I will try to fix you

di Parabates
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First Chapter ***
Capitolo 2: *** Second Chapter ***
Capitolo 3: *** Third Chapter ***
Capitolo 4: *** Fourth Chapter ***
Capitolo 5: *** Fifth Chapter ***
Capitolo 6: *** Sixth Chapter ***
Capitolo 7: *** Seventh Chapter ***
Capitolo 8: *** Eighth Chapter ***
Capitolo 9: *** Ninth Chapter ***
Capitolo 10: *** Tenth Chapter ***
Capitolo 11: *** Eleventh Chapter ***
Capitolo 12: *** Twelfth Chapter ***
Capitolo 13: *** Thirteenth Chapter; ***



Capitolo 1
*** First Chapter ***


Capitolo Primo.

trailer: https://www.youtube.com/watch?v=zHwg9fBEuHY
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A Stefano, che ha letto e riletto questa storia, mi ha sopportata e mi sopporta ancora, e nonostante questo afferma che sia molto bella. Vorrei dirgli grazie per sopportarmi sempre, per stare a sentire i miei scleri e per passarmi sempre le versioni.


Era una ragazza di circa diciassette anni. La vide per la prima volta un giorno della scorsa estate, in un prato, stava leggendo un libro, era d'incredibile bellezza. Era così strano di quei tempi vedere una ragazza così giovane sola e con gli occhi calamitati su quel tomo. Incuriosito, le si avvicinò abbastanza per cogliere meglio i suoi tratti. Aveva la pelle molto chiara, così delicata; il suo viso era leggermente allungato ma molto dolce; i suoi occhi così profondi, di un colore non ben definito tra il marrone e il verde;  le sue labbra erano chiare e carnose, il suo naso lieve e delicato. Il risultato era un viso molto grazioso, nascosto da una grande quantità di lentiggini e da una lunga e folta chioma di capelli rossi. Aveva una struttura piacente e armoniosa nel suo insieme. Portava un vestito che aveva tutta l'aria di essere fresco e comodo ed era molto bello agli occhi delle persone che lo vedevano, ma sfigurava accanto ad una creatura di tale bellezza. Si chiamava Mary, lo scoprì perché arrivò correndo una sua amica, che gridò questo nome e la ragazza, che pochi secondi prima stava leggendo un libro che sembrava molto interessarla, si voltò e illuminò il suo viso con un grande sorriso.

Ricordava questo della misteriosa Mary, questo e nient'altro nonostante l'avesse vista qualche ora prima, ma quell'attimo da sogno venne rovinato dal suono del suo cellulare, che lo richiamò alla realtà. "Maledetti congegni" pensava ogni volta che gli suonava, ma sua madre lo costringeva a portarselo dietro, per ogni evenienza, "già è tanto che riesco ad uscire da solo", pensava qualche volta. Ormai era spesso fuori di casa, la maggior parte del tempo la passava da solo, in modo che niente e nessuno potesse disturbarlo. Gli piaceva, quel modo lì di vivere, gli piaceva starsene per conto suo senza alcuna preoccupazione o problema  che lo perseguitassero, c'erano solo lui e il tempo. Non si riteneva un "ragazzo vissuto", ma sapeva più cose degli altri, non perché avesse fatto più esperienze, ma perché non si limitava a vedere, lui osservava e capiva il mondo: aveva un rapporto strano con esso, e anche questo gli piaceva. Per gli altri non era un ragazzo solitario, era uno di quei tipi invisibili, forse per loro neanche esisteva: nessuno lo notava, ma lui guardava tutto, almeno fin quando era fuori da casa sua.

Non gli piaceva stare a casa, semplicemente per il fatto che lui era uno spirito libero, si sentiva come rinchiuso in gabbia, e questo i suoi genitori lo capivano, ma non si può stare lontani per troppo tempo. Così prese il suo telefono, il quale non era un brutto telefono, tutt'altro, era uno di quei telefoni di ultima generazione, quel modello per il quale tutti sgomitano a costo di averlo per primi, ma a lui non importava di che marca fosse, quanto potesse chiamare o stare su internet, lui non ci capiva niente di quelle cose, ma i suoi genitori glielo avevano preso per farlo sentire più simile agli altri. Rispose al telefono e, come era prevedibile, era sua madre, uno dei pochi contatti che aveva su quell'aggeggio. Era molto arrabbiata, perché quella mattina suo figlio aveva saltato le lezioni del professore che viene tutti i giorni a casa per farlo studiare. Non che non gli piacesse studiare, ma preferiva girovagare per la città e scoprire nuovi punti dove leggere. Amava leggere, era una cosa che gli piaceva molto, poteva essere chiunque in qualunque momento, viaggiare e conoscere luoghi nuovi e diversi senza spendere soldi, era l'unico modo per lasciare il mondo in cui viveva. "Stupidi libri" così diceva suo padre "ti fanno distrarre dalla realtà, dallo studio, non servono a niente", ma in realtà non sapeva che suo figlio era un osservatore molto esperto e che probabilmente sapeva molto di più di lui. Sua madre, d'altro canto, era d'accordo e anzi sosteneva la voglia di leggere che aveva il figlio. Era ora di tornare a casa, quando la mamma è arrabbiata bisogna stare attenti ed obbedirle, senza aizzare ancor di più le fiamme. Si incamminò per le strade della città dove era nato e cresciuto, conosceva a memoria la strada per tornare a casa e il tragitto era molto lungo, ma non prendeva mai i mezzi pubblici, gli piaceva camminare, lo aiutava a riflettere. 

 




SPAZIO AUTRICE
Allora, allora. Innanzitutto, ciao a tutti. Questo è il primo capitolo della prima storia, yee. Non so se e come procederà, perché ho molte, troppe idee nella testa riguardo a questa storia. Di conseguenza non so neanche ogni quanto la aggiornerò, quindi diciamo che quando mi andrà e avrò abbastanza materiale, vi pubblicherò il capitolo successivo. Spero che vi sia piaciuto e niente, ringrazio tutti i lettori, anche se questo è un campo ormai fin troppo popolare. Niente di che, alla prossima.
S.

xoxo

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Capitolo 2
*** Second Chapter ***


Capitolo Secondo.


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Arrivato a casa, sbatté la porta, ma non lo fece di proposito, c'era troppa corrente, sua madre sobbalzò come se fosse stata improvvisamente risvegliata da un sogno, quando vide il suo viso, il ragazzo si accorse che c'era una nota di malinconia mista a della disperazione nei suoi occhi. Probabilmente non l'aveva mai vista così, oppure non era mai stato attento a quello che sentiva la madre. Proprio lui che era attento a tutto, non si era accorto dello stato emotivo di sua madre. Lei, con aria stanca, buttò le sue braccia, anch'esse ormai affaticate dagli anni, intorno al collo dell'unico figlio. "Dove sei stato, David?" gli chiese come se mai si fosse allontanato una giornata da casa, come se fosse scappato lontano mesi e mesi senza chiamare una volta. "Nei soliti posti, mamma" tagliò corto il ragazzo, non per essere scontroso, ma perché aveva altro da chiederle; stava per porre alla madre la domanda, quando quest'ultima iniziò a singhiozzare disperatamente. David strinse a sé la madre in un modo che non aveva mai fatto: come se i ruoli si fossero invertiti, che lei fosse la sua piccola bambina che era appena caduta e si era sbucciata un ginocchio, come se fosse un cucciolo tremante dal freddo da dover riscaldare e allo stesso tempo fragile come una bellissima e fragilissima foglia d'autunno appena caduta dall'albero. La madre si ritirò bruscamente, come se si fosse resa conto di aver in qualche modo spaventato il ragazzo e si diresse in cucina, il figlio fece per seguirla, ma venne bloccato da una presa forte intorno al suo braccio, la mano di suo padre. Con un volto piuttosto sorpreso, David incontrò quello di suo padre, che era tutt'altro che sorpreso, era duro e arrabbiato. Sapeva cosa sarebbe successo dopo, il padre avrebbe iniziato a rimproverarlo su come sperperava la gioventù a non fare niente -come se loro gli permettessero di fare quello che gli altri ragazzi facevano- e sul fatto che gli facevano buttare i soldi pagando quell'insegnante privato che veniva tutte le mattine per cercare di fargli lezione. Ma sorprendentemente non furono delle urla che le orecchie di David sentirono, ma parole sussurrate: "David, devi smetterla di comportarti in questo modo. Se non ti importa della tua istruzione, della tua sicurezza o di te in generale, non mi interessa, ma guarda, stai distruggendo tua madre. Non puoi andartene in giro tutto il giorno tutti i giorni senza dire niente in questo modo. Devi capire che la vita non è un gioco, non puoi fare quello che ti pare e tantomeno non puoi giocare con i sentimenti degli altri, le stai facendo del male, apri gli occhi". Queste parole fecero sussultare David, che mai avrebbe pensato di poter far male a qualcuno e sua madre era l'ultima persona che avrebbe voluto ferire. Non rispose al padre, con un movimento veloce si liberò dalla presa e si avviò verso la sua camera, sommerso dai pensieri. Si levò le scarpe, gettandole incurante in mezzo alla stanza, si buttò sul letto, s'infilò le cuffie, azioni ormai comune tra gli adolescenti, e non si accorse che si era addormentato finché non si svegliò nel cuore della notte con un forte senso di appetito. 




SPAZIO AUTRICE
buongiorno gente, scusate per il ritardo, avrei dovuto pubblicarlo prima, ma la scuola e la pallavolo mi occupano un sacco di tempo e io non riesco più a scrivere. E siamo solo alla prima settimana, non so se ridere o piangere, seriamente. Comunque, questa, da un certo punto di vista, è una delle mie parti preferite, comunque avrete notato che la storia si velocizza un pochino, non ci sono più tutti quei dettagli. Ad ogni modo, spero che vi piaccia e che continuiate a seguirmi.
Grazie a tutti.
S.
xoxo

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Capitolo 3
*** Third Chapter ***


Capitolo Terzo.


trailer: https://www.youtube.com/watch?v=zHwg9fBEuHY
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Si sedette sul letto, sbadigliò e si stropicciò gli occhi, per poi alzarsi e attraversare il corridoio con passo leggero per evitare di svegliare i genitori. Mentre si avviava verso la cucina, sentì provenire dal salone il rumore di un pianto, si scorse leggermente, per vedere chi fosse, immaginava fosse sua madre, l'aveva scoperta altre volte piangere di nascosto durante la notte, ma questa volta non era sua madre, ma suo padre. L'uomo che fin da piccolo era stato il suo punto di riferimento, il suo eroe, il punto forte della famiglia, in quel momento sembrava essersi sgretolato tutto insieme, lo vedeva come se stesse cadendo in pezzi, sentiva i singhiozzi uscire dalla bocca, sentiva che si soffiava il naso, intravedeva le lacrime uscire dai suoi occhi e velocemente scendere sulle sue guance, levigate dagli anni, per poi finire sul pavimento e formare una macchia più scura sul tappeto. David si accasciò contro il muro, in modo da farsi piccolo, non credeva a quello che aveva visto, aveva visto suo padre piangere. Le lacrime iniziarono a scivolare anche sul suo di viso, inconsapevole di quello che faceva cercò invano di alzarsi, di andare a consolare il padre, ma non ci riuscì. Come poteva consolare il padre, guardarlo negli occhi gonfi e riuscire a dargli un minimo di conforto quando non era riuscito neanche a sopportare il suono dei suoi singhiozzi? Il ragazzo si asciugò il viso, come se potesse nascondere a sé stesso quello che era appena successo, e si avviò verso la sua precedente meta: la cucina. Per quanto non volesse farlo, David si scontrò con il padre e si ritrovò faccia a faccia con l'uomo che pochi minuti prima aveva visto sgretolarsi: i segni delle lacrime erano evidenti sul suo viso; gli occhi gonfi e rossi non sarebbero stati nascosti dalla tenue luce che c'era nella stanza accanto e i fazzoletti che si trovavano nella grande mano destra erano l'evidente prova del recente sfogo. Entrambi furono spaventati dall'altro, per differenti motivi, fecero un passo indietro ed in silenzio ognuno si avviò per la propria strada. James, il padre di David, si avviò per le scale, pieno di pensieri che rendevano la sua camminata pesante e il tragitto lungo, quando arrivò al piano superiore, si diresse verso il bagno, in modo da sciacquarsi un po' il viso prima di raggiungere la moglie nel letto.
Al piano inferiore, invece, il ragazzo mise su il caffè e scaldò un po' di latte per farsi del cappuccino, adorava il cappuccino, ma in particolar modo quello che faceva lui, l'amaro e il dolce erano equilibrati, erano in costante equilibrio, e inoltre riusciva a creare una soffice schiuma che si attaccava al labbro superiore quando abbassava la tazza. Quando finì di prepararsi la sua bevanda calda, prese qualche biscotto e si avviò verso il salone con il libro che aveva lasciato all'ingresso quella mattina prima di uscire: lasciava libri per tutta la casa, perché leggeva più volumi tutti insieme. Non appena mise il piede sul soffice tappeto che fronteggiava il divano, sentì l'umido, le lacrime che poco tempo prima erano cadute dagli occhi di suo padre. Un brivido malinconico lo percorse dalla testa ai piedi, passando per la schiena. David si sedette, lasciò la sua tazza sul tavolino con dentro i biscotti, in modo che diventassero un tutt'uno e nel mentre iniziò a leggere il suo libro: era molto affascinato da quel libro, di ogni parola che scorreva con i suoi occhi ne faceva tesoro, non riusciva mai a staccarsi da quel libro, ma, caso strano, quella sera non riusciva a concentrarvisi abbastanza; era distratto, preso da altri pensieri, dalla madre, dal padre. Così si distese, a fissare il soffitto, a pensare a qualsiasi cosa gli passasse per la testa, qualsiasi cosa sarebbe andata bene, purché lo distraesse dal pensiero dei suoi genitori in lacrime, perfino la sfumatura di colore dei petali dipinti a mano sul vaso antico che apparteneva alla prozia della nonna di sua madre o che so io. 


 




Angolo scrittrice.
Buona sera, buona sera. Ho notato che il primo capitolo ha raggiunto quasi le cento visualizzazioni e credo che farrò una festa in questo proposito, olè. Comunque, vorrei ringraziarvi tutte(/i?) per il supporto che mi state dando, davvero non sapete quanto significhi per me. Grazie, grazie. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, perché io lo trovo alquanto stimolante, lol. Credo che sia fondamentale, si iniziano a capire molte più cose, alcuni personaggi si sviluppano un po', acquistano caratteristiche, insomma.

Bacioni e a presto!

S.

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Capitolo 4
*** Fourth Chapter ***


Capitolo Quarto.


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Arrivò il momento nel quale la madre di David scese e trovò il figlio sdraiato sul divano. Silenziosamente, prese una sedia e si mise accanto a lui, a guardarlo, a sorvegliarlo. Iniziò, proprio come quando era piccolo, ad accarezzargli dolcemente la testa, come solo una mamma può fare con il proprio figlio. Non lo fece di proposito, ma gli venne istintivo iniziare a cantare quella canzone che le riportava in mente i ricordi del suo unico figlio ancora bambino: in macchina, per strada, a letto, in salotto, quella canzone la cantavano sempre. Era un motivetto piuttosto ritmato e con andatura regolare, orecchiabile e facile da imparare: era una canzone per bambini, ma a lei piaceva tanto. Non avrebbe mai dimenticato quei momenti, sarebbero rimasti sempre con lei e, in ogni momento, avrebbero potuto riaffiorare e farla sentire sempre felice.
David non avrebbe potuto desiderare risveglio migliore: l'armoniosa voce della mamma che intonava la loro canzone. Non si mosse, facendo finta di dormire, per non far preoccupare la madre di averlo svegliato, e rimase lì ad ascoltarla finché non smise e si alzò. Avrebbe voluto dirle di continuare a cantare ad accarezzargli la testa, ma non trovava le parole per farlo, seppur il concetto da esprimere fosse così semplice. Sentì i lievi passi di sua madre allontanarsi in cucina e poi avviarsi per il piano superiore attraverso le scale. Non appena fu sicuro che lei se ne fosse andata, il ragazzo si alzò, prese le cose che aveva lasciato in giro per il salone e le rimise ognuna al proprio posto, poi si avviò verso la sua camera in cerca di sonno, come un'anima in pena bloccata sulla terra che cerca la pace e l'accesso all'aldilà. Raggiunta la sua stanza, riprese le cuffie che aveva abbandonato prima di scendere, se le infilò e schiacciò il tasto 'play', che fece partire la sua playlist preferita.
La mattina non ci mise così tanto ad arrivare come aveva pensato. Quando si svegliò accese il telefono e trovò innumerevoli chiamate senza risposta del suo migliore amico, Dylan. Chissà cosa gli era capitato, era un po' che non lo sentiva e, durante la notte, si era totalmente dimenticato della sua esistenza. Decise così di richiamarlo, per capire cosa gli fosse accaduto. "Pronto?" gli chiese appena ebbe risposto. "Grazie al cielo, David, finalmente mi hai richiamato. Pensavo fossi morto!" ironizzò l'amico.
"Che è successo?"



Spazio autrice
Salve gente, scusate il tremendo ritardo, ma la scuola mi prende un sacco. Cioè, non è che io voglia stargli dietro, ma bisogna starci e quindi ci stiamo. Allora allora, parliamo del capitolo. Ho voluto finire con un po' di suspense, bo' per non sembrare sempre scontata (?). Anyway, spero che vi sia piaciuto e che non ci siano errori, perché ultimamente non riguardo tanto la storia, ma so che nei prossimi capitoli ci saranno errori, me lo sento (?). E va be' niente, lol. Ditemi un po' la vostra opinione in generale sulla storia, se va bene, se non va bene, se è scontata, se è la solita storiella, se questo, se quello, se Tizio è troppo così, se Caio è troppo colì. Insomma fatemi sapere cosa ne pensate. Vi ringrazio ulteriormente per seguirmi e vi lascio i miei contatti, se volete scrivermi o contattarmi, cosa che non succederà, penso.
Grazie ancora, 
[speriamo] a presto,
S.

Facebook: 
https://www.facebook.com/isabelle.lightwood.50309
Ask: http://ask.fm/SahPeeta
Penso che questi due possano bastare (?)
sono abbastanza raggiungibile, lol.
se volete sapere anche il mio contatto twitter, basta che me lo scriviate, lol.

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Capitolo 5
*** Fifth Chapter ***


Capitolo Quinto.


trailer: https://www.youtube.com/watch?v=zHwg9fBEuHY
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"Ho litigato con Max. E non sapevo con chi parlarne. Tu sei il mio migliore amico, quindi volevo parlarne con te."
"E ora chi è Max?"
"Oh Dio, David! Te l'ho già detto, è il mio ragazzo, da un mese e mezzo, per giunta."
"Ah si giusto, me lo avevi detto, scusa. Non so dove ho la testa ultimamente."
"Stai più attento, però. Io ho bisogno di te."
"Certo, certo. Sono qui, raccontami tutto."
L'amico gli raccontò tutta la storia, David pensò che era un motivo piuttosto banale e stupido per litigare, ma assecondò comunque l'amico dandogli consigli utili, che colse immediatamente; poi prese la parola Dylan: "Ehi Dav, grazie di tutto"
"Figurati, sei il mio migliore amico. E' mio dovere proteggerti ed aiutarti." gli rispose dolcemente, con un tono che non aveva mai usato prima d'ora con Dylan, che rimase piuttosto sorpreso. Quest'ultimo allora, cambiando discorso gli disse eccitato: "Dav, devi assolutamente conoscerlo. Quando avremo risolto il nostro problema, te lo farò conoscere, te lo prometto."
"Grandioso, non vedo l'ora" rispose l'altro.
Riagganciarono, senza salutarsi, ormai non lo facevano quasi mai, pensavano fosse un brutto modo per attaccare e quindi non lo facevano mai. Era stato David a chiedergli di non salutarlo più, sosteneva che era triste e che si sarebbero salutati in un solo caso: quando tutto sarebbe finito, quando quella vita sarebbe finita; pensava che quello era l'unico momento per cui salutarsi e dirsi addio, forse per sempre.
Quella mattina, dopo aver parlato con il suo amico, David scese le scale per fare colazione e trovò seduto al tavolo del salone il suo professore privato che parlava con il padre. Non riuscì a cogliere le parole che stavano dicendo, ma irruppe nella stanza dicendo: "No, papà, non mandarlo via, mi serve, ne ho bisogno." A quel punto i due uomini si guardarono piuttosto sconcertati e tutti e due ammiccarono ad un sorriso. James scosse la testa, per poi aggiungere: "David caro, io e tua madre non vogliamo mandare via il professor Smith, gli abbiamo chiesto di spostare le sue lezioni il pomeriggio dopo pranzo, affinché avessimo la mattina libera per andare all'ospedale tutte le volte che ci occorre". A quel punto, David sbiancò, non che fosse molto evidente, data la sua pallidezza, causata da una fortissima anemia. Da quasi un anno, ormai, David combatteva ogni santo giorno contro quella stupida malattia, il cancro. Non era la prima volta che aveva un cancro, infatti già quand'era ancora un bambino aveva avuto modo di combattere contro questa malattia e l'aveva sconfitta, ma poi si era ripresentato. A quel punto la vita sembrava avergli dato una tregua, ma invece aveva colpito ancora. Si chiedeva sempre, come mai a lui, perché. Aveva già dovuto lottare e sconfiggere un cancro, si era liberato di questo, e ora, doveva affrontarne un'altro? Non gli sembrava giusto. A volte gli veniva in mente che il suo destino era quello di morire presto, tutti muoiono, ma lui ce l'aveva fatta una volta, ma la seconda? Quante possibilità aveva? David fu richiamato alla realtà dalla voce del suo professore: "David, David, allora ci vediamo questo pomeriggio, d'accordo?"
"Certo signore", gli aveva risposto.
"Bene, perché questa volta voglio lavorare un po' più del solito, quindi, mi raccomando, riposati perché questo pomeriggio dobbiamo lavorare tanto."
"Fantastico." rispose il ragazzo, ma né James né il professor Smith riuscirono a capire se il suo era entusiasmo o sarcasmo.



 

SPAZIO AUTRICE
Ciao gente! Mi sono resa conto solo ora da quanto tempo non aggiornassi la storia(?) peerciò ho scritto ora, lol.
However, sto proprio nel panico: domani versione di latino e interrogazione di storia, non potrei proprio chiedere di meglio.
Ho paura gente, tanta paura!
Detto questo, parliamo della storia. Che ne dite? Vi aspettavate quello che è successo? Si capisce che Dylan è gay, ow quanto li adoro, e il perché David è così strano. Lo so, lo so, penserete che sia la solita storia, ma la farò il più intricata possibile, lo giuro! Cercherò di non cadere nel banale, voglio sorprendervi, quindi non abbandonatemi.
Fatemi sapere che ne pensate, è importante, davvero.
Grazie ancora a tutti per le recensioni e per avermi seguita fino a qui.
Baci,
S.

xoxo

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Capitolo 6
*** Sixth Chapter ***


Capitolo Sesto.

trailer: https://www.youtube.com/watch?v=zHwg9fBEuHY
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Vorrei dedicare questo capitolo a Carlotta, la mia migliore amica.
Ti voglio bene, la distanza non vincerà, non questa volta.

 

David passò il resto della mattinata a leggere, pranzò e poi arrivò il professor Smith, il quale gli spiegò molti argomenti di svariate materie, tanto che alla fine aveva un tale disordine in testa che neanche un incantesimo avrebbe potuto aiutarlo; così decise di andare da Dylan e passare lì il resto della sua giornata. Cuffie nelle orecchie, mani in tasca e si incamminò, senza pensieri, con passi leggeri. Arrivato davanti la porta di casa del suo migliore amico, suonò il campanello ed attese che si aprisse. Non appena Agnes, la madre di Dylan, aprì la porta, accolse David con un enorme sorriso e lo fece entrare, dopo avergli chiesto come stava, chiamò il figlio , il quale scese contro voglia, ma, non appena si rese conto della presenza dell'amico, gli angoli della sua bocca si alzarono a tal punto che David poté vedere tutti i denti dell'amico.
"Cosa ti porta da queste parti, stella del cielo?"
"Mah, niente di che, mi annoiavo, ho pensato che ti mancavo così tanto che dovevo assolutamente farti una visita."
"Be' hai ragione, ora mi sento molto meglio, grazie."
I due risero e andarono in camera per stare più da soli, dato che con una sola occhiata Dylan aveva fatto capire a David che doveva parlargli, e la questione sembrava piuttosto importante.
Arrivarono in camera e si misero comodi, levandosi le scarpe e sdraiandosi uno sul letto e l'altro sul divanetto lì vicino. Pochi interminabili secondi regnarono in quella stanza per qualche momento, poi furono interrotti dalla voce di David, che risuonò forte e decisa, quasi fosse spazientito o irritato: "Be', allora? Che c'è?"
"Te l'ho detto, ho litigato con Max."
"Allora, raccontami cos'è successo."
"E' geloso. Semplicemente geloso. Credo."
"Max, geloso?"
"Ma se neanche ti ricordavi il suo nome!"
"Be' l'ho capito dalla tua faccia che non era geloso. Devi dirmi la verità? Ti ha ferito? Se ti ha fatto qualcosa giuro che.."
"Giuri cosa? Che lo uccidi? Che lo picchi? No, Dav, non lo farai."
"Perché dici questo? Per la mia malattia? Perché devi farmi sentire così?"
"Veramente, Dav, io intendevo dire che non ti permetterei mai di immischiarti in una rissa per me."
"Ah.. scusa, non credevo.. scusa, davvero."
"Scusarti di cosa?"
"Di essere così, così egoista."
"Non sei egoista, sei solo soprappensiero e pieno di emozioni indesiderate."
"Come fai?"
"Come faccio cosa?"
"A sapere sempre quello che ho e quello che non ho. Davvero, non riesco a capire. Tu capisci sempre quando io ho qualcosa ne non va, mentre io non riesco davvero a capire niente. Sono pessimo."
"Assolutamente no, non pensarlo. Non ti avrei mai scelto come migliore amico, no?"
"Scelto" rispose secco David.
"Scelto, esattamente" replicò deciso e con un tono piuttosto orgoglioso Dylan "Gli amici si scelgono. E poi, da dove lo stai tirando fuori tutto questo sentimentalismo?"
"Erano anni che accumulavo sentimentalismi, per poi un giorno tirarli fuori tutti insieme e spiaccicarteli addosso" ironizzò David.
"Ah, molto lieto."
"Comunque, stavamo parlando di te, ero venuto qui apposta"
"Infatti, mi metti sempre in secondo piano, mi sento così trascurato."
Risero entrambi, poi David iniziò nuovamente il discorso: "Insomma, mi racconti cosa la turba." fece all'amico, fingendosi un terapista.
Dylan sorrise e stette al gioco: "Sa dottore, frequento questo ragazzo da circa un mese e mezzo e tutto d'un tratto è diventato strano, forse diverso."
"Si spieghi"
"E' iniziato tutto circa una settimana fa, quando ha inventato una banale e palese scusa per evitare di uscire con me;  poi ha iniziato ad evitare le mie chiamate e i miei messaggi, infine ha iniziato ad evitarmi anche a scuola ed ora, quando lo vedo per strada, neanche mi fa un cenno con la mano."
"Ha provato, in qualche modo, a parlargli, a chiedergli cosa avesse?"
"Be', se non mi aiuta non posso certamente chiedergli niente, non so cosa abbia fatto per farmi odiare in questo modo. E più ci penso, più non riesco a capire."
Continuarono a parlare per altro tempo, fino a che David non si accorse che era giunto il tramonto. Così se ne uscì con la solita frase che  diceva sempre sua nonna: "Ah come vola il tempo quando ci si diverte". Ci fu un attimo di silenzio, in cui Dylan pensò al modo in cui il suo amico aveva detto quella frase, come se fosse stato uno di quei vecchietti che giocano sempre a carte; questo fece sorridere Dylan perché David era sempre stato bravo ad imitare le persone, gli venne da pensare che lo faceva sempre ridere, anche quando questa era l'ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma lui ci riusciva sempre. Poi tornò alla realtà e, non badando a quello che aveva appena detto l'amico, Dylan se ne uscì dicendo: "Sai, sei un ottimo ascoltatore, devo ammetterlo, ma come terapista fai davvero schifo" i due si guardarono e poi iniziarono a ridere. Le fragorose risate furono interrotte dalla voce della madre di Dylan, che stava irrompendo nella stanza, gridando e chiedendo a David se volesse essere accompagnato a casa, il quale non ci pensò due volte ed accettò il passaggio di Agnes. I ragazzi si diedero appuntamento al giorno seguente subito dopo la fine delle  lezioni di David, con luogo da stabilire. In macchina regnava il silenzio, Agnes non era una donna di molte parole, ma era sempre gentile e disponibile, pronta ad aiutare chiunque; era una donna molto bella, dai lineamenti dolci, che ormai erano induriti dal tempo. David, guardandola, vedeva molto di lei in Dylan, gli occhi marroni e profondi, i capelli castani, l'espressione dolce perennemente presente.



SPAZIO AUTRICE
Ci sono due motivi per i quali ho deciso di pubblicare oggi questo capitolo.
Il primo è perché tutti i capitoli hanno raggiunto le cento visualizzazioni e mi sento alquanto realizzata, perché questa è la storia che mi piace di più tra quelle che ho scritto. Il secondo è perché una ragazza mi sta facendo il trailer e, raccontandole la trama, ho scoperto di essere indietro indietro indietro.
Da quest'ultimo punto derivano due conseguenze capitoli più lunghi e aggiornamenti più frequenti!
Contenti?
Speriamo di si, speriamo di si.
Ditemi cosa ne pensate, come sempre.
Grazie per il sostegno,
A presto,
S.

xoxo

 

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Capitolo 7
*** Seventh Chapter ***


Capitolo Settimo.

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Quando entrò in casa, il ragazzo fu assalito dalle domande della madre; eppure si ricordava di averla avvertita, di averle detto che sarebbe uscito, ma probabilmente si sbagliava. Così raccontò alla madre dove era andato, cosa aveva fatto e come era tornato, non tralasciò alcun dettaglio, neanche quello dell'omosessualità di Dylan. Rimase sconvolta, dato che non ne sapeva niente, anche se più volte la donna aveva notato l'accortezza nel vestire, l'essere sempre ordinato, il suo modo di fare, a pensarci bene, piuttosto femminile, la sua estrema sensibilità, come aveva fatto a non capirlo? Be’ aveva sempre pensato che fosse un ragazzo diverso dagli altri, ed, infatti, lo era, ma per essere il migliore amico di suo figlio da ormai così tanto tempo, non poteva non essere una persona normale. Fermò il suo flusso di pensiero dopo questa frase, aveva pensato qualcosa di tremendamente cattivo, sia nei confronti del suo unico figlio, che in quelli dell’amico che gli era stato accanto per anni, senza mai abbandonarlo, neanche una sola volta. Si sentì cattiva, meschina e in colpa. Così l’unica cosa che disse a David fu: “Ma Agnes lo sa?” David sorrise: “Certo che lo sa, lo sa da un pezzo.” “Ah bene, meglio così, allora. Vado a finire di preparare la cena, non rimanere su che tra dieci minuti è pronto” concluse. Cenarono in tutta tranquillità, parlando ognuno della propria giornata, dato che non avevano argomenti migliori. Quando ebbe finito di consumare quello che aveva nel piatto, come al solito rimaneva sempre per ultimo attorno a quel tavolo, David salì e lasciò i suoi genitori che guardavano la televisione abbracciati. Non sapeva se esserne felice o riderne, li trovava buffi e teneri allo stesso tempo, così si limitò a salire in fretta le scale per abbandonarsi, infine, sul letto della sua camera. Prese il libro che aveva lasciato la sera prima sul comodino e si immerse completamente nella lettura, abbandonando quel mondo, per vivere insieme al protagonista le avventure scelte dallo scrittore. Quando sentì salire i suoi genitori, si accorse che erano probabilmente trascorse alcune ore, poi la voce di James echeggiò per tutto il piano: “Dav, dormi, è ora di andare a letto”. David ormai aveva diciassette anni, non più undici, ma spesso pensava che ai genitori facesse piacere ripetergli quelle cose, come se non volessero che il tempo passasse. In effetti, di tempo, non gliene era rimasto tanto, almeno così pensava il ragazzo, ma tutti siamo destinati a morire prima o poi, la scadenza arriverà per tutti. Rispose al padre in maniera quasi automatica “Si, finisco questo capitolo e spengo tutto”, ma non faceva mai così, quando andava bene leggeva altri due capitoli, altrimenti era capace di finirsi un libro intero in poche ore.
Il giorno seguente, dopo essersi svegliato piuttosto tardi ed aver fatto lezione con il professor Smith, uscì per incontrare Dylan. Si erano dati appuntamento davanti alla vecchia casa dei Montgomery, che ormai era abbandonata ed aveva un aspetto inquietante. Quando entrambi furono lì davanti, iniziarono a scherzare su quante storie avevano inventato riguardo quella casa quando erano bambini, dopo iniziarono a camminare per le strade della città, senza una meta precisa, forse il bar, forse la biblioteca, forse il negozio di dischi. D’un tratto, lo videro, Max era lì, che passeggiava con una ragazza, mano nella mano. Dylan si fermò di colpo, s’irrigidì tutto, David non l’aveva mai visto così. Vide le lacrime scorrere sul suo viso, vide le sue gambe agire di fretta, girarsi e portarlo via, ancora incredulo di quello che aveva visto. Dylan corse veloce, non era sicuro di quello che aveva visto, ma il mondo gli stava cadendo addosso e lui doveva spostarsi, andarsene da qualunque altra parte, per non essere schiacciato. David rimase lì per un istante e colse l’espressione sorpresa e attonita di Max e quella della ragazza, che non capiva quello che le stava accadendo intorno, probabilmente non sapeva che il ragazzo che le stava tenendo la mano avesse una relazione con quel tipo che era appena corso via. Quella ragazza, ad ogni modo, aveva qualcosa di familiare, l’aveva già vista, ne era sicuro, ma dove?
Lasciò perdere e corse dietro al suo amico, che ormai aveva preso un bel po’ di distanza, ma non riuscì a stargli dietro per molto tempo a causa della sua malattia, quindi dovette fermarsi per riprendere fiato e si sedette sul marciapiede. Odiava rimanere indietro, ma se non di fosse fermato, probabilmente avrebbe lasciato uno dei suoi due polmoni agonizzante sulla strada. Guardò dove prima c’erano i due ragazzi, ma ora non c’era più nessuno, la strada era completamente vuota, da tutti e due i lati, strano per essere sabato. Decise quindi di chiamare l’amico, per farsi raggiungere, dato che lui non ce la faceva. Quando Dylan vide la chiamata dell’amico si allarmò, si girò e tornò indietro senza neanche rispondergli. “Dove sei? Rispondi.” Diceva David mentre imprecava mentalmente contro l’amico, ma poi lo vide mentre correva verso di lui. “Scusami Dav” disse con il fiatone, il volto rigato e a chiazze, gli occhi gonfi ed umidi.
“No, Lan, scusa tu. Non riesco a starti dietro, mi dispiace.”
“Sta’ zitto! Cosa devo fare ora?” si preoccupò.
“Stare qui, seduto vicino a me e sfogarti.”
“Sfogarmi, in che senso? Lo hai visto anche tu, no? Sta con un’altrA. Ecco perché non ha più tempo con me. Mi tradisce, con una femmina, per giunta. Faccio così schifo che è diventato anche etero.” Singhiozzò.
“Non dire così, Lan. Non fai schifo, non sa quello che si perde.”
“Non mi chiami mai così. Non mi ci chiami più, perlomeno.” Cambiò discorso, non ce la faceva a continuare, gli faceva male, era come un acido che lo stava corrodendo dentro, e più ne parlava e più sentiva che l’avrebbe distrutto prima. “Be’, ti dispiace?”
“No, no. Suona strano, non ci sono abituato.”
“Ti chiamavo così quando avevamo sei anni, per quale morivo non dovrei farlo ora?”
“Non sto dicendo che non devi farlo, Dav” disse sottolineando il nomignolo.
“Ecco, vedi?” Risero entrambi.
“Certo, però, avresti potuto scegliere un nome migliore, Lan non si può sentire.” Rise, prendendo l’amico in giro.
“A te piaceva così tanto, era diverso. E poi, non è che Dan sia più normale. Avevamo sei anni! Eravamo bambini vivaci e senza preoccupazioni.”
Preoccupazioni. Questo cancellò il sorriso dalla faccia di Dylan. Aveva appena visto il suo ragazzo tradirlo con una ragazza, aveva fatto stancare il suo amico malato e ora ci stava scherzando insieme. Tutte le sue preoccupazioni si concentrarono in una sola piccola lacrima, che gli scese lungo la guancia, solcandogli la pelle, per poi precipitare nel vuoto e terminare violentemente il suo percorso sopra al marciapiede dove erano seduti i ragazzi, lasciando una traccia umida. Anche il sorriso di David svanì quando riuscì a cogliere ogni minimo sentimento che conteneva quella lacrima. Non sapeva cosa dire, cosa fare, così abbracciò il suo amico, nella speranza di potergli donare un po’ del suo calore, per riscaldare quel cuore distrutto. L’unica cosa che riuscì a farsi uscire dalla bocca dopo qualche istante fu:”Sai, quella ragazza io l’ho vista da qualche parte.” Glielo disse pur sapendo che non avrebbe potuto farlo sentire meglio, ma sotto sotto un po’ ci sperava.
“Io, invece, non l’ho mai vista prima, e non so come tu abbia potuto vederla”. David ci pensò si, dove l’aveva già vista? Era sicuro, ne era certo. Sapeva che aveva un viso noto, ma chi era quella ragazza? I pensieri di David furono nuovamente interrotti dallo squillare di un telefono, ma questa volta non era il suo. Era Max, ma Dylan continuava a far squillare quel “congegno infernale” a vuoto. “Rispondigli” gli disse.
“Ma che sei matto?” rispose l’altro.
“Rispondigli!” anche se non era entusiasta dell’idea, Dylan rispose. Di quello che si stessero dicendo, David non capì molto, seppur fosse così vicino all’amico; qualche “posso spiegarti, incontriamoci” e le risposte poco gradevoli, ma piuttosto adeguate al momento di Dylan. Quando attaccò, esordì in un “cosa ti aspettavi?” David scoppiò a ridere.
“Che c’è? Cosa ho fatto?”
“Sei buffo, Lan.”
“Che cosa?”
“Eri tutto rosso, succede sempre quando ti arrabbi”
“non è vero” rispose con un tono di permalosità
“Oh si che lo è” replicò l’amico sghignazzando.
“Ma insomma, alla fine, che vi siete detti? Che è successo?”
“Dav, me lo stai chiedendo per davvero?”
“Era giusto farlo, credo”
“No, non lo era”
“Penso che tu la stia prendendo piuttosto bene, secondo me io sto peggio”
“Perché dovresti stare peggio di me che sono stato lasciato per un’altra?”
“Punto primo, non ti ha lasciato. Punto secondo, ‘l’altra’ è Mary, la ragazza che mi piace”
“Mary? La ragazza che ti piace? Cosa mi sono perso?” David gli raccontò della prima volta in cui l’aveva vista, di come aveva attirato la sua attenzione, della sua bellezza. Appena ebbe finito, Dylan disse: “Non ti facevo una così facile preda. E poi tute queste smancerie, o sei diventato uno zuccherino o qualcuno ha preso il tuo posto. Credo che qualcuno abbia rapito il vero David. Ridatemi il vero David, riprendetevi questo impostore!”
“Ma smettila!” gli rispose spingendolo leggermente.
“Dobbiamo indagare sulla Misteriosa-Mary-Ruba-Ragazzi-Gay-Altrui-e-Distruggi-Fidanzamenti-Mentali”. Entrambi risero, seppur con un leggero tono amarognolo che risuonava nelle loro voci. “Intanto andiamo a casa, ce ho fame.” Così si diressero verso casa di quest’ultimo dato che avrebbero dormito insieme, come facevano tutti i mesi, da ormai oltre dieci anni.



SPAZIO AUTRICE
Buona sera, miei prodi! (?)
Capisco, avevo detto che avrei aggiornato più spesso, ma non è accaduto, lo so lo so. E' che c'è troppa scuola durante la settimana, in più sto partorendo una nuova long.
HO TROPPE IDEE PER LA TESTA, FERMATEMI.
Anyway questo è il capitolo pià luuungo di tutti e succedono meno cose del solito, lol.
Solita domanda ricorrente: Cosa ne pensate? Vi piace? Ditemi di si, vi prego AHAHAHAH
Scherzo, se fa schifo ci do un taglio e pace.
Fatemi sapere, grazie a tutti
A presto,
S.

xoxo

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Capitolo 8
*** Eighth Chapter ***


Capitolo Ottavo.
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Non appena aprì la porta, David si fiondò in cucina, come aveva preannunciato, e prese qualcosa dalla credenza, mentre Dylan fu sotterrato dalle domande della madre dell’amico. Con la bocca, David esordì in un “Per favore, lasciate in pace il mio cliente, risponderà alle vostre domande prossimamente, ora non è disponibile. Grazie” continuò poi più seriamente: “Lascialo respirare, sei imbarazzante.”
“Ma lo conosciamo da quattordici anni, che imbarazzo dovrei provocarti” replicò in sua difesa Helen. Era comunque palese agli occhi di chiunque lo guardasse che era imbarazzato: Dylan era diventato tutto rosso, si grattava il braccio destro in maniera compulsiva e aveva iniziato a balbettare, sintomi che David poteva riconoscere a centinaia di chilometri. Così decise di interrompere la conversazione tra i due e l’unica cosa che gli venne in mente fu: "Ora lui viene con me” poi si rivolse direttamente alla madre “perché dobbiamo preparare la cena” le ammiccò e le fece un sorriso.
“Cosa ti è venuto in mente? Non abbiamo mai cucinato qualcosa di serio!” disse preoccupato Dylan
“C’è sempre una prima volta. E poi, avresti preferito che mia madre ti continuasse a fare domande per il resto della serata senza mettere niente sotto i denti?"
Ci pensò su un attimo, ma poi disse "Ora, cosa ci inventiamo?" David fece spallucce e poi proseguì: "Boh vediamo che c'è in frigo."
Aprirono l'elettrodomestico e si accorsero che era quasi completamente vuoto, fatta eccezione per un pezzo di parmigiano, del latte, due fette di prosciutto e un limone ammuffito solamente per metà; la mamma non aveva fatto la spesa.
"E ora?"
"Ordiniamo le pizze!" disse entusiasta David.
Dylan sospirò.
Quando la madre scese, dopo essere stata al telefono con qualche sua amica per mezz'ora, per controllare come procedesse la preparazione della cena, trovò i due ragazzi davanti alla televisione a giocare "a qualche stupido videogioco di guerra".
"Allora? Avete già accantonato l'idea della cena?"
"Assolutamente no" le risposero in coro "è quasi pronto" continuò il figlio. A quel punto, come se fosse stato tutto programmato, suonò il campanello e la donna andò ad aprire e trovò il fattorino con le pizze. Dopo aver pagato quest'ultimo, chiuse la porta con un'aria da "siete incorreggibili, avrei dovuto aspettarmelo da voi due".
Arrivò anche James ed iniziarono a mangiare tutti insieme sul tappeto, poiché quello era il luogo prescelto dai ragazzi per mangiare quella sera; seduti a gambe incrociate, con il cartone della pizza poggiato su di esse e un bicchierone d'acqua vicino. Helen, l'unica donna in mezzo a tre maschi, esordì dicendo: "Allora Dylan, ce l'hai un ragazzo?" dimenticandosi della storia del litigio che gli aveva accennato David precedentemente. Ricevette una delle più brutte occhiate dal figlio, si accorse di quello che aveva appena detto e si portò immediatamente una mano alla bocca. David si guardò intorno: la madre aveva una faccia mortificata, alla sua destra c'era il padre che aveva la bocca aperta e Dylan che probabilmente neanche si era reso conto di quello che era successo, a causa della velocità con la quale era successo, aveva uno sguardo distante.
"Papà chiudi la bocca, altrimenti ti entrano le mosche" sdrammatizzò.
"Cosa? Chi? Cioè.. tu? Va bene.. cioè.. è okay.. Cioè, si okay.."
"Papà, stai calmo. E' gay, non è un malato terminale." gli sembrava il paragone più giusto fa fare, in quell'occasione. Così James si decise a rientrare in sé stesso dicendo: "No no, cioè mi sta bene, è normale, e poi se io non fossi d'accordo, cioè.. si, ecco, va bene, è solo che non lo sapevo, cioè okay."
"Scusa Dylan, non volevo" intervenne Helen, scusandosi.
"No no, stai tranquilla, non posso nasconderlo per sempre e neanche voglio farlo."
"Ma Agnes lo sa?" disse James, girandosi verso la moglie, la quale annuì decisamente e, allo stesso tempo, dolcemente. "Ma voi due state insieme?" ora, l'uomo si riferiva ai due ragazzi, i quali si guardarono perplessi e poi girarono lo sguardo verso i genitori di David, che aspettavano ansiosi una risposta, poi scoppiarono a ridere. Dylan rispose sorridendo al padre dell'amico: "Oh beh, no. Assolutamente no. Voglio dire, David è impegnato con la sua ragazza immaginaria.. Ahi!" Ricevette una gomitata dall'amico, che gli stava vicino.
La madre, incuriosita, iniziò a porre domande di ogni genere al figlio, che però non ricevettero risposte, perché David si alzò il più in fretta possibile afferrando violentemente il braccio di Dylan e iniziò a trascinarlo al piano superiore. Dopo aver chiuso la porta abbastanza violentemente, dentro la stanza, non volarono parole dolci, anzi erano piuttosto rudi, ma pur sempre quasi sussurrate a causa della presenza dei genitori di David al piano di sotto.
"Perché lo hai fatto?"
"Avresti dovuto dirglielo prima o poi, no?"
"Beh magari avrei dovuto prima conoscerla o, che so io, parlarle almeno una volta!"
"Questi sono dettagli"
"E tu parli troppo"
"Ma mi vuoi bene lo stesso"
David non replicò immediatamente, quasi in segno di sconfitta, perché Dylan aveva ragione: parlava troppo, a volte era inopportuno ed esagerato, ma gli voleva bene, era come un fratello per lui, non avrebbe mai potuto odiarlo o arrabbiarsi con lui.
"Questa volta ho vinto io" disse trionfante
"Ti ho lasciato vincere" rispose David, riemergendo dai suoi pensieri
"Certo, come no."
Dylan, il lunedì seguente dopo la scuola, di ritrovò nel parco dove andava spesso con David quando erano ancora dei bambini. Ricordava che lì potevano essere chiunque, gli bastava chiudere gli occhi ed aprire la mente, e con essa si aprivano mille mondi diversi. Erano passati ormai molto anni dall'ultima volta in cui c'era stato. Sapeva però che David ci veniva spesso nelle sue giornate libere. Lo sapeva o perché glielo aveva raccontato lui oppure, qualche volta, sotto richiesta di Helen o solo perché voleva assicurarsi che stesse bene. Lo vedeva, sdraiato al sole, con un libro in mano o con le cuffiette infilate nelle orecchie.
Dylan si sedette sul prato, all'ombra di una grande quercia, che poteva offrirgli una vasta area ombreggiata, dove poteva sdraiarsi comodamente e pensare. Poggiò lo zaino e si sistemò la felpa dietro la testa, per appoggiarsi sul tronco. Socchiuse gli occhi e si infilò delicatamente le cuffie nelle orecchie, ascoltando la sua canzone preferita. Perse completamente la cognizione del tempo, sotto quell'albero che gli aveva offerto un piacevole pomeriggio lontano dai problemi e dalle preoccupazioni giornaliere.
Quando riaprì gli occhi, questi faticarono un po' a riadattarsi alla luce, ma, non appena la sua vista fu chiara, Dylan vide qualcosa che gli fece cambiare totalmente umore. Quella ragazza, la vide, era lei, la famosa Mary, che gli aveva rubato il fidanzato.
Dylan provò una scarica di emozioni tutte insieme; non sapeva cosa avrebbe dovuto fare o forse lo sapeva talmente bene che questa sicurezza lo aveva messo in dubbio. Decise di dover capire, di doverle parlare. Sapeva che non sarebbe riuscito a fare lo stesso con Max, sarebbe scoppiato a piangere, ma pensava che con lei sarebbe potuto riuscito a parlare, sarebbe potuto essere calmo e tranquillo, fare un discorso serio, da persone mature. Si alzò di scatto, preparato a quello che sarebbe successo, si diresse verso la ragazza e la chiamò: "Ehi tu! Ehi tu!" Lei si girò e si indicò, come per dire: "Chi, io?"
Dylan urlò: "Si, proprio tu!" Ma accadde tutto il contrario di quello che Dylan si era preparato ad affrontare. Si avvicinò alla ragazza e questa, non appena lo riconobbe, iniziò a formulare qualche scusa cercando di spiegargli come stavano i fatti: "Senti, non ci conosciamo, lo so, ma io posso spiegarti tutto."
Era quella solita frase che si diceva, Dylan la odiava, era così banale e senza senso, sapeva che dopo quella frase sarebbero partite futili scuse e l'arrampicarsi sugli specchi. Per questo lui si innervosì ancora di più e,involontariamente, indurì la sua espressione.
"No, tu non devi spiegarmi proprio niente, devi ascoltarmi. Tu non hai idea di quello che hai fatto, di cosa hai scatenato." Usò un tono di forte ed imponente, tanto che la ragazza si sentì aggredita. Dylan la accusò di avergli rovinato la vita, di avergli aggiunto preoccupazioni ed altre cose che Mary non stette a sentire. Dietro quelle parole aggressive, Dylan nascondeva la malinconia, la tristezza e l'insicurezza. Mary seppe cogliere quei sentimenti, celati del corpo, ma che potevano essere intravisti attraverso gli occhi del ragazzo. "Gli occhi sono lo specchio dell'anima" qualcuno aveva detto; ed era vero, certo che era vero. Colse delle parole che le stava dicendo, o meglio urlando, Dylan: "Senti, non è proprio colpa tua, ma ci sei dentro fino al collo, come me" e lo interruppe "Senti Dylan, ti chiami così giusto?" Il ragazzo annuì "Stammi a sentire bene, piangi, ora, qui con me."
"Ma cosa stai dicendo?"
"So come ti senti, so cosa vuoi fare, quindi puoi sfogarti e piangere, proprio ora, con me. Puoi dirmi tutto, ogni cosa,io ti ascolterò, a patto che tu, quando avrai finito, ascolterai me."
Non ci furono parole, Dylan si gettò sulla ragazza e poggiò la testa tra la spalla e il collo di lei, nonostante Mary fosse notevolmente più bassa di lui, ed iniziò a piangere. Lei lo abbracciò e lentamente lo portò con sé a terra, per sedersi. Dylan iniziò a raccontarle tutto ciò che gli veniva in mente, tra una lacrima e l'altra. Non fece però alcun accenno alla malattia di David, quello era altro discorso. Mary, con Dylan tra le braccia, sentiva di doverlo proteggere, come una mamma protegge il suo bambino quando è spaventato, lo abbraccia, gli dona un po' del suo calore, del suo affetto, lo accarezza per tranquillizzarlo.
Quando ebbe finito, Dylan smise di singhiozzare, tirò su con il naso e si asciugò le lacrime con un lembo della maglietta; poi pronunciò solo una parola "Scusami."
"No Dylan, scusami tu. Davvero, scusa. Stammi bene a sentire. Le tue emozioni, le tue frustrazioni, i dispiaceri, tutto, tutto è giusto, ma tu devi sapere. Forse non sono io la persona più giusta per dirtelo, anzi dovrebbe essere Max, ma tu devi sapere ora." Dylan era attonito, fermo, immobile, quasi non respirava. Mary aveva catturato completamente la sua attenzione. "Devi sapere che Max mi sa aiutando molto in questo periodo, mi ha aiutata molto. Ero in una situazione davvero terribile, non riuscivo ad andare avanti a voltare pagina, ma lui era lì ad aiutarmi, era lì a sostenermi. So che dovrei dirti cosa mi è successo, tu sei stato leale con me ed io non sto ricambiando nel modo giusto, ma se dovessi riprendere quel discorso, non credo che ne usciremmo più non voglio distruggermi ancora, non voglio ricordare, non posso e non ci riesco. Scusami, davvero." A questo punto intervenne Dylan dicendo: "No, lo capisco, stai tranquilla, ma tutto questo non giustifica il fatto che Max mi abbia tradito con te." "no, no, aspetta, non ho finito. Max, è mio fratello." A questo punto, Dylan divenne tutto rosso, aveva fatto tutto quel putiferio per un fratello ed una sorella. Non si assomigliavano per niente, mai e poi mai si sarebbe sognato che fossero fratelli. Era così imbarazzante, ma non avrebbe potuto dirglielo prima? Era così difficile? E lui, non poteva ascoltarlo al momento giusto? Era tutto così sbagliato e così tremendamente giusto allo stesso tempo.




Spazio autrice
Salve bella gente, come state?
Lo so, vi avevo promesso che avrei aggiornato prima, ma almeno è più lungo.
Allora allora, che ne pensate? Non solo del capitolo, ma anche del banner, che mi ha gentilmente creato questa splendida ragazza, Ridiculouis (
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=204018) e del trailer, realizzato per me da https://www.facebook.com/pages/Trailer-EFP/603080006395930).
Apriamo una parentesi sui miei prestavolto, che sono solo prestavolto. Mi serviva, appunto, solo il loro volto. Che poi io li amo tutti quanti, lol.
Dan Howell è David; Zoe Sugg è Mary; Finn Harries è Dylan; Connor Franta è Max. 
Sono entusiasta, non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo, perché avevo finalmente il trailer e il banner. Che poi le ragazze che me li hanno fatti erano gentilissime e super disponibili. Prossimamente li metterò anche negli altri capitoli, ora devo scappare.
Ci sentiamo presto.
Non scordatevi di recensire e dirmi che ne pensate, vi prego ho bisogno del vostro aiuto! <33
A presto,
S.

xoxo


 

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Capitolo 9
*** Ninth Chapter ***


Capitolo Nono.
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Dylan non sapeva davvero cosa fare, ma Mary iniziò a sorridere e a soffocare una risata, cosa succedeva? "Sei così buffo" rideva "Sta' tranquillo, nessuno pensa mai che siamo fratelli, ma lo siamo davvero". Dylan rilassò il viso e anche lui iniziò a ridere, ma più nervosamente rispetto a Mary.
"Davvero, scusatemi.. Oh Dio è così imbarazzante! Scusatemi tanto." Risero per un altro po', poi iniziarono a parlare di altro, a chiedersi un po' di cose, a fare come fanno due persone che si sono appena conosciute.
"Dylan, senti non è che mi potresti dare il tuo numero?" disse ad un tratto Mary porgendogli il telefono per farglielo scrivere
"Come no, ma ricordati che sono gay" le rispose con sarcasmo
"Lo so, tutti i più carini sono gay o impegnati"
"Non provare a flirtare con me!"
Mary rise "Scusa, è divertente farti arrabbiare"
"Neanche mi conosci e già parli come il mio migliore amico."
"Sei tu che ti mostri così disponibile!"
"Ho un certo fascino, lo so. Ma comunque, eccoti il mio numero" disse concludendo ridandole il cellulare
"Okay, ti faccio uno squillo così ti salvi il mio" Dylan fece quello che la ragazza aveva proposto e il risultato fu che entrambi avessero il numero dell'altro. Continuarono a parlare, ma i loro discorsi furono interrotti da alcune gocce d'acqua rade, che iniziarono al bagnargli il viso. Decisero di doversi salutare e tornare a casa, ma aveva iniziato a piovere più forte, così si rifugiarono sotto un grande albero e, dopo aver visto che stava spiovendo un po', approfittarono della situazione per andarsene; si salutarono e ognuno si avviò per la propria strada. Non appena fu al riparo e a debita distanza da Mary, affinché non potesse sentirlo, Dylan chiamò David.
"Ehi Dylan, che succede?"
"No, niente di importante. Cioè si. Non sai cosa è successo."
"E spiegati, dimmi cos'è successo"
"Non posso spiegartelo ora, devo dirtelo a voce, posso venire da te?"
"Veramente sto studiando con Smith"
"Ma perché questo qui deve chiamarsi Smith? Smith è un cognome figo, non da professore"
"Guarda che lui è fighissimo" disse David per poi iniziare a ridere con l'amico.
"Bando alle ciance" riprese Dylan
"Possiamo vederci dopo, se così importante"
"E' importantissimo"
"E allora dimmelo ora"
"Ancora?! Non posso! Devo raccontartelo guardandoti in faccia"
"Okay okay, ma dobbiamo organizzarci velocemente, perché Smith mi sta richiamando all'ordine"
"Allora obbedisci"
"Sissignore signore. Finisco alle cinque, ce la fai per quell'ora?"
"Non mancherò"
"A dopo, passo e chiudo" disse David sentendo la risata dell'amico dall'altro capo del telefono, mentre chiudeva la chiamata. Chissà cosa l'avesse sconvolto tanto, cosa gli fosse successo o chi avesse visto. L'aveva lasciato con tutta la curiosità.
“David, insomma, non perdere tempo!” lo riprese il professore “mi scusi, signore, era una questione di vitale importanza”
“Va bene, va bene. Comunque puoi darmi del ‘tu’, te l’ho già detto.”
"Okay, Adam
“Quasi quasi preferivo quando usavi il ‘lei’”
“Direi proprio di si.”
“Comunque, fai come preferisci”
“Perfetto, ricominciamo?”
I due ripresero il discorso accantonato poco prima. L’ultima ora di lezione passò abbastanza velocemente o, perlomeno, più veloce di quanto David si aspettasse. Salutò il professore, lo ringraziò e gli diede appuntamento al giorno seguente. Non fece in tempo a chiudere la porta che subito il campanello suonò, Dylan, pensò subito David ed un sorriso comparve sul suo volto; gli aprì la porta e Dylan entrò urlando: “Non ci crederai mai!”
“Cosa? Spiegati”
“Allora, oggi sono andato a quel parco dove andavamo sempre quando eravamo piccoli, hai presente? Quello dove vai sempre anche tu”
“Si, ho presente” disse totalmente catturato da quello che stava per raccontargli senza accorgersi del fatto che aveva detto quello dove vai sempre anche tu.
“Ecco, ero comodamente –e voglio sottolineare la parola comodamente, mio caro David- seduto all’ombra di un grande albero, quando.. “
“Dylan, non essere così dannatamente teatrale! Arriva al punto, sii conciso!”
“Okay, okay, non ti scaldare”
“Sai quanto odio quando mi tieni sulle spine così”
“E’ per questo che lo faccio”
“Ti odio, assolutamente”
“Non ti dirò niente, allora”
“Dylan”
“Okay, okay. Ero seduto all’ombra di questo albero –David sbuffò e alzò gli occhi al cielo- quando ho visto qualcuno con un viso ed una fisionomia familiare, molto familiare.”
“Non dirmi che hai visto Max.”
“Come sei prevedibile e scontato! No, non ho incontrato Max.” “Peccato.. Era una tua professoressa? Oppure il cameriere del bar? Per non parlare del commesso del supermercato all’angolo”
“David..”
“Okay, scusa, vai.”
“Ho visto Mary” lo disse tutto d’un colpo, come se volesse improvvisamente liberarsi da questo peso, un grande peso. Seguirono pochi attimi di silenzio.
“Be’, non vuoi sapere che è successo?”
“Si si, certamente. Ma ho un po’ paura”
“Di cosa?”
“Ho paura di quello che sentirò”
“Perché?”
“Non lo so –fece spallucce- dai racconta”
“Insomma, ero sdraiato e l’ho vista. Ci ho messo qualche minuto a fare mente locale e a riconoscerla. Ho pensato di doverle parlare, di doverle dire qualcosa. In realtà non so bene quello che avrei dovuto fare, ma l’ho fatto e basta. Sta di fatto che sono andato lì da lei con tutte le buone intenzioni del mondo...”
“Sento che sta arrivando un pericoloso ma”
“Ma quando l’ho raggiunta, non ce l’ho fatta”
“Che significa?”
“Significa che ho iniziato ad aggredirla verbalmente” cercò di farlo sembrare meno violento possibile, dandogli un tono un po’ così, scherzoso. David non disse niente, ma sembrava arrabbiato e deluso, ma sapeva che Dylan non avrebbe mai potuto farle del male, ma chi lo sa? L’amore ti cambia. “Tranquillo, non le ho fatto niente, non le ho fatto del male, ho solo alzato un po’ troppo il tono di voce, ma non l’ho aggredita” e ci mancherebbe pensò David, ma disse solo “Lo so Lan, sei il mio migliore amico, ti conosco.” Questo, in qualche modo, consolò Dylan, che era spaventato e temeva di aver fatto arrabbiare l’amico. Poi gli iniziò a raccontare tutto, dettaglio per dettaglio, ma accennandogli la parte dove aveva pianto, perché sapeva che se glielo avrebbe detto, avrebbe suscitato molte emozioni diverse in David, che avrebbero potuto creare un conflitto tra di loro, come la preoccupazione, il rancore e il dispiacere. David non sapeva cosa dirgli, era estremamente felice per lui, il suo migliore amico non era stato tradito, ed era felice anche per se stesso, aveva ancora una possibilità con Mary. Eppure si sentiva strano, non sapeva cosa stava provando, era così confuso. Dopo aver finito di raccontare, Dylan gli disse: "Però, ho una sorpresa per te!" "Buone notizie, su buone notizie. Dimmi tutto"
Dylan prese un pezzo di carta e una penna e poi iniziò a scriverci qualcosa sopra; quando ebbe finito posò la penna, accartocciò senza badarci troppo il foglietto e disse "Apri la mano". David fece quello che gli era stato chiesto di fare e Dylan vi mise il foglietto, in seguito chiuse la mano all'amico, che lo guardò con aria interrogativa. Il ragazzo prese il biglietto e lo aprì, c'era scritto un numero di telefono. "Cos'è? Non è tuo"
"Lo so, ma leggi quello che c'è scritto"
David lesse Non chiamarla troppo presto, pensa ad una scusa abbastanza valida prima di farlo.
Sapeva che si riferiva a Mary, sapeva che quello era il numero di Mary. Era contentissimo, ma anche un po' deluso, non lo aveva avuto direttamente, non glielo aveva chiesto lui stesso, si sentiva un po' imbroglione.




Spazio autrice
Buon dopo pranzo, popolo di efp che legge questa storia"
E' passato quasi un mese, mi dispiaaaace! Davvero, sono uno schifo, ma non ho davvero avuto tempo!
Ma alla fine il tempo è arrivato. Trololol. Allora, ditemi, che ne pensate? Vi piace? Spero proprio di si. Qui la storia inizia a farsi bollente(?). Scherzo, scherzo. Mi avete detto che non vi aspettavate che Mary fosse la sorella di Max e inveeece. Ci sono un sacco di punti interrogativi a cui rispondere ancora e spero che mi continuiate a seguire fino a che tutto non si sarà risolto. Facendo leggere questa storia ad una mia amica, lei mi ha detto che le cose che le interessano di più da sapere sono
Dylan e Max stanno ancora insieme? Se no, torneranno insieme?
David troverà il coraggio per chiamare Mary?
Mary e Dylan avranno una storia?
Perché Max evitava Dylan?
Bene, ora sembra quasi una soap opera (?).
Allora, ditemi cosa ne pensate, quali sono i vostri dubbi, cosa ve ne pare, eccetera eccetera eccetera. Aspetto ansiosa i vostri commenti!
Ci sentiamo presto.
Non scordatevi di recensire e dirmi che ne pensate, vi prego ho bisogno del vostro aiuto! <33
A presto,
S.

xoxo


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Capitolo 10
*** Tenth Chapter ***


Capitolo Decimo.
trailer: 
https://www.youtube.com/watch?v=zHwg9fBEuHY
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"Non ti senti un po' imbroglione?"
"Nah, siamo in piena regola, in amore e in guerra tutto è lecito dice un detto, e noi siamo in amore, non è così?"
"Penso di si, penso proprio di si"
"Bene, ora che si fa?"
"Chiami Max"
"No, no. Prossima opzione"
"Non era una domanda a risposta multipla, anzi, non era proprio una domanda"
"Non posso chiamarlo"
"Certo che puoi, è il tuo ragazzo! E poi ora è il momento giusto per farlo."
"Oh no, non lo farò"
"Bene, allora lo faccio io, dammi il telefono"
"Non se ne parla, tu non fai proprio niente di niente!" Ma David riuscì a prendere il telefono dell'amico, andò su Rubrica e cercò il nome del ragazzo, trovando 'Max <3'
"Che carino, Max con il cuore" ironizzò
"Smettila, dammi quel telefono, Dav!" disse cercando di strapparglielo di mano, ma David lo fermò, era molto più forte di Dylan
"Shhh! Sta squillando"
"Dammi quel cellula.."
"Ciao Max-con-il-cuore!"
"Oh merda" commentò Dylan"
"Senti un po', sono David, l'amico di Lan, il quale è troppo imbarazzato per chiamati, così parlo io per lui, faccio da ambasciatore ed interprete di sentimenti altrui, ecco. Sono qui per farti una proposta, mi sembrava giusto dargli una spintarella"
"David attacca, per favore"
"Max, non far caso alla voce registrata di sottofondo -lo ignorò David- stammi a sentire, che ne dici di uscire oggi con Lan? Okay? Allora alle diciotto e un quarto al bar che si trova davanti la scuola, perfetto, perfetto! Grazie mille, ci sentiamo!" "Cazzo David, vaffanculo"
"Ehi ehi ehi, non ti arrabbiare, ti ho fatto un favore, mi ringrazierai"
"Cazzo David, io non ci vado. Che gli dico, eh? Sto lì a farmi dire quanto sono stupido?"
"Oh, calmati. Se proprio devi arrabbiarti con qualcuno, quel qualcuno sono io, quindi prego. Non prendertela con lui, Max non c'entra niente, no? Ecco. Quindi oggi andrai e gli chiederai scusa per avere un amico imbarazzante, improbabile ed inopportuno"
David sorrise "Mi sa che hai ragione"
"Certo che ho ragione, io ho sempre ragione"
"Non ci allarghiamo troppo, ora."
Risero tutti e due.
Passarono il tempo rimanente insieme, poi Dylan si avviò verso il bar dove aveva appuntamento, salutando l'amico e ringraziandolo per quello che aveva fatto.
"Siamo pari ora. Grazie a te, Lan"
Durante il tragitto nacquero numerosi dubbi nella testa di Dylan. Andare o no? Cosa avrebbe potuto dirgli? Che era un cazzone che non ascolta gli altri e giunge a conclusioni affrettate? Si fermò più volte durante il percorso per raggiungere il luogo di destinazione, a volte tornò anche indietro, ripensandoci, ma alla fine si rigirava sempre e si dirigeva verso il posto dove si erano dati appuntamento lui e Max, o per meglio dire David e Max.
Alla fine Dylan raggiunse il bar e vide Max seduto al bancone da solo, che girava il suo solito frappé alla fragola con un lungo cucchiaio, di quelli che si usano per i bicchieri alti. Prese fiato e si diresse con passo deciso verso l'entrata del negozio e spinse la porta di vetro, che suonò un campanello, avvisando tutti dell'entrata di un nuovo cliente. Max si girò, con gli occhi pieni di speranza, i quali, quando videro colui che stavano aspettando, iniziarono a sorridere, insieme alla bocca. "Ce l'hai fatta"
"Ehm si, mi ero perso" inventò una scusa Dylan, ma Max se ne accorse, ma face comunque finta di crederci.
"Era una vita che ti aspettavo"
"Si lo so, scusa."
"Tranquillo, stavo scherzando"
"Senti Max, mi dispiace. Sono uno stupido, ne sono consapevole, ma non sapevo davvero cosa dovessi fare e pensare. La situazione era quella che era: tu non mi chiamavi da settimane, mi evitavi quando mi vedevi, vedevo che abbassavi lo sguardo, non rispondevi neanche ai miei messaggi. Pensavo fosse qualcosa che avessi fatto io, pensavo di aver sbagliato qualcosa, ma quando ti ho visto con.. -esitò per un momento, sia per il dispiacere che aveva provato in quel momento sia perché non era sicuro di dover dire il nome della sorella- con quella ragazza. Non sapevo cosa pensare, mi dispiace tanto."
"No Dylan, sono io che devo scusarmi. Tutto quello che hai detto è giustissimo, è colpa mia. Avrei dovuto dirti quello che succedeva, che lei era mia sorella, si è mia sorella"
"Si, lo so, l'ho incontrata oggi. Non te l'ha detto?"
"Beh, in realtà no." Passò un attimo di silenzio. "Dylan, posso chiederti una cosa?"
"Certo, dimmi tutto"
Ma Max non chiese niente a Dylan, gli prese il viso tra le mani e lo baciò, come se fosse spinto da una forza immaginaria, probabilmente la passione. Quel bacio suscitò un po' di stupore sia in Dylan sia in tutti quelli che li stavano guardando, ma il ragazzo di staccò subito.
"Sai di fragola, lo sai che odio la fragola" si pulì la bocca Max rise "Scusami, ma, sai, sei troppo irresistibile"
"Si, lo so, ma ora so di fragola!"
"Cameriere, mi scusi, potrebbe portarci un frappé al cioccolato, per favore?" disse Max
"Certamente, arriva subito" rispose una voce
"Tu si che sai come farmi contento" gli disse Dylan mentre gli buttava al collo le braccia.



David era a casa, con quel pezzo di carta tra le mani, aveva il suo numero, ma cosa avrebbe dovuto farci? Non aveva una scusa abbastanza valida per chiamarla, anzi, a dire il vero, non ne aveva proprio nessuna. A quel punto arrivò la madre, che bussò e chiamò il suo nome.
"Che c'è?" rispose lui
"E' arrivato lo zio Alfred, dai scendi"
"Oh bene" disse con un tono non proprio felice.
Lo zio Alfred era il fratello più grande di James, il padre di David. Era abbastanza anziano, poco sopra la sessantina, aveva una struttura imponente, sembrava quasi un armadio tanto era grosso, era terribilmente scorbutico e puzzava sempre di alcol; aveva dei modi di fare di un cavernicolo, si scaccolava e diceva parolacce in continuazione, cosa che la madre di David non aveva mai sopportato, soprattutto quando il figlio piccolo era nei paraggi. David non l'aveva mai sopportato, quel modo di fare così rozzo era troppo per lui. Il ragazzo assomigliava molto alla madre, per certi versi, non sopportava che fosse così e quindi, quando veniva a stare da loro per quei quattro giorni all'anno, stava sempre fuori casa, specialmente da quando lo zio aveva saputo della sua malattia. Era indelicato e irrispettoso. Ciao malatino! Per quando hai programmato la tua morte?, Ma con la tua ragazza che fai? No guarda, non posso uscire, perché se no il vento mi si porta via, erano frasi tipiche, David non ci faceva più di tanto caso, la maggior parte delle volte, ma comunque gli dava fastidio, lo faceva sentire un inutile peso. Una volta Alfred se n'era uscito con Senti, non morire domenica, perché c'è la partita e non posso venire al tuo funerale e David, preso dalla rabbia, gli aveva risposto Ma stai tranquillo, io non ti ci voglio al mio funerale. Tutti c'erano rimasti di stucco, ma David non era riuscito a trattenersi.
David scese e, non appena lo vide, lo zio iniziò ad urlargli, con il suo vocione, che era troppo magro.
"Daniel -disse sbagliando il nome, come faceva la maggior parte delle volte- sei troppo pallido! Dove sono andati a finire quei bei muscoli che avevi l'anno scorso? E guarda che capelli! Sono troppo lunghi. Ogni anno peggiori sempre di più. James -si rivolse al fratello- non puoi crescere un figlio così! Se fosse mio figlio, sarebbe tutte un'altra cosa" peccato che nessuna donna voglia avvicinarsi a te neanche pagata profumatamente pensò David.
"Zio, mi chiamo David"
"Certo certo, come vuoi Daniel, sto solo scherzando, mozzarella"
David sbuffò "Mamma, io esco"
"Ma è tardi, rimani a casa" disse lei
"Helen, stai tranquilla, è abbastanza grande da capire che se tira un po' di vento, si deve aggrappare ad un palo!" rise del suo stesso cattivo scherzo. Nessuno rise, a parte lui, ovviamente.
David, semplicemente, ignorò le parole dello zio e uscì, senza avere una meta ben precisa.




Spazio autrice
Buona sera popolo di Efp!
Questa storia non se la fila più nessuno, mi dispiace, davvero. Nessuno legge, nessuno recensisce è triste, tristissimo. Credo che continuerò a pubblicarla per me.
Tanto così, per occupare il tempo.
Se c'è ancora qualcuno che mi segue, lo ringrazio, con tutto il cuore.
Magari ci sentiamo presto, okay?
Love you all
S.

xoxo


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Capitolo 11
*** Eleventh Chapter ***


Capitolo Undicesimo.
 
 
A Mar,
Che mi ha dato la spinta per continuare,
grazie di tutto, ti voglio bene.



Si era dimenticato di portarsi dietro un libro, quindi si sentiva piuttosto solo. Si diresse, così, verso il liceo che frequentavano tutti i suoi coetanei, tutti meno che lui. Gli sarebbe piaciuto ritornarci, perché qualche anno prima anche lui aveva frequentato quella scuola. Molte volte aveva parlato ai suoi genitori chiedendogli di farlo ritornare lì, ma tutte le volte loro glielo avevano proibito, proprio come aveva severamente ordinato il medico.
Si mise a pensare ad ogni cosa gli passasse per la testa, ma l'unica cosa era Mary. Era una ragazza così bella, praticamente perfetta ai suoi occhi; non la conosceva, ma era perfetta, angelica. Ora aveva una possibilità, forse l'unica, e non voleva sprecarla, voleva approfittarne, anche se era strano -ed anche piuttosto contorto- pensare che era la sorella del fidanzato del suo migliore amico. Assorto nei suoi pensieri, cercando di trovare una scusa valida per chiamare la sua amata, David non si accorse che Dylan e Max gli si erano piazzati davanti.
Dopo un po' che erano lì e vedevano che David non reagiva, Dylan esordì dicendo: "Stella del cielo, che ci fai qui tutto solo?" Max lo guardava storto, forse era un po' geloso. David, dopo essersi girato, notò il viso di quello e disse "Ehi, Lan, stai attento che si ingelosisce"
Max arrossì leggermente.
"Non hai risposto alla mia domanda, che ci fai qui solo soletto?"
"Pensavo. E poi a casa c'è il Grande Orso Alfred"
"Capisco, capisco. Inevitabile scappare quando c'è lui. A cosa pensavi, Dav?" ma subito riprese "O meglio a chi?" scherzò
"Mica penso sempre a lei!" se la prese un po'
"Mah, non ci scommetterei più di tanto. Voglio dire, sei un ragazzo così influenzabile e Mary è lei."
David guardò malissimo l'amico, come per ricordargli del fatto che fosse presente il fratello della suddetta ragazza.
"Oh no, tranquillo, gli ho già detto tutto, sa tutto."
"Ne deduco, quindi, che sono sempre l'ultimo a sapere le cose e tu, mio caro amico, sei l'unico responsabile"
"Mah... -intervenne Max- credo di stare anche io nella tua stessa situazione, oggi è stato un caso"
"Meno male, questa cosa mi fa sentire meno solo"
"Insomma, insomma, basta. Parliamo di cose serie ora, tocca sistemarti -riprese Dylan- sempre che tu sia d'accordo" concluse rivolgendosi al fidanzato"
"Oh cero, posso essere molto utile in questo capo"
"Non ne avevamo alcun dubbio. Andiamoci a fare un giro mentre discutiamo di affari, come i veri uomini" disse entusiasta Dylan
"Dunque, non abbiamo nessun punto da dove partire, quindi possiamo prendere qualsiasi strada, almeno credo" disse Max
"Non ti sbagli, caro mio" confermò Dylan
"In realtà, ho il suo numero -disse David- anche se non me l'ha proprio dato lei, non direttamente, ecco" continuò guardando Dylan, il quale fece un sorriso colpevole
"Okay, ce lo hai, che ci vuoi fare? Vogliamo incorniciarlo?"
"No, cioè, non so perché dovrei chiamarla, dovrei avere una buona scusa, che ovviamente non ho"
"Potresti fare una cosa del tipo: ehi ciao, ho trovato questo numero sul mio telefono, usciamo?"
"Si Max, pensala così ed andrai molto lontano" commentò David
"Be' in realtà con Dylan ha funzionato" rise. David guardò nuovamente l'amico, il quale aveva di nuovo quel sorriso colpevole sul viso, ma questa volta era anche piuttosto imbarazzato. "Sei pessimo" commentò.
Squillò il telefono di Max, era sua madre. Quando terminò la chiamata, disse che questa aveva urgente bisogno di lui a casa e che doveva tornarci subito, così Dylan si offrì di accompagnarcelo, mentre David decise di lasciarli soli, come era giusto; "Ciao piccioncini!" li salutò e si avviò verso la sua di casa, dove l'amato zio Alfred lo attendeva.
Dylan e Max di guardarono e si presero per mano, sorrisero e si avviarono verso casa di Max.
"Le nostre litigate non durano molto"
"Meglio così, non ti pare?"
"Direi proprio di si, non riesco a stare senza di te" disse Max.
Dylan si fermò, Max era stato sempre particolarmente smielato e, obbiettivamente, anche lui era piuttosto sdolcinato, ma in quel momento gli sembrò che quel commento troppo dolce fosse estremamente soffocante. Si immaginò il loro futuro insieme, tutto troppo rose e fiori, troppa dolcezza, troppa morbosità. Dylan non voleva tutto questo.
"Cosa succede?" gli chiese sorpreso
"No, niente Max, andiamo, ero un po' sovrappensiero per David" mentì Dylan, lo faceva spesso con Max, forse non era il migliore dei segni.
"Sai, mi dispiace per lui. Non perché sia malato o queste cose così delicate, ma perché mi dà l'idea di essere terribilmente solo, di sentirsi solo, di non avere nessuno."
"Cosa stai dicendo? -Dylan s'incupì, le sue emozioni mutavano molto facilmente. Infatti capitava spesso che un attimo prima fosse felicissimo e quello dopo fosse assolutamente triste- Stai dicendo che non mi prendo cura di lui? Che lo lascio da solo? Cosa sai tu di noi e della nostra amicizia? Ci conosciamo da anni e tu arrivi ora e inizi a pensare quello che vuoi!"
"Dylan, calmati. Scusa, non volevo. Stavo solo dicendo..."
"Cosa stavi dicendo, eh?"
"So che tu gli vuoi molto bene e che non lo lascerai mai, non lo lascerai di certo andar via"
"Certo che non lo farò, lui non se ne andrà mai, non mi lascerà da solo in questo mondo, non glielo permetterò"
"Dylan, tu non sei solo"
"Non stiamo parlando di me! Smettila di accusarmi"
"Non ti sto accusando"
"Lo stai facendo eccome! Stai dicendo che lui è solo, che  io non sono un buon amico e che non lo aiuto"
"Ma non stavo parlando di te, non intendevo offenderti. Non ti avevo proprio in considerazione"
"Cosa? Io faccio parte della vita di David da molto, molto tempo. Come osi dire queste cose?"
Dylan era furioso, era tutto rosso. Non riusciva proprio a capire perché Max gli stesse dicendo quelle cose.
"Oh Madonna, Dylan! Sembri una scolaretta mestruata, smettila! Stai giungendo a conclusioni sbagliate, basta! Non mettermi in bocca parole che non ho neanche pensato"
Dylan chiuse leggermente la bocca, le lacrime iniziarono a scendere dai suoi occhi e a solcare il suo viso, scesero velocemente, una dopo l'altra, fino a creare piccole macchie umide sulla felpa del ragazzo.
"No, Dylan, scusa, non volevo" disse subito Max, ma non servì a niente, perché il suo quasi ex ragazzo si voltò e corse via, proprio come aveva fatto quando lo aveva visto con Mary.
Dylan era molto lunatico e un tantino bipolare, un po' più di chiunque altro, ma anche estremamente sensibile: le sue emozioni cambiavano velocemente e ogni cosa lo toccava e segnava profondamente. Era facile fare il confronto tra la sua sensibilità e la sua insicurezza, erano agli stessi livelli.
Mentre correva, mille pensieri gli giravano per la testa, ma il più importante era se fosse davvero un buon amico per David, se c'era sempre stato per lui.  E poi c'era la relazione con Max, litigavano spesso, stava forse giungendo la fine di tutto? C'erano troppe incomprensioni, troppe cose non dette.
Dylan si fermò sul marciapiede, con tutte le lacrime sugli occhi, la gente lo guardava, ma lui non ci pensava. Non voleva perdere David, ma neanche Max. Dovevano chiarirsi, dovevano dirsi tutto quello che non si erano detti.




SPAZIO AUTRICE

Allora allora, Salve a tutti amici miei!
Come state?
Spero bene, spero bene.
Tutto questo "eleven" mi ricorda il mio povero dottore che si è rigenerato. RIGHT IN THE FEELS.
Dylan e Max litigano sempre eeeh già. Ma questo non è di certo il capitolo più straziante a cui avete assistito, il prossimo sarà terribile, da quanto mi ha detto chi lo ha già letto, ma vi amo ancora tutti quanti.
Ditemi, insomma, cosa ne pensate, per favoooore, ho bisogno delle vostre recensioni.
AAAAAH volevo dirvi che ho pubblicato perché abbiamo raggiunto già le 100 visite e sono piuttosto soddifatta, giàgià.
E niente, vi auguro un buon anno e ci vediamo l'anno prossimo! ((inizierò una nuova long, trololol))
A presto,
S.
xoxo

Storie in corso: A piece of you (
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2345609&i=1)
 

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Capitolo 12
*** Twelfth Chapter ***


Capitolo Dodicesimo.
 
 
A Fede,
Che crede sempre in me, e questo non guasta mai; perché legge questa storia e perché dobbiamo parlare
grazie di cuore, ti voglio bene.



Era il lunedì della settimana successiva e David era davanti al cancello della scuola pubblica, la stessa che frequentava Dylan, la stessa che aveva lasciato quasi un anno prima. Era così emozionato all'idea di ritornare lì dentro, ma anche spaventato, come se non ci fosse mai stato.
Erano passati un anno e mezzo da quando Helen, sua madre, si era sentita dire: "Signora, è un tumore"
"Cosa?" aveva risposto lei incredula
"Si è ripresentato, pensavamo di averlo eliminato.."
"Ma lo aveva sconfitto, David ce l'aveva fatta. Questa storia era finita" disse scoppiando in lacrime
"Mi dispiace signora"
Helen ebbe un mancamento, David, che era presente, la vide cadere nelle forti braccia del padre, che furono colte di sorpresa, ma riuscirono comunque a sostenere il peso della donna, la vide inginocchiarsi a terra e piangere tutte le lacrime che aveva.
"Signora, le prometto che faremo tutto il possibile per farlo guarire, non si preoccupi, ci riusciremo un'altra volta" ma quella non rispondeva, pensava di cosa se ne sarebbe fatta delle promesse di quel dottore, perché sapeva che David non avrebbe potuto sopportarne un altro, altre cure, altre medicine, sarebbe stato troppo forte per lui, per quel ragazzo dai capelli e gli occhi scuri, così magro e pallidino, ma con tanta voglia di vivere e di scoprire il mondo.
"David, porta fuori tua madre, sbrigati, rimango io con il dottore" gli disse il padre.
"Mamma, mamma, sto bene, guardami, sono sempre io, vedi? -si sforzava di sorridere, per lei- ce la faremo, insieme ce la faremo di nuovo, ma io ho bisogno di te"
Anche la donna si sforzò di sorridere, guardando il suo unico figlio, che era cresciuto dall'ultima volta che si era sentita dire quelle parole. Si asciugò le lacrime e gli accarezzò il visto, sorridendo, con gli occhi gonfi. Abbracciò il figlio, che la condusse lentamente fuori dalla stanza e la fece accomodare su una di quelle poltrone che si trovano per i corridoi, lontano dalla sala d'attesa principale. David la guardava, aveva il visto rosso e troppi pensieri che le giravano per la testa, come del resto anche lui. Poi si sedette affianco a lei, le prese la mano e la guardò in viso, sorridendole, un'altra volta. "Ti ricordi, mamma, quando venivamo qui e contavamo le infermiere e i dottori che passavano e chi ne contava di più, vinceva?"
"Certo che mi ricordo" disse lei sorridendo, ma quello era un sorriso amareggiato, di chi ricorda il passato, così triste e bello allo stesso tempo.
" Ti va di giocarci di nuovo?" le chiese, ma lei non rispose.
"Uno" disse subito quando passò una dottoressa, che si girò con aria interrogativa.
"Ventitré!" disse David indicando un'infermiera mentre James uscì dalla porta.
"Oh David, non è giusto, io sto ancora a cinque! Sei sempre il solito..." mentre stava per finire la frase, vide il marito e subito il sorriso si tramutò in un'espressione cupa.
"David, mi vai a prendere un caffè alla macchinetta, per cortesia?"
"Sì, certo"
"Con tanto zucchero, per favore. Tieni il resto, magari prenditi qualcosa anche per te"
David sapeva che era solo un pretesto per farlo allontanare, per poter parlare senza di lui, senza che lui sentisse, in fondo aveva poco meno di sedici anni. Di solito il padre prendeva il caffè amaro, ma evidentemente gli serviva un po' di zucchero per mandare già quella notizia dal sapore così acre. Così si avviò per il corridoio, che conosceva bene, e ci mise più di quanto ci avesse messo normalmente, per lasciar parlare i genitori, ma non troppo, per non farli preoccupare, che probabilmente avevano iniziato ad essere più iperprotettivi di quanto non fossero già prima.
Quando tornò, dal fondo del corridoio, riuscì ad intravedere sua madre avvolta nelle braccia del padre. James era un uomo severo e piuttosto duro, ma non con Helen, con lei era sempre stato diverso: dolce, gentile e molto disponibile. La amava da morire, chiunque  avrebbe potuto dirlo con certezza, si vedeva lontano un miglio. David sapeva che suo padre gli voleva bene, ma sapeva anche che non era molto bravo con queste cose, seppur con la moglie gli risultasse così naturale.
Si avvicinò e subito i due si distaccarono e i loro volti si aprirono in grandi e falsi sorrisi.
"Ecco, papà, tieni"
"Grazie, Dav" gli scompigliò un po' i capelli, un gesto che non faceva da anni ormai.
Tornarono a casa, il viaggio in macchina fu uno dei più silenziosi a cui David partecipò. Quando furono soli, il ragazzo chiese al padre: "Papà, quanto mi resta?" senza se o senza ma, glielo chiese e basta, perché non credeva che ci fosse un modo delicato per chiederlo, in fondo era lui quello che sarebbe dovuto andarsene.
"Un anno e mezzo, massimo due" gli aveva risposto il padre, mentre gli si avvicinava per abbracciarlo. Ma David scappò in camera e si buttò sul suo letto.
Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Quelle parole gli rimbombavano nella testa e si dovette tappare le orecchie per non sentire. Ma sentiva ancora e ancora e scoppiò a piangere.
Smettila David, smettila! Non devi piangere. Sei per caso una ragazzina? Smettila o farai preoccupare tutti! prendi un libro ed inizia a leggere, smetti di piangere!  si continuava a ripetere, ma sembrava non servire a niente, poi si alzò, prese un bel respiro e iniziò a leggere, come se nulla fosse.
Poi David si ricordò di quando lo disse a Dylan.
"Non sarebbe dovuto accadere. Non è giusto, non di nuovo, non a te"
"Dylan, non fa niente" aveva mentito David.
"David, cazzo. David, ce l'avevi fatta"
"E me lo devi dire tu, Dylan? Pensi che io non lo sappia? Pensi che non sappia cosa succederà dopo? Pensi che io l'abbia presa meglio di te solo perché non lo faccio vedere?"
"Scusami Dav, mi dispiace. Io ti prometto che da oggi in poi ogni giorno sarà speciale, faremo tutto quello che vuoi, quanto è vero che sei il mio migliore amico"
"Quanto è vero che sei gay" scherzò David
"Shhh! Sta' zitto, non lo dire"
"Dire cosa? Che sei gay?" disse alzando la voce.
"Stai zitto, smettila!" lo rimproverò.
David rise "Okay, va bene. Ma non faremo come dici tu. Non voglio passare il resto dei miei giorni a pensare a quando morirò, perché succederà e non voglio pensarci e dire uh oggi facciamo questo perché mancano solo cinquantasette giorni alla mia morte. Non lo farò, tanto vale che facciamo una specie di calendario dell'Avvento."
"Ti prego, Dav, non scherzare"
Anche a quei tempi a David piaceva scherzare sulla sua malattia, non prenderla sul serio, prendersene quasi gioco; sapeva che avrebbe dovuto prenderla più seriamente, perché, di fatto, era una cosa seria, reale e pericolosa, ma c'era una frase, che gli ripeteva sempre il nonno, che gli rimbombava nella testa Non prendere la vita troppo seriamente o non ne uscirai mai vivo. Era sempre cresciuto con questa "filosofia di vita", perciò pensava che qualsiasi cosa gli sarebbe successa, avrebbe dovuto divertirsi in ogni momento, perché la cosa peggiore che gli poteva accadere era la morte e lui non ne aveva paura, perché sin da piccolo aveva imparato che, come diceva Silente, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura.




ANGOLO AUTRICE
Buona sera a tutti, cari lettori. Ho tante tante cose da dirvi.
1. SCUSATE IL RITARDO TREMENDO (ringraziate una ragazza che mi ha chiesto se avrei mai aggiornato e io le ho pure detto che avrei aggiornato le week-end e guardate a che ora mi ritrovo);
2. Non l'ho riletto -l'ho scritto un mesetto fa- quindi se ci sono errori TUTTO A REGOLA;
3. E' straziante, lo so, ma prima o poi David avrebbe dovuto iniziare ad essere un malato, la cosa stava passando troppo in secondo piano;
4. Spero di aver reso l'idea, di aver trasmesso emozioni, perché questo è un momento davvero delicato della storia;
5. Spero di non avervi delusi e che vi piaccia, perché quando l'ho scritto, ne ero entusiasta.
6. Vi voglio ringraziare, perché siete sempre qui a dirmi cosa ne pensate
Ditemi cosa ne pensate!
See you soon (spero)
Grazie a tutti
Esse


Se vi va, fate un salto sull'altra mia long: P.S. I love you

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Capitolo 13
*** Thirteenth Chapter; ***


Capitolo Dodicesimo.
 
 



Erano passati un anno e mezzo da quando tutte le settimane -o quasi- David andava all'ospedale per fare dei controlli e vedere come si sviluppava 'la sua cosa', come la chiamava sua madre.
Non sapeva come prendere questo cancro, non si ricordava come l'avesse preso la prima volta, ma era comunque troppo piccolo per aver avuto una reazione da considerare seriamente. Si erano sempre ripetuti, sia lui che i suoi genitori, che era stato fortunato a farcela, perché non molti hanno questa possibilità, ma lui era stato troppo piccolo per aver adesso un quadro chiaro e definito della situazione. Pur non sapendo come, David voleva vincere, un'altra volta, e questa sarebbe stata la sua ultima volta, perché non sopportava l'idea di essere un peso per i suoi genitori e farli dispiacere, per Dylan che gli era stato sempre affianco, ma soprattutto voleva farcela per sé stesso, per realizzare i propri sogni e progetti. Aveva una voglia matta di vivere, gli si leggeva negli occhi, e ora ne aveva più di prima, era diventata una sorta di necessità, quasi un obbligo.
Continuava, però, ad andare a scuola, nella quale fu inserito in uno di quei progetti -li chiamano così- dove i ragazzi parlano dei propri problemi, una sorta di seduta dallo psicologo collettiva. In questo circolo -chiamiamolo così- aveva sentito moltissimi ragazzi (non avrebbe mai pensato che così tanti ne facessero parte) parlare dei propri problemi, voler lasciare il mondo in cui vivevano e aveva visto i loro occhi spenti, vuoti, privi di vitalità, mentre i suoi brillavano ed erano pieni di vita tanto che quelle persone si chiedevano perché David fosse lì, cosa ci facesse un ragazzo così tra loro. Così, quando fu il suo turno e raccontò la sua storia, tutti capirono. E non ci furono parole, soltanto sguardi, pieni di comprensione.
Sentendo i racconti di quei ragazzi, che qualcuno si voleva addirittura uccidere o ci aveva provato almeno una volta, chiunque fosse stato nella stessa situazione di David probabilmente avrebbe riso e si sarebbe ritenuto insultato, offeso, perché loro che potevano vivere la loro vita, dargli una svolta e cambiarla, volevano invece metterle fine, mentre lui non poteva, poteva solo sperare di farcela e credere nella medicina.
David, però, era un ragazzo diverso dagli altri, sentendoli gli era venuta voglia di aiutarli a cambiare la loro vita, a renderla migliore.
Così finché andò a scuola continuò a frequentare quel gruppo, a sostenere quei ragazzi per i successivi sei mesi, tuttavia dopo fu costretto a ritirarsi, ma prima fece promettere ad ognuno dei suoi compagni che avrebbero fatto di tutto per migliorare la loro vita, per viverla, anche senza il suo aiuto. Gli disse "Ragazzi miei, per motivi ormai noti a tutti, sono costretto a lasciare la scuola, ma ognuno di voi deve promettermi che ci proverà, proverà a rendere migliore tutto questo, mi prometterete di vivere la vostra vita, senza sprecare neanche un attimo. Nessun ripensamento o rimpianto, vivete al massimo. E quando sarete depressi e non troverete più motivi per andare avanti, ricordatevi di queste parole e di me, se non volete farlo per voi, fatelo per me". E loro lo fecero, gli promisero che ci sarebbero riusciti. La persona che risentì di più del suo allontanamento dall'ambiente scolastico fu però Dylan, anche se era l'unico che riusciva a vedere, o perlomeno a sentire, David tutti i giorni.
Era tornato in quella scuola, i ricordi e il dolore erano tanti si, ma la voglia di ricominciare era più forte. David sapeva che molto presto sarebbe arrivata la sua ora, ma per quanto fosse angosciante l'idea, era deciso a ritornare alla sua vecchia vita, perché voleva vivere al meglio quella che gli rimaneva prima di lasciare questo mondo. Lui era un caso clinico molto, molto speciale, uno su miliardi, si diceva. Dopo un anno e mezzo, molti dei sintomi causati dalle terapie avrebbero dovuto manifestarsi, ma David non ne dimostrava molti: i suoi capelli erano ancora abbastanza folti, riusciva a stare concentrato per molto tempo, riusciva a camminare bene, era quasi una persona normale ed era incredibile. Molti medici si stupivano di questo e si chiedevano come fosse possibile, proprio come avevano fatto i suoi genitori e lui stesso. David era grato a chiunque gli avesse dato questa possibilità, perché non aveva mai desiderato altro in tutta al sua vita, mai. Certo, dopo la chemioterapia aveva quei piccoli sintomi, ma non era né precocemente calvo né sterile, i quali sono gli effetti collaterali più comuni fra i malati. David si levò dalla mente quei pensieri, doveva smettere, per almeno qualche ora. Per la chemioterapia ci sarebbe stato tempo dopo scuola.
David entrò a scuola, come un ragazzo normale.
"David, cosa ci fai qui?"
"Sono tornato" annunciò il ragazzo.
Dylan abbracciò l'amico, contento di vederlo a scuola, perché poteva significare che stava meglio, ma pur sempre preoccupato per la sua salute.
"Bentornato, ragazzo mio. Un giorno rimpiangerai Smith. A proposito, che fine ha fatto?"
"Nessuna, gli abbiamo detto che volevo frequentare una scuola pubblica e che il problema sono io, queste cose qui, sai." disse come se avesse appena chiuso una relazione con qualcuno.
"Ah, capisco. E come l'ha presa? Non bene, immagino" rispose l'amico, stando al gioco.
"Infatti, proprio così, c'è rimasto un po' male, ma siamo rimasti d'accordo che mi farà ripetizioni se e quando ne avrò bisogno. Sono sicuro, però, che Adam mancherà più a me, che io a lui."
I due risero insieme. David e Dylan erano sempre stati molto legati, sin dall'infanzia. La loro era una di quelle amicizie che ti aspetti che durino per tutta la vita e molte volte succede. Si volevano così bene. Dylan era sempre stato un'ottima compagnia per David.
"Ehi Dav, che hai in prima ora?"
"Quello che hai tu, caro mio. Mi sono assicurato di avere il tuo stesso orario"
"Sei inquietante certe volte, lo sai?"
"Ne sono consapevole, ma tu almeno non frequenterai il gruppo di supporto, dopo scuola"
"Ma ti piaceva andare lì"
"E mi piacerà ancora, ne sono convinto"
La campanella suonò e i corridoi iniziarono a svuotarsi.
David aveva notato tutte quelle cose che erano cambiate, da lì a sei mesi prima, ed erano parecchie, a partire dagli armadietti fino a finire ai volti: era iniziato un nuovo anno nel frattempo.
David guardò il suo orario: letteratura. Si fece guidare da Dylan che lo condusse nella stessa aula, la stessa in cui frequentava il corso l'anno precedente, nello stesso orario e con lo stesso professore; non gli dispiaceva questa cosa. Si stupì quando il professore lo riconobbe dicendo: "Ben tornato, David"
"Oh grazie professore, è un piacere rivederla"
David e il professore di letteratura, il signor Coleman, durante gli anni in cui erano stati nella stessa classe, avevano stretto un forte legame: c'era, infatti, uno strano rapporto tra di loro, una specie di filo che li collegava in segreto, seppur la relazione studente-insegnante fosse mantenuta. David era sempre stato convinto che se si fossero incontrati fuori dalla scuola, sarebbero diventati grandi amici, non importava quanti anni di differenza avessero.
Tutti gli occhi erano puntati su di lui, mentre il ragazzo prendeva posto. Non ci furono commenti o risatine, solo sguardi pieni di pietà e tristezza, una cosa che infastidiva tremendamente David. Probabilmente erano stati avvisati del suo arrivo.
La lezione del giorno riguardava un libro, che -naturalmente- David aveva già letto.
"Allora, ragazzi, qualcuno di voi ha già iniziato a leggere il libro che vi ho assegnato per queste settimane?" David alzò la mano "Io l'ho finito"
"Oh bene David, grazie. Dunque, il ragazzo nuovo, qui, ci ha fatto capire che vi darà filo da torcere quest'anno. C'è qualcun altro?"
Una decina di persone alzarono la mano.
La lezione continuò tranquilla, David prese appunti e pensava a quanto stesse bene seduto dietro quel banco, seppure fosse così scomodo e alquanto stretto per i suoi gusti, ma era tornato e voleva farlo come si deve.
Anche la giornata proseguì tranquilla e, quando arrivò il momento di uscire, Dylan raggiunse l'amico, disabituato al caos che si creava nei corridoi, anche se erano sempre stati in classe insieme.
"Come è andata?"
"Molto bene, una cosa tranquilla" "Sei sempre in tempo per tornare a casa e non venire mai più"
"No, mi piace stare qui, mi mancava. So che probabilmente mi pentirò di quello che sto dicendo, ma è bello. E poi ci sono tante cose nuove: corsi, insegnanti, persone, mi piace..." David fu interrotto.
"David, David!" un gruppetto di ragazzi gli stava venendo incontro, erano tre o quattro ragazzi "David, bentornato! Come stai?"
"Molto bene, grazie, ma.."
"Ah si scusa, probabilmente non ti ricordi di noi"
"No, mi dispiace"
"Io sono Scott Mcbride, ti ricordi? Eravamo nella stessa classe dalle elementari"
"Ma certo che mi ricordo! Come ho fatto a non ricordarmi? Sei cambiato molto, quasi irriconoscibile"
"Io, invece, sono Elle, Ellen Pierce"
"Oh Dio Ellen! Anche tu sei cambiata tantissimo! Non ti avrei mai riconosciuta", lei sorrise e gli saltò addosso "David, non so se ti ricordi di me, probabilmente no, ma sono Allison.."
"Quella Allison?"
"Sono la nuova Allison"
"Oh Dio, grazie. Vieni qui e fatti abbracciare" i due ragazzi si abbracciarono.
"Si, si tutto molto commovente, ma ragazzi, questo tipo qui è mio"
"Nath, santo cielo, vieni qui, amico mio!"
"Ti rivoglio in squadra, capo. Ma se continui con tutte queste smancerie, potrai fare solo la cheerleader" scherzò Nathan, mentre tutti iniziavano a ridere.
"Ah ragazzi, mi siete mancati! Era così tanto tempo che non ci vedevamo"
"Torneremo alle vecchie abitudini ora" intervenne qualcuno "Non credo, ma potremmo crearcene delle nuove, no?" disse David
"Ragazzi, scusate, ma devo portarvi via David, abbiamo delle questioni importanti da sbrigare" disse Dylan, del quale David si era quasi dimenticato con tutte quelle persone attorno.
"Va bene, permesso accordato" dissero "Ci vediamo domani"
Quando i due amici furono fuori dalla scuola, David disse: "Che bello, si ricordano di me, pensavo che se ne fossero dimenticati"
"Nessuno può dimenticarsi di te, Dav"
"Dici che succede perché sono troppo bello?"
"Troppo bellissimo, direi" scherzarono.




ANGOLO AUTRICE
Salve lettori del mio cuore, anche se state diminuendo tanto tanto, tantissimo
Più io faccio ritardo, più voi diminuite ewe
Quindi, prometto che sarò notevolmente più in anticipo.
Allora, questo capitolo penso sia piuttosto importante, anche se, ahimè, non l'ho riletto prima di pubblicarlo. Ma ho dei validissimi (forse) motivi per cui non l'ho fatto:
1. Per mancanza di tempo (quando mai ne ho un po'? Pf. Tempo: un lusso che Parabates non può permettersi);
2. Perché sto scrivendo un'altra cosa proprio in questo momento (si tratta del nuovo capitolo di P.S. I love you)
3. Perché contemporaneamente sto anche facendo greco AHAHAHAH (si, a quest'ora faccio greco, lol)
Poi, vorrei dedicare questo capitolo a Nebulas (scusa cara se ho sbagliato il tuo nome), perché mi sta dietro e mi ricorda che ogni tanto dovrei farmi viva (continua a farlo ti prego o altrimenti questa ff metterà le ragnatele), e anche a Martina, una lettrice accanita sin dal primo capitolo, grazie tesoro per le tue recensioni <3
E niente, vi lascio. Voi fatemi sapere che ne pensate, cosa vi incuriosisce, potete prendermi a parolacce e cose così.
Auguri di Buona Pasqua, vi ringrazio.
S

xoxo
Esse


Se vi va, fate un salto sull'altra mia long: P.S. I love you

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