamente definito dell’arena.
 «È dura, a volte.» disse il Rosso, col viso sconsolato. Era dura, era vero, e nessuno lo avrebbe mai saputo meglio di lui. Lui che aveva taciuto, che non aveva ucciso il Figlio del Mare solo per non far male a Kae; lui che aveva giurato a se stesso che l’avrebbe riportata a casa; lui che aveva detto a Indigo di non aspettarlo, ché non sarebbe tornato, ma di gioire: il Distretto 1 avrebbe comunque avuto un vincitore.
 «Se avessi passato la vita in un orfanotrofio, la vedresti diversamente. Meno nera, molto probabilmente.» sentenziò piatta, ancora rigida, come se stesse per scoppiare in lacrime. Chi avrebbe garantito al diciottenne che non era davvero così?
 «Ma non l’ho fatto.» le ricordò, tirando un calcio ad un sassolino che gli intralciava la via. Forse era stato troppo brusco, forse erano le parole giuste dette al momento sbagliato.
 «Fortunatamente per te, aggiungerei.» quasi sputò, come volesse fargli capire quanto male le avesse fatto. Ma Junior non capiva, non ci riusciva davvero: come potevi amare una persona e vederla scappare, come se tutto ciò che aspettava da una vita fosse andarsene?
 «E com’è stato?» fu tutto ciò che riuscì a pronunciare, in un flebile sussurro.
 «Cosa?»
 «Non conoscere mai i tuoi.»
 Anche se lui sapeva, ed era certo che anche lei fosse a conoscenza delle voci che li legavano: stesso padre, stesso sangue nelle vene, stessa fine preannunciata e già scritta.
 Troppe cose ad unirli: una puttana dai capelli castani che aveva deciso di liberarsi della bimba scomoda abbandonandola, un uomo dalla chioma rossa – come quella del figlio – che cercava svago una sera in cui aveva bevuto troppo, un edificio buio con le sbarre alle finestre dall’altro lato della strada, due giovani gemelle, un biglietto e un imminente compiersi del loro destino.
 «Meglio di quanto credessi all’inizio.» proseguì, continuando a guardarsi i piedi, senza voler alzare lo sguardo verso il cielo.
 «Meglio che finire qui a morire.» osservò lui, voltandosi verso il suo profilo e iniziando a contarle le lentiggini.
 «Lo penso anche io.»
 
 La sensazione della stoffa sulle dita fu piacevole. In fondo, l’ultima volta che aveva ricevuto un dono dagli sponsor, quello era stato la chiave per la sua possibile salvezza. Come per un riflesso involontario, abbassò lo sguardo pochi rami sotto di sé per controllare che il tridente ci fosse ancora.
 E lui, da bravo, non s’era mosso.
 Stava lì, fermo, come se sapesse che non sarebbe potuto andar via: Finnick non ce l’avrebbe fatta senza di lui.
 Senza più indugiare, il Figlio del Mare allungò la mano e afferrò il piccolo pacchetto con due dita. Poi, così com’era salito, si mosse agilmente per tornare dov’era. L’involucro in metallo nascondeva una pagnotta avvolta in un panno di stoffa colore del mare e una scatola in metallo rettangolare e bassa. La scritta sul suo fianco recitava “anguille sott’olio”. Come non vedesse cibo da anni, tolse freneticamente il pane dall’involucro e lo tagliò a metà. Lo avvicinò poi al naso e respirò quel profumo che temeva non avrebbe mai più sentito; nel suo Distretto, tutto sapeva di mare. Anche i cibi, per quando fosse possibile. Come a volerlo dimostrare, anche quel piccolo filone era tempestato di alghe all’esterno e dentro piccoli pezzi di pesce e sale marino grosso incastonati nella mollica. Lo morse piano, come a volerne assaporare l’essenza. E la voglia di ricordare attraverso quel sapore diventò fame: aprì la scatoletta tirando la linguetta con due dita e preparò un panino nel modo più decente possibile. Stese le gambe sul ramo robusto in cui ancora era posato e si coricò, sbattendo non troppo violentemente la testa contro il tronco. Tacque mordendo piano. Quello sarebbe potuto essere il suo ultimo pasto.
 Ed era esattamente quello che pensava quando si allontanava troppo dalla riva: sarebbe potuto morire, così doveva godere al meglio quei pochi momenti che gli rimanevano. Quindi si immergeva nell’acqua cristallina, rimanendo in apnea fino a toccare il fondo e poter prendere una conchiglia o una manciata di sabbia dal fondale. Altre volte, invece, si riservava di andare in una piccola grotta, con solo una rete e un tridente e fargli compagnia. Tridente come quello che, incastrato in altre due braccia di quell’albero che li accoglieva, stava in equilibrio e luccicava sotto il sole freddo di quell’arena austera.
 Diede un altro morso, con un sorriso compiaciuto in viso.
 Ma en colpo di cannone gli fece vibrare il cuore. Ancora a bocca piena, sobbalzò rischiando di cadere. Ripreso l’equilibrio, stabilizzò il respiro e fece due calcoli: sedici fatti, sette da fare.
 
 Alliyah sbiancò in volto; Marylin pensò di non averla mai vista in quello stato, e si ripromise di averglielo ricordato fino alla morte, se fossero sopravvissute. Cosa parecchio improbabile, dato che quello che si ergeva davanti a loro era un ibrido coi controfiocchi. La ragazza del 4 lo osservò, e un brivido incontenibile le percorse la schiena: corpo enorme, rossastro, alto circa quattro metri, fornito di zampe sproporzionatamente piccole, senza dita ma dotate di tre unici speroni bianchi come il latte, capo enormemente grande con occhi minuscoli e denti aguzzi. Quello che era stato il suo sogno, ora diventava il suo incubo: invece che il suo odioso compagno, l’ibrido T-Rex che aveva immaginato stava per uccidere lei. Loro, in realtà.
 Pensò anche di aver gufato, almeno un po’, la presenza di quell’essere. Forse, in un angolino della sua mente malata, si fece strada l’idea che, se non avesse sperato che quell’animale esistesse davvero, in quel momento non sarebbero state in quel casino.
 Chi sa, magari gli strateghi ci leggono nel cervello., pensava, mentre una voce straziò l’aria e la costrinse a voltarsi: «Che cazzo fai? Alliyah, che-»
 Un rumore simile ad un ringhio, e poi la ragazza del 2 urlò. Non un urlo normale: un qualcosa di disumano, intriso di terrore e rabbia al tempo stesso. Un rumore di ossa sgretolate e la terra che tremava sotto il peso del dinosauro.
 Inutile dire che tutta la forza e il coraggio delle diciassettenni erano spariti. La prima cosa a cui Marilyn pensò fu il modo in cui avevano ucciso il piccolo Zeph, indifeso e smembrato quando avevano finito il loro “lavoro”. Sentì nelle orecchie le sue grida, isteriche, innocenti, così vive davanti alla morte. E le venne voglia di saperle imitare, di poter far sentire il suo dolore come aveva fatto lui. Ma non poteva, perché le sue mani erano sporche del sangue di troppi innocenti.
 Anche di quello di Zeph.
 Perché il colpo di grazia glielo aveva dato lei.
 E avrebbe voluto avere un’altra sé che, con il cuore pieno di pietà, la colpisse interrompendo quello strazio, interrompendo il suo pianto e i suoi sensi di colpa. Sperò che Alliyah trovasse la mira per ucciderlo, o per ucciderla. Quindi osservò i suoi occhi, mentre gli artigli dell’ibrido le massacravano la carne.
Perché tutti, davanti alla morte, sono un po’ più umani.
 L’altra bionda, intanto, aveva in mano l’arco, con la corda già tirata e la freccia incoccata provava a prendere la mira meglio possibile: non voleva far male alla compagna.
 Eppure, vedendo tutto quel rosso scendere dal suo corpo, tirò.
 E, con la fortuna dalla propria parte, uccise per la seconda volta uno di quei mostri. Mollò la preda, barcollando e schiantandosi nel canale. Ma per l’altra era ormai tardi. Vedendola cadere a terra, le corse incontro. Non seppe mai se fosse stata la botta a darle il colpo di grazia, ma la pozza scura intorno al suo capo la diceva lunga.
 Per la prima volta in vita sua, Alliyah sentì dentro la voglia di piangere e non riuscì a trattenersi. Inginocchiata accanto al cadavere dell’altra, le carezzò gli zigomi, tirandole su la testa dall’erba e cullandola come fosse una bimba. La tuta blu impermeabile era straziata ovunque, i lividi le davano un’espressione tranquilla, ma di una tranquillità quasi stanca, o stufa. La chioma era quasi del tutto strappata alla radici, e diversi arti erano in posizione innaturale. Tagli le imbrattavano ogni parte del corpo come fosse un Picasso uscito male. Aveva ancora gli occhi ancora spalancati. Piano, glieli chiuse come non potesse fare altrimenti, e iniziò a singhiozzare. Si coprì la faccia con le mani, cercando una ragione per tutto quello che era accaduto.
 Non la trovò e, continuando a sporcarsi i capelli chiari di sangue, riusciva a dire una sola parola, ripetuta meccanicamente all’infinito. Una parola senza preciso significato o destinatario; una parola che pensava potesse alleviare ogni suo dolore.
 «Perdonami.»




























 Adolf's corner.


 So che ho una settimana di ritardo, ma bao: ho dovuto uccidere Marilyn, insomma!
 A proposito, con la mia cara pandamito mi sono lanciata in una nuova what if sui 75esimi giochi se Peeta fosse morto.
 Volendo, la trovate qui.
 "Cercheremo di dimenticare" by Aritos biscuits - aka: il nostro account condiviso.
 Bao a tutti!♥

 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥

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