Wizengamot – Processo a Draco Malfoy

di alexluna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo (o di come la propaganda politica sia uno specchietto per le allodole) ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO I (o di come il potere renda folli le persone) ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO II (o di come la verità sia apofantica) ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO III (o di come sia consigliabile bruciare gli scheletri nell’armadio) ***



Capitolo 1
*** Prologo (o di come la propaganda politica sia uno specchietto per le allodole) ***


Piccole necessarie informazioni: mini long fiction di cinque capitoli con prologo ed epilogo, aggiornata settimanalmente (si spera!). Ambientata venticinque anni dopo la seconda battaglia di Hogwarts, quindi nel 2023 (wow!), non segue pedissequamente quanto deciso dalla Rowling dopo la pubblicazione del settimo libro. Per i personaggi ho messo l’avviso OOC, perché, detto tra noi, mi voglio principalmente tutelare da eventuali critiche fondamentaliste (brrr!). E poi no, alcuni personaggi li ho resi OOC senza rendermene conto. De gustibus.
Per i riferimenti giurisprudenziali mi appoggio alla nomenclatura dell’ordinamento italiano e anglosassone, ma contenuto, pene e procedimenti quasi sempre non corrispondono a quelli reali, per ovvie esigenze narrative.
Buona lettura!

Prologo
(o di come la propaganda politica sia uno specchietto per le allodole)

Si passò la lingua sui denti due volte. Con occhio critico soppesò il bianco immacolato del sorriso riflesso, cercando con la bacchetta di modulare l’intensità del fascio di luce che incorniciava lo specchio.
“D’accordo, Audrey, di’ pure allo staff che l’intensità dei flash non deve essere né più né meno forte di questa.”
Audrey gli posò una mano sul braccio e si mise a scrutare anche lei la dentatura del marito. “Non lo so, caro,” commentò allungando un po’ la testa, “trovo questa luce troppo asettica. Questo bianco è innaturale.”
“È bianco neve. Puro.”
“Direi più quasi grigio. Posticcio.”
“Audrey, non capisco proprio perché tu debba sempre trovare qualcosa da ridire in ciò che faccio.”
“E io invece non capisco la tua poca predisposizione ai miei consigli, che non sono critiche gratuite, finalizzate allo snervarti. Sto cercando di rendermi utile, so quant’è importante questa vittoria per te.”
“Per noi, Audrey. Quant’è importante per noi. E se vuoi quanto me questa vittoria, vai a informare lo staff della mia decisione. Voglio questa intensità per il flash. Ogni macchinetta dovrà essere controllata, modulata e testata prima di consegnare il pass agli inviati della stampa.”
 
 
Scese dalla scopa con un movimento morbido, tenendo in bilico sul palmo di una mano un vassoio porta-pozioni pieno zeppo di flaconcini e ampolle di ogni grandezza e dimensione. Fischiettando un motivetto volgare che cantava durante gli incontri dei Puddlemere United, si diresse verso il cancelletto di casa.
Il parcheggio per le scope da volo degli ospiti aveva subito un nuovo attacco vandalico. Il ferro era stato deformato e ora sembrava un enorme fallo pendente a sinistra.
L’uomo non si scompose e passò oltre. Non si stupiva più degli enormi peni che trovava fuori casa. Nell’ultimo ventennio aveva visto il genio improvvisato di migliaia di maghi che si cimentavano nell’arte figurativa e plastica di organi genitali. D’estate i teppisti s’intensificavano, e visto che Hogwarts aveva appena chiuso per le vacanze, nuove orde di stupidi maghi adolescenti avrebbero fatto a gara nella distruzione delle protezioni intorno alla sua casa per lasciare ricordini di ogni tipo.
Per questo motivo – la mancanza di originalità di quel pisello storto – aveva proseguito come se nulla fosse verso l’ingresso della sua proprietà privata. Nella testa stava ripassando l’impresa impossibile che aveva compiuto quel fenomeno del cercatore dei Puddlemere United, quando accadde l’imprevedibile. O meglio: quando accadde esattamente quello che in venticinque anni aveva bollato come il suo più grande incubo.
Un attimo prima di prendere la bacchetta per sciogliere gli incantesimi contro gli intrusi, si ritrovò con un cappuccio soffocante in testa e un ginocchio tra le scapole.
La botta improvvisa gli aveva svuotato i polmoni e si ritrovò senza fiato persino per urlare.
“Sta’ zitto e non ti muovere!” imperò una voce bassa sopra di lui.
L’uomo incappucciato perse l’equilibrio e, poiché anche le mani gli erano state legate dietro la schiena, cadde sbattendo lo zigomo sul ciottolato. Il suo assalitore gli mise un piede sulla testa, bloccandolo.
“Deve esserci uno sbaglio,” sfiatò dolorante, appena ebbe la forza di emettere qualche suono.
“Taci o siamo costretti a incatenarti pure la lingua, e ti assicuro che è un incantesimo molto doloroso,” ruggì la voce di prima, schiacciando ancora di più il tacchetto della scarpa sul suo orecchio.
Altre due mani sconosciute gli legarono spartanamente le caviglie, prima che avesse la forza di scalciare e rialzarsi.
“No, no, no, voi dovete capire che io ho non ho fatto niente,” iniziò a urlare, rubando più aria possibile. “Se è per qualche pozione andata a male, ho tutti gli antidoti nella mia bottega. Vi prego, lasciatemi andare!”
“Forse non hai ancora capito… Siamo Auror e tu sei in arresto.”
“C’è un errore, non ho fatto niente! Liberatemi!”
 
 
“Ed è per questo che ho fatto della Giustizia il mio obiettivo più sacro: per garantire a tutti voi, oneste streghe e onesti maghi inglesi, un presente giusto e un futuro sicuro. La necessità di un coprifuoco e la momentanea restrizione delle libertà personali sono dettate dall’esigenza di proteggere maggiormente la nostra comunità. Pensiamo ai nostri figli, il frutto dei nostri sacrifici e il tesoro più importante della nostra esistenza. Pensate ai pericoli e alle tentazioni malvagie che possono incontrare nel loro cammino, se lasciamo impuniti le streghe e i maghi che hanno usato la magia per scopi oscuri e razziali. E cosa impareranno da noi, i nostri figli, se lasciamo impuniti gli assassini dei nostri genitori? Sono passati esattamente venticinque anni dall’esecuzione di condanna dei Mangiamorte a servizio di Voldemort. In quel lontano inverno del 1998 troppi processi sono stati gestiti male, per la troppa fretta di chiudere quel capitolo e ricominciarne un nuovo. Domenica notte sarà eletto il nuovo Ministro della Magia e io potrei non vincere. E allora, a conclusione del duro lavoro fatto in questi tre anni, voglio lasciare in eredità al mio successore la condanna o la piena assoluzione di un mago che per troppo tempo ha rimandato il momento di fare i conti con la giustizia. Questa sera abbiamo appena arrestato il pozionista di dubbia fama Draco Malfoy, figlio di un altrettanto noto Mangiamorte, Lucius Malfoy, condannato a morte nel 1999. Il processo inizierà dopodomani, mercoledì 12 luglio. Detto ciò, faccio le mie congratulazioni al mio avversario, il Capo del Dipartimento Auror, Kingsley Shacklebolt, e do ufficialmente inizio ai cinque giorni bianchi, durante i quali né io né Shacklebolt rilasceremo più comunicati, per non influenzare ulteriormente il voto. Grazie per essere venuti e grazie a mia moglie, Audrey, per sostenermi sempre. Ricordatevi di andare a votare, questa domenica. Percy Weasley: insieme per la giustizia!”
 
 
“Auror da strapazzo, ho il diritto di sapere il perché di questo rapimento!”
“Zitto, Malfoy,” lo ammonì il secondo uomo che ancora non aveva mai parlato. “La feccia come te non dovrebbe avere nessun diritto.”
Draco Malfoy riconobbe l’inconfondibile tono di quella voce e finalmente smise di opporre resistenza.
I tre uomini si Smaterializzarono in un flebile schiocco, lasciando sul marciapiede la scopa, una dozzina di flaconcini rotti che emanavano cattivissimi odori e una copia stropicciata della Gazzetta del Profeta.
Non c'è nulla di più lugubre di una strada deserta, in attesa
.[1]
 
[1] Il buio oltre la siepe (Harper Lee)

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Capitolo 2
*** CAPITOLO I (o di come il potere renda folli le persone) ***


Ognuno ha le sue fasi. Più o meno lunghe. Io, da fanwriter, sto in quella in cui non ho intenzione di dissezionare i pensieri dei miei personaggi. Sono essi stessi, attraverso le loro battute, che decidono quali segreti svelarmi. Provo a capirne un po' di più dal linguaggio del corpo, ma i pensieri più intimi rimarranno tali.
A ogni lettore curioso lasciò la divertente possibilità di grattare un po' dove vuole, per farsi un'idea più personale di quello che accade.
Ringraziate i miei esami. Sono loro che tengono a freno la mia tendenza alla narrazione realistica isterica.
Buona lettura

CAPITOLO I
(o di come il potere renda folli le persone)

“Spero che dietro tutta questa fretta ci sia qualcosa che scotta, King.” Hermione chiuse in modo secco la pagina di Incantesimi Finiti Malissimo della Gazzetta del Profeta, e guardò negli occhi il mago che si era appena Materializzato di fronte.
Stava scaldando il minestrone che la signora Weasley le aveva spedito, quando un gufo le aveva quasi rotto il vetro della finestra della cucina. Il nome di una locanda fuori mano e la firma del candidato in lizza per subentrare al posto di suo cognato Percy Weasley come Ministro della Magia furono sufficienti a farle capire che non c’era tempo da perdere. Era successo qualcosa di serio.
Aveva spento i fornelli e lasciato un messaggio a Ron in cui spiegava che per motivi di lavoro si sarebbe persa il discorso di fine campagna elettorale. Poi si era legata i capelli, aveva indossato qualcosa di più comodo e aveva preso la Metropolvere.
La sera era calata portando una timida frescura. La locanda, poco lontano Hogsmeade, era spartana ma molto frequentata. L’insegna sembrava risucchiare la luce dei lampioni sparsi sulla strada per poi rifletterla, centuplicata. La specialità della taverna erano i cosciotti di lepre su un letto di zucca. Hermione avrebbe mandato all’aria i suoi tre anni di dieta vegana, se non fosse stato per una copia della Gazzetta del Profeta dimenticata su un tavolo. Qualcuno, forse nella fretta di pagare e andare via, l’aveva scordata lì.
Il lavoro in ufficio la assorbiva a tal punto che non aveva neanche il tempo di leggere i quotidiani. Andò ad accomodarsi proprio lì e nell’attesa ordinò un Infuso Rigenerante. Saltò gli articoli di politica e si buttò a capofitto nella disavventura di alcuni giovani maghi che avevano sperimentato una variante del Sectumsempra ed erano morti dissanguati; seguiva l’intervista della madre di una delle vittime.
Hermione con Ron aveva fatto un patto: non avrebbe rilasciato né interviste contro Percy, col quale ormai scambiava solo frasi di circostanza, né false dichiarazioni di supporto.
Avrebbe votato per Kingsley Shacklebolt, l’uomo che aveva organizzato quell’appuntamento ed era appena arrivato. Il mago lanciò uno sguardo furtivo ai tavoli accanto, alzò il colletto del mantello e le fece segno di rimanere in silenzio.
Tre streghe si alzarono sgarbatamente dalla tavola a sinistra, rischiando di far cadere i calici vuoti di Burrobirra. Passarono davanti a loro senza rendersi conto che quel gigante di colore era il candidato favorito per la carica di nuovo Ministro della Magia.
“Incredibile, vero?”
“Non ti seguo,” rispose Hermione, cauta.
“Beata ignoranza, la loro.” Fece un cenno alle donne che si allontanavano.
Lei non ribatté e lasciò che Kingsley terminasse lo sfogo. Le sembrava un calderone sul punto di esplodere.
“Tuo cognato è fuori controllo, Hermione.”
“King,” gli posò una mano sul braccio, scegliendo quel tono di voce fintamente comprensivo che usava per ammonire Hugo quando lo beccava a farsi fare i compiti da Rose, “te l’ho già spiegato. Mi metti in una posizione scomoda. Percy è mio cognato e questo mi sembra l’ultimo posto per-”
“No, ti sbagli. Questo è un posto sicuro,” la interruppe con tono sommesso. “La prima regola che ti ho insegnato per il nascondiglio perfetto è mimetizzarsi tra la folla.”
“Beh, non puoi chiedermi lo stesso di ostentare il mio disprezzo per lui,” lo redarguì Hermione, iniziando a innervosirsi. “Sono stata sincera in famiglia e, se possibile, sono riuscita a mandare ancora più in crisi il mio matrimonio. Ma tutto questo lo sai già anche tu.”
L’uomo appoggiò i gomiti sul tavolo e si sporse di più verso di lei. Gli occhi sciupati dalla stanchezza gli conferivano un’aria malaticcia.
“Al Ministero l’hanno combinata grossa,” continuò Shacklebolt.
“Brogli elettorali?” azzardò Hermione, senza far trasparire eccessiva impazienza. “Ti hanno fatto qualcosa?”
“Non a me direttamente.”
“Sii più chiaro, per favore,” lo rimproverò. “Non sono in vena di tirare a indovinare.”
“Quanto sto per dirti potrebbe metterci nei guai.”
“Nei guai quanto?”
“Professionalmente parlando: tanto.”
“Hai un Galeone?”
“Un Galeone, Hermione?” domandò Shacklebolt, accigliato. “Che c’entra ora, se ho un Galeone?”
“Fa’ come ti dico: dammelo.”
L’uomo frugò nel taschino interno e tirò fuori un paio di monete d’oro. Hermione ne prese una e gliela mise davanti agli occhi.
“Mi hai pagato con questo denaro e da adesso sono ufficialmente il tuo Magiavvocato. Ogni cosa che dirai sarà protetta dal segreto professionale. La tua vita è in pericolo?”
Prima che Shacklebolt potesse risponderle, gli fece cenno di chiudere la bocca e lasciarla continuare. “Pensaci bene prima di rispondere. Sappi che se la tua vita è in pericolo, pensi che lo sia – basta anche un’interpretazione che hai fatto stamattina con i fondi del tè – puoi dirmi tutto. Puoi infrangere persino i segreti d’ufficio.”
Il mago abbozzò un sorriso, con gli occhi seri ma colmi di una silenziosa gratitudine. Aveva afferrato il senso nascosto di quel consiglio.
“Sì, mi sento pericolo. Sento in pericolo anche la sicurezza dell’intera comunità magica. Circa un’ora fa, una squadra di Auror non più sotto la mia supervisione-”
“Aspetta un secondo. Sei o non sei l’attuale capo del Dipartimento? Com’è possibile che una squadra lavori fuori dalla tua supervisione?”
“È stato varato un regolamento interno, all’ora di pranzo, che ha ordinato la creazione di una squadra speciale, gestita dal Ministro della Magia in persona.”
“Non è legittimamente possibile, King!” esplose indignata Hermione, pescando nella borsetta un codice giurisprudenziale. “Persino la scorta del Ministro è sotto la tutela del tuo Dipartimento. Sulle Convenzioni e sui Trattati magici, ci sono disposizioni puntuali, precedenti storici non ignorabili. Percy non può interferire nella gestione della difesa. Il contrario farebbe saltare l’intero e delicato sistema di pesi e contrappesi.”
“Weasley ha trovato una scappatoia. Un inghippo in una regola antichissima, che gli permette di istruire un organo momentaneo per l’arresto e la supervisione dei criminali di guerra, fino al termine di un processo di condanna. Hanno già arrestato un mago.”
“Mio cognato si è completamente bevuto il cervello,” soppesò Hermione scuotendo la testa. “E chi sarebbe questo criminale di guerra? Ma quale guerra, poi?”
“La seconda guerra contro Voldemort.”
“Di venticinque anni fa. Stiamo parlando di venticinque anni fa!”
“Sai meglio di me che i crimini di guerra non cadono in prescrizione.”
“Il punto è che ogni Mangiamorte è stato già processato e messo a morte. Ogni collaboratore è stato indagato, processato e assolto o condannato all’ergastolo. Venticinque anni fa, è stata quasi dimezzata l’intera comunità magica. Nessuno è sfuggito al Wizengamot.”
“Ti sbagli. All’appello mancava un unico Mangiamorte. All’epoca la scampò, vista la giovane età e il fatto che Harry non lo menzionò durante la deposizione sull’assassinio di Silente. Al contrario, in più occasioni, disse che quel mago vi aiutò…”
“Draco Malfoy?” lo interruppe Hermione con un filo di voce. “Percy ha fatto arrestare Draco Malfoy? Dopo venticinque anni,” sembrava borbottasse tra sé e sé, in preda a uno stato di febbrile sgomento. “Preciso capo di accusa?”
“Sconosciuto.”
“Che significa sconosciuto?”
“Significa che io non lo so. Ma so chi potrebbe dirtelo: l’Auror che l’ha arrestato.”
“Avanti, Kingsley! Non lo sai tu, che sei il Capo del Dipartimento Auror, e lo direbbero a me!? Percy, appena eletto, mi ha allontanato dall’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, perché, parole sue, sono una strega cronicamente sovversiva. Tradotto, significa che gli avrei messo la bacchetta tra le ruote. Sono fuori dal giro.”
“Ron.”
“Devo proprio riderti in faccia? Sarà stato tenuto all’oscuro. Mio marito non sa mai nulla di quello che accade nel suo ufficio, e figurati se si mette a indagare su dei colleghi.”
“No, Hermione. Non ci siamo capiti. È Ron che ha arrestato Malfoy.”


Lo avevano ridotto davvero molto male. Il volto era sfigurato e Hermione non poté soffocare una smorfia di orrore. Draco Malfoy era irriconoscibile e se non fosse stato per il biondo di quei capelli, che portava lunghi fino alla schiena come il padre quando erano ragazzi, quel mago con le catene alle mani e ai piedi era uno, nessuno e centomila. Gli occhi erano chiusi, gonfi e di un raccapricciante blu. Grumi di sangue rappreso gli rigavano un sopracciglio ed entrambi gli angoli della bocca. Gli avevano rotto il naso e lo zigomo destro.
“Chi va là?” domandò a fatica Draco Malfoy, sentendo una nuova presenza nella cella. Aveva la voce impastata e rantolante.
Nella prigione stagnava un gran lezzo di urina e sporcizia. Hermione non rispose, si coprì il naso col polsino della camicia e diede una rapida occhiata intorno: nessuna finestra, un materasso con le molle che schizzavano fuori bucando lenzuola piene di croste. In un angolo, il pavimento aveva un minuscolo foro di scolo per i bisogni fisici.
La strega uscì facendo cenno alla guardia di seguirla e ritornò un’abbondante mezz’ora più tardi, da sola. In mano teneva un mini kit del pronto soccorso.
“Bevi,” disse semplicemente all’uomo che nel frattempo non si era mosso di un centimetro, “è-”
“Ossofast scadente,” completò Draco sorseggiando con malcelata diffidenza la Pozione.
“Bevila fino all’ultima goccia. A quanto pare i Medimaghi di Azkaban hanno fatto un casino coi turni e hanno lasciato l’Infermeria scoperta,” raccontò Hermione con disappunto.
“La tua voce non mi è nuova. Chi sei?”
“Pazienta un altro po’ e lo vedrai da te.”
Gli applicò dell’Essenza di Dittamo sui tagli e due gocce di Pozione Cura Ferite per ogni occhio. Si accorse che le mani le tremavano e ringraziò il cielo che lui non potesse vederla. Di feriti anche più gravi ne aveva incontrati parecchi. Era la rabbia che le scatenava quel fremito incontrollabile. La rabbia di sapere che a sfigurare quell’uomo erano state le nocche dure che tante sere, in passato, aveva ricoperto di baci e carezze. Le mani di suo marito Ron sapevano violentare senza dignità il viso di una persona e questo la gettò in uno sconforto totalizzante.
“Granger,” costatò Draco, circospetto, quando il potere delle Pozioni iniziò a fare effetto.
“Mi aspettavo una reazione più negativa, lo ammetto,” rispose Hermione, dandogli le spalle mentre rimetteva in ordine le fiale di medicinali.
Aveva abbassato il tono di voce, come se improvvisamente quello stambugio fosse popolato da guardie invisibili – e conoscendo la paranoia di suo cognato Percy, non escluse l’ipotesi. Iniziò a saltare da una parte all’altra della cella, protendendo le mani davanti a sé e acciuffando solo aria. All’interno di Azkaban, Magiavvocati e visitatori avevano il divieto assoluto di introdurre bacchette magiche. In lontananza si sentivano urla disperate e sconnesse, cancelli e catene che grattavano sul pavimento in pietra.
“È il mio trauma cranico o zampetti come uno Gnomo da giardino?”
Hermione tossicchiò imbarazzata. “Non mi meraviglierebbe trovare qualche sentinella nascosta sotto il Mantello dell’Invisibilità,” si giustificò.
“Mi commuove tanta prudenza. Dubito siano ricorsi a tanto, per me.”
“Si sono presi la briga di creare uno squadrone occulto, per te. Non mi stupirei se le stesse persone che ti hanno portato qui ti stessero osservando, adesso. Magari tramite un Occhio Magico Trasfigurato da qualche parte.” E una parte di Hermione lo desiderò ardentemente: Ron sarebbe andato fuori di testa nel vederla curare Malfoy.
“Non saprei. Magari fai prima a parlarne con Weasley. È stato proprio tuo marito a rinchiudermi in questa torre fatata, come se io fossi la sua verginella.”
Hermione non rispose.
“Oh, ti ho zittita,” provò a ridere Draco, ma le costole incrinate soffocarono il suo tentativo. “E sono curioso. Sei qui per dirmi che il Wizengamot ha scelto te come procuratore dell’accusa? Bastava un gufo, davvero, ma sono divertito dal contesto: tutto in famiglia.”
“No, al contrario, io vorrei offrirmi come tuo avvocato della difesa.”
Draco ricacciò indietro il dolore e scoppiò in una risata incontenibile, fragorosa.
“Lascia che ti spieghi un po’ di cose, donna dalle ingegnose idee autodistruttive. Credi che io possa uscire da qui? Credi io voglia uscire da qui?” si regalò una pausa ad effetto. “La prigionia ti logora. Anche se vieni assolto, esci da Azkaban che non sei più lo stesso. Mio padre lo avete ucciso. Mia madre non ha avuto la stessa fortuna. Dopo un anno e mezzo di reclusione, è uscita. Stravolta. Non si è più ripresa. Oh, io ci ho provato a rifarmi una vita. A mantenere un profilo basso. Pensi che sia servito? Pensi che a qualcuno sia importato?"
Aspettò invano un commento, poi riprese. "La mia vita è stata segnata prima che Voldemort mi facesse diventare la sua puttana. Prima che mi marchiasse a fuoco come una giovenca da macello. Poveri stolti, quei Mangiamorte che ne andavano fieri, del Marchio Nero! Significava: fine dei giochi, zero possibilità di riscatto, criminale per sempre. Il destino glorioso che mio padre voleva darmi, il suo senso del giusto e dell’ingiusto, la sua serie di ferrei principi… Puah! Appartenevano a una concezione della collettività totalmente contraria a quella vigente. Tu e mio padre eravate molto simili. Tu non puoi concepire una vita senza delle regole, e per lui è stato lo stesso. Solo che le tue appartengono a un ordinamento legale, riconosciuto. Quelle del mio vecchio, invece, a un’astrazione improbabile della società,” spiegava Draco, facendo ricomparire il ghigno beffardo che lo contraddistingueva da sempre.
“Ci ho messo anni per rendermene conto e non è stato facile,” ricominciò, cercando di dare ordine ai pensieri. “Non è stato immediato, come superficialmente crede la maggior parte di voi. Quando sin da bambino t’inculcano certe idee… sulla purezza del sangue, sull’inferiorità dei Mezzosangue, sull’inutilità dei Babbani, non puoi aspettarti un adolescente che finisce a Grifondoro e lotta per la liberazione degli Elfi Domestici. Come dicevo, ci ho messo anni. Ci ho messo anni a capire che, in realtà, a me, di questa roba, non frega proprio un cazzo. Per qualcuno sono immondizia, per altri il protagonista cattivo di una saga ucronica, per altri ancora una fantasia. Non m’importa. Io mi sento solo un Pozionista che col figlio non ha fatto gli stessi errori del proprio padre."
Chiuse gli occhi, perso in qualche ricordo. "Era tutta questione di tempo, comunque. Quest’arresto, dico. Sapevo che oltre a trovare Trasfigurati grossi peni svettanti, fuori di casa, presto o tardi sarei tornato qui ad Azkaban. Astoria mi dava del pazzo, ma io la notte non sono mai riuscito a prendere sonno senza la Pozione Sogni d’Oro. Ridi pure di me. In questi anni ho ingurgitato litri e litri del filtro magico per eccellenza che si dà ai neonati che soffrono di coliche.”
Ma Hermione, al contrario, non rise affatto. Lo ascoltava in silenzio e cercava di non lasciarsi abbindolare dalla retorica di quel mago. La cosa peggiore, in quel momento, fu però appurare che lei gli credeva.
“Da quanto non eserciti, Granger? O dovrei chiamarti Weasley?”
“Granger va bene.”
“Allora, Granger, sappi che sei pazza se credi che lascerei gestire la mia causa alla moglie dell’uomo che mi ha appena picchiato a sangue, e cognata di quello che mi ha già condannato a morte. I veri ipocriti difficilmente sospettano di essere tali. Il loro atteggiamento è spesso inconsapevole. Ma forse, nel tuo caso, si tratta solo di menopausa. Vattene via, signora Weasley. Non tornare più.”


Harry una volta aveva spiegato a Hermione perché non riusciva mai a trovare la pace: lei prendeva le cose troppo a cuore e troppo dentro.[1] Non poté che dargli silenziosamente ragione. Rincasò sbadigliando, mentre fuori un riflesso color pervinca cominciava a ricoprire il vialetto e annunciava la nascita di un nuovo giorno. Sbatté la porta senza preoccuparsi di svegliare suo marito.
All’ingresso trovò degli involucri incartocciati di Cioccorane. Fino alla sera prima, Hermione apparteneva a quel tipo di moglie che hanno fiducia nel coniuge, anche se l’intesa sessuale è sparita, il dialogo scarseggia e i difetti dell’altro diventano fonte di recriminazioni senza fine. Ron non è malvagio, si ripeteva con lo stesso tono accondiscendente che avrebbe utilizzato per parlare di qualche Elfo Domestico in una crisi di sensi di colpa.
Di certo, Hermione rimase sorpresa quando, entrando in cucina per bere un bicchiere d’acqua, trovò Ron seduto al buio, ad aspettarla, con le braccia spalancate a croce e il mento proteso: sembrava un angelo caduto. L’uomo la inchiodò allo stipite con uno sguardo feroce.
“Mi hai fatta spaventare,” commentò, dirigendosi con passo felpato verso il lavandino, ma lui continuava a sbandierare un silenzio offeso. “Credevo stessi a letto.”
Bevve a grandi sorsi, e mentre riempiva il calice per la seconda volta, lo punzecchiò ancora. “Sono stanca, t’avviso.”
Ron colpì con i pugni il tavolo e il vetro della credenza tremò in risposta. Hermione si fissò su quei capelli fulvi che andavano da tutte le parti e gli finivano, appiccicaticci, sulla nuca. L’urlo di suo marito la riscosse.
“Stanca anche per scaldarmi la fottuta minestra che ha dovuto cucinarci mia madre, perché tu a casa non ci sei mai?”
“La minestra te la puoi cucinare anche da solo, se la vuoi,” obiettò Hermione senza scomporsi. “E tranquillo, che di fame, tu non moriresti mai.”
“Siamo sposati, Hermione. Almeno a un pasto al giorno potresti pensare. Miseriaccia, non ti chiedo l’impossibile!”
“Questi discorsi li trasciniamo da quando siamo fidanzati. Sapevi che non avresti sposato una casalinga come tua madre.”
“Come osi? Non tirare in ballo mia madre, dopo tutto quello che fa per noi!”
“Ron! Sei tu che l’hai tirata in ballo per primo. Non sto insultando nessuno, se non la tua mente ottusa! E sei un mago, imparati un Incantesimo per pelare le patate e metterle sul fuoco, dannazione!”
“Non si tratta solo del cibo, Hermione.”
“Oh, ma non avevo dubbi. Avanti, accomodati. Sono pronta per la serie di maledizioni Cruciatus che vorresti infliggermi. Si vede dai tuoi occhi iniettati di sangue, sai?” lo sfidò, avvicinandosi, sprezzante. “Che strano, pensavo che la tua dose di violenza giornaliera, l’avessi già assunta.”
Ron si accigliò, preso in contropiede. “Di che cosa farnetichi, adesso?”
“Non fare l’allocco con me, Ronald Weasley. Ci metto mezzo secondo a Schiantarti al muro!”
“Come puoi notare, l’unica violenta sei tu.”
“Io non incappuccerei, ammanetterei e pesterei mai una persona per deportarla in un carcere di massima sicurezza,” scandì Hermione sbraitando, “senza darle la possibilità di chiamare un difensore ed esporle il motivo di un tale rapimento!”
Suo marito diventò paonazzo come i suoi capelli, e per lei quello fu il momento di urlare con tutto il fiato che aveva nei polmoni: “e non mi frega un cazzo che tu abbia agito per conto di tuo fratello. Percy piega le leggi a suo interesse e ha instaurato un clima di terrore, perché è troppo ingordo di potere. Quella poltrona gli ha dato alla testa! Sta privando i maghi e le streghe dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali. Possibile che non te ne renda conto?”
“Chi ti ha detto del prigioniero K-578?” le domandò soltanto.
“In qualità di avvocato della difesa del prigioniero K-quel-che-è,” mentì Hermione, “tu sei l’ultima persona a cui devo comunicare qualcosa.”
Avvocato della difesa?” tuonò Ron, facendola sussultare.
Hermione avrebbe difeso Draco Malfoy; anche da se stesso, se necessario.
“Sappi che appena porterò fuori da Azkaban il suo culo, i prossimi che denuncerò per abuso di potere siete tu, tuo fratello e il tuo collega. Sono stata chiara, Ronald?”
Ron reagì rovesciando il tavolo. “Hermione, tu hai appena mandato in pezzi la nostra famiglia!” declamò dirigendosi verso la porta di servizio. Per rimarcare il concetto, uscì dalla cucina facendo esplodere il servizio di piatti preferito di sua moglie, che crollò a terra, in ginocchio e incominciò a piangere come non faceva da mesi.
Ron volò via in sella alla sua Tornado3000, mentre lei, sopraffatta dalla stanchezza e dal dolore, poco prima di svenire in un sonno agitato, regalava il suo ultimo pensiero a Harry: l’indomani l’avrebbe cercato. Assieme avrebbero risolto i casini dei fratelli Weasley.

[1] Nessuno si salva da solo (Margaret Mazzantini)

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Capitolo 3
*** CAPITOLO II (o di come la verità sia apofantica) ***


CAPITOLO II
(o di come la verità sia apofantica)

 
Silenzio in aula!” berciò la Decana del Wizengamot, perdendo nell’impeto il cappello. “Imputati, Magiavvocati e uditori, vi ricordo che questa Corte Magica non esiterà un secondo di più a Mutarvi tutti al prossimo schiamazzo.”
I presenti ammutolirono all’istante, compresi gli altri tre giudici membri dell’ala giudicante. Hermione Granger, tra gli spalti, strappò dalla pergamena la sua Piuma Autoscrivente, e cercò di sbirciare da dietro il braccio obeso della strega che le stava accanto.
“La parola può tornare alla difesa, prego,” continuò Augusta Paciock dopo aver riposizionato il copricapo a punta.
Al gradino più basso della cavea, il Magiavvocato della difesa riprese la sua arringa gesticolando platealmente e guardando ogni tanto tra gli spalti, come a incoraggiare un’inesistente tifoseria. Non era abituato a tutto quel pubblico. Riconobbe molti volti noti: giornalisti, maghi famosi, speaker radiofonici, persino qualche giocatore di Quidditch.
Il suo collega, legale dell’attore, non sembrava far caso all’insolita moltitudine di curiosi. Sedeva accanto al cliente e ascoltava il ciarlare irrequieto di uno stuolo di assistenti. Ogni tanto annuiva con un ghigno beffardo, che però non riuscì a scalfire la sicurezza espositiva dell’avversario.
Si dibatteva sulla presunta negligenza di un allevatore di Berretti Rossi nel costruire una barriera di protezione. Una notte, i Berretti Rossi, infatti, si erano intrufolati nella casa del vicino e avevano cercato di randellare a morte le sue civette.
“E quindi, la colpa non può ricadere nella buona fede del mio cliente, che ha eseguito perfettamente gli Incantesimi di Protezione,” spiegava trionfante il Magiavvocato della difesa. “È il suo vicino che, tornato ubriaco, ha lanciato la bottiglia di Burrobirra contro la vetrata, rompendola e liberando i Berretti Rossi.”
Dall’accusa si levò un coro di proteste incomprensibili, che incollerirono maggiormente Augusta Paciock.
“Ad alcuni di voi stamattina non è chiaro il funzionamento della Corte Magica di Giustizia,” sbraitò la Decana per coprire le lamentele. “La Corte pertanto sospende i lavori e condanna l’accusa a una multa di trenta Galeoni. Vi avverto, che per ogni ulteriore parola emessa, non importa da chi, la multa si triplicherà.”
Il convenuto emise un sonoro sospiro di sollievo e si beccò un’occhiata letale da tutta la giuria.
“Non mi sfidi, imputato,” intimò Augusta Paciock.
Una volta che i due Magiavvocati con a seguito lo staff e i clienti uscirono dall’aula, Augusta Paciock srotolò davanti a sé un lungo rotolo di pergamena.
“Ordine del giorno di domani, mercoledì 12 luglio,” declamò e ottenne il silenzio assoluto che aveva richiesto invano per tutta la sessione, “prima udienza di comparizione per il processo Malfoy D. contro Ministero della Magia. Il dibattito inizierà alle ore 9, in Aula Dieci, di fronte all’assemblea plenaria del Wizengamot.” Tacque un attimo e poi terminò: “A porte chiuse.”
L’intera cavea esplose in urla di dissenso, fischi e gestacci. Augusta Paciock si astenne dal denunciare tutti per oltraggio alla Corte e trottò via assieme ai suoi colleghi.
 

Hermione fu risucchiata dall’ascensore e finché non raggiunse l’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, Divisioni Bestie, Esseri e Spiriti, s’impose di non farsi prendere dal panico. All’uscita, uno stormo di Promemoria le sfrecciò accanto, regalandole un piacevole venticello.  La Decana del Wizengamot, la nonna di Neville, aveva la straordinaria capacità di diffondere l’ansia. Se fosse riuscita a diventare il Magiavvocato di Malfoy, avrebbe dovuto studiare non solo una strategia di difesa, ma anche una dignitosa captatio benevolentiae.
“Signora Weasley, permette?”
Hermione si voltò e scoprì una strega esile e dalla statura imponente che le andava incontro. Indossava una tunica smanicata grigio polvere, che la rendeva simile a una colonna antica. I capelli raccolti con severità dietro la nuca le freddavano i lineamenti. Naso lungo, occhi affilati, collo allampanato. Camminava protendendosi verso l’alto, come se volesse bucare il soffitto o si divertisse a mettere in soggezione gli altri.
D’istinto lo sguardo di Hermione corse ai piedi. Nessun tacco era la causa dell’altezza ardita di quella strega, che portava babbucce a punta di pelle di serpente. Persino l’accostamento cromatico manifestava, ai suoi occhi, la spavalderia di quella donna che aveva visto solo in qualche rarissima fotografia sui giornali.
“Le ruberò pochissimo tempo,” disse la strega fermandosi e tendendo la sua mano. “Sono Astoria Malfoy.” Sul viso campeggiava un’espressione indecifrabile.
“Sì, lo so chi è lei,” disse Hermione osservando le dita che sembravano filamenti senza fine. “Il mio cognome è Granger, comunque. Sposandomi non ho adottato quello di mio marito.”
“Signora Granger,” riprese Astoria con ostentato disinteresse, “vorrei che lei accettasse la difesa di mio marito.”
Hermione faticò a nascondere lo stupore che già tratteneva da quando l’aveva vista. “Dopo ieri sera, non credo che suo marito…” ma s’interruppe, perché qualcos’altro l’aveva colpita in quella proposta. “Ma perché lo chiede a me? Neanche mi conosce.”
“Draco era molto scioccato. Lei comprenderà, immagino… era appena stato picchiato brutalmente. Deportato senza sapere dove né perché,” elencò Astoria senza scomporsi, come se recitasse gli ingredienti di una Pozione. “Mio marito era in un forte stato confusionale. Non è voluto scendere nei dettagli, ma so che l’ha cacciata via in malo modo. Mi faccio portavoce delle sue scuse, signora Granger.”
Hermione annuì brevemente, poi replicò: “Non ha ancora risposto alla mia domanda. Perché proprio io come Magiavvocato? Conoscerete rappresentanti legali molto più famosi e con più anni di esperienza. Io non esercito da parecchio.”
“Le risponderò con franchezza. Anche perché credo che un rapporto tra Magiavvocato e cliente si basi sulla totale sincerità. Personalmente, poi, ho fatto della verità la mia arma più forte. Fugherò ogni suo dubbio,” spiegò Astoria, mentre l’ombra di un sorriso si distendeva sulle sue labbra. “Sì, conosciamo studi più famosi, ma la loro poca irreprensibilità potrebbe danneggiarci. Hanno difeso e fatto assolvere maghi e streghe volgarmente colpevoli. Assumere uno di questi studi, agli occhi dell’opinione pubblica apparirebbe come un’ammissione di colpa.”
Degli impiegati della Divisione Spettri uscirono dalla porta accanto a loro e Hermione non poté non notare come si misero a guardare di sottecchi il corpo affilato della moglie di Draco Malfoy.
Appena gli uomini entrarono nell’ascensore, Astoria riprese la spiegazione: “Certo, non esiste soltanto la categoria degli studi legali che zittiscono la loro morale in cambio di un ingente gruzzolo di Galeoni. L’altra categoria, quella più integerrima, tuttavia, è sostenitrice di Percy Weasley e mai comprometterebbe i fondi elargiti durante la campagna per difendere un ex Mangiamorte. Infine, ma non per questo di minore importanza, lei si è offerta. E se si è offerta ci sono due motivi. O condanna il gesto della sua famiglia e non le importa di scatenare una guerra casalinga. Oppure è in combutta con la sua famiglia e vuole sabotare la difesa di mio marito, fingendosi un Magiavvocato animato da nobili intenzioni.”
“Quindi, ricapitolando, mi ha proposto la procura perché o mi crede un’idealista cui non importa di gettar fango sull’operato della propria famiglia o lei vuole mandare a morte suo marito,” fece una pausa e poi azzardò, “perché meglio vedova che divorziata?”
Astoria emise una risata gutturale.
“Non mi dica che è così sadica, signora Malfoy,” si risentì Hermione, arricciando la bocca.
“Al contrario, rido della sua perfidia. Mi congratulo con lei per la rapidità di un’analisi così infamante,” spiegò e poi ritornò seria. “La vedovanza non mi si addice. Voglio che il padre di mio figlio torni a casa.”
“Quindi lei si fida di me, nonostante io sia la moglie e la cognata degli uomini che hanno incarcerato suo marito,” soppesò Hermione con cautela. “Anche qui: perché?”
“Mi avevano detto che era una strega molto curiosa e scrupolosa, ma una cosa è sentirlo e un’altra è appurarlo in prima persona,” commentò Astoria, neutra. Hermione non capì se la stava prendendo in giro o se le stava facendo un complimento. Nel dubbio, restò in silenzio ad ascoltare. “Più che di Draco, io mi fido di mio figlio, signora Granger. Valuti la mia offerta e mi faccia sapere entro l’ora di pranzo. Le do il mio indirizzo,” le porse un biglietto da visita, “buona giornata.”
Il tempo per Hermione di rigirarsi tra le mani il cartoncino argentato e Astoria era già sparita, silenziosa com’era arrivata. Scioccamente guardò sopra la sua testa, come se la moglie di Draco Malfoy avesse spiccato il volo. Avrebbe voluto che le spiegasse l’ultima frase.
Tornò a leggere con aria sconsolata la scritta vergata sul bigliettino, in un corsivo molto elegante: Draco Malfoy, Pozionista Classe Seconda Ordine di Veridian[1] – mandatemi un gufo al seguente indirizzo. Vi rispondo quando voglio.
 

La Passaporta lasciò Hermione a pochi minuti dalla casa di campagna dei Potter. Aveva il viso arrossato per il freddo del viaggio e il caldo dell’intera giornata. Si asciugò il sudore dietro il collo e scrollò del terriccio dall’orlo della tunica. Mentre s’inerpicava per la salita brulla della piccola valle, si rammaricò per l’ennesima volta di non saper guidare una scopa.
Il tragitto dalla Passaporta alla dimora di Harry Potter era breve, ma la strada era sterrata, polverosa, isolata. Maledisse gli Incantesimi anti-Smaterializzazione attorno alla casa. Solo la famiglia e gli amici stretti conoscevano la reale ubicazione della residenza dei Potter: Harry e Ginny volevano crescere i loro figli nella tranquillità e nella più totale intimità.
Harry aveva fatto rapidamente carriera: Auror di prima linea, Caposquadra, Caposezione, Vice Capo Dipartimento e, infine, la proposta più ambita. Capo dell’intero Dipartimento. Aveva quarantuno anni e sarebbe diventato il più giovane mago ad aver ricoperto quella prestigiosa carica. Per l’opinione pubblica quel passaggio di bacchetta da Kingsley Shacklebolt a Harry Potter era apparso come naturale, quasi scontato. Tutti rimasero di stucco quando, invece, Harry rifiutò e decise di prendere un congedo a tempo indeterminato. Pochi comprendevano quella scelta e tra questi Hermione. Harry non avrebbe mai fatto le scarpe a Kingsley. Quella promozione, senza dubbio meritata ma prematura, aveva ricevuto spinte politiche per accelerare i tempi. Percy Wesley sapeva che Kingsley si sarebbe candidato alle prossime elezioni e voleva mandarlo in pensione.
Un conto era concorrere come Capo del Dipartimento Auror e un altro come privato e rispettabile cittadino.
Inoltre, per Harry era arrivato il momento di rallentare i ritmi e godersi di più la famiglia. La decisione di restare a casa a fare il papà a tempo pieno, poiché i figli erano in dirittura d’arrivo con lo studio, fu giudicata all’unanimità dalla famiglia Weasley una crisi di mezza età.
Se quella era una crisi di mezza età, si giustificava Harry, era la crisi più bella della sua vita. Passava le giornate a sperimentare, raccogliere le memorie per la sua biografia, aiutava Lily Luna e Albus Severus con lo studio o Teddy col lavoro; ma soprattutto tirava fuori dai guai James Sirius, che a vent’anni suonati ancora non aveva deciso che carriera intraprendere.
Hermione lo trovò che stava smontando dei talismani sul tavolone in legno dove mangiavano durante le giornate più torride. Appena Harry la vide, lasciò gli arnesi e fece il giro di quel piano di lavoro improvvisato per andare ad abbracciarla. Hermione si lasciò andare e ricambiò quell’abbraccio con forza. Si ritrasse di poco, solo per dirgli: “Vorrei cancellare gli ultimi due giorni…”
Si sentiva sempre più tentata e quasi incantata da quelle braccia toniche e forti, che la tenevano saldamente ancorata a lui. Quel senso di protezione lo provava solo col suo migliore amico.
“Un po’ di tè?” soffiò Harry dandole un leggero bacio sulla fronte. “È da quando ho ricevuto i giornali e la Strillettera di Ron, che tengo l’acqua in ebollizione per te. Sapevo saresti arrivata, prima o poi.”
Hermione si guardò bene dal fare domande sulla Strillettera di Ron, ma non poté non sbuffare sentendo quel nome.
“I ragazzi sono in casa?” chiese, invece, un po’ sulle spine, mentre entravano nel retro della cucina.
“No, Rose è andata col resto della truppa,” rispose Harry, divertito dalla vaghezza della domanda. “Ginny aveva i posti in tribuna d’onore per la finale, ti ricordi? Questo finesettimana spetta a lei, vederli.”
Con Ginny la separazione non era stata traumatica. Quando lei aveva accettato l’incarico d’inviata speciale per la Gazzetta del Profeta, aveva colto anche la Pluffa al volo per traslocare vicino a La Tana.
L’affidamento l’aveva ottenuto Harry, di comune accordo. Ginny era spesso in trasferta con le squadre, talvolta seguiva Campionati stranieri e Coppe internazionali durante l’estate. Capitò una stagione in cui riuscì a vedere e parlare con i figli solo attraverso il fuoco di un caminetto.
Harry prese il pentolino e versò acqua bollente nella teiera, mentre Hermione osservava con attenzione le grandi spire di vapore che scivolavano verso il soffitto, insinuandosi nel pentolame magicamente sospeso. Dalla finestra entravano i raggi spenti del tramonto, che s’infrangevano sul rame e sul bronzo di tegami, padelle, teglie, pentole e grossi mestoli, creando dei riflessi intriganti. Una stanchezza primordiale sembrò aggredirla d’un tratto.
“Devo mandare a Ginny un gufo di ringraziamento,” disse, riscuotendosi dal torpore. “È stata l’unica che è riuscita a farla uscire dopo– quanto? Un mese di segregazione?”
“Se contiamo da quando ha ricevuto i risultati dei M.A.G.O., più o meno tre settimane di clausura autoindotta,” replicò Harry, porgendole la tazza di tè. “E per quanto riguarda Ginny, lo sai, farebbe qualsiasi cosa per i suoi nipoti.”
“Francamente non mi aspettavo la prendesse così male. Rosie, intendo.”
“Ne parliamo da anni. Non è facile per loro avere noi per genitori, Hermione. Prendi Al, per esempio, che vive nel terrore di farmi fare brutta figura e che tuttora non ha accettato di esser stato Smistato a Serpeverde. O Lily, che vive sulla scopa pur di entrare nella squadra dove giocava sua madre. Jamie… Beh, Jamie, lo sai. Lui è l’unico che coglie il lato pratico della faccenda.”
Hermione ridacchiò pensando a quante volte aveva fatto colpo sulle ragazze, presentandosi con finta nonchalance come il figlio del Prescelto e del Cacciatore delle Holyhead Harpies. Lui era l’unico della famiglia che si pavoneggiava per quella parentela così importante.
Con Hugo, Hermione non aveva avuto grossi problemi, se non nell’alimentazione. Era un continuo provare a metterlo a dieta, ma con la signora Weasley, che gli mandava tortini tutti i giorni – perché è un adolescente maschio e gli adolescenti maschi hanno bisogno di nutrirsi tanto! –, non era per nulla semplice. Ron, poi, dopo la morte del signor Weasley non osava andare contro la madre.
Rose anche era paffutella, ma mentre il fratello aveva semplicemente lo stomaco di un Dorsorugoso di Norvegia, lei mangiava per l’ansia da prestazione. Insegnanti, fantasmi, dipinti e studenti figli di amici l’avevano messa sotto pressione dal primo giorno di scuola, facendole notare in ogni occasione quant’era fortunata ad avere una madre intelligente come la sua, che magari poteva aiutarla nello svolgimento di qualche compito. E Rose, in sette anni, le aveva chiesto aiuto solo una volta, ma in Babbanologia – non ricordava il funzionamento di un tritarifiuti.
“Mia nipote,” continuò Harry, “voleva presentarsi con tutti Eccezionale all’Apprendistato di Medimagia.”
“Ma deve capire che un Oltre Ogni Previsione in Alchimia non è la fine del mondo. È stata eccezionale lo stesso, per me.”
“Hermione, tu, tutta questa saggezza, la hai appresa negli anni. A diciassette, se ti fosse successo lo stesso, avresti chiesto di ripetere l’anno pur di uscire dai M.A.G.O. col punteggio pieno.”
“Forse,” ammise ripensando alla crisi di nervi che ebbe in attesa dei risultati.
“Comunque raccontami del tuo caso, adesso. Albus, appena ha saputo, è partito per andare dal suo amico. Mi ha scritto poco fa. A quanto pare è stato lui a consigliare a Scorpius di farti assumere come Magiavvocato.”
A Hermione ritornò in mente il discorso di Astoria Malfoy e finalmente ne capì il senso.
“Temo abbia fatto anche la spia sulla tua litigata con Ron,” riprese Harry, un po’ in imbarazzo, mentre riponeva nel lavabo le tazzine. “Eravamo a colazione quando è arrivata la Strillettera, non ho fatto in tempo. Davvero, Hermione, mi dispiace da morire.”
Le narici di Hermione si dilatarono, mentre le guance s’imporporavano di rabbia e umiliazione.
“Non è colpa tua, Harry,” sibilò immaginando in quali brutali modi punire il consorte. “Ma non voglio parlare di Ronald in questo momento. Sono troppo infuriata. Hai letto i giornali, invece? Mi agitano. Non solo danno una repentina rimonta di Percy, che fino a ieri era sotto di ben sei punti e oggi di quattro. Le maggiori testate pullulano di articoli insulsi e diffamatori. Si sono divertiti a sviscerare l’esistenza di Malfoy. Quest’uomo ha condotto una vita lontano dai riflettori dopo la morte del padre. Si è aperto la sua attività di Pozioni e-”
“E si è fatto una clientela di dubbia fama,” concluse Harry.
Hermione gli lanciò un’occhiata di rimprovero. “E si è fatto una fama nel giro dei Pozionisti. Lo sapevi che ha ottenuto l’ambita onorificenza dell’Ordine di Veridian?”
“Hai letto l’editoriale di Seamus?”
“Da quando prendiamo per oro colato gli articoli della Gazzetta del Profeta, Harry? Lo sanno tutti che prende le mazzette dal Ministero.”
“Seamus ha ragione nel sostenere che bisogna far luce su certe morti. Draco Malfoy è stato un Mangiamorte. Ha fatto cose che né io né te sappiamo, ma di sicuro esser stato tutto quel tempo sotto il controllo di Voldemort avrà comportato incombenze e missioni del cazzo. Voldemort non ha mai risparmiato nessuno. Godeva nell’uccidere in primis l’innocenza dei suoi seguaci. E come ben sai, Malfoy non era sotto la Maledizione Imperius. Ha agito nel pieno delle sue capacità mentali e morali.”
“Ah, davvero? Secondo te non è stato soverchiato dalla paura, dalle pressioni familiari, dall’educazione ricevuta e dall’immaturità della sua età?”
“A quell’età noi eravamo maturi abbastanza da rischiare la nostra vita pur di sconfiggere Voldemort.”
“E dei nostri figli, Harry? Ricordi il discorso di prima? La paura del fallimento, del non seguire abbastanza le nostre orme? Non tutti maturano allo stesso modo. Noi forse abbiamo solo avuto la fortuna di nascere dalla parte dei buoni.”
“Potrei farti l’esempio di Sirius e Regulus, Hermione,” la sfidò, appoggiando le reni al lavandino.
“Harry, i due fratelli Black sono l’eccezione che conferma la regola,” chiosò lei con un certo compiacimento.
“Quindi, secondo te, siamo tutti predestinati dalla nascita.”
“Potrei mettermi a disquisire di filosofia, religione ed etica per tutta la sera, non tentarmi. Quello che voglio farti capire, è che Draco si è seriamente pentito di ciò che ha fatto. Condurre un’esistenza ai margini della società, continuamente vessato dall’opinione pubblica e vittima di atti vandalici ogni giorno, credo sia una punizione sufficiente. Sta espiando gran parte delle colpe del padre. Il peso del suo cognome è stato infangato per sempre. Harry, sei un mago troppo straordinario per non capire. Ricordati che devi molto anche a Narcissa Malfoy.”
“Non è me che devi convincere, Hermione,” sospirò Harry scivolando di nuovo sulla sedia, sopraffatto dalla stanchezza, “ma il Wizengamot.”
“Hai detto bene: devo convincere il Wizengamot. Ed è per questo che volevo chiederti,” Hermione inspirò una grande boccata d’aria, cercando di trovare coraggio, “se potevo citarti come testimone della difesa.”
Per un momento, desiderò che Harry la abbracciasse e la riscaldasse contro il petto muscoloso. Voleva sentire le sue mani carezzarle le guance e la sua voce sussurrarle parole di appoggio. Il volto del suo migliore amico, però, passò rapidamente dalla sorpresa alla comprensione e infine all’irritazione.
“Tu non puoi avermi chiesto una cosa simile,” le disse seccamente.
“Pensavo avessi smesso di portare rancore,” riprese Hermione, timidamente, cercando ancora di convincerlo.
“Porto rancore a Ginny per essersi scopata Seamus Finningan quando eravamo in crisi. Porto rancore a Percy per aver provato a mettermi contro Kingsley. Per Draco Malfoy, io provo solo indifferenza. Per anni ho desiderato spezzargli l’osso del collo, Hermione. Dovresti andar fiera dei miei progressi. Dal disinteresse al volerlo aiutare, mi sembra un tantino troppo, adesso. Ma dimmi, Hermione, tu gli credi?”
La sua migliore amica tacque e lui decise di rincarare la dose: “In cosa credi, allora?”
“Sai, Harry, ormai nessuno sa più rispondere a una domanda del genere. Alle persone non piacciono né le parole grosse, né le risposte chiare, né le verità inconfutabili.”
 
[1] Vindictus Veridian era un Pozionista. È anche stato Preside della scuola di Hogwarts, nei primi anni del XVIII secolo.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO III (o di come sia consigliabile bruciare gli scheletri nell’armadio) ***


CAPITOLO III
(o di come sia consigliabile bruciare gli scheletri nell’armadio)

Mercoledì 12 luglio, Londra. Stamattina le porte dell’Aula Dieci del Ministero si apriranno, ma solo per la Corte Plenaria del Wizengamot, i Magiavvocati e l’unico imputato: Draco Malfoy. Per lui, una difesa d’eccezione, nome noto e rispettato dall’intera comunità: Hermione Granger.
In esclusiva per noi una breve dichiarazione del coniuge, Ronald Weasley, fratello dello stimato Ministro della Magia: “Appoggio la scelta di mia moglie. Sono note le sue battaglie per i diritti delle Creature Magiche. Sposa cause particolari, ‘perse in partenza’ le definisce giocosamente qualcuno. Trovo divertente che dopo anni sia ripassata dalla scrivania di un ufficio a quella di un tribunale. Ma, dopotutto, il lavoro è sempre lo stesso. Battersi per i diritti, intendo. Non vogliate leggere nelle mie parole della malignità. Non sto dando a Malfoy dell’animale. Mia moglie alla difesa, comunque, significa garantire un processo equo e rispettoso di ogni minimo aspetto della burocrazia. Un po’ ingessato, mi suggerisce il collega, ma io preferirei essere più elegante.”
[…] Un’edizione straordinaria della Gazzetta del Profeta sarà consegnata in tarda serata alle streghe e ai maghi abbonati per un riassunto della vicenda e interviste esclusive a esperti, Veggenti e reduci della Battaglia di Hogwarts. Per seguire in diretta gli sviluppi, basterà sintonizzarvi sulla frequenza radio della nostra testata: profezielive 777. […]

 

Cosciotti di pollo con cavoletti di Bruxelles e uno Zuccotto di Zucca dalla frolla un po’ bruciacchiata: la cena preferita di Ron, nonché l’unica che sua moglie sapesse dignitosamente cucinare, era pronta.
Hermione fece un passo indietro, incrociò le braccia dietro la schiena e sorrise. Poco dopo, il sorriso si trasformò in una risata aperta che pian piano raggiunse tonalità isteriche. Smise di ridere quando un singulto le smorzò il fiato. Si strofinò gli occhi col bordo pulito del grembiule e poi cercò di ricomporsi. Un’ora prima si era messa ai fornelli, perché l’idea di preparare da mangiare le era parsa naturale. Adesso si accorgeva dell’assurdità della situazione, giacché erano le due e trenta di notte.
Mise uguali porzioni nei due piatti disposti di fronte e andò a sedersi davanti a quello senza carne. Rimirò incantata quel servizio di porcellana. Lo aveva scelto assieme a Rose e lo utilizzava solamente per le grandi occasioni.
Con la forchetta schiacciò i cavoletti, creando una poltiglia poco invitante. Si versò un po’ d’acqua e bevve a grandi sorsi.
“Sai, Ron,” soppesò arricciando le labbra, “la prossima volta devo metterci meno sale. A te piacciono?”
Si alzò e andò a sedersi dalla parte opposta della tavola. Afferrò con le mani un cosciotto alla volta e ne dilaniò la carne; sempre senza utilizzare le posate, si mise con attenzione a spremere tutti i cavoletti di Bruxelles. Con le dita inzaccherate di olio e polpa prese un altro bicchiere, lo riempì di succo di zucca fino all’orlo, in modo che la bevanda fuoriuscisse bagnando la tovaglia di lino verde, che Hugo tanto adorava. Si dissetò senza prender fiato. Sbatté il calice ormai vuoto e trattenne a fatica un rigurgito.
“Erano troppo sciapi, questi cavoli, Hermione,” scimmiottò, scuotendo la testa.
Poi strusciò le mani sul tovagliolo e i pezzetti di cibo in eccesso caddero un po’ per terra. Abbrancò il tortino di zucca e se lo mangiò tutto, senza far caso alle briciole che le piovevano sui vestiti. Aveva una fame selvaggia e incontrollata, e quel misero Zuccotto non la appagò a sufficienza. Rimpianse i cavoletti che, a forza di cucinarne, le erano venuti a noia.
“Sai, Ron, mi spiace non poter digerire assieme a te,” disse, spazzolandosi via bruscoli di pastafrolla. Si alzò a malincuore e con un colpo di bacchetta fece sparire il cibo torturato, lasciando però il servizio sporco in tavola.
Prese la valigetta da lavoro appoggiata allo schienale di una sedia, ed esclamò a voce alta: “Devo tornare in ufficio a preparare l’udienza di domani. Non metterti subito a letto o ti sentirai male.”
Con uno schiocco delle dita le luci si spensero e lei uscì dalla sala da pranzo.
“Sono sempre la solita sbadata,” dichiarò un attimo dopo, tornando sui suoi passi per lanciare a terra il grembiule.
“Non aspettarmi sveglio. Ricordati la tisana diuretica e i fascicoli della separazione sul tavolino d’ingresso.”
In risposta giunse solo il ticchettare nervoso del vecchio pendolo.
 

Durante il tragitto fino al Ministero, a Hermione non sfiorò nemmeno per un secondo il cruccio di esser diventata pazza. Simulare quell’ultima cena con Ron era il suo modo per elaborare meglio la decisione presa. Si era Smaterializzata, era salita sul Nottetempo per tre fermate e si era lanciata giù per il gabinetto d’entrata del dicastero senza proferir parola. La sua unica preoccupazione era capire come stipulare l’accordo per il rilascio immediato di Draco Malfoy su cauzione.
Percy Weasley aveva da tempo quell’asso nella manica e aveva aspettato che la situazione fosse drammatica prima di tirarlo fuori. A pochi giorni dal richiamo alle urne, tutte le agenzie di stampa del Paese lo davano per sfavorito e Kingsley Shacklebolt, che aveva ingloriosamente provato a mandare in pensione, sarebbe stato eletto nuovo Ministro della Magia, privandolo di quella poltrona a cui lui era tanto attaccato. Non si era scomodato da lì neanche per i funerali del compianto Arthur Weasley. Mossa tremendamente sbagliata, quella, che aveva bruciato la poca empatia con gli elettori. Al tempo si era scusato adducendo come motivazione il fatto che, nonostante il terribile lutto, non poteva sottrarsi agli obblighi istituzionali, perché il bene della collettività veniva prima di ogni esigenza personale. Dopo quell’ulteriore sconveniente discorso, cambiò i responsabili della sua immagine e obbligò La Gazzetta del Profeta a pubblicare per un mese articoli e interviste sull’edizione del Torneo Tremaghi, che si sarebbe svolta due anni più tardi.
Nell’Atrium, il cancelletto d’oro dell’ascensore si aprì e una voce sonnecchiante e un po’ contrariata diede il benvenuto a Hermione, che si infilò nell’abitacolo tutta persa in un ripasso frenetico della giurisprudenza recente. All’ultimo momento si ricordò che quello era l’ascensore che la portava nel suo studio al Quarto Livello, e per la seconda volta dovette ritornare sui suoi passi. Aveva ottenuto in via del tutto speciale, e non senza qualche difficoltà, un misero bugigattolo d’appoggio al Secondo Livello, sede dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia.
Cambiò elevatore e questa volta fu accolta semplicemente da uno sfrontato sbadiglio. Il cancelletto del tredicesimo ascensore stava per chiudersi quando all’ultimo delle dita corte e tozze lo riaprirono.
“Un attimo, un attimo, per favore!” gridò senza fiato una strega, nascosta dietro un pilone pericolante di fogli.
Entrando, non poté non sorridere e spalancò, per quanto possibile, le braccia piene di fascicoli slegati. “Sono le quattro di notte, Granger.”
“Potrei farti la stessa osservazione,” fu il saluto che Hermione fece, raccogliendole una cartelletta scivolata nella foga.
“Ho della documentazione da rivedere,” spiegò la donna lanciando uno sguardo eloquente all’ammasso di carta. “Tu? Ultimi preparativi per l’udienza di stamattina?”
“Sì, misti all’insonnia.”
“Non sarai nervosa! Avanti, eri quasi brava quanto me durante l’Apprendistato. Mi hai dato del filo da torcere.”
“Se non ricordo male, Bones, ti ho superato di un punto nel giudizio finale.”
“Ma io ti ho battuto due volte durante le simulazioni.”
“Il mio collega di allora era terribile.”
Susan Bones improvvisò una fedele imitazione del loro compagno di corso, sciogliendo il nervosismo accumulato da Hermione in una risata di petto.
“Per Merlino, questo te lo concedo. Era tremendo,” terminò la Bones e cercò di farsi un po’ di aria soffiandosi sul labbro superiore. “Come sono andati i M.A.G.O. di Rose?”
“Bene,” rispose prontamente Hermione con orgoglio, “tutti Eccezionale e un Oltre Ogni Previsione in Alchimia.”
“Brillante come sempre. Spero che Amélie mi renda altrettanto fiera.”
“Ne sono certa. Loro li hanno alla fine del sesto anno, giusto?”
“Sì, a Beauxbaton funziona così. Avanti, Hermione,” aggiunse Susan Bones tornando seria, mentre uscivano dall’ascensore. “Eravamo compagne di banco a lezione e in biblioteca. Che cosa succede? Non ci credo che sia l’apprensione pre processo a tenerti sveglia, malgrado il tuo preoccupante livello di perfezionismo.”
Hermione tirò fuori dalla sua valigetta una copia immacolata della Gazzetta del Profeta e le brandì davanti agli occhi l’editoriale.
“Ho ricevuto l’anteprima del numero di oggi, leggi.”
“Accidenti,” commentò la Bones qualche minuto più tardi, “Weasley, ti sei fatto incastrare dalla stampa come un pivello.”
“No, Susan. Lui ha volutamente rilasciato queste parole. Il giornalista non ha rigirato nulla.”
“L’ultima volta mi avevi detto che le cose non andavano, ma non credevo fino a questo punto. Siete una coppia storica, voi due.”
“Forse è finito il nostro tempo,” glossò Hermione con un’alzata di spalle e cercando a fatica un tono spensierato. “Mi hanno assegnato alla stanza 210, è a sinistra o a destra?”
“Segui questo corridoio e poi giri alla seconda a sinistra. Che ne dici se, finito questo processo, tu ed io ci vediamo per un bel Whiskey Incendiario?”
“Mi sembra un piano perfetto. Buon lavoro, allora.”
“In bocca al drago, Granger!” le urlò dietro Susan, mentre imboccava il corridoio opposto.
 

Hermione alzò gli occhi da codici, trattati, manuali, regolamenti, breviari, commentari e saggi sulle teorie dell’interpretazione solo tre ore e mezzo più tardi, quando Shacklebolt irruppe nella sua stanza con una tazza fumante di tè nero.
“Da quant’è che stai lavorando, Hermione?”
Con aria quasi infastidita, lei abbandonò la piuma nel calamaio e tracannò l’infuso.
“Qualche soffiata dal Dipartimento?” domandò non appena si fu ripresa.
“Sono i cinque giorni bianchi: posso occuparmi solo di ordinaria amministrazione. A quanto pare, persino i miei fedeli sono stati allontanati da qualsiasi mansione anche solo indirettamente riconducibile a questo caso.”
“Harry mi ha detto che Percy stravede per Lisa Turpin. Potrebbe averlo dato a lei, l’incarico.”
Kingsley Shacklebolt rimase un po’ in silenzio a pensare, poi scrollò le spalle. “Non lo so. Non ha mai eccelso nei dibattimenti, la Turpin. È più un tipo da patteggiamento.”
“D’accordo, un Magiavvocato vale l’altro, per quel che mi riguarda. Mi preme di più conoscere il capo di accusa. King, quando ti eleggeranno–”
“Hermione!” la ammonì prontamente, stringendo forte l’amuleto che portava al collo.
Se ti eleggeranno,” si corresse lei, alzando gli occhi al cielo, “promettimi che la prima cosa che farai sarà revisionare dalle fondamenta il nostro sistema giuridico-processuale, perché così diamo solo terreno fertile alle ingiustizie.”
“Ti metterò a capo della Commissione.”
“No, no, ci sono maghi e streghe più illustri di me. Però sarebbe un onore contribuirvi in qualsiasi altro modo.”
Prima che Kingsley potesse rispondere, la porta dell’ufficio si spalancò e una strega dall’altezza esuberante entrò a passo di marcia. Anche se indossava un abito severo e il suo movimento era teso, la sua eleganza traspariva lo stesso.
Cos’è questa storia?”
Dietro di lei due ragazzi, altrettanto indignati, fecero il loro ingresso in un coro di proteste.
Nel corridoio si era radunato un capannello d’impiegati incuriositi da quel baccano mattutino. Bisbigliavano tra loro e si lanciavano occhiate significative. Sul volto di alcuni balenava l’ombra di una perversa soddisfazione, come se non aspettassero altro che una scenata nell’ufficio del Magiavvocato di Draco Malfoy.
“Albus!” fu la prima esclamazione di sorpresa che ebbe Hermione e fece segno a Kingsley di richiudere l’entrata. Scorpius Malfoy era la versione orientale di Draco a diciassette anni. I capelli biondissimi e impomatati, il fisico asciutto, le spalle strette. Solo la forma degli occhi era diversa. Nel complesso era un ragazzo affascinante e si chiese se Rose pensasse lo stesso.
Sia Harry che Ron avevano impedito ai figli di ospitarlo a casa loro, cosa che Hermione trovava sciocca e maleducata. Sapeva bene che quando Rose e Albus Severus partivano per misteriose escursioni in qualche foresta dell’Europa Settentrionale, in realtà andavano a casa dei Malfoy a trascorrere gli ultimi giorni di vacanze estive.
“Cos’è questa storia?” ripeté Astoria, guardando con aria accusatoria Hermione e rifiutando il suo invito ad accomodarsi.
“Sediamoci tutti e uno per volta cominciate a spiegare,” intervenne Kingsley, frapponendosi tra le due donne.
“Che cosa significa che in aula non sono ammessi neanche i parenti più stretti dell’imputato?” intervenne Albus, superando i toni rabbiosi dei Malfoy.
“Significa che sono dei miserabili pezzi di stronzo,” ringhiò con rabbia Scorpius, mentre stringeva la mano che l’amico gli aveva appoggiato sulla spalla. Quel particolare fu per Hermione come una doccia gelata. “Col cazzo che cinque grassoni,” continuò il ragazzo, “m’impediranno di vedere mio padre.”
Hermione si aspettò che la signora Malfoy intervenisse per rabbonire il figlio e condannare quel lessico colorito, ma lei continuava a guardarla con severità, ritenendola l’autrice di una simile irragionevole disposizione.
A porte chiuse significa a porte chiuse per tutti,” spiegò infine, stringendosi nelle spalle. Si sentì una sciocca a ripetere l’ovvio.
Scorpius sembrò sull’orlo di una crisi di nervi, si alzò e con stupore crescente di Kingsley si girò ad abbracciare Albus. La compostezza giapponese della madre non l’aveva certamente ereditata, osservò Hermione, che involontariamente si stranì per quella manifestazione d’affetto nei confronti del nipote.
“Li sventro tutti, Albee,” rantolava Scorpius, facendosi consolare. “Gli ficco la bacchetta su per il culo e gli stacco le palle a morsi.”
Albus scosse debolmente la testa in direzione di Hermione e lo portò fuori.
“Magiavvocato Granger, faccia in modo che alla fine di quest’udienza preliminare mio marito sia rilasciato su cauzione. Ogni cifra sarà pagata senza batter ciglio,” dichiarò Astoria Malfoy dirigendosi verso l’uscita, “altrimenti non lascerò tutto il divertimento a mio figlio.”
Quando la porta dello studiolo fu chiusa senza troppa eleganza, Kingsley Shacklebolt ebbe solo la forza di sussurrare un laconico: “Wow.”
 

Inquadrata dalla superficie sgombra e riflettente della scrivania davanti a sé, il viso le apparve più che mai in balia della corruzione del tempo. La pelle sotto il collo iniziava un po’ ad afflosciarsi e le palpebre si erano appesantite. Si passò una mano sulle gote cupree e credé per un istante di esser davanti a un’estranea.
“Ma è legale questo fatto che prima mi arrestano e poi mi indicano le accuse?”
Hermione s’immobilizzò sul posto; non aveva sentito la coppia di Auror buttar dentro l’Aula Dieci Draco Malfoy. In quel momento l’accento forte del sud, che apparteneva al suo cliente, le sembrò lievemente sardonico.
Draco indossava la tipica divisa di Azkaban: pantaloni e maglia a righe sulle tonalità del grigio, piuttosto sporca e stinta. La parte sopra era di qualche taglia più piccola, tanto che aderendo sull’ampio torace, s’intravedevano le fasciature. Gli occhi grigi come l’uniforme scrutavano Hermione da dietro la frangia incollata alla fronte.
“Sì, in questo caso sì,” gli rispose, mentre lui arrancava verso la sua postazione. “Sei stato imprigionato con l’accusa generica di criminale di guerra.”
“Venticinque anni fa lo sapevano che ero un Mangiamorte.” Questa volta non c’era nulla di sarcastico nella voce di Draco. Al contrario si era manifestato il nervosismo tipico del suo carattere impaziente e autoritario.
“Formalmente non eri presente a nessun attacco o rappresaglia o spedizione. Nessuno ti ha mai menzionato, perlomeno.” Hermione si morse la lingua per quell’avverbio sfuggito, che trasudava malafede, ma Draco sembrò non farci caso. “Potremmo definirti un Mangiamorte non attivo.”
“E quindi, cos’è cambiato?”
“Hanno delle prove che invece dimostrano la tua attività,” gli spiegò, ritornando a sistemare il materiale.
“Quali?”
Sospirò rumorosamente, stanca di ripetere le stesse cose. “Non lo so.”
“Ma non è il tuo lavoro saperlo? Non ti pago per questo?”
Hermione sbatté il codice che aveva in mano e lo fissò. Pur conciato com’era, con croste e lividi, non poté non riconoscergli il fascino di quella bocca come scolpita, che non aveva mai visto ridere, e che al più indulgeva in sorrisi cinici. Draco sostenne lo sguardo, irrigidendo il mento quadrato, ultimo baluardo della sua arroganza.
“No,” ribadì secca Hermione, “non mi paghi per infrangere il protocollo. È un segreto del Ministero. Se me l’avessero detto, mi sarei già data da fare per organizzare la difesa – cosa che loro, ovviamente, non vogliono. Pensavo di avertelo già spiegato esaustivamente le ultime quindici volte. Adesso entreranno–”
“I cinquanta matusalemme,” iniziò a elencare Draco per lei, “lo stoccafisso dell’accusa, e poi mi incatenano.”
“No, t’incatenano solo se pensano che tu sia pericoloso, e guardandoti…”
“Stai offendendo la mia virilità.”
“Non fare il prezioso. Intendevo dire–”
“Sì, che così mal ridotto al massimo ispiro un viaggio al San Mungo.”
“Smettila di interrompermi,” lo ammonì Hermione.
Il grande orologio disegnato sul pavimento al centro dell’Aula Dieci segnò le 8 e 59, e lei lanciò un’occhiata stranita verso la porta.
“Non mi dirai che senza catene, metto te in soggezione,” sospirò teatralmente Draco, male interpretando quella distrazione.
Hermione si girò di scatto e gli mise la punta della piuma sotto al mento. “Non osare.”
“A fare cosa?” domandò lui con un sorriso sornione, lasciandosi sprofondare sulla panca riservata ai Magiavvocati. “Sei una discreta Occlumante.”
“E tu un pessimo Legilimens.”
Quando la lancetta delle ore si spostò sonoramente sul grande numero 9, nel mezzo del quadrante si Materializzò un mago canuto, che si reggeva con fatica a un bastone più alto di lui.
“La Corte del Wizengamot!” annunciò con voce stridula e subito dopo comparvero un po’ alla volta tutti i membri dell’assemblea sugli spalti.
Draco scattò in piedi come se uno Schiopodo Sparacoda gli avesse morso il sedere e Hermione raddrizzò la schiena ancora di più, assumendo un’espressione grave.
Le streghe e i maghi più integerrimi d’Inghilterra, con rigidi cappelli a punta e avvolti in toghe viola, si accomodarono, ben compatti, disegnando un triangolo al cui vertice sedeva la Decana Augusta Paciock, che si guardava intorno per cercare di calamitare su di sé l’attenzione. La Vicepresidente della Corte, Artemisia Lufkin, omonima discendente del primo Ministro della Magia donna, raggiunse il cancelliere e batté tre volte a terra il bastone. Al centro della cavea comparve una sedia di ferro arrugginito, dai cui bracci pendevano catene pesanti e minacciose.
“Prego,” disse, invitando l’imputato a sedersi lì.
Hermione lo accompagnò e gli mise istintivamente una mano sulla spalla. A quel contatto, le spalle di Draco si rilassarono.
“Per favore, Magiavvocato,” prese parola Augusta Paciock, facendole segno di tornare alla sua postazione.
La porta principale dell’Aula Dieci si spalancò e una strega un po’ tarchiata corse verso la pedana a mezzaluna predisposta per l’accusa.
“Un attimo, un attimo, per favore!” proferì senza fiato, reggendosi forte alla balaustra del suo palchetto e facendo Levitare da una cartellina minuscola cinquanta rotoli di pergamena.
Hermione sembrava in preda a una visione e questo iniziò a far sudare Draco Malfoy su quello scomodo e freddo scranno delle torture, tanto che ebbe la suggestione che le manette attorno alle caviglie si fossero mosse, vogliose di mutilarlo.
“Imputato, se non sta fermo, la faccio legare,” dichiarò Augusta Paciock, chiaramente infastidita per il ritardo del Magiavvocato dell’accusa.
Draco riconobbe quella lunga treccia rossa e quel viso tempestato di efelidi. Cercò di comunicare con Hermione, ma lei era troppo impegnata a squadrare in cagnesco la rivale appena giunta.
“Magiavvocato Bones,” riprese la Decana finendo di leggere il documento che era volato fino a lei. “Al prossimo ritardo mi occuperò personalmente di sostituirla. Non m’importa se il Ministro della Magia le ha fatto fare tardi e le ha scritto la giustificazione come se stessimo a Hogwarts. Dieci Galeoni di multa e non provi a difendersi. Lei deve farsi trovare in aula prima dell’arrivo dell’assemblea. Le è chiaro?”
“Chiarissimo, Decana Paciock,” rispose compita Susan Bones, chinando umilmente il capo e allentando il nervosismo della Corte, sempre impreparata davanti all’intransigenza della sua collega più anziana.
“Ora potrebbe gentilmente esporre a quest’aula l’accusa precisa che il Ministero muove contro il signor Malfoy?” intervenne con affettazione un mago albino, seduto sui gradini più alti. Dal modo in cui tutti si protesero in avanti, per non perdersi nessuna parola del Magiavvocato Bones, si capiva che l’impazienza era forte.
Hermione cercò con insistenza un contatto visivo con la sua amica, ma Susan guardava con fermezza davanti a sé, ignorandola volutamente. La gola di Draco si seccò ma lui non osò provare a schiarirsi le corde vocali.
“Il Ministero della Magia,” declamò Susan Bones alzando la voce più del necessario, “accusa il signor Malfoy Draco Lucius, nato nella contea di Wiltshire, il 5 giugno 1980, dell’omicidio di Amelia Bones.”
Hermione ringraziò che la panca fosse proprio dietro di lei, perché le ginocchia le cedettero e si ritrovò fortunosamente seduta. Draco Malfoy si fece definitivamente pallido come un sudario e smise anche di battere le ciglia.
Sugli spalti si scatenò il finimondo. I maghi e le streghe si alzarono e iniziarono a confabulare tra di loro. La stessa Augusta Paciock sembrò scordarsi dell’autocontrollo e cominciò una fitta conversazione con Artemisia Lufkin e il cancelliere, che le sedevano dietro.
Susan Bones rimase immobile, fissando un punto non precisato davanti a sé. Solo le nocche pallide avrebbero smascherato quell’apparente distacco emotivo, se non fossero state nascoste sotto il ripiano della balaustra. Hermione, passato lo stupore iniziale, prese a scartabellare un fascicolo di vecchie deposizioni.
Amelia Bones era Direttore dell'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia e giudice ad honorem del Wizengamot quando venne brutalmente uccisa nell’agosto del 1996, per mano di un Mangiamorte ignoto.
Hermione sottolineò con rabbia la dicitura ‘Mangiamorte ignoto’ finché la spessa pergamena non si forò.
Amelia Bones era stata un’istituzione. Una strega rispettata da tutti e simbolo della resistenza contro Voldemort. Ed era anche stata la donna che aveva cresciuto Susan, quando il Signore Oscuro aveva sterminato la loro famiglia. Hermione ricordava benissimo il giorno in cui Susan le aveva mandato un gufo per informarla dell’assassinio della zia e della decisione di tornare a Hogwarts, perché ormai era rimasta sola al mondo e al castello, almeno, sarebbe stata circondata dall’affetto dei suoi compagni di Casata.
Dunque era stato Draco Malfoy a strappare la vita a quella potentissima signora. Hermione aggrottò la fronte e ricontrollò la data: 1996. Draco aveva appena sedici anni. Per le Leggi Magiche era minorenne e avrebbe potuto utilizzare quella strategia per evitargli la condanna a morte, semmai avesse trovato il coraggio di difenderlo ancora. Eppure c’era qualcosa che non le tornava. Com’era possibile che un mago di soli sedici anni fosse riuscito a uccidere una fattucchiera celebre come Amelia Bones?
Forse colpendola alle spalle, pensò poi. Quel modo di agire vigliacco rispecchiava il carattere di Malfoy a quell’età. Tuttavia, Harry le aveva raccontato com’era morto Silente nel 1997 e come quella serpe era rimasta paralizzata dinanzi alla prospettiva di dover uccidere. E, inoltre, lo stesso Silente avrebbe certamente saputo, se fosse stato Draco quell’ignoto Mangiamorte, e non l’avrebbe riammesso a Hogwarts.
“Magiavvocato Granger, mi sta ascoltando?”
Hermione si rialzò di scatto e guardò imbarazzata la Corte.
“I lavori riprenderanno domani,” seguitò Augusta Paciock, “e poiché è stato scelto il rito abbreviato straordinario, previsto per i crimini di guerra, tutte le prove e le documentazioni saranno spedite entro mezzogiorno, in doppia copia, ai cinquanta membri del Wizengamot e al Magiavvocato della difesa. Domani sera, giovedì 13 luglio, toccherà all’accusa esporre la sua arringa, mentre venerdì 14, la parola spetterà alla difesa. Il verdetto sarà letto alla mezzanotte di sabato prossimo venturo. Per l’assoluzione serve la maggioranza rafforzata, mentre per la condanna basterà la maggioranza semplice. In quest’ultimo caso, l’esecuzione avverrà subito dopo. La Corte si aggiorna per esaminare le prove dell’accusa.”
Come da protocollo, Susan Bones, uscì per prima ed entrarono i due Auror responsabili per il trasporto del detenuto fino ad Azkaban.
“Decana Paciock!” invocò Hermione, mentre gli altri membri della Corte scomparivano per andare a rilasciare interviste esclusive. “Ai sensi degli articoli 457-bis e 457-ter del Protocollo Internazionale Delle Streghe e Dei Maghi Detenuti Durante Un Processo Straordinario, chiedo il permesso per un colloquio in privato con il mio cliente, prima che questi sia riportato in prigione.”
“Acconsentito. Il comma ottavo dell’articolo 457-ter le dà cinque minuti esatti. Li sfrutti bene,” e si Smaterializzò.
Gli Auror, palesemente delusi, tornarono indietro.
“Guardami, Malfoy!” gli comandò Hermione non appena furono soli nell’Aula Dieci, raggiungendolo a grandi falcate.
Ci volle un po’ prima che Draco emettesse un profondo sospiro e si passasse una mano tra i capelli, troppo lunghi. Eppure quella lunghezza serviva a smussare i lineamenti spigolosi e i segni di una vita intensa e piena di scelte sbagliate.
Senza pensarci due volte, Hermione gli prese il volto tra le mani e lo obbligò a guardarla.
“Sei stato tu a uccidere Amelia Bones, Malfoy?”
“Mi difenderai ancora?”
“Rispondimi. Hai ucciso davvero tu, Amelia Bones?”
“Sì. Sì, sì, sì,” confessò afflitto, girando il viso dall’altra parte, per non dover sostenere un attimo di più lo sguardo severo di Hermione. “È tutto vero.”
Lei si aspettava uno scatto d’ira, un diniego nervoso, un monologo infarcito bugie: non un’ammissione così cruda di responsabilità. Forse fu per quello che il suo sesto senso la mise in stato di allerta. Quella storia le sembrava sempre più assurda.
“Come avresti fatto?”
Draco parlava guardando a terra, come se si rivolgesse alle catene arrugginite ai piedi della sedia. Teneva le braccia conserte, a sostenersi il busto; il collo insaccato nel risvolto scucito della maglia.
“Sbagliai una Pozione.”
“Che cosa?”
“Hai sentito. Feci un casino con le dosi di Grinzafico preparando la Pozione Restringente. Le si rimpicciolirono solo gli organi vitali e…”
“La Pozione Restringente si studia al terzo anno, Malfoy,” lo bloccò freddamente. “Sei sempre stato il più bravo dei Serpeverde in quella materia. Il Grinzafico va semplicemente sbucciato e buttato nel calderone. In che modo avresti sbagliato la dose? Non mi prendere per il culo. Sarai pure tu il Pozionista tra noi due, ma io ricordo a memoria gli ingredienti di tantissimi filtri magici.”
“Ero nervoso, ne buttai due. Non mi ricordo.”
Gli Auror rientrarono proprio in quel momento e portarono via di peso di Malfoy. Esausta, Hermione raccolse tutto il materiale e si diresse verso l’ascensore. Aveva bisogno di silenzio e di studiare con attenzione tutta la documentazione che Susan Bones le avrebbe inviato. In particolare la cartella legale.
La sala circolare del Decimo Livello era deserta. Nessuno aveva il permesso di aspettare su quel piano, eppure una figura giunonica uscì dall’ombra e la raggiunse.
“Lei crede forse che mio marito non mi abbia detto tutto?” l’aggredì Astoria Malfoy, prima che lei potesse proferir parola. “Che io non sappia le atrocità che ha dovuto compiere? Pensa che avrei sposato un uomo senza prima conoscere tutto di lui? E mi creda, non è stato neanche così complicato. Lui doveva scaricarsi la coscienza e in me ha trovato l’unica persona che l’avrebbe ascoltato senza giudicare.”
Hermione non interruppe il racconto nervoso di quella donna, nella speranza di ottenere almeno da lei una versione coerente dell’omicidio Bones.
“Quando mio padre gli ha sottomministrato il Veritaserum, come da tradizione prematrimoniale delle famiglie Purosangue,” narrò Astoria, appoggiando la schiena contro la parete, “io sapevo già ogni cosa. E stia pur certa, signora Granger, che quella tale Bones non morì per mano di Draco.”
“Suo marito sostiene il contrario.”
“E lei sarebbe la brillante strega, che, a sentir suo nipote, ha salvato Harry Potter una miriade di volte? Mi lasci dire che sono profondamente delusa da lei, avvocato. Non si è accorta dal primo incontro che lei deve assolvere Draco da se stesso? Questo processo rappresenta per lui una scappatoia. Vuole essere condannato a morte per espiare le sue colpe. Risarcire il dolore che ha causato agli altri e ripulire l’onta che crede di aver gettato su suo figlio. Lei deve aiutarmi a curare questo suo senso di colpa che sfocia nelle manie di persecuzione. Tutti quegli atti vandalici fuori casa, quei simboli fallici che degli stupidi ragazzini omofobi si dilettano a inventare, per esempio, non sono diretti a Draco. Sono diretti a nostro figlio, a Scorpius. Scavi e faccia fino in fondo il suo lavoro, altrimenti non perda tempo a rassegnare le dimissioni. Si consideri licenziata.”
 

Il cielo era una voragine cobalto che spegneva le striature color zafferano. Hermione ormai rincasava a orari assurdi e non ricordava più il periodo in cui si addormentava senza preoccupazioni.
Plectrude l’aspettava appollaiata sul cornicione dell’ingresso. Vedendola, la civetta planò con delicatezza sulla sua spalla e si fece scivolare dal becco una lettera.
“E tu ora che ci fai qui?” chiese Hermione dandole due buffetti sul capo bruno. “Spero che uno dei miei figli si sia ricordato di avere una madre.”
Appena aprì la missiva, con disappunto scoprì che non era né di Rose né di Hugo. Riconobbe invece la scrittura minuta di Harry.
 
Oggi non è andata benissimo, ma conosciamo il modo di giocare a Scacchi Magici dei Weasley. Amano l’attacco doppio per metterti pressione e condizionarti. Malfoy, a sedici anni, al massimo preparava impacchi per curarsi l’acne. Non ce lo vedo a seviziare e uccidere Amelia Bones – pace all’anima sua, era una donna eccezionale, per quel poco che ho potuto conoscere!
Non lasciarti demoralizzare, Hermione. Sei il Magiavvocato migliore del mondo. Sono sicuro che farai tu scacco matto.
Sempre tuo,
HP
 
Hermione strappò perfettamente in due l’epistola e Plectrude iniziò a beccarle sulla spalla.
“Plectrude, smettila. Non ho bisogno di un discorso d’incitamento, ma della sua testimonianza. Ora, se fai la buona, ti do qualche biscottino.”
La civetta volò via, offesa. “Tale piumato, tale padrone,” sospirò mettendosi in tasca i fogli stracciati.
Quando spalancò la porta d’ingresso, restò completamente sconvolta.
“È uno scherzo, vero?”


 
 

Stavolta ho lasciato per ultimo le note. Grazie per essere passati di qui a leggere la storia. Un abbraccio particolare a Charlie, Mary, Zoe e Giorgia che commentano sempre. <3 Se non fosse per i vostri riscontri, starei ancora a mangiarmi le unghie.
Il prossimo aggiornamento è previsto, in linea di massima, per il 25 luglio, causa sessione estiva. Mi spiace se non ho rispettato l'appuntamento della settimana scorsa, ma il capitolo è stato più complesso del previsto. Spero che questa storia vi stia appassionando, sono piena di dubbi a livello di trama, stile e dialoghi... mi piacerebbe un po' sentire la vostra.
Ho creato una pagina personale su fb, ove parlare di fanfiction e libri, quindi vi aspetto con piacere anche lì:
Alexluna
Un saluto a: allebasi Aries Malfoy Granger cleomery danysherlocked herm85 aya_85 fenice cremesi misseyre PrimrosePotter99 defechira elizabethbennet96 Eruanne grieth kiakkia12 Luthien Felagund Martilampi MartyMars nefastia Nikki Black Pisocor Raphaen risa lilian badwolf roby90 Zindziswa

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