Ghost - A Demonic Story di Ilarya Kiki (/viewuser.php?uid=164698)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The end of a story. ***
Capitolo 2: *** Three Years Later. ***
Capitolo 3: *** Witches. ***
Capitolo 4: *** The mission that failed. ***
Capitolo 5: *** The ghost. ***
Capitolo 6: *** Say something, please. ***
Capitolo 7: *** The Demon strikes again. ***
Capitolo 8: *** Milan. ***
Capitolo 9: *** The Demon. ***
Capitolo 10: *** Finally, the altar. ***
Capitolo 11: *** Kishin! ***
Capitolo 12: *** The point of not return. ***
Capitolo 13: *** Sleepover. ***
Capitolo 14: *** Sun goes down. ***
Capitolo 15: *** What I am is wrong. ***
Capitolo 16: *** Like a dream that only belongs to us. ***
Capitolo 17: *** Is it love or is it just madness? ***
Capitolo 18: *** What if the real Demon is…? ***
Capitolo 19: *** Reunions. ***
Capitolo 20: *** Taking action. ***
Capitolo 21: *** Case closed… ***
Capitolo 22: *** …the End? ***
Capitolo 23: *** Wrath. ***
Capitolo 24: *** Viverna! ***
Capitolo 25: *** Losing hope. ***
Capitolo 26: *** Bleeding sun. ***
Capitolo 27: *** Into the abyss. ***
Capitolo 28: *** The last fight. ***
Capitolo 29: *** Epilogue. - A new beginning ***
Capitolo 1 *** The end of a story. ***
Ghost.
A Demonic Story
The
end of a story.
“Sinceramente, del
mondo non mi importa nulla.
Voglio combattere
per te, solo per te.”
La data prescelta per la cerimonia di
incoronazione di Death
the Kid al titolo di Sommo Shinigami e preside della DWMA si era
rivelata una
splendida giornata di sole. Milioni di studenti si erano raccolti da
tutto il
mondo a Death City per assistervi, ed era persino presente una piccola
delegazione di streghe per onorare il recentissimo accordo di pace che
era
stato pattuito con il loro popolo.
Era una giornata di festa, uno di quei giorni dolceamari in
cui ti rendi conto di aver raggiunto qualcosa di importante, ma nel
frattempo
una fase della vita si è appena chiusa. Così si
sentiva Maka, quel giorno,
mentre applaudiva in mezzo al pubblico.
Il Kishin era stato finalmente sconfitto! Finalmente era
finita la guerra contro le streghe, finalmente Medusa era morta.
Ma…
Shinigami era defunto, e Chrona aveva sacrificato la sua
vita per sigillare il Kishin Ashura sulla Luna. La Luna era nera, da
quel
giorno.
Inoltre, lei e Soul Eater erano stati separati: Soul ora
doveva lavorare insieme a Kid, e lei, Maka, non era ancora sicura di
quello che
avrebbe voluto fare, una volta ottenuto il diploma. Mancavano pochi
mesi alla
fine dell’anno scolastico, e il futuro la spaventava molto di
più dell’esame
finale. Certo, qualche progetto l’aveva fatto: doveva
assolutamente diventare
abbastanza forte da poter salvare Chrona, ma non sapeva ancora cosa
avrebbe
comportato, questo…
Soul e Kid avrebbero lavorato alla DWMA, Black*Star si
sarebbe allenato insieme a Tsubaki fino a diventare più
potente di un dio. E
lei? Cosa avrebbe fatto, Maka?
“Mi piacerebbe seguire mia madre nei suoi viaggi!”
aveva
detto, seduta assieme agli altri attorno al tavolo del loro bar
preferito. Non
ne era molto sicura, in realtà, ma l’idea di avere
un progetto, anche vago, la
confortava.
“Ma Maka, così non ti vedremo
più!” aveva commentato
Tsubaki, afflitta. Maka si sentì pungere di nostalgia, anche
se li aveva ancora
tutti lì accanto a lei, i suoi amici. In qualche modo,
sentiva che il futuro li
avrebbe divisi comunque. Ma no, quello lo sapeva da tempo, non era
così poco
saggia. Era quell’altra cosa…
“Magari imparerò un modo per poter tirare
giù Chrona dalla
Luna! Voi mi aiuterete, vero, ragazzi!?”
“Ma certo! – aveva esclamato Black*Star, euforico
– Così
potrò sconfiggere definitivamente il Kishin! Sarò
diventato talmente forte che
mi basterà solo un pugno per mandarlo in mille
pezzi!”
Risero tutti insieme, nessuno aveva dubbi che quel ninja
casinista ce l’avrebbe fatta sul serio.
Kid era seduto lì con loro, ancora vestito elegante per la
cerimonia, e prese parola, innalzando il bicchiere di cartone pieno di
frappuccino:
“Purtroppo da oggi sarò terribilmente impegnato,
quindi
esigo da voi una promessa.”
Tutti ammutolirono, e stettero a sentirlo.
“Promettetemi che saremo sempre amici, qualsiasi cosa
accada, e che ci saremo sempre l’uno per l’altro,
sostenendoci sempre! E,
soprattutto, che continueremo a giocare a basket tutti quanti, fino a
che
saremo vecchi!”
“Liz, la scusa dello shopping non vale più, per
te!” scherzò
Soul, indicando la più grande delle sorelle Thompson, che
aveva la tendenza a
saltare i loro incontri al parchetto adducendo scuse sceme, e tutti
scoppiarono
a ridere di nuovo.
Anche Maka rise fino alle lacrime, ma non riuscì a scacciare
del tutto quel vago senso di inquietudine che la perseguitava.
Va tutto bene, pensava, andrà tutto bene.
“Tornerò
assolutamente a prenderti! Aspettami!”
“Io credo in te, Maka.”
La sera dopo, Maka stava appollaiata
su di una sedia accanto
al davanzale della finestra, con Blair sulle ginocchia.
Gettò un’occhiata agli
scatoloni che riempivano il soggiorno, pieni della roba di Soul, e
sospirò.
Tornò a fissare la Luna oltre la finestra, sopra i tetti,
nera.
Com’era buia e triste, la sera.
“Devi partire proprio domani?”
“Ma che palle, sì, te l’ho
già detto un centinaio di volte!
Dai, su, non fare quella faccia depressa. Kid mi ha chiesto di stare da
lui
solo per qualche settimana, dopotutto.”
“Hai ragione, scusami.”
“Non scusarti, non hai nulla da farti perdonare,
tranquilla.”
Maka osservò in silenzio la siluette di Soul allontanarsi e
sparire nella sua stanza, per poi ricomparire con le braccia piene di
dischi in
vinile, e infine depositarli con la massima cura in uno dei pochi
scatoloni
ancora vuoti. Roba jazz, Maka non aveva mai capito come facesse Soul ad
ascoltare quella musica noiosa.
Era vero, comunque: Soul sarebbe rimasto a casa di Kid solo
temporaneamente, perché dovevano allenarsi a entrare in
risonanza per poter
dare il massimo del loro potenziale in combattimento; erano partner,
ora,
dopotutto. Ma Soul sarebbe davvero tornato nel loro vecchio
appartamento, poi?
E Maka, sarebbe rimasta lì ad aspettarlo? Sarebbe partita
prima? E se Soul
avesse trovato un posto migliore, e non fossero tornati insieme mai
più…?
“Ehi, su, non piangere.”
Maka si appoggiò alla spalla di Soul, mentre lui la
abbracciava e Blair sgattaiolava via. Era calda e aveva un buon odore,
e anche
se la consapevolezza che presto se ne sarebbe andato via le
attanagliava ancora
lo stomaco, si sentì subito confortata.
“Soul, scusami, io…”
“Ahhh sei una piagnucolona, oggi… dove
è finita la mia
compagna fica? Non preoccuparti, ci vedremo a scuola tutti i giorni e
tornerò
non appena Kid la pianterà di ustionarsi le mani ogni volta
che mi brandisce… è
un dio, quanto vuoi che ci metta?”
Maka rise debolmente.
“E poi mi troverai qui alle cinque, ogni giorno. Pretendo il
mio tè pomeridiano, e se i biscotti li fate tu e Blair
è anche meglio.”
Soul le sorrise, e Maka ritrovò un po’ di quel suo
entusiasmo che sembrava esserle morto nel cuore da quando avevano
sconfitto il
Kishin.
“Sì, ci puoi contare!”
“Benissimo, allora!”
Soul tornò a mettere nelle scatole di cartone la sua roba, e
Maka riuscì ad udire distintamente un “adolescente
in crisi…” destinato al suo
indirizzo, prima di lanciargli dietro una ciabatta urlando:
“Ha parlato lui!”,
e poi scoppiare a ridere.
Sarebbe andato tutto bene, ne era convinta.
“Incontriamoci
ancora, eh. Maka.”
La scuola finì dopo pochi
mesi, e, come previsto, Maka si
diplomò col massimo dei voti, superando persino quel
secchione di Ox Ford, che
invero aveva iniziato a fare un po’ di cilecca da quando la
bella streghetta
Kim aveva finalmente accettato di uscire con lui.
Il futuro si stendeva brillante e luminoso davanti alla
giovane meister: ora lavorava a pieno diritto come soldato
d’elite della DWMA,
esattamente come sua madre.
Scelse di partire, di seguirla nelle sue missioni in capo al
mondo. Lei e i suoi amici organizzarono una festa meravigliosa, il
giorno prima
della sua partenza, e verso fine serata Soul le diede persino un bacio,
non
s’era capito bene se sulla guancia o sulle labbra, un
po’ a metà, insomma,
probabilmente perché aveva bevuto troppo champagne.
Il domani le sorrideva, come un sole.
E la luna, era sempre nera.
“Tornerò
assolutamente a prenderti, Chrona.”
Spazio Autrice
Buonasera cari lettori,
eccomi tornata con una nuova storia!
Prima di iniziare - siamo solo al prologo XD - un paio di informazioni
pratiche: questa storia è stata già scritta,
quindi le uscite dei capitoli saranno regolari, uno alla settimana
salvo imprevisti. In ogni caso, NON dovrete aspettare le ere geologiche
perché io mi muova a scrivere. È tutto pronto!
In secondo luogo, grazie per essere qui. Spero che l'inizio vi sia
piaciuto. Sarà un lungo viaggio!
Se avete letto Just
a Simple Story About a Crazy Little Girl oppure Unforgivable
Heart potrebbe interessarvi sapere che
sì, questo è il vero sequel di Just
a Simple...etc. Quello che avevo annunciato mesi fa dopo aver chiuso
Unforgivable Heart con l'amarezza di stare facendo un pessimo lavoro.
Bene dunque, a voi che sapete di cosa sto parlando, eccomi qui con il
mio "cambio di prospettiva"! La protagonista qui è Maka,
decisamente. Come saprete - se avete letto le mie storie obv - la mia
vecchia fic era terminata in un modo MOLTO simile all'effettivo finale
del manga - giuro che non ci potevo credere leggendolo; oh Atsushi, mi
rubi le idee!? XD - quindi ho deciso di far partire il mio sequel dal
finale del manga stesso, e non dalla mia storia. Quindi, possiamo dire
che è un seguito "spirituale", in un certo senso. E nulla,
tutto qui. A voi che siete rimasti a bocca asciutta con il mio primo
maldestro tentativo di seguito dovevo delle spiegazioni, spero che
possiate capire le mie scelte.
Ora non posso che darvi appuntamento a lunedì prossimo -
quando inizierà per davvero questa storia -
e poi un augurio: Buona lettura!
-ce ne sarà, da leggere qui...-
Kiki
|
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Capitolo 2 *** Three Years Later. ***
Three years later.
Maka buttò giù
velocemente l’espresso che le avevano appena
servito, facendo una smorfia per la temperatura lavica del liquido
scuro e
amaro. Era in ritardo.
Odiava fare colazione così di fretta, al bar, ma Blair aveva
di nuovo disattivato la sveglia dopo essere stata fuori tutta la notte,
e Death
the Kid esigeva di essere al lavoro a orari atavici, la mattina.
Maka pagò in fretta e si precipitò
fuori dal bar
quasi di
corsa, stringendo la sua tracolla a sé col braccio
perché non ciondolasse di qua
e di là in modo fastidioso. Non c’era nessuno per
le strade. Erano le sette di mattina, dopotutto, e nonostante la luce
precoce del Nevada quasi tutti i cittadini di Death City se ne stavano
a letto
a dormire avvolti nelle loro calde coperte, a quell’ora.
Maka sospirò nostalgica e sofferente al pensiero delle
sue calde coperte, e affrettò il passo. Raggiunse
velocemente la lunga
scalinata che portava alla DWMA e si apprestò alla scalata
dopo aver preso un
bel respiro: quella rampa era sempre stata una bella sfida di
resistenza. Era
stata fatta apposta per tenere in forma gli studenti e forgiare i loro
caratteri come l’acciaio temprato, ma mettevano una certa
ansia anche ai
professori più anziani.
Non che Maka fosse una vera professoressa, eh. Teneva solo
un corso di sostegno, per ora; in fondo aveva soltanto diciotto anni.
Le grandi porte della scuola, possenti fauci della maschera
del Dio della Morte in muratura, la accolsero con le loro ombre
bluastre. Maka
fece una piccola pausa per prendere fiato sul piazzale lì
davanti, e si voltò
verso l’orizzonte piatto del deserto che si vedeva da
lassù. Era l’alba. Una
leggera brezza le carezzò i capelli, e gli occhi le caddero
sull’ombra della
luna, che diventava sempre più evanescente man mano che il
sole s’infiammava.
La sua luna nera.
Maka la salutò, nel segreto della sua mente, e le
augurò
buonanotte.
Poi si voltò di corsa e si inoltrò nelle ombre
del portone
della DWMA.
Erano successe molte cose, da quando
aveva smesso di essere
una studentessa dentro quella scuola.
Ora, Maka lavorava come assistente personale di Death the
Kid, e occasionalmente come insegnante di supporto per gli studenti
più
imbranati. Aveva persino il suo piccolo corso di recupero per le
squadre che
non riuscivano a recuperare nemmeno un uovo di Kishin dopo le prime
dieci missioni,
un po’ com’era successo a Black*Star quando erano
ancora ragazzini. Il pensiero
di poter trovare potenziali Black*Star tra i suoi studenti la faceva
sempre
ridere – e preoccupare, soprattutto – un sacco,
poiché in tal caso le cose
sarebbero diventate piuttosto difficili da gestire, e si ricordava
benissimo di
quanto non avesse invidiato il professor Sid in
quell’occasione. In ogni
caso, le piaceva parecchio trasmettere la sua esperienza alle giovani
reclute, e
loro d’altro canto la rispettavano molto: lei era, a diciotto
anni, una delle
migliori meister che la DWMA avesse mai avuto tra le sue fila, e se non
proprio
la più forte, sicuramente la più brillante.
Il lavoro con Death the Kid, però, occupava la maggior parte
della sua giornata. Il motivo per cui l’aveva voluta a tutti
i costi accanto a
sé era piuttosto semplice: Kid si era rivelato una completa
chiavica
nell’utilizzare un’arma così
puntigliosamente asimmetrica come Soul Evans Eater.
Il pensiero faceva sempre sorridere Maka… Non che non ci
avessero provato a
lavorare insieme quei due, senza di lei, ma il problema era stato posto
tutto
da Kid che pretendeva di assumere guardie
“simmetriche” con quella falce alta
quasi come lui, concludendo il combattimento in un degenero totale.
Si era sfiorato il disastro parecchie volte, prima che Soul
si decidesse finalmente a dire al Sommo Shinigami di chiamare in causa
Maka.
E lei ne era stata decisamente felice, considerato il fatto
che lei e Soul si erano messi insieme subito dopo che Maka era tornata
dal
soggiorno con sua madre in Egitto.
I lunghi corridoi piastrellati di
marmo consunto risuonavano
dei passi della giovane meister, mentre al ritmo di trotto si avviava
verso il
corridoio che conduceva alla Stanza della Morte, dove Kid aveva
lasciato la
sede della presidenza, rispettoso della memoria di suo padre defunto.
Bussò alla fredda porta di ferro e aspettò
qualche minuto
prima che qualcuno si decidesse a venire ad aprire.
“Buongiorno dottor Stein.” salutò con
garbo, non appena il
viso sciupato del suo ex professore apparve oltre lo stipite.
“Buongiorno a te, Maka.”
Si avviarono lungo il corridoio di torii-ghigliottine,
quando il loro silenzio fu interrotto da un gridolino che giungeva
qualche
metro oltre le inquietanti colonne rosse che stavano attraversando.
Stein si
schiaffò una mano sulla fronte e si mise a correre come un
razzo, mentre Maka
si bloccò sul posto, stringendo tra le mani la sua tracolla
di pelle.
“Dottore! – lo rimproverò con voce acuta
– Non avrà mica
portato di nuovo FJ al lavoro! Guardi che io la babysitter per lei non
la
faccio più!”
“Ma Mary è in missione…”
rispose l’altro con una certa
disperazione, in un punto imprecisato fuori dal corridoio, mentre i
gridolini
infantili si trasformavano in risatine. Maka sospirò
esasperata e finalmente
uscì anche lei dalla bocca del corridoio. Si
trovò davanti la scena di sempre,
quella che la aspettava ogni mattina quando arrivava a scuola da quando
Kid
l’aveva assunta.
Il Sommo Shinigami, composto nel suo abito elegante nero, se
ne stava seduto alla scrivania in mogano che era stata trasportata per
lui al
centro del piedistallo della Stanza della Morte, circondato da
documenti, e
stava firmando delle carte. Soul Eater, in jeans e felpa, stava seduto
sui
gradini della pedana e giocava a poker insieme alla Sacra Spada
Excalibur, con
le cuffie dell’mp3 infilate nelle orecchie e il volume
sparato al massimo. La
Sacra Spada, come al solito, pareva non essersi accorta che Soul si era
otturato i canali uditivi, come faceva sempre quando giocavano a carte
insieme.
Franken Stein, dal canto suo, tentava di tirar giù un
marmocchio biondo dallo Specchio Magico, un bimbetto vispo che si era
rivelato
possedere le doti scalatorie di una scimmietta. Si trattava di Franken
(Stein)
Junior, suo figlio di tre anni.
“Dovrebbe assumere una badante.” Ribadì
Maka sbuffando all’indirizzo
del dottore, mentre lui riusciva finalmente a prendere in braccio FJ e
se lo
caricava sulle spalle, per fargli provare l’ebbrezza
dell’altitudine da una posizione
decisamente meno pericolosa per un infante.
“Buongiorno Maka.” La salutò Kid, senza
alzarsi in piedi.
Maka agitò la mano all’indirizzo di tutti i
presenti, e Soul
le porse un cenno senza nemmeno distogliere gli occhi dal mazzo di
carte che
aveva in mano. La meister cercò di ignorare il fastidio che
le dava
l’atteggiamento della sua arma, dato che non era
né il luogo né il momento per
mettersi a discutere sulle buone maniere da tenere a diciotto anni
suonati.
“Cosa
abbiamo oggi?”
Chiese la ragazza al suo capo, prendendo posizione su una sedia a un
lato
dell’ampio tavolo. Le fu porto un mazzo di scartoffie.
“Niente di che, a parte il tuo corso alle 16.00. Ci sono da
esaminare questi permessi di soggiorno, e avrei bisogno di una
mano.” La
informò Kid, col suo solito tono formale.
“Ok…usciamo, a pranzo?”
“Non so… poi chiedi agli altri. Vediamo se
riusciamo a
finire prima.”
Maka sbuffò e si mise a leggere le carte.
C’era da ringraziare il cielo che Excalibur fosse
concentrato a straparlare addosso a Soul, e non disturbasse
nessun’altro. Il
sottofondo costante della sua voce non era un problema: ormai tutti ci
avevano
fatto l’abitudine.
Nei tempi subito seguenti alla morte
del vecchio Sommo
Shinigami la DWMA era stata gestita in modo un po’ diverso
dalla solita routine:
essendo Kid molto giovane e inesperto, pur ricoprendo ufficialmente la
carica
di preside, le decisioni iniziarono a prenderle Excalibur e Franken
Stein
insieme al consiglio docenti; al nuovo Sommo Shinigami spettava solo
qualche
parola in capitolo e l’avallo definitivo.
La presenza di Excalibur inizialmente aveva terrorizzato
tutti quanti, ma purtroppo era insindacabile: le ultime
volontà di Shinigami
dovevano essere rispettate, ed egli aveva affidato suo figlio alla
tutela della
Spada Sacra, punto. Non si era rivelata nemmeno una gran tragedia alla
fine, dato
che, in mezzo alle ciance e al suo proverbiale modo di fare irritante,
Excalibur era riuscito a forgiare in Kid un uomo saggio, umile e
paziente (soprattutto
paziente). Ora il ruolo decisionale dei professori era decisamente
diminuito,
ma Excalibur sembrava non avere ancora la minima intenzione di
andarsene da
quella favolosa posizione che occupava alle vette della scuola, che in
fondo era
così piena di persone a cui raccontare che la sua
storia aveva avuto inizio
nel dodicesimo secolo.
Quello che aveva levato le tende era stato Black*Star, invece,
il quale aveva deciso da un paio d’anni di trasferirsi a
vivere in Giappone per
perfezionare il suo allenamento continuo (ma Maka continuava a pensare
che
fosse colpa della Sacra Spada Excalibur).
Quanto a Maka… beh, lei
inizialmente era andata con sua
madre in Egitto. Aveva retto tre mesi.
Inizialmente pensava che sarebbe stato fantastico lavorare
con la mamma, ma si era presto resa conto di come i loro due stili di
vita non
coincidevano assolutamente: Maka si stava condannando a svolgere
missioni di
secondo piano da un capo all’altro del pianeta insieme ad una
donna che, dopo
averla abbandonata a casa da sola per quasi un anno, pretendeva di
controllare
la sua vita come un carceriere. Era stato emozionante solo la prima
settimana.
Poi, via!
La sua indipendenza e i suoi amici le mancavano troppo.
Soprattutto Soul.
Mentre sfogliava i documenti, Maka si
mise a pensare alla
sua vita sentimentale.
Bah, meglio metterci una pietra sopra.
Una volta tornata a Death City si era messa insieme a Soul,
e in quel momento la sua vita le era sembrata completa. Perfetta.
Avrebbero
potuto ucciderla in quel momento, e lei sarebbe morta felice.
Poi, erano cominciate le incomprensioni, le ragazzine con
gli occhioni dolci attorno a Soul, i messaggi compromettenti, i litigi.
Erano
rimasti insieme per più di due anni, tra tira e molla, fughe
e ritorni, flirt
occasionali: Maka aveva passato un certo periodo di tempo ad uscire con
Black*Star, ad esempio - che era stata una sua delle sue fiamme ai
tempi
all’asilo -, e il risultato era stato un vero e proprio
disastro. Non solo lui
si era rivelato un rompiscatole insopportabile, ma Soul non
l’aveva presa per
niente bene e Maka si era ritrovata nel bel mezzo di un litigio tra due
dei
suoi amici più cari, i quali poi non si erano rivolti la
parola per settimane.
Che periodo orribile.
Poi ovviamente tutti avevano fatto pace, ma qualcosa tra lei
e Soul era rimasto spezzato. Due anni, qualcosa di più,
erano durati. Poi
basta, avevano rotto definitivamente.
Kid, dal canto suo, da un paio d’anni si era accorto del
sesso femminile – soprattutto perché lui non aveva
mai avuto problemi a
circondarsene di una turba…- e si era messo a fare il latin
lover tra le
studentesse; l’argomento delle sue
“avventure” era sempre uno dei più
divertenti in conversazione, soprattutto quando a raccontare era Patty.
“Maka, per favore,
concentrati un attimo su quello che stai
facendo. Faccio controllare i muri della Stanza della Morte
mensilmente, è
inutile che resti lì a fissarli in cerca di crepe.”
“Sì Kid, scusa, hai ragione.”
Maka sbuffando riprese a leggere quei documenti noiosi,
contando i minuti che mancavano all’ora di pranzo.
Fine giornata arrivò
più velocemente di quanto Maka potesse
aspettarsi, e la ragazza lasciò la DWMA quando il sole stava
già tramontando.
Si diresse verso casa, soddisfatta: era stata una giornata
noiosa, ma produttiva. Non tutti i giorni erano così
monotoni: spesso Kid la
mandava ancora fuori in missione, specialmente insieme ai suoi studenti
in
difficoltà, e un po’ d’azione per
fortuna non mancava mai.
Dai documenti che Maka aveva approvato quel giorno pareva
che un gruppo di streghe stesse per trasferirsi a scuola per
frequentare
qualche lezione: una cosa assolutamente impensabile qualche anno prima.
Maka
sorrise tra sé e sé, contenta per la piega che
avevano preso i tempi e
pregustandosi la cenetta a base di pesce che Blair aveva promesso di
preparare.
Soul non viveva più con loro due da un bel po’,
ovviamente…
la faccenda aveva iniziato a farsi parecchio imbarazzante durante i
loro
trascorsi.
Raggiunse velocemente il suo vecchio appartamento, e scoprì
che la sua amica gatta non aveva deluso le sue aspettative culinarie.
Dopo aver lavato i piatti, Maka prese
posto sulla sua sedia
vicino alla finestra. Aprì le imposte e si
appoggiò al davanzale, rimirando
fuori. Il cielo era sereno, com’era praticamente tutte le
notti, lì in mezzo al
deserto del Nevada, e le stelle brillavano come lucciole. La luna,
nera, quasi
si confondeva con il cielo notturno, e assomigliava vagamente ad una
macchia di
oscurità nel mezzo dell’incendio luminoso della
stellata.
Blair, nella sua forma felina, le si venne a sdraiare sulle
ginocchia, come faceva sempre.
“Quando pensi di andare a salvarla?” chiese la
gattina,
fissando la luna nera con i suoi enormi occhi tondi e gialli.
“Presto. – rispose Maka – Non appena
sarò sicura di poter
evitare una catastrofe. E poi sto aspettando che Black*Star mi dica che
è
pronto.”
“Lo dice ogni volta che chiama.” Replicò
Blair, inarcando la
schiena in uno stiracchiamento.
“Appunto. Questo è il problema.”
“Sbrigatevi, però, per favore. La luna, nera,
è strana, non
credo che mi ci abituerò mai. E poi Chrona mi
manca.”
“Già.” Disse Maka. “Manca
tanto anche a me.”
Rimase a fissare la luna, estendendo la sua percezione ultrasensoriale
sopra città, nel cielo, sempre più su. Come ogni
sera, per tre anni.
Non percepì nessun’anima, come al solito.
Poi si alzò, e si diresse in bagno per lavarsi i denti,
mentre Blair si preparava per uscire.
Zona Autrice
Eccoci qui con il primo vero
capitolo della storia, spero vi sia piaciuto!
Per questa storia ho deciso di intervenire sempre in coda, giusto per
dire due cosine sulle mie scelte nel corso della storia: ora parliamo
del nome di FJ, il figlio di Stein e Marie! Come probabilmente in molti
di voi sapranno, Atsushi Okubo è un grande appassionato del
cinema horror, e molti dei suoi personaggi si sono ispirati a film
famosi di questo genere. E questo che centra? Semplice, ho deciso di
fare come lui e seguire i suoi criteri, così per il nome del
figlio di Franken Stein mi sono ispirata al film Frankenstein Junior,
che è una parodia dell'originale del 1931 e racconta la
storia di uno dei discendenti del vero dottor Fankenstein ( o
FrankestIN, forse XD).
Detto questo posso solo salutarvi, a lunedì
prossimo!
Ps.
Questa è
più o meno Maka come io la immagino a 18 anni. Che dite,
carina no? :)
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Capitolo 3 *** Witches. ***
Witches.
Tutto era nero, come
un immenso oceano soffocante. L’aria mancava, si pressava
nella gola e restava
lì, rifiutandosi di entrare o uscire. L’anima del
Kishin era nera, rimanervi
intrappolati era spaventoso.
Tutto era
terribilmente spaventoso.
Ma Maka non aveva
paura, non era sola.
Nemmeno Chrona aveva
più paura, perché in realtà non era
mai stata sola.
Maka l’aveva vista
sorridere.
“Sei tornata per
me.” Aveva detto, commossa.
“Sì.”
Chrona ormai era
fusa in quel nero bestiale, primordiale. Aveva rifiutato di amalgamarsi
e
scomparire solo perché voleva rivedere lei, Maka. Era
rimasta viva solo per
lei.
“Non c’è modo di
uccidere il Kishin, solo ora che sono una cosa sola con lui
l’ho capito.”
Maka non voleva
capire.
“Stiamo cercando di
trovare un modo per farlo, vieni con noi, lo troveremo insieme, ti
prego…”
Chrona aveva sorriso
di nuovo, scuotendo la testa.
Maka non voleva
capire. Erano mesi che desiderava ritrovare Chrona, salvarla dalla sua
oscurità, dalla sua follia, dalla sua disperazione. Ora
l’aveva lì davanti,
così vicina. Eppure…
“Sigillerò il Kishin
Ashura con il mio sangue nero. Devi farlo sanguinare.”
“Ma Chrona, che ne
sarà di te?!”
E si era ritrovata
stretta fra le sue braccia, così sottili ma anche
così forti. Si era sentita
scoppiare il cuore e morire, contemporaneamente. Poi, aveva sentito la
sua
voce, che le aveva mormorato all’orecchio parole dolci e
determinate, come non
ne aveva sentite mai da lei.
“Tu mi hai dato così
tanto, e io non ti ho mai restituito nulla. E poi, devo redimermi da un
peccato
che faccio fatica a capire... Sinceramente, del mondo non mi importa
nulla.
Voglio combattere
per te, solo per te.”
Le avevano
consegnato i due artefatti demoniaci più preziosi del mago
Eibon, il Libro e il
Brew, perché potesse tenerli al sicuro con lei e potesse
attuare il suo piano
grazie al loro potere.
Soul aveva trovato
una via d’uscita, e trascinò via con sé
Maka, guidandola verso la luce
dell’esterno, fuori da quell’ammasso di orrore che
era l’anima del Kishin.
“Tornerò
assolutamente a prenderti! Aspettami!”
Aveva urlato,
vedendo Chrona diventare sempre più piccola, una piccola
macchiolina nera in un
mare di nero, sorridente.
“Io credo in te,
Maka.”
Maka si svegliò di
soprassalto, realizzando all’improvviso
di essere già in ritardo.
Si passò una mano sul volto per dimenticare le vaghe ombre
di sogno che ancora la tenevano legata al sonno, le quali erano
così invitanti
che non avrebbe esitato un millisecondo a crollare di nuovo sul cuscino
se non
si fosse data subito una riscossa.
L’argomento Chrona le dava sempre un po’ di ansia.
Fin
troppa. Nei giorni subito dopo la battaglia sulla Luna non aveva fatto
altro
che pensare a come tornare indietro a salvare la sua amica, e ci
sarebbe pure
andata, se Soul non l’avesse fermata. L’aveva fatta
ragionare, le aveva detto
che correva il rischio di liberare il Kishin una seconda volta.
Dovevano
aspettare, trovare una soluzione. Soul aveva ragione, ovviamente, e
Maka si era
rassegnata all’attesa. I mesi erano passati, lei era andata e
tornata dall’Egitto,
e ancora nessuno sembrava aver trovato alcun modo per liberare Chrona
dalla
Luna. Lei ci aveva pensato, certo, ma che può fare da sola
una ragazzina di
quindici anni? Aveva avuto delle idee, aveva insistito, aveva rotto le
scatole
a tutti, fino a quando alla fine Kid l’aveva presa da parte e
le aveva detto,
più o meno: “Maka, basta. Ma non lo vuoi capire
che Chrona è morta?”
“Sei un cretino, Kid! E queste sono palle! Ti sei solo
arreso!” aveva risposto lei, infuriata. Ne era convinta,
erano tutte bugie.
Black*Star l’aveva sostenuta con tutto il suo entusiasmo, e
le aveva promesso
che prestissimo sarebbe stato in grado di sconfiggere il Kishin da
solo, e
allora sarebbero andati a salvare Chrona insieme. Maka ci aveva
creduto,
fermamente. Anche adesso ci credeva.
Certo, erano passati tre anni…
Chissà quanti ne sarebbero passati, prima di farcela
veramente. Prima o poi l’avrebbe fatto. Sicuro.
Quel giorno sarebbe arrivata a scuola
la delegazione di
streghe in prova, i documenti delle quali Maka aveva analizzato e
approvato il
giorno precedente.
Si sentiva un po’ nervosa, in piedi accanto al portone della
DWMA, mentre le aspettava. Gli studenti ronzavano chiacchierando sul
grande
piazzale assolato, e passando talvolta la salutavano.
C’era Franken Stein, accanto a lei, che però non
spiccicava
parola; Kid non aveva potuto unirsi al comitato di benvenuto e li
aspettava nel
suo studio nella Stanza della Morte, insieme a Soul Eater.
“Cosa ne pensa di questa delegazione, Dottor Stein?”
“Ah Maka, te lo dirò quando conoscerò
le signorine che la
compongono. Perché, sei preoccupata?”
“No… direi di no.”
“Senti, stanno arrivando.”
Maka acuì le sue eccezionali doti di sensitiva, ed
effettivamente percepì un gruppo di anime indubitabilmente
appartenenti a
streghe che si accingevano a salire la scalinata. Una di loro,
però, era
strana, era quella che le aveva dato quella brutta sensazione di
inquietudine,
anche da lontano, prima di essere identificata… sembrava
quasi familiare.
“Stai tranquilla, Maka. Guarda che vengono in pace.”
“Certo, lo so.”
Dopo lunghi minuti, la comitiva di streghe finalmente entrò
nel loro campo visivo, e il duo di accoglienza si fece avanti, pronto
per
compiere con efficienza il suo dovere con la massima
cordialità.
Con grande sorpresa di Maka, il quartetto era composto di
tre donne e un uomo. Un uomo-strega!?
Il tizio in questione era un moro dalla pelle pallidissima,
più alto del Dottor Stein e magro come un palo della luce; i
capelli lunghi gli
si adagiavano sulle spalle in lucide spire nere, mentre camminava.
Due delle rimanenti streghe sembravano molto giovani, quasi
delle bambine, con bizzarri cappelli pressati sulle chiome scompigliate
e dalle
strane sfumature colorate.
La quarta strega, invece, aveva un’età
indefinibile, pur
essendo indubitabilmente nel pieno della giovinezza: indossava un
semplicissimo
abito nero che le lasciava scoperte le ginocchia e le spalle, sulle
quali era
tatuato uno strano simbolo a forma di vortice. I suoi capelli castano
chiaro
erano raccolti in cima alla testa con un ampio chignon, ma una lunga
treccia
sottile sfuggiva alla capigliatura e cadeva sul suo seno,
incorniciandole il
volto da una parte. E la sua anima, quella era terrificante. La strega
nera
sollevò per un secondo i suoi occhi scuri in quelli di Maka,
come se si fosse
accorta di essere osservata, e alla ragazza corse un brivido di gelo
lungo la
schiena.
Mentre si avvicinavano sul volto dell’uomo-strega si
aprì un
ampio sorriso, e allargò le braccia come se fosse stato lui
quello che stava
accogliendo degli ospiti.
“Che piacere essere qui!” Esordì, con
sincero apprezzamento.
“Benvenuti alla DWMA! - li salutò Maka,
piacevolmente
sorpresa dal grande entusiasmo – E’ un piacere per
noi accogliervi! Io sono
Maka Albarn, maestra di Falce Demoniaca e assistente personale del
Sommo
Shinigami. Questo qui con me è il Dottor Franken Stein,
consigliere del Sommo
Shinigami e professore rinomato in questa scuola.”
“Molto piacere!”
“Molto piacere…” balbettò fra
i denti il dottor Stein.
“Io sono Mario Viverna! Stregone e tutore delle qui presenti
future studentesse! Vi presento…”
Si scostò, indicando con un teatrale segno della mano
inguantata una delle due bambine, quella vestita di blu e viola, con un
cappellaccio fornito di ali membranose che quasi le nascondeva i lunghi
capelli
rossi e gli occhi spiritati.
“…questa è Carrie Bat. E
quest’altra invece è Amber Sushi,
una vera promessa della trasfigurazione.”
Si fece avanti l’altra bambina, una piccolina dai foltissimi
capelli ricci e azzurri come il mare, lunghi fino al sedere. Era
visibilmente
molto timida, e tormentava la manica del suo vestito bianco.
“Io invece sono Cariddi. Onorata di conoscervi.”
Era stata la quarta strega a parlare, tenendo gli occhi
fissi su Maka, quasi come se la volesse mangiare in un boccone.
Mario Viverna ridacchiò, compiaciuto: “Certo, e
poi ecco
Cariddi. Lei non è sotto la mia tutela, ovviamente,
è già piuttosto
grandicella.”
Maka era rimasta paralizzata, in silenzio, contravvenendo a
qualsivoglia regola di galateo. Non era solo la sua anima, a esserle
famigliare, ma anche il suo volto, il suo atteggiamento, i suoi
occhi…
“C’è qualche problema, Maka
Albarn?”
Cariddi la guardava negli occhi, sprezzante, nonostante il
sorriso delizioso che incurvava le sue labbra disegnate.
“Oh, perdonami. Completo. Onorata, Cariddi Gorgon.”
Maka rimase a bocca aperta, e la strega ridacchiò in modo
adorabile.
“So che alcune delle mie parenti vi hanno dato molti
problemi. Li hanno dati anche a noi, stanne certa. Tranquilla, non ti
mangio.”
“…quindi… - iniziò Maka,
sentendo il sangue che cominciava a
riaffluirle sulle guance – “…
un’altra Gorgon?”
“Eh, sì. Siamo una famiglia allargata.”
“Sei una sorella di Medusa
e Arachne?”
Il gruppo si stava dirigendo verso la Stanza della Morte,
generando un drappello di studenti curiosi che gli facevano ala nel
corridoio.
Mario Viverna ne sembrava molto compiaciuto, Franken Stein decisamente
di meno.
Maka si era messa a fare domande alla strega Cariddi: passato il panico
iniziale, era stata invasa da una curiosità morbosa sulla sua
persona.
“No. – Rispose la Gorgon, alla domanda della
meister – Mia
madre lo era. Si chiamava Circe Gorgon. Ne hai mai sentito
parlare?”
“Direi di no.”
“Ma pensa.”
“Ma quindi… la magia è
ereditaria?”
“Di solito no. Ma può capitare nelle famiglie
più antiche e
importanti, a volte.”
“Ah… ed esistono anche streghe maschi?
Cioè, Mario…”
“Ah ah ah, sì, come vedi a volte nascono anche
uomini con
poteri magici. Ma sono rari, rarissimi, direi. Mario forse è
l’ultimo ancora in
vita.”
“Interessante…”
“Interessante come tuo padre non ti abbia parlato di mia
madre, Maka Albarn. Sai, si è mangiato la sua
anima.”
Maka si voltò all’improvviso, costernata, e
notò che
Cariddi, contro ogni aspettativa, sorrideva tranquilla, come aveva
fatto da
quando si erano incontrate.
“Nessun problema, ovviamente. Erano altri tempi, e anche mia
madre vi aveva causato diversi lutti.”
Maka capì il motivo degli sguardi insistenti di Cariddi e
del
suo probabilissimo rancore. Eppure, eccola lì che sorrideva,
quasi sicuramente
sforzandosi molto più di Maka nel cercare di creare
un’atmosfera cordiale e
pacifica. Si diede della stupida. E che imbarazzo, poi, farsi congelare
le
gambe dal terrore in modo così umiliante dalla prima strega
che passa senza un
accidenti di motivo preciso… chissà
cos’aveva pensato di lei la Gorgon.
“Perdonami, Cariddi, non ne avevo proprio idea.”
“Non importa. Posso capire.”
Death the Kid e Soul Evans Eater
accolsero streghe e
stregone con molto calore, prodigandosi in numerose strette di mano.
Il Sommo Shinigami nutriva altissime aspettative da quel
progetto sperimentale, e l’entusiasmo brillava nelle sue
pupille dorate in modo
quasi infantile mentre si presentava a Mario Viverna. Era una vera
gioia per
gli occhi, vederlo così pieno di buone speranze, e Maka non
poté fare a meno di
pensare a quanto le ricordasse suo padre, il vecchio Sommo Shinigami,
con il
suo inguaribile ottimismo. I rapporti di scambio col mondo delle
Streghe erano
stati una delle maggiori iniziative di Kid e le cose andavano alla
grande,
nonostante le paure e le diffidenze iniziali: la nuova politica della
DWMA era
quella di dimenticare ogni rancore e pregiudizio, e il preside faceva
tutto
quello che era in suo potere per incoraggiare i suoi studenti e
sottoposti a
seguirla.
“Quindi lei non è venuto qui come studente,
suppongo.” Stava
chiedendo Kid, in quel momento, allo stregone.
“No, signore. Sono qui per tenere compagnia alle mie due
protette! Ovviamente sarò a vostra disposizione, se in
qualche modo posso
essere utile qui. Non nego che mi piacerebbe assistere a qualcuna delle
vostre
lezioni, comunque.”
“Ma certo.”
La seguente mezz’ora fu
occupata dal programma che avrebbero
affrontato le tre streghe all’interno della DWMA, il progetto
consisteva nel
loro inserimento a scuola, ma non solo come frequentatrici delle
lezioni: le
tre si sarebbero cercate un partner, avrebbero formato delle squadre e
avrebbero partecipato alle missioni extra-scolastiche come studentesse
normali.
Ovviamente era tutto sperimentale, e le tre ragazze si erano dimostrate
molto disponibili
a cambi di programma nel caso di ogni evenienza.
Maka sorrideva, mentre ascoltava il discorso, e nella sua
mente si chiedeva che diavolo di casino avrebbe potuto combinare una
Gorgon con
un’arma ben sincronizzata tra le mani. Era una vera fortuna
aver fatto pace con
le streghe.
“In fondo, prima un’arma doveva divorare
un’anima di strega
per poter raggiungere il massimo della sua potenza. La lezione che ne
abbiamo
tratto è che per scatenare il massimo potenziale dobbiamo
mettere insieme le
nostre forze: oggi, dopo aver abbandonato quel metodo barbaro,
cercheremo di
scoprire insieme quali faville potrà creare
l’alleanza tra umani e streghe con
un rapporto di amicizia. Sono sicurissimo che ci stupirete!”
Death the Kid finì il suo discorso e concluse in bellezza
con un occhiolino, probabilmente all’indirizzo di Cariddi,
che come le sue
parenti, oltre ad essere un po’ inquietante, era anche molto
carina.
“Maka, sarai tu a seguirle nei primi tempi, in fondo siamo
già a metà anno scolastico.”
“Ricevuto!”
Maka sorrise, ed invitò le streghe a fare un giro della
scuola con lei. Stavano per uscire dalla Stanza della Morte, quando
qualcuno
bussò con insistenza per entrare.
Si rivelò essere il professor Sid, e aveva anche
un’espressione parecchio preoccupata stampata sulla sua
faccia blu.
“Sommo Shinigami, devo parlarle urgentemente, in
privato.”
Kid fece un cenno alla sua assistente, e lei invitò le
studentesse sperimentali ed il loro tutore fuori dalla pesante porta di
ferro,
per essere condotti a visitare la DWMA.
Maka si sforzò di mantenere il sorriso sulle labbra, ma
aveva un pessimo presentimento.
Spazio Autrice
Ciao ragazzi, è
lunedì e questo significa nuovo aggiornamento!
Mi rendo conto che questo capitolo, come quello precedente, non
contiene un gran ché di azione. Lo so, è che ho
avuto bisogno di porre un po' di premesse. Non preoccupatevi, l'azione
arriverà molto presto! Robe strane: in questo capitolo Maka
si stupisce di trovarsi di fronte una Gorgon pur avendo letto dei
documenti riguardo al suo gruppo di streghe, il giorno prima...
giustificherei la cosa dicendo che non stava proprio prestando la
massima attenzione al suo lavoro, in quel momento - stava
più perdendo tempo a rimembrare la sua love
life XD
Ringrazio tutti coloro che mi stanno seguendo in silenzio, e ne
approfitto per invitarvi a scrivere qualche recensione così,
per dirmi quel che ne pensate! Magari ho cacciato dentro qualche
strafalcione di cui non mi sono accorta, nel caso correggerò!
A lunedì prossimo!
Kiki
|
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Capitolo 4 *** The mission that failed. ***
The mission that failed.
Il deserto era molto bello, ammirato
dal piazzale di uno dei
tanti giardini pensili della DWMA. La brezza a
quell’altitudine era tiepida,
sospirava oltre l’orizzonte infinito, piatto e dorato che
abbracciava la città,
creando echi misteriosi e lontani. Maka apprezzava il sole perenne di
quella
terra, accarezzava con le dita il cemento del davanzale scaldato dai
suoi forti
raggi.
Ci aveva portato anche Chrona, in quel posto, la prima volta
che era venuta alla DWMA.
In quel momento, però, accanto a lei stava la strega
Cariddi.
Mario Viverna aveva accompagnato le piccole Amber e Carrie
alla mensa internazionale, mentre la giovane meister era rimasta da
sola
insieme alla Gorgon; infine, aveva ceduto alla nostalgia e
l’aveva accompagnata
proprio su quel davanzale. Cariddi, con quella sua strana aura
familiare, le
faceva tornare in mente i giorni in cui combatteva contro Medusa, e le
era
ritornata un po’ di voglia di rivivere i momenti lontani
della sua adolescenza.
“Ci sono tante Gorgoni, in giro per il mondo?”
La strega si voltò verso Maka, silenziosa. Sì, le
ricordava
proprio Medusa.
“Insomma, mi hai detto che siete una famiglia
allargata.” insistette
la ragazza.
“Vive, dici?”
“Emh…”
“Solo io.”
Cavolo, com’era difficile fare conversazione con lei. Maka
si sentì sprofondare dall’imbarazzo e non
riuscì a pensare a nulla di
intelligente da dire. Tutta la famiglia di Cariddi era stata uccisa
dalla
scuola per cui lei lavorava da sempre, sistematicamente, ed ora eccola
lì, a
conversare tranquillamente con l’assassina di sua zia
Arachne, nonché figlia di
quello che si era mangiato l’anima di sua madre Circe.
Avrebbe benissimo
potuto, chi lo sa, tramare strane vendette e arrugginire
nell’odio e nel
rancore contro la scuola.
“Ma tu perché sei venuta qui, Cariddi?”
La strega si voltò di nuovo in direzione del deserto, e
sembrò soppesare attentamente le parole che le si stavano
formando sulla punta
della lingua. Poi sospirò.
“Amber e Carrie hanno scelto di unirsi a questo progetto
perché non si sentono pienamente accettate nel mondo delle
streghe, e sperano
di trovare qui una prospettiva di vita più adatta a loro.
Sono giovani, hanno
tutto il futuro davanti. Io, invece, ho già una certa
età, Maka Albarn. Non
sono una strega otto centenaria com’erano le altre
Gorgoni… ma ho fatto in
tempo a vedere cose di cui mi vergogno profondamente, compiute dalla
mia
famiglia. Diciamo che sono qui perché mi sento un peso sulla
coscienza.”
“Oh.”
In effetti, aveva ragione. Sia Arachne che Medusa avevano
commesso crimini orrendi nei confronti
dell’umanità tanto quanto nei confronti
del loro mondo. L’una aveva ucciso le sue stesse sorelle per
creare le armi
demoniache, l’altra aveva cercato di creare un Kishin, il
più grande nemico
della loro razza… a proposito di creature traviate da Medusa.
“Ehi Cariddi, hai conosciuto Chrona?”
“Mh?”
“Hai detto che tutte le Gorgoni sono morte, ma non
è vero!
Chrona è ancora sulla Luna!”
“Ma certo, certo che la conosco… diamine,
è stata lei ha
sigillare Ashura, come potrei non conoscerla?”
Maka sorrise, sentendosi illuminare all’improvviso di gioia.
“Ma è morta, no?”
Un soffio di vento gelido di tristezza si abbatté sulla
meister, spegnendo la candela che si era appena accesa dentro di lei.
“No, non è morta.”
“Davvero? Buon per lei, allora. Ti dirò, la vedevo
sempre ai
Sabba, ma non ho mai fatto troppo caso alla sua faccia. Medusa se ne
stava
sempre per gli affari suoi, ed io sinceramente la evitavo
più che potevo, con
tutto il suo corteo. Poi sono sparite, tutte e due. Quando si
è venuto a sapere
che Chrona aveva fatto a pezzi sua madre noi streghe abbiamo iniziato a
preoccuparci
seriamente per colpa sua, soprattutto perché temevamo che si
trasformasse sul
serio in un Demone. Ma, poi…”
Cariddi si voltò a guardare la pallida ombra grigiastra
della luna, bassa nel cielo come se stesse volando fra le escrescenze
rocciose
e aride del deserto.
“Chi l’avrebbe mai detto che quell’umana
insignificante ci
avrebbe salvato tutti? Avete davvero fatto un lavoro magnifico
lassù,
voialtri.”
“Chrona non era insignificante…”
Una voce interruppe all’improvviso i loro discorsi e le due
si voltarono all’unisono per vedere chi arrivava: era Soul
Evans Eater, si
stava avvicinando con una cartella in mano piena di fogli.
Maka non fece in tempo a fermare la strega, che impiegò un
paio di secondi per staccarsi dal davanzale del piazzale assolato e
salutare
prontamente Soul.
“Vi lascio. Mi piacerebbe diventare tua amica, Maka Albarn.
Anzi, professoressa Albarn.” e se ne
andò.
Soul rimase fissarla mentre si allontanava ancheggiando nel
suo abito nero, senza battere ciglio.
“Maledizione, se quella non è Medusa.”
borbottò fra i denti.
Soul era parecchio cresciuto durante
quegli anni: la testa
di Maka – che al contrario si era alzata di poco o niente
– ora gli arrivava a
malapena all’altezza della spalla, e per parlare con lui
doveva sempre farsi
venire il torcicollo. Era stato molto romantico, quando stavano ancora
insieme,
alzarsi in punta di piedi ogni volta che si baciavano. Ma era tutto
finito,
ormai, e ora le restava solo da slogarsi le vertebre del collo ogni
volta che
voleva fare comunicazione verbale.
In ogni caso, essendo partner per lavoro, avevano lavorato
per mantenere comunque un buon rapporto, ed ora erano buoni amici,
nonostante
tutto. Erano molto legati e lo sarebbero sempre stati: semplicemente,
l’amore
non era la modalità che andava più a genio alla
loro relazione, o almeno questa
era la conclusione a cui era arrivata Maka dopo notti insonni passate
con
Alanis Morissette sparata a massimo volume nelle orecchie.
“Non tornavi più in ufficio, Maka, sono dovuto
venirti a
cercare. Te la stavi spassando con quella specie di sirenetta
inquietante?”
“Ah ah ah dai, ti assicuro che non è
così male. Su, dimmi,
quale cataclisma biblico ti ha spinto ha scendere due rampe di scale
invece di
aspettarmi nella Stanza della Morte cinque minuti?”
“Nulla su cui si possa scherzare, purtroppo.”
L’espressione di Soul era molto seria, mentre porgeva a Maka
la cartella di file che aveva in mano. La ragazza la aprì e
una serie di foto
le scivolò tra le dita, causandole un subitaneo sussulto
d’orrore fin dal primo
colpo d’occhio.
Le foto raffiguravano quattro studenti della DWMA, tra
quelli più giovani, feriti piuttosto gravemente e legati a
forza a lettini
d’ospedale mentre si contorcevano in modo orribile. Maka
capì subito di cosa si
trattava, e restituì a Soul il suo sguardo preoccupato.
“Era dai tempi di Ashura che non vedevo un simile stato di
follia su uno studente addestrato. Cos’è
successo?”
“Non lo sappiamo. Erano in missione a Monaco di Baviera per
un caso di furto, una cosa facile facile. Oggi è arrivato il
rapporto
dall’ospedale, con le informazioni che vedi qui.”
I quattro studenti erano stati ritrovati in quelle
condizioni presso un piccolo insediamento industriale vicino
all’autostrada per
Monaco, con segni di un’evidentissima lotta violenta. Il
colpevole del furto
era sparito senza lasciare né una traccia né
un’identità, e si attendevano
rinforzi immediati da parte della scuola.
“E’ terribile.” Commentò Maka.
“Sì. Fai le valige, perché stasera ci
imbarchiamo per
Monaco. Ci saranno anche Kim Diehl e Kid.”
“Kid viene con noi!? - esclamò la ragazza
sgomenta. – E’ così
grave?”
“E’ proprio perché non lo sappiamo,
quanto è grave, che Kid
deve venire. Come hai detto anche tu, una follia del genere la
può causare solo
un demone. Oppure una strega ribelle.” Soul cacciò
un’occhiata nella direzione
in cui era sparita Cariddi, tanto per far capire quanta fiducia
nutrisse nel famigerato
nome Gorgon.
“Sbrigati, prendi la roba in ufficio e vai a prepararti. Ci
vediamo in aeroporto alle cinque.”
La squadra in viaggio era quella
delle emergenze. Erano
partiti prevedendo di rimanere attivi più di tre giorni, nel
caso le cose si fossero
davvero messe per il peggio.
Questo comportava che la valigia di Liz Thompson contenesse
quei comprensibili quattro kili in più di roba sufficienti a
far sborsare a Kid
la sovrattassa all’aeroporto in Germania, e che la strega Kim
Dihel si
trascinasse in giro carica di borsettine appese alle braccia come un
albero di
Natale fuori stagione. Naturalmente Kid non aveva mai smesso di
lavorare
insieme alle sue adoratissime pistole simmetriche, nemmeno quando
tentava di
andare d’accordo con le movenze dall’equilibrio
instabile e con il peso
irregolare della falce; Liz e Patty continuavano a seguirlo ovunque
andasse –
tranne che in ufficio, quello lo trovavano troppo noioso –
come fedeli compagne
e, soprattutto, carissime amiche. Dio sa se esisteva al mondo una donna
in
grado di sopportare Death the Kid, tutti i giorni, come erano capaci di
fare
loro due.
Kim era in comitiva poiché era richiesta l’onda
guaritrice
della sua anima di strega-procione e sarebbe rimasta
all’ospedale con gli
studenti feriti per aiutarli a riabilitarsi. A Maka non stava
particolarmente
simpatica, lei e il suo atteggiamento da gatta morta, ma doveva
ammettere che
doveva avere avuto un gran fegato ad infiltrarsi in incognito alla DWMA
in
tempi più che sospetti solo per trovare se stessa. Inoltre,
Kid le aveva detto
che Kim aveva più di cinquant’anni, e accidenti se
li portava bene.
Il gruppo raggiunse l’ospedale di Monaco di prima mattina,
quando il sole non era ancora sorto sulla città ricoperta di
neve. Era metà
Febbraio, e la temperatura in nord Europa continuava a rimanere intorno
allo
zero, non come nel deserto dove sembra che le stagioni si annullino in
un’unica
giornata di sole. La luce grigiastra e deprimente filtrava dalle
finestre
dell’ospedale, proiettando ombre regolari sul pavimento di
linoleum. Un
inquietante coro, formato da strilla umane, echeggiava fra le mura,
facendosi
sempre più forte man mano che Maka e i suoi compagni
avanzavano, dando a tutti
un terribile senso di disagio. La squadra dalla DWMA fu condotta da un
medico e
da alcuni agenti semplici della scuola, di stazione in Germania,
davanti alla
stanza dove erano in degenza i quattro studenti infortunati, e Kim fu
fatta
entrare accompagnata dal medico. Le grida si erano intensificate,
stridevano
insopportabili dentro i timpani e dentro l’anima dei meister
e delle armi,
turbandoli nel profondo: provenivano da dietro quella porta bianca.
Dopo
qualche minuto, cessarono, ed i ragazzi furono fatti entrare.
Maka pensò subito che si
stavano andando a cacciare in
qualcosa di molto più grande e pericoloso di tutte le
disgrazie che erano
accadute negli ultimi tre anni, lo capì
all’istante, non appena vide le facce
sconvolte di quei poveri studenti.
Erano molto giovani, intorno ai tredici anni, e non facevano
nemmeno parte della classe Crescent Moon, la sezione più
avanzata. La maggior
parte di loro aveva ampie bendature su tutto il corpo, ed un paio aveva
una
gamba o un braccio fratturato; Kim stava finendo di curare
l’ultimo ragazzino
con la sua anima, aveva le mani gentilmente posate sulla sua fronte e
gli
sorrideva, tranquillizzante.
Se Maka non avesse saputo che i suoi poveri studenti erano
appena stati curati avrebbe scommesso una mano sul fuoco che fossero
ancora nel
mezzo di una terribile crisi, dalle profonde occhiaie che cerchiavano i
loro
occhi e l’estremo pallore delle guance.
“Avete letto il rapporto, signore, non siamo riusciti a
identificare l’autore di questo disastro. Purtroppo i ragazzi
sono stati
attaccati mentre lo stavano braccando e quando li abbiamo ritrovati non
erano
in grado di comunicarcelo.”
Death the Kid annuì all’indirizzo
dell’agente tedesco, il
quale sembrava tremare di orrore solo a ricordare le vicende delle
ultime ore.
“E’ stato molto complicato anche trasportarli fino
a qui,
signore. Meno male che c’è la signorina
Kim… grazie per essere venuti. Siamo
nelle vostre mani.”
Uno dei meister stesi sul lettino, un ragazzo orientale con
un lungo taglio sulla guancia pallida, trovò le forze di
aggrapparsi al
giaccone di Maka, per attirare la sua attenzione. Lei si
voltò subito al suo
capezzale.
“Prof Albarn, Sommo Shinigami… la signorina Kim ci
ha
spiegato che siete venuti per aiutarci!”
“Non dovresti fare sforzi, adesso.” Lo
zittì Maka,
premurosa.
“No… state attenti! L’uomo che ha
compiuto il furto della
collana che stavamo cercando… non è solo un uovo
di Kishin! È il Kishin!
È un demone inarrestabile!”
“Grazie dell’avvertimento, ragazzo. –
rispose Death the Kid,
serio – Ora capiremo se quello che abbiamo di fronte
è un Demone o no. Ne
abbiamo già sconfitto uno, sarà uno scherzo
abbatterne un secondo. Quindi, abbi
fiducia! Chiederemo il tuo aiuto quando tu e i tuoi compagni starete
meglio!”
“Ecco, appunto!” a parlare era stata la strega Kim,
con le
mani piantate nei fianchi ed una faccia piuttosto arrabbiata:
“Non state a
disturbare questi ragazzi! Devono riprendersi.”
Se l’era presa nonostante l’intensa simpatia che
Kid aveva
infuso nella sua rassicurazione, coinvolgendo il ragazzino esattamente
come se
fosse stato un suo pari. Diamine, più cresceva e
più diventava la copia sputata
di suo padre.
“Sarà il caso che diamo un’occhiata al
luogo del delitto.”
Propose Soul Eater.
“Sì, andiamo.”
“Io resterò qui coi ragazzi –
continuò Kim, ancora un po’
corrucciata – Non appena staranno meglio cercherò
di ottenere tutte le
informazioni che hanno raccolto prima di finire preda della
follia.”
Decretato il piano d’azione, la squadra di meister e armi si
mise in marcia fuori dall’ospedale, preparata a trovarsi
davanti il peggio.
Il cielo era grigio. Il sole sembrava
quasi non trovare
l’energia di splendere oltre lo spesso strato di nubi, e
quindi abbandonava,
pigro, il paesaggio in uno stato di penombra simile al crepuscolo. La
luce
polverosa era intrisa di qualche sporadico fiocco di neve, sospirato da
un
lieve fiato di vento gelido. I motori delle automobili rombavano in
lontananza
come una sirena deprimente, sfrecciando sull’autostrada
sopraelevata che
incombeva a lato del centro industriale abbandonato.
Tutto in quel luogo sospirava mestizia, insignificanza: era
come se la tristezza di quel vecchio capannone abbandonato, circondato
da qualche
silos, vuoto, stesse abbattendo le loro anime.
Era una pessima aura, Maka la sentiva.
La neve aveva ricoperto tutte le tracce dello scontro, ma
non fu complicato notarle all’istante: il vecchio capannone
di mattoni aveva
uno dei muri esterni crollato per metà, colpito con una
forza sovrumana verso
l’interno. I due meister e le loro armi sapevano che nessuno
degli studenti che
avevano combattuto in quel luogo aveva una potenza tale da produrre un
impatto
simile. Il resto delle mura era ricoperto da quelli che sembravano graffi,
che continuavano in buona parte anche sul primo silos di
metallo. La
sottile impalcatura e la scaletta di acciaio attaccati alla struttura
erano
ancora al loro posto, ma distorte e involute su loro stesse come se
fossero
state accartocciate da mani gigantesche.
“Quello mi ricorda molto il tempio deforme dove era nascosto
Ashura.” Mormorò Maka, spaventata.
Proseguirono nelle ricerche, esaminando anche l’interno del
capanno e gli altri silos; le sorelle Thompson e Soul Eater restavano
trasformati nella loro forma d’armi, strettamente impugnati
dai loro maestri,
poiché erano ben consapevoli che potevano essere attaccati
da un momento
all’altro.
Non trovarono nulla, solo altri segni di lotta: Death the
Kid dedusse dalle tracce che doveva essersi trattato di un
combattimento fisico,
una vera e propria rissa contro quello che dalle tracce sembrava una
bestia
animalesca e rabbiosa.
Maka passò in rassegna ogni centimetro del luogo con la sua
vista spirituale, espandendo le sue percezioni in modo da cogliere ogni
eventuale minaccia nascosta. Nulla. Solo, quella vaga disperazione
nell’aria di
cui aveva fatto esperienza non appena avevano messo piede in mezzo a
quei
silos.
Decisero di averne avuto abbastanza, di andare via da quel
posto deprimente e di attendere che i quattro studenti si fossero
rimessi in
forze abbastanza da condividere le informazioni che avevano raccolto.
Stavano appunto per uscire, quando Maka e Kid sentirono
qualcosa.
Un lieve cambiamento, una leggera presenza.
Si voltarono entrambi, insieme, e accanto alla scalinata
deforme del silos più vicino videro un’alta figura
vestita di nero.
Li guardava, mesta. La disordinata chioma rosata si muoveva
nel vento libera e leggera come i fiocchi di neve.
Maka la riconobbe, ed il suo cuore perse un battito. Poi
chiamò il suo nome.
“Chrona!?”
Non fecero nemmeno in tempo a sbattere le ciglia, che la
figura era già svanita nel vento, come un fantasma.
Spazio Autrice
Ciao ragazzi!
È lunedì e succedono le cose! -cit.
Perché sì, finalmente le cose hanno
iniziato a succedere!
So di avervi fatto attendere, ma finalmente iniziano i casini e la
storia si complica.
Ora, come al solito, un paio di curiosità: Cariddi
è il nome di un mostro mitologico che divorava le navi nello
stretto di Messina (insieme a Scilla... che però non mi
piaceva come suonava XD): ho scelto questo per la Gorgone
perché sia Medusa che Arachne sono creature mostruose della
mitologia classica, e quindi volevo mantenere una certa coerenza. Ho
scelto proprio Cariddi perché il suo mito è nato
a causa dei forti vortici nel mare dello stretto che causavano
naufragi- infatti la strega li ha tatuati sulle spalle.
Seconda cosuccia: la scena finale di questo capitolo - l'apparizione
fantasmagorica di Chrona - è stata la prima immagine in
assoluto che mi è venuta in mente per questa storia, quindi,
tutto quanto è stato costruito attorno a questo momento. Yep.
Grazie a tutti i miei lettori e recensori che hanno la pazienza e la
voglia di leggere questa storia, e a lunedì prossimo!
Bye!
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Capitolo 5 *** The ghost. ***
The ghost.
I tuoi occhi neri,
enormi, tristi. Mi sono mancati.
Stai alta, immobile,
come una statua nera nel candore della neve. E mi guardi.
Sì, è me che stai
guardando, coi tuoi occhi mesti. Mi guardi, silenziosa.
Dopo tre anni, torni
dalla morte. La morte?
Non so cosa ti porti
qui, ma, non so perché, mi sollevi una pietra dal cuore,
pesante come una
stele.
Mi sei mancata,
Chrona.
Mi sei mancata
tanto.
Perdonami se non
sono tornata da te, spero che tu non sia arrabbiata.
Temevo di rigettare
il mondo nella follia, ma sono stata una sciocca, avrei dovuto cercarti
molto
prima. I tuoi occhi velati mi fanno sentire male. Perdonami, non ti
abbandonerei mai.
Vorrei leggere il
tuo sguardo, durato per meno di un respiro prima di dissolversi nel
vento: cosa
vuoi dirmi? Ti sono mancata anche io?
Mi guardi, mesta e
silenziosa.
E resti nella mia
anima, non vai più via.
“L’hai vista
anche tu, vero, Kid?”
“Sì, Maka. L’ho vista eccome.”
Maka e Death the Kid si trovavano
insieme alle armi al bar
dell’ospedale, davanti a un bicchiere di plastica pieno di
the bollente. Dopo
aver visto Chrona sul luogo del delitto, la squadra si era precipitata
a
controllare nuovamente il sito per cercarne le tracce, per capire da
dove fosse
saltata fuori: non avevano trovato niente, se non delle lievissime
impronte nel
punto in cui era apparsa.
Il problema era che c’erano solo dei leggeri solchi dove
stavano i suoi piedi, ma nessuna traccia a testimoniare il percorso che
aveva
fatto per arrivare lì o per andarsene. Ovviamente era
inutile cercare di
comparare le sue impronte con quelle lasciate dal fantomatico
colpevole, poiché
ormai le vecchie tracce erano state ricoperte di neve.
“Secondo me deve essere scesa dalla Luna.”
affermò Patty,
mentre addentava una ciambella zuccherata.
“E’ inutile che dici l’ovvio, sorellina
– ribatté Liz,
incrociando le gambe – L’abbiamo lasciata
lì, da dove vuoi che sia venuta?”
Kid fece una smorfia: “Se non avessimo visto le impronte,
sarei portato a pensare che Chrona sia ancora sulla Luna. E persino le
impronte
erano troppo poco profonde per essere state lasciate da una persona,
sembravano
impresse da qualcosa di etereo.”
“Pensi che sia stata un’allucinazione
collettiva?” chiese
Soul Eater.
“Non lo so, non ci capisco niente. Ma stiamo evadendo il
problema: che cosa ci stava facendo,
lì, Chrona?”
“Non so. – azzardò Liz –
Indagava anche lei?”
“Ritengo più probabile che sia coinvolta in
qualche modo in
questa storia.” dichiarò Kid, serissimo.
“Ma… era rinsavita prima di intrappolare Ashura,
no?” chiese
Liz con una certa ansia nella voce.
“Sì, lo era. Ma sono passati tre anni, e noi la
credevamo
morta. E invece, eccola lì. Cosa avrà fatto in
tutto questo tempo? E il Kishin?
Non doveva tenerlo in trappola? Ha proiettato
un’allucinazione sulla terra? Ha
combinato lei quel disastro? Ricordate, vero, com’era
diventata? Teneva testa a
Black*Star con la sola forza fisica. Se non avesse avuto una mente
fragile ci
avrebbe fatto a pezzi ancora prima che Ashura si fosse risvegliato e
l’avesse
inglobata nel suo corpo.”
“Preferisco non pensarci…”
mormorò Liz.
“Beh, dobbiamo! Ora è il nostro lavoro e dovere
morale!
Cavolo, voglio confrontarmi col dottor Stein…Stai bene,
Maka?”
Kid si era appena accorto che la giovane meister non dava
molti segni di star seguendo il discorso: se ne stava con lo sguardo
puntato
nel suo the, vacuo, e pareva piuttosto pallida. Il Sommo Shinigami
realizzò
che, in effetti, quelle dovevano essere notizie piuttosto dure per lei
che era
stata la migliore amica di Chrona, che aveva sofferto più di
tutti quando aveva
tradito la DWMA e che aveva lottato con le unghie e coi denti per
tirarla fuori
dalla sua oscurità, prima di perderla di nuovo non appena si
erano ritrovate.
Ma Maka si riscosse non appena fu presa in causa.
“Pensavo… tutto qui.”
“Cos’hai pensato, Maka?” chiese Patty,
finendo di divorare
la sua ciambella.
Maka sospirò, prima di rispondere: “Penso che
questi sono
discorsi prematuri. Fra qualche ora gli studenti ci dovrebbero dare
l’identità
del loro assalitore, quindi direi di attendere fino a quel
momento.”
Soul guardava la sua meister preoccupato, come se la vedesse
malata.
“Almeno, ora abbiamo la certezza che è
viva.” disse la
falce, cercando di tirarle un po’ su il morale.
“Già!”
Maka sorrise, e in quel momento scese un infermiere a
chiamarli: i ragazzi erano pronti a parlare con loro
dell’attacco che avevano
subito.
La squadra lasciò le bevande a metà e si
avviò subito alla stanza
dove erano in degenza.
Marc Schwartzmann, cinquantatre anni,
scapolo, impiegato di
banca.
Una degli studenti, una ragazzina coreana, mostrò le
fotografie che aveva salvato sul suo cellulare, tratte da fermi
immagine delle
telecamere di sicurezza della magione che era stata derubata.
“Ha rubato una collana di pietre preziose dalla casa della
baronessa Olga Shultz. Ci era sembrato molto strano, la sua fedina
penale era
pulitissima prima di questo furto. Pochi giorni prima del delitto aveva
iniziato a comportarsi in modo scostante e aggressivo, per questo gli
agenti
del posto hanno pensato che potesse essersi trasformato in un uovo di
Kishin,
per qualche motivo. Noi ne dubitavamo, ma… quando ci ha
attaccato, fuori città,
era forte come un vero demone. È stato terribile, non siamo
riusciti a fargli
nemmeno un graffio.”
Quei bravi ragazzi erano riusciti anche a trovare l’indirizzo
di casa dell’uomo, ed il luogo dove era stata nascosta la
refurtiva – il
complesso industriale abbandonato - , ma ovviamente non avevano ancora
potuto
dirlo a nessuno. L’indizio che li aveva condotti lontano dai
soccorsi, vicino
all’autostrada, si era rivelato una trappola congegnata
apposta per eliminarli:
non vi avevano trovato nessuna collana e soprattutto erano stati
attaccati di
sorpresa.
“Sicuramente si è accorto di noi, che lo stavamo
stanando.
Doveva aver paura che lo smascherassimo. E così, ci ha
spinto fino ad un luogo
isolato e ci ha messo fuori gioco.”
“Benissimo. – rispose Kid, riconsegnando alla
legittima
proprietaria il suo telefono di ultima generazione – Avete
fatto un ottimo
lavoro. Ora andremo a fare una visitina a casa sua.”
Maka, Soul, Liz, Patty, Death the Kid
ed un cospicuo numero
di agenti di stanza a Monaco si avviarono in spedizione, dopo appena
qualche
manciata di minuti, all’indirizzo di Marc Schwartzmann,
armati fino ai denti.
Era scesa la sera, ormai, e nonostante la stanchezza erano tutti
agguerriti e
decisi a scoprire qualcosa di più per catturare il mostro.
Si aspettavano di trovare la casa vuota, abbandonata di
fretta e furia magari, e speravano di trovare qualche altro indizio che
svelasse qualcosa in più sulla sua strana trasformazione in
Demone; di certo
rimasero a bocca aperta quando l’interessato rispose al
citofono, con la
massima tranquillità.
L’uomo che aveva massacrato quattro degli studenti di classe
combattiva della DWMA senza il minimo sforzo invitò gli
agenti a salire in
casa, come se niente fosse, e chiese pure il motivo di tanta agitazione.
“Marc Schwartzmann, lei è accusato di furto e di
aver quasi
ucciso quattro studenti che erano venuti ad arrestarla.”
Marc rispose spalancando gli occhi, allibito. Non ne sapeva nulla.
Kid diede disposizioni di perquisire la sua abitazione da
cima a fondo, e si dedicò a interrogare il colpevole insieme
ad un agente che
faceva da traduttore, poiché di colpevole si trattava, senza
ombra dubbio: lo
avevano indicato chiaramente gli stessi studenti!
Maka rimase ad ascoltare lì in piedi
l’interrogatorio, ma il
suo cervello lavorava su altri argomenti, e captò solo una
parte delle parole
che venivano pronunciate davanti a lei: Chrona non c’entrava
nulla, ecco a cosa
stava pensando.
Kid aveva fatto male a sospettare subito di lei, infatti né
i ragazzini né tantomeno Marc l’avevano mai vista,
e poi a lei non sarebbe mai
importato nulla di rubare una stupida collana di pietre preziose! Cosa
ci
faceva lì, allora, la sua amica? Era tornata veramente? Era
arrabbiata con lei
perché non era venuta a salvarla?
Presa da raptus momentaneo, Maka si lanciò in direzione
della finestra aperta più vicina al suo raggio
d’azione, e lanciò lo sguardo in
direzione della Luna: nuvole. Maledette nuvole, coprivano il cielo fin
da
quando erano scesi dall’aereo, e per di più la
sera prima aveva dimenticato di
salutare il satellite ricoperto di sangue nero per la fretta di
partire, e non
l’aveva controllato.
“Signorina Albarn – la chiamò un agente,
estraendo qualcosa
di molto luccicante da un cassetto di una credenza – guardi
un po’ cosa abbiamo
qui.”
Tra le mani dell’agente brillava un incredibile collare
d’oro
incastonato di diamanti, rubini e quarzi.
“Sembra che abbiamo trovato la refurtiva.”
Quello che il Sommo Shinigami e i
suoi agenti scoprirono
nella casa di Marc Schwartzmann non aiutò assolutamente a
risolvere il mistero
del Demone, anzi, scatenò nuovi inquietanti dubbi.
Il signor Schwartzmann non aveva nessuna memoria del furto,
né tantomeno dell’attacco agli studenti: aveva
affermato di avere un vuoto di
memoria riguardo ai tre giorni precedenti, e si dimostrò
estremamente sconvolto
non appena la collana della baronessa Shultz fu ritrovata nel cassetto
della
sua credenza insieme all’argenteria. Sul suo corpo, inoltre,
non c’era un
graffio.
Nelle ore seguenti l’uomo fu riconosciuto anche dagli
studenti ricoverati in ospedale, e nonostante si dichiarasse
estremamente
dispiaciuto e stranito fu messo in stato di arresto; Death the Kid
decise di
condurlo con sé in Nevada per tenerlo sott’occhio
– e magari fargli dare una
passata dal dottor Stein, che non faceva mai male.
La collana rubata fu restituita alla baronessa, e la squadra
risalì sull’aereo per il Nevada la sera dopo il
giorno dell’ispezione. Non
c’era più nulla da trovare: avevano un colpevole e
avevano la refurtiva.
C’era una sola domanda che ronzava nella mente di tutti: perché?
E, soprattutto: Chrona c’entrava qualcosa?
Non l’avevano più vista. Nessuno l’aveva
vista tranne Kid,
Liz, Patty, Maka e Soul, in quello strano momento, sotto la neve,
accanto al
silos.
Death the Kid progettava di far partire un’indagine
approfondita. Maka, pure, ma non per i suoi stessi motivi.
Il viaggio in Germania aveva stancato
la giovane Albarn
profondamente, la ragazza si sentiva debole fin nelle ossa. Quando
arrivarono a
Death City Soul le si avvicinò, prese la sua borsa senza
dire una parola e la
aggiunse al peso di quelle che portava lui, appoggiate sulle spalle.
Maka non
si oppose, ma nemmeno lo ringraziò.
“Ti accompagno a casa, così non devi portare
questo macigno
da sola. Ok?”
Stavano camminando in salita sulle strade ricoperte di
sampietrini del centro. Il cielo era coperto nelle nuvole anche nel
deserto,
quella notte, come se il clima americano avesse subito il contagio da
quello uggioso
dell’Europa.
“Sì, grazie, Soul.”
“Senti, Maka… posso tenerti un po’ di
compagnia, stasera?”
Maka si irrigidì all’istante.
“Avevo capito che frequentavi una ragazza
dell’ultimo anno.”
“… ma che centra, adesso? Voglio solo
parlarti.”
Maka sospirò, rilassando i muscoli; era troppo distrutta per
mettersi in disposizione d’animo di accettare un tentativo di
riconciliazione
di Soul, non ne aveva proprio voglia.
“Dimmi dai, ti ascolto.”
“Sono preoccupato per te.”
“Perché?”
“E’ per Chrona.”
La ragazza fermò il passo, e si voltò a guardare
il suo
partner dritto negli occhi.
“Quale sarebbe il problema?”
Soul sbuffò.
“Ecco, questo è il problema. Guarda come hai
reagito. Mi
sembri molto assente da quando l’abbiamo vista, e credo che
questa cosa ti stia
facendo molto più male del necessario.”
“Stai scherzando!? – Maka si ritrovò ad
alzare la voce,
senza nemmeno accorgersene – Lei è la mia migliore
amica, Soul! Le avevo
promesso che sarei venuta a salvarla, ma non l’ho fatto! Mi
sto sentendo un
verme! Eppure sono anche così schifosamente felice che sia
viva, accidenti…sono
una persona orribile!”
Soul rimase a fissare la ragazza che gesticolava, paziente,
tenendosi le due valige sulle spalle. Poi sorrise in quel suo modo un
po’
storto, un po’ ironico e un po’ bonario, che Maka
aveva sempre trovato così
rassicurante.
“Guardati. Sei sconvolta.”
Maka fece un cenno esasperato, e i due ripresero a
camminare. Era vero, si sentiva completamente frastornata, non sapeva
se
d’ansia o di gioia. Era una sensazione strana.
“Anche io sono felice che sia viva. –
continuò a dire Soul –
Ma qui arriva il problema. Tu sei consapevole, Maka, che potrebbe
essere
impazzita di nuovo, vero? Potrebbe esserci lei dietro questa storia del
Demone.”
“Non dire idiozie, per favore.”
“Maka.” il tono di Soul ora era serio. La ragazza
voltò
verso di lui, e l’espressione che aveva assunto il suo volto
non le piacque per
niente.
“Mi conosci, mi piace fare l’idiota. Ma sto
parlando seriamente.
Fidati, io so quanto tu sia affezionata a quella ragazza, ed
è per questo che
ho paura. Temo che possa farti soffrire di nuovo, come quando
è scappata dalla
scuola e ci ha tradito. Come quando ha assassinato la Falce della Morte
in
Russia. Quando ha distrutto un’intera città
ucraina. Senti… credo solo che
dovresti calmarti un po’. Tutto qui.”
Maka rimase in silenzio per qualche lungo secondo.
“Tu mi hai dato
così tanto, ed io non ti ho mai restituito nulla. E poi,
devo redimermi da un
peccato che faccio fatica a capire... Sinceramente, del mondo non mi
importa
nulla.
Voglio combattere
per te, solo per te.”
“E’ impossibile
che Chrona sia impazzita di nuovo.” statuì
Maka, guardando dritto davanti a sé.
“Posso capire che tu e Kid sospettiate di lei, è
naturale.
Io, non so perché, non ce la faccio. Forse non voglio. In
ogni caso, sono
assolutamente convinta che lei non abbia nulla a che fare con le
torture che
hanno subito quei poveri studenti.”
Soul la guardava, silenzioso, in attesa che finisse il suo
discorso.
“Inoltre, c’è un’altra cosa.
Tu non c’eri quella volta che
l’ho incontrata dentro alla chiesa di Santa Maria Novella, a
Firenze, quando ho
cercato di farla ragionare prima che cercasse di mangiarsi il Kishin
sulla
Luna. Era completamente fuori di testa. Ma mi aveva detto una cosa, e
cioè che
non intendeva più far del male a nessuno, anche se fosse
stata attaccata. Di
conseguenza, anche se fosse impazzita di nuovo come dici tu,
sicuramente non è
stata lei. Quindi per favore smettila.”
“Non darei molto peso a parole dette nel delirio.”
commentò
Soul.
“Smettila.”
“Maka, ti prego.”
“Soul, dai.”
Maka si fermò di nuovo, e si posizionò davanti al
ragazzo
albino, bloccandogli il cammino. La luce dei lampioni si rifletteva nei
suoi
grandi occhi verdi, vagamente a mandorla, creando strani riflessi
dorati.
“Sono lusingata, ma davvero, non preoccuparti. Sto
bene.”
La ragazza sorrise, e protese la mano per farsi dare la sua
borsa; ormai casa sua era dietro l’angolo.
“Se Chrona risulterà colpevole in qualche modo,
prenderemo i
giusti provvedimenti, no? Intanto, sto solo impazzendo dalla voglia di
incontrare di nuovo la mia migliore amica. Basta così.
Grazie per avermi
portato i bagagli.”
Detto questo Maka girò sui tacchi e sparì nella
via di casa
sua, lasciando Soul lì in piedi, perplesso.
Il ragazzo sospirò, e scrollò le spalle,
riprendendo a
camminare.
Ma sì, Maka era forte. Sembrava solo una completa
psicopatica, quando mai uno non dovrebbe preoccuparsi?
Spazio Autrice
Buon
Lunedì a tutti!
Finalmente è il momento per il quinto capitolo, spero vi sia
piaciuto!
Oggi sono un po' stanca - ho appena finito una mega sessione di esami -
quindi mi limiterò a dire due paroline sulle mie preferenze
di shipping, più in particolare il SoXMa. Come potete vedere
nella mia fic, almeno a questo punto della storia, i due signorini si
sono lasciati ormai da un po' di tempo ma la loro storia nei tempi che
furono è stata intensa e romantica. Non sto a dire le ship
che tendo a fare io, anche perché sarebbe un tantino brutto
da dire a questo punto della trama (oh, ma chi ha già letto
qualcosa di mio le
conosce piuttosto bene) ma diciamo che il SoXMa non
è tra quelle che apprezzo di più, pur
essendo la più esplicita di tutta la serie. E poi, non
prendiamoci in giro, quei due piacciono anche a me - sono tatosi *.*-,
quindi ho deciso di onorare la ship a modo mio, ponendola in un passato
poco lontano. Ahahah lo so, sono posizioni strane per una fan di Soul
Eater, ma che volete farci, sono trasgry XD.
Poi leggerete voi stessi come si evolverà la situazione!
Grazie a tutti i miei lettori e recensori, e a settimana prossima!
Bye!
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Capitolo 6 *** Say something, please. ***
Say something,
please.
Ricordo la prima volta
che ti ho vista sorridere. Che tenera, che eri, sembravi un pulcino che
ritrova
la strada per il nido. Mi scaldavi il cuore ogni volta che ti vedevo.
Ricordo la prima
volta che ho visto la tua anima, che l’ho toccata.
Era immensa.
Bellissima. Ti si rifletteva negli occhi quando sorridevi.
Tu…non mi odi, vero,
Chrona?
Sei, alta, nella
neve. Nera. Mi guardi, e non dici nulla.
Cosa vuoi dirmi?
Cosa vuoi dirmi?
Dì qualcosa, per
favore.
Per favore, Chrona,
non dirmi che sei di nuovo caduta nella follia.
Perché avresti
dovuto farlo? Perché?
È colpa mia?
È perché ti ho
abbandonata, come la peggiore delle stronze?
Come tua madre?
È per questo che hai
quasi ucciso quattro studenti?
Ti prego, dimmi che
non sei stata tu.
Dimmi qualcosa,
dimmi qualcosa!
La tua immagine
fissa, nella neve, i tuoi occhi tristi che mi fissano.
Mi dispiace, io ti
voglio bene.
Te lo giuro, ti
voglio un sacco di bene.
Ti vedo, davanti a
me, e vorrei correrti incontro. Da quanto mi guardi così?
Mi guardi così da
lassù, dalla Luna? Hai vegliato su di me per tre anni?
Come un angelo?
Oppure,
semplicemente, mi aspettavi. Ed io non sono mai arrivata.
Ti prego, dimmi
qualcosa, sto impazzendo.
Mi mandi fuori di
testa, se mi guardi così.
Ti scongiuro, dimmi
qualcosa.
Blair aveva preparato la colazione,
quella mattina, e Maka
fu svegliata da un delizioso profumino di caffè. Grazie a
Dio, finalmente era
sabato, anche se la fanciulla non percepiva per nulla la spensierata
gaiezza
delle mattine dei giorni di vacanza.
Blair se ne accorse subito, mentre le versava un po’ di
latte nella tazza, avvolta nella sua vestaglia viola che nonostante
fosse molto
coprente non riusciva a nascondere del tutto il suo decolté:
“Hai avuto gli incubi, Maka?”
Era molto premurosa, la gatta: erano ben quattro anni che
vivevano insieme, e ormai lei e Maka erano diventate l’una
per l’altra qualcosa
di molto simile a una sorella, oppure semplicemente si erano legate
come una
ragazza gattara e la sua micia, con l’unica differenza che
Blair
occasionalmente prendeva forma umana e andava a lavorare nei night
club.
Tendevano a non tacersi nulla, poiché ormai avevano capito
di aver trovato
nell’altra una confidente leale e sincera.
“Ho sognato Chrona. Tutta la notte.”
Maka lasciò affondare il volto fra le mani come se stesse
naufragandoci dentro, consapevole di avere una cera salutare come
quella di un
fantasma.
“E’ un’immagine fissa… sto
diventando matta.”
“Pensavo che fossi contenta di averla rivista.”
commentò
Blair, sorseggiando il suo latte tiepido.
“Ma sì, sono felicissima,
infatti…”
Felice? Veramente Maka era felice? Dio mio, dire che era
felice le sembrava riduttivo, si sentiva l’anima tremare in
stato di euforia
ogni volta che ci pensava. Però…
“Però… Blair, e se è
arrabbiata con me?”
“Arrabbiata?”
“Sì… le avevo promesso che sarei venuta
a salvarla. Ma non
ci sono andata. Magari mi odia, adesso. Sto morendo dalla voglia di
rivederla
di nuovo, ma con che faccia mi presento? Sono una persona
orribile…”
Blair si mise a ridacchiare al tono lamentoso ed assonnato
della sua coinquilina, e Maka tolse le mani da davanti agli occhi
cerchiati e
glieli puntò addosso, un po’ irritata dalla sua
reazione.
“Secondo me esageri, Maka. Guarda che Chrona sapeva
benissimo che non potevi salvarla senza liberare Ashura nel
frattempo… non è
mica scema! Chissà come ha fatto a scendere dalla Luna da
sola, piuttosto…
probabilmente anche lei non vede l’ora di vederti.”
“Dici?”
“Massì.”
Blair finì la sua tazzina di latte e si alzò
dalla sedia,
lasciando Maka seduta a perdersi nei suoi pensieri.
“Hai ragione, Blair. Sto esagerando.”
“Ahahah, Maka che si fa delle paranoie assolutamente inutili
su una persona. Da quant’è che non la vedevo?
Ummh…”
“Ehi, dove vuoi arrivare?”
“Niente, niente…”
Anche Maka finì il suo caffelatte e si alzò per
lavare la
tazza nel lavandino.
“Vado a fare shopping stamattina – disse Blair
– Vuoi
venire?”
“Sì, dai.”
Era un po’ di tempo che
Maka non andava a fare compere, e
quello era un ottimo momento per cercare un po’ di
distrazione. Blair aveva
ragione, si stava davvero facendo delle paranoie inutili: Chrona poteva
essere
instabile e deviata, ma certo scema non lo era.
Però… però…
Maka si stava spazzolando davanti allo specchio i lunghi
capelli biondo cenere. Li aveva lasciati crescere un po’, da
quando era una
ragazzina, ed ora le cadevano in liste sottili fino a ben oltre il
seno,
lievemente ritorti in boccoli blandi. Lei ci aveva provato a renderli
un po’
più mossi, ma i geni giapponesi di sua madre non
perdonavano: l’unico effetto
di una sua permanente era stato ottenere che i suoi codini cadessero
sulle
spalle ritorcendosi stancamente un paio di volte su se stessi, e solo
verso le
punte. Stupidi spaghetti da orientale. In ogni caso, aveva abbandonato
da tempo
la sua acconciatura da teenager, ed ora i suoi codini erano allacciati
molto
più sobriamente sulla nuca, sotto le orecchie, in modo tale
che almeno quel
poco di chioma che aveva se ne stesse in bella vista sul davanti. Poi,
Soul le
diceva che la sua nuca era molto gradevole alla vista, quindi le faceva
sempre
piacere tenerla scoperta.
Anche a Chrona piacevano i suoi codini, glielo aveva detto
la prima volta che si erano viste, in un contesto non proprio
amichevole. Beh,
certo che, se una persona ti fa dei complimenti quando sta per tentare
di
ucciderti, probabilmente son sinceri.
Maka si legò i capelli e si mise un po’ di
correttore sulle
occhiaie, tentando di rimediare allo scempio che era stato generato
dalla
terribile nottata.
Ma certo, Chrona non la odiava. Però…
Era come una pulce nell’orecchio, uno di quei pensieri che
nemmeno la logica più schiacciante può silenziare
del tutto. Ed era molto più
grave del semplice fatto che Chrona potesse essere arrabbiata con lei.
E se fosse stata davvero lei la causa della strage di
Monaco?
E se l’avesse fatto perché era di nuovo impazzita?
E se la
colpa fosse stata proprio di Maka?
No, doveva smettere di pensarci. Erano solo paranoie.
Recuperò il suo impermeabile beige e si apprestò
ad uscire
con Blair. Fuori diluviava.
La meta destinata per quella sera era
un pub di fresca
apertura, chiamato Red Cheek. Il vecchio gruppo di
amici di Maka usciva
ogni sabato sera, dato che sul lavoro non riuscivano a farsi diventar
matti a
vicenda abbastanza; però, dopotutto, per la ragazza erano
come una famiglia.
Insomma, suo padre era stato spedito a far da supervisore in
Oceania al posto di Mary Mjolnir – non che Maka gli avesse
mai permesso di
starle troppo addosso – e sua mamma era presente sottoforma
di una cartolina
mensile nella cassetta della posta, da quando si erano separate. Non
che le andasse
male, eh, infatti preferiva di gran lunga la compagnia dei suoi
chiassosi amici
a quella di quei due rompiscatole dei suoi genitori.
L’insegna di neon rossa intermittente del Red Cheek sembrava
suggerire un tipo di locale non proprio da serata raffinata.
“Ma porca miseria Kid! Avevi detto che è un posto
carino,
invece non mi stupirei di trovare Blair a lavorarci dentro!”
stava dicendo Liz,
mentre si stava avvicinando al ritrovo insieme a Death the Kid e Patty.
Maka era rimasta anche lei un po’ scandalizzata, ma le
passò
in fretta non appena Kid le fece un complimento per il suo vestito
nuovo.
“Potevi anche dircelo che era un locale con le donnine,
però.”
Kid aveva stampato in faccia un sorriso sornione: “Che vuoi
farci, non lo sapevo…”
Patty scoppiò a ridere come una pazza, facendo scuotere il
generoso davanzale stritolato e sollevato da un incredibile push-up che
emergeva dalla scollatura della t-shirt. Certo che anche lei era a
tema, quella
sera…
Poco dopo arrivò anche Soul, ed annunciò che
Black*Star e
Tsubaki li salutavano tutti dal Giappone: li aveva chiamati anche per
informarli della situazione corrente della DWMA.
“Senti Soul, parliamone domani mattina di criminali a piede
libero. – disse Kid, prendendo Patty sottobraccio –
Adesso divertiamoci un
po’!”
“Ok, sembra anche un bel posto…”
iniziò a commentare Soul,
finché da un angolo spuntò fuori una sculettante
Blair, diretta verso
l’ingresso; li notò, si sbracciò e si
mise a correre verso di loro.
“Visto, che ti avevo detto.” commentò
Liz, mentre gli altri
già ridacchiavano.
Entrarono tutti insieme e si trovarono un bel tavolino sotto
il palco. Nonostante le prime impressioni, quel posto non si
rivelò affatto
male: prima di mezzanotte una band suonava dal vivo del funky e i
cocktail
erano decisamente creativi.
“Come stai?”
chiese Soul.
“Bene, ovviamente.” rispose Maka.
Erano seduti al tavolo nella penombra del locale, e
l’attenzione di tutti si era spostata sulla prima esibizione
che si stava
tenendo sul palco, una canzone in playback da parte di una bella
signorina
vestita di paillettes.
Nessuno ora avrebbe fatto caso a quello che si dicevano.
“Sei sicura? Sei piuttosto pallida.”
“Sì, è solo che stanotte ho dormito
male, ed è già tardi.”
Maka aveva cercato di non pensare a Chrona, durante tutta la
giornata, ed era convinta di esserci più o meno riuscita; si
era tenuta
occupata tutto il tempo, ed ogni volta che un briciolo di quel pensiero
persistente le tornava in mente, lo annullava in un’azione
pratica.
Tutti i momenti in cui le tornavano in mente quel volto
bianco triste, quegli occhi neri, mesti, quella visione persistente che
l’aveva
tormentata tutta la notte, la ricacciava indietro a forza.
Però, cavolo, Soul coi suoi discorsi le stava facendo
riempire di crepe il muro di distrazioni che si era costruita nella
mente fino
a quel momento.
Maka afferrò con decisione il calice col suo cocktail e lo
buttò giù in un’unica sorsata.
“Sei proprio sicura di stare bene? Sembri agitata.”
“Non è niente. Questo è finito, vado a
prenderne un altro al
bancone.”
Soul la vide alzarsi dal tavolo e sparire nel mezzo della
folla di gente in piedi che circondava il palco, iniziando a chiedersi
se
doveva preoccuparsi oppure no.
La giovane meister si
affrettò a raggiungere il bancone, con
la testa che si stava riempiendo di pensieri spiacevoli, e nel suo
slancio
verso un'altra salvifica dose di alcool si andò a scontrare
contro qualcuno.
Qualcuno vestito di un provocante abito blu scuro, dai lunghi capelli
castani
sciolti ad onde sulla schiena, con un’unica treccia sottile
da un lato, ed un
tatuaggio a forma di vortice sulle spalle scoperte.
“Professoressa Albarn!”
“Cariddi!? Ma cosa ci fai qui?”
Maka restò qualche secondo a fissare il bellissimo volto
della strega che la fissava, un po’ sorpresa e un
po’ compiaciuta, con quei
capelli folti e castani da fare invidia che la facevano davvero
sembrare una
sirena selvaggia.
“Beh, io mi esibisco, ovviamente, e
tu?”
“Sto… sto uscendo con gli amici. Stavo per
prendere da
bere.”
“Uh, e c’è anche il Sommo
Shinigami?”
“Emh… sì, perché?”
“Beh sai, pare che abbia un’occasione in
più per fare buona
impressione. E poi sono qui sola con Viverna, è
terribilmente noioso. Almeno so
di potermi esibire per qualcuno di più
interessante.”
Cariddi sorrise ammiccante. Maka era un po’ frastornata in
quel momento e sinceramente non vedeva l’ora di mettere le
mani su un altro
Long Island, quindi non era proprio in vena di mettersi a chiacchierare
con la
studentessa sperimentale.
“Ci vediamo lunedì, ok Cariddi?”
“Oh no, ci vediamo fra un minuto là sopra.
– la strega
indicò il palco – Giusto?”
“Oh, sì certo, ok.”
“A dopo allora, carissima.”
La strega si dileguò in mezzo alla folla fra le note della
musica ad alto volume, cosicché Maka poté
finalmente ordinare il suo drink.
La testa, le stava scoppiando. Sapeva che ubriacarsi non era
assolutamente l’idea migliore che poteva venirle in mente,
anzi, forse era la
più stupida, ma quella era una situazione di emergenza e non
sapeva che altro
fare. Agiva d’inerzia. Era stanca, già vagamente
brilla, ed i sensi di colpa la
stavano invadendo tutti insieme, contemporaneamente, come se la breve
conversazione con Soul di poco prima le avesse fatto crollare addosso
una diga che
si era costruita dentro la testa, e che ora riversava il suo contenuto
di ansia
e paura come una doccia fredda, tutta insieme, fino a farla annegare.
No, Chrona non era impazzita di nuovo per colpa sua.
Impossibile.
Possibile, invece.
Anzi, forse era proprio così, solo che gli altri non ci
erano ancora arrivati.
Ma certo che era così.
Era colpa sua, di Maka, perché lei era una persona orribile,
e per colpa sua il mondo avrebbe subito un’altra catastrofe.
La ragazza ingollò un lungo sorso del liquido amaro, se lo
sentì
scendere freddo giù per la gola e poi risalire tutto in
testa. I suoi pensieri
si fecero confusi, ma la situazione non parve migliorare,
poiché ora le
sembrava di nuotare in un mare indefinito di malessere. E poi, quel
volto
bianco, quegli occhi mesti, silenziosi, che la guardavano…
No, no, doveva cacciarselo dalla testa, doveva concentrarsi
sulle fisionomie che le stavano attorno, fissarle, imprimersi nella
mente solo
quelle che esistevano anche nel mondo reale.
All’improvviso la poca luce che c’era si spense, e
si fece
tutto buio. La musica finì.
Ma certo, stava per cominciare un’altra esibizione.
Maka puntò tutta la sua attenzione al palco avvolto
dall’oscurità, appollaiandosi al bancone coi
gomiti e appoggiando il bicchiere
perché non corresse il rischio di caderle di mano.
La luce si riaccese e comparve Cariddi, bellissima e formosa
nel suo abito blu, con un microfono anni ’50 stretto tra le
mani. Aveva gli
occhi chiusi, ed il trucco brillantinato rifletteva la luce dei faretti
in
tante piccole scintille dorate.
Poi, senza base, cominciò a cantare.
Aveva una voce calda, ipnotica. Maka si sentì completamente
catturata, avvolta in una melodia lenta e sensuale, che le
carezzò le orecchie
giungendo fino all’anima. Era incredibilmente brava.
L’umore sembrò iniziare pian piano a risollevarsi,
cullato
da quella dolce musica.
A un certo punto, all’improvviso, la batteria
iniziò a
pulsare nel tempo, e la voce esplose in un una vocalità
intensa e ritmata,
talmente coinvolgente che Maka sentì il sangue ribollirle
nelle vene e le
sembrò di essere portata via da quel luogo, rapita, e di
entrare in un mondo
caldo e eccitante.
Cariddi era molto più bella di Medusa, in quel momento
somigliava a…
La ragazza buttò giù un'altra sorsata del suo
drink e si
guardò attorno, incontrando tanti volti in estasi che
assistevano allo
spettacolo, ragazzi, uomini adulti, donne…
La canzone continuava, e la ipnotizzava. Il locale
ondeggiava a ritmo.
Quel volto bianco, quegli occhi neri…
Le tornarono in mente, ma lei non li scacciò questa volta,
era come se danzassero anch’essi nella penombra dorata, e la
osservassero. La
osservavano sempre con tenera tristezza.
Le parve quasi di vederli, là, vicino alla porta per la
terrazzina sul tetto, nascosti nell’ombra, dietro alla
schiena di due grossi
ragazzoni barbuti. Sì, era il suo volto, quello nel buio, la
stava osservando
mesta, in silenzio, quasi languida fra le note incalzanti della voce di
Cariddi, fuggendo la luce calda dei riflettori.
Maka rimase a fissare quegli occhi neri, rapita, con il
bicchiere in mano.
Poi all’improvviso se ne rese conto.
Il bicchiere cadde a terra, e Maka si lanciò in corsa in
mezzo alla folla mentre quel volto bianco pareva fuggire via. Maka
corse,
spintonò, inciampò e si rialzò, era
tutto confuso, tutto veloce, troppo veloce,
la musica era troppo forte…
Si scagliò verso la porta della terrazza e la
spalancò con
una spallata, correndo fuori nell’aria fredda della notte.
Deserto. Non c’era un’anima.
Maka corse al davanzale di cemento e lo arpionò stringendolo
fino a farsi sbiancare le dita, puntando gli occhi per strada e poi nel
cielo.
“Chrona!!!” urlò, con
tutto il fiato che aveva in
gola.
Soul fece appena in tempo a raggiungerla prima che
collassasse per terra, distrutta dalla stanchezza e
dall’alcool, mentre
l’interno del locale esplodeva di applausi.
Dall’alto del cielo la Luna
li osservava sghignazzando,
bianca e luminosa come la neve.
Spazio Autrice
Buon lunedì a tutti
ragazzi!
Spero che il capitolo
via sia piaciuto! Se volete lasciarmi un pensiero lo leggerò
con sommo piacere :)
Passiamo alle solite
curiosità, e questa settimana parleremo della canzone che
Cariddi canta al Red Cheeks: per questa scena mi sono lasciata ispirare
da un paio di canzoni, che immaginavo essere cantate dalla strega, una
o l'altra, a seconda dei giorni: sono "Yellow
Flicker Beat"
di Lorde e "Addicted
to You" di
Avicii insieme ad Adele (se volete ascoltarle basta cliccare sui
titoli!). E niente, sono tutte e due parecchio sensuali e ipnotiche,
senza di queste non sarebbe nata la scena del pub. Voi che canzone
avete immaginato?
A lunedì
prossimo!
Bye!
|
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Capitolo 7 *** The Demon strikes again. ***
The Demon strikes
again.
Chrona, ti prego,
dimmi qualcosa…
Ti prego, ti prego…
Death
the Kid stava seduto alla
sua scrivania di mogano con la testa fra le mani,
un’espressione tetra oscurava
il suo bel volto.
Quando Soul Eater entrò nella
Stanza della Morte, il Sommo Shinigami gli fece subito cenno di
avvicinarsi, e
senza dire una parola lanciò in avanti sul tavolo i
documenti che stava
leggendo, per renderli visibili alla sua Falce della Morte.
Soul si affrettò a dare
un’occhiata, e subito un’imprecazione soffocata gli
sfuggì tra i denti
acuminati.
“Oh, no.”
“Sì. Okinawa. Tsubaki mi ha
appena fatto rapporto.”
Soul si mise a leggere, e più
proseguiva, più le sue mani chiuse a pugno si stringevano
dalla rabbia.
A Okinawa era stata compiuta una
strage in un tempio buddhista, ben dodici monaci erano stati
assassinati in
modo brutale. Dal tempio era sparita una piccola statua votiva di
porcellana e
rubini.
Il colpevole era stato molto
maldestro, lasciandosi cadere la tesserina dell’autobus dalle
tasche vicino ad
un aspersorio – forse, nella foga di fare a pezzi quei poveri
monaci con un
coltello da sushi – cosicché era stato uno scherzo
rintracciare lui e la
statuetta rubata.
Si chiamava Yamato Tadarashi, e
faceva il cuoco in un ristorante di periferia.
La refurtiva e il coltello
insanguinato erano stati ritrovati nel sifone della sua toilette.
Non aveva nessuna memoria
dell’accaduto.
“Non ci posso credere. - Mormorò
Soul Eater, sgomento. – E’ il nostro
Demone.”
“Già.” Kid si fece passare
simmetricamente le dita sulla fronte, come per scacciare un fastidioso
mal di
testa. Il suo tono era cupo.
“Solo che questa volta ci sono
stati dodici morti. Tsubaki scrive che hanno trovato il colpevole il
giorno
stesso della strage, e che quindi ha fatto rapporto solo a caso
chiuso.”
“Chiuso? Qui non è chiuso proprio
un bel niente!” ringhiò Soul sbattendo una mano
sul tavolo, con impotenza.
“Lo so. Almeno, ora abbiamo la
certezza assoluta che queste persone sono state manipolate da esterni,
dato che
la modalità d’azione è stata la stessa
identica ai due capi del mondo,
presumendo che il signor Tadarashi non fosse un conoscente del signor
Schwartzmann, ma sinceramente non credo proprio. Ho chiesto a
Black*Star e a
Tsubaki di raggiungerci qui a Death City, e di portarsi dietro il
colpevole,
così possiamo approfondire le indagini. Ci aspettano tempi
duri, temo.”
Kid sospirò, visibilmente
prostrato.
“Piuttosto. – chiese – Come sta
Maka?”
“Insomma.” rispose la falce dagli
occhi sanguigni, prendendo una sedia ed appollaiandosi accanto al suo
capo e
amico.
“Non stare sul vago.”
“Beh, continua a ripetere di aver
visto Chrona al Red Cheek, come al solito. Quello non cambia. Almeno
sta
iniziando a considerare l’idea che forse Chrona non sia scesa
dalla Luna solo
per compiere vendetta sull’umanità dopo che lei
l’ha abbandonata lassù. Siamo
rimasti a parlare per due ore stamattina, e penso che la crisi stia
iniziando a
passare.”
Il volto pallido di Kid tradiva
tutta la preoccupazione che lo aveva tormentato durante quei giorni:
due ombre
nere gli appesantivano gli occhi d’oro, e sospirò
brevemente prima di
rispondere a Soul.
“Sai cosa sto pensando, vero,
Soul?”
Anche la falce si oscurò.
“Sì, non ho mai visto Maka
ridotta in queste condizioni, nemmeno di fronte ad Ashura. È
crollata come un
castello di carte, sono molto preoccupato.”
“Già. – lo esortò Kid -
…e poi?”
“Poi…” Soul si zittì, e
contorse
le mani una nell’altra
“Potrebbe avere ragione.”
“Esatto. Potrebbe avere
maledettamente ragione.”
Soul guardò lo shinigami, serio.
“Che pensi di fare. Ora?”
Kid si prese qualche secondo,
tanto per sistemarsi un po’ la frangetta che gli si stava
stortando tutta sulla
fronte.
“Alzati, dai, vai a chiamare il
dottor Stein. Excalibur! Excalibur!? Maledetto tapiro, sei sempre tra
la balle
ma non ti fai trovare mai una volta, quando c’è
bisogno di te…”
Dimmi che tu non sei
il Demone, ti prego.
Ti prego, Chrona,
parlami…
In un altro luogo della
città, nel suo piccolo appartamento,
Blair stava ricevendo una telefonata.
In quel momento la sua coinquilina si stava facendo un bagno
caldo rilassante, quindi era toccato a lei rispondere.
“Pronto? Qui casa Maka e Blair!”
A chiamare era stato il professor Sid, il quale di solito
non telefonava mai: poteva darsi che stesse chiamando perché
Maka da qualche
giorno era a casa dal lavoro e quindi non potevano dirle le cose di
persona.
Infatti, la voce roca del professore non-morto stava parlando di eventi
piuttosto urgenti e spiacevoli.
“Sì, Maka mi aveva detto
cos’è successo a Monaco.
Capisco.
Okinawa?
Oh! Lische di tonno!
Sì.
Ok.
Ma come faccio a dirglielo? Poverina!
…
Miao.
Sì sì… miao.”
La gatta mise giù il ricevitore giallo di plastica, e
sospirò tra sé e sé. Che pessima
situazione, già Maka era a terra così…
Erano cinque giorni che farneticava come se avesse avuto un
esaurimento nervoso, e Maka non era mai stata quel tipo di persona che
si fa
abbattere così facilmente dalla paura. O dalla follia.
La micia prese una scatoletta di tonno senza lische dal
frigo e si adagiò sul divano in attesa che la sua
coinquilina uscisse dal
bagno, per darle la notizia.
Chissà se prima o poi avrebbero trovato il vero
colpevole…
Sono una persona
orribile.
Orribile…
Ho percepito
chiaramente il momento preciso in cui il mio cuore è andato
a pezzi.
Era già pieno di
lividi, di crepe, e io ho cercato in questi giorni di bendarlo e
tenerlo
insieme,
stringerlo tra le
mani per farlo guarire,
ma ora è
crollato in frantumi. Spezzato come
se fosse stato di vetro.
Dio mio… da quando
sono diventata di vetro?
Sono morte dodici
persone, assassinate e fatte a pezzi, e non ci sono dubbi che il
colpevole sia
il fantomatico Demone.
Sei stata tu?
Sei tornata a
uccidere?
È come se ogni colpo
che è stato sferrato a quei poveri monaci abbia trafitto
anche me, mi sia stato
piantato nel profondo, facendomi sanguinare. Fa male…
Fa troppo male, se
non mi rispondi, se non mi dici nulla. L’incertezza mi sta
torturando.
Mi sta distruggendo
la mente.
La sta uccidendo.
Non posso vivere col
dubbio che potrei averti fatta degenerare di nuovo, devo muovermi, devo
smetterla di
rimanere qui a parlare da sola.
Sento la follia, mi
sussurra all’orecchio…
Mi accusa, mi fa
star male.
Ma perché? Perché
sto così male?
Sei tu a
contagiarmi? Mi stai trascinando nel tuo abisso di disperazione, per
vendicarti
su di me?
Se è così, capisco,
me lo merito.
Tu credevi in me, e
io ti ho abbandonata.
Ma non posso restarmene
qui, ora devo rialzarmi.
Mi fa troppo male
questo dubbio, devo scoprire assolutamente che questo Demone non sei tu.
La
piccola classe era semi
deserta, quel pomeriggio, e i raggi del sole trapassavano le vetrate
delle
finestre orizzontalmente, colorando la lavagna di un caldo arancione.
Era una piccola classe, appunto,
perché era stata destinata al corso di recupero delle
studentesse streghe, che
erano solo in tre. I banchi erano stati spostati tutti contro i muri
per
lasciare libero il centro del pavimento, dato che per quel pomeriggio
erano
previste delle esercitazioni pratiche.
Cariddi se ne stava seduta sul
bordo della cattedra a farsi gli affari suoi, e sicuramente non si
sarebbe mai
aspettata l’ingresso di una figuretta magra, avvolta da
pantaloni neri e gilet,
con quegli inconfondibili codini che sobbalzavano sulle spalle e sul
petto: la professoressa
Albarn.
Aveva un’aria stanca, ma anche
un cipiglio notevole che la faceva sembrare molto più severa
di quel che in
realtà era.
La piccola Amber si mise a
correre verso di lei non appena la vide entrare per darle il benvenuto:
“Professoressa Maka! Lo zombie ci
aveva detto che eri a casa perché eri malata!
Perché sei qui?”
L’altra streghetta, Carrie, si
limitò a rimanersene in piedi in fondo alla classe,
là dov’era, e a piantare i
suoi inquietanti occhi scolorati contro l’inattesa arrivata.
“E’ tutto a posto. Sono qui
perché vi ho lasciate sole per quasi una settimana, e poi
sto meglio.”
“Guarda che per noi non era un
problema.” a parlare era stata Cariddi, dopo essere saltata
giù con grazia
dalla sua posizione sulla cattedra: “Noi qui ci possiamo
allenare anche da
sole.”
Sembrava un po’ preoccupata,
forse addirittura colpevole, come se la responsabilità del
malessere di Maka
fosse stata sua.
La giovane meister si sentì
subito confortata dal calore che le dimostravano quelle streghe semi
sconosciute, e disse tutto quello che poté per rassicurarle:
dopo tutto,
nonostante gli ultimi avvenimenti, lei aveva sempre un dovere da
portare avanti
per i suoi studenti.
Notò, inoltre, che le streghette
non erano sole: nell’aula erano infatti presenti anche altri
due studenti. Uno
era un giovanotto sui diciassette anni, alto e magro, decisamente
orientale, mentre
il secondo era un ragazzino grassottello, lentigginoso e col naso da
maialino.
“Vedo che avete trovato dei
partner!” esclamò Maka, compiaciuta.
Il ragazzo orientale le lanciò
un’occhiataccia storta, e a lei parve di riconoscerlo; ma
sì, era quel meister
che in due anni di scuola non aveva ancora trovato un’arma
perché di tutte
quelle che c’erano non gliene andava bene neanche una, come
si chiamava…? Ah,
sì, Em-ni.
L’altro invece sembrava pescato
direttamente dalla classe NOT (Normally Overcome Target, i
più tardoni
insomma), a dire dalla sua faccia terrorizzata – ma forse la
colpa era solo di
Carrie Bat, che con quella faccia diabolica avrebbe fatto rizzare i
capelli in
testa persino ad Ox Ford, e non quelli pettinati col gel -.
Amber andò tutta contenta ad
appendersi al braccio di Em-ni, e confermò cinguettando che
avevano già
iniziato ad allenarsi tutti insieme a “fare i balletti
trasformati in armi”, e
che il suo meister le aveva insegnato un sacco di cose
perché lui frequentava
già le lezioni da due anni.
Senza dover aggiungere molto
altro Maka prese il controllo della situazione, e iniziò ad
aiutarli con gli
esercizi di sincronizzazione delle anime; l’unica ancora
senza un partner era
Cariddi, e quindi Maka si vide costretta a fare gli esercizi con lei.
Era sempre strano entrare in
contratto con l’anima di quella Gorgon, la riportava ogni
volta indietro nel
tempo con la memoria; questo non era il massimo per le attuali
condizioni di
Maka, la quale però decise di impegnarsi il più
possibile nella concentrazione,
e di lasciar perdere quel dolore penetrante che le martellava
l’anima.
“Scusami,
Maka Albarn.” sussurrò
Cariddi.
Erano nel bel mezzo di una prova
di meditazione e la giovane meister riaprì gli occhi
all’istante, non appena
sentì la strega che richiamava la sua attenzione.
“Cosa c’è, Cariddi?” rispose,
a
voce bassissima.
“Nulla, volevo solo sapere… ho
sentito qualche voce, e mi sono informata. So che hai avuto un crollo
nervoso,
durante la mia canzone in quel pub…”
Maka rimase in silenzio,
osservando a palpebre socchiuse la Gorgon che si imbarazzava e
distoglieva lo
sguardo da lei, puntandolo al pavimento. Dopotutto, non era un segreto.
“…sì?”
“…spero non sia stata colpa mia.
Sai, ho un tantino barato, quella sera…
le mie canzoni hanno la
lievissima tendenza ad essere ipnotiche, nel senso magico del termine.
Sai
com’è, volevo fare subito buona impressione per
ottenere un contratto… in ogni
caso, chiedo perdono.”
Maka sollevò un sopracciglio,
divertita.
“Non preoccuparti. Ero già
distrutta da prima. Non è colpa tua.”
“E’ colpa di mia cugina, vero?”
“…”
La giovane meister impiegò
qualche lungo secondo per realizzare che si stava riferendo a Chrona.
Il solo
pronunciare quel nome all’interno del pensiero le fece salire
un singulto di
panico, ma riuscì a controllarlo in un secondo. Aveva avuto
cinque giorni per
piangersi addosso, ora basta.
“Come sai di Chrona? Cosa sai di
lei?”
“So che la Luna non è più nera,
tutto qui. E poi, so che ci sono stati degli strani casi di furto,
ultimamente.
E degli omicidi. Inoltre, ho sentito alcuni studenti parlare di un Demone.
Ho semplicemente fatto due più due. E, infine, so che tu
tieni molto a lei.”
Maka rimase senza parole a guardare
la strega, che la osservava con sguardo penetrante. Gli altri erano
troppo
concentrati per dar retta a loro due, ma se anche qualcuno avesse
captato il
discorso non sarebbe di certo stato un grosso problema.
“Come hai fatto a…?”
“Volevo solo confermarlo, ma si
capiva che le sei molto affezionata, da come mi hai parlato di
lei.”
“Oh.” Maka, chissà perché,
sentì
le guance riscaldarsi e arrossire. Forse perché Cariddi era
riuscita a leggere
le sue emozioni con una semplice chiacchierata?
“E’ per colpa sua, quindi.”
La meister annuì col capo,
sentendosi all’improvviso incapace di parlare. La paura, il
senso di colpa,
stavano tornando…
“Sei a pezzi, Maka Albarn… -
constatò la strega - …perché sei
venuta a lezione?”
“Proprio a causa di tua cugina.-
sussurrò Maka, quasi gemendo per lo sforzo di contrastare il
dolore che le
cresceva nell’anima – Devo assolutamente scoprire
chi è questo Demone,
che sia lei o meno. Ho bisogno di sapere che sta bene… e
chiederle di
perdonarmi per una cosa. Ma se è davvero Chrona,
allora…”
Maka strinse i denti.
“… devo essere io a
prendermi cura di lei. Nessun’altro. Per questo sono qui,
stando a casa mia non
combinerei nulla.”
Cariddi rimase in silenzio per
un po’, osservando la determinazione della sua maestra umana.
Poi replicò: “Spero
di poter essere d’aiuto in futuro, Maka Albarn.
Sarà un onore combattere al
fianco di una persona come te.”
Maka accettò il complimento in
silenzio, e poi la esortò a tornare a concentrarsi,
perché stavano rovinando
l’esercizio.
Che
scema ad arrossire, era
ovvio che Cariddi riusciva a percepire i moti dell’anima di
Maka mentre si
stavano addestrando loro due, in coppia, proprio per migliorare la
risonanza!
E poi era una strega di una
famiglia potente, figuriamoci se non se ne accorgeva subito;
c’era poco da fare
l’imbarazzata, ormai, in quelle condizioni era facile da
leggere come un libro
aperto per una come Cariddi.
Aveva ragione, la strega: Maka
era a pezzi.
Era strano, però: quella era la
prima volta che la giovane posseditrice dell’anima con onda
anti-demone cadeva
in un stato pietoso come quello, di solito era sempre riuscita a
riprendersi
molto più in fretta.
Di solito, però, non aveva il
dubbio di poter aver causato l’omicidio di dodici
monaci…
L’immagine di Chrona, la solita,
le apparve nella memoria come era successo in tutti quei giorni e
durante tutte
quelle notti, il suo volto bianco con gli occhi mesti, sotto la neve,
che la
osservavano. No, non doveva crollare di nuovo, doveva cercare di
pensare
lucidamente.
Quali erano gli elementi che la
portavano a credere che Chrona fosse impazzita di nuovo? Primo:
l’aveva
abbandonata tre anni sulla Luna – il cuore le diede una
fitta, ma strinse i
denti -. Secondo: era apparsa sul luogo del primo delitto. Terzo:
avevano
appurato che solo un essere molto potente poteva aver causato danni di
tale
gravità, e Chrona era una delle poche creature che quel
potere lo possedeva,
per quanto ne sapevano.
Però, c’erano ancora molte cose
parecchio strane.
Per esempio: che senso aveva
fingere dei furti? Era ovvio che il Demone aveva
previsto che entrambi
gli oggetti rubati fossero ritrovati molto facilmente. Ma che diavolo
voleva
dire?
Inoltre, c’era una secondo
fattore: il Demone intendeva mantenere segreta la
sua identità,
manipolando persone innocenti per nascondersi dietro dei volti di gente
comune.
Che motivo avrebbe avuto Chrona di agire in questo modo?
Che senso aveva?
Quale diavolo era l’obbiettivo
di questo Demone?
Una vendetta contro l’umanità?
Un piano malato e senza senso, generato da una mente spezzata?
Se il colpevole fosse stato
davvero Chrona, non sarebbe semplicemente venuta a cercare lei, Maka, e
basta?
Cercami,
e poi trovami, per favore…
Se
sei viva, perché continui a scappare come un fantasma?
Devo
vederti, e sistemeremo le cose.
Puoi
anche provare ad uccidermi se vuoi.
Ho
bisogno di vederti. Terribilmente. Non sopporto di essere nel dubbio di
averti
ferita.
Vieni
da me, se proprio vuoi distruggere qualcuno.
Ti
prego…
Spazio
Autrice
Buon lunedì a
tutti! Eccoci qui con il settimo capitolo!
Le cose sembrano essere
parecchio incasinate alla DWMA... ma passiamo alle curiosità
di oggi, per stemperare un po' l'atmosfera: parliamo dei nomi delle due
streghette. Sono entrambi citazioni: Carrie è ispirata alla
protagonista dell'omonimo film, che ha potenti poteri telecinetici,
mentre Amber... non ve lo dico! Ahahah, chi coglie la citazione
nascosta nel nome suo e del suo nuovo maestro, vincerà un
biscotto pieno di ammmore preparato dalla sottoscritta! - indizio: se
siete nati negli anni '90 sarà più facile -
Buona settimana a tutti!
Bye~
Kiki
|
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Capitolo 8 *** Milan. ***
Milan.
Mario Viverna e Cariddi avanzavano a
grandi falcate lungo i
corridoi della DWMA.
Lo stregone aveva un passo talmente lungo, a causa di quei
trampoli di gambe che possedeva, che la giovane Gorgon era costretta a
correre
per stargli dietro, e la sua veste nera gli svolazzava ai fianchi come
se
fossero state ali di pipistrello.
I due arrivarono insieme di fronte alla porta ferrea della
Stanza della Morte, e la trovarono aperta. Entrarono senza nemmeno
rallentare.
“Sommo Shinigami!” chiamò Viverna, non
appena la vista degli
occupanti dell’immensa sala riempita di cielo e tombe
raggiunse i suoi occhi
gialli.
Death the Kid stava discutendo animatamente con il dottor
Franken Stein, il professor Sid, Excalibur e Soul Evans Eater, ma si
interruppe
immediatamente non appena vide i due intrusi che avevano invaso il suo
studio.
“Sommo Shinigami! Ho una cosa importantissima da
comunicarle.”
“Signor Viverna, santo cielo, siamo nel mezzo di una
riunione importante!”
“Riguarda il caso dei furti!”
Tutti impietrirono. Dopo mezzo secondo la vocetta irritante
della Sacra Spada decise che la suspense era durata fin troppo e
declamò a gran
voce:
“Dunque ci illumini di conoscenza, uomo-strega!
L’attesa mi sta
uccidendo!”
“Forse ho trovato un significato ai due casi di Monaco e
Okinawa. Potremmo riuscire a prevenirne altri!”
“Dica tutto.” esortò Kid con tono secco.
“Stavo accompagnando Amber
e Carrie a lezione, quando ho
sentito degli studenti che parlavano di un grosso problema che la DWMA
doveva
risolvere. Mi sono incuriosito e mi hanno raccontato quello che
sapevano, ossia
dei due furti “inutili”, per così
dire.”
Mario Viverna gesticolò nell’aria piantando i suoi
occhi
gialli e penetranti nei suoi ascoltatori, che letteralmente pendevano
dalle sue
labbra.
“Frequentando un paio di lezioni avevo sentito dire che
c’era stata una missione finita male, ma solo oggi ho saputo
i dettagli,
insieme con la notizia dal Giappone di ieri. Gli oggetti rubati erano
un
collare di pietre preziose e una statuetta in porcellana, no? E la
prima città
era Monaco, no? E ieri, l’isola di Okinawa?”
“Sì, sì, arrivi al punto!”
sbottò Kid, parecchio impaziente,
dando voce al fastidio di tutti i presenti.
“Certo, certo! – Viverna alzò le spalle
in modo teatrale per
scusarsi – Dicevo, non appena ho conosciuto la natura degli
oggetti, mi è
tornata in mente una cosa che ho letto. Li avevo già sentiti
da qualche parte,
ne ero certo, e allora ho cominciato a rifletterci su. Poi, sapete, ho
incrociato Cariddi, qui, e le ho esposto le mie perplessità,
e anche lei li
conosceva: è così che mi sono
ricordato!”
In quel momento, persino Excalibur sembrava esasperato dalla
parlantina interminabile dell’uomo-strega, ma,
per fortuna, stava
giungendo al nocciolo della questione.
“Entrambi gli oggetti rubati sono contenitori di pietre magiche!
Sono nascondigli sparsi per il mondo di gemme che sono state incantate
dalle
streghe più di duemila anni fa!”
I presenti spalancarono la bocca, e Fanken Stein prese a
girare nervosamente la vite che aveva in testa con un inquietante
scricchiolio
metallico.
“Pietre magiche?” chiese Sid, perplesso.
“Sì. – confermò Viverna
annuendo vigorosamente – Chiedete
alla duchessa di Monaco di controllare se la sua collana ha ancora
incastonate tutte
quante le sue gemme, e se la statuetta votiva giapponese ha
ancora lo
stesso peso. Sono sicuro che scoprirete che manca qualcosa. Io e
Cariddi
abbiamo appreso dell’esistenza di questi manufatti su un
manuale di magia nel
nostro paese, un manuale di incantesimi avanzati.”
“…e a cosa servirebbero queste pietre?”
chiese Kid, agitato.
Fu Cariddi a rispondere, dopo aver lanciato un’occhiataccia
al suo compagno stregone, probabilmente stizzita anche lei dalla sua
logorrea:
“Possono servire a un sacco di cose. Sono come dei
catalizzatori magici,
servono a concentrare, contenere e rilasciare la magia per poter
compiere
incantesimi più potenti. Ma possono catalizzare qualsiasi
tipo di potere, oltre
a quello di una strega, volendo li si potrebbe applicare a qualsiasi
energia
esistente in natura.”
Kid accolse le informazioni con un cipiglio severo. Poi
guardò Stein, il quale alzò le spalle.
“Quanti di questi…
“catalizzatori” ci sono, in giro per il
mondo?” chiese poi lo shinigami.
“Cinque.”
“Sapreste indicarmi le loro localizzazioni?”
Viverna si intromise: “Con un breve viaggio alla biblioteca
del paese delle Streghe, signore, non sarà assolutamente un
problema.”
“Bene.”
Kid si sistemò la giacca, avanzando col suo elegante
portamento fino alla strega e allo stregone, e li squadrò
entrambi, mentre
prendeva le sue decisioni.
“Viverna, parta subito. Se mi porta le informazioni entro
due ore, le sarò infinitamente grato.”
Kid si voltò e non lasciò a Viverna nemmeno il
tempo per
lamentarsi per il risicato orario di consegna.
“Professor Sid, vada subito a telefonare a Monaco e a
Okinawa per vedere se il signor Viverna e la signorina Cariddi hanno
visto
giusto. Soul, corri a chiamare Maka, a quest’ora dovrebbe
essere in classe. Signorina
Cariddi, gradirei che lei resti qui con noi a ragionare. Abbiamo
assoluto
bisogno dell’esperienza di una strega.”
Il professor Sid corse fuori ad eseguire gli ordini, seguito
a ruota da Mario Viverna, il quale si rese presto conto tutti si
aspettavano
che anche lui si desse una mossa.
Maka si precipitò
all’istante nella Stanza della Morte non
appena Soul le comunicò le novità.
Trovò riuniti tutti i cervelli della DWMA, compresa Cariddi;
erano adunati in attesa febbrile di informazioni aggiuntive per
riuscire
finalmente a decifrare quel caso maledetto. Sid comunicò
dopo dieci minuti che
sì, Mario Viverna aveva ragione: la duchessa di Monaco si
era accorta che alla sua
collana mancava una pietruzza, una di quelle meno preziose, mentre alla
reliquia giapponese mancava una delle gemme che servivano da occhi.
Erano davvero pietre magiche?
A chi servivano? Che cosa voleva farsene il Demone?
Mentre discutevano su tutte le possibili applicazioni di
tali manufatti con Cariddi, qualcuno bussò violentemente
alla porta di ferro
che chiudeva la stanza.
Kid scattò in piedi all’istante, teso
com’era
dall’impazienza, e gli occhi di tutti lo seguirono bramosi di
vedere finalmente
Mario Viverna che tornava…
Invece sul ciglio della porta apparve Black*Star, di ritorno
dalla sede della DWMA giapponese, accompagnato da Tsubaki.
Maka non si stupì di vederlo, sapeva che era stato
richiamato dalla scuola, ma lo trovò molto cresciuto
rispetto a com’era quando
era partito: il suo fisico muscoloso si era decisamente allungato verso
l’alto
(anche se non avrebbe mai raggiunto la statura di Soul, che sfiorava il
metro e
novanta di altezza), facendolo sembrare un po’ più
smilzo, e la sua pelle abbronzata
risaltava con forza sulla tuta bianca che indossava. Il suo
atteggiamento da
gradasso, invece, era sempre lo stesso.
“E’ arrivato l’onnipotente
BLACK*STAR!!! Ora risolverò
tutti i vostri problemi!”
Tsubaki non era cambiata di una virgola, notò Maka, mentre la
buki tentava con un sorrisetto di circostanza di trattenere il suo
meister dall’impeto
di saltare sul tavolo per far ammirare a tutti i presenti la sua onnipotente
grandezza.
Cariddi storse un po’ il naso, e poi lo storse pure
Black*Star, quando si ricordò che nella sala c’era
anche la sua adoratissima
Sacra Spada Excalibur, che lo indicava col suo bastoncino dandogli del
cretino.
Questo bastò a farlo stare tranquillo, poiché
probabilmente aveva raggiunto la
maturità per capire che mettersi a fare scenate contro quel
vecchio
rompiscatole non era proprio la priorità del momento.
Dopo un paio di minuti di calorosi saluti di benvenuto per i
nuovi arrivati, si tornò subito alla questione scottante.
“Qual è il piano, Kid?” chiese il ninja
dai capelli blu.
“A quanto abbiamo capito, queste fantomatiche pietre magiche
sono cinque in tutto, nascoste in giro per il mondo. Due sono
già state rubate,
e quindi ne mancano tre. Le loro posizioni ci sono ancora sconosciute,
ma
confido che il signor Viverna ce le riferisca a breve. Ci divideremo in
tre
squadre: tu e Tsubaki, Franken Stein e Marie, ed infine io e Maka, con
le
nostre armi.”
“Immagino che non mi lasceresti mai andare in missione per
conto mio, eh Kid.” Mormorò Maka, mesta.
Lo shinigami rispose con un’occhiata penetrante, forse un
po’ severa, prima di ricominciare il discorso: “Non
sappiamo ancora chi sia il
colpevole né tanto meno il suo vero scopo, ma noi gli
impediremo di attuarlo.
Recupereremo le gemme e le porteremo qui, al sicuro. Nel caso il Demone
tenti
un nuovo furto, potremmo anche avere la possibilità di
catturarlo con un bel
po’ di anticipo. Tutto chiaro?”
Gli astanti annuirono.
Fu in quel momento che finalmente la porta ferrea si
spalancò e fece la sua apparizione la figura avvolta di nero
di Mario Viverna,
con una decina di libroni polverosi tra le braccia, ciascuno dei quali
portava
tra le pagine segnalibri dai colori fluo.
“Ci sono!” esclamò, attirando su se
stesso l’attenzione di
tutti:
“Le ultime tre pietre si trovano a Luxor, a Praga e a
Milano!”
Una
delle tre gemme si trova nascosta tra quelle incastonate
nell’altare d’oro
della chiesa di S. Ambrogio, nel centro della città di
Milano. Ho visto un paio
di foto, prima di partire, e quell’altare è
davvero magnifico. È come uno di
quei tesori che compaiono nei film di Indiana Jones, un oggetto dal
grandissimo
valore storico e composto di materiali preziosi lavorati a regola
d’arte, come
se l’avessero intagliato gli angeli stessi.
Farebbe
gola a qualsiasi ladro.
Dal
vivo, poi, è ancora più bello. Mi viene quasi una
fitta al cuore al pensiero
che dovremmo staccare da quelle pareti luccicanti una delle splendide
gemme che
la decorano.
Purtroppo
non c’è scelta.
Siamo
in ritardo sulla tabella di marcia, le autorità milanesi non
ci permettono
nemmeno di toccare la sacra reliquia, figuriamoci staccarne un
pezzettino.
Stiamo
controllando i giornali e non ci sono attività sospette, per
il momento, in
questa città, quindi non dovrebbero esserci troppi problemi
se rimaniamo operativi
qualche giorno in più del previsto.
Mi
piace tanto, l’Italia.
So
perché Kid ha voluto portarmi con sé proprio qui.
È
in questo paese che Chrona ci è apparsa la prima volta.
Durante
la riunione organizzativa il suo nome non è stato fatto, ma
io so che Kid e
Soul hanno comunicato a tutti che la principale sospettata è
Chrona.
Credo
che l’abbiano fatto per delicatezza nei miei confronti, come
se sentire di
nuovo il suo nome potesse trasformarmi di nuovo in un’ameba
balbettante.
Inoltre, pare che Kid non abbia intenzione di lasciarmi da sola nemmeno
un
minuto, con la scusa che se lui e Soul viaggiano insieme devo per forza
esserci
anche io, a fare la maestra di falce. Ma sono scuse, appunto, questa
storia è
tutta una formalità.
In
realtà ha davvero paura che io mi spezzi,
o
forse l’ha già capito…
Oh,
Chrona, tu sai cosa voglio fare.
L’ho
fatto anche tre anni fa, ricordi?
Ti
sono venuta a cercare, da sola. Perché io lo so, lo so, che
nessuno ti capisce
come ti capisco io.
Ci
siamo toccate nell’anima.
E
poi, voglio assicurarmi che il Demone non sei tu.
E
voglio chiederti scusa.
E
toccarti l’anima un’altra volta.
Mi
perdo in un sogno… perché non riesco a sopportare
l’idea che il Demone sia
proprio tu.
In
quel caso, mi prenderò le mie responsabilità, ma
non permetterò che nessun’altro
ti sfiori con un dito. Sono io quella che deve fermarti,
perché tutto questo è
solo colpa mia.
Probabilmente
Kid l’ha capito, che voglio affrontarti da sola, ed
è per questo che siamo qui
a Milano.
Non
ho ancora chiaro cos’ha in mente, ma non importa.
Voglio
incontrarti, nient’altro.
Maka
non aveva più avuto la
forza di guardare la Luna, fino a quella sera.
L’ultima volta che l’aveva vista
era bianca, come la neve, e si era sentita morire al primo sguardo,
come se
fosse stata la prova definitiva che Chrona era il Demone.
Poi aveva realizzato che era
illogico pensare una cosa del genere, ma non si era più
sentita di farlo
comunque. Quel bianco, dopo tre anni, la destabilizzava.
Fino a quella sera, appunto.
Si trovava nella calda stanza
dell’albergo in centro che Kid aveva affittato per loro, e
che stava
condividendo con le sorelle Thompson: era un posto arredato con gusto,
al
quarto piano di un grosso palazzo bianco, con i caloriferi che andavano
al
massimo.
Maka decise che poteva farlo,
quella sera, che voleva vederla. Si sedette vicino alla finestra,
cercò un po’
con gli occhi, ed eccola lì: la Luna, bianca come il latte,
che sghignazzava in
mezzo al cielo oscuro, sopra la città. Era incredibile.
Provò un’esplosione di
sentimenti tutti assieme, così intricati fra loro che non
riuscì nemmeno a
distinguerne uno dall’altro: ansia, colpevolezza,
eccitazione, gioia, sollievo…
le si gonfiavano nel petto facendole venire voglia di piangere, era
come un
gomitolo bollente che le premeva contro al cuore, e cresceva,
cresceva…
Liz e Patty ad una certa ora se
ne andarono a dormire, ma Maka non riuscì a staccarsi dalla
sua finestrella, già
in pigiama, seduta sulla poltroncina dell’albergo.
Pensava a Chrona, come ogni
sera, da tre anni. Ma quella sera più forte.
Voleva vederla, voleva vederla
sopra ogni altra cosa al mondo.
Lei era lì, con Maka, non era
più in cielo. Quella consapevolezza schiacciante la
devastava.
Quell’anima, bellissima…
Avrebbe potuto raggiungerla,
ora?
Chiuse gli occhi, e rivide il
suo volto.
Bianco, mesto. E quegli occhi
neri, che la guardavano. La guardavano sempre, silenziosi.
Il bianco della Luna, dietro le
sue palpebre, si fuse con il pallore etereo della sua amica perduta,
impresso
nei suoi occhi come nella sua anima.
Chrona la guardava, silenziosa.
Perché non parlava? Perché non
le diceva qualcosa?
Vieni,
vieni da me.
Maka
riaprì gli occhi, e si alzò
dalla poltroncina.
Infilò ciabatte e vestaglia.
Vieni
da me.
Maka
scese le scale di corsa, e uscì
in strada. Si mise a correre.
L’aria invernale di Milano,
congelata, la lasciò indifferente. Correva, correva per le
vie vuote della
città, illuminate a malapena da qualche lampione.
L’asfalto nero scorreva duro
sotto le sue ciabatte leggere, facendole male ai piedi, nudi. Non le
importava.
Non badò alle vie, non badò ai
pochi ombrosi nottambuli, non badò alla stanchezza. Il suo
fiato caldo si
condensava in sottili nuvole di vapore, che si dissolvevano veloci
sulle sue
gote arrossate.
Corse, corse nella notte nera.
Ad
un certo punto, capì dove si
trovava. Era giunta nel centro esatto della città.
L’ampia piazza dove era arrivata
pareva rimpicciolire, di fronte alla montagna di marmo bianco che
sovrastava
Maka.
Era un castello colossale, teso
verso il cielo e tanto alto da arrivare a sfiorarlo con le sue guglie,
ma tanto
bello e magico che pareva portare lo stesso Paradiso in terra.
Illuminato da
mille luci che davano vita alle statue monolitiche che popolavano le
sue mura,
contorte in una infinita danza fra colonne, archi e portoni, sembrava
veramente
una dimora divina.
Il Duomo, la casa di un dio.
Maka camminò fino al portone
principale, con il cuore che le palpitava nelle orecchie ed il respiro
fermo
nella carotide; un ingresso colossale, bronzeo, solo per titani.
Si spostò ad una delle porte laterali,
ed appoggiò una mano sulla superficie levigata del suo
legno. Avrebbe dovuto
essere chiusa, a quell’ora, quando la piazza era deserta.
Ma Maka sapeva che era aperta.
Lentamente, spinse, e la porta
si schiuse dolcemente.
Quante
memorie, tutte assieme.
Quel
luogo era immenso.
Luce pallida, celestiale,
pioveva blu da un’altezza vertiginosa sopra la sua testa,
delineando colonne
possenti come alberi millenari. Il suoi passi risuonarono in quella
foresta di
marmo, odorosa di sacro, con un eco profondo. Davanti ai suoi occhi, in
fondo,
tre finestre rilucevano vaghe, nell’abside, come pilastri
della notte.
E l’altare.
E, davanti all’altare, lei.
“Chrona!”
Le
tremarono le gambe.
La sua figura alta, nera e
sinuosa, era molto lontana, e nel buio sembrava quasi una statua
anch’essa, ma
ricoperta di pece nera.
La sua anima splendeva,
accecante.
Era bellissima.
“Chrona!
Parlami!”
Lentamente,
la figura si voltò.
Nell’ombra, i suoi occhi neri brillarono.
La osservarono, muti.
Ma, nell’oscurità, un sorriso.
“Ciao,
Maka. Mi sei mancata.”
Maka
singhiozzò, e si rese conto
di avere le guance inondate di lacrime.
Si lanciò verso di lei, che era
ancora così lontana, come un fantasma con gli occhi
sgranati, e picchiò sul
marmo del pavimento coi piedi nudi.
La vide avvicinarsi, eterea di
luce lunare, sempre di più.
Saltò, e le gettò le braccia al
collo.
Fu
carne quella che strinse, fu
un respiro quello che si bloccò, tiepido, vicino al suo
orecchio.
No, non era un fantasma.
“Anche
tu mi sei mancata,
Chrona…”
Zona
Autrice
Oddio...
i feels mi uccidono ogni volta che leggo questa parte T.T
Buon Lunedì a tutti! Per celebrare la lieta novella della
riapparizione del nostro fantasmino,
parlerò un po' di musica, e in particolare del brano che
ascoltavo - facendomi ispirare a mille - mentre scrivevo questa scena: Don't You
Worry Love, di Warmer. Vi consiglio caldamente di ascoltarla,
è struggente! (Basta cliccare sul nome della canzone in
blu). Per dire un paio di cosine riguardo a Warmer: è un
gruppo che ho conosciuto attraverso il videogioco "The Cat Lady", che
ne fa la colonna sonora. Ha sonorità molto in linea con la
personalità di Chrona, e molto spesso mi lascio ispirare
dalle loro canzoni per scrivere di lei. Per dire, hanno scritto una
canzone che si chiama In My
Head It's Like Hell!
Bye bye!
|
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Capitolo 9 *** The Demon. ***
The
Demon.
Maka
si stringeva a Chrona
tremando come un’ossessa e bagnandole il collo di lacrime.
Anche Chrona la abbracciava, le
aveva appoggiato una mano sulla testa e le stava accarezzando i capelli
biondo
cenere, sciolti, sulle tempie.
Nulla esisteva più per Maka, in
quel momento, se non quelle dita che giocavano tra le sue ciocche,
quell’odore
tiepido, il palpito veloce come un battito d’ala di falena
racchiuso dentro
quel petto, e quel sorriso.
Sì, le aveva sorriso, e le aveva
detto che le era mancata.
“Chrona, tu… non sei il Demone,
vero?”
“Il… Demone?”
“Non sei stata tu ad attaccare
gli studenti e i monaci, vero? Vero?”
Chrona si staccò un po’ da lei e
la guardò negli occhi, perplessa.
No, non era cambiata di un
soffio. I profondi occhi neri erano affossati in quel volto pallido,
timidi,
inquieti, cerchiati da lievi ombre, proprio come se la ricordava Maka.
“No, Maka. Io…”
“…e non sei arrabbiata con me,
vero? Vero?”
“… ma cosa dici…?
Io…”
“Oddio! Scusami! Scusami! Ti
ho lasciata sola sulla Luna per tre anni!”
Maka si rigettò al collo della
sua amica ritrovata, stringendola come se avesse paura che potesse
scomparire
da un momento all’altro, come accadeva sempre nei suoi incubi
in quelle ultime
settimane, e Chrona trasalì per la seconda volta, travolta
da quel contatto
inaspettato.
Maka la abbracciava forte,
piangendo, appoggiandosi a lei quasi come se non avesse più
la forza di stare
in piedi.
“Dai, non piangere, Maka…non
avresti potuto fare nulla, lo sapevi…piuttosto sono io che
non ti ho aspettata
e mi sono liberata per conto mio…”
Maka scoppiò a ridere, quasi
soffocandosi in mezzo ai singhiozzi, e Chrona riprese di nuovo ad
accarezzarle
la testa, non sapendo che fare di meglio, con il cuore che le scoppiava
dentro
al petto e la paura che Maka potesse accorgersene.
Erano sole, in quel gigantesco
tempio di marmo, due figurine abbracciate davanti ad un altare nel buio
della
notte.
Maka si sentiva leggera, libera
finalmente da quel peso terribile che le aveva gravato
l’anima, pesante come la
Luna intera.
L’anima
di Chrona splendeva
talmente forte da essere dolorosa.
Maka la ricordava benissimo,
quella perla di bellezza annegata in un mare oscuro di dolore,
circondata da
spine, e ora era come se tutta quella sofferenza fosse stata spazzata
via, o
forse no, era come stata inglobata in quell’esplosione
abbagliante che ora
aveva davanti agli occhi. La spada demoniaca sciolta nel suo sangue,
Ragnarok,
in confronto era quasi invisibile, soggiogata completamente alla
volontà della
sua maestra.
“Ma Chrona, cos’è successo? Come
mai sei qui?”
La figlia della strega distolse
lo sguardo, in quel suo modo imbarazzato e timido che non
l’aveva abbandonata
dopo tutto quel tempo, e ci mise qualche attimo prima di decidersi a
parlare.
“Io… non volevo che tu mi vedessi,
Maka, non adesso. Ma ho visto che soffrivi, e mi
chiamavi…e… eccomi qui.”
Maka la osservava a occhi
sgranati, e si reggeva ancora sulle sue spalle a causa del forte
tremito che
continuava a pervaderle le membra.
“Tu…mi stavi guardando?”
“Sì…ma, ma non volevo che tu mi
vedessi, ora. Insomma, io… non mi aspettavo che avresti
reagito così…”
“Emh… oh…”
Maka si sentì avvampare le
guance all’improvviso e si staccò da Chrona,
imbarazzata, e poi fece qualche
passo indietro sulle gambe instabili.
“…diciamo che, ehm, temevo che
fossi arrabbiata con me, e che fossi… ehm… un
momento, perché
non volevi che io ti vedessi?”
“Ma… non te ne sei accorta,
Maka?”
“Di…di cosa?”
“Sono
il Kishin.”
Ah,
già.
Quell’anima, ecco cos’era. Non
ci aveva nemmeno fatto caso.
Chrona stava in piedi, eretta di
fronte a lei, guardandola con l’espressione più
serena e sincera che poteva
assumere il suo dolce viso. Come poteva essere il Kishin? Eppure lo
era, era
vero, la sua anima era effettivamente quella di un dio.
“Com’è possibile?”
“Quando ho intrappolato Ashura
con il mio sangue, i nostri corpi si sono mischiati di nuovo. Mi avevi
lasciato
il Brew, l’artefatto demoniaco, e grazie
alla sua magia sono riuscita a
prendere di nuovo il sopravvento sul vecchio Kishin, assumendo il suo
potere.
Abbiamo lottato per un tempo che potrei dirti infinito,
finché sono riuscita a digerirlo.
La sua volontà è sciolta, annullata, e io ho
assimilato la sua anima.”
Maka si prese qualche secondo
per assorbire le informazioni, a bocca aperta.
“Quindi, tu…”
“Sì, non sono più un essere
umano. Ma non ho nessuna intenzione di seminare la follia come faceva
Ashura,
lui era un codardo infame. Ho imparato molte cose. In ogni essere
divino c’è una
parte di luce e una di oscurità, ma usare
quest’ultima è solo una questione di
scelta.”
Chrona sospirò, e girò di nuovo
gli occhi al pavimento, come se si sentisse in colpa per il fatto di
essere
diventata una divinità.
“Non… non volevo che tu sapessi
che io ero il Kishin, Maka. Temevo che per te fosse un brutto colpo. Ma
stavi
troppo male…e ho rischiato.”
Maka sorrise, suo malgrado. Forse
si era anche trasformata nel secondo Kishin, ma Chrona rimaneva sempre
la
stessa ragazza insicura a cui la meister si era affezionata. Le
sembrò di
rivederla, quando andavano insieme a lezione e si mettevano a scrivere
poesie
sui bigliettini tanto per vincere la noia delle lezioni del professor
Sid,
sentendosi poi colpevoli perché non avevano preso appunti.
Poi, però, la rivide a Santa
Maria Novella, a Firenze, completamente impazzita, che le diceva che
avrebbe
conquistato il Kishin e poi il mondo, dopo aver compiuto atroci
delitti, con la
mente sconvolta e distorta dagli incantesimi e le parole di sua madre.
Era
stato terrificante.
Ma no, nonostante tutto, non era
cambiata. Era sempre la sua dolce Chrona.
Maka provò di nuovo l’impulso di
abbracciarla, ma si rese conto di essere stata un po’ troppo
eccessiva con i
suoi crolli psicotici poco prima e per evitare sconvenienti disagi si
limitò a
prenderle le mani.
“Sono senza parole. Sei
incredibile. Io avevo così tanta paura che tu fossi
morta…”
Ecco, ora la stava abbracciando
di nuovo. Accidenti, a lei e al disagio.
“Lo so, Maka. Lo so.”
“Ma… sei scesa dalla Luna per
osservarmi, in questi giorni… perché?”
Era così piacevole quella
posizione, e trasmetteva un tale stato di pace e
tranquillità, che Maka si
sentì quasi ferita dal tono serio con cui fu risposto alla
sua domanda.
“C’è una presenza negativa che
ti sta inseguendo, Maka. Ho potuto percepirla fin dalla Luna.
C’è qualcuno che
vuole farti del male, anche se non sono riuscita a capire
cos’è. Quindi, ho
deciso che valeva la pena tornare sulla Terra. Sai, io… non
potrei sopportare
che ti accada qualcosa di brutto. Sei la mia migliore amica.”
Un brivido gelido attraversò le
membra della giovane meister. Ma durò poco: in quel momento
si sentiva protetta
dal caldo tepore del secondo Kishin, il pericolo era lontano.
“Sai,
Chrona, stanno capitando
delle cose strane. Qualcuno sta manipolando le menti degli esseri umani
per
entrare in possesso di alcuni artefatti magici. Non ha nessuno
scrupolo, e ha
ucciso delle persone. Io, Kid e gli altri ti abbiamo vista, a Monaco, e
sei
diventata subito una dei sospettati. Pensavo che tu fossi impazzita di
nuovo
per colpa mia, e che fossi tu l’assassino, non riuscivo a
darmi pace. Tu… non
hai nemmeno idea di quando mi sollevi l’idea che tu sia
innocente… Però, forse,
questa presenza negativa di cui parli potrebbe essere collegata al
Demone.”
“Non lo so… si nasconde molto
bene. Perdonami se ti ho fatta soffrire di nuovo … purtroppo
è normale che
abbiate pensato che la colpevole di quei delitti fossi io, ho fatto
cose molto
peggiori, dopotutto… ma sono innocente. Io voglio solo
proteggerti, Maka.”
Quel momento sarebbe potuto
durare per sempre.
Sai,
sono contenta che non mi odi.
Guardaci,
siamo ancora noi, in Italia, in una chiesa, di notte. Solo che questa
è molto
più grande, come se fosse cresciuta in proporzione insieme a
noi.
È
come se il tempo fosse tornato indietro, e nulla fosse cambiato.
È
come se tu non avessi mai abbandonato la scuola, e non ti fossi mai
lasciata
plagiare da Medusa. E io non avessi mai ricevuto l’ordine di
ucciderti.
Né
per i tuoi delitti in Russia, di tre anni fa, né per il
furto di due stupide
pietre incantate.
Tua
madre, sai, mi aveva detto che Chrona non esisteva più.
Ma
sbagliava, non ti ha spezzata.
Tu
sei qui, proprio come la prima volta che ci siamo sfiorate.
Proprio
come quando mi hai lasciata entrare nella tua anima,
e
tu sei entrata nella mia.
La
figlia della strega si separò
dolcemente da Maka e accennò preoccupata ai suoi piedi nudi.
“Credo che dovresti tornare a
casa, ora, Maka… stai prendendo freddo.”
La meister si accigliò a quel
commento, e rispose con una certa supplica nella voce:
“Oh, di già…? Ma… e tu cosa
farai…? Cioè, non vuoi venire con
me…?”
“Oh, no… - si schernì l’altra
–
Non… me la sento di presentarmi al nuovo
Shinigami…”
“Ma perché…?”
“Maka, sono comunque sulla lista
nera della Shibusen, e sono un Demone…credo che ora abbiate
altri problemi da
affrontare…”
In effetti, Chrona non aveva
tutti i torti. Era vero che erano passati tre anni, ed era anche vero
che se
non fosse stato per il suo sacrificio, la DWMA non avrebbe mai potuto
debellare
Ashura, ma quell’oscura creatura aveva assassinato a sangue
freddo la Falce
della Morte dell’Europa Orientale con il suo meister, e aveva
raso al suolo un
intero villaggio, in Ucraina, solo per testare le sue
abilità col sangue nero.
Questo le era costato la pena capitale, a prescindere dal fatto che
Medusa
avesse distorto la sua mente rendendola un burattino. Inoltre, aveva
assorbito
i poteri del Kishin, trasformandosi letteralmente nella nemesi per
eccellenza
dell’ordine costituito.
Sarebbe stata una bella gatta da
pelare anche in condizioni normali solamente il decidere quale dovesse
essere
la sua sorte.
Maka dedusse che, molto
probabilmente, Chrona non aveva nessuna intenzione
di rischiare di
essere gettata in prigione – né tantomeno di farsi
uccidere –, soprattutto in
quelle circostanze complicate.
“Ok, capisco.” mormorò, sentendo
il duro peso della realtà tornare a calcarle sulle spalle.
“Ma… ti rivedrò, vero,
Chrona?”
Il demone dai dolci occhi neri
sorrise, e a Maka parve di vedere le sue guance colorarsi, nella
penombra blu
dell’immensa cattedrale.
“Ora che mi sono manifestata, qualcuno
forse noterà la mia presenza, ma… Sono giorni che
ti guardo le spalle, Maka. Sono
sempre accanto a te. Ti basterà chiamarmi.”
Maka si sciolse in un ampio
sorriso, prima di voltarsi per recuperare le sue pantofole, che erano
state
lanciate dalla corsa da qualche parte fra le ombre delle panche.
“Ci conto.”
Si girò un ultima volta e poi
corse fuori, verso il suo albergo, con la strana e rassicurante
sensazione che
Chrona stesse vegliando su di lei, da qualche parte, fuori dalla sua
vista.
Purtroppo
per gli studenti della
DWMA di piazza a Milano, convincere la Sopraintendenza ai beni
archeologici
della Lombardia a concedere il permesso per prelevare la pietra
incriminata dal
preziosissimo altare della chiesa di S. Ambrogio si rivelò
molto più complesso
del previsto. Riguardo alle altre missioni, erano giunte notizie che
erano
state portate a termine senza problemi, anche perché
– a quanto pareva – gli
altri due manufatti si trovavano in luoghi decisamente meno difficili e
meno
burocratici da “depredare”: una delle pietre stava
infatti nascosta in una
grotta naturale nei pressi di Praga, mentre la gemma di Luxor si era
rivelata
incastrata fra due grossi mattoni di pietra in un tempio egizio, in un
posto
dove nessuno l’aveva notata.
La permanenza milanese non fu
così spiacevole, però, a parte le crisi di nervi
con la Soprintendenza: quella
città era una vera capitale dello shopping ed era piena di
posti interessanti ed
eleganti da visitare. Inoltre, Maka aveva subito un cambiamento
talmente
inaspettato e repentino da causare una piacevole sorpresa
all’atmosfera del
gruppo: il suo nuovo buonumore era talmente contagioso che riusciva
persino a
far passare le incazzature di Kid dopo le interminabili discussioni coi
funzionari
comunali.
La sua crisi sembrava essersi
volatilizzata insieme agli ultimi fiocchi di neve nella brezza del
tardo
inverno.
Il primo ad accorgersene,
ovviamente, era stato il suo partner, Soul: le si era avvicinato
all’ora di
pranzo del terzo giorno di trasferta, mentre mangiavano nel piccolo
ristorante
dell’albergo, e Maka stava addentando una cucchiaiata di
risotto fra uno
starnuto e l’altro (era un po’ raffreddata da
quella mattina).
“Ehi. – le aveva detto – Ti vedo
più allegra del solito.”
“Dici?” Aveva risposto Maka, con
un sorriso vispo.
“Beh… non sembri più così
angosciata, come dodici ore fa, ad esempio. Direi che stai molto
meglio! Cos’è
successo?”
Maka si prese il tempo di
deglutire per bene il boccone prima di rispondere.
“Ma nulla… questo caso continua
a preoccuparmi molto. Però mi ha sollevata sapere che le
altre due pietre sono
al sicuro, e ho la sensazione che le cose stiano per mettersi a posto
molto
presto, tutto qui.”
“E, per quanto riguarda…” Soul
non osò pronunciare quel nome,
ricordando fin troppo bene l’effetto che
aveva fatto più di una volta, nei giorni precedenti, alla
sua meister sull’orlo
di una crisi di nervi, e si limitò a fare una smorfia.
“…il colpevole, dici?
Sono convintissima che stiamo per acciuffarlo, qualunque sia la sua
identità!
Tranquillo, me ne sono fatta una ragione!”
Maka aveva sorriso,
incoraggiante, e allora si era sciolto un po’ anche Soul,
sospirando
internamente di sollievo per non avendo infranto nessuna bolla di
tranquillità
apparente.
“Certo che sei proprio forte,
tu. Non finisci mai di sorprendermi anche dopo tutto questo
tempo.”
“Ah ah ah, grazie!” rispose
Maka, arrossendo.
Ovviamente
Maka non aveva detto
ad anima viva di aver incontrato Chrona, né tantomeno che
lei era il secondo
Kishin.
Era pienamente consapevole del
fatto che, nel caso malaugurato che Kid e gli altri cervelloni si
fossero
accorti che lei stava passando sotto silenzio un fatto così
importante, avrebbe
subito conseguenze molto spiacevoli; come minimo
sarebbe stata
licenziata. Però, la cosa non la preoccupava più
di tanto, nonostante i
sussurri di rimprovero della sua coscienza fedele alla DWMA: nessuno
l’avrebbe
scoperta.
Semplicemente, ora che sapeva
che Chrona non aveva nessuna colpa, sarebbe stato sufficiente
acciuffare il
vero Demone e, dopo che la questione si fosse
sistemata…voilà! Problema
risolto. Tanto Maka era sicura che non ci sarebbero stati problemi,
anche
perché lei avrebbe difeso la sua amica con le unghie e con i
denti, e poi,
andiamo, era merito suo se avevano sigillato Ashura…di certo
questo doveva
avere un certo peso nella bilancia della giustizia retta dal Sommo
Shinigami.
Anche in quel preciso momento,
inoltre, le stava facendo da guardia del corpo. La seguiva dappertutto
fuori
dagli sguardi delle persone, come un angelo custode, o meglio, come un
fantasma
invisibile ma onnipresente, nero e pallido come la luce lunare, che le
infestava anche i pensieri.
Era stato difficile smettere di
pensare a lei, in effetti, e ora se possibile la situazione era pure
peggiorata, anche se da quella notte fatidica dentro al Duomo questa
ossessione
aveva perso tutto il suo lato doloroso.
Maka aveva rimuginato a lungo,
mentre non aveva la testa occupata in qualcos’altro, a tutte
le cose che lei e
Chrona si erano dette durante il loro incontro notturno, che le erano
rimaste
stampate a caratteri roventi nella memoria.
Per prima cosa, la scoperta che la
sua migliore amica si era trasformata nel secondo Kishin: questo era
stato
abbastanza traumatico, ma solo fino ad un certo punto. Esisteva per
caso un
altro modo possibile grazie al quale la sua amica si sarebbe potuta
salvare da
sola? Non c’erano molte alternative: era ovvio che Ashura
doveva essere stato
distrutto definitivamente in qualche modo se la Luna era tornata
bianca, e
l’unica persona che poteva farlo era proprio Chrona; dato che non può
esistere un mondo senza un demone
della paura, inoltre, l’unica alternativa possibile
era che qualcun altro lo
fosse diventato al posto suo. C’era anche un’altra
cosa da considerare, anche
se il solo pensarci metteva i brividi: Chrona era stata
generata con il
preciso scopo di diventare un Demone, da umana quale era. Quindi era
come se,
in fondo, i piani di Medusa si fossero davvero avverati… in
un modo distorto e,
stranamente, positivo. Sì, perché la figlia della
strega aveva affermato chiaramente
che non aveva nessuna intenzione di lasciarsi andare alla follia, e
Maka non
dubitava una singola sillaba di quello che aveva ascoltato.
Era stato Kid stesso a spiegarle
che in tutti gli esseri divini è
presente un fondo di follia,
esattamente come negli esseri umani, e che questo potere è
in grado di
sovrastare gli altri esseri viventi, cosa che ovviamente valeva anche
per uno
shinigami. Poi, usare o no questa follia era
solamente una questione di
scelta.
Quindi, Maka non aveva dubbi che
Chrona avesse in odio qualsiasi forma di violenza, ed era certissima
che non
avrebbe mai combinato le catastrofi provocate dal suo pauroso
predecessore,
esattamente come anche Kid si asteneva dal farlo.
In quel momento, sinceramente,
Maka provava solo un orgoglio sconfinato per la sua amica, e non la
sfiorava
più nemmeno un soffio di paura. Era diventata davvero forte.
Persino Ragnarok,
la sua arma sciolta dentro di lei, si era ridotto a una presenza
sottomessa e
trasparente in confronto alla luce bruciante della sua maestra, tanto
che Maka aveva
dovuto fare uno sforzo di memoria per ricordarsi di lui.
Il secondo problema che le dava
da pensare, e che forse era quello che le pesava di più
tenere nascosto, era la
presenza negativa che secondo Chrona stava inseguendo Maka.
Cosa significava? La ragazza era
quasi del tutto convinta che questa “presenza
negativa” fosse collegata con il
Demone assassino che stavano cercando di smascherare, ma allora, per
quale
motivo stava alle calcagna della maestra della falce? Quella
sì che era una
bella domanda.
Se questo Demone mirava a Maka,
perché non l’aveva già attaccata? E a
cosa gli sarebbero servite le pietre
magiche che voleva rubare?
Più la meister si arrovellava,
più soluzioni le venivano in mente, tutte con pochissimo
fondamento e una più
inquietante dell’altra.
Alla fine si era risolta a
lasciar perdere: avrebbe chiesto informazioni alla stessa Chrona,
quando
avrebbe avuto occasione di farlo.
Dopotutto, le aveva promesso che
le sarebbe bastato chiamarla, o no?
Zona Autrice
Ciao ragazzi!
Scusatemi, oggi non sto molto bene, quindi non ho molto da dire tranne
che questo è uno dei miei capitoli preferiti. E poi
beccatevi quella Chrona con il terzo occhio! :D
Ciao!
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Capitolo 10 *** Finally, the altar. ***
Finally,
the altar.
Death
the Kid aveva un pessimo
presentimento.
Non che fosse una cosa che gli
capitava di rado – con le grandi responsabilità
che aveva sulle spalle da
quando era diventato Sommo Shinigami, era sempre in ansia e tendeva a
considerare per prima sempre l’alternativa più
buia – ma quella volta c’era
anche qualcosa di più. Non era solo un pensiero, era quasi
una sensazione
fisica.
Era come una presenza oscura e
inquietante che si nascondeva nell’ombra, e lui poteva
percepirla sottoforma di
una pressante sensazione di disagio, anche se non riusciva a capire di
cosa si
trattasse.
Era assolutamente certo di non
stare prendendo un abbaglio, anche perché poteva affermare
con assoluta
certezza il momento preciso in cui quella sensazione era iniziata,
ossia, la seconda
notte che aveva passato a Milano; da allora era come se un fantasma
stesse
infestando il suo mondo.
Persino in quel momento, mentre
Kid se ne stava seduto sugli inginocchiatoi in prima fila della
cattedrale di
S. Ambrogio, con gli occhi fissi all’altare, era come se
l’oscuro presagio lo
stesse perseguitando.
Andava sempre lì, nel tempo
libero, in quella chiesa antica e tranquilla, a fare la guardia alla
pietra
magica che ancora non poteva portare in un posto veramente sicuro;
dopotutto,
la penombra profumata d’incenso delle arcate della grande
navata centrale
avevano l’effetto miracoloso di calmargli il nervoso. Erano
così
meravigliosamente simmetriche. Non come l’esterno, con quei
due odiosissimi
campanili ai due lati del tetto, uno più alto
dell’altro. Cielo, sarebbe
costato tanto a quegli stupidi frati che ci avevano vissuto costruirli
uguali?
Quella cattedrale sarebbe stata perfetta, se non fosse stato per
quell’obbrobrio.
Kid stava appunto là seduto,
davanti all’altare d’oro, ad ammirare il complesso
mosaico che si stagliava
sulla cupola sopra l’abside, quando il suo telefono si mise a
squillare.
Cos’era successo, Liz aveva di nuovo esaurito la carta di
credito?
Con sorpresa Kid notò che,
invece, il numero non era nessuno di quelli che il suo telefono aveva
in
memoria; dopo aver risposto alla chiamata, sentì una voce
piuttosto
inaspettata:
“Pronto? Pronto? Sommo
Shinigami? Sono Mario Viverna!”
“Mario Viverna! Salve! Emh..
dica!”
“Salve! Ho saputo che state
avendo problemi con la pietra dell’altare
d’oro… è vero? È quasi una
settimana
che siete via!”
“Sì, è vero.”
“Bene, bene… se permette, sa, ho
pensato che magari potevo darle una mano. Sa, conosco un paio di metodi
che
aiutano a velocizzare la burocrazia, ed a rendere le
autorità più compiacenti…
sempre che lei accetti un discreto uso di magia. È
interessato?”
“Emh…”
Kid si sentiva preso parecchio
di sorpresa, e anche se normalmente avrebbe storto il naso di fronte
all’idea
di dover usare un sotterfugio come la magia per ottenere un permesso,
in quel
momento quella proposta gli parve un’ancora di salvezza.
“Sì, sono interessato,
accidenti. Ma solo perché è
un’emergenza.”
“Oh, bene! Ero sicuro di poter
essere utile in qualche modo!”
Kid si lasciò sfuggire un lungo
sospiro di sollievo, dopo tutto lo stress che quei giorni gli avevano
causato.
“Senta, Viverna, la attenderò
qui domani, allora. La pregherei di fare in fretta a prendere
l’aereo…”
“L’aereo? Ahahah! Signore, si
volti.”
La comunicazione fu interrotta
bruscamente, e Kid si girò verso l’ingresso della
chiesa, colto ancora di più
alla sprovvista di prima.
La porta di aprì e la figura
alta e ammantata di nero dello stregone fece il suo ingresso
nell’aria stantia
del sacro edificio. I suoi passi si persero ovattati
nell’atmosfera raccolta
della chiesa e la sua veste svolazzò fra i suoi stivali
come un paio d’ali
membranose. Kid si alzò in piedi per accoglierlo, e lo vide
infilarsi il
telefono in una delle tasche che aveva sotto il mantello, sorridendo
ammiccante; certo che quella era una bella sorpresa.
“Viverna! - esclamò Kid,
mantenendo un tono di voce adeguato al luogo di culto in cui si trovava
- …e
lei cosa ci fa già qui?”
“Mi perdoni, Sommo Shinigami, ho
solo accorciato i tempi, conoscendo la sua impazienza.”
Mario Viverna sorrise, un po’
mellifluo.
“Se non avessi assoluto bisogno
di lei, direi quasi che è inquietante, sa?”
“…ma io ero assolutamente certo
che lei aveva bisogno di me, Sommo Shinigami! Ho letto i rapporti che
arrivavano da qui. Sid Barrett me li ha mostrati.”
Kid annuì, scocciato, e lo
invitò a sedersi di fianco a lui, sulla bancata in prima
fila, davanti
all’altare. Da qualche parte, nella cripta nascosta, un
monaco iniziò ad
intonare una lenta preghiera cantata con voce morbida e profonda.
“Dunque dica, – iniziò a dire
Kid – quale sarebbe il suo piano?”
Mario Viverna aveva fissato gli
occhi gialli sull’altare d’oro, i quali sembravano
accendersi di luci riflettendone il
brillare prezioso. Probabilmente anche lui era un estimatore di oggetti
d’arte,
e il pezzo che si trovavano davanti era davvero notevole.
“Dunque, – rispose – nulla di
complesso in realtà. Si tratterà semplicemente
della mia presenza durante la
prossima discussione che lei terrà con il funzionario
comunale. Io lancerò un
incantesimo che lo renderà succube di qualsiasi decisione
lei deciderà di
prendere, ed otterrà il permesso di recuperare la pietra.
Tutto qui.”
Kid non poteva negare il
fastidio che provava nel ricorrere a mezzi tanto viscidi per ottenere
quell’artefatto magico, ma dopotutto non sarebbe successo
nulla di male. E poi,
doveva cacciarsi in testa che la DWMA aveva sempre usato meccanismi di
quel
genere, se non di peggio: era stata persino una delle cose che lo
avevano fatto
arrabbiare di più quando l’aveva scoperto da
studente.
“Bene, Viverna. Ho appuntamento
oggi pomeriggio, subito dopo pranzo. Vediamo di finire questa cosa il
prima
possibile.”
Viverna sorrise nel suo modo
mellifluo, e tornò a fissare le brillanti pietre preziose
incastonate
nell’altare.
In
un’altra parte della città,
in quel momento, Maka stava rientrando nella sua camera
d’albergo dopo una
lunga passeggiata in centro con Liz e Patty. I piedi le dolevano un
sacco e non
vedeva l’ora di gettarsi dentro una bella doccia calda.
Fece per aprire la porta del
bagno, quando si bloccò: nella fessura fra l’uscio
e il pavimento era
incastrato un foglietto di carta. Incuriosita, si chinò e lo
raccolse,
immaginando che l’avesse lasciato la cameriera per qualche
comunicazione di
servizio, e poi fosse finito lì sotto per qualche strano
motivo. Lo spiegò fra
le mani, e con un sussulto riconobbe all’istante quella
calligrafia.
Decisamente, non era la cameriera.
C’erano un paio di righe,
scritte a penna con cura, senza la firma.
Il
tuo sorriso mi rincuora,
sono felice che sia tornato.
Vorrei già rivederti.
“Che
c’è, Maka? – chiese Liz,
togliendosi i tacchi e lanciandoli in un angolo – Hai un
ammiratore segreto?”
“Eh!?”
Liz scoppiò a ridere: “Sei tutta
rossa! Hai trovato un bell’italiano? Ahahah, qui i maschi han
tutti il sangue
caldo…”
“Ma smettila! - borbottò Maka,
scandalizzata – E’ solo un messaggio della
cameriera! Dice che per oggi hanno
finito i rifornimenti di saponette… chissà come
c’è finito, là sotto la
porta.”
“Sì sì, raccontalo a qualcun
altro.” gongolò Liz, iniziando a sfilarsi i jeans
che le stringevano fin troppo
i fianchi. “Basta che ti muovi a far la doccia,
perché poi è il mio turno!”
“Sì… certo.”
Maka si sbrigò ad infilarsi nel
bagno, tenendosi stretto al petto quel bigliettino, e si
premurò di raccattare
tutte le saponette che trovò in giro e portarsele con
sé sotto la doccia, per
farle sparire il più in fretta possibile sotto
l’acqua bollente.
Kid
aveva telefonato dicendo
che, quasi sicuramente, il colloquio di quel pomeriggio sarebbe stato
il
decisivo, ed aveva spiegato il piano di Mario Viverna. Per tutto il
gruppo fu
una vera liberazione, quella telefonata: Milano era bella e tutto, ma
ognuno di
loro non vedeva l’ora di tornarsene a casa per poter
proseguire con le
indagini. Maka, poi, non vedeva l’ora di potersene stare un
po’ da sola, in un
luogo dove non era costretta a comunicare con il suo fantasma personale
su
striminziti foglietti di carta con due righe di testo per non dare
troppo
nell’occhio…
Tutti prepararono per bene le
valige prima di pranzo e, non appena fu l’ora, si diressero
tutti insieme a
piedi verso l’ufficio del responsabile della chiesa di S.
Ambrogio, che si
trovava in un edificio di fianco alla cattedrale. Solo durante il primo
colloquio si erano presentati tutti insieme, poi durante i seguenti
c’erano stati
solo Kid, Soul e a volte Maka: si era trattato veramente di
un’esperienza
frustrante. Così in gruppo, però, erano
più “intimidatori”, lo aveva detto
anche Mario Viverna.
Maka lo osservava senza farsi
notare, mentre camminavano, e pensò che, da quando
l’aveva incontrato la prima
volta, non aveva mai cambiato i suoi vestiti: era sempre ricoperto
dallo stesso
mantello di quella che pareva pelle nera, che lo ricopriva dalle spalle
fino
alle caviglie come un paio di ali da pipistrello aderenti al corpo.
Forse,
almeno sotto quel mantello si cambiava… – che
razza di pensieri cretini – In
ogni caso, quella figura nera metteva in risalto la sua magrezza e la
lieve
curvatura che la sua schiena assumeva nell’andatura, quasi
come se fosse
ingobbito.
Era uno stregone, in ogni caso,
ed era prevedibile che in fatto di look fosse eccentrico come il resto
delle
sue sorelle streghe; l’importante in lui era che potesse
usare la magia. E la
sua magia agì, in quel colloquio pomeridiano.
Il funzionario infatti cominciò
a comportarsi in modo estremamente diverso rispetto alle volte
precedenti, fin
dai primi minuti di dialogo: era un piccolo ometto rugoso con due
grosse lenti
tonde che gli nascondevano gli occhi affossati, e si limitava ad
ascoltare e ad
annuire ad ogni frase che Kid pronunciava, con espressione vagamente
istupidita. Nei giorni precedenti si era irrigidito, aveva lanciato
fiamme da
quegli occhietti da talpa, aveva urlato fino a sputacchiare, ma ora
bastarono
cinque minuti a convincerlo a prendere le chiavi del piccolo recinto in
cui era
confinato l’altare, e a guidare la comitiva dentro la chiesa
a prelevare la
pietra incantata.
Maka era senza parole, come
anche Kid, Soul e il resto del gruppo; Viverna, però, non
sembrava molto
compiaciuto, anzi: per tutto il colloquio non aveva fatto altro che
fissare
l’ometto con faccia pallida, quasi come se ne fosse
spaventato. Stava
soffrendo? Forse era quello il prezzo della sua magia…
Uscirono dal piccolo ufficio,
scesero le scale del palazzo in cui si trovava e si diressero verso la
chiesa.
Entrarono nel largo cortile che precedeva l’ingresso
dell’edificio sacro,
rossiccio di mattoni, e lo stregone si avvicinò a Kid, come
se gli volesse dire
qualcosa, ma lo shinigami per il momento era troppo impaziente di
recuperare il
manufatto per dargli retta.
Entrarono da una delle due porte
laterali, e Maka fu accolta dalla solita penombra di quella chiesa di
architettura antichissima. Fu sorpresa di notare come Viverna, adesso,
si
stesse avvicinando a lei. I suoi occhi gialli tradivano una forte
preoccupazione.
“Signorina Albarn…” mormorò,
bassissimo.
“Che ha, Viverna?” chiese la
ragazza.
“Non è normale… il funzionario
non è normale. Non ha posto la minima opposizione al mio
incantesimo…”
“E allora?”
“…di solito la mente oppone
sempre una certa resistenza, prima di cedere… ma questo qui
no, è come se
avesse la testa svuotata…è strano.”
Le labbra pallide di Mario
Viverna tremavano mentre parlava, e Maka iniziò a sentirsi
preoccupata
“Il signor Death the Kid non mi
da retta…”
“Ne parleremo non appena
recuperiamo il manufatto.”
Viverna non le rispose, si
limitò ad accelerare il passo e a mettersi di fianco a Kid e
al funzionario,
che stavano entrando nella piccola porta di metallo del recinto attorno
alla
zona dell’altare.
Tutti insieme entrarono nella
zona ristretta, e si schierarono di fronte al preziosissimo altare
d’oro e
gemme, sovrastato ed esaltato da un possente baldacchino. Il piccolo
funzionario si mise di fronte ai ragazzi, dando le spalle a cotanta
bellezza.
Sorrise, con quel fare ebete che lo caratterizzava da quel pomeriggio,
ed
estrasse da una tasca della giacca un piccolo coltello da lavoro, con
la
piccola lama opaca puntata verso il basso. Dopodiché disse:
“Con questo, procureremo quello
che è necessario.”
Quello
che Maka si aspettava di
vedere era l’ometto che si girava, si piegava ed estraeva la
loro sospirata
gemma magica con il coltellino.
Ma così non fu.
L’uomo impugnò il coltello alla
guisa di un pugnale e si lanciò contro Kid, piantandoglielo
con violenza nella
spalla, fra le urla di Liz e Patty. Lo shinigami fu colto talmente di
sorpresa che
non fece in tempo a reagire mentre la piccola lama affondava nella sua
carne,
ma spinse via in fretta il funzionario con un calcio nello stomaco non
appena
il dolore attaccò il suo sistema nervoso
Maka, dopo i primi secondi di
paralisi in cui il sangue le si era congelato nelle vene,
afferrò il polso di
Soul e lo sentì trasformarsi in gelido metallo, pronto al
combattimento.
Il funzionario fu scaraventato
dal calcio di Kid contro le prime bancate di legno, e cadendo le
sfasciò
completamente con un gran baccano. Fra il raccapriccio degli astanti
l’ometto
si rialzò in mezzo alle macerie, completamente illeso e con
quel sorriso ebete
sempre stampato in faccia, sporcato dal sangue rosso di Kid.
Maledizione!
Corrispondeva esattamente alla
descrizione di uno degli emissari del Demone.
Alzatosi, l’ometto si scagliò con
velocità soprumana contro Maka, la quale prontamente
sollevò la falce per
rispondere all’attacco, ma accadde qualcosa.
Maka percepì una nota di terrore
attraversarla completamente, dalla testa ai piedi, e le tremarono le
mani. Soul
cadde al suolo con un tintinnio metallico, e si ritrasformò
all’istante nella
sua forma umana. Non si alzò, rimase accucciato al terreno,
scosso da violenti
tremori.
Anche l’ometto si era
immobilizzato, con lo sguardo fisso nel vuoto, come anche tutti gli
altri
presenti. Liz, che si era chinata su Kid per assisterlo, gli
affondò le unghie
nella spalla, paralizzata.
Un’onda di gelo stava investendo
la chiesa, oscurando la luce, annullando la vita.
Maka percepì Viverna che
balbettava, terrorizzato, da qualche parte dietro di lei:
“Oh, no… oh, no…”
Il gracile funzionario dallo
sguardo fisso strinse le mani convulsamente attorno alla sua piccola
arma, e la
sua espressione vacua parve congestionarsi, come se un insopportabile
dolore
avesse iniziato a martellargli dentro la testa. Digrignò i
denti con un guaito,
arricciò il naso, iniziò a tremare forte ed i
suoi occhi si tesero così tanto negli
spasmi che le due orbite iniziarono a scardinarsi dalla loro posizione
naturale.
All’improvviso urlò, esplodendo
tutta la sua follia in un animalesco grido di puro dolore.
La maestra di falce osservava
quello spettacolo orribile a occhi spalancati, con quel grido orrendo
che le
graffiava l’anima, divorata dall’orrore.
“Tieni
giù le mani da Maka
Albarn, insetto.”
L’oscurità
che aveva pervaso la
chiesa si condensò sopra la testa della creatura in agonia,
acquistando
sostanza, e si trasformò in una mano bianchissima,
scheletrica, tesa e
minacciosa come gli artigli un rapace sanguinario.
Tutti i presenti ammutolirono,
Maka per prima.
Mario Viverna si lanciò al
suolo, tenendosi la testa fra le mani, e le sue grida si unirono a
quelle del
povero funzionario:
“Il
Demone!”
Zona
Autrice
Ciao
a tutti
e buon lunedì!
Eccoci qui con il nostro aggiornamento, che stavolta lascia parecchio
la scena in sospeso...
Ma passiamo alle cose importanti. I questa fase della storia
compaiono due chiese di Milano, che come avete letto sono il Duomo e
St. Ambrogio; ho insistito con l'ambientazione in luoghi sacri sia
perché studio a Milano e la conosco bene - dah -, sia
perché Chrona pare avere una fascinazione tutta sua nel
comparire in quei posti - aggiungiamo che a parer mio Okhubo si sia
ispirato molto al cattolicesimo per crearla, insomma, ha su un vestito
che pare da suora e il suo tema musicale nell'anime altro non
è che l'Ave Maria cantato in italiano (sbagliatissimo tra
l'altro, ma italiano è) ... non ci credete? Cliccate
qui e affinate le orecchie! XD In ogni caso, fa un bellissimo
contrasto con la madre strega. Ma torniamo alle chiese. Il Duomo l'ho
scelto perché è una meravigliosa cattedrale
gotica -
e Chrona emana la goticaggine da ogni poro della pelle -, mentre St.
Ambrogio mi ha sempre affascinato per la pace che mi trasmette la sua
architettura per per il suo meraviglioso altare d'oro. Il suo unico
problema sono i campanili. Andiamo, non farebbero impazzire anche voi?
XD
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Capitolo 11 *** Kishin! ***
Kishin!
La
mano bianca artigliava l’aria
sopra la testa grigia del piccolo funzionario impazzito, tesa in uno
spasimo di
potenza e tendini, quasi come se gli stesse risucchiando fuori
l’anima.
L’uomo
resse quell’orribile
condizione per qualche secondo ancora, poi le sue urla si spensero e i
suoi
occhi si ribaltarono all’indietro mentre perdeva i sensi. Il
suo corpo si
afflosciò da un lato inerme, come un sacco vuoto, e dietro
di lui il Demone
apparve alla vista: un’alta
figura ricoperta di
nero, magra e sinuosa, con la pelle bianca di un cadavere e due orbite
nere
come pozzi infernali; in mezzo alla sua fronte si agitava convulsamente
l’allucinazione di un terzo occhio, spalancato e terribile.
Mario
Viverna ancora strillava,
con le mani fra i capelli, mentre tutti gli altri non riuscivano a
capacitarsi
di quello che si era appena manifestato alla loro vista.
Perché, in realtà,
tutti loro la conoscevano benissimo
“Chrona
Gorgon!”
Sillabò
Death the Kid, con lo
sguardo febbricitante piantato nel secondo Kishin.
Maka
deglutì, stringendosi le
braccia per farle smettere di tremare.
Chrona
abbassò la mano, e restituì
in silenzio lo sguardo a Death the Kid, stringendo le dita a pugno. La
sua
espressione era terribile, diversa da quella che i suoi vecchi amici
ricordavano: era contratta, quasi rabbiosa.
Fu
un attimo. Un gesto fu
sufficiente a far brillare il suo corpo, che si dissolse come un soffio
di fumo
sospinto dal vento, lasciando solo un profondo silenzio e un senso di
vuotezza
pressante fra i colonnati echeggianti.
Kid
si era alzato per fermarla,
ma era troppo tardi: Chrona era appena svanita, come un fantasma.
“Maledizione…”
mormorò fra i
denti.
Ci
volle qualche secondo ai
ragazzi della DWMA per riprendersi da quella terrificante esperienza e
per fare
il punto della situazione; il funzionario era rimasto svenuto, al
suolo, e non
dava cenni di svegliarsi e tornare ad essere pericoloso. Maka si
affrettò presso
Mario Viverna, il quale se ne stava ancora accucciato ginocchioni con
la testa
fra le mani, in preda allo shock, mentre Liz tornò al fianco
di Kid per
controllare la sua ferita alla spalla. Soul si affrettò a
togliere il coltello
dalle mani del funzionario milanese e poi, insieme a Patty,
trovò il modo di
legarlo e ammanettarlo in modo tale che, nel caso avesse ripreso i
sensi,
sarebbe rimasto comunque innocuo.
“Io
l’avevo detto… io l’avevo
detto…” continuava a ripetere Viverna, nonostante
Maka facesse tutto ciò che
poteva per cercare di tranquillizzarlo.
“Io
l’avevo detto che quell’uomo
non era normale…era sotto il controllo del
Demone…e il Demone è apparso per
farci impazzire tutti…”
“Viverna,
mi dica qual è la
pietra che devo staccare.” chiese Soul, che si era avvicinato
a Maka e allo
stregone stringendo risoluto il coltello nella mano. Anche lui sembrava
molto
pallido, nonostante la determinazione nei suoi occhi sanguigni.
“Lato
destro, la terza a partire
dall’alto della croce intarsiata. Dovrebbe essere blu e
più piccola delle
altre.”
“Bene.”
Soul
si apprestò a cercare la
gemma sul preziosissimo altare d’oro, mentre Kid nel
frattempo si avvicinava,
sostenuto da Liz e Patty, stringendosi un fazzoletto sulla ferita;
sembrava
patire una forte sofferenza, nonostante avesse subito senza troppi
problemi colpi
ben peggiori di quello. Maka gli chiese se poteva fare qualcosa, ma lui
rispose
che non era nulla, nonostante un pallore preoccupante continuasse ad
avanzargli
sul volto.
“Piuttosto,
– aggiunse,
amaramente - abbiamo trovato Chrona.”
Maka
strinse le labbra fino a
sbiancarsele, trattenendo un sospiro.
“Cercava
di proteggermi.”
mormorò, con un filo di voce.
Kid
non ebbe il tempo di
rispondere, poiché un’imprecazione di Soul lo
interruppe risuonando fra le
pareti di quel luogo sacro.
“La
gemma non c’è! Merda!”
“L’ha
presa il Demone… è venuto
a prendersela apposta!” farfugliò Viverna,
pallidissimo, mentre una terribile
consapevolezza si abbatteva addosso a tutti gli ex studenti della DWMA.
Il
Demone che stavano inseguendo
era Chrona.
Lei
cercava solo di proteggermi…
La
situazione non poteva essere
più tesa di così.
Mario
Viverna continuava a
rimanere in stato di shock, con lo sguardo fisso e le mani tremebonde,
anche
seduto sulla poltroncina nella camera d’albergo di Kid. Era
normale: durante
l’assalto lo stregone era collegato alla mente del
funzionario milanese per
tramite del suo piccolo incantesimo di persuasione – a suo
dire – e quindi
aveva percepito una forte sofferenza che ancora non lo abbandonava.
Kid,
Maka e Soul discutevano
animatamente, in piedi, mentre la luce pomeridiana si intrometteva fra
le
tendine alla finestra, allungando le loro ombre fin sopra i muri.
“Non
giungete a conclusioni
affrettate! - stava
esclamando Maka,
gesticolando – Chrona non ha fatto altro che proteggere me!
Non ce l’avete più
un senso logico!?”
“Stai
scherzando, Maka!? Che mi
dici della gemma? L’ha fatta sparire! - rispose Kid, con il
tono di chi stava
cominciando ad arrabbiarsi. - Ce l’ha fatta sotto al
naso!”
“…e
allora che senso avrebbe
avuto ridurre in quello stato il signor funzionario!? Me lo dici? Ma
non l’hai
sentito quello che ha detto?” Maka aveva alzato
progressivamente il livello
della voce, fino quasi a mettersi ad urlare.
Soul
le appoggiò una mano sulla
spalla, facendola calmare. Era molto serio.
“Maka,
finiscila. So benissimo
che tieni a quella ragazza, ma ormai è piuttosto evidente
che sia lei la
colpevole. Apri gli occhi.”
“No,
tu apri gli occhi! Lei è
innocente!”
“…e
quali prove avremmo? – si
intromise Kid – Dimmi, io non ci arrivo. Tutti i nostri
indizi conducono a
lei.”
“Io…”
Maka
arrossì violentemente, e si
staccò la mano di Soul dalla spalla.
“Ehi,
si può sapere ora che
hai?”
“Io
le ho parlato.”
Maka
aveva la voce rotta, e
teneva gli occhi piantati sul pavimento. Kid e Soul si zittirono.
“L’ho
incontrata, qualche notte
fa… e sì, mi ha detto che si è
trasformata nel secondo Kishin. Ma mi ha detto
anche che non c’entra nulla con le gemme. Sente la presenza
del vero colpevole
vicino a me e mi segue per proteggermi.”
Soul
sospirò, alzando gli occhi
al cielo, e Kid si nascose la faccia tra le mani, mormorando
imprecazioni.
“Sei
diventata matta!? – la
rimproverò Soul – Perché diavolo non ce
l’hai detto subito!?”
“Proprio
per questo motivo! –
esclamò la ragazza, staccando gli occhi dal suolo e
piantandoli ferocemente in
quelli sanguigni della sua falce – Perché era
ovvio che l’avreste accusata! È
diventata il Kishin, non l’avreste mai lasciata in pace, voi!”
“Noi!?
– urlò Kid,
esasperato – Maka, ma di cosa stiamo parlando? Delle persone
sono morte,
capito!? Morte! Non difenderai mica un
assassino!?”
“Lei
non è un assassino!”
strillò la ragazza, paonazza di rabbia, la quale
però si sentì subito frenata
dalla mano calda di Soul, che di nuovo le si era appoggiata sulla
spalla.
“Ora
basta, abbassiamo i toni.”
disse il ragazzo con la sua voce profonda, sovrastando Maka con tutta
la sua
statura. Stava guardando anche Kid, il quale fece un profondo respiro e
andò a
sedersi sul lato del letto, reggendosi la testa. Il Sommo Shinigami si
era
fatto medicare il taglio procurategli dal funzionario milanese, una
ferita piccola
ma profonda di diversi centimetri, tuttavia, nonostante lo negasse,
continuava
ad essere molto pallido e molto sofferente.
Anche
Maka cercò di far sbollire
la furia che la invadeva come un incendio, e le fu più
facile entrando in
contatto con l’anima di Soul, il quale la stava guardando con
una calma
rassicurante. Bastarono un paio di momenti di silenzio per ritrovare
un’atmosfera da discussione civile.
“Chrona
mi ha detto che vuole
solo proteggermi.” Ripeté Maka, a bassa voce.
Soul
Eater sorrise, e strinse
affettuosamente la mano sulla spalla della sua maestra:
“Ma
certo che vuole proteggerti,
l’abbiamo vista tutti. È intervenuta non appena il
funzionario a cercato di
attaccarti.”
Maka
cacciò un sospiro,
sentendosi più leggera, ma la falce non aveva ancora
terminato il discorso:
“Tuttavia,
deve averti mentito
sulla sua innocenza. È ovvio che non avrebbe mai potuto
dirti di essere la
colpevole, anche se desidera che non ti sia fatto nulla di male. Non ci
hai
pensato? Quella ragazza era ossessionata da te, non mi sorprenderebbe
che tu
facessi parte di un qualche suo strano piano. Se è
intervenuta, forse è perché
il funzionario ha fatto il fatale errore di attaccare proprio te, e ha
preferito liberarsene subito.”
Maka
non rispose, si limitò a
fare gesto di “no” con la testa. Man mano che Soul
Eater parlava, si era
ricoperta di sudore freddo, e aveva iniziato a tremare. Kid era rimasto
in
silenzio. Prima di potersene rendere conto, Maka si trovò
fra le braccia di
Soul, che la cingevano come una accogliente gabbia di protezione.
“So
che stai molto male per
colpa sua. – disse il ragazzo – Non le dobbiamo
permettere di portare di nuovo
il caos, sia come Kishin sia come figlia impazzita di una strega. Mi
dispiace
tantissimo, ma purtroppo bisogna accettare la
realtà.”
Maka
rimase in silenzio.
Il
gruppo della DWMA partì per
tornare in Nevada poche ore dopo l’incidente dentro S.
Ambrogio, portandosi
dietro in stato di arresto il funzionario che era stato posseduto dal
Demone.
L’uomo rimase privo di sensi a lungo e si
risvegliò dal suo stato di
incoscienza inquieta solo parecchie ore dopo l’arrivo a Death
City. Come
volevasi dimostrare, non aveva assolutamente memoria
dell’accaduto, se non un
terribile stato di dolore e confusione mentale risalente ai pochi
secondi in
cui era stato sotto l’influenza di Chrona Gorgon.
La
notizia che la gemma
dell’altare d’oro era stata rimossa, durante
l’attacco dell’uomo, fece rodere
il fegato a tutti gli agenti della scuola; la rivelazione che il
principale
sospettato fosse proprio Chrona, invece, addolorò parecchi
dei suoi vecchi
amici. Black*Star e Tsubaki furono esterrefatti dalla scoperta e
promisero che
si sarebbero accollati loro la responsabilità di trovare e
sconfiggere il
Secondo Kishin, evitando a Maka questa dolorosissima incombenza.
Black*Star,
dopotutto, si era allenato proprio in vista di un combattimento contro
il
Demone, in tutti quegli anni… il fatto che il titolo di
Ashura fosse stato
ereditato dalla timida figlia di Medusa, ormai, non faceva molta
differenza.
Nonostante
questa disavventura,
in ogni caso, ben due delle gemme magiche si trovavano al sicuro dentro
le
migliori casseforti della DWMA, e il colpevole aveva scelto di
manifestarsi; complessivamente
non poteva certo dirsi un insuccesso.
Kid
stabilì di sorvegliare le
pietre notte e giorno e di stare sempre in guardia: era sicuro che il
Demone si
sarebbe presentato per impossessarsi anche degli artefatti che gli
mancavano, e
lo shinigami si sarebbe trovato prontissimo ad accoglierlo. A quel
punto,
avrebbero catturato Chrona e l’avrebbero sigillata.
Maka
Albarn pareva molto meno
turbata di quello che tutti temevano, considerato il crollo psicologico
che
aveva subito solo qualche settimana prima, e aveva assistito a tutte le
operazioni in un ostinato silenzio, a testa bassa. Soul spesso si
chiedeva cosa
diavolo le passasse per la testa, quella testolina cocciuta che lui
negli anni
aveva imparato a leggere come un libro aperto, ma che ora gli sembrava
incomprensibile.
La
ragazza, non vista, una
mattina prima di uscire per andare al lavoro lasciò sul
davanzale un foglietto
di block notes giallo flou, con una sola frase scritta a matita, che
Blair non
notò nemmeno quando passò per spolverare.
“Devo
parlarti.”
Mi
sento la testa scoppiare, chiariamo questa cosa.
Sarò
anche pazza, ma non riesco a non fidarmi di te. Tieni la mia vita fra
le tue
mani, potresti uccidermi solo stringendo un po’.
Sì,
sono decisamente impazzita.
Blair
era appena uscita,
agghindata di tutto punto per i suoi lavoretti notturni.
Maka
si alzò dal divano e iniziò
a chiudere tutte le finestre della casa, sbarrando pesantemente le
imposte, per
poi dirigersi verso il davanzale dell’unica rimasta aperta,
quella da cui aveva
sempre ammirato la Luna. Spalancò i vetri, appoggiandosi poi
coi gomiti sulla
dura roccia e sporgendosi all’esterno, tesa
dall’emozione.
Era
sicura che Chrona avesse
letto il messaggio che le aveva lasciato e sapeva che quella notte il
secondo
Kishin sarebbe venuto a trovarla.
Per
qualche motivo, Maka si
aspettava di vederla scendere in volo dagli alti tetti dei palazzi,
come se fosse
discesa direttamente dalla Luna, planando con le sue immense ali nere,
e
anticipava con il cuore in gola il momento in cui l’avrebbe
fatta entrare in
casa, passando proprio da quella finestra.
I
minuti passarono, e
l’impazienza di Maka cominciò a farsi
insopportabile.
All’improvviso
una voce
familiare, esile e tranquilla, la raggiunse dalle sue spalle suonando
leggermente stranita:
“Che
fai alla finestra, Maka?
C’è una bella Luna?”
La
ragazza sussultò e si voltò,
trovandosi davanti la sua amica demoniaca che la osservava, in piedi in
mezzo
al soggiorno, avvolta nel suo abito nero che copriva ogni centimetro di
pelle
dal collo in giù, un po’ imbarazzata ma
sorridente. Alla fine eccola lì,
puntuale e vera come un sogno ricorrente che rifiuta di arrendersi alla
veglia.
Maka non riuscì a trattenersi dal sorridere a sua volta,
vedendola così,
nonostante tutto il terrore che aveva sentito nel cuore quando era
apparsa per
fermare il funzionario posseduto.
“Emh…
- rispose, chiudendo
all’istante vetri e imposte - …veramente ti stavo
aspettando…sei qui da molto?”
“Uhm,
no…”
“Ok,
fantastico.”
Maka,
voltandosi velocemente -
fuori dalla vista del Demone –, prese un profondo respiro per
calmare
l’agitazione e sbarrò per bene le chiusure delle
finestre, rendendo impossibile
a qualsivoglia passante di intravedere negli interni
dell’appartamento. Nessuno
doveva sapere che Chrona era lì, o sarebbero stati guai
enormi per entrambe. Anche
Chrona sembrava rendersene perfettamente conto: infatti la sua anima
ingombrante risultava decisamente meno percepibile rispetto
all’ultima volta
che si erano incontrate.
“Hai
imparato lo Scudo
dell’Anima?” chiese Maka, sinceramente ammirata.
Le
labbra della figlia della
strega si incurvarono in un lieve sorriso senza allegria:
“Non
proprio. È complicato. Ti
spiegherò tutto, se vuoi.”
“Magari
dopo. Ora devo chiederti
una cosa importante.”
Tra
le due calò un breve
silenzio, mentre l’espressione di Chrona si avviliva,
presagendo quale sarebbe
stato il prossimo argomento, e Maka si preparava a parlare incrociando
le
braccia . Il cuore le martellava nel petto a velocità
imbarazzante, ma doveva
calmarsi. Quella era solo una conferma, nient’altro. Maka non
stava rischiando
di morire, né stava parlando con una spietata assassina a
sangue freddo. Si
aggrappava a quella convinzione con tutta se stessa.
“Death
the Kid è convinto che tu
sia la colpevole dei furti e degli omicidi.”
sillabò, cercando in tutti i modi
di trattenere il tremolio nella sua voce chiara.
La
ragazza dai capelli rosa
abbassò gli occhi a terra, afflitta.
“Soul
è convinto che tu mi stia
ingannando.”
“Ho
sbagliato, vero…? – Chrona
si morse le labbra, strizzando gli occhi per il rimorso, e Maka fu
punta da una
fitta acuta nel petto – Non avrei dovuto manifestarmi, ma eri
in pericolo. Non
ho potuto trattenermi. È stato un disastro, ho avuto
talmente paura della
reazione di Kid che mi sono dileguata, ero arrabbiata e confusa, e mi
sono
accorta troppo tardi che tutti quanti mi stavate fissando. Sono un
macello…”
Maka
sospirò, rilassando
leggermente le braccia che teneva incrociate sul petto. Quel viso
feroce,
quegli occhi contratti che aveva visto davanti all’altare
d’oro in realtà erano
sorpresa, incertezza per una trappola che il caso aveva teso per lei.
“…non
preoccuparti, ora capisco.
Sarai stata colta all’improvviso esattamente quanto noi,
Chrona.”
“Sì,
proprio così. Mi dispiace…”
Maka
percepì istantaneamente la
sua anima già alleggerita divenire frizzante:
“Perché
dovrebbe dispiacerti? Mi
stavi salvando la vita!”
Si
sedette sul divano, invitando
la sua amica a imitarla. In quella posizione sembrava tutto
più normale, quasi
come una chiacchierata pomeridiana davanti a un tè e
pasticcini. Chrona
sorrise, di nuovo, e Maka sentì gli ultimi dubbi rimasti
sciogliersi del tutto,
insieme al calore che quella timida ragazza era in grado di
trasmetterle.
“Tranquilla,
troveremo una
soluzione. Volevo parlarti apposta per questo.”
“Sono
felice, Maka. Da sola
combino solo disastri, come al solito.”
“E’
un disastro che abbiamo
combinato in due, e in due lo risolveremo!”
Maka
si sentiva fiduciosa.
Trovarsi Chrona davanti, viva e con le gote colorate di una tenue tinta
violacea – non avrebbe mai potuto arrossire, a causa del
colore nero che le
scorreva dentro le vene, mantenendo la sua pelle pallida e trasparente
come
quella di un fantasma – le sembrava ancora un miracolo.
“Sai
per caso qualcosa sulla
pietra magica dell’altare d’oro?”
“Quella
che è scomparsa?”
“Sì.”
“Ho
sentito che ne parlavate. Io
non l’ho nemmeno toccata, ma ho dei sospetti. Kid mi ha molto
sorpresa, in
quella circostanza… non ha nemmeno controllato nelle tasche
del funzionario! Se
quando l’avete incontrato era già posseduto dal
Demone, magari l’aveva già
recuperata prima e nascosta da qualche parte.”
“Hai
ragione! - esclamò Maka,
battendosi una mano sulla testa. – Perché diavolo
non ci ho pensato io?”
“Temo
che Kid non ti avrebbe
nemmeno dato retta, mi sembra molto agitato da quando mi ha
vista.”
Era
vero. Il sommo Shinigami ora
mirava soltanto a catturare il colpevole con il suo piano-trappola,
mosso dalla
ferrea volontà di giustizia nata nel momento in cui si era
convinto che la
colpevole era Chrona. La sua determinazione era estremamente lodevole,
ma in
quella determinata circostanza non faceva altro che complicare le cose.
“Io
ho un’idea, Chrona.”
Maka
la guardò dritta negli
occhi e l’altra sostenne il suo sguardo, attenta.
“Abbiamo
tenuto nascosto il
fatto che tu sei diventata il Kishin finché non lo sapeva
ancora nessuno, ma
adesso non ha più senso scappare. Ormai lo sanno tutti e,
per qualche accidenti
di motivo, sono convinti che tu abbia qualche strano piano malefico in
mente.
Ma io so che non è vero, tu sei innocente. Anzi, puoi
aiutarci a trovare il
vero colpevole.”
Chrona
ascoltava Maka in
silenzio, seria.
“Sono
convinta che la cosa
migliore da fare sia quella di presentarci, insieme, a Death the Kid e
di
spiegargli come stanno le cose. In realtà sarebbe stata la
cosa migliore da
fare fin dall’inizio…ma ora direi che è
l’unica alternativa. Se la DWMA
continua a fissarsi su di te non andremo da nessuna parte, e il vero
colpevole
resterà a piede libero.”
Chrona
rimase in silenzio
qualche secondo, dopo che Maka aveva terminato di parlare, con gli
enormi occhi
neri fissati nel suo volto. La meister trattenne un sospiro: si era
quasi
aspettata di vederla impallidire e ritrarsi, di sentirla protestare
debolmente
con il terrore nella voce contro l’approccio diretto che si
proponevano di
usare, come avrebbe sicuramente agito quando erano ancora delle
ragazzine, ma
così non fu.
“Hai
così tanta fiducia nella
DWMA, Maka? – chiese, mesta – Credi veramente che
il sommo Shinigami possa
accettarmi come sua alleata, io che sono diventata la creatura che per
antonomasia si oppone all’ordine che lui protegge? In fondo,
tutti gli indizi
indicano me come colpevole, e io non posso provare di non
esserlo.”
“Credo
che solo il fatto di
presentarti di tua spontanea volontà sia una prova evidente
della tua
innocenza. Dopotutto, non hai nulla da nascondere, no?”
“…no.”
“Ecco!
Anche se gli altri ora si
sono fatti un’idea sbagliata, ho fiducia che tutti insieme
possiamo raggiungere
la verità. Non avere paura.”
“Io
non ho paura. – Chrona spostò
lo sguardo sul tavolino, dove era poggiata una fotografia incorniciata
che ritraeva
Maka e i suoi compagni nel giorno del diploma, felici e sorridenti
– Ho solo
meno fiducia di te, tutto qui. Facciamo come dici tu, però.
Hai ragione,
continuare a scappare non porterebbe a nulla di buono, ormai.”
Maka
fu compiaciuta che la sua
idea fosse stata accolta così facilmente, con molta meno
fatica di quella che
si era aspettata di dover spendere, anche se la risposta di Chrona
l’aveva
lasciata senza parole. Era cambiata, per davvero, come se il potere del
Kishin
avesse finalmente annullato parte delle sue fobie patologiche.
“Bene,
allora. Lo facciamo
domani mattina?”
“Come
vuoi tu.”
Chrona
fece per alzarsi dal
divano, ma Maka la afferrò per un polso, trattenendola, con
il cuore che
tornava a martellarle in gola in quel modo così sconveniente
e fuori luogo.
Voleva godere della presenza della sua migliore amica il più
a lungo possibile,
ora che finalmente erano insieme.
“Lo
vorresti un the? … Blair
tornerà poco prima dell’alba. Restiamo ancora un
po’ a chiacchierare, voglio
chiederti un sacco di cose.”
Il
secondo Kishin voltò la testa
a guardarla, sorpresa, con gli occhi che luccicavano; le sue gote
pallide si
colorarono di chiazze viola, e parve quasi reprimere un tremito prima
di
rispondere, con un ampio sorriso:
“Sì,
sì certo! Con immenso piacere!”
Spazio
Autrice
Buon
lunedì a tutti!
Considerato il fatto che sto interrompendo il mio lavoro sulla tesi di
laurea
per aggiornare questo capitolo, purtroppo non ho molto tempo e molte
idee su
cosa aggiungere qui sotto, mi spiace :P
Ne approfitterò allora per ringraziare tutti i miei lettori,
dal primo
all'ultimo, e sopratutto BBola,
ShiNear
e BlackPapermoon_,
che hanno voluto lasciarmi qualche recensione per dirmi quello che ne
pensavano
di questa storia! Una menzione speciale, inoltre, a
Emmevic e a Holy
Hippolyta, alle quali
ho sfracassato le ovaie per un sacco di tempo con questa cosa che stavo
scrivendo e mi hanno dato retta - perdonatemi, sappiate che vi amo per
questo
<3 -
Buona settimana a tutti dunque, e a lunedì prossimo!
Bye!
ps.
Maka e
Chrona sono troppo carine a fine capitolo, scusatemi. Ho dovuto
disegnare
quella scena a fumetti per poter sopportare tanta pucciosità
- ma non la metto
qui perché ho aggiunto una cosuccia che potrebbe rivelarsi
spoiler XD
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Capitolo 12 *** The point of not return. ***
The point of not return.
“Cos’hai
fatto in tre anni, tutta sola, sulla Luna?”
“E’
difficile da spiegare…ho lottato. Non ero viva, ma nemmeno
morta. Il mio corpo
si era disfatto in mille brandelli, ma la mia coscienza è
rimasta tenacemente
aggrappata a se stessa, come un fuoco fatuo disperso in una palude
nebbiosa.
Non avevo paura, non più, dovevo solo resistere, tenere il
mio sangue compresso,
compatto come una prigione infernale. Non è stato semplice,
ma il potere del
Brew e la mia volontà di non arrendermi mi hanno aiutata.
Ashura,
l’Indice, il Brew, Ragnarok, Chrona… nulla era
più definito, tutto era una cosa
sola, amalgamato nello stesso oceano nero.
Io
ero quel tutto, la mia coscienza pervadeva ogni entità, ogni
singola goccia del
mio sangue.
Durò
poco, però, perché Ashura non aveva alcuna
intenzione di restare imprigionato e
sottomesso a me.
Eravamo
fusi insieme, ormai, fin da quando l’avevo ingoiato la prima
volta, e tentò in
tutti i modi di schiacciarmi e divorarmi, di sciogliere nel sangue
anche quel
poco che restava di me, quel ricordo di una vita, quella
volontà di non morire.
Non
avevamo braccia e gambe per colpirci, né denti per morderci
o occhi per minacciarci,
ma sapevamo entrambi
che, se uno dei due
voleva sopravvivere, allora l’altro doveva soccombere.
La
sua coscienza, sforzo dopo sforzo, lentamente si sciolse: io riuscii a
vincerlo
in resistenza.
Penso
che sia stato molto più sfortunato di me, che al contrario
di lui avevo ragioni
forti e insostituibili per rimanere aggrappata alla vita.
Insomma,
mi avevi detto di aspettarti…
Oltre
a lottare per rimanere me stessa guardavo anche sulla Terra, ogni
tanto, espandevo
le mie sensazioni fin qui. Non ho mai captato molto, ma te
sì, Maka…riuscivo a
sentire la tua anima e mi davi coraggio, mi regalavi la forza per
sconfiggere
Ashura.
Quando
ho sentito l’anima minacciosa che si stava avvicinando a te
mi sono sentita in
dovere di intervenire, ormai il vecchio Kishin si era dissolto da tempo
e io
avevo il pieno controllo di tutte le entità che avevo
assorbito e sciolto nel
mio sangue.
Grazie
ai poteri che mi ha donato il Brew ho ricomposto il mio corpo, e ho
cessato di
essere solo un’anima, tornando a essere viva.
È
strano, in effetti, poter di nuovo vedere coi miei occhi, ascoltare i
suoni del
mondo, percepire il sangue che mi scorre nelle vene. Non avevo idea di
essere
in grado di farlo, eppure…eccomi qui.”
“Caspita…”
Cariddi
osservava rapita le sue
due piccole compagne che si allenavano nel centro del cortile insieme
ai loro
partner, appollaiata sul muretto che proteggeva gli occupanti del
giardino
pensile da una caduta a strapiombo sui tetti di Death City. Si
trovavano su uno
dei tanti balconi verdi della scuola, dato che la lezione mattutina era
saltata
a causa dell’assenza della professoressa Marie: da un paio di
giorni i
professori erano tutti occupati in una grossa operazione messa in piedi
da Kid
per catturare il ladro delle pietre magiche.
La Gorgon teneva un grosso libro
polveroso sulle ginocchia, pescato da una sezione semi-dimenticata
della
biblioteca, ma stava ignorando il contenuto delle sue ruvide pagine di
pergamena; si era ripromessa di fare delle ricerche, tanto per darsi la
sensazione di stare facendo qualche progresso, prima di perdersi nella
contemplazione
delle sue sorelle streghe.
Era l’unica del suo gruppo a
essere ancora da sola.
Amber volteggiava sottoforma di
arma tra le mani esperte del suo maestro Em-Ni, il quale sperimentava
le sue
capacità da muta-forma chiedendole di trasformarsi in
un’arma diversa ogni due
o tre minuti. Erano diventati una bella coppia, quei due, e facevano
progressi
da gigante. Carrie, dal canto suo, stava in piedi in un cantuccio sotto
l’ombra
degli alberi testando la robustezza del suo compagno – che si
trasformava in un
grosso martello – picchiandolo con energia contro dei sassi
che si era portata
dietro, nel tentativo di romperli con un colpo solo. Non sembrava un
esercizio
particolarmente utile, ma evidentemente Carrie la pensava diversamente;
era
sempre stata un po’ strana…
Cariddi pensò che negli ultimi
tempi fosse diventata ancora più silenziosa del solito,
forse perché non era abituata ad avere
tutta quella gente attorno a lei. Mario Viverna era parecchio
preoccupato,
pensava che non si stesse allenando abbastanza per sviluppare le sue
doti
telecinetiche. Poco male, pensava la Gorgon, si trovavano in una scuola
in cui
i poteri si sviluppano in squadra, non singolarmente: quella era uno
degli aspetti
che preferiva della DWMA. Carrie ci avrebbe fatto
l’abitudine, e avrebbe smesso
di fissare tutte le persone con quei suoi occhi senza colore,
spiritati,
terrorizzando chiunque cercasse di rivolgerle la parola.
Mentre la Gorgon riapriva
l’antico libro che teneva appoggiato sulle ginocchia, una
scarica lancinante le
perforò all’improvviso tutti i canali di
percezione che teneva aperti, come un
fulmine sulla schiena a ciel sereno. Il libro le cadde dalle mani,
mentre un
intenso tremore prendeva possesso delle sue membra: con
un’occhiata si rese
conto che anche le altre sue sorelline streghe stavano avvertendo
quella
sensazione.
Era terrificante, come il
presagio di un orrendo baratro senza paratie, una fossa infernale in
cui si
agitava un potere che distruggeva, pezzetto dopo pezzetto, qualsiasi
anima che
non avesse natura divina. Era uno dei naturali nemici delle streghe e,
purtroppo, Cariddi ricordava perfettamente quella sensazione.
“Non può essere…”
mormorò tra sé
e sé, saltando giù dal muretto.
Corse verso l’ingresso, dove
sentiva che si stava avvicinando quell’anima demoniaca,
ansiosa per quello che
potenzialmente stava per accadere e pronta se possibile a intervenire.
Mai avrebbe potuto immaginare
quanto l’avrebbe sconvolta quello che lei e una folla di
studenti avrebbero
visto davanti all’ingresso, che sarebbe rimasto stampato nei
ricordi della
scuola negli anni a venire.
“…tu
forse pensi che io non sia cambiata, Maka, ma non è
così.
Tutto
è cambiato.
Non
ho avuto altra scelta, ma da quando ho spiccato il balzo per le
tenebre, tre
anni fa, non sono più potuta tornare indietro. Non
sarò mai più quella di
prima.”
Maka
aveva visto la sua migliore
amica materializzarsi di fianco a lei, alla base dell’alta
scalinata che si
arrampicava fino alle porte della scuola.
Chrona apparve prima come
sensazione, come una pressione nel tessuto della realtà, poi
una luce
lancinante accecò la vista della meister, materializzandosi
in forma di
luminose membra femminili coperte all’istante da un velo di
oscurità liquida,
sgorgata dal nulla, che la avvolsero come uno stretto abito. Uno
strascico nero
attaccato sulle spalle della fanciulla, le sue ali di Demone, per una
frazione
di secondo volteggiarono nell’aria prima di avvolgersi
strettamente attorno
alla sua vita e fondersi con la sua veste di sangue nero.
La sua anima si espanse
all’istante sopra Death City come un cataclisma, e
investì in pieno Maka che le
stava accanto, in piedi.
La giovane meister per un
secondo si chiese se quella era stata davvero una buona idea.
Chrona guardava dritto in
direzione della DWMA ma si voltò subito in direzione di
Maka, con un sorrisino
rassicurante sul volto, cercando probabilmente un incoraggiamento; la
giovane
Albarn si fece forza e la prese per mano, inspirò
profondamente e iniziò con
lei la lenta scalata verso la cima.
Sapeva bene che quello era un
momento decisivo, dal quale non si poteva tornare indietro.
Presto videro qualche studente che
scendeva le scale, venendo loro incontro, rimanere a bocca spalancata a
fissarle. Alcuni scappavano, dopo essere sopraggiunti per scoprire la
fonte di
quelle onde d’anima demoniache, altri rimanevano
semplicemente a guardarle,
attoniti.
Passo dopo passo, salivano
sempre più su.
Le scale iniziarono a riempirsi
di curiosi, scesero perfino alcuni agenti armati, ma nessuno ebbe il
coraggio
di mettersi sul cammino delle due: semplicemente, si limitarono a fare
da ala, lasciando
libero il passaggio ai loro passi.
Maka percepì perfettamente
quello che si stava preparando ad accoglierle, in cima, e
deglutì per tentare
di domare la tensione che stava iniziando a tendere i suoi nervi sempre
di più:
si stava lentamente rendendo conto che la reazione
all’apparizione di Chrona si
sarebbe rivelata molto più drammatica di quello che si era
aspettata. Si voltò
a guardare la sua amica e notò con sorpresa che sul suo
volto non compariva
nemmeno un’ombra della preoccupazione che sentiva lei;
piuttosto, i suoi occhi
brillavano sempre più freddi, sempre più duri.
Anche il secondo Kishin si
rendeva conto che nessuno l’avrebbe accolta a mente libera,
come si era
augurata Maka.
Quando raggiunsero la cima si
resero conto che tutta la scuola si era radunata nel piazzale
d’ingresso, mentre
i pochi assenti si sporgevano dalle finestre, troppo curiosi per cedere
del
tutto al timore.
Al centro era stato lasciato
libero un cerchio vuoto dominato dalla figura troneggiante di
Black*Star, che
su ordine del Sommo Shinigami attendeva le due nuove arrivate in piedi,
con le
mani puntate sui fianchi e Tsubaki in attesa poco dietro di lui.
Il silenzio che regnava su
quella scena era surreale, teso e carico di vibrazioni negative. Maka
si guardò
attorno, cercando di controllare l’angoscia, e
notò tra le file dei presenti
tutti i suoi studenti, le streghe, Mario Viverna e tutti i professori,
con gli
occhi sgranati puntati contro di loro.
Kid e Soul non si vedevano da
nessuna parte.
“Chrona! – Esclamò Black*Star,
con un certo amaro compiacimento nella voce. – Allora
è vero!”
Maka trasalì e fece per farsi
avanti, ma Chrona la fermò appoggiandole delicatamente la
mano su un braccio.
“Non esporti così per me. –
mormorò – È una cosa che devo fare
io.”
Il secondo Kishin avanzò di un
passo e fronteggiò Black*Star, che la fissava con furiosa
aria di sfida.
“Certo che, Chrona, sei proprio
cresciuta come un Dio! – continuò il ninja
– Hai davvero un bel coraggio,
adesso! Entrare alla DWMA dalla porta
d’ingresso…prima saresti scappata con la
coda tra le gambe!”
Maka si innervosì al suono di
quelle provocazioni, così inutili, ma Chrona non fece una
piega e rimase in
silenzio con gli occhi puntati sul ragazzo che le bloccava la strada.
“…e dire che una volta ci
consideravi tuoi amici! Ora invece, guardati… usare Maka per
arrivare fin qui!
– il tono di Black*Star si oscurò – Non
posso proprio perdonartelo!”
“Queste sono bugie.”
La voce del secondo Kishin
risuonò nei timpani di tutti i presenti, pacata e seria.
“Io non sono il Demone che
cercate.”
Black*Star non si mosse, si
limitò a digrignare i denti di rabbia.
“Per favore, Black*Star,
spostati. Sono venuta per parlare con il Sommo Shinigami, preferirei
evitare di
coinvolgere terze parti.”
Il ninja sorrise sarcastico, ma
non si mosse di un passo dalla sua postazione.
La tensione che pervadeva quel
piazzale era palpabile, rendendo quasi difficoltosi i movimenti e il
respiro.
Tutto era immobile, in attesa.
“Tu… - sibilò il guerriero,
infondendo tutta la sua rabbia in quelle parole - … tu vuoi
arrivare a Kid, eh?
Ma certo… sai cosa?”
Tsubaki si trasformò
all’improvviso nella Lama d’Ombra, e Maka
trasalì di orrore.
“Non
te lo permetterò mai!”
Black*Star
con uno scatto
sovrumano si avventò contro Chrona, che lo attese immobile.
Un potente rintocco echeggiò nel
piazzale della scuola, scuotendone le mura.
Chrona non si era mossa: la lama
del guerriero premeva con forza contro il suo ventre piatto, vibrando.
I piedi
del Demone non si erano spostati di un centimetro: era rimasta in piedi
eretta
come una colonna di piombo radicata nella terra, e come una statua di
quel
materiale era rimasta illesa all’attacco.
“Smettila, Black*Star. – mormorò
– Non ho nessuna intenzione di lottare.”
Il ninja digrignò i denti e
saltò all’indietro per prendere la rincorsa per un
secondo attacco, testardo e
sordo a qualsiasi ammonimento com’era sempre stato.
Maka si sforzò il più possibile
per non distogliere gli occhi da quella scena, premendo le mani contro
le
orecchie e trattenendo il bollente pizzicore delle lacrime in fondo
alle
ciglia, mentre Black*Star riprendeva i suoi attacchi a massima
velocità e
Chrona non si muoveva di un passo.
La scuola iniziò a risuonare di
un’interminabile melodia di sonori rintocchi, come le campane
quando suonano a
festa.
“Così
non arriverai a nulla,
Black*Star.”
Gli attacchi del ninja
continuavano, imperterriti e inutili, sotto gli occhi spalancati e tesi
della
gente della scuola, e sotto lo sguardo esterrefatto di Maka.
Quindi, Kid e gli altri erano
convinti nel loro errore fino a questo punto? Fin lì
arrivava la loro cecità?
Ma da quando Kid era diventato così stolto?
Chrona non si muoveva: Maka
aveva intuito che aveva indurito il sangue nero sotto la sua pelle,
diventando
pressappoco invulnerabile, ma non poteva fare a meno di provare dolore
per lei
ad ogni singolo colpo di spada che subiva.
No, non era possibile, tutto ciò
era così sbagliato.
Così tanto, tanto sbagliato.
Doveva fermare Black*Star,
quella testa dura cocciuta che stava rovinando tutto, doveva far capire
a Kid e
a tutta la scuola che stavano facendo un errore, e doveva farlo subito.
“Black*Star! – gridò
– Smettila
subito! Lei è innocente, l’ho portata qui per
aiutarci!”
Il ninja le lanciò un’occhiata
poco prima di abbattere un altro fendente sulla fronte di Chrona, che
incassò
il colpo come tutti quelli precedenti, e poi, finalmente, si
fermò per fissare
Maka.
La giovane meister notò con
orrore il sudore che rigava i muscoli del suo amico, e poi le ferite
che
ricoprivano il corpo della sua amica: Black*Star stava davvero facendo
sul
serio. Ora, per fortuna, si era fermato per rivolgersi a lei, con
espressione
cupa. Maka corse davanti a Chrona e le si piazzò davanti a
braccia aperte, per
impedire eventuali nuove aggressioni.
Il ninja la fissava, serio e corrucciato.
“So che sospettate di lei, –
iniziò a dire Maka – ma sbagliate.
L’unica cosa che ha fatto Chrona è stata
proteggere me. Se continui a sbarrarci la strada, e se Kid non ci
permette di
parlare con lui, non troveremo mai il vero colpevole e
chissà quali disgrazie
potranno accadere.”
Il ninja dai capelli color cielo
rimase ad assorbire tutte le parole pronunciate da Maka, ma il suo
volto non si
addolcì, casomai si fece ancora più oscuro di
prima.
“Si può sapere che vi prende a tutti
quanti? Perché non mi credete? Che hai, Black*Star? Almeno
tu capisci quello
che sto cercando di dire, no? Per favore, torna in te!”
Black*Star chiuse gli occhi e
scosse la testa, amaramente. Sembrò quasi addolorato, e
quando si rivolse a
Maka lei notò con sgomento crescente che aveva gli occhi
lucidi.
“Sei
tu a non capire, Maka!
Chrona sa entrarti nella testa! Ti sta controllando! L’unica
cosa che
lei desidera è prendere quelle pietre ed usarle per
conquistare il mondo, come
ha sempre voluto fare da quando è impazzita! Io non dovrei
dirti queste cose…
tu ormai sei persa! Soul lo sapeva, se ne era accorto subito! Ora me ne
stai
dando la conferma!
Ti sta controllando
esattamente come ha fatto con tutti gli altri!”
Maka
rimase a bocca spalancata.
Chrona rimase in silenzio, ma la
meister poté quasi percepire la sua furia perforarle la
schiena e raggiungere
Black*Star, gelida e rovente al tempo stesso, vibrante di sdegno.
“No, Black*Star – sussurrò il
Demone con la sua voce cristallina, tremando di rabbia – Qui
la pazza non sono
io. Tu, sei impazzito. Tu, Kid, questa scuola, tutti. Siete sotto un
maleficio
e non ve ne siete nemmeno accorti.”
“Zitta! Demone traditore! Hai
corrotto Maka!”
Black*Star fece per partire di
nuovo all’attacco ma Maka gli si lanciò contro,
facendo da scudo umano alla sua
amica nel disperato tentativo di porre fine a quell’inutile
violenza.
Il ninja fermò i passi, per un
breve istante:
“Non mi lasci altra scelta,
Maka. Scusami…”
La ragazza fu scaraventata
contro la folla, dove rotolò per qualche metro e
sbatté la testa, perdendo i
sensi.
“Purtroppo
non ho scelto io di diventare un Demone, è così e
basta, non potevo fare altro se
volevo sopravvivere. Non ne sono felice, però. Se avessi
avuto il controllo
della mia vita avrei cercato un’altra strada. Quello che sono
è sbagliato. Sono
una divinità che non rispetta le regole, che se le sceglie
da sola.”
La
piazza trasalì all’unisono
quando le due lame di metallo nero cozzarono l’una contro
l’altra,
all’improvviso, generando una cascata di scintille.
Black*Star non si scansò all’assalto
di Chrona, deviò l’affondo con la sua katana
usando tutte le forze che aveva e
tentò un nuovo attacco, ma si rese conto di non essere stato
abbastanza veloce
e riuscì a malapena a schivare i colpi che seguirono.
Ragnarok, quella terribile spada
con la lama a due palmi, si era materializzata tra le mani del secondo
Kishin
in meno di un secondo ed aveva iniziato a mirare con forza e precisione
sovrumani al corpo del giovane ninja che aveva osato colpire la sua
stessa compagna
di squadra, la sua stessa alleata.
Le scintille di metallo
iniziarono a rilucere insieme a gocce di sangue nero e rosso, sotto gli
occhi
terrorizzati dei presenti radunati nel piazzale, roteando a
velocità
eccezionale nel campo di battaglia improvvisato.
Black*Star parò un fendente ma
la forza nelle braccia, per qualche istante, cedette.
Tsubaki strillò spaventata.
Il braccio del ninja volò
nell’aria lasciandosi dietro una scia di sangue, nella
direzione opposta a
quella in cui era stata lanciata Maka.
“Sommo
Shinigami!” tuonò
la voce di Chrona, furente e terribile com’era stata quella
di Ashura, se non
ancora peggio.
“Death
the Kid!
È questa la tua giustizia!?
È questo il modo in cui pensi
di governare il mondo!?
Vieni a fronteggiarmi, se
davvero sei degno di essere chiamato Dio!”
Maka
riprese lentamente
conoscenza, percependo un forte dolore sul lato della testa e un
molesto sapore
ferroso tra i denti. Un paio di braccia non identificato la
aiutò a tirarsi
seduta e lei si fece forza per rimanere sveglia. Sentiva gridare.
Sollevò lo sguardo alla piazza e
quello che vide la lasciò impietrita.
Black*Star giaceva al suolo in
un lago di sangue, senza un braccio, assistito da Tsubaki che gli stava
inginocchiata al fianco, con le guance rigate di lacrime.
Chrona si ergeva alta, con
Ragnarok stretta al pugno, ricoperta di tagli neri e sangue non suo,
gli occhi
puntati alla porta della DWMA.
“Ma che diavolo…” boccheggiò,
senza nemmeno la forza di tirare fuori le parole dalla gola.
La
soglia della scuola si aprì e
finalmente Death the Kid si presentò alla vista degli
astanti, imbracciando la
Falce della Morte Soul Eater.
Maka stentò a riconoscerlo: il
suo volto era livido, invaso da un pallore mortale, e i suoi occhi
cerchiati
trasudavano odio puro. Non era normale…si era davvero fatto
corrompere fino a
tal punto dalla menzogna di cui si era convinto?
“Chrona Gorgon, sapevo che
saresti venuta fin qui!” esclamò, con
una convinzione mortale nella voce,
assolutamente estranea alla sua solita condotta razionale.
Chrona sembrò vacillare per un
attimo non appena lo vide, ma la sua rabbia non diminuì,
anzi, sembrò
addirittura farsi ancora più profonda e viscerale.
“Quando mai il Kishin in
persona ha scelto di consegnarsi da sé nelle mani dei suoi
giustizieri? –
incalzò il Sommo Shinigami – Pensavi di
usare Maka Albarn, pensavi di
introdurti qui con la maschera di un alleato!? Sbagliavi! Non potrai
mai
ingannarci!”
“Maka
Albarn mi aveva convinta a
collaborare con voi. – rispose il secondo
Kishin – Ma ora in me non avrete
altro che una nemica. Se questo è il tuo regno, Shinigami,
se davvero comandi
con una benda sugli occhi, allora farò a modo mio!”
Kid piegò il volto in un sorriso
storto, febbricitante:
“Mostro! Viscida e
ingannevole come tua madre, ecco cosa sei. Non sei nemmeno un semplice
Demone!
Non ti bastava ingoiare
Ashura, hai assorbito anche ben due degli altri grandi Antichi
Dominatori! Hai
violato qualsiasi forma di rispetto, sei l’incarnazione
dell’eresia e
dell’impurità!
Ti sigillerò e te la farò
pagare per esserti di nuovo messa contro il mio Ordine!”
Chrona strinse le labbra,
sorridendo beffarda alle minacce:
“L’Indice del libro di Eibon
e il Dominatore nascosto nel suo fondo erano bazzecole, si sono sciolti
per
primi. Erano vecchi e deboli, non venire a dirmi che anche tu non te ne
saresti
sbarazzato, per come sei ora!
Sommo Shinigami, piuttosto
che litigare con me preoccupati per Black*Star, qui per terra, che
è l’unico
vero problema che hai di fronte. Ma che razza di signore
dell’Ordine sei diventato,
per ignorare così un tuo amico… E se pensi che
sia venuta qui, di mia spontanea
volontà, solo per farmi sigillare, beh…”
Tutto accadde talmente
velocemente che Maka faticò a seguire lo svolgersi dei
fatti: dalla schiena di
Chrona esplose un’onda di vele nere, la vide spiccare un
balzo verso di lei e
subito dopo la giovane meister si trovò a volare stretta fra
le braccia del
Demone, mentre il piazzale della DWMA diventava sempre più
piccolo sotto i suoi
occhi man mano che salivano di quota.
“… sei davvero un folle!”
Lontano, sempre più lontano.
Non
possiamo più tornare indietro, ormai.
Zona
Autrice
Buon Lunedì a tutti!
:3
Emh, già.
Come qualcuno dei lettori aveva già previsto (ShyNear, sto
guardando te!) è finito tutto in cacca. E volano arti.
Già. Scrivendo questa parte mi sono esaltata parecchio nel
fare Chrona particolarmente incazzata, ma non è stato facile
scrivere tutta la scena XD.
Torniamo alle
"curiosità", e oggi restiamo a parlare del secondo Kishin:
in questo capitolo potrebbe figurare un po' OOC - inzomma, quando mai
la si è vista sfidare le autorità così
apertamente? - maaa... in realtà no. La si vede arrabbiata
*VERAMENTE arrabbiata* solo una volta, nel manga, ed è
precisamente prima di uccidere Medusa. Mi sono attenuta a come si
è atteggiata quella volta, ossia fredda, duramente
inespressiva, una rabbia silenziosa che potrebbe esplodere in atti e
grida inconsulte da un momento all'altro ( e infatti...). E poi non
dimentichiamoci che qui c'è in ballo Maka, e Maka
è un nervo scoperto per Chrona.
Ultima cosa. Ammetto di
essermi ispirata ai miei capelli per l'acconciatura di Cariddi -
sì, ho una lunga treccia laterale che cade sempre da un lato
quando li lego in cima alla testa. Solo che ovviamente i miei non sono
lunghi e folti come i suoi. Ahahahaha *confessioni imbarazzanti*
A lunedì
prossimo!
|
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Capitolo 13 *** Sleepover. ***
Sleepover.
“Povero
Black*Star.” Mormorò
Chrona.
“Non preoccuparti, il dottor
Stein gli rimetterà a posto il braccio in men che non si
dica, è bravissimo in
queste cose.”
“Già… volevo evitare di fargli
un danno irreparabile, ma non mi è venuto in mente
nessun’altro modo per
fermarlo. Mi dispiace lo stesso, però.”
“Lo so. Ma dobbiamo farcene una
ragione, dobbiamo lasciar perdere la DWMA. Quel posto non è
più come quello in
cui io ho creduto per tutti questi anni.”
Chrona reggeva la borsa di
ghiaccio sulla testa di Maka, che stava seduta sul tavolo della cucina
del suo
piccolo appartamento. Su di una sedia, aperto e disordinato, stava uno
zainetto
con gettati dentro un paio di cambi.
Blair era fuori, forse a farsi
una passeggiata dal suo pescivendolo preferito.
“Vorrei tanto sapere cosa
diavolo è saltato in testa a Kid.”
Mormorò Maka.
“Ne discutiamo dopo, ora
dobbiamo andare, si stanno avvicinando.”
“Sì, li sento.”
Chrona
e Maka non avevano ancora
scelto una meta, ma dovevano scappare da Death City. Quello che era
accaduto
sul piazzale della DWMA non poteva essere cancellato, ed era abbastanza
ovvio
che entrambe le ragazze erano diventate delle ricercate, per un motivo
o per
l’altro. C’era qualcosa di incredibilmente
sbagliato in tutta quella storia, e
anche se Maka non riusciva ancora a capire bene cosa fosse, era sicura
che una
manifestazione evidente dell’anomalia fosse proprio Death the
Kid.
Il Sommo Shinigami non sembrava
più se stesso.
“Non può essere solo lo stress
per il caso delle pietre, deve esserci per forza qualcosa di
più. Il vero Kid
non ti avrebbe mai detto quelle cose.”
Erano appena arrivate in volo dentro
alle fondamenta di un palazzo in costruzione non molto distante dalla
città, in
una zona industriale poco frequentata ai limiti del deserto. Non
c’erano altro
che un pavimento e un alto soffitto di cemento armato, spogli e
polverosi, e semplici
colonne cilindriche su cui i muratori avevano lasciato qualche segno a
gessetto.
Le due fuggitive pensavano di
passare là la notte.
Chrona si accucciò contro una
colonna, pensierosa, e Maka le si venne a sedere accanto.
“Hai ragione, Maka. Ho percepito
una forza negativa dentro Kid, che contagiava anche tutti gli altri
membri
della scuola. È come se la negatività del vero
Demone l’abbia avvelenato.”
“Un secondo! - Maka fu fulminata
da una rivelazione. - Prima che tu lo fermassi, il funzionario milanese
era
riuscito ad accoltellare Kid! Magari è stato davvero
avvelenato, attraverso
quella ferita!”
“Può essere. Dopotutto non
sappiamo ancora come faccia il Demone a possedere la mente dei suoi
burattini.”
“Dovremmo scoprirlo. Per salvare
la DWMA. E fermare noi questo Demone misterioso.”
Chrona sospirò leggermente, ammirando
la determinazione di Maka, e poi le sorrise.
“Se il Demone riuscisse a
dominare del tutto anche la mente di Kid, allora avrebbe per davvero il
mondo
in pugno. E le uniche persone che possono fermarlo siamo noi due, e io
sono il
Kishin. Comico, eh?”
Maka si lasciò scappare una
risatina liberatoria:
“Sì…beh…ma tu non sei mica
Ashura!”
Era così strano vedere Chrona
sorridere in quel modo timido, come Maka aveva sempre scelto di
ricordarla,
poco dopo lo spettacolo che la figlia della strega aveva offerto sul
piazzale
della DWMA: quella gentile fanciulla era arrivata a staccare un braccio
ad uno
dei guerrieri più potenti della scuola senza quasi battere
ciglio, si era
eretta ricoperta di sangue contro il Dio del loro mondo, sfidandolo,
con tutta
la sua insicurezza che pareva essere stata spazzata via. Era strana,
Chrona, e
Maka si chiese quale forza la spingesse nelle sue imprese
più spaventose e poi
le venisse a mancare nei più semplici rapporti
interpersonali.
Un grido lontano che chiamava i
loro nomi, all’improvviso, interruppe la loro breve
discussione e le due
scattarono in piedi, pronte a difendersi dall’eventuale
assalitore.
Un’anima familiare si avvicinò, accompagnata
dalla persona che la ospitava: la suddetta persona entrò
sfrecciando da un’apertura
lasciata nelle mura vicino al soffitto, a cavallo di una scopa volante,
e
atterrò con una lunga sgommata di suole di fronte alle due
occupanti del
cantiere.
Chrona si irrigidì all’istante nel
percepire le onde dal sapore nostalgico di quell’anima.
“Cariddi Gorgon.” sibilò.
La strega scese dalla scopa,
tutta scapigliata, e alzò le mani in alto come se le fosse
stato puntato contro
un fucile a canne mozze.
“Calma calma! – boccheggiò –
Vengo in pace! Non mozzarmi le braccia per favore!”
Maka si rilassò un poco e toccò
il braccio della sua amica per comunicarle che era tutto a posto; la
sentì
tendere i muscoli in un tremito, ma poi arretrò anche lei
dalla sua posizione
aggressiva. Cariddi tirò un sospiro di sollievo, e si
chinò per raccogliere la
scopa che era caduta per terra.
“Io credo che tu sia innocente,
Chrona, - disse, rialzandosi - per questo vi ho seguite.
Scusatemi.”
Le due fuggitive furono sorprese
da questa affermazione, e si scambiarono uno sguardo stupito, come per
confermarsi l’un l’altra che avevano sentito bene.
“Davvero, Cariddi?” chiese Maka.
“Ma certo! – rispose la strega –
Professoressa Albarn, in queste settimane sono arrivata a conoscerti in
un
certo modo, e sono sicura che non potresti mai essere posseduta da mia
cugina
come dice il Sommo Shinigami. Lui è quello strano,
stamattina mi è sembrato
proprio fuori di testa! Mi fido molto più di te,
professoressa.”
Maka rimase a fissarla sorpresa in
quegli occhi neri e luminosi che le venivano puntati addosso con
così tanta
convinzione, e se ne sentì onorata.
“Grazie, Cariddi. Cominciavamo a
temere che fossero impazziti tutti quanti.”
La Gorgon sorrise, e poi lanciò
un’occhiata spaventata a sua cugina, come per accertarsi di
essere stata
accettata anche da lei.
“Sai, non avrei mai immaginato
di vederti apparire davanti alla scuola, dopo tutto quello che
è successo. Mi
hai tolto ogni dubbio sul fatto che sei sincera: non hai mai saputo
mentire, tu.
Hai avuto proprio fegato.” le disse.
“Che ci facevi lì? Hai lasciato
il mondo delle streghe?”
“Sì. Ora sono una studentessa
della DWMA a tutti gli effetti.”
“Oh, capisco.”
Cariddi annuì, compiaciuta,
mentre Chrona iniziò a rintanarsi in un silenzio
imbarazzato. Maka le prese di
nuovo il braccio, così, istintivamente, come se stesse
rispondendo ad una
silenziosa richiesta di sostegno.
“Cosa farete ora, ragazze?”
“Fuggiremo, ovviamente.” Rispose
Maka.
“Dove pensate di andare?”
“Non lo so. Pensavamo di
continuare a spostarci, di città in città, e
magari passare la notte in posti
come questo.”
Cariddi si guardò attorno, e
storse il suo bel nasino all’insù. Anche a Maka
l’idea non andava molto a
genio, ma dopotutto non avevano molta altra scelta. La giovane
assistente del
Sommo Shinigami aveva qualche risparmio in banca, ma non sarebbe stata
una decisione
molto sicura andare ad alloggiare in alberghi e motel,
poiché potevano essere
ritracciate molto facilmente. Chrona non aveva più una casa
da molto tempo, e
Maka aveva dovuto abbandonare la sua qualche ora prima.
“Mi sembra una pessima idea. –
commentò Cariddi – Ne ho una migliore. Se vi
ospitassi nella mia casa a
Messina? Potrei aiutarvi a svolgere le indagini per trovare il vero
colpevole
da qui, e sareste al sicuro… nemmeno Viverna sa che avevo
una casetta fuori dal
regno delle Streghe, e quella zona è sotto il mio
controllo.”
“Me…Messina?” balbettò Chrona.
“Sì, vicino al luogo di nascita
dell’antica famiglia delle Gorgoni, cugina. Mia madre era
l’unica a essere
rimasta un po’ legata a quel posto, e io ho ereditato una
piccola proprietà lì.
Mi farebbe molto piacere fare tutto il possibile per aiutarvi,
ragazze!”
“Grazie Cariddi!” esclamò Maka
con gli occhi che le luccicavano di gratitudine.
“Vi accompagno. Se ci muoviamo,
riusciamo ad arrivarci prima di cena sfruttando una serie di portali
fra il
regno delle Streghe e qui. Dovremo volare ovviamente.”
Maka spalancò gli occhi per la
meraviglia, e pensò che gli esseri umani normali avevano
ancora un sacco di
cose da imparare sulle loro sorelle dotate di poteri magici.
“Non ti darà fastidio restare in
volo per il resto della giornata, vero, professoressa Albarn?”
“No… Chrona mi ha portata in
braccio tutta la mattina!”
“…ehm…pensavo di farti spazio
sulla mia scopa, magari lei fa meno fatica così.”
Maka si voltò verso la sua amica
dai capelli rosa e la vide ricoprirsi sulle guancie di macchie
violacee,
trasalendo visibilmente.
“…per me è uguale
Maka…dopotutto
sarai più abituata così, dato che di solito tendi
ad usare Soul come una
scopa…”
Il
viaggio fu caotico e
movimentato, ma Maka trovò comunque il tempo di pensare,
mentre si appoggiava
alla schiena di Cariddi o si stringeva alle spalle di Chrona
– alla fine si era
fatta dare un passaggio da entrambe per evitare di farle rimanere male
–
sorvolando ora le onde blu dell’oceano Atlantico, ora le
steppe nebbiose della
terra delle Streghe. Se Soul avesse creduto in lei, e fosse stato
lì con loro,
avrebbe potuto cavalcare lui come al solito, e non farsi trasportare in
quel
modo, come un peso morto. Anche lui, però, era sotto
l’influenza negativa di
Kid ed era convinto che Maka fosse solo un burattino del Kishin, come
se la sua
mente fosse così debole da farsi vincere con tanta
facilità. Aveva avuto dei
momenti difficili, era vero… ma era stato per altri motivi,
non certo perché
Chrona voleva manipolarla. Era stata lei a manipolarsi da sola,
auto-infliggendosi un senso di colpa eccessivo, tormentandosi per aver
fatto
soffrire la sua migliore amica…Quella non era follia
malvagia. Era dolore, e
preoccupazione. Ma per chi l’aveva presa, Soul?
E il povero Black*Star? Lui non
era mai stato un grande pensatore, ovviamente tutta la sua
fedeltà andava a
Kid…e questo purtroppo gli era costato un braccio (almeno
finché Stein non
glielo riattaccava). Erano davvero tutti convinti di star difendendo la
giusta
causa.
Quale veleno poteva aver
infettato Kid? Era un piano del Demone, ovviamente… era
ovvio che gli facesse
comodo far scaricare la colpa su un sospettato facile come Chrona.
Ora basta, era compito loro
smascherarlo. L’avrebbe pagata carissima, per aver beffato
tutti così.
L’acqua
di mare lambiva gli
stivali di Maka, quando arrivarono finalmente a destinazione.
Chrona la stava tenendo stretta
a sé, in volo, e aveva planato con lei sul livello del mare
infiammato dal
tramonto sollevando qualche schizzo spumoso nell’avvicinarsi
alla casa di
Cariddi.
Era una modesta casetta mediterranea,
con le mura bianche e un piccolo porticato che si apriva verso il mare,
pieno
di vasi di fiori ricoperti di fogliame verdastro. Si trovava nella
periferia di
Messina, separata dalla vista della strada da un notevole scoglio che
la
divideva dal resto della costa e dalle altre case che sorgevano qua e
là.
Atterrarono sul portico dal
pavimento piastrellato con i piedi bagnati, Cariddi spostò
un vaso e raccolse
nel piccolo vano nascosto lì sotto un mazzo di chiavi
discretamente
arrugginito; aprì con un po’ di sferragliare le
imposte incrostate di salsedine
e la porta a vetri dietro di esse, spalancò
l’ingresso e invitò cortesemente le
sue ospiti ad entrare.
“Ma qui sembra di essere in
vacanza!” esclamò Maka, deliziata.
“Ammetto che il clima della
Sicilia ce lo invidiano in tutto il mondo, ma questa casa è
vecchia, umida e
polverosa. Spero che vi ci possiate trovare bene lo stesso.”
“E’ un posto bellissimo.”
mormorò Chrona, sfilandosi gli stivaletti ed entrando
nell’atmosfera buia e
stantia della vecchia abitazione.
Cenarono
con della pasta e del
sugo in scatoletta che Cariddi aveva avanzato in credenza, aprirono
tutte le
finestre per fare entrare la pulita aria di mare e cambiarono le
lenzuola ai
due letti. C’erano solo due stanze da letto, una singola e
una matrimoniale:
Cariddi si offrì di dormire sul divano ma Chrona si oppose
fermamente non
appena scoprì che quella singola era stata la stanza della
giovane strega fin
dalla sua tenera infanzia, quando ancora viveva lì con sua
madre Circe.
“Ho passato le ultime notti sui
tetti di Milano e Death City, un divano mi andrà
benissimo.”
“Davvero!? – aveva esclamato
Maka – Pensavo… che tu potessi smaterializzarti
come un fantasma! Hai dovuto
patire tutto quel freddo per starmi dietro?”
“Già… - Chrona arrossì, o
meglio, divenne color prugna - …ma non mi ha dato fastidio,
davvero. È stato
bello.”
“Voi Kishin non avete bisogno di
dormire?” aveva chiesto Cariddi, infilandosi in bocca una
notevole forchettata
di spaghetti al pomodoro.
“Ho scoperto che il mio corpo
può sopportare privazioni molto più notevoli
rispetto a prima, ma… sì, immagino
di aver avuto un sacco di sonno, a volte. E anche fame.”
“Ma potevi dirmelo, Chrona! –
era intervenuta Maka – Ti avrei…”
“…mi avresti ospitato nella tua
stanza d’albergo insieme a Liz e Patty?”
“…immagino di no. Avrebbero
iniziato a dare di matto molto prima. E poi Liz mi avrebbe svegliata di
notte
infilandosi sotto le mie lenzuola, tende a farlo quando è
spaventata e per caso
siamo nella stessa camera… sua sorella la butta
giù a calci dal letto.”
Risero tutte e tre, con
leggerezza, esorcizzando in quello strano modo tutta la tensione
accumulata
fino a quel momento, così tanto che Maka si trovò
con le lacrime agli occhi.
Fu una strana serata, quella,
attorno ad un tavolo con una tovaglia ricamata bianca, la luce bassa
del
lampadario al centro della cucina e la fresca brezza profumata di sale
che
entrava dalla finestra.
Maka si rese conto che,
nonostante considerasse Chrona la sua migliore amica praticamente dal
giorno in
cui era riuscita a toccare la sua anima ricoperta di spine, non aveva
mai
passato, in tutta la sua vita, così tanto tempo insieme a
lei. Erano stati
molto più frequenti i momenti in cui aveva sentito la sua
mancanza rispetto a
quelli che, di fatto, avevano passato vicine: la scuola, le feste, un
paio di
missioni…gli scontri. Tutto così breve, eppure
così importante.
E ora, tanto tempo stava per
venirle incontro, da vivere, fianco a fianco a quella strana ragazza
timida e introversa,
cresciuta segregata dal mondo, enigmatica a modo suo ma tanto, tanto
dolce. Era
una strana sensazione, ma le piaceva.
Maka sentì battere forte il
cuore mentre Chrona rideva, al suo fianco, coprendosi la bocca piena e
sporca
di pomodoro con una mano.
“Va bene, allora dopo tiro fuori
una coperta per il divano. – disse Cariddi – Tu,
cugina, hai intenzione di
dormire con quella veste nera addosso?”
Chrona sollevò le spalle, un po’
imbarazzata.
“Per forza. Non possiedo nulla.
Questo non è nemmeno un vero vestito, è il mio
sangue.”
Cariddi si portò teatralmente le
mani contro le guance, mimando grande sorpresa:
“Mi stai dicendo che vai in giro
nuda!?”
“Beh, se la metti in questo
modo…”
Maka sentì improvvisamente la
faccia avvampare ed il boccone che stava ingoiando le andò
di traverso,
soffocandola all’improvviso con una cascata di colpi di tosse.
“Va beh ho capito – concluse la
strega – ti presto un pigiama.”
La
notte entrava, sottoforma di
pallida luce lunare, attraverso le tendine di pizzo della finestrella
della
camera matrimoniale. Maka stava stesa sotto le lenzuola fresche e
pulite,
cercando di rilassare le sue membra doloranti adagiate sul materasso
morbido,
che le dolevano e reclamavano a gran voce una salutare notte di sonno,
ma non
riusciva a chiudere gli occhi. Li teneva fissi al soffitto bianco,
spalancati.
No, non poteva addormentarsi, la sua mente non le avrebbe mai concesso
tale privilegio,
e il cuore che le martellava a mille contro le costole, fra i polmoni,
quasi
come se fosse impazzito anche lui, sembrava essere della stessa
opinione.
Chrona si trovava solo ad una porta di distanza, da sola, su uno
scomodo
divano, mentre lei aveva a disposizione un lettone enorme, fin troppo
grande
anche a volerci dormire a stella, con braccia e gambe espanse in tutte
le
direzioni possibili.
No, non avrebbe mai permesso una
simile ingiustizia.
Si sollevò e scostò la coperta,
per poi appoggiare i piedi nudi sul freddo pavimento di mattonelle di
coccio.
Si alzò, aprì la porta più piano
possibile, per evitare di svegliare Cariddi.
Nella penombra individuò il divano, in fondo al piccolo
corridoio della zona
notturna, e vi si avvicinò in punta di piedi.
Chrona era lì, sepolta da una
coperta pesante che le nascondeva il viso.
Maka si fece coraggio e allungò
la mano, sfiorandola dove immaginava dovesse esserci la sua spalla,
dato che
stava rannicchiata su un fianco per il poco spazio disponibile: Chrona
si voltò
all’improvviso, fissando Maka con i suoi occhioni neri
spalancati, allarmata.
Maka le fece l’occhiolino e le
sussurrò “vieni”, ma lei non
capì subito e Maka fu costretta a ripeterlo un
paio di volte, prima di prenderla per mano e costringerla ad alzarsi
con la
coperta sulle spalle, per poi condurla dentro la sua stanza ampia e
decisamente
più confortevole.
La bionda chiuse la porta e
accese la luce del lampadario sul comodino, creando
un’atmosfera accogliente e
generando quel tanto di luce sufficiente a non ferire gli occhi in
quell’ora
notturna.
Chrona rimase in piedi accanto
alla porta, in ansia, stringendosi la coperta sulle spalle.
Maka cacciò un sorrisino
imbarazzato, e si sedette sul lettone.
“Hai… - arrossì – Hai mai
fatto
un pigiama party?”
“Eh?” Chrona spalancò ancora di
più gli occhi, sgomenta.
“Uhm… - Maka lottò un po’ con
la
sua lingua per trovare le parole giuste – Sai…
quella cosa che si fa tra
ragazze… di stare in due in un lettone così e
chiacchierare tutta la notte…ehm…
mai fatto?”
Chrona diventò viola.
“Mi stai chiedendo di dormire
con te?”
Maka si sentì avvampare come le
avesse appena fatto una proposta indecente, e per un secondo si
pentì con
ardore di aver invitato Chrona…ma no! Ma no! Ma
perché doveva rendere tutto
così strano?
“Tranquilla, è una cosa
normalissima! Con Tsubaki l’ho fatto un sacco di volte! Ma
poi siamo tra
ragazze, cioè… non
c’è nulla di cui vergognarsi.”
Chrona per un secondo parve
dimenticarsi di come si fa a respirare, raggiungendo livelli record di
color
melanzana sul suo visino rotondo da bambina, ma poi parve riprendere il
controllo sulla sua ansia e cacciò un lungo respiro,
tenendosi una mano sul
petto.
“Sì… va bene… scusami, sono
un
disastro con queste cose…”
“Ahahah, tranquilla, per
tutti c’è una prima volta.”
Maledizione, perché anche quella
frase sembrava strana, adesso?
Chrona lasciò cadere la coperta
dalle spalle e la appoggiò in fondo al letto, mentre Maka si
ritrovò basita ad
osservare il suo corpo: indossava una vestaglia bianca, di foggia un
po’
vintage, decisamente di qualche taglia troppo piccola, che le lasciava
scoperte
le gambe bianchissime da sopra il ginocchio e teneva le spalle, il
collo e le
braccia in vista. Era così magra…ma i suoi
fianchi non erano stretti come
quelli di Maka, da giapponese, no, erano a forma di violino, come se il
suo
corpo fosse una sorta di armonioso strumento musicale, perfetto in ogni
sua
minima parte. Sembrava quasi una modella.
Non l’aveva mai vista
così…donna. No, non l’aveva mai
considerata come tale, in realtà non era mai
stata molto femminile, ricoperta dalle sue vesti nere e curva nella sua
posa
difensiva. Adesso, invece…
Maka si ritrovò a pensare con
una strana punta di fastidio se qualche uomo l’avesse mai
desiderata così, come
la stava vedendo ora. Sicuramente no, nessun’uomo
l’aveva mai vista in
vestaglia. Se fosse stata un uomo, pensò Maka, non ci
avrebbe pensato due volte
a provarci con lei. Se fosse stata un uomo, ovvio.
Chrona si adagiò accanto a Maka,
sul letto, e poi si infilarono sotto le coperte, ognuna nella sua
parte, e si
appoggiarono coi gomiti sul cuscino per chiacchierare.
“Allora, come ti sembra?”
“Molto più comodo del divano,
grazie Maka!”
La figlia della strega appoggiò
una mano sul cuscino, e Maka notò una cosa, che si rese
conto con sgomento non
aver mai avuto sotto gli occhi fino a quel momento.
Le afferrò il polso, con
delicatezza, e vide chiaramente delle sottili linee bianche, sporgenti
al
tatto, ricoprire buona parte della pelle sopra le sue vene.
Esterrefatta, seguì
quelle cicatrici fino all’avambraccio, raggiungendo la
delicata zona dietro il
gomito, e poi ritrasse le dita di nuovo fino alla sua mano,
accarezzandole la
pelle martoriata.
Chrona non aveva detto nulla,
aveva semplicemente trattenuto il respiro.
“Cosa sono, queste?” chiese
Maka, con la morte nell’anima.
“Ti fanno impressione? – rispose
Chrona, sottovoce – Sono i segni che mi lascia il combattere
con il mio
sangue.”
All’improvviso Maka si rese
conto che, ogni volta che Chrona aveva combattuto contro di lei, si era
tagliata le vene. Ogni volta. Stranamente, quella
disturbante consapevolezza
la travolse solo in quel preciso momento.
“E’ terribile…”
mormorò, con
voce tremula.
“Non è nulla. Ragnarok mi ha
fatto molto di peggio, e comunque faccio così da quando sono
nata, ci sono
abituata.”
“In che senso Ragnarok ti
ha fatto di peggio?”
Maka aveva paura di ascoltare la
risposta.
Le gote di Chrona si tinsero di
viola, mentre sussurrava, teneramente:
“Se vuoi posso farti vedere.
È…dovrò darti un po’ di
confidenza, ma ormai siamo qui…se vuoi, te lo
mostro.”
Maka deglutì.
“Sì, dai.”
Chrona si sollevò dalla
posizione prona e si mise in ginocchio sul letto, dando le spalle a
Maka.
Lentamente, abbassò una spallina della leggera vestaglia, e
poi l’altra,
lasciando scivolare giù il tessuto e coprendosi con un
braccio il petto magro.
Rimase con la schiena nuda, lasciando Maka a bocca aperta.
Un’enorme cicatrice deforme,
bianchiccia, allungava i suoi tentacoli sulla schiena di Chrona a
partire dal
punto in mezzo alle ali, dove verosimilmente si trovava il cuore.
Occupava
quasi tutto il suo torso, rigandole la pelle di porcellana come
un’orrenda
ragnatela di crepe e scendendo lungo la spina dorsale dalle spalle fino
ai
fianchi curvi.
“Oh mio Dio…”
“Lo so, è bruttissima.”
Chrona si rivestì in fretta e si
ristese accanto a Maka, che la osservava con un pallore di orrore
dipinto sul
volto. La figlia della strega si preoccupò, e
appoggiò una mano sui capelli
biondo cenere, sciolti, posati sopra l’orecchio della sua
migliore amica.
“Scusami… non volevo farti star
male, Maka, è colpa mia…”
Maka prese la mano di Chrona e
la strinse forte, lasciandola di nuovo senza fiato, poi anche lei le
accarezzò
il volto, sfiorando quelle disordinate ciocche rosa.
“Quello che ti ha fatto tua
madre… - mormorò –
…è imperdonabile.”
Chrona rimase in silenzio,
incapace di respirare.
“Maka, io…”
“Non importa, scusami…mi…mi sono
fatta coinvolgere troppo, ora mi passa…”
“Per favore, non piangere. Non è
nulla.”
“Sì…sì. Sto esagerando.
Scusami,
non volevo metterti in imbarazzo…”
Maka e Chrona erano stanche,
davvero stanche dopo quella lunghissima giornata, e quando Maka si fu
calmata
un po’ decisero all’unanimità che era
ora di addormentarsi. Spensero la luce e
chiusero gli occhi.
Maka invocò il sonno, gli occhi
le bruciavano, il corpo era più pesante del piombo,
ma il suo cuore continuava a
martellarle nel petto, fortissimo,
senza sosta.
Zona
Autrice
Buon
lunedì fanciulli!
Scusate
l'orario un po' tardo, ma ho avuto qualche contrattempo. L'immagine
ovviamente non è di Okhubo, è uno schizzo
schiribizzo che ho fatto io, e mi dispiaceva pubblicare questo capitolo
senza nemmeno un'immagine. Chi indovina chi è? -ahahahahha
beh dai lo so che l'avete riconosciuta subito :3
Comunque:
siamo arrivati a Messina. Già, faccio fatica a tener lontani
i protagonisti dall'Italia, ma che volete farci, la Sicilia poi
è così bella... e non dimentichiamoci che
Cariddi-Che-Tutto-Divora vive proprio nello stretto di Messina!
Riguardo alle cicatrici di Chrona: sì, ammetto che sono
andata un po' a fantasia. In realtà, se TUTTE le ferite che
ha subito in vita avessero lasciato una cicatrice probabilmente sarebbe
più conciata di Vash the Stampede - oppure di un divano
nella casa di una gattara proprietaria di 25 felini che vi ci affilano le
unghie sopra... ma ho pensato che, se deve avere dei segni, questi
starebbero dove la sua pelle è stata sfregiata ripetutamente,
ossia sui polsi e sulla schiena. A un certo punto Ragnarock le usciva
pure dall'ombelico, ma lì mi sembrava un po' esagerato XD
A lunedì prossimo, dunque!
Bye bye!
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Capitolo 14 *** Sun goes down. ***
Sun
goes down.
Cariddi
stava in piedi sulla
soglia del portico, con la sua scopa volante in mano.
Era mattina presto e per lei era
arrivata l’ora di tornare indietro alla DWMA. Avrebbe
raccontato a Mario
Viverna di essersi messa sulle tracce di Maka e Chrona e di aver
cercato di
raggiungerle per tutta la notte, inutilmente, fino al punto di
arrendersi per
la frustrazione e di tornare indietro senza nessuna informazione utile
–
avevano deciso di tenere il segreto più assoluto sulla loro
fuga, anche con
l’untuoso Viverna.
“Cercherò di capirci qualcosa
quando sarò lì. Ci sentiamo questa sera, su sWitch,
alle vostre sette.
Nel frattempo, fate le brave. Preferirei trovare la casa intera quando
torno.”
Maka le fece un occhiolino e poi
si salutarono definitivamente, augurandosi a vicenda in bocca al lupo;
la
giovane Gorgon si mise a cavalcioni della sua scopa di legno e
decollò,
sfrecciando poco sopra le onde del mare con la selvaggia chioma castana
che
lottava per fuggire dallo chignon in cui era costretta. Presto, fu solo
un
piccolo puntino nero all’orizzonte.
Ora erano sole, sole e
completamente isolate dal mondo.
Maka sentì Chrona, al suo
fianco, tirare un lieve sospiro di sollievo e le lanciò
un’occhiata
interrogativa.
“Non mi piace la sua anima.”
disse la figlia della strega, rispondendo all’implicita
domanda di Maka, con un
certo disagio malcelato nella voce.
La bionda sorrise, afferrando al
volo il concetto.
“Pensa che, la prima volta che
l’ho vista, ero convinta che fosse Medusa. Però
è stata gentile con noi, ed è
molto intelligente.”
“Continua a non piacermi. –
ribadì Chrona con una piccola smorfia – Preferisco
di gran lunga che sia
gentile con noi da Death City, dall’altra parte del mondo,
piuttosto che
avercela tra i piedi.”
Maka rise brevemente e si
diresse verso l’interno della casa, invitando dentro la sua
migliore amica:
“Temo che dovrai sopportare la
sua faccia da dietro uno schermo ogni sera, mia cara Kishin.”
“…se è lontana va bene. Quando
è
vicina io… no, non ho voglia di parlarne.”
“Vorrà dire che ti leggerò nella
mente.”
“Sai farlo?”
“Certo, l’ho già fatto.”
“…?”
“Ti ricorda tua madre, ma non
troppo però. Medusa era una vecchiarda, ferma alle sfere di
cristallo. Cariddi
invece usa sWicth, è una giovane strega
dell’era digitale.”
Chrona sorrise, nonostante la
battuta non fosse tutto questo gran ché, e Maka fu molto
felice di essere
riuscita a farle passare il malumore.
Le
due fuggitive erano al
sicuro, ora, almeno secondo quanto aveva detto loro la strega Cariddi:
quel
posto era piuttosto lontano dagli agenti della DWMA di stazione in
Italia, la
città di Messina era un discreto centro turistico pieno di
villeggianti fra cui
potevano mescolarsi e inoltre la Gorgone asseriva che quello era un
territorio sotto
il suo controllo, anche se non aveva specificato in che
senso, quindi
poteva garantire protezione anche da distanza.
In ogni caso, avevano deciso che
sarebbero uscite di casa il meno possibile, per evitare di correre
qualsiasi
rischio; questa constatazione aveva generato quasi subito in Maka un
infelice
moto di impotenza: cosa avrebbero potuto fare per salvare la scuola,
ora che
erano costrette a rimanere nascoste dall’altra parte del
mondo?
Questa consapevolezza aveva
iniziato a tormentare la meister subito dopo colazione, non appena
avevano
deciso il da farsi insieme alla strega poco prima che lei partisse per
tornare
indietro, con la mente ancora occupata dai preoccupanti avvenimenti del
giorno
precedente.
Avrebbe dovuto farsene una
ragione, almeno fintantoché non sarebbero iniziate ad
arrivare le prime
informazioni da sWitch. Riguardo a
quest’ultimo, a quanto pareva si
trattava di un programma di computer generato dalla mate-magia, che
permetteva
di tenere in collegamento video e audio qualsiasi apparecchio anche
senza
l’ausilio di internet – una piccola chicca che le
streghe più giovani si erano
inventate come social network, e che mantenevano gelosamente segreto a
loro uso
e consumo.
Cariddi la sera prima si era
premurata di tirare giù dall’armadio un
televisore, che poteva avere trent’anni
di carriera da radiotrasmettitore sulle spalle, e l’aveva
abilitato all’uso di
sWitch con un paio di formule incomprensibili; come poi un programma
pensato
per un computer potesse lavorare su un vecchia TV, lo sapeva solo lei.
Di
fatto, funzionava.
Ora l’apparecchio stava
appoggiato su un mobiletto davanti al divano, spento, e Maka stava
seduta sui
morbidi cuscini tenendo lo sguardo fisso in quello schermo vuoto.
Chrona chiuse la porta che dava
sul porticato e le si venne a sedere accanto, silenziosa.
“Beh. – disse Maka, atona –
Siamo qui. E adesso?”
“Non lo so… aspettiamo.”
“…ma che sarà preso a Kid?”
Chrona rimase in silenzio, e
Maka si voltò a guardarla: il suo profilo alla francese si
delineava come
un’ombra contro la luce che entrava dalla porta-finestra,
così somigliante a
quello di Medusa e Cariddi ma anche così diverso, nella sua
totale mancanza di
qualsiasi forma di malizia. Era tutto lì,
nell’espressione: quello non era il
volto di una donna potente, compiaciuta e sicura di se stessa, ma il
viso di
una bambina abbandonata, tradita, consapevole dell’amore che
le era stato
negato fin da quando era nata.
Poi Chrona parlò e Maka si
riscosse all’istante da quell’attimo di
contemplazione.
“Sono quasi sicura che il
coltello che ha colpito Death the Kid a Milano fosse intriso di un
qualche
veleno, ma non penso che il Demone abbia un controllo diretto su di
lui. Se no,
avrebbe già in mano la DWMA. Forse voleva renderlo solo
più manipolabile.”
“Sì, - confermò Maka –
sì, lo
penso anch’io. È ovvio che al Demone fa comodo che
sia tu quella accusata, e
quindi deve aver escogitato questo espediente per rendersi la vita
più facile.
Probabilmente è convinto che sarà molto
più semplice sottrarre le pietre a Kid
mentre è impegnato a cercare noi, piuttosto che dare la
caccia a lui. Forse ci
stavamo davvero avvicinando a scovarlo, chi lo sa.
Nonostante tutto, non riesco
ancora a capire quale accidenti sia il suo scopo. Cosa vorrebbe farsene
di
quelle cinque gemme magiche? Perché arrivare ad avvelenare
di follia il Sommo
Shinigami pur di averle?”
“Non ne ho idea.” rispose
Chrona, mesta. Rimasero in silenzio per qualche secondo, mentre i
pensieri
correvano nelle loro menti senza freni, galoppando selvaggiamente nel
tentativo
di raccapezzare le proprie redini e intrecciarsi in un filo logico.
“Sono
tranquilla però. Qui il
Demone ha smesso di inseguirti, Maka. Siamo davvero riuscite a scappare
così
lontano da non permettere a nessuno di disturbarci.”
Maka trovò stranamente
rassicurante quell’affermazione.
Non tanto per il Demone, quello
non l’aveva mai preoccupata molto fin da subito.
“Non ho mai avuto paura, finché
c’era il mio fantasma personale a proteggermi.”
Era stato quel tono, quella voce
melodiosa.
In una sola frase aveva
percepito un pozzo sconfinato di preoccupazione, di cura e affetto,
dedicati
solo a lei. Non sapeva se quella cosa avrebbe dovuto imbarazzarla o
altro,
oppure se fosse strano persino il fatto che si stesse facendo dei
problemi. In
fondo, erano migliori amiche, no?
Chrona nel frattempo aveva
sorriso, timidamente, e aveva sollevato i piedi dal pavimento per
appoggiarli
al bordo del divano, stringendosi le gambe in un abbraccio, per
mettersi più
comoda.
“Sono contenta, sai Maka.”
“E…ehm…”
“Durante tutta la mia vita,
tutto il tempo che ho vissuto, sono sempre stata un peso. Un fardello
sulle
spalle di qualcun altro, incapace di prendermi cura di me stessa. Anche
quando
ci siamo conosciute, tu… tu che avresti tranquillamente
potuto lasciarmi
perdere, mi hai sempre protetta, hai sempre cercato di
salvarmi.”
“Dai, non dire…”
“No, è vero. Ho un debito
immenso verso di te, Maka, ancora adesso. Però ora sono
contenta. Ora sono io a
proteggere te, e questo mi fa sentire molto meglio.”
Maka rimase a guardare la sua
amica sorridere, con quella sua dolcezza che sapeva sempre un
po’ di amaro, e
pensò che ora non c’era nessun altro lì
intorno, erano loro due e basta, sole,
non c’era Soul a dirle che quella ragazza
l’ossessionava, che la faceva
impazzire, che avrebbe fatto meglio a lasciarla perdere…
“Chrona, tu non mi devi proprio
nulla. Ti ho sostenuta sempre perché ti voglio bene, e
basta. Non farti
problemi di questo tipo.”
Chrona affondò la faccia tra le
ginocchia, ma Maka fece in tempo a vedere le chiazze viola apparse sul
suo
volto.
“Anche io ti voglio bene, Maka.
Un sacco. Nonostante il Demone, sono così contenta di
passare del tempo con
te.”
“Sì, anche io. Non puoi nemmeno
immaginare quanto.”
Mi
sta succedendo qualcosa, qualcosa di grosso.
È
solo da poche ore che ho tempo per fermarmi, e pensare, e guardarmi un
po’
dentro.
Sono
lontana dalla DWMA, mentre essa rischia di cadere in pezzi sotto i
colpi di un
misterioso Demone assassino, e al momento non posso fare assolutamente
nulla
per impedirlo.
Eppure,
questo non è il principale dei miei pensieri.
Ogni
ora che passa, me ne importa sempre di meno.
Solo
ora sto realizzando che qui non posso fare ancora nulla, che devo
rassegnarmi
ad attendere, e che, nel farlo, non sono sola.
Chrona
è con me.
È
strano da pensare, egoistico forse,
ma
è da quando ho quattordici anni che sogno questo momento.
Sì,
ho sempre sognato di poter passare un po’ di bei momenti in
pace, insieme alla
mia migliore amica, senza nessuno fra i piedi.
Mi
sto accorgendo che, in realtà, ho sempre desiderato del
tempo per conoscerla
bene, per uscire insieme, magari, per fare quelle cose normali che
fanno due
ragazze con un forte legame tra di loro.
Lei
è diversa da ogni persona che abbia mai incontrato, e la
vita è stata così
crudele con noi da tenerci quasi sempre separate. Ora, finalmente,
eccoci qui.
Sarà
colpa di tutte quelle sera alla finestra a dipingermela nella mente,
oppure
di tutte quelle volte, quando ancora esisteva la squadra Spartoi, in
cui
immaginavo con tutte le mie forze di ritrovarla, di tirarla fuori dalla
suo
follia per evitare di dover applicare su di lei la condanna di
morte…
sarà
per questo che ora sono così felice?
“C’è
ancora qualcosa in credenza
per il pranzo, Maka?”
“Oh, cavolo… solo pasta, e altra
roba in scatola. Non so cucinarla. Mi sa che si ripete il piatto di
ieri…”
“Pasta?”
“Sì, questi italiani mettono la
pasta ovunque…”
“Fa nulla. E’ buonissima!”
“Farà schifo se la cucino io…”
“Medusa la faceva, a volte. Se
vuoi ti aiuto, ma non garantisco risultati.”
“Davvero Medusa faceva la pasta?
Oddio non riesco ad immaginarmela…ah ah ah!”
“Non la faceva quasi mai
infatti.”
“Come mai?”
“Perché sapeva che piaceva a me,
la vecchiaccia.”
Non
è vero quello che diceva Ragnarok, che sei una persona
noiosa. Sei dolce,
profonda, inaspettatamente spiritosa. Sei un po’ goffa ma
questo non è un
difetto.
È
pomeriggio e ci azzardiamo a fare una passeggiata sulla spiaggia,
sottocasa,
affondiamo le dita dei piedi nudi nella sabbia appena appena tiepida.
Mi viene
da ridere, perché questa situazione ha qualcosa di familiare
per noi due, e tu
mi sorridi e poi ti perdi ad osservare qualcosa
all’orizzonte, un gabbiano,
forse.
“La
spiaggia è come un deserto con il mare.”
Già.
Se
ti accorgessi come ti sto guardando, mentre il tuo volto viene
dolcemente
accarezzato dai raggi della fine dell’inverno, cosa
penseresti di me?
È
strano? È davvero un’ossessione come dice Soul,
questa?
Chi
se ne importa.
Non
mi sono mai sentita così in tutta la mia vita.
“È
strano Chrona, sei un Demone
eppure non ho paura di te. Nemmeno quando hai tagliato il braccio di
Black*Star
ho avuto paura di te. Nemmeno quando hai minacciato Kid. Nemmeno quando
sei
apparsa per proteggermi dal funzionario con il coltello avvelenato, a
Milano.”
“Non dovresti dire così, Maka.
Quello che sono è sbagliato.”
Occhi bassi, piedi nudi nella
sabbia umida del bagnasciuga.
“Forse è sbagliato, ma io sono
felice lo stesso. Se non fossi quello che sei ora, non avrei
più potuto averti
qui, insieme a me.”
“Probabilmente non hai ancora
capito bene in cosa mi sono trasformata, Maka. Io possiedo il Caos,
vedo la
sottile futilità di tutte le regole umane,
ora…posso sentire gli istinti
pulsare al di sotto della pelle delle persone, al di sotto della patina
di
ipocrisia che si chiama Ordine. So che senza di questo
l’umanità non
esisterebbe, però… è sempre qui, nella
mia testa, lo sento negli altri e in me
stessa. Ne ho il controllo. Ashura scatenava la Follia
perché l’Ordine lo
terrorizzava, ma io non so se con il passare del tempo
diventerò migliore o
peggiore di lui… non voglio, Maka, non voglio che tu debba
soffrire di nuovo
per colpa mia. Per questo non volevo mostrarmi a te, perché
sono spaventata,
spaventata da quello che potrei fare con questo potere.”
Il sole cala all’orizzonte, i
suoi raggi si infiammano d’arancio. Fuoco dorato tiepido,
sulla pelle.
“Non avere paura, Chrona. Io
credo in te, e so che non potresti mai degenerare come Ashura. Lui era
solo,
codardo, infame. Tu no. Hai sofferto, è vero, ma
ora…”
Il cielo si infiamma, gli occhi
e la pelle brillano, come ricoperti da aureole.
“…Chrona, tu hai me. Io non
voglio lasciarti, mai più. Non permetterò mai
più che tu stia male, che tu
rimanga da sola, che tu sia divorata dai tuoi fantasmi. Io
sarò con te.”
Denti che mordono le labbra,
dita contratte nella sabbia. Voce tremante.
“…come puoi…come puoi parlarmi
così…? Dopo tutto quello che ti ho
fatto…dopo tutto il dolore che hai patito
per colpa mia…”
“Beh…sai…”
Nodo alla gola, cuore che batte.
Coraggio, coraggio.
“…se ho sofferto così tanto non
è solo colpa tua…ho pianto, mi sono strappata i
capelli…Chrona, il tuo pensiero
mi ha fatta impazzire quando ti ho vista a Monaco, mi hai invasa, mi
hai
sconvolto la mente come nessun’altro era mai stato capace di
fare, mi hai presa
e svuotata da ogni briciolo di stabilità e buon
senso…sì, nonostante tu mi
abbia già tradita una volta, nonostante ricordassi tutti quei crimini che hai
compiuto. Ma, sai…
uno più tiene a una persona e più sta male quando
questa in qualche modo la
ferisce, e tu, per me, sei…”
Occhi spalancati, le parole
muoiono, abbandonate, insieme alla cantilena delle onde.
Una mano, tiepida, sulla
guancia.
Due labbra spaventatissime,
senza fiato, morbide.
Tramonto, accecante.
Spazio
Autrice
Buondì
e buon lunedì a tutti!
Prima che i feels mi uccidano definitvamente*sospiro melodrammatico*
procediamo con le chicche!
Oggi parliamo di pastasciutta. Sì, ho fatto dire a Chrona
che è il suo piatto preferito, ed il motivo è che
è proprio vero: ce ne informa Medusa nel manga, poco prima
di finire in mille pezzi sul pavimento, quando la prepara a sua figlia
perché finalmente è riuscita a sviluppare il
pieno controllo del sangue nero. Non so, è strano quanti
riferimenti all'Italia abbia questo personaggio, mi piacerebbe sapere
che diavolo aveva intesta Ohkubo quando l'ha creata ( erano proprio
spaghetti al pomodoro quelli che si sono mangiati Medusa e Chrona, con
tanto di forchetta e cucchiaio come posate).
Detto questo, ringrazio tutti quelli che seguono questa storia e che
commentano, mi fa sempre tanto, tanto piacere!
Auguro una buona settimana a tutti e torno ad annegare nei feels.
- scusate-
*ohhh... non vedo l'ora che sia già lunedì
prossimo...*
Bye!
|
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Capitolo 15 *** What I am is wrong. ***
What I am is wrong.
Io
non dovrei essere viva.
Quando
ho scelto di morire, tre anni fa, non l’ho fatto per salvare
il mondo.
L’ho
fatto per sparire.
L’ho
fatto perché non sopportavo più la mia vita,
nulla aveva più un senso.
Volevo
essere spazzata via, smettere di soffrire.
L’ho
fatto perché sapevo che nessun’altro aveva
così poco da perdere come me, a
sacrificarsi per sigillare Ashura: insomma, io cos’ero? Un
rifiuto,
un’assassina, un peso per chiunque. In tutta la mia vita non
avevo fatto altro
che fare del male a chi mi circondava.
Ero
la figlia della strega, la sua arma più letale contro il
mondo d’Ordine che lei
odiava. A me non era mai interessato nulla di quello che lei progettava
per il
mio futuro, anzi, da quando mi sono separata da lei la prima volta ho
anche
iniziato anche a osteggiarla.
Però,
era l’unica cosa che avevo.
E
poi l’ho uccisa.
E
mi sono ritrovata sola, pazza e senza uno scopo che non fosse quello di
devastare tutto quello che avevo attorno, per ridurre il mondo in
macerie
proprio com’ero io.
Ero
un danno.
Dovevo
sparire.
Per
sempre.
Ma,
ma…
Mi
sbaglio. Sto mentendo, lo so, spudoratamente. In realtà
avevo un dolore, nel
cuore, una spina che è riuscita a ficcarsi più in
profondità di qualunque
altra, facendomi sanguinare come mai avevo fatto prima d’ora.
Questa
spina si chiama Maka.
Lei
non lo sa, ma per quel breve periodo in cui mi ha teso la mano, e mi ha
tenuta
al suo fianco, lei è diventata il mio sole. La mia luce, la
mia salvezza.
Lei
era diventata tutto per me. Era… la mia stessa vita.
Questo
legame, questa ferita profonda, era contemporaneamente la cosa
più dolce e
dolorosa che potessi immaginare: il mio amore era sbagliato,
come tutto
ciò che concerne me.
Era
sbagliato, sbagliato, e lei non avrebbe mai dovuto saperlo, non avrebbe
mai potuto
ricambiarmi, lei che è così perfetta. Lo sapevo
bene, ma nonostante ciò non
potevo fare a meno di soffrirne.
Ero
veramente una stupida.
Una
stupida debole.
Sì,
debole, poiché non ho saputo ribellarmi a mia madre quando
lei ha reclamato
indietro la sua piccola pedina dalla breve parentesi di paradiso che le
aveva
concesso.
Io…
non ho potuto. Questo… è crudele. Mia madre, era
crudele, poiché mi ha
strappato via tutto dopo avermi fatto assaggiare la
felicità, e io ero crudele,
perché sono stata debole, perché ho seguito
quella strega, ho abbandonato Maka,
ho abbandonato l’unica persona per cui avessi mai provato
amore…
La
follia mi ha distrutto la mente,
ma
la ferita, per quanto i volti mi si confondessero fra i ricordi,
continuò a
sanguinare.
Già.
Ho
ucciso mia madre, ho ingoiato il Kishin, ho provato a rompere le regole
del
mondo, ho massacrato così tante persone da averne perso il
conto.
La
follia sconvolgeva la mia anima mischiandosi al mio dolore.
Sono
sbagliata, sbagliata… non sarei nemmeno dovuta nascere,
sarebbe stato molto
meglio se non fossi mai venuta al mondo.
Eppure
sono viva.
Maka
è venuta un’altra volta da me, nella mia
disperazione, nonostante tutto, e mi
ha chiesto di non morire.
Mi
ha chiesto di aspettarla.
Maledizione.
Per
lei ho dato tutto, lei che mi aveva donato così tanto, lei
che era il mio sole,
la mia vita, lei che non avrebbe mai potuto ricambiare quello
sbagliato,
sbagliato amore che provavo per lei.
Io
le ho dato tutto quello che avevo, e stupida come sono mi sono
aggrappata alla
vita, per lei, per dare a lei anche quella, trasformandomi in
quest’orrore che
sono ora.
Sono
una pazza.
Lei
non dovrebbe legarsi a me come io sono legata a lei, sarebbe un male.
Sono un
pericolo, sono l’incarnazione stessa di tutto ciò
che è sbagliato.
Lei
ce l’aveva già un compagno, era già
felice senza di me, e doveva continuare ad
essere così, mentre io ero morta sulla Luna.
Ma,
ora, io…
Io…
Io…
Maka
chiuse gli occhi, con le
labbra premute contro quelle di Chrona, la testa che aveva smesso di
funzionare
da tempo e il cuore che batteva a mille. La sentì
irrigidirsi da capo a piedi e
iniziare a tremare con violenza, ma nessuna delle due ebbe la
volontà di
scostarsi, rimanendo ferma in quel contatto che aveva un ché
di meraviglioso.
La giovane Albarn sentì le mani
della sua amica – seriamente, amica? – che
all’improvviso smisero di tremare e
le afferrarono la testa, affondando fra i suoi capelli, e la spinsero
ancora
più vicina a sé dischiudendo le labbra.
Si lasciò trasportare da quel
bacio travolgente, umido… la bocca di Chrona aveva un caldo
retrogusto dolce.
Cosa diavolo stava accadendo…?
Era bellissimo…
Stava davvero baciando una ragazza?
Ma che le era preso…?
Era… era…
Maka all’improvviso si riscosse
e si staccò da Chrona, allontanandosi a distanza di
sicurezza e lanciandole
un’occhiata spaventata. Chrona rimase a fissarla ad occhi
spalancati, immobile,
con la stessa espressione di terrore dipinta sul volto e le mani ancora
tese in
avanti: sembrava essere pietrificata, tanto che sarebbe stato
impossibile
definire se avesse trovato il coraggio per ricominciare a respirare
prima di
morire in piedi lì dov’era.
“Scusami, Chrona, io…”
Chrona era paralizzata.
“…non so cosa mi sia
preso…scusami io…”
“Tu…”
La figlia della strega parlò
così piano che quasi le onde coprirono la sua voce fioca:
“…pe…perché l’hai
fatto?”
“Io… non so, io…”
“No, no, non va bene, questo,
non va bene. No, per niente, per niente…maledizione,
maledizione, maledizione!”
Sotto lo sguardo sconcertato di
Maka Chrona iniziò a imprecare, a voce sempre più
alta, guardando un
punto nel vuoto e iniziando a
stringersi le braccia con le mani fino a farsi sbiancare le nocche. Oh
mio Dio,
Maka aveva combinato un casino, un gran, gran casino…
“No! Perché l’hai fatto!?
Perché Maka l’ha fatto!? Io sono il Kishin! E sono
una donna! Maledizione!
Maledizione! È sbagliato!”
La fanciulla dai capelli rosa
centrò finalmente lo sguardo di Maka, che costernata rimase
senza parole e con
la bocca aperta a ricambiare quell’occhiata di disperazione,
poi il Demone strizzò
gli occhi in un singhiozzo prima di darle una spallata e correre verso
casa,
sempre stringendosi le braccia con le mani, e sparendo dietro alla
porta-finestra.
La giovane meister rimase lì, a
piedi nudi nella sabbia, con la bocca vuota ed uno stretto nodo in
gola. Il
sole era affondato oltre l’orizzonte marino, e la luce
d’oro si era spenta.
Iniziava a fare freddo.
Io…
Sì.
Chrona, mi sono innamorata di te.
Era
così ovvio,
che
scema.
Mi
sono comportata come una stupida, maledizione.
La
cosa peggiore è che me ne sono accorta solo ora, forse
perché ero convinta di
essere attratta solo dai ragazzi, o forse… non lo so,
è strano.
Chissà
cosa pensi di me, adesso.
Probabilmente
ora mi eviterai, mi starai lontana, ti ho terrorizzata; lasciarmi
andare in
quel modo è stata una mossa egoista, egoista… ma
che diavolo mi è preso?
Cosa
ne so io di quello che tu provi per me? Probabilmente ora ti
disgusto…
Ma…
No,
non è vero, tu…
In
quel bacio, anche tu…
No,
no, così non andava bene per
niente, Maka e Chrona sarebbero rimaste da sole per un sacco di tempo,
in
quella vecchia casetta sul mare, non potevano entrare in crisi
così…
Maka corse anche lei verso casa,
saltò sui gradini delle scalinate di pietra che risalivano
la costa per
raggiungere il portico, graffiandosi i piedi, spalancò la
porta e si mise a
cercare la sua compagna di fuga, che non si trovava da nessuna parte.
Le luci erano spente, il
soggiorno silenzioso.
Maka provò ad aprire tutte le
porte e trovò con disappunto tutte le stanze vuote, fino a
quando raggiunse
quella della camera matrimoniale, che trovò sbarrata.
La ragazza iniziò a martellare
sulla soglia, chiamando il nome dell’altra, ma non ottenne
risposta. Finalmente
si calmò, fece un respiro e smise di bussare.
Appoggiò l’orecchio al legno
dipinto di bianco, ma non udì nessun suono al di
là.
“Non devi per forza aprirmi, se
non vuoi.” disse, con il rimorso che le trapelava dalla voce.
Nessuna riposta.
“Senti, io… non volevo.
Cioè…
non è che non avessi voglia di farlo, io avevo un sacco di
voglia di
farlo…ehm…scusami, cioè, non avrei
dovuto però. Non ho pensato che potevo
sconvolgerti, scusami. Non volevo assolutamente ferirti
così.”
Nessuna risposta.
“Sì, io… sono stata
un’egoista.
Però volevo anche dirti… a parte
questo… io… tengo davvero molto a te. Davvero
molto. Tantissimo. Probabilmente questa cosa ti metterà a
disagio…mi
dispiace…ma ormai il casino l’ho già
combinato. Perdonami, ma… io… credo di
tenere a te molto di più che a un’amica, Chrona.
Anche se forse pensi che sia
sbagliato.”
Nessuna risposta.
“… poco fa, mi sono accorta di
una cosa. Non mi importa che tu sia una ragazza. Sì,
è un po’ strano, ma… non
posso farci niente. Non posso negare l’evidenza. E, lo sai
già, non mi importa
assolutamente nulla del fatto che tu ora sei il Kishin. Tu non sei
cambiata,
tranne per la storia dei poteri eccetera… sei sempre Chrona,
l’ho visto, in
questi giorni. Tu sei tu, e io… beh, mi piaci un
sacco.”
Nessuna risposta.
“Spero che riuscirai a
perdonarmi per questa cosa. Sono stata una stupida, non ho tenuto conto
dei
tuoi sentimenti. – Maka sospirò, sentendo i
polmoni che tremavano – Perciò… se
per te va bene, possiamo fare finta che non sia successo nulla.
Probabilmente
tu non provi assolutamente la stessa cosa, per me. Lo capisco,
è naturale. Sono
io che sono diventata matta, da quando ti ho
rivista… non certo tu.
Quindi, se vuoi io…”
La porta si aprì all’improvviso,
e Chrona apparve fra le ombre della camera dietro di lei.
Aveva gli occhi gonfi e le
guance ricoperte di lacrime.
“Maka, io sono matta da
quando sono nata.”
La giovane Albarn trattene un
singhiozzo, nel vederla ridotta così.
“Maka, tu non capisci, tu non
puoi capire. Tu non puoi, non devi, legarti a me.
Non devono
condizionarti i miei sentimenti, se io ti ami, oppure no… ma
non pensare… non
pensare che io non ti adori… ma tu, almeno tu…
non cadere in questo sbaglio,
non…”
“Chrona, tu…”
“No, no, Maka, allontanati,
non…”
Maka fece un passo verso Chrona
e le prese i polsi. Era come ipnotizzata, ubriacata da quelle parole e
da
quelle lacrime, dai sussulti irregolari di quel petto esile,
dall’aspetto così
fragile, vi si avvicinò e la resistenza che trovò
fu futile. Chrona
singhiozzava, ma non ebbe la forza di rifiutare
quell’assalto, si ritrovò il
corpo di Maka aderente al suo, in un abbraccio impossibile da
contrastare.
“No… no… non farlo…
non…”
“No, tu hai paura, hai paura
Chrona…”
Maka spinse la figlia della
strega all’indietro, fino al letto, fino ad inciampare sul
materasso e a cadere
sedute sulle lenzuola pulite. La maestra di falce circondò
Chrona con le
braccia, inebriata, la guardò dritta in quegli occhi enormi,
pieni di lacrime e
di terrore, vi affondò dentro come in un pozzo buio, pieno
di segreti taciuti e
mai rivelati.
“Non avere paura. Non devi avere
paura. Non c’è nulla di cui avere
paura…”
Si chinò su di lei e la baciò,
assaporando il sale che le rigava il volto e le labbra, sentendo il suo
respiro
interrompersi e la sua bocca rispondere all’impeto di quel
fuoco che le stava
infiammando l’anima. Si baciarono tanto, a lungo, Maka si
appoggiò su di lei
fino a spingerla sdraiata, con la schiena sul letto, e le mani strette
convulsamente attorno alle sue spalle.
Non sapeva fermarsi, non avrebbe
voluto farlo mai, mai…
Il fiato le venne meno e fu
costretta a staccarsi per respirare, nel farlo tornò a
tuffarsi negli occhi
neri della sua compagna, e vide che stava ancora piangendo:
“Maka, io… - mormorò, e la sua
voce tremava - …io ti amo, ti amo più della mia
stessa vita, sei l’unica
ragione per cui combatto, sei la mia luce …”
“…non me lo hai mai detto…”
“…non potevo, non potevo…”
Maka le poggiò una mano sul
volto e le asciugò le guance, le accarezzò, le
baciò e poi le sussurrò
all’orecchio:
“Sei sempre la solita
sciocchina… non fai altro che farti male da sola…
io… io non voglio più
permetterti di farlo, non l’ho mai
sopportato…”
Chrona gemette mentre Maka le
baciava il collo, infilando la testa nella piega sotto la sua mascella
e
tirando giù con le dita l’alto colletto nero che
le nascondeva la pelle. Sì,
stava accadendo, ed era incredibile, era assolutamente meraviglioso,
era come
un sogno inebriante che rifluiva caldo e prepotente nella
realtà, chi se ne
importa del Demone, del Kishin, di Soul, di Kid…
L’unica realtà era quel respiro
rotto, quella lingua bollente, quei morsi sulla pelle, quel sentimento
bruciante che invadeva l’anima e le dava fuoco, incenerendo
tutto il resto.
“Se
ti dicessi che potresti
uccidermi solo con una parola, mi crederesti?”
Ormai era buio da molto tempo.
Chissà quante ore erano passate.
Maka e Chrona erano sdraiate sul
letto con la testa appoggiata ai cuscini, si guardavano negli occhi e
tenevano
le gambe incrociate. Era così comoda, quella posizione, e
Maka pensò che il
calore delle dita di Chrona fosse davvero molto piacevole mentre le
carezzava
la guancia, giocherellando coi suoi capelli ancora legati sotto la nuca.
“Non lo farei mai, Chrona.”
Il volto del secondo Kishin era
oscurato dalle ombre della sera, ma si vedeva che stava sorridendo.
Dolcemente,
con quel suo modo un po’ amaro.
“…devo dirti una cosa
importante, Maka. È una
richiesta. Io
sono in vita grazie a te, e ora mi stai facendo vivere un sogno. Forse
non ti
rendi conto di quanto io non meriti il tuo affetto, ma sei sempre stata
una
testona e hai deciso di regalarmelo lo stesso.”
Maka rise teneramente a
quell’affermazione, e Chrona continuò:
“Io sono una persona dalla mente
debole, Maka, e in più sono potente. Ho paura che, un
giorno, potrei farti
male, molto male, come è già successo in passato.
Se dovesse accadere, ti
prego, uccidimi e fammi sigillare. Non avrei più nessun
motivo di calcare il
regno dei vivi, in una tale eventualità.”
Maka deglutì, nell’ombra, e i
suoi occhi brillarono riflettendo la luce della luna che entrava dalla
finestra.
“Per favore, non parlare della
tua morte. Mi fa star male. E poi non accadrà mai, non
c’è più Medusa, non
c’è
più nemmeno Ashura, e tu sei una persona buonissima. Io
credo in te, e se avrai
qualche difficoltà, starò al tuo fianco, come ho
fatto sempre. Al massimo posso
prenderti a pugni, come ho già fatto una volta.”
“…Maka, parlo sul serio.”
“…anche io.”
Maka afferrò la mano calda di
Chrona che le stava accarezzando i capelli, la strinse forte, se la
portò alle
labbra e la baciò, chiudendo gli occhi.
La sua pelle era così liscia.
Aveva mani magre, Chrona, dalle dita lunghe e eleganti.
La ragazza coi codini riaprì gli
occhi e sorrise, osservando quel volto lunare nel buio.
“Sono una testona, l’hai detto
tu. E se vuoi stare come me, devi metterti in testa che ti
vorrò bene sempre,
anche se ci saranno difficoltà. E che sei una persona
importante, e io lotterò
per te. Non mi sono mai arresa e non lo farò mai.”
Chrona sospirò debolmente, e
Maka le si avvicinò e le posò un bacio leggero
sulle labbra. La giovane Albarn
si sentì stringere forte ed il bacio continuò,
fino a che non fu
momentaneamente sazia di quel contatto meraviglioso.
Appoggiò la testa
nell’incavo del collo della sua compagna e si
lasciò coccolare da
quell’abbraccio stretto, possessivo e rassicurante.
“…dovrò farmene una
ragione…eh?”
“…già.”
“Maka… quindi noi…noi
stiamo…insieme?”
Da quella posizione Maka poté
sentire il cuore di Chrona accelerare notevolmente, e le si
strofinò contro,
sorridendo.
“Tu lo vorresti?”
“Io… sì. Tantissimo.”
“Anche io lo voglio tantissimo.
Quando ho scoperto che eri viva mi hai fatto impazzire. Mi hai mandato
fuori di
testa, solo ora mi rendo conto del perché… Mi sei
mancata troppo, sempre, fin
da quando eravamo ragazzine. Sto male senza di te.”
Rimasero lì abbracciate per un
po’ di tempo, ad occhi chiusi, ad ascoltarsi respirare a
vicenda.
“Ti va di cenare?”
“No, dai, non alzarti…”
“Facciamo un altro pigiama
party. Preparo due panini e poi li mangiamo qui, in pigiama.”
“Va bene. Mi piace.”
“La
verità è che voglio vederti
in vestaglia, sei sexy.”
“Ehm… ok…”
Spazio
Autrice
Bonjour
a tout le monde!
Oggi è un lunedì vacanziero per tutti i milanesi,
è St. Ambros, ma spero di portare un po' di gioia e
romanticismo anche per tutti gli altri XD
Sì beh, the ship is sealed. Insomma ci siamo spiegati. Come
mi è piaciuto scrivere questo capitolo!
Ho da dire solo una cosetta: all'inizio finalmente entriamo nel punto
di vista di Chrona, e quello che dice si ricollega molto alla storia
precedente a questa ("Just a Little story... ecc"), dato che in quella
sede tutta quanta la narrazione era in prima persona da parte di
Chrona. Ovviamente si tratta di una semplice interpretazione dei suoi
sentimenti, che- come ho ripetuto fin troppo - alla fine si
è rivelata davvero molto vicina a quella di Ohkubo stesso.
Bene, ora vi auguro una buona settimana!
Grazie a tutti i miei lettori e ai miei recensori!
A lunedì prossimo!
Bye! :*
|
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Capitolo 16 *** Like a dream that only belongs to us. ***
Like a dream that only belongs
to us.
Chrona
era sveglia, stava
osservando Maka dormire accanto a lei.
Stava sdraiata a pancia in su,
con la testa leggermente reclinata e la bocca dischiusa, con
un’espressione di
pace totale che invadeva i suoi lineamenti delicati da nippo-americana.
I
capelli castano chiaro le attorniavano il viso come
un’aureola, sciolti sul
cuscino.
Chrona pensò che fosse
bellissima. La luce chiara del mattino la illuminava come se fosse
stata un
angelo in un affresco rinascimentale, una creatura celeste che di umano
aveva
solo l’aspetto.
Era stata una notte magica.
Chrona avrebbe voluto restare lì
a osservarla per tutto il giorno, senza disturbare il suo riposo, ma un
suono
fastidioso iniziò a provenire insistente dal soggiorno, e
Maka strizzò gli
occhi, iniziando a destarsi. La sua compagna le carezzò la
guancia per darle un
risveglio un po’ più gentile di quello che avrebbe
procurato quell’insopportabile
ronzio che continuava ad aumentare di volume.
“Ehi.”
“Ehi, buongiorno.”
“Buongiorno a te, angelo.”
“Cos’è ‘sto
rumore…?”
“La televisione, temo.”
“Oh merda, Cariddi…”
La
faccia pallida e scapigliata
della strega apparve oltre lo schermo a tubi catodici della vecchia
televisione, disturbato da numerose interferenze di statica, con un
paio di
occhiaie da fare invidia a quelle di Chrona nei suoi momenti peggiori.
“Ragazze! – esclamò
– E’tutto
a posto!? State bene!?”
“Sì, tutto a posto.”
Maka sbadigliò, stringendosi la
copertina del divano sulle spalle a mo’ di vestaglia.
“Ero convinta che foste
MORTE! Perché non avete risposto ieri
sera!?Ho davvero temuto il peggio!”
“Emh, temo di aver capito solo
ora come funziona sWitch.”
Chrona stava mettendo sui
fornelli un bricco pieno di acqua calda per fare il tè, e
meno male che non si
trovava davanti allo schermo, poiché diventò
così tanto viola che le sue guance
iniziarono a somigliare in maniera sospetta a due prugne. Maka la vide
e
sorrise, percependo anche la sua faccia iniziare ad andare
discretamente a
fuoco; sperò che questo non si notasse troppo attraverso lo
schermo.
“Scusami Cariddi, non siamo
proprio state capaci di far funzionare questo coso, ieri
sera…”
“Va beh, va beh, l’importante
è che state bene.”
La strega cacciò un sonoro
sospiro, e Maka si sentì sprofondare ancora di
più nella vergogna. Sì, non le
interessava che Cariddi sapesse oppure no di quello che era successo la
sera
prima tra lei e Chrona, ma sarebbe stato estremamente imbarazzante
ammettere di
aver saltato il loro importantissimo appuntamento per una cosa del
genere…
avrebbe davvero dovuto ricordarsi.
“Cosa mi dici, Cariddi?”
“Dunque, parliamo di quello
che accade qui. – La strega assunse un
atteggiamento serio – Il Sommo
Shinigami ha inviato squadre un po’ in tutto il mondo, qui
alla DWMA stanno
diventando matti per rintracciarvi. Lo scontro sul piazzale della
scuola ha
terrorizzato tutti, ma alcuni studenti e alcuni professori si sono
accorti che
Kid non è normale, e hanno iniziato a sospettare quello che
pensiamo noi, ossia
che sia caduto sotto l’influenza del Demone.”
Chrona si venne a sedere sul
pavimento accanto a Maka, con la schiena appoggiata al divano, e le
porse una
tazza di tè. La maestra di falce la accettò con
un sorriso, poi chiese a
Cariddi:
“Immaginavo che avrebbero
mandato metà scuola a cercarci. Ma, per esempio, chi
è che pensa che Kid sia
stato traviato dal Demone?”
“Tsubaki Nakatsukasa, per
esempio. È disperata. È venuta a chiedermi vostre
notizie perché ha notato che
Death the Kid non è più in sé, e
inoltre il suo maestro è in degenza in
ospedale…”
Chrona deglutì, pallida.
“…non è in pericolo,
però,
come avevi detto tu, il dottor Stein gli ha riattaccato il braccio in
un
attimo. Ecco, anche Stein ha capito che c’è
qualcosa che non va, e anche Marie
e Sid.”
“E Soul Eater?” chiese Maka.
Cariddi scosse la testa: “Non
lo so, ma ho saputo che è partito insieme alle squadre che
vi stanno cercando.
Credo che sia convintissimo che tu sia posseduta, Maka, e che non abbia
iniziato a dubitare come gli altri. Sai, entrando in risonanza con Kid,
magari…”
“…sì, sì, la
'risonanza'…”
mugugnò Maka, cupa.
“Tutto qui, ecco. State
attente. Vi farò sapere se succede qualcosa, e state vicine
al televisore, per
favore, preferirei non morire d’infarto prima dei miei
cinquecento anni.”
“Certo, promesso! Ciao!”
“Ciao…”
Lo schermo si fece confuso e la
statica invase l’immagine di Cariddi, per poi spegnersi del
tutto. Le due
ragazze rimasero a fissare il televisore silenzioso, senza parlare,
rimirando
le loro immagini riflesse come a guardare un quadro: due fanciulle in
pigiama,
assonnatissime, accampate sul pavimento con una tazza di tè
fumante in mano.
Chrona sospirò:
“Quando questa storia sarà
risolta, voglio chiedere scusa a Black*Star. Temo di avere esagerato.
Ma ti
aveva tirato un pugno, non ci ho visto più.”
Maka scivolò su un fianco e
appoggiò la testa alla spalla della sua compagna, con gli
occhi sempre fissi al
riflesso sul televisore: ora, erano due fanciulle in pigiama,
assonnate, con
una tazza di tè in mano e innamorate pazze l’una
dell’altra.
“Sì, dobbiamo spiegargli tutto.
Poverino. Pensa che per un po’ ci sono pure uscita insieme
con lui.”
“Ah sì?”
“Sì, era assolutamente
insopportabile, ma ero in crisi affettiva. Avevo appena scaricato
Soul.”
“Ah… e, ehm… come mai?”
“Non lo so… - Maka sospirò –
Immagino che dopo l’infatuazione iniziale non mi fosse
rimasto più nulla, e
quindi l’ho mollato. Lavorando insieme abbiamo creato un
legame fortissimo, ma
evidentemente non era un legame di quel tipo. Sai che mi diceva
sempre?”
“Uhm… cosa?”
“Che non mi sopportava più
perché gli parlavo sempre di te.”
Maka sorrise sorniona e tutto il
disagio che Chrona aveva accumulato in quella conversazione si sciolse
in una risata
leggera e imbarazzata; la ragazza dai capelli rosa appoggiò
per terra la sua
tazza di tè e passò il braccio attorno alle
spalle di Maka, stringendola forte
a sé.
“Non devi dirmi queste cose
Maka, potrei veramente pensare che questo sogno sia la
realtà.”
“Se questo è solo un sogno,
probabilmente non ti sveglierai mai più, scema.”
Si baciarono, rovesciando
qualche goccia di tè sulle piastrelle del pavimento. Maka si
strinse forte
contro il corpo di Chrona e le parve di sentire la sua anima da demone
esplodere,
mentre la teneva stretta fra le dita.
Da quando, da quando si era
accesa quella scintilla? Da quando l’aveva vista in Germania?
Ma no… Da quando
quella bellissima creatura le aveva detto, poco prima di suicidarsi per
sigillare Ashura, che se combatteva lo faceva solo per lei, che stava
dando la
vita solo per lei? No, no…Molto, molto più tempo
indietro. Da quando aveva
toccato quell’anima meravigliosa, ricoperta di spine,
così tanti anni prima,
per la prima volta? Forse, ecco, forse.
Era così strano, così strano
quel sentimento…
“Torniamo a letto, per favore,
sto cascando dal sonno.”
“Sì, volentieri.”
La giovane Albarn si appese con
le braccia al collo di Chrona per farsi aiutare a tirarsi su, ma
andò a finire
che si baciarono di nuovo: quelle labbra erano così morbide
che ci sarebbe
rimasta incollata per tutto il giorno.
Solo dopo qualche lungo secondo
si accorsero che il televisore, di fatto, aveva ripreso a sibilare e
ronzare
con cipiglio violento.
E sullo schermo c’era la faccia
di Blair, con la più incredibile espressione di meraviglia
stampata sopra che
si potesse immaginare.
La
prima ad accorgersi
dell’intrusione di privacy da parte di
quell’inaspettata ospite digitale fu
Chrona, che quasi si soffocò in un colpo di tosse e poi
corse fuori dal campo
visivo dello schermo più veloce della luce, andando a
rintanarsi in qualche ombroso
anfratto del corridoio.
Maka rimase un po’ perplessa per
i primi secondi, poi si accorse della sua gatta domestica che la stava
fissando
dalla televisione e per poco le prese un colpo.
“B-Blair!?”
“Maka! Ma allora è così che
stanno le cose!!!”
“Cosa ci fai… perché sei nella
mia TV!?”
“Allora avevo ragione! Tu e
Chrona avete un intrallazzo!”
“Ma-ma-ma… non dovresti essere
lì!”
Maka arrossì violentemente
mentre con lo sguardo andava a cercare dove fosse corsa a nascondersi
la sua
compagna di fuga, ma non la trovò da nessuna parte e rimase
da sola a
fronteggiare lo schermo.
“Blair! Per la miseria siamo
ricercate! Come hai fatto a raggiungere questa televisione!”
La gatta fece spallucce e
sorrise in modo furbetto. Alle sue spalle era visibile una delle pareti
della
camera di Maka a Death City, mentre la luce elettrica che la illuminava
da un
lato proveniva evidentemente dalla lampada sulla scrivania che stava
accanto al
computer. Doveva essere sera tardi, in Nevada.
“Anche io ho un account di
sWitch. È da ieri pomeriggio che ti cerco, Maka. In
realtà tutta la città sembra
essersi messa a cercarvi, te e Chrona.”
“Per forza!”
Maka sentì un brivido gelido
correrle giù per la schiena. Se Blair era riuscita a
rintracciarle così in
fretta, magari qualcuno fornito di sWitch poteva già sapere
dove si stavano
nascondendo…
“Blair, non devi dire a
nessuno che ci hai trovato, e soprattutto dove
ci hai trovato…”
La gatta scoppiò a ridere con gaiezza:
“Ahahah, ma io non ho idea di dove siete! SWitch non
funziona mica così!”
Notando la faccia terrea di Maka,
Blair aggiunse: “Non preoccuparti Maka, nessuno
saprà che sono riuscita a
trovarti! E a nessuno verrà in mente di cercarti con sWitch!
Io in realtà stavo
provando a casaccio…So che tu e Chrona siete state accusate
di aver attentato
alla DWMA, per questo volevo parlarti, ma non lo dirò a
nessuno.”
“Sei proprio sicura che nessuno
potrà trovarci con sWitch!?”
“Ma certo! SWitch è un
programma che sfrutta i dati telematici per mettere in contatto due
persone
attraverso i loro segnali dell’anima. Non c’entra
né il luogo, né
l’apparecchio, niente se non l’identità
della persona che stai chiamando. Se
qualcuno volesse cercarti dovrebbe conoscerti di persona, e non so di
nessuno
che usi sWitch a parte me e un paio di streghe qui a Death City, e
anche se ti
trovassero non avrebbero idea di dove stai alloggiando, come me!”
“Ah…” Maka tirò un sospiro di
sollievo.
“A proposito… - aggiunse
Blair – Com’è che hai sWitch?”
“Storia lunga. Non so se è il
caso di dirtelo.”
“Ah, okay, okay. Ma
allooora!? Cos’era quella cosa che ho visto prima!?”
Maka si ricordò di essere
arrossita come una ragazzina con una cotta adolescenziale, si morse le
labbra e
tornò a cercare Chrona con lo sguardo, di nuovo senza
trovarla. Gli occhi
gialli di Blair la stavano mettendo a nudo in modo imbarazzante.
“Ehm… già, sai, ho scoperto che
lei mi piace molto e, beh…sai
com’è…”
“Era ora! Mi chiedevo quando
vi sareste decise voi due!”
Maka rimase a bocca aperta:
“Eh!?”
“Oh, andiamo, lo sapevano
tutti che Chrona era innamorata te. Non dirmi che non te
n’eri accorta. –
Blair ridacchiò – Anche tu sembravi
sulla buona strada, in realtà, quando
andavate a scuola insieme! Soul era pure venuto a parlarmene ad un
certo punto,
era insicuro se dichiararsi a te anche dopo che credevamo che fosse
morta sulla
Luna perché temeva di essere rifiutato a favore suo.”
Maka continuava a non credere
alle proprie orecchie.
“Cos… ma Blair! Non è vero!”
“Ah Maka, sei sempre stata
un’imbranata nelle relazioni sentimentali.”
La giovane meister sospirò,
appoggiandosi la testa ad una mano. Possibile che Blair avesse proprio
ragione?
“Non facevi altro che parlare
di lei e pensare a lei. Ero sicura che prima o poi sareste diventate
una
coppia!”
La gatta gongolava felice, e
Maka tornò a sospirare, stringendosi le gambe fra le
braccia, e prendendo atto
che era il caso di ripulire tutto quel tè che era stato
rovesciato sulle
piastrelle.
È
stata una fortuna che Blair mi abbia rintracciata bighellonando su
sWitch,
infatti mentre parlavamo le ho chiesto di tenermi informata sulle cose
che
accadono in città. Sì,
Sì,
abbiamo Cariddi che ci fa da tramite, ma mi sento molto più
al sicuro sapendo
che abbiamo anche un altro “agente”. Mi fido
cecamente di Blair, e sono sicura
che ci sarà molto utile per venire a capo di questo mistero.
Trovo
Chrona nascosta in camera da letto, seduta per terra accanto al muro
opposto
all’entrata, con la schiena appoggiata al materasso.
“Dio
mio, che imbarazzo…”
“Tranquilla,
è tutto ok.”
“Ho
intenzione di chiedere a Blair di aiutarci con la nostra
missione.”
“Ti
fidi di lei?”
“Sì.”
“Allora
va bene.”
Chrona
mi sta guardando come si guarda qualcosa di sacro.
Sì,
è il suo solito sguardo, timido, vagamente intimorito, ma
ora posso leggervi
un’immensità di affetto e devozione, un amore
grande quanto il mondo. E mi ha
sempre guardata così, sempre.
Aveva ragione,
Blair? Sono davvero stata così cieca?
Ci siamo di nuovo
sdraiate sul letto, sopra le lenzuola, perché ho detto di
avere ancora voglia
di dormire per il sonno. Le nostre mani sono unite nella penombra, e le
nostre
voci sono soffuse. Mi sento come fuori dal tempo, come se fossimo
finite in un
sogno che appartiene solo a noi, lontano dalla vita di tutti i giorni e
dai
suoi problemi, lontano da tutto.
“Chrona, ma tu…da
quanto tempo provi questi sentimenti per me?”
Chrona mi guarda,
silenziosa, con quei suoi occhi tristi, bui, così profondi
che per un secondo
sento il timore di cascarci dentro e annegare. Non sorride,
è come se esitasse.
Poi parla.
“Maka, tu forse non
ti rendi conto di quello che rappresenti, per me.
Io non ho mai
vissuto, mi è sempre stato negato un qualsiasi accesso alla
vita vera. Mia
madre mi ha sempre tenuta separata dal mondo esterno e non ho mai
incontrato
nessuno che non mi considerasse alla stregua di uno strumento, una
nullità
totale, una stupida cavia da abbandonare se non serve più.
L’unico rapporto
umano che mi era stato insegnato era la sottomissione,
poiché io ero sottomessa
alla mia potente madre, e io dovevo imparare a sottomettere i miei
avversari,
togliendo loro tutto ciò che avevano di più caro.
Ero un essere
amorfo, sai. Sì, che lo sai.
La mia vita non è
mai stata una vita, era l’inferno.
Ancora adesso, Maka,
io non sono abituata alla vita. Sono una straniera nel mondo.
Per me, la
disperazione è la normalità. La solitudine. Il
senso di colpa.
Persino il mio unico
punto di riferimento, persino quella stronza di mia
madre…”
La sua voce trema,
istintivamente stringo la sua mano nella mia.
“…quella stupida
troia, voleva morire, lei aveva già deciso che si sarebbe
fatta uccidere da me!
Voleva rendermi
peggio di lei, voleva trasformarmi in un mostro, mi ha mandato fuori di
testa
perché, per plasmarmi come lei progettava, io avrei dovuto
assorbire tutto
l’odio e il rancore che mi aveva sputato addosso, e poi
rigettarglielo in
faccia commettendo il peggiore crimine che si possa mai
immaginare… io l’ho
ammazzata Maka, e ho goduto nel farlo!”
Le lacrime brillano bollenti
nei raggi di luce che filtrano dalle tende, la mano trema.
“…io non avevo…non
avevo più niente!
Non avevo te! Non
avevo mia madre! Ero sola, con la mia cazzo di follia che mi faceva
star male,
volevo che tutto fosse come me, rotto, distrutto, in pezzi…
ero una matricida,
pazza, piena di potere… dannosa… sarei dovuta
morire, sarebbe stato meglio per
tutti…”
Le sue spine mi
perforano il cuore mentre la stringo a me, forte, mentre sento tutto il
suo
dolore che mi si riversa addosso come una cascata in piena, finendo per
traboccare anche dalle mie ciglia.
“…Tu, Maka…tu… per
me… eri come un angelo. Sei stata la prima persona ad
essermi amica, sei stata
l’unica che mi ha teso la mano e mi ha tirato, anche solo per
qualche attimo
passeggero, fuori dal mio inferno… tu… eri la mia
luce, la mia speranza, eri così
bella quando mi sorridevi, e io mi sentivo importante, in qualche
modo… io…
dire che ti amo non sarebbe sufficiente, io non potrei vivere senza
quello che
mi hai dato, perché tu sei diventata tutta la mia vita,
Maka… sei l’unica cosa
per cui valga la pena vivere, nel mio schifo di mondo.”
Incapace di parlare
le bacio la testa, su quei ciuffi disordinati, vorrei poter tornare
indietro
nel tempo e ucciderla io, Medusa, vorrei tenere questa strana, dolce
fanciulla
sempre qui, sul mio petto, per cullarla e calmare il suo pianto
disperato col
mio calore.
“Sai Maka io… ho
rifiutato la morte aggrappandomi alla speranza di poterti rivedere.
Sì, sono
una sciocca. Ho sconfitto Ashura e sono diventata un Demone
perché l’unica cosa
che desideravo era rivedere il tuo sorriso. Sospesa nel mio stato di
non-vita
resistevo, paziente, perché sapevo che tu eri felice
così, anche senza di me, e
speravo che prima o poi saresti tornata. Poi però, quando ho
percepito
quell’anima disgustosa che ti minacciava, ho compiuto
ciò che ritenevo impossibile,
e sono risorta, ricreando il mio corpo com’era prima.
Davvero, non avrei mai
immaginato di poter fare una cosa simile, ma la mia volontà
di proteggerti dal
male era troppo forte. Se qualcuno alzasse su di te anche solo un dito,
Maka,
io gli strapperei le gambe… toccando te, ucciderebbe anche
me. Sì, sono
un’egoista, una disgustosa egoista.”
“Chrona, tu non sei
un’egoista… tu… non devi negare il tuo
diritto ad amare. Non te l’hanno mai
concesso, ma è una cosa che hanno tutti, fin dalla nascita.
Anche tu, tu puoi
amare chi ti pare. E anche io. Se mi ami non è una colpa,
è bellissimo… perché…
perché anche io ti amo, Chrona, anche se Soul diceva che il
nostro rapporto era
morboso, che ero ossessionata, che mi stavi facendo male…
sono tutte balle! Noi
ci amiamo, ed è bellissimo…”
Le afferro il viso
fra le mani e la bacio, sprofondando dentro quell’uragano di
rovi che è la sua
anima e ubriacandomi
della sua bocca bollente,
riversando in lei la passione che mi sta nascendo in fondo alle viscere
come un
incendio.
Mi accoglie,
risponde, con slancio mi afferra le spalle e mi volta a pancia
all’aria salendo
su di me a cavalcioni, con il suo corpo premuto contro al mio, e i suoi
denti
mi mordono, mi azzannano e suggono dalle mie labbra…
Io non so… non so
come devo comportarmi con una ragazza… è
così strano…
Le infilo una mano
sotto la vestaglia, le tocco la schiena, nuda, percorro con le dita
tutta la
strana vallata irregolare che le sue cicatrici le hanno scavato nella
pelle, scendo
lentamente e poi mi blocco. Che dovrei fare? Che dovrei fare?
Le sue dita mi
stringono le spalle, la mia carezza sulla sua pelle martoriata
l’ha scossa
profondamente, mi ha piantato le unghie nella carne e ha trattenuto il
respiro,
nessuno, nessuno l’ha mai toccata così…
Continuo la mia
carezza sulla sua schiena nuda e rovente, la esploro tutta con il palmo
scorrendo su e giù, piano piano, seguendo il ritmo
incrementante dei suoi
sospiri. Questo calore mi ubriaca, vorrei poterla toccare come farei
con un
ragazzo, vorrei sapere come fare, ma…
Credo di avere
paura, adesso, ma è bellissimo. Il respiro caldo di Chrona
nelle mie orecchie
mi risveglia gli organi del ventre, sento il mio sangue affluire sempre
più
forte, sento le sue dita salire fino sul mio collo, slacciare i
bottoncini del
colletto del pigiama uno per uno, oh mio Dio, mi spoglia, mi
spoglia… La sua
bocca e i suoi denti mi mordono, le prendo la testa le bacio i capelli,
la
stringo sul cuore che mi martella sotto al reggiseno… lei ha
sete, lei vuole
questa carne qui, adesso, lo sento, la sento, la sento sfamarsi sul mio
petto
come una morta di fame che trovi una oasi nel deserto… oh
mio Dio, oh mio Dio,
è una donna, è una donna, non so cosa fare, non
so che fare con la sua mano che
scende, scende, scende…
Maka si scostò da Chrona
piuttosto bruscamente, tremando, e
poi prese a mordersi violentemente le labbra, con gli ansimi che le
sollevavano
velocemente il petto mezzo nudo.
“S-scusami Chrona… io non…”
Chrona la stava fissando e raggelò in un attimo: pareva
terrorizzata dalla sua stessa vestaglia tutta sollevata, dai suoi
respiri
accelerati e dall’intenso color indaco che le animava le
guance. I suoi occhi
erano ancora gonfi e lividi per lo sfogo di poco prima.
Scosse lentamente la testa: “Maka… io…
devo essere
impazzita… ma che mi è
preso…?”
Maka si lanciò in avanti e la abbracciò,
costernata; Chrona
le risollevò il pigiama sulle spalle per ricoprirla, tirando
dei profondi
respiri per raffreddare la temperatura del sangue.
“Tranquilla, è normale…”
“No, Maka… ti stavo infilando una mano nelle
mutande! Ma che
razza cosa pervertita è, non…”
Maka sospirò, accarezzando i capelli della sua compagna, che
pareva essere letteralmente entrata in stato di shock: “Forse
è un po’ presto
per noi due, per fare queste cose. Perdonami, non avevo idea di cosa
fare,
mentre tu… non mi sembri pronta.”
“Pronta?”
“Tranquilla, va tutto bene. Ci riproviamo la prossima
volta.”
“Ma Maka, io…”
Maka le schioccò un lungo bacio sulla guancia e la
accompagnò con le braccia fino a stenderla sul letto, con la
testa sul suo
cuscino.
“Sto morendo di sonno.”
Le rimboccò le coperte e si stese pure lei, avvolgendosi nel
lenzuolo fino alla testa.
“Dormiamo un po’, fino all’ora di pranzo.
Dai, per favore.”
Maka strizzò gli occhi e si voltò su un fianco,
mentre
Chrona rimase lì stesa a occhi spalancati, fissando il
soffitto.
Dalla parte opposta del mondo, in
Nevada, qualcuno bussò
alla porta della stanza della strega Cariddi.
La Gorgon corse ad aprire e si trovò davanti il dottor
Franken Stein, accompagnato da suo figlio FJ per mano, con una faccia
talmente
stravolta da far pietà persino ad una strega piena di
impegni come lei. A
quella vista Cariddi sollevò le sopracciglia:
“Buongiorno professore, vi stavo aspettando.”
Stein si grattò la nuca, mentre suo figlio già
occhieggiava
oltre la porta coi suoi occhi furbetti:
“Non so che farei senza di te, Cariddi…”
Cariddi prese per mano FJ e gli strizzò l’occhio,
poi chiese
al dottore se aveva voglia di un caffè, dato che la sua
faccia sconvolta pareva
invocarne un disperato bisogno. Stein accettò con un cenno
del capo: come poter
rifiutare un caffè preparato in moka secondo la
più genuina tradizione
italiana?
“Dica dottore, Kid vi tiene ancora a pieno regime?”
“Temo di sì, sia me che Mary. Quel ragazzo ha
decisamente
qualcosa che non va, da quando il Demone si è
manifestato…”
Stein sorseggiò il liquido nero e fumante dalla sua tazzina,
rimirando le piccole tracce scure che la bevanda lasciava sulle pareti
di
porcellana bianca.
“… lo sto tenendo d’occhio, ma
è difficile prendere qualche
iniziativa finché non ci si può capire qualcosa.
Intanto, la priorità è di
catturare Chrona Gorgon e salvare Maka.”
Cariddi deglutì, finendo il suo caffè.
“Beh, professore, se il secondo Kishin somiglia al primo, ci
vorrà un bel po’ prima di scovare dove si
nasconde.”
“Eh, già. – Stein sospirò
– Questo è il problema. La scuola
è sguarnita, e io e Mary dobbiamo lavorare il
triplo.”
“State facendo un ottimo lavoro. Non preoccupatevi per FJ,
che tanto per il pomeriggio a lui ci penso io.”
La strega accompagnò il dottore alla porta e lo
salutò, poi
tornò dentro e andò a prendere dei pastelli per
intrattenere quella piccola
peste dai capelli biondi.
Zona Autrice
Buon lunedì amici,
oggi il capitolo era bello ciccione!
Come va? Come proseguono
i preparativi per Natale? Io non vedo l'ora personalmente, anche per
levarmi l'università di dosso per un po' di tempo XD -
l'ultimo periodo è stato stressante -. Ovviamente le
pubblicazioni non si interromperanno ;)
Ma passiamo alle
curiosità, e oggi parliamo di luoghi: tutte le
città che compaiono nella storia (tranne, per ovvi motivi,
Death City), sono città che ho avuto modo di visitare
personalmente. Ho deciso di inserire solo luoghi che conosco dal vero
per avere un punto di partenza solido, forse, e non aver paura di
descrivere posti completamente dal nulla e magari dire
assurdità complete. O forse volevo solo sentire la storia un
po' più vera, non saprei proprio dire.
Dato che per questo
capitolo non ho trovato immagini tratte dal manga che mi sembrassero
adatte, ecco a voi due Gorgon da spiaggia.
*Già, molto a
tema natalizio. E vbb.*
|
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Capitolo 17 *** Is it love or is it just madness? ***
Is
it love or is it just madness?
Maka rise alla battuta che Blair
aveva appena fatto,
stringendosi le ginocchia con le mani.
Stavano chiacchierando via sWitch solo loro due, mentre
Chrona era in bagno a farsi la doccia: la maestra d’armi
aveva ben pensato di
approfittare di quel momento per sfogarsi con la sua confidente
più intima
mentre ne aveva l’occasione, poiché sentiva un
impellente bisogno di parlare
con qualcuno che potesse capirla.
Insomma, gli ultimi due giorni erano stati una bella giostra
emozionale, non era più abituata…
“...beh, dai, almeno il fatto che siete
lì isolate, voi
due tutte sole, vi sta permettendo di aprirvi meglio l’una
all’altra.”
“Già…”
Maka si sentiva parecchio imbarazzata. Era da quella mattina
che non riusciva a togliersi dalla testa quella cosa
che era accaduta
fra lei e il secondo Kishin il giorno prima, che tornava ogni secondo a
perseguitarle la mente a ogni minima distrazione. Era nata in modo
così
naturale, così spontaneo, e lei e Chrona avevano deciso di
essere una coppia da
appena pochissime ore… le sembrava così strano.
Ricordò quello che era successo con Soul, con il quale
c’era
stato una sorta di balletto di prendi e molla, una lenta evoluzione,
graduale,
prima di arrivare finalmente a quella cosa.
Accidenti.
Ora era arrivata Chrona e pretendeva di fregarsene di come
funzionano i rapporti romantici, aveva distrutto tutte le sue
inibizioni come
un uragano.
“…senti, Blair, dovrei chiederti qualcosa di un
po’
privato.”
“Uh, cioè?”
“Ehm – Maka arrossì come un pomodoro
– tu hai molta
esperienza, quindi, volevo chiederti…”
Blair sorrise in modo furbetto, leggendo nella mente della
sua coinquilina umana e prevedendo la domanda.
“…ma, esattamente, come fanno a farlo
due donne?”
Blair chiocciò in una risatina divertita, soprattutto
perché
la faccia di Maka era talmente arrossata e contratta dalla vergogna da
farla
assomigliare ad una sorta di ortaggio da giardino, assolutamente
esilarante.
“Eddai non ridere! Sono in crisi!”
“Ahahahahah beh, ovviamente non è che ci
sia un modo
canonico o un modo sbagliato. Puoi fare un po’ quello che ti
pare.”
“Qualche esempio…?”
“Dunque, se proprio sei così imbranata,
ricorda: col VIW
non puoi sbagliare.”
“Col… che?”
“Il V. I. W.! Ovvio! Guarda, ti faccio vedere.”
La gatta assunse un atteggiamento pratico, un po’
ammiccante, e chiuse le dita della mano destra lasciando dritti
l’indice e il
medio, come in segno di vittoria, mostrandolo bene alla sua inesperta
confidente.
“V!”
Blair si portò con nonchalance la “V”
sulla bocca e tirò
fuori la lingua, dopodiché iniziò ad illustrare
la lezione con una mimica
decisamente eloquente.
“I!”
La gatta chiuse le dita che formavano la “V”, in
modo tale
da formare una “I”, poi mosse su e giù
la forma che si era creata in modo –
altresì – egualmente
eloquente.
“W!”
Anche la mano sinistra si unì alla destra, ed entrambe
tornarono in posizione “V”, Blair le
mostrò nel modo più chiaro possibile allo
schermo e poi iniziò a sforbiciare per bene con le mani
tentando tutte le
possibili combinazioni.
“TI PREGO SMETTILA SEI TERRIBILE!”
Maka aveva affondato la testa in uno dei cuscini del divano
già da metà della spiegazione sulla
“V”, sprofondando nell’imbarazzo
più totale
e scuotendo la testa. Quello non era sesso, era disagio allo stato puro.
“Sempre la solita sei…”
Blair scoppiò a ridere.
Cariddi si trovava nella piccola
stanza che la DWMA le aveva
messo a disposizione per vivere a Death City, e stava riordinando i
suoi libri
sull’anta dell’armadio di legno compensato che
aveva dedicato a biblioteca. FJ
era appena stato lì, come anche nei giorni precedenti,
perché lei si era
offerta di fargli da babysitter dopo la scuola materna. I suoi genitori
infatti
erano trattenuti da Kid tutto il giorno a presidiare la scuola e a
gestire le
squadre di ricerca per Chrona.
Cariddi sorrise fra sé e sé: nessuno avrebbe mai
trovato
quel Demone.
La sua casa a Messina si trovava proprio davanti allo
Stretto, quella zona di mare dove nascevano i vortici assassini che le
davano i
suoi poteri: non poteva accadere nulla in quel posto senza che lei se
ne
accorgesse, e poteva fare in pezzi chiunque si avvicinasse troppo con
una
facilità imbarazzante. Avrebbe mantenuto Maka e Chrona
lontane dalla scuola e
da tutto il suo entourage per tutto il tempo necessario.
Le capitò fra le mani un vecchio tomo rilegato di cuoio,
pieno di fogli tenuti insieme da spago e fili di pelle. Strano,
pensò. Era
abbastanza convinta di aver lasciato quel particolare libro nella sua
vecchia
casa nel regno delle Streghe…
FJ le aveva chiesto di fargli vedere i suoi libri per gioco,
poco prima, e Cariddi per un secondo sentì scorrere un
brivido elettrico scorrerle
nella sua spina dorsale. Ma no, pensò, figuriamoci se un
bambino di tre anni
sapeva leggere…
Quel libro, proprio quel particolare libro di appunti le
aveva chiesto, indicandolo con la sua manina paffutella,
poiché potesse
sfogliare quelle pagine scritte fitte fitte, fino a giungere alle
facciate con
i disegni e restarne incantato. Pentagoni, sottili linee geometriche
che si
intrecciavano in un meccanismo su cui Cariddi aveva lavorato tanti,
tanti anni
prima.
La strega fece un bel respiro, cercando di calmare il
nervoso, e ripose il libro sotto al letto.
Quella cosa non andava bene, per niente.
Forse FJ aveva solo tre anni, ma non c’era mai da stare
tranquille: era pur sempre il figlio del famigerato ammazza-streghe
Franken
Stein.
“Scusami se ti ho
rifiutata, ieri.”
La doccia rigettava acqua bollente
già da più di mezz’ora,
di conseguenza il bagno era immerso in una vaga nebbiolina bagnata che
rendeva
pesante il respiro.
La siluette del corpo di Chrona era visibile oltre la
vecchia tenda di plastica decorata con un motivo di rose, immersa in
quelle
nubi dal calore opprimente.
“Sai… sono una
vera
stupida. Tu mi ami tantissimo, e io ti sto trattando come una cotta
adolescenziale.”
“Puoi farmi quello
che vuoi, Maka. Se fossi tu ad uccidermi, ne sarei solo
contenta.”
Faceva caldo, là dentro.
L’acqua era bollente.
Maka si sfilò lentamente i vestiti e li lasciò
per terra,
ipnotizzata dal suono battente delle gocce contro la superficie di
ceramica
della vecchia vasca da bagno rettangolare. Chrona era là
sotto, immobile, si
vedeva che si era appoggiata con le mani al freddo muro di piastrelle e
si
faceva scrosciare la cascata d’acqua sulla nuca.
“Smettila di parlare
di te stessa in quel modo avvilente, mi fa star male.”
“…”
“Dovresti dirmelo se
capita che io dica o faccia qualcosa che ti fa soffrire, non voglio
usarti come
un esperimento emotivo.”
“Questo amore che
provo, Maka, te l’ho già detto, è
sbagliato. Non farti tutti questi problemi.”
La superficie della vasca era bagnata
da tutta quell’acqua
che ci veniva scaricata sopra, i piedi di Maka si scottarono venendone
a
contatto.
Vide Chrona, davanti a sé, di schiena. Nuda, immobile, con
la testa infossata fra le spalle e le mani contro al muro.
Vide la sua pelle bianca e sfregiata da quell’orrenda
cicatrice che le disegnava, una per una, tutte le vertebre della spina
dorsale
e l’ombra appena accennata delle costole. Le ossa delle sue
anche sporgevano
dai fianchi quasi come corna, ma le sue cosce e i suoi glutei erano
tonici e
tondeggianti, le sue gambe erano lunghe ed elegantissime, terminando in
caviglie sottili.
Maka guardò lo sfregio che le occupava la schiena e le venne
voglia di toccarlo.
“Sai, forse hai
ragione. Forse è sbagliato.”
“…”
“Forse è solo una
sottile, distorta forma di follia che ci ha colte, me e te. Forse
è una
malattia mentale che abbiamo contratto tutte e due, quando le nostre
due anime
si sono unite per la prima volta.”
Le dita di Maka sfiorarono la pelle
rovinata di Chrona, la
toccarono.
La ragazza fece un passo in avanti e appoggiò le labbra su
quella macchia irregolare, percependo ogni piccola asperità
di quel punto, al
centro delle scapole.
Il Demone rimase immobile, inondato dall’acqua torrenziale,
e Maka vide la sua anima.
Sì, avrebbe dovuto averne paura, la sua oscurità
era come un
vortice di spine che girava e girava, distruggendo se stessa e tutto
ciò che
aveva attorno, era davvero terrificante.
Ma dentro, là in fondo, brillava una luce intensa, viola e
dolcissima, ricoperta dal suo stesso sangue nero come la pece, che come
sempre
gridava aiuto, invocava amore, soffocava dalla sete.
Era bellissima, esattamente come la prima volta che l’aveva
toccata.
“O forse no…
forse
non mi sono semplicemente resa conto della realtà, Chrona.
È successo tutto
così in fretta, che sto perdendo i miei punti di riferimento.
Io ti amo, Chrona.
Da quando ti ho
vista dentro, credo.
Ti amo e ancora non
mi sembra vero.”
Maka fece scorrere le mani sulla sua
pelle fino ad
abbracciarla, facendosi inondare d’acqua bollente.
Il Demone della follia rimase immobile, limitandosi a
chiudere le mani a pugno, sul muro.
Chrona
era una debole, non era stata capace di resisterle.
Non riusciva a concepire che quello che Maka le stava
dicendo fosse reale.
Come poteva provare una cosa del genere? Come si poteva
amare una creatura maledetta come Chrona? Sarebbe finita malissimo, non
si
rendeva conto di quello che diceva…
La stava prendendo in giro?
Cos’era quello che stavano facendo, un gioco?
Un gioco pericoloso?
Giocava con la sua anima, che stava tenendo in pugno come se
si trattasse di una rosa sul suo cespuglio, ricoperta di spine rosse di
sangue,
ma delicata, avvizzita, tanto che sarebbe bastato stringere un
po’ le dita per
disperderne tutti i petali per terra nel fango e stritolarne il cuore?
Maka le baciò la schiena e si
sentì soffocare.
“Non
hai mai pensato che Soul potesse avere ragione?
E
se ti dicessi che tu non mi ami, ma che io ti sto influenzando, ti sto
ipnotizzando per tenerti prigioniera al mio fianco, per soddisfare la
mia sete?
Cosa
faresti se ti dicessi una cosa del genere?”
Maka
aprì le palme delle mani e le
premette sul suo ventre bagnato.
L’acqua bollente scorreva sulla
loro pelle, si infilava negli occhi e nelle narici, strozzava il
respiro.
Le mani salirono, la schiena seguendole
si inarcò all’indietro, succube.
“…mi
andrebbe bene lo stesso. Anche io ho sete.”
“Ma
tu lo sai, quello che mi stai facendo… vero?”
Le
mani raggiunsero il seno e
strinsero, il collo si abbandonò all’indietro
intrappolando un gemito.
Acqua bollente in faccia.
Era un punto sensibile, sensibile,
e quelle mani, quel corpo aderente al suo, dietro, appartenevano
proprio a
Maka.
A quella Maka, quella Maka
a cui aveva consacrato persino la sua morte.
La stava stregando, di nuovo,
lo stava facendo di nuovo…
“No,
non so cosa ti sto facendo. Ma voglio farlo, e basta.”
“Sì…tu
sei… una pazza.”
“Senti
chi parla.”
Quelle
mani incontrollabili si
muovevano, sulla sua pelle, premevano sulla sua carne insieme
all’acqua e le
schiacciavano gli organi con coraggiosa prepotenza.
Come poteva nascere un piacere
simile da semplici sacchi di pelle ripieni di battiti e fiato?
Come poteva quell’anima alata,
angelica, fondersi alla sua in modo così fisico?
Come faceva quella mano a
toglierle i fiato, la vista e la ragione, con un semplice tocco,
là sotto?
“Non
ho più dubbi. Chrona, io ti voglio.”
“Tu…
tu mi…”
Le
dita di Maka si insinuarono
fra le sue labbra dischiuse, le toccarono i denti e la lingua,
penetrarono fino
ad accarezzarle l’interno della guancia.
Chrona non era più in grado di
parlare, era impazzita, impazzita del tutto, chiuse la bocca e
succhiò quelle
dita audaci, aveva sete, aveva una sete spaventosa…
“Non
preoccuparti, avrò cura di te. Non ti farò
soffrire mai più.
Non
ti abbandonerò.”
La
sete la accecava, strinse la
mano di Maka fra le sue gambe e si voltò, guardandola negli
occhi annebbiati.
Era bellissima.
La desiderava, ora, la voleva
tutta, la voleva dentro e fuori di sé, la voleva
dappertutto, le baciò le
orecchie, gli occhi, il naso, la bocca, il collo, il seno, le coste,
l’ombelico.
Crollò in ginocchio ai suoi
piedi, completamente fuori di sé, sorda, cieca,
l’unica cosa che sentiva era
quella pelle bagnata dentro la sua bocca che la sfamava, la ubriacava,
e quei
gemiti continui e quella stretta sui capelli che la tenevano
così vicina, così
forte…
Questa
è follia.
Follia.
Inesplicabile,
divina follia.
Perse
la concezione del tempo e
dello spazio, affogò in quella ebbra bevuta per
chissà quanto, seppe solo che
ad un certo punto si trovò pressata contro il muro di
piastrelle fredde, così
fredde contro la sua pelle bollente, e quelle dita esploravano ancora
il suo
corpo ed erano tremendamente piacevoli, e poi Maka si era seduta sopra
di lei e
si erano amalgamate così tanto che i respiri
dell’una erano entrati nei polmoni
dell’altra, le aveva leccato e morso quel cuore impazzito che
martellava sotto
al suo seno sinistro, aveva visto la luce, aveva sentito le loro anime
unite
scoppiare insieme.
Una
mano chiuse il rubinetto
dell’acqua della doccia, che subito ridusse il suo flusso
fino a un piccolo
gocciolio insignificante.
Maka sospirò. Se ne stava
abbandonata sul corpo di Chrona, appoggiato alle pareti della vasca,
con la
testa sul suo petto soffice, e si faceva cullare dal suo respiro ancora
accelerato.
L’umidità iniziava a far
trapelare un certo freddo sul suo corpo nudo e bagnato, ora che la
cascata
bollente si era spenta, ma non aveva assolutamente voglia di rialzarsi.
Chrona
aveva gli occhi chiusi, l’aveva circondata con le braccia e
le accarezzava la
schiena.
Non sapeva cosa dire.
C’era davvero bisogno di qualcosa
da dire?
“Sei incredibile. Lo fai come se
ne sentissi un bisogno vitale.”
“Maka, io… - la sua voce era
lieve – …è stato bellissimo.”
“Sì.”
Maka si strofinò con la testa
contro la sua compagna, percependo il freddo che, nonostante la nuvola
di
vapore, cominciava a farle venire la pelle d’oca.
“Maka, siamo tutte bagnate…
possiamo asciugarci? Mi sento un po’ a
disagio…”
“Sì, certo. Dai, ti asciugo io i
capelli.”
Cariddi
rientrò nella sua stanza
con le gambe a pezzi, ma facendo il minor rumore possibile.
Chiuse la porta velocemente,
senza accendere le luci, e come prima cosa fece scorrere lo sguardo e
le sue
percezioni su tutto l’interno arredato, tirando un sospiro di
sollievo solo
dopo molti lunghi secondi.
Accese l’interruttore della
lampada e controllò tutti i suoi libri, compreso quello che
aveva nascosto
sotto al letto. Soddisfatta, finalmente si lanciò sulla
poltroncina a rotelle
davanti alla scrivania sulla quale stava appoggiato il computer di
dotazione al
dormitorio.
Lo accese velocemente e attivò il
semplice incantesimo per aprire una comunicazione via sWitch; lo
schermo si
attivò immediatamente sfrigolando per la statica, percorso
da linee e
ondulazioni grigiastre, in attesa che dall’altra parte
qualcuno rispondesse
alla chiamata.
Cariddi sospirò, nervosa: da
quando aveva chiamato le due fuggitive per la prima volta, e queste
l’avevano
tenuta in attesa per quasi mezza giornata, le veniva l’ansia
ogni volta che
provava a contattarle.
Fortunatamente, passarono solo un
minuto o due prima che lo schermo diventasse limpido, mostrando le
figure
sedute di Maka Albarn e Chrona Gorgon, entrambe accucciate sul
pavimento
davanti al divano nel soggiorno della sua vecchia residenza di Messina.
Stavano vicine, quasi come se
cercassero di entrare a forza entrambe tutte intere nella visuale dello
schermo, e le loro espressioni esprimevano una gran voglia di
novità.
“Ciao
professoressa Albarn, ciao cugina. Come
state? Va tutto bene là?” Salutò
la strega, stiracchiando un sorriso con
le guance stanche.
“Sì, benissimo.”
Rispose
Maka gaiamente, e parve pure arrossire un po’.
“Bene. – Cariddi fece una pausa,
riorganizzando i pensieri. Doveva essere convincente con loro, o per
lei
sarebbero stati guai – Continuate a stare attente, mi
raccomando. Uscite il
meno possibile. Oggi mi è arrivata l’informazione
che una squadra della DWMA ha
iniziato la sua ricerca in Italia, lì siete al sicuro ma, in
ogni caso, meglio
non correre rischi.”
Maka e Chrona annuirono, serissime.
Cariddi continuò: “Non ci sono molti
aggiornamenti, Kid è stabile nella sua
ossessione per catturarvi, Black*Star sta recuperando l’uso
del braccio e Stein
sta indagando anche oltre agli ordini del sommo Shinigami.
Ecco… - la
strega ebbe un brivido, e temette che fosse ben visibile nonostante la
scarsa
qualità della connessione video causata dal catorcio di
televisione che
riceveva il segnale magico - …devo anche dirvi
un’altra cosa. Temo che potrei
avere qualche problema, più avanti, e forse non
potrò continuare le nostre
comunicazioni per qualche tempo.”
“Cos’è successo Cariddi?”
chiese Chrona, seria, con uno sguardo così duro da far
gelare il sangue.
Cariddi controllò un eccesso di
panico e prese tempo guardandosi un po’ attorno, infine
rispose: “Sarò più
franca che posso. Sono preoccupata che la scuola possa scoprire il mio
doppiogioco. Quindi ve lo dico e ve lo ripeto: rimanete dentro casa
più che
potete. Ora l’importante è evitare altri scontri
con la DWMA, non dovete farvi
trovare. Dobbiamo scovare il colpevole prima possibile, non possiamo
creare
altri pasticci di quel tipo. Chiaro? Ora devo andare, è tardi.”
Prima che Maka o quel Demone
spaventoso di Chrona potessero protestare la strega interruppe la
comunicazione, tirando poi un rumoroso sospiro di sollievo di fronte
allo
schermo spento.
Lo sguardo le cadde di nuovo fra
le ombre sotto al letto, dove stava nascosto il libro.
Quel maledetto libro.
La strega, durante i suoi
ottant’anni di vita, era riuscita a svincolarsi da un bel
po’ di situazioni problematiche
senza problemi, ma quella volta stava davvero rischiando grosso.
Doveva prendere provvedimenti,
architettare un piano, subito, prima che Maka e Chrona scoprissero la
verità:
bruciare il libro? Ah, forse sarebbe stata anche una buona idea, ma
conteneva
decenni di ricerche… e poi le sarebbe stato molto utile.
Fuggire? No, sarebbe stato anche
peggio.
Forse si stava solo preoccupando
troppo, dopotutto FJ era solo un bambino di tre anni. Com’era
possibile che suo
padre gli chiedesse di sfogliare proprio quel libro
particolare, e che
poi sapesse riportare cosa vi aveva visto dentro?
Forse era davvero il caso di
distruggerlo.
Ci avrebbe pensato.
A qualcosa doveva pensare per
forza.
Maka
si sentì immediatamente
precipitata nella realtà, mentre una punta fredda di
sospetto le si insinuava
nei pensieri.
Non appena la comunicazione con
la strega fu interrotta si scambiò un’occhiata con
Chrona, che pareva
condividere il suo stato d’animo. Si sentiva vulnerabile,
ora. Poteva darsi che
avessero fatto una sciocchezza, ad accettare l’aiuto di
quella strega.
Si sporse di nuovo sulla
televisione e subito cercò di contattare Blair,
concentrandosi come aveva
imparato a fare, riuscendo ad attivare la comunicazione. Per fortuna la
gatta
non era molto lontana dal computer e rispose quasi
all’istante.
Non appena vide quelle facce
terree si preoccupò tantissimo.
“Maka… cosa c’è?”
“Blair, ho un favore da
chiederti. Devi pedinare Cariddi, ci sta nascondendo qualcosa. Forse
non è
niente, ma non possiamo restare qui senza saperne nulla.”
La gatta annuì, seria.
“Sì, Maka. Lo farò. Vado.”
“Grazie.”
La comunicazione si chiuse.
Spazio
Autrice
Buondì ragazzuoli!
Cavolo, sarà anche il 21 Dicembre, ma fa un certo caldo qui dentro...
ahahah! Consideratelo un po' un regalo natalizio, un po' di VIW per
tutti - e anche un po' di Blair, che lei non c'è mai
abbastanza XD
Passiamo alle cose un po' più serie: per la scena di
passione sotto la doccia ho usato come ispirazione Madness
dei Muse, canzone che mi è corsa in aiuto con le sue
sonorità emozionanti e sensuali e con il suo testo piuttosto
attinente ai due personaggi di Maka e Chrona. Mentre per il resto...
parrebbe che anche la trama vera e propria stia per proseguire,
nonostante la coppietta probabilmente preferirebbe restarsene in
vacanza al mare lontano dal mondo e dalle preoccupazioni.
Detto questo vi do appuntamento a lunedì prossimo, e
soprattutto
BUON
NATALE!!!
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Capitolo 18 *** What if the real Demon is…? ***
What if the real Demon
is…?
“Cosa
sta combinando quella
strega schifosa? Se ci fosse un problema vero ce l’avrebbe
detto con
chiarezza!”
“Calmati, cerchiamo di
organizzare un po’ le idee.”
Chrona era su tutte le furie, la
sua faccia sembrava essersi trasformata in marmo. Maka sentiva le idee
turbinare nel cervello, eccitate dalla fortissima sensazione di
pericolo che le
attanagliava lo stomaco. Erano ancora accovacciate sul pavimento
davanti al
televisore, che ora rifletteva la loro immagine con il suo schermo
spento e
vuoto.
“Che motivo avrebbe avuto di
aiutarci se stesse tramando qualcosa?”
“Questa è casa sua, Maka! Ci ha
anche fatto capire che verrà a sapere di tutti i nostri
movimenti e che può
tenere gli intrusi lontani da distanza, è ovvio che
può anche impedirci di
fuggire.”
“Merda hai ragione…”
“Sono sicura che se ora
provassimo a fuggire in volo in qualche modo ci sarebbe impedito di
farlo.
Vuole tenerci in trappola.”
“Aspetta, aspetta…se fosse come
dici tu, allora sarebbe nel suo interesse tenerci
confinate…”
Una consapevolezza istantanea
fulminò Maka, fredda come una doccia di ghiaccio.
“Lei…è stata l’unica a dire
di
essere sicura che il Demone non fossi tu,
Chrona…è stata lei a mandarci
qui, in un posto isolato e sotto il suo controllo, proprio quando ha
visto che
eravamo decise a non seguire più gli ordini di Kid e a
indagare da sole…vuole
tenerci lontane dalla DWMA! Chrona…
E se il vero Demone fosse lei?”
Chrona la fissava serissima,
pallida. Poi strizzò gli occhi e si diede una pacca in testa.
“Che stupida! Può essere! Può
essere! È una strega, conosce lo scudo dell’anima,
se voleva nascondersi da me
poteva farlo tranquillamente! E…Maka…”
“…sì, tu dicevi che mi seguiva, e
in effetti ha sempre avuto la tendenza a starmi appresso, mi ha detto
che
voleva diventare mia amica!”
Rimasero in silenzio entrambe,
costernate, mentre una serie di piccoli particolari si riversavano
nelle loro
menti e cominciavano ad acquistare un senso. Sì,
c’era una evidente possibilità
che Cariddi fosse il vero Demone.
“Chrona… mio padre ha ucciso la
madre di Cariddi.”
“Cosa!?”
“Sì… mi sono scordata di
dirtelo…”
“Maka, ti vuole morta! Tutte le
Gorgoni sono state sterminate dalla DWMA!
Cioè…quasi tutte, ma comunque sono
sempre state streghe ribelli! Non mi sorprenderebbe affatto che quella
strega
stia cercando di ribaltare di nuovo l’ordine infiltrandosi
direttamente nella
scuola!”
Maka per un secondo si sentì mancare
dal panico, ma riprese subito il controllo.
“Merda! Aspetta, non dobbiamo
perdere la calma… che facciamo!?”
“Dobbiamo tornare alla DWMA,
ora!”
“Sì! No… aspetta, non so se
sarebbe una buona idea…”
“Cosa!?”
Chrona la fissava, pallida come
la morte e arrabbiata come una furia, pervasa dal suo furore gelido e
terrificante. Maka la capiva, percepiva in lei
un’aggressività micidiale nei
confronti di sua cugina: se per caso ce l’avesse avuta fra
gli artigli
probabilmente l’avrebbe già fatta a pezzi nel modo
più doloroso possibile. Ma
no, dovevano rimanere calme, andava tutto bene.
Avevano un colpevole, e Chrona
l’avrebbe protetta contro qualsiasi minaccia che sarebbe
sopraggiunta. Questa
sicurezza dava a Maka un coraggio che sfiorava l’incoscienza.
“Ti spiego: se davvero Cariddi è
il vero Demone e si accorgesse che noi stiamo venendo a cercarla,
potrebbe
difendersi. Potrebbe prendere in ostaggio qualcuno, potrebbe decidersi
a rubare
le ultime due pietre che ha in mano Kid! Non avremmo
l’elemento sorpresa e non possiamo
conoscere le conseguenze. Inoltre, ho mandato Blair a indagare su di
lei, se ci
spostiamo da qui non potremmo più comunicare, è
impensabile trascinarci dietro
quel televisore!”
Maka prese le mani di Chrona e le
sentì gelide. Quel contatto la fece comunque calmare un
po’.
“Sì, hai ragione. – ammise la
figlia della strega – Ma non possiamo restare qui
imprigionate senza fare
nulla.”
“No, non possiamo.”
Maka chiuse gli occhi e respirò
profondamente, stringendo le mani fredde della sua compagna, nel
tentativo di
sgombrare la mente dall’ansia.
Il pavimento era freddo e
scomodo, le ginocchia le stavano facendo male.
“Come prima cosa, dovremmo
aspettare fino a che Blair non ci darà qualche informazione
in più. In fondo,
non abbiamo in mano nessuna prova tangibile che lei sia la colpevole e
inoltre
ci siamo accorte di questa cosa perché Cariddi è
preoccupata per qualche
motivo. Magari qualcun altro ha iniziato a sospettare di lei? Tsubaki,
Stein?”
Chrona annuì, ascoltando il
ragionamento di Maka.
“Vedremo. Intanto, fingiamo di
non esserci accorte di niente, è meglio che non sappia che
sospettiamo di lei.”
“Va bene. Non mi sento al sicuro
qui, però. È una sensazione orribile, ci siamo
fatte ingannare come due sceme e
adesso siamo nella tana del lupo.”
Anche Maka provava lo stesso
disgusto: quel pavimento, quel divano, quelle pareti, quella casetta
amena… le
era diventata odiosa come se avesse i muri ricoperti di veleno.
L’unica cosa
che voleva fare era scappare via di lì più veloce
che poteva, ma aveva appena appurato
che non era il caso di farlo.
Però, una via per andarsene
dovevano trovarla, in un modo o nell’altro.
Si rialzò, tirando su per le mani
congiunte anche Chrona, e si guardò attorno. Lo sguardo le
cadde sul paesaggio
oltre la finestra, che si perdeva nell’orizzonte del mare.
“Ho un’idea per andarcene di qui
senza che Cariddi sospetti che l’abbiamo scoperta.”
Chrona lanciò a Maka uno sguardo
interrogativo.
“Ci sono delle squadre della DWMA
che di stanno cercando. C’è anche Soul. Possiamo
farci trovare e poi andarcene
quando Blair chi ha dato qualche informazione.”
“Ma Cariddi non se ne
accorgerebbe subito se qualcuno entrasse qui?”
“Sì.”
Maka sorrise, compiaciuta: “Le
possiamo raccontare che quelli che ci hanno trovato sono passati dalla
nostra
parte. In fondo, è proprio vero.”
A Chrona l’idea non parve andare
a genio subito, ma dopo qualche secondo sospirò ed
annuì.
“Immagino sia una buona idea. Ma
che succede se Soul Eater e gli altri volessero uccidere me e portare
via te,
come probabilmente avverrà?”
“Possiamo sempre tenerli a bada a
forza. – mormorò Maka –
L’importante è che ci diano una scusa per
andarcene di
qui.”
“Ok.”
Blair
se ne stava sdraiata su un
cornicione assolato, riscaldando il pelo ai raggi caldi e dorati, con
gli occhi
puntati alla finestra del dormitorio della DWMA.
Erano ore che non si muoveva da
lì, sorvegliando attentamente i movimenti della strega
Cariddi: non era stato
difficile trovarla, dopotutto non era un segreto dove si trovava la sua
camera.
Maka le aveva chiesto di sorvegliarla
perché stava nascondendo qualcosa di sospetto ma, per il
momento, non era
successo assolutamente nulla di interessante: la Gorgone era rimasta a
leggere
tutto il tempo seduta sul suo tavolo, prendendo qualche appunto su un
quadernetto che aveva appoggiato su un lato. Si vedeva molto bene, dato
che la
finestra da cui sbirciava Blair era posizionata sopra alla scrivania
della
strega.
La gatta si stava annoiando ma non
si sarebbe spostata da là per nessun motivo al mondo, stava
facendo un favore a Maka, che
in quel momento se la stava passando proprio male, ricercata dalla
scuola
com’era.
All’improvviso Blair notò
qualcosa d’interessante sulla strada: era il dottor Franken
Stein con suo
figlio Franken Junior per mano, stavano camminando verso
l’ingresso del
dormitorio. La micia
fu sorpresa di
vedere il dottore lasciare suo figlio alla strega e poi tornarsene
indietro da
solo, mentre FJ e Cariddi iniziavano a tirare fuori una scatola di
pastelli da
un cassetto non in vista. A quanto pare la strega faceva da
baby-sitter: sarà
stato questo il suo segreto?
Mentre Franken Stein passava
sulla strada a sampietrini sotto al cornicione di Blair, a passi lenti,
lanciò
verso l’alto un’occhiata apparentemente distratta:
la gatta lo notò e fece
finta di nulla, ma lui tornò a guardare davanti a
sé con un sorrisetto sornione
e si infilò le mani in tasca, aumentando il passo per
tornare al suo lavoro a
scuola.
Blair pensò che il dottore fosse
sempre molto strano, anche ora che aveva una famiglia. Cosa
avrà avuto da
ridere?
La giornata era ancora lunga, e
le chiacchiere sceme di Cariddi insieme a quel bimbetto di tre anni non
erano
minimamente più interessanti della strega da sola che
leggeva e scribacchiava.
Sarebbe stato un pomeriggio molto
lungo, forse il primo di tanti.
“…e
quindi il tuo piano sarebbe?”
L’aria di mare era fresca e
pulita sulla faccia, da quel punto. Il rumoreggiare delle onde era
intenso, ma
non copriva del tutto le loro voci: bastava parlare solo un
po’ più forte. Il
sole di fine Febbraio splendeva sull’acqua pulitissima
rendendo visibile il
fondale sassoso e riscaldava a sufficienza l’atmosfera per
starsene fuori in
maniche corte. Le sterpaglie mediterranee ondeggiavano a ritmo con le
onde
rilasciando le loro fragranze.
Chrona stava seduta in cima ad uno
scoglio particolarmente elevato, a strapiombo sul mare, che faceva
parte del
complesso di sassi e rocce che separava la piccola spiaggia davanti
alla casa
di Cariddi dal resto della costa. Lì il terreno scendeva
verso il mare con
pareti ripide e piene di cespugli profumati, terminando poi con una
serie di
scogli che si inoltravano fra i flutti.
Era stata Maka a chiedere a
Chrona si sedersi lì, punto che immaginava trovarsi ai
confini della proprietà
della strega.
“…è ovvio che da lì sei
più
visibile, no?”
“Credi seriamente che a dei
sensitivi cambi qualcosa se espando la mia anima da qui o da dentro
casa?”
“Perché no? E poi così è
evidente
che vogliamo farci trovare. Magari arrivano meno agguerriti.”
“Se lo dici tu…”
“Ma sì, ma sì. Dai, agisci.”
Chrona fece spallucce, un po’
perplessa, ma poi si voltò di nuovo verso il mare e si
concentrò verso
l’orizzonte. Prese un profondo respiro salato e chiuse per un
secondo gli
occhi, appellandosi al potere terrificante sopito nella sua anima,
sepolto
sotto le sue emozioni di umana, sentendosi avvolgere dalla
consapevolezza
dell’energia vitale che si agitava tutto attorno a lei.
Sì, avrebbe potuto far impazzire
quel potere in lei e fuori di lei, avrebbe potuto piegarlo al suo
volere,
manipolare la realtà come già aveva fatto una
volta. Ma non ce n’era nessun
bisogno, solo un codardo avrebbe usato un tale potere, rompendo
l’ordine, per
un proprio capriccio.
Espanse le sue ali oscure e fece
risuonare la sua anima più forte che poté verso
l’orizzonte, un rintocco
inquietante che si estese nell’aria, raggelandola. Il sole
parve velarsi, la
brezza marina rallentare, il verde delle piante farsi più
grigio. Chrona era
consapevole di non essere una creatura di natura positiva, no, la sua
anima
rispecchiava tutto il dolore che aveva sofferto in vita e tutto il
terrore
dell’antico Dominatore che aveva digerito. Ora, la
Dominatrice era lei, il suo
cuore tinto di nero l’avrebbe contraddistinta per sempre, per
quanto potesse
essere toccato dalla speranza.
Maka stava in piedi alle sue
spalle, all’ombra delle sue ali, ad ammirarla.
Sì, solo uno scemo avrebbe potuto
ignorare un’anima del genere, il loro piano avrebbe
funzionato alla perfezione:
gli agenti della DWMA si sarebbero accorti del Kishin e sarebbero
accorsi più
veloci che potevano, venendo a tirare fuori da quel pasticcio le due
fuggitive.
“Quanto pensi che dovrò
restarmene qui?”
“Facciamo un paio d’ore, dovrebbe
bastare.”
“Spero che si sbrighino, voglio
andarmene e mi si stanno bagnando le scarpe.”
Quattro
ore dopo, Maka uscì di
casa e si recò allo scoglio dove stava seduta Chrona,
arrampicandosi sui sassi
scoscesi.
Il Demone non si era mosso di un
passo, con le ali spalancate e gli spruzzi delle onde in faccia.
“Vedi nessuno?”
“No.”
“Nemmeno io percepisco nessuno.”
“Fantastico.”
Maka poteva sentire la brezza
marina farsi più fredda con l’avanzare della
giornata, tanto che si convinse
che fosse stata una pessima idea quella di uscire con la camicetta a
maniche
corte.
“Puoi anche rientrare ora,
Chrona. Immagino che per oggi possa bastare.”
“No.”
Chrona non si voltò, immobile
come una statua, e Maka sospirò.
“Voglio andarmene da questa casa,
non ho intenzione di spostarmi da qui se non arriva nessuno.”
La giovane meister scosse la
testa e iniziò ad avanzare verso gli scogli ripidi,
piegandosi e afferrando le
protuberanze di roccia per issarsi più in alto. Presto
raggiunse la cima dello
scoglio su cui era seduta la sua compagna, cercando di mantenere
l’equilibrio
su quella superficie scomoda, e si accovacciò di fianco a
lei, ritagliandosi
uno spazio che non le ferisse troppo le natiche. Chrona si
voltò a guardarla,
con i capelli tutti scompigliati dal vento.
“Mi sono stancata di farti stare
qui da sola. Se non rientri, allora starò qui anche
io.”
Maka si accostò alla figlia della
strega e le circondò la vita con un braccio, un
po’ per riscaldarla e un po’
per correre un minore rischio di cadere giù.
“Ma io sono un Demone, tu che sei
una piccola umana ti prenderai un malanno se resti qui.”
“Correrò il rischio.”
“Ok.”
Il mare sembrava parecchio
agitato quel pomeriggio, onde capricciose si infrangevano lungo la
costa e si
rincorrevano più a largo, rendendo l’orizzonte
rumoroso e frammentato. Una
massa di nuvole nerastre sembrava accumularsi sulla linea che divideva
il mare
dal cielo, rombando.
“Temo che questa notte ci sarà un
temporale. – disse Chrona – Guarda
laggiù, le correnti stanno già
aumentando.”
Maka aguzzò la vista e notò, a
largo, onde parecchio alte scontrarsi l’una contro
l’altra: il mare sembrava
davvero arrabbiato.
“Sai Maka, questo tratto di mare
è sempre stato molto amato dalle streghe della mia famiglia.
È pericoloso per
via dei gorghi che si formano all’improvviso, inghiottendo le
navi che passano.
Temo che oggi non verrà nessuno, se si scatena una
tempesta.”
Maka sospirò, stringendosi alla
sua compagna. Faceva davvero freddo, ora, lassù.
“Motivo in più per tornarcene al
coperto. Potremmo provare a renderci visibili anche da
lì.”
“…oppure possiamo fare un ultimo
tentativo, insieme.”
Le ali di Chrona sventolavano
nella corrente umida come vele color inchiostro, una di esse smise di
agitarsi
al vento e si ammainò all’indietro, ritirandosi.
Maka si ritrovò avviluppata
all’improvviso da quel drappo nero che si fece subito tiepido
come una coperta,
coprendole le spalle per non farle sentire le intemperie: la ragazza
ebbe un
momento di sorpresa per quell’atto inaspettato, ma quel
calore che le riscaldò
il cuore sciolse anche gli ultimi residui di disagio. Le ali in teoria
erano
fatte di sangue, ma avevano una consistenza soffice e sottile, quasi
come se
fossero intessute di seta. Chrona la strinse a sé anche col
braccio, e Maka si
abbandonò contro la sua spalla.
Era una sensazione davvero
piacevole.
“…magari la tua anima la vedranno
più facilmente, Maka. Dopotutto hai le ali anche
tu.”
“…ah… Grigory, dici? Ma no, come
potrebbe l’anima di un’umana essere più
visibile di quella del Kishin?”
Le anime Grigory erano le anime
cosiddette “alate”, come quella di Maka. Erano
piuttosto rare e tendenzialmente
più forti delle altre: questa era un’informazione
che aveva imparato quando
andava ancora a scuola, ma era una semplice caratterizzazione di
tipologia.
“…la tua anima è speciale, Maka.
Dovresti saperlo ormai. Sembra quella di un angelo. Non sottovalutarti
così.”
“…beh, dai, non esageriamo…
però
un altro tentativo possiamo anche farlo. Entriamo in
risonanza.”
Maka e Chrona chiusero gli occhi,
sedute sullo scoglio, e lasciarono le loro anime toccarsi e rintoccare,
espandendole verso il mare in tempesta.
Chissà se qualcuno le avrebbe
davvero notate.
Era
notte, ora, e la finestra
della camera da letto era ben sprangata dalle imposte di legno.
Fuori la pioggia batteva
rumorosamente, accompagnata dal soffiare del vento.
Blair non aveva chiamato, Cariddi
neppure (come c’era da aspettarsi).
Maka e Chrona erano stanche,
tutte e due: la meister bionda ascoltava il respiro dormiente della sua
compagna demoniaca come se fosse stata una ninna-nanna, nel tentativo
di
lasciarsi andare anche lei al riposo. Era molto preoccupata. Le
sembrava ancora
di essere incastrata in una gigantesca trappola per topi, dentro la
quale era
cascata come una perfetta idiota.
Capiva molte cose, ora: Cariddi
la odiava per la storia di sua madre, probabilmente le si era
avvicinata
apposta per portare a termine la sua vendetta. Chrona se ne era accorta
fin
dalla Luna, come poteva lei, Maka, essere stata così cieca?
Lo sguardo circolava sul soffitto
buio, perdendosi nella sua ombra. Ma sì, oltre tutto, era
quasi sicuro che la
colpevole fosse quella Gorgone: Maka ricordò distintamente
che Cariddi le aveva
chiesto perdono per aver cantato in modo ipnotico,
quella sera al Red
Cheeks, la stessa sera in cui aveva avuto il suo crollo mentale. Se
possedeva
il potere dell’ipnosi, non era affatto improbabile che fosse
nelle sue
possibilità quella di manipolare le persone a distanza come
era successo per i
furti delle pietre. Chissà che avrebbe potuto combinare una
delle Gorgoni con
tutti e cinque gli artefatti magici…dovevano fermarla, ad
ogni costo. Maka
sospirò. Ma non così presto, purtroppo, nessuno
si sarebbe avvicinato mentre la
tempesta infuriava sulla costa. Chiuse gli occhi e si decise a prendere
sonno.
Ma.
Un attimo.
Qualcosa le impedì di lasciarsi
andare e si irrigidì in un secondo. Era una sensazione
improvvisa, come un
pizzicotto alle sue percezioni, un’intuizione che le sarebbe
quasi sfuggita se
solo fosse stata più abile a nascondersi.
Un’anima, sul retro della casa.
Un’anima molto familiare.
Maka saltò giù dal letto senza
svegliare Chrona, agitata, e corse verso la porta di casa, gettandosi
sulle
spalle il cappotto nero, l’aprì e attese sulla
soglia. La pioggia infuriava
oltre il portico, sgocciolando copiosamente sulle piastrelle del
pavimento.
Una figura alta si staccò furtivamente
dall’oscurità dietro ad un angolo del muro,
confondendosi con l’acqua
torrenziale, non appena fu evidente che la giovane donna che era uscita
dalla
porta non aveva nessuna intenzione né di scappare
né tantomeno di combattere.
Certo che era stato davvero
velocissimo.
“Buonasera, Maka.”
Lui e la sua voce sarcastica,
solo lui poteva fare lo splendido ancora prima di dimostrare la sua
preoccupazione.
“…quindi…stai bene? Non ti ha
fatto nulla il Kishin?”
“Sto bene. Meno male che sei
arrivato, Soul, ti stavo aspettando. Vieni dentro, devo
parlarti.”
Spazio
Autrice
Ciao ragazzi e buone feste!
Passato bene il Natale?
Io sì, ho mangiato come un orso prima del letargo... XD
Oggi capitolo un po'
interlocutorio, ma, forse, i pezzi del puzzle iniziano a
trovare il loro posto...
Devo darvi
un'informazione tecnica: per ragioni di gite capodannesche, purtroppo,
il prossimo capitolo non potrà essere pubblicato
lunedì (4 Gennaio), e quindi l'aggiornamento
ritarderà di un giorno e potrete leggere come diavolo
reagirà Soul a tutto questo casino il giorno dopo,
martedì 5 Gennaio. Mi spiace interrompere così la
serie di uscite puntuali (diciamocelo, Kid mi ammazzerebbe) ma
purtroppo non si può dire di no a una vacanzina con dei cari
amici.
Detto questo vi auguro
un buon proseguimento di feste!
A presto!
|
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Capitolo 19 *** Reunions. ***
Reunions.
Soul
stava seduto con i gomiti
appoggiati al tavolo, la lampada che pendeva dal soffitto e lo
illuminava
dall’alto rendeva la sua figura vagamente irreale. Era
bagnato fradicio.
Non aveva protestato quando Maka
gli aveva chiesto di entrare, aveva semplicemente fatto quello che gli
era
stato chiesto senza porre domande.
Chissà che gli passava per la
testa, si chiese Maka. Lui era convinto che la mente della sua meister
fosse
stata plagiata, ma evidentemente aveva scelto un approccio cauto.
Soul stava aspettando che la
ragazza iniziasse a parlare, come gli aveva anticipato.
“Soul. – disse Maka – Sei
riuscito a trovare questa casa grazie all’onda
dell’anima di Chrona?”
“No. – rispose il ragazzo, serio
– Io non sono un sensitivo. Ho riconosciuto la tua, di anima,
per arrivare fin
qui. Sarà che sono la tua arma. Mi è parso un
richiamo d’aiuto, e sono arrivato
più in fretta che ho potuto.”
“Ah.” Disse Maka. Chrona aveva
avuto ragione, dopotutto, a fare quel tentativo di risonanza a due.
Soul era stato molto eloquente
con quelle parole, ed il suo sguardo tradiva la sua preoccupazione.
“Beh, era volutamente una
richiesta d’aiuto. Io e Chrona abbiamo deciso di renderci
visibili per chiamare
te o qualcun altro delle squadre della DWMA, perché abbiamo
bisogno di una mano.
Forse abbiamo trovato il vero colpevole.”
“Ah, sì? – chiese Soul, atono
–
Chi sarebbe?”
Maka sospirò, prima di
rispondere: “Cariddi Gorgon.”
Soul sollevò un sopracciglio, ma
non disse nulla. No, non era persuaso, non riteneva vera nemmeno una
delle
parole uscite dalla bocca della sua meister. Ma andava bene
così, era già tanto
che fosse riuscito arrivare fin lì così in
fretta, il convincerlo della verità
era solo un’aggiunta.
Forse era anche meglio che la
compagna di Maka non si fosse svegliata, così le cose
potevano essere gestite
in modo più semplice.
“Dunque, – cominciò Maka – tu
sei
convinto che Chrona mi stia usando perché vuole prendere gli
artefatti che
custodisce Kid, ma prova a prescindere un secondo da questa convinzione
e
ascolta quello che è successo, davvero,
da quando la pietra di Milano è
scomparsa. E capirai perché sospettiamo di
Cariddi.”
Maka iniziò a raccontare, con
abbondanza di dettagli, tutto quello che lei e Chrona avevano passato
in quegli
ultimi tempi, le preoccupazioni sulle reazioni di Kid, la proposta
d’aiuto
della Gorgon e infine i loro sospetti. Censurò tutta la
questione sentimentale,
ovviamente, non le pareva proprio né il luogo né
il momento per rivelare a Soul
che lei era finalmente riuscita a superare del tutto i loro tira e
molla
passati.
Il ragazzo la ascoltava in
silenzio, senza aggiungere commenti.
Quando Maka ebbe finito, Soul si
passò le mani sul viso livido, con un lungo sospiro stanco,
e la ragazza
percepì le lotte all’interno della sua testa:
evidentemente era stata molto
convincente e il suo discorso cozzava con le convinzioni preconcette
che si era
fatta la falce.
“Non è necessario che tu creda a
tutto quello che ti ho detto, Soul… mi basta che resti al
mio fianco finché
tutta questa storia non sarà finita. Ho davvero bisogno di
te.”
Il ragazzo scosse la testa:
“…no, no… quello che hai detto
sembra davvero avere senso… anche io ho sempre avuto delle
pessime sensazioni riguardo
a Cariddi, no… il discorso è un altro.”
Maka sollevò un sopracciglio,
mentre la sua falce della morte le lanciava uno sguardo penetrante.
“…è che sinceramente,
visceralmente, non riesco a spiegarmi perché fai tutto
questo affidamento sul
nuovo Kishin. Tutto avrebbe senso, se non fosse per il fatto che ti sei
messa a
proteggerla come una completa stupida. È questo che continua
a farmi sospettare
che sei posseduta.”
Soul aveva una faccia scurissima
e Maka sollevò gli occhi al cielo, maledicendo la maledetta
testaccia del suo
ex-ragazzo per essersi andato a ficcare proprio
nell’argomento più complicato.
“Oh che palle, Soul! È che sono
stupida, ok? Divento stupida se si parla di Chrona. Prendila per
buona.”
“Aspetta… che vuoi dire?”
Soul diventava sempre più livido,
e Maka iniziò a imbarazzarsi così tanto da
fomentare una certa stizza insieme
al rossore sulle guance.
“E’ così e basta! Non è
davvero
il momento di parlarne, ok?”
“Ma perché non me lo vuoi dire? –
Soul si alzò dalla sedia, alzando la voce – Non
stai rendendo le cose più
facili, Maka! È ovvio che sono preoccupato per te, quello
è un Demone!”
“Il fatto che io sia un Demone ti
causa qualche problema?”
Maka e Soul si girarono
simultaneamente verso la porta della cucina e videro Chrona sulla
soglia,
pallidissima, emergere dalle ombre che avvolgevano il resto della casa.
Avrebbero dovuto tenere la voce bassa. Chrona aveva una faccia che
avrebbe
convinto a correre a nascondersi persino Excalibur…
Soul digrignò i denti e Maka si
passò il palmo della mano sugli occhi. Che situazione del
cavolo.
“Sì, mi causa dei problemi. Cosa
hai fatto a Maka?”
“Smettila Soul!” cercò di
intervenire la meister.
“Sicuramente cose molto
migliori di quelle che le avreste fatto voi della DWMA!”
“Ah, allora lo ammetti, eh!?”
“Tu sei il primo di quelli che
non hanno capito niente!”
“Beh ti avverto! – il tono di
voce di Soul si fece minaccioso, mentre con un gesto indicava le mura
della
residenza – Questa casa è circondata da agenti
della DWMA! Non avete nessuno
scampo, se ti viene la pessima idea di fare qualche brutto
scherzo!”
“Ci siamo messe insieme,
Soul! Smettila di dire cazzate!”
Soul si voltò verso Maka a bocca
aperta, mentre la ragazza lo fissava con la faccia più
paonazza e incazzata che
la falce della morte le avesse mai visto in volto. Chrona, sbigottita,
arretrò
leggermente fra le sue rassicuranti ombre oltre la soglia della cucina.
“…che?” biascicò il ragazzo,
dopo
una lunga pausa.
Maka si era davvero spazientita,
avrebbe voluto affrontare il discorso in modo più delicato
davanti ad una bella
tazza di tè, ma… tanto valeva, ormai. Che
imbarazzo, fra l’altro.
“Ci – siamo – messe –
insieme.”
Sillabò la ragazza, rossa come un pomodoro.
Soul continuò a fissarla con
espressione beota e lei proseguì: “Hai ragione, da
quando è iniziato questo
caso mi sono comportata come una completa deficiente. Sono cotta come
una
quindicenne, ok? Non il massimo della
professionalità, ma qui nessuno ha
tentato di ipnotizzare nessun’altro o… che so
io.”
“Cosa? Cioè, tu stai insieme a…
Chrona? Quindi è davvero così? Sono stato
scaricato per una…”
“Problemi…?” si
intromise
una vocina resa terribilmente acuta dall’imbarazzo, giungendo
dalle ombre oltre
la porta della cucina.
Maka scosse la testa, esasperata.
Soul la osservò mentre si immergeva nel buio oltre la porta,
allungava la mano
e recuperava il secondo Kishin, che si stava rintanando sempre di
più verso gli
invisibili meandri del soggiorno. Quando finalmente furono alla luce
della
lampada tutte e due, tenendosi per mano, il ragazzo poté
osservare come Chrona
stesse tremando, e quale vulnerabilità esprimessero i suoi
occhi neri piantati
al pavimento.
Soul sospirò, mettendosi le mani
nei capelli.
“…e quindi, alla fine, è proprio
vero.”
“Sì, Soul. Chrona è la mia
ragazza, ora. Così stanno le cose. La
verità…”
Maka lanciò al Demone uno sguardo
dolce, dandole un po’ di conforto in quella situazione di
disagio che lei
faticava a sopportare molto più di qualunque altra persona
che fosse cresciuta
in mezzo a rapporti interpersonali sani.
“…la verità è che ho perso
proprio la testa. E’ per questo che sono stata
così male quando ho avuto il
sospetto che la colpevole fosse lei, solo che l’ho capito un
po’ in ritardo.”
Chrona divenne ancora più
violacea di quello che era prima, mentre Soul cacciava un sospiro
nervoso.
“Mannaggia! “
borbottò fra
i denti, contrariato, voltandosi dalla parte opposta.
Maka scoppiò in una risatina
ironica e Chrona trattenne un sorriso divertito, ma il ragazzo sembrava
aver
acquistato un pessimo umore, mentre apriva l’imposta della
finestra verso
l’esterno tempestoso.
“C’è poco da ridere. –
mugugnò, mentre
faceva cenni agli agenti all’esterno - Alla fine me
l’hai soffiata sul serio la
ragazza, Chrona. Accidenti a te.”
Chrona era troppo imbarazzata per
rispondere, ma Maka non poté evitare di notare un certo
sorrisetto che le era
spuntato sulle labbra.
“Fai pure entrare tutta la
squadra. – tagliò corto la ragazza bionda
– Tanto dobbiamo aspettare
comunicazioni da Blair.”
“Sì sì, stiamo tutti dentro.
Questa tempesta è davvero una spina nel
fianco…”
Molto
lontano dalla Sicilia,
parecchie ore prima, il cielo dell’Arizona era aperto e
pulito.
Il sole calava aranciato fra i
tetti dando una strana tinta cangiante alla pelliccia nera di Blair, la
gatta
spiona, e riscaldando la città di Death City con le sue
ultime energie prima
del tramonto.
La micia stava ancora svolgendo
il compito affidatole da Maka quella mattina, stravaccata sulle tegole
tiepide
del tetto di fronte al dormitorio degli studenti della DWMA.
Ancora non era successo nulla di
interessante, la strega Cariddi e FJ avevano passato tutto il tempo a
disegnare
e a raccontarsi storielle, poi avevano fatto merenda con un pezzo di
torta e
poi avevano iniziato di nuovo a scrivere su fogli di carta con i
pastelli.
Una vera barba.
Cariddi, oltre il vetro della sua
finestra, stava dicendo qualcosa indicando la porta e FJ pareva dire di
“sì”
con la sua testolina bionda. Ecco, pensò Blair, forse era la
volta buona che
uscivano, si sarebbe potuta sgranchire le zampe! La strega si
alzò e sparì
momentaneamente dalla vista offerta dalla cornice della finestra,
mentre la
gatta si preparava all’inseguimento, sollevandosi e
stiracchiando la schiena
indolenzita. Eccoli che aprivano la porta ed uscivano. Finalmente!
Sbucarono presto fuori, sulla
strada, e iniziarono a camminare lungo la via, mentre la gatta stava
loro
dietro atteggiando la più totale indifferenza: nessuno si
sarebbe accorto di
lei, i gatti fanno sempre quello che gli pare e piace senza dover
rendere conto
a nessuno. FJ aveva qualcosa fra le mani, che sembrava un grosso libro
rilegato. La passeggiata proseguì fino a oltrepassare i
confini del centro di
Death City, protraendosi molto più lontano di quello che
Blair poteva
aspettarsi: dove diavolo stavano andando? Abbandonarono le vie
attorniate da case,
uscirono dal perimetro della città, si avventurarono sullo
stradone desolato
all’inizio del deserto, illuminato solo da qualche lampione.
La gatta era
allibita, era una pessima idea portarsi un bambino di tre anni dietro
nel
deserto, a quell’ora di sera, poi! Oltretutto, ora che erano
usciti dalla
città, lei doveva fare molta più attenzione nel
non farsi scoprire, dato che
non c’era più nulla che potesse nasconderla se non
le ombre del crepuscolo. La
strega e il bambino camminavano mano nella mano sulla strada, come se
nulla
fosse, tirando calci ai sassi che per caso gli capitavano fra i piedi.
Maka
aveva ragione, persino una micia come Blair poteva capire che quello
che stava
accadendo non era affatto normale, anzi, molto sospetto!
All’improvviso lasciarono la
strada e si inoltrarono sul terreno sabbioso e polveroso, fuori dalla
luce dei
lampioni. Era buio, ormai. Blair li seguì.
Era piuttosto inquietante,
l’immagine della strega col bambino che si inoltrava nel
deserto notturno.
Chissà cosa diavolo volevano fare.
C’era qualche cespuglio secco sulla
via e la strana coppia raccolse rami e foglie, deponendoli in uno
zainetto che
Cariddi si era portata dietro. FJ la seguiva tutto contento, come se
stessero
andando a fare un picnic. Avanzavano e avanzavano, sempre
più lontani dalla
strada.
Era da un po’ di tempo che Blair
aveva la strana sensazione di non essere del tutto sola, mentre
inseguiva il
duo, come se si sentisse osservata, ma non era stata in grado di capire
come
mai: il presentimento era nato da quando avevano lasciato le mura
cittadine,
non appena le case avevano lasciato aria agli spazi aperti del deserto.
In
effetti, la gatta era rimasta concentrata solo sui suoi obiettivi senza
guardarsi troppo attorno, ma ormai quella fastidiosa sensazione aveva
iniziato
a darle decisamente sui nervi e decise di staccare per un secondo gli
occhi
dalla strega e dal bambino, in un momento in cui i due si erano fermati
a
raccogliere altri rametti.
Ah ecco, chi c’era: era Stein.
Che ci faceva lì Stein? Forse li stava pedinando anche lui,
dopotutto quello
per mano alla strega era suo figlio. Il dottore, accovacciato al suolo
poco
lontano, volse lo sguardo verso la gatta non appena lei lo
intercettò e sorrise
di nuovo in modo vagamente sornione, poco prima di portarsi un dito
sulle
labbra per invitarla al silenzio.
Ma certo che sarebbe rimasta in
silenzio, non era mica scema.
Tornò a guardare i suoi inseguiti
e notò che si erano fermati: stavano ammonticchiando i
rametti che avevano
raccolto in una piccola catasta, aiutandosi con la luce pallida della
Luna.
Poi Cariddi prese il libro che FJ
portava in braccio, e lo appoggiò sulla pira improvvisata.
La
casa in periferia di Messina
ora era piena di gente.
Gli stivali sporchi di fango
degli agenti della DWMA avevano insozzato tutto il pavimento e il
tappetino del
soggiorno, mentre fuori continuava ad infuriare la tempesta. Uomini e
donne in
divisa militare si ristoravano con una pentola piena di tè
bollente – preparato
all’occasione da Chrona -, scottandosi le dita
perché i bicchieri di plastica
sottile trasmettevano il calore troppo facilmente. I vetri delle
finestre erano
offuscati di condensa.
“Siamo venuti per ucciderti e tu
ci fai il tè. Missione compiuta?”
ironizzò Soul, soffiando sul liquido
bollente. Chrona alzò le spalle, ammirando il macello che
c’era sul pavimento.
Maka si era ritagliata un
angolino sul divano, di fronte al televisore, perché oramai
era inutile pensare
di andare a dormire e tanto valeva aspettare che Blair comunicasse
qualcosa.
Chissà quanto tempo avrebbero
dovuto attendere, e chissà quanto tempo ci avrebbe messo
Cariddi a reagire a
quell’intrusione nel territorio di casa sua. La squadra di
agenti era stata
informata della realtà dei fatti e dei dettagli del piano
escogitato da Maka
Albarn e Chrona Gorgon, ed ora erano tutti in attesa.
“…mi era sembrato un po’ strano
Kid, comunque, negli ultimi tempi.” Disse Soul, sorseggiando
il tè.
“…io e Maka ci sorprendevamo di
come nessuno di voi ci facesse troppo caso.” Rispose il
Kishin, con voce atona.
Soul si corrucciò: “Lo facevamo,
invece. Inizialmente, prima che tu apparissi di fronte alla scuola,
eravamo
convinti che fosse colpa tua. Non l’abbiamo detto a Maka
perché consideravamo
anche lei sotto la tua influenza, – il ragazzo
sospirò – poi però abbiamo visto
che la nostra idea non aveva senso. Semplicemente la faccenda
è passata in
secondo piano, e la priorità è subito diventata
quella di salvare Maka.”
Chrona rimase in silenzio qualche
secondo. La stanza era ripiena del chiacchiericcio dei soldati.
“…mi chiedo se il vostro errore
sia stato guidato da quello che ho fatto in passato, oppure dal
pregiudizio che
io sia il Kishin, e che quindi in ogni caso io sia un nemico. Non vi
biasimo,
ma ci saremmo risparmiati un bel po’ di problemi.”
“Personalmente, – Soul buttò
giù
gli ultimi sorsi di tè tutti in una volta –
ritenevo improbabile che Maka
potesse fidarsi di te come una cretina senza una qualche forma di
ipnosi.
Evidentemente sbagliavo.”
Chrona sorrise, convinta
fermamente che Maka fosse l’ultima persona al mondo a
meritarsi l’appellativo
“cretina”, ma che piuttosto qualcun altro potesse
essere chiamato
“sono-così-geloso-che-non-accetterò-mai-che-la-mia-ex-è-lesbica”.
“Piuttosto, – aggiunse Soul – una
volta che avremo imprigionato Cariddi e questa storia sarà
finita, Kid andrà
fuori di testa a sapere che sei sana. Era convinto di essere
l’unico Grande
Dominatore della sua generazione, sono sicuro che gli farà
piacere.”
Chrona sollevò le sopracciglia,
sorpresa.
“Sai cosa sono i Grandi
Dominatori?”
“Certo, ci mancherebbe. Sono la
sua arma, lui e Excalibur mi hanno fatto una testa così con
questa storia.”
“Ma… non pensi che vorrebbe
imprigionarmi…?”
“…e perché, scusa? Sei innocente,
no?”
“Sì ma…tutto il resto?”
“Pfff… andiamo, hai salvato il
mondo, tre anni fa. Conterà pur qualcosa, no?”
Soul le fece l’occhiolino e si allontanò,
borbottando fra sé e sé qualcosa
riguardo allo salvare il mondo e alla conseguente attrattiva sulle
ragazze,
lasciando la figlia della strega da sola con il suo bicchiere di
tè in mano,
appoggiata sulla parete del soggiorno.
Chrona sospirò, con quelle parole
nella mente. Sarebbe davvero stata accettata dal nuovo Shinigami? E da
tutti
gli altri? Le tornarono in mente alcune frasi che aveva letto nel libro
di
Eibon, ma erano cose complicate e lei al momento era troppo stanca e
stressata
per mettersi a pensare ai grandi sistemi; non era più
isolata, nel nero,
lontanissima da qualsiasi forma di vita e in uno stato di stasi
spirituale, in
quella solitudine assordante che era stata costretta a riempire con le
parole
del libro e i ricordi delle anime che aveva assorbito nella sua.
No, era sulla Terra, ora, nel
regno dei vivi, doveva concentrarsi sui fatti.
Guardò verso Maka e la vide con
la testa appoggiata fra le mani, tutta storta, assopita sul suo
angolino di
divano di fronte al televisore nonostante il chiasso della truppa.
Chrona
sorrise, intenerita: povera Maka, le avevano appena rubato una meritata
notte
di sonno, chissà se avrebbero avuto il tempo di recuperare
prima che Blair
chiamasse con qualche informazione incriminante.
Chissà se Cariddi era davvero la
colpevole, poi. In fondo, l’opprimente forza negativa che
Chrona aveva
percepito fin dalla Luna non era così facilmente
identificabile, e poteva
trattarsi di una strega come di qualsiasi altra cosa.
All’improvviso la televisione si
accese, con un gracchiante suono elettronico, svegliando di soprassalto
Maka e
generando un silenzio tombale nel soggiorno.
Il viso pallido di Blair apparve
sullo schermo, segnato da urgenza e preoccupazione:
“E’ terribile!”
urlò la
gatta.
“Dovete venire subito! Cariddi
ha rapito FJ!”
Spazio
Autrice
Buongiorno
ragazzi e buon anno! Passate bene le vacanze?
Eccoci qui, con un pochino di ritardo. Oh già, lo ammetto:
questa immagine non l'ho tratta dal manga nè l'ho disegnata
io, ma l'ho spudoratamente presa dall'internet. Non so, in qualche
mondo mi sembrava inerente... XD
Passiamo a qualche curiosità, e si parla di nuovo di musica:
per facilitarmi la caratterizzazione dei personaggi tendo ad associarli
a canzoni o gruppi musicali, giusto per capire un po' come suona la
loro anima, e per i tre grandi protagonisti di questo capitolo abbiamo:
Maka, la quattordicenne perfettina ma in fondo un po' ribelle che
ascolta i Green Day
(anche se non escludo un periodo di Avril
Lavigne) e - ahinoi - i Vocaloid -lei stessa
nell'anime ammette imbarazzata di ascoltare la "Pompoco" Dance, che
somiglia moltissimo a una cosa che suona più o meno così,
e sì, l'hanno rifatta anche i Vocaloid. Abbiamo poi Soul,
quel ragazzo raffinato e amante dei Jazz
che però si vergogna a darlo a vedere e che io associo
(essendo incapace di tollerare il Jazz per più di
venticinque secondi) a gente come Einaudi,
Amy Winehouse,
e magari a qualche gruppo rock datato, che però non ho
voglia di stare a elencare perché me ne vengono in mente
troppi XD. Passiamo ora al secondo Kishin - eh già,
sapevatelo che la tenevo per ultima: oltre ai già citati Warmer, trovo che
lei sia una dea del Goth
Metal: praticamente sembra che ogni
canzone scritta dai Within
Temptation parli di lei (prendiamone una a caso, tipo
questa) e anche gli Epica
non scherzano, per esempio provate a rivedervi la scena di lei da bimba
nel deserto con Blank
Infinity come sottofondo, e poi ditemi l'effetto che fa XD.
Tirerei in mezzo anche i Nightwish,
ma solo il loro periodo d'oro con la vecchia Tarja, chi è un
po' appassionato capirà di che parlo.
Ho scritto molto più del solito e quindi vi saluto,
ovviamente ci rivedremo lunedì, con il prossimo capitolo!
Buon proseguimento!
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Capitolo 20 *** Taking action. ***
Taking
action.
Alcune
ore prima, nella notte del
deserto del Nevada, Cariddi stava appoggiando il grosso libro rilegato
sulla
pira di bastoncini secchi.
Blair osservò la scena a occhi
spalancati, nascosta nel suo cantuccio all’ombra di una duna.
Stein, all’improvviso, si alzò
dal suo nascondiglio e iniziò a camminare. Entrò
nel campo visivo della strega
e del bambino, avvicinandosi con passo lento, e la Gorgone si
irrigidì
all’istante.
“Si può sapere perché porti mio
figlio in gita nel deserto a quest’ora di notte?”
Chiese, con voce sardonica, il
dottore. Cariddi prima di rispondergli gli lanciò
un’occhiata velenosa, e con
uno schiocco di dita accese una scintilla di fiamma nelle frasche del
falò
improvvisato. Ma era troppo tardi: il libro rilegato in pelle consunta
era già
fra le mani di Stein, il quale aveva scattato in avanti ancora prima
che la
strega iniziasse il movimento.
“E’ meglio se lo rigetta nel
falò, dottor Stein, prima che la situazione possa
degenerare.” Affermò gelida
la giovane donna, con una sottile vena minatoria sottintesa
all’apparente calma
con cui aveva pronunciato quelle parole.
FJ si era appeso alla gonna della
sua babysitter, confuso da quella strana situazione. Blair
pensò che
probabilmente suo padre lo spaventasse un po’, quando si
metteva a fare sul
serio – e non lo biasimava per niente…
“Perché vorresti distruggerlo? Un
così bel libro… mi viene voglia di
leggerlo.”
“Io non lo farei se fossi in lei,
dottore.” La voce di Cariddi tremava, da quanto era cupa.
“Allora vorrà dire che lo
leggeremo insieme, ma nelle segrete della DWMA. FJ, vieni qui,
forza!”
Il bimbo esitò prima di muoversi,
probabilmente per la confusione, e fu fermato dalla mano di Cariddi che
lo
prese per una spalla e lo tenne stretto vicino al suo corpo.
“Dottore, mi ridia il libro.”
Sibilò la strega, minacciosa nella luce danzante del fuoco
che la illuminava
dal basso, allungando in avanti la mano libera.
“Lascia andare mio figlio.”
Rispose Stein in un soffio, trasformando in un istante la sua faccia
beffarda
in una decisamente più minacciosa. Caspita, pensò
Blair, ma cosa stava pensando
di fare Cariddi…?
La strega evidentemente subì gli
effetti di quello sguardo spaventoso, perché strinse le
unghie sulla camicetta
di FJ e lo strattonò ancora di più verso di
sé, facendolo urlare. La sua faccia
sembrava quella di un animale preso in trappola, spaventata e cattiva.
“Lascia andare mio figlio,
strega.”
Non durò molto.
“Sa dottore. – disse lei, dopo
qualche attimo di esitazione –
Si tenga
il libro.”
Quello che accadde dopo fu
assolutamente inaspettato per Blair: improvvisamente si
ritrovò con le zampine
staccate dal suolo, sollevata a mezz’aria. Solo dopo qualche
istante si rese
conto di essere stata sollevata da una corrente d’aria
fortissima, sabbiosa,
come un vento tempestoso nato dal nulla in meno di un istante. La
sabbia
roteava davanti al suo musetto insieme alle raffiche e si rese conto
del fatto
che in quella forma felina sarebbe stata spazzata via, così
si trasmutò nel suo
aspetto umano. Il peso del corpo di Blair aumentò e le
permise di piantare i
piedi a terra, ma si rese conto con spavento di fare molta fatica a
stare in
piedi anche così. Ma che diavolo stava accadendo?
Strizzò gli occhi in direzione di
Cariddi e quello che vide la riempì di orrore: la strega
aveva generato quel
tornado sotto i suoi piedi, ed ora fluttuava sostenuta dal vento con FJ
in
braccio. Stein tentava di raggiungerla coprendosi gli occhi con un
braccio, ma
parevano tutti sforzi inutili.
“Se rivuoi tuo figlio indietro –
esclamò la strega, sopra le urla del tornado - ... dovrai
convincere la DWMA a
scendere a patti con me! Non mi trascinerete mai nelle vostre
prigioni!”
Poi la tromba d’aria di mosse,
sollevando Cariddi e FJ ancora più in alto e scagliando
lontano il dottor
Franken Stein. La strega intendeva scappare.
Blair non ci pensò due volte,
evocò la sua zucca magica volante e si lanciò
all’inseguimento: Stein sarà pure
stato il miglior maestro d’armi vivente, ma rimaneva un umano
incapace di
volare. La gatta dai poteri magici strinse le unghie nel suo ortaggio
fluttuante e si spinse più vicino che poté ai due
fuggitivi, cercando di
raggiungere il bambino per poterlo riportare a casa sano e salvo. Non
era
facile. Il vento era fortissimo ed era necessario uno sforzo immenso
solo per
proseguire diritto, inoltre la sabbia si infilava negli occhi e nel
naso
rendendo difficile rendersi conto della propria posizione.
Cariddi si accorse subito di
Blair e fece aumentare la velocità di rotazione
dell’aria, schizzando verso
l’alto e mettendo a dura prova le capacità di volo
della micia, che persistente
continuò a starle dietro.
“Stupida gatta!” urlò la strega,
mentre FJ piangeva spaventato. Blair strinse i denti e
preparò un colpo magico,
ma con sgomento si rese conto che poteva colpire anche il bambino,
facendogli del
male. Allora cercò di aumentare la velocità, per
poterlo afferrare con le sue
mani e strapparlo dalle grinfie della strega.
Fu tutto inutile.
Dopo un tempo indefinito di
sforzi e sabbia in bocca e negli occhi, una raffica più
forte delle altre fece
catapultare la zucca e Blair si sentì disarcionare e cadere,
sospinta dal vento
fortissimo, metri e metri all’indietro. Non fece in tempo a
trasformarsi e ad
atterrare sulle zampe che già la sua schiena picchiava
contro qualcosa di duro,
oggetto che la afferrò e fu poi catapultato
all’indietro insieme a lei,
incontrando il ruvido suolo del deserto.
Quando aprì gli occhi, si rese
conto che il dottor Stein l’aveva presa al volo e aveva
attutito la sua caduta:
l’aveva seguita da terra ed era riuscito ad afferrarla e
ammorbidire il colpo,
per evitarle di rompersi il collo. Ora il dottore aveva gli occhiali in
pezzi,
era ricoperto di sabbia esattamente come lei e, evidentemente, anche a
lui
adesso faceva male tutto il corpo. La sua espressione vacua e mesta
spezzò il
cuore della gatta.
“Mi dispiace dottore… -
bisbigliò, con quel poco di voce che riusciva ad emettere
dal costato dolorante
- …non sono riuscita a raggiungerli.”
“…non importa Blair, grazie
comunque.” Disse lui, strizzando i freddi occhi verdastri. Si
levò gli occhiali
scheggiati e li ripulì nel camice insabbiato, con un gesto
meccanico, e poi
osservò l’orizzonte oscuro, dove la tromba
d’aria era ben visibile sotto la
luce delle stelle mentre si allontanava ad una velocità
impossibile da
pareggiare. Blair osservò prima quella vista desolante e poi
Stein, che non
riusciva a distoglierne lo sguardo.
Poi il dottore si riscosse e si
rivolse a lei in tono perentorio:
“Tu sei stata mandata da Maka,
non è così Blair?”
“…come…? Emh sì!”
“…è vero che si trova insieme al
Kishin?”
“Sì dottore! Sono innocenti, sa?”
“Sì sì… ora ne sono sicuro.
Devi
chiamare tutte e due, ci serve il loro aiuto. Ora, va!”
Blair non se lo fece dire due
volte: evocò nuovamente la sua zucca e volò via.
“…questo
è quanto. Dovete
venire qui subito!”
Maka scattò in piedi, pestando le
piante a terra. Tutta la truppa che si era radunata nella piccola casa
di
Messina la imitò, Soul compreso. Ormai, nessuno avrebbe
più potuto avere dubbi
su come stavano realmente le cose.
“Arriveremo il prima possibile
Blair. Aspettateci.”
“Sì. A dopo.”
La televisione si spense con un
guizzo elettrostatico, mentre la maestra d’armi recuperava
dalla sedia lo zaino
con le sue cose e afferrava gli stivali in pelle nera, infilandoci i
piedi dentro
con decisione e stringendo le stringhe.
Una recluta le si avvicinò,
rispettosa, e le chiese quale fosse il piano.
“Io, Chrona e Soul partiremo
subito. In volo. Voi ci raggiungerete il più in fretta
possibile.”
“In volo?”
“Sì, sì, in volo.”
Chrona era rimasta in piedi con
le spalle al muro, e affermò: “Io posso anche
smaterializzarmi all’occorrenza.”
“Preferirei che ci presentassimo
insieme, ci sono stati fin troppi fraintendimenti fino ad
adesso.”
“Come vuoi tu.” Chrona era
pallidissima, in quell’atteggiamento di apatia simulata che
Maka aveva imparato
a riconoscere come scudo per la sua furia più nera.
Era ora di agire.
Era un sollievo, in un certo
senso, e anche se la cosa suonava molto brutta da pensare Maka si
sentiva molto
felice riguardo al risvolto che aveva preso la faccenda: finalmente
avrebbero
chiuso la storia del Demone – anzi, della Strega –
una volta per tutte.
Spalancò la porta di casa e fu investita da
un’ondata violenta di pioggia e
vento, sospinta dalla tempesta che infuriava sul mare.
Senza nemmeno un’esitazione, uscì
all’esterno.
Il cielo era nero, il mare
sembrava animato da tanti tentacoli di onde: era come se il tempo
atmosferico
avesse deciso di impedire a tutti i costi un volo sopra alla costa.
Soul e Chrona raggiunsero Maka,
lasciando il resto della truppa a organizzarsi all’interno.
Soul strizzò gli
occhi contro le gocce d’acqua e ringhiò, nervoso:
quel viaggio non sarebbe
stato per niente facile.
“Scommetto quello che volete che
questa è la magia di Cariddi.” Urlò
Chrona contro al vento, spalancando le sue
immense ali nere. Maka afferrò il braccio di Soul ed egli
istantaneamente si
trasformò nella familiare forma della falce, ritirando la
lama metallica per
fare spazio alle ali che gli avrebbero permesso la traversata.
La maestra d’armi percepì una
certa riluttanza nel suo compagno mentre vi saliva a cavalcioni, e
certo non
poteva degli torto: avrebbero volato in un inferno d’acqua e
fulmini. Non avevano
scelta, dopotutto. Dovevano muoversi più velocemente
possibile.
“Sicuri di farcela?” chiese il
secondo Kishin mentre tutti e tre spiccavano il volo, subito scagliati
da un
lato dalla forza della tempesta. Maka strinse i denti e
tentò di direzionare la
sua falce verso l’alto, in modo da sfuggire alle onde
insidiose, ma prima di potersene
accorgere si sentì abbattere da una raffica più
forte delle altre e perse il
controllo. Subito dopo, l’unica cosa di cui ebbe coscienza fu
l’acqua gelida
che premeva contro al suo corpo e il suo sapore salato nella bocca.
Le sue dita continuarono a stringere
il duro metallo della falce mentre annaspava alla ricerca disperata
della
superficie, per poi sentirsi afferrare sul colletto da una presa
d’acciaio.
Riemerse dalle acque con la sua
arma ancora stretta in mano, sollevata di peso dalla presa di Chrona
che
l’aveva acchiappata subito dopo il naufragio; ora stava
sollevandosi con forti
battiti d’ala, tenendo penzoloni arma e maestra
d’armi.
“Non ce la faremo mai così!”
sbottò Soul, contrariato.
“Non abbiamo scelta! – rispose
Maka – Cariddi deve aver capito che vogliamo scappare, la
tempesta non finirà
mai se è causata dalla sua magia! Non possiamo mica
aspettare che passi!”
“Maka ha ragione!” confermò
Chrona, sbattendo le ali sempre più forte nel tentativo di
vincere la corrente,
che nonostante tutto continuava a respingerla in basso verso il pelo
dell’acqua, facendo inzuppare i piedi della maestra di falce.
“Che pensate di fare allora?”
chiese Soul, esasperato.
“Dobbiamo superare la zona
d’influenza della strega!” rispose il secondo
Kishin, sforzandosi di mantenere
Maka sopra alla superficie del mare a colpi d’ala.
Una parola: il cielo congestionato
di nubi e l’acqua si confondevano, rendendo invisibile
l’orizzonte, e il vento
sembrava diventare sempre più aggressivo.
“Il vostro majogari funziona
contro la magia delle streghe?” chiese di nuovo Chrona,
strillando per farsi
sentire sopra al frastuono della tormenta.
“Vorresti farmi tagliare questa
tempesta come un panetto di burro? - chiese Soul, sarcastico
– Possiamo
provarci! Ma abbiamo difficoltà persino a volare dritti, non
riusciremo mai a
sferrare un vero colpo!”
“Lo farò io allora!” rispose il
Kishin, e senza preavviso lanciò Maka verso
l’alto, dandole appena il tempo di
rimontare a cavalcioni di Soul per ricominciare la lotta contro al
vento.
“…che?” chiese Maka, sorpresa e
perplessa.
In tutta risposta, i suoi occhi
annebbiati dalla pioggia videro Chrona materializzare la spada
Ragnarok, quella
lama nera e inquietante, stretta nella mano destra. Poi anche la
sinistra
raggiunse l’elsa, e Maka capì che la sua compagna
pensava di far partire un
colpo parecchio potente.
“State molto attenti! – strillò
il demone della follia – Dovete seguire la corrente
d’aria che si verrà a
creare! Fate in fretta e attenti a non finirci in mezzo!”
“Ma che cos…”
Maka non fece in tempo a
comprendere bene la situazione, che il colpo era già partito.
Chrona aveva flesso le braccia
all’indietro e poi, in un millesimo di secondo, aveva
scagliato un fendente
verso il cielo.
Il paesaggio divenne surreale.
Nella coltre fitta di nubi che copriva le loro teste come un soffitto
si era
aperto uno squarcio, al di là del quale un cielo viola,
purissimo, veniva
illuminato dall’alba. La pioggia momentaneamente si
fermò sotto a quella
finestra, che sembrava un enorme occhio celeste.
Durò poco però, perché subito
seguì il risucchio.
Un vento impetuoso attirò Maka
verso il taglio nelle nubi, come se l’aria che era stata fatta
in due dal
fendente della spada demoniaca stesse prepotentemente recuperando il
vuoto che
si era venuto a creare nella fenditura. Sì, doveva essere
così.
La ragazza si lanciò in direzione
dello squarcio che già stava per chiudersi, accelerando a
velocità impensabili
grazie alla scia del fendente. Chrona volava al suo fianco.
Raggiunsero una discreta
altitudine prima che la tempesta prendesse di nuovo il sopravvento,
scagliandoli per la seconda volta tutti da un lato.
“Chrona! - urlò la meister –
Fallo di nuovo!”
“Eccomi!”
Un secondo occhio si aprì nel
cielo accanto al primo, che era già quasi chiuso, e
l’ascensore verso l’alto
trascinò i fuggitivi sempre più vicino alle
stelle. Ne fu necessario un terzo,
spalancato in mezzo agli altri due già sbarrati, per
superare quella polla di
magia infernale.
Maka si accorse subito della
differenza, non appena con Soul non superò lo strato di
nuvole basse: ci fu un
cambiamento nell’atmosfera, nelle percezioni energetiche che
la circondavano, e
si ritrovò immersa nella pace.
Il lento battito delle ali della
sua compagna era l’unico suono distinto che raggiungeva le
sue orecchie,
sollevando virgole di vapore dal tappeto di nubi che si stendeva sotto
la sua
figura oscura. Il fracasso della tempesta giungeva ovattato, da
lassù, quasi
come se si fosse trattato solo un brutto sogno. Il sole nascente
occhieggiava
dall’orizzonte spumoso, scaldando di luce dorata i nembi e il
cielo ad est.
“Dobbiamo muoverci.” Disse
Chrona, accostandosi a Maka con un paio di colpi d’ala.
“Hai fatto in due una tormenta. –
commentò Soul, fuoriuscendo dall’estasi che
generava quel paesaggio onirico –
Lo hai fatto sul serio. Ma certo, dimenticavo che sei Chrona Gorgon.
Ricordami
di non litigare mai più con te.”
Chrona si morse le labbra,
imbarazzata, e mentre Maka già aveva trovato una battuta per
farla uscire
dall’impaccio dell’ironia di Soul, il Kishin
affermò, con una certa secchezza:
“Ringrazia mamma Medusa. Chrona Gorgon non è certo
quella che voleva diventare
un Demone.”
Detto questo si voltò e si lanciò
dove il cielo era più nero, a ovest.
Maka tirò un pugno
sull’impugnatura della sua falce e poi la seguì,
senza dire una parola.
Mario
Viverna appoggiò il libro
rilegato in cuoio sulla scrivania e lo aprì.
Stein gli si fece accanto, scuro
in volto, cercando di decifrare quelle pagine scritte in italiano.
“No… - mormorò lo stregone,
sfogliando le pagine - …allora è vero.”
Si trovavano nella camera di
Cariddi, nel dormitorio degli studenti della DWMA, e stavano indagando
insieme
a Sid per trovare qualche informazione in più.
“Di che si tratta, Viverna?”
chiese Stein, nervoso, mentre disegni geometrici e annotazioni si
riflettevano
nei suoi occhiali rotti.
“Questo libro, di cui Cariddi si
voleva così tanto liberare… - iniziò
Viverna - …è parecchio compromettente.
Definitivo, direi. Tutte le scritte che vedi sono studi sul potere dei
catalizzatori magici. Le cinque pietre, nella fattispecie.”
Stein si fece ancora più scuro in
volto. Sid, che stava rovistando in un cassetto, si fermò
anche lui ad
ascoltare.
“C’è persino un progetto.”
Proseguì Viverna, soffermandosi verso il centro del tomo.
“…un progetto?” chiese il dottore.
“Sì. Un gioiello. Unendo le
cinque pietre in un bracciale e massimizzando i loro poteri.
C’è scritto un
metodo per sigillare anime rubate a questo manufatto, per fare in modo
di
sfruttare il loro potenziale a proprio piacimento.”
Stein si levò gli occhiali. Sid
chiese, cupo: “ …e quindi Cariddi mirava a questo?
Cercava di creare questo
aggeggio per rubare anime e usarle per i suoi comodi?”
“Non mi sorprenderebbe che stia
mirando all’anima di Kid.” Bisbigliò il
dottor Stein, tormentando gli occhiali
con le mani.
Viverna e Sid ammutolirono, ma
poi convennero che la cosa era molto probabile.
“Il Sommo Shinigami è molto
strano da quando è stato accoltellato a Milano. –
asserì Viverna – Cariddi deve
avergli somministrato qualche veleno, forse una preparazione per
sottrarre la
sua anima. Chissà come aveva intenzione di fare.”
Stein si rimise gli occhiali,
risoluto.
“Non l’ho ancora informato delle
azioni di Cariddi Gorgon, non so come reagirebbe nelle sue attuali
condizioni.
Dobbiamo organizzare un piano, metterla in prigione, riprenderci le
pietre
magiche…”
“…e FJ.” Concluse Sid, con tono
incoraggiante. Stein gli lanciò un’occhiata buia,
ma con un lampo di
riconoscenza.
“Sì, ovvio.”
Viverna richiuse il libro con gli
studi della Gorgone e se lo pose sottobraccio, per portarlo nei
depositi
dell’intelligence della DWMA.
“Dovremmo perquisire anche la sua
residenza nel regno delle streghe, per sicurezza. – disse lo
stregone – Io vado
a portare questo al sicuro, e poi, se vogliate scusarmi, devo spiegare
la
situazione alle mie due protette.”
“Sì.”
Viverna si dileguò, lasciando Sid
e Stein soli nella camera del dormitorio. Sid richiuse tutti i cassetti
e si
avvicinò al dottore, appoggiandogli una mano sulla spalla.
“Beh – iniziò – dovremmo
andare
anche noi, ora. Excalibur ha già convocato un consiglio di
guerra, dobbiamo
decidere come affrontare la situazione. Così dopo potrete
farvi una doccia,
dottore, siete ancora ricoperto di sabbia.”
Stein gli lanciò un’occhiata
obliqua, e rimpianse il giorno in cui aveva deciso di smettere di
fumare. Dio,
aveva proprio voglia di una sigaretta.
“Me la farò ora la doccia, Sid,
il consiglio attenderà. Ci sono due ritardatarie che vorrei
davvero coinvolgere
per salvare mio figlio e la scuola.”
“No.” Gli occhi vuoti e
biancastri del professore zombie si allargarono di stupore, e poi
scoppiò a
ridere.
“Ahahah! Ma dove andremo a
finire? Proprio loro? Chissà che penserebbe il buon vecchio
Sommo
Shinigami…senza dubbio si sarebbe divertito come un
matto.”
Zona
Autrice
Buongiorno
ragazzi e buon lunedì!
Parrebbe
proprio che siamo arrivati al climax, no...? Guardate che bella foto
che ho trovato. Si vedono persino le impronte digitali di Ohkubo che si
diverte a pasticciare con l'inchiostro sulle sue vignette XD
E' la cosa
più simile che ho trovato a quello che combina Chrona con il
cielo in tempesta sul mare. Non so perché, ma spesso mi
capita di vedere nella mia mente le scene come se fossero quadri,
posizioni quasi statiche (anche il volo sopra le nubi) dove la luce e
il paesaggio avvolgono i protagonisti immergendoli completamente nella
loro atmosfera. Non so, sarà una deviazione dovuta al mio
amore per il mondo del cinema o dell'arte figurativa.
Okay, ammetto che oggi
non avevo molte idee su cosa dire, sarà che è
appena iniziata la sessione invernale degli esami e sta ricominciando
la crisi stagionale...
Buona settimana a tutti
e al prossimo capitolo!
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Capitolo 21 *** Case closed… ***
Case
closed…
Kid
guardava fuori dalla finestra
con sguardo spento.
C’era Marie Mjolnir con lui,
nella stanza, se ne stava seduta su un’ampia poltrona
dall’altra parte della
scrivania a leggere dei fogli; per qualche motivo, da un paio di giorni
quella
donna dall’onda dell’anima rassicurante non lo
lasciava solo nemmeno per un
momento.
I suoi pensieri erano confusi,
agitati, e percepiva attorno a sé un continuo stato di
disagio: era come se un
fantasma oscuro, un nero spettro di terrore, lo stesse braccando da
ogni angolo
buio.
Si trattava del colpevole che
stava cercando, del Kishin, del ladro che voleva portargli via il suo
ordine e
poi farlo a pezzi…
Si rendeva conto che c’era
qualcosa che non andava, ma era comunque troppo intontito per
identificarlo con
chiarezza.
Marie sembrava parecchio
preoccupata, mentre leggeva e rileggeva quelle fotocopie che aveva in
mano,
nonostante ogni volta che si sollevava per guardare il giovane
shinigami
stiracchiasse un sorriso stanco sul volto.
Kid era confuso, faticava persino
a mettere insieme i ricordi dei giorni precedenti. Una cosa ricordava
bene:
Chrona Gorgon, con la sua spada in pugno, che minacciava di cacciarlo
dal suo
posto se non se ne fosse rivelato degno. Ecco,
sì… era lei che stava cercando,
era lei che doveva stanare! Era colpevole, era tutta colpa sua!
Il cielo mattiniero, fuori dalla
finestra, appariva biancastro e afoso. La città era avvolta
da una luce
malaticcia. Due puntini neri, grandi come moscerini, apparvero
all’orizzonte.
“Marie!” chiamò Kid, agitandosi.
La donna si alzò e lo raggiunse,
puntando gli occhi nella direzione che gli indicava il dito del
ragazzo; il suo
volto si illuminò all’improvviso.
“Chi sono!?”
“Sono i rinforzi, Kid.”
“…i rinforzi? Ci aiuteranno a
catturare il Kishin!?”
“Sì, Kid, sì. Stai
tranquillo.”
Qualcuno
bussò alla porticina
della camera d’ospedale e Tsubaki si alzò in
fretta per vedere chi era.
Quando aprì la soglia le si
presentarono agli occhi Chrona, Soul e Maka, tutti scapigliati, seri e
decisamente provati nel fisico e nella mente. Tsubaki si
meravigliò e portò le
mani alla bocca.
“Ehi si può sapere chi
c’è!?” chiese
Black*Star irritato, bloccato com’era nel suo lettino.
Chrona avanzò dentro la stanza,
seguita dagli altri a breve distanza, e si piazzò di fronte
al ninja in
degenza, col braccio destro ingessato dalla spalla fino alle dita della
mano, e
una serie di tubicini che si infilavano invadenti sotto le bendature.
“Scusami per averti tagliato via
un braccio, Black*Star.” Disse il Kishin, facendo uno sforzo
immenso per
guardarlo in faccia e tormentandosi le dita delle mani, giunte, in
grembo.
“Tu!?”
Black*Star scoppiò a ridere, e
questo sembrò stemperare un po’
l’atmosfera di quella camera vuota, asettica e
azzurrina, mentre Tsubaki silenziosamente tirava un sospiro di sollievo.
“Ahahah se non ti avessi di
fronte non ti riconoscerei più! Da quando hai tutta questa
faccia tosta!?
Ahahah! – Chrona deglutì in silenzio mentre
l’altro si spanciava dalle risa –
Mi piaci di più così! Brava!
Però…!”
Black*Star smise di ridere
all’improvviso, e si fece serio: “…ho
intenzione di fartela pagare la prossima
volta che ci scontriamo. Nessuno può permettersi di tagliare
arti alla mia
immensa persona così, impunemente.”
Soul gli fece un gesto piuttosto
eloquente insieme a Tsubaki – insomma, non era il caso di
mettersi a parlare in
quel modo aggressivo proprio in quel momento, e poi
l’interlocutore era…
“Accetterò la tua sfida quando
vuoi, Black*Star.” Rispose Chrona, serissima.
“Ottimo! – sul volto del ninja
ferito tornò il sorriso – Ne riparliamo dopo che
avrete fatto a pezzi quella
strega schifosa di Cariddi! Il dottor Stein e Marie ci hanno spiegato
tutto,
eh!”
“Piuttosto… - aggiunse Tsubaki,
discretamente - …perché siete ancora qui? Alla
DWMA vi attendono tutti! Non
dovevate nemmeno passare!”
Soul fece spallucce.
“Non c’è niente da fare.”
commentò Black*Star con espressione sorniona, mentre i tre
uscivano dalla
stanza e si avviavano verso la scuola. Tsubaki si sedette accanto a lui.
“Chrona fa tanto la dura e la
cattiva, ma dentro ha il cuore tenero come un coniglio. Poteva
benissimo
scusarsi con me più tardi, nella mia immensa
bontà l’avrei accettato comunque!”
Tsubaki sorrise.
Entriamo
nella stanza della Morte, decisi. Siamo stanchi, distrutti dal viaggio,
ma non
abbiamo tempo di lamentarci. Chrona aveva insistito un sacco per
passare a
trovare Black*Star, e quindi abbiamo dovuto fare una piccola
deviazione, ma
finalmente ci siamo. Sono la prima ad uscire dal corridoio di
ghigliottine,
mentre Chrona e Soul seguono vicini il mio passo. Dentro ci sono Stein,
Excalibur, il professor Sid, Nigus, Mario Viverna e qualche studente
dell’ultimo anno.
Tutti
si voltano verso di noi al nostro ingresso.
“Oh,
bene.” commenta il dottor Stein, solo, mentre gli altri
restano in silenzio,
ammutoliti.
Kid
non c’è, quindi immagino che le sue condizioni di
follia siano peggiorate e
tenerlo con noi sarebbe solo un intralcio. Subito ci avviciniamo al
tavolo che
è stato posizionato in mezzo alla pedana per partecipare
alla riunione
operativa.
Mentre
parliamo, fatico a tenere la mia mente concentrata su quello che sta
accadendo
attorno a me. E’ strano, perché finalmente tutto
questo sta per finire: il
mistero che mi tormenta da settimane, la minaccia più
pericolosa che la DWMA
abbia mai affrontato da quando Ashura è stato digerito,
finalmente riusciremo a
risolverla. Non ho nessun dubbio che l’operazione
verrà portata a termine con
pulizia e velocità: Chrona è con noi.
La
guardo di sbieco mentre ascolta il piano che ha escogitato Stein,
seria,
appoggiandosi al tavolo con le mani.
Certo
che Cariddi dovrei anche ringraziarla, è merito suo se lei
è tornata da me.
Ah,
no… devo concentrarmi, Stein mi sta parlando.
“…toccherà
a te rintracciare la
strega, Maka. Quando avremo la sua posizione precisa,
agiremo.”
Intervenne a quel punto Mario
Viverna, come sempre avvolto dal suo mantello nero che lo copriva fino
agli
stivali: “Siamo sicuri che Cariddi non si trovi nella sua
casa nel reame delle
streghe perché sono appena tornato da lì. Come vi
ho detto prima, è assente. E
nascoste vicino al suo cerchio magico ho trovato queste.”
Lo stregone frugò sotto alla
veste ed estrasse un sacchettino di seta verdastra, davanti alle facce
stupite
di tutti i presenti: lo aprì e lo rovesciò sul
tavolo.
Tre piccole pietruzze dal colore
indefinito, opache, rotolarono fuori. Come toccarono il legno del
tavolo dal
loro interno parve riflettersi una luce lieve, nonostante la poca
lucentezza
della loro superficie. Era assolutamente superfluo che Viverna
precisasse di
che cosa si trattava, mentre tutta la compagnia attorno al tavolo
tratteneva il
respiro in preda allo sbalordimento.
“…ho atteso a darvi la notizia fino
a quando fossimo stati tutti presenti. Direi che non ci resta altro da
fare che
metterci in azione.”
Stein si levò gli occhiali, li
ripulì nel camice e li inforcò nuovamente sul
naso, annuendo.
“Senza nessuna esitazione, dunque.
Viverna, queste le tenga lei finché sta qui. Il Sommo
Shinigami non è ancora in
condizioni di sorvegliarle, e noi con ogni fortuna avremo finito fra
qualche
ora.”
Lo stregone annuì e le rimise nel
sacchettino, una dopo l’altra. Chrona lo osservava
intensamente, concentrandosi
sulle prove della colpevolezza di sua cugina Cariddi, e lui parve
reprimere un
brivido di inquietudine.
“Maka, al lavoro.” Ordinò Stein.
“Sì.” Disse la ragazza, girandosi
per raggiungere il tetto della scuola più in fretta
possibile, dove avrebbe
potuto rintracciare l’anima della strega con più
efficienza.
Percepisco
l’anima di Cariddi parecchi kilometri a nord,
nel cuore del deserto, nascosta in una gola fra le alture
rocciose della
Death Valley. Non è molto lontana, e monto sulla jeep
insieme al professor Sid,
a Nigus e a Soul. Chrona si lancia dal tetto della scuola con un balzo,
spalancando le sue ali nere che paiono quasi aquiloni sfilacciati dal
vento.
Il
piano è questo: il secondo Kishin aggredirà
Cariddi direttamente, attaccandola
di petto e cercando di coinvolgerla in uno scontro che la tenga
completamente
occupata, mentre io, il dottor Stein e gli altri avanzeremo senza farci
notare
per liberare FJ.
La
mia mente è vuota mentre le ruote della jeep sollevano un
nuvolone di polvere
correndo sul deserto, riempiendoci di sabbia mentre ci sporgiamo dai
finestrini
abbassati. Sentiamo le ali di Chrona ferire l’aria sopra le
nostre teste,
percuotendola con tutta la rabbia che cova nel cuore.
Ci
siamo.
Tutti
ci accorgiamo subito del momento in cui Cariddi e la mia ragazza si
scontrano,
oltre un corno di roccia che pare quasi un artiglio che emerge dalla
terra: una
incredibile tromba d’aria si solleva
all’improvviso, accompagnata da rintocchi
come di campana nell’aria vuota del deserto.
Saltiamo
giù dall’automezzo che ancora sgomma e ci
lanciamo, correndo in perfetto
silenzio, verso uno stretto sentiero che si inoltra verso il luogo del
campo di
battaglia. Afferro la mano di Soul e lui si trasforma immediatamente in
falce,
pronto per reagire ad ogni rovescio della sorte.
Pareti
di roccia ci circondano e ci sentiamo quasi divorati da una immensa
bocca di
pietra, fino a che sbocchiamo nel piccolo incavo del canyon, spazzato
dal vento.
Evito
di guardare tutti quei tornadi e quei vortici, soffocati di viticci
spinosi di
sangue nero, per concentrarmi meglio mentre attivo le mie percezioni
alla
ricerca del piccolo FJ.
Le
correnti fortissime mi sciolgono quasi i lacci ai capelli mentre guido
tutti
oltre ad una sporgenza rocciosa, sotto la quale il bambino si sta
nascondendo coprendosi
la testa con le mani: ha molta paura, ma sta bene. Salta subito in
braccio a
suo padre, che lo solleva e se lo appende al collo, scuotendogli i
capelli con
la mano per rassicurarlo.
E
questo è andato bene, per fortuna.
Il
walkie talkie di Sid ci annuncia che sono arrivate anche le truppe di
supporto,
così con un cenno reciproco decidiamo di prendere parte allo
scontro per
aiutare Chrona a sottomettere Cariddi, ma… con una sola
occhiata capiamo che
forse non è il caso di intromettersi in questa battaglia.
Il
Demone e la strega stanno sollevati nel centro della gola, girandosi
attorno
più velocemente del vento dei vortici d’aria,
l’una che tenta di schiantare le
ali dell’altra, adoperandosi nello sfuggire alle insidie
delle spine che si
avvolgono attorno ai loro corpi insieme alla sabbia e ai sassi.
Cariddi
non ha speranze: basterà un piccolo tocco, una ferita di
quelle spine velenose,
per mandare la sua anima in confusione totale. Ho sperimentato sulla
mia stessa
pelle la follia che Chrona è in grado di iniettare nel
sangue con un solo
contatto, tre anni fa, e posso solo immaginare di quanto possa essere
peggiorato quell’effetto da quando è diventata un
vero Demone.
Le
grida di Cariddi risuonano col frastuono delle correnti, echeggiando
per la
gola:
“Lasciatemi
in pace! Lasciatemi! Non capite! Non capite…”
Cariddi
Gorgon fu schiantata al
suolo dall’ultimo colpo ricevuto da quella tormenta di rovi
neri, colta neppure
così tanto alla sprovvista proprio da davanti. I venti si
placarono
all’istante, contemporaneamente all’impatto della
sua schiena al suolo
polveroso. Aveva completamente perso il controllo della sua posizione e
dei
suoi vortici, la sua mente era impazzita. Gemette e provò a
rialzarsi, ma si
ritrovò il corpo pesante come il piombo di Chrona Gorgon a
incombere su di lei.
“Da quando hai iniziato a
combattere coi vettori come tua madre… eh,
mocciosa?” mugugnò, sputando fra i
denti.
“Buon sangue non mente. –
rispose l’altra, con un filo di voce – Maledette
streghe. Quando penso a noi
Gorgoni mi viene da vomitare. Per fortuna che ora stiamo per cancellare
dal
mondo anche l’ultima.”
Il volto di Chrona era pallido
come la morte e i suoi occhi riflettevano le fiamme
dell’inferno, come un
fantasma, tanto che pareva di avere di fronte l’incarnazione
di un destino di
disperazione eterna molto più terribile della semplice morte
corporale. La
strega singhiozzò di paura, con la testa che le girava a
velocità insostenibile
e un inesorabile sentimento di impotenza che le cresceva pesante nel
petto,
facendole gorgogliare lacrime salate dagli occhi. Un piccolo taglio le
sanguinava sulla spalla, infetto della follia del Demone.
Le truppe della DWMA furono
addosso a lei in un attimo, la legarono e la ammanettarono come un
salame
appeso al negozio del macellaio.
“Sono stata incastrata! –
gridò, piangendo – Lasciatemi in pace!
Io non ho fatto niente…”
Maka
stava seduta su una panca
di legno, con le mani incrociate fra le ginocchia, in uno dei corridoi
sotterranei della DWMA. A pochi metri da lei stava la porta metallica
dove Sid
e i membri dell’intelligence avevano trascinato Cariddi per
l’interrogatorio.
Si sentiva leggera, ma completamente
distrutta, svuotata.
Stein aveva accompagnato FJ a
casa, dove presto li avrebbe raggiunti anche Marie. Le sorelle Thompson
erano
venute a prendere Kid per portare anche lui nella sua grande magione
per la
sera.
Loro tre, invece, erano ancora
operativi: Soul si era appisolato appoggiandosi ad uno dei muri di
pietra,
accovacciato per terra, il suo russare sommesso pareva un allettante
invito a
farsi contagiare dal sonno. Maka non intendeva dormire,
però, la giornata non
era ancora finita: voleva a tutti i costi capire quali dannazione
fossero le
motivazioni di Cariddi, perché diavolo avesse montato quel
piano assurdo per
conquistare il potere.
Appoggiò una mano su quelle di
Chrona, seduta al suo fianco, e le sentì gelide. Sembrava
devastata anche lei,
Maka glielo leggeva dentro: quelle quarantotto ore non erano state per
nulla
facili, persino per chi ormai ha abbandonato lo stato umano per
elevarsi a
quello divino.
Lo sguardo vuoto della figlia
della strega si perdeva nelle piastrelle del pavimento, e
sospirò al contatto
delle sue mani con quelle di Maka.
“Perché non ti riposi un po’
anche tu? – le propose in un soffio – Sei pallida,
Maka.”
La meister le sorrise: “Non
riuscirei comunque a dormire, temo. Voglio vederla dietro le sbarre,
prima di
rilassarmi.”
Chrona annuì, e Maka si chiese
se non fosse il caso che un pisolino se lo facesse anche la sua
compagna.
“Mi sembri stanchissima, Chrona,
più di me. Non potrei mai lasciarti qui da sola a stare
sveglia.”
“Grazie. – il secondo Kishin
sorrise – Mi sento a pezzi, in effetti. È stato un
sollievo sconfiggere mia
cugina, ma ora è come se tutte le mie energie si fossero
esaurite. Combattere
contro di lei mi ha riportato indietro a quando ancora era intrappolata
dalla
volontà di mia madre, sai…? Hanno
un’anima molto simile. C’è una sola
differenza, però, piuttosto
significativa…”
Chrona lanciò un’occhiata alla
porta dove era stata rinchiusa Cariddi, e Maka la seguì con
lo sguardo,
sinceramente incuriosita.
“…Medusa era quasi invincibile
per via della sua volontà incrollabile. Cariddi,
invece… più che per la volontà
di conquistare il potere, mi è sembrata combattere per
disperazione.”
“Che intendi dire?”
“…che aveva paura. Combatteva
spinta dalla paura. Non so perché. Forse sono stata io a
spaventarla così;
dopotutto, col piano che aveva congegnato, pareva abbastanza sicura di
se
stessa.”
Maka, Chrona e Soul avevano
appreso poche ore prima le scoperte fatte grazie al libro sottratto
alla
Gorgone, che Franken Stein aveva trovato nel suo appartamento grazie
all’aiuto
del piccolo FJ, precocemente intelligente proprio come suo padre. Mario
Viverna
aveva spiegato loro come la strega intendesse fabbricare un bracciale
magico
col potere di incanalare il potere delle anime secondo la propria
volontà, e
come con ogni probabilità Kid era la vittima prescelta. La
strega aveva rubato
le pietre nascondendo la propria identità, si era
intrufolata nella scuola,
aveva fatto cadere tutti i sospetti su Chrona e, se le sue
macchinazioni si
fossero attuate, con l’anima del Sommo Shinigami in mano
avrebbe potuto
dominare il mondo. Avrebbe anche potuto prendersi la sua vendetta
personale con
Maka, dopo esserci avvicinata a lei fin a quel punto.
Effettivamente era un piano
perfetto, pensò la meister. Un piano che per un pelo non era
divenuto realtà.
Ma cos’aveva impedito alla
strega di portare a compimento questo progetto? La paura. La paura che
alla
DWMA scoprissero il suo doppiogioco, e il conseguente passo falso che
aveva
fatto con lei e la sua compagna di fuga, smascherandosi.
“Hai ragione, Chrona, la paura
dev’essere un gran punto debole di Cariddi.”
“Già. Ma, in ogni caso, mi
sembra una cosa strana.”
Un rumore improvviso interruppe
i loro discorsi e destò Soul, il quale si svegliò
all’istante con un grugnito
decisamente poco chic: la porta di
metallo si era aperta e ne erano usciti ben quattro aguzzini, al centro
dei
quali Cariddi Gorgon avanzava a testa bassa, incatenata dalla testa ai
piedi.
Maka si rese conto che la strega stava ancora singhiozzando.
Il trio osservò in silenzio la
piccola processione allontanarsi fino al fondo del corridoio buio, in
direzione
delle prigioni; poi anche Sid emerse dalla porta di metallo, e Maka si
alzò in
piedi.
“Cosa ha confessato?” chiese,
avida di informazioni.
“Eh. – Sid si grattò la testa
–
Nulla in realtà. Continua a ripetere di essere stata
incastrata, e di essere
innocente, ossessivamente. Eh, Chrona, l’hai proprio mandata
fuori di testa!”
Il secondo Kishin fece
spallucce, poco convinta.
“Oh, ma avrà tutto il tempo che
vuole per schiarirsi le idee, in gattabuia. –
proseguì Sid – Ora ragazzi,
fatemi un favore: andatevene a casa. Non mi dispiacerebbe avere dei
compagni di
sventura, ma non lo auguro lo stesso a nessuno…se non vi
riposate fra un po’ vi
trasformerete in tre zombie come me!”
Aprire
il chiavistello di casa aveva
uno strano sapore.
Maka si gustò quell’attimo,
mentre girava le chiavi sotto al pomello, schiudeva lentamente la porta
e
veniva invasa dalla penombra profumata di quotidianità del
suo appartamento.
Blair non c’era, ma aveva lasciato sul tavolo un vassoio di
biscotti e un bigliettino
di bentornato.
La ragazza si voltò verso Chrona
e la invitò a entrare con un braccio.
“Eccoci qui. Ovviamente, puoi
stare da me finché vuoi.”
La figlia della strega sorrise.
“Maka, grazie. È meraviglioso.
Ti amo.”
La stanchezza era tale da aver
distrutto ogni freno inibitore e Maka si lanciò fra le
braccia della sua
compagna, trascinandola all’interno e inciampando sui suoi
stessi piedi. Era
stanca, stanca, ma felice: quella storia orribile era finita e ora
stava per
cominciare qualcosa di così bello che faceva persino fatica
ad immaginarselo.
Chrona le baciò gli occhi e le
labbra e lei si mise a ridacchiare come una scema, incespicando per
chiudere la
porta, e poi decise di dirigersi verso il divano, dato che
c’erano i biscotti
di Blair sul tavolino e sarebbe stato carino mangiarsene un paio.
Quello che
non calcolò fu che camminare all’indietro
abbracciata a qualcuno con
ventiquattro ore di sonno sulle spalle non è così
semplice, soprattutto se
anche chi ti sta abbracciando è esaurito al punto di
inciamparti addosso e
farti cadere all’indietro con la schiena sul divano.
L’improvviso brivido di
adrenalina le fece scoppiare a ridere tutte e due, e dopo essersi messe
più
comode decisero di rimanersene lì sdraiate, una sopra
l’altra.
Maka si strinse al petto la
testa di Chrona, le appoggiò le labbra sui capelli.
“Da oggi questa è anche casa
tua. E ci sarò io a prendermi cura di te.”
“Sei la mia vita Maka. Farò del
mio meglio. Laverò i piatti.”
“Faremo i turni.”
“Li asciugo, anche…”
Maka le accarezzò la testa,
sorridendo, e sentì il sonno sopraffarla come
un’onda d’oceano che dolcemente
invade la spiaggia con l’alta marea.
Si addormentarono così,
abbracciate sul divano, e il loro sonno fu così profondo che
non furono nemmeno
svegliate dal rientro di Blair, nel cuore della notte, che decise di
lasciarle
lì tranquille fino al mattino seguente.
Zona
Autrice
Buon
lunedì a tutti!
Che mi
raccontate? Tutto bene? Qui parrebbe che ci stiamo avviando verso la
fine!
...curiosità? Mmmm... in realtà non saprei molto
cosa dire, arrivati a questo punto, sto esaurendo le scorte! Ah ecco,
spero che quella strega che ho messo in foto non sia troppo deforme. Ho
fatto parecchi disegni su questa fiction, ma non tutti mi soddisfano
appieno.
Ne approfitto per ringraziare tutti i miei lettori, che hanno avuto la
pazienza di arrivare fino a qui! Ah ecco... con questo capitolo siamo a
114 cartelle. Sentitevi orgogliosi! (Io lo sono! XD)
Sì lo so questa storia è lunghissima. Ma ho un
viziaccio io, con le long. Credo che sia la long più
looooong che abbia mai scritto.
Ora, dato che sto parlando a vanvera e sicuramente vi siete annoiati,
vi saluto!
Ci vediamo settimana prossima con il... finale (???)
|
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Capitolo 22 *** …the End? ***
…the
End?
Un
luminoso raggio di sole ruppe
il muro di sonno di Maka, aiutato dal martellante squillare del
telefono di
casa. La ragazza incespicò per qualche secondo contro i
residui dei sogni,
lottando per aprire gli occhi, per poi realizzare di essere sdraiata a
pancia
in su sui cuscini del proprio divano, con il corpo tiepido e tranquillo
di
Chrona addormentata che le premeva addosso. Le tornò in
mente la sera
precedente e fu invasa da un serie di sensazioni dolcissime, senza
però
riuscire a risolvere la questione che Chrona la stava immobilizzando
completamente, sdraiata com’era sopra di lei. E quel telefono
le stava
trapanando nelle meningi. Mamma mia, che sonno… Maka si
sentiva il cervello
premere contro le tempie come un palloncino gonfiato in un buco e gli
occhi
bruciavano, avrebbe potuto dormire ancora per ore e ore.
“Sì, pronto?”
Benedetta la voce di Blair, che
aveva interrotto quella tortura uditiva.
“Ah. – disse la voce della gatta
– Okay, riferirò. Sì, stanno ancora
dormendo. Sì, lo so che è mezzogiorno, ma
che vuoi farci Liz, erano molto stanche. Gli dico di raggiungervi
stasera. Ciao!”
Blair, vestita di tutto punto
con una tuta da ginnastica casalinga, posò la cornetta e si
voltò verso Maka,
facendole un occhiolino veloce.
“Liz dice che tu e Chrona siete
invitate a Villa Patibolo a pranzo. Pare che Kid si stia riprendendo
molto più
in fretta del previsto! Dato che siete in licenza per un paio di
giorni,
pensavano di festeggiare un po’ la fine del caso.”
Maka mugugnò qualcosa di
incomprensibile in risposta, facendo con una mano un gesto per indicare
che se
ne sarebbe occupata più tardi. Poi indicò Chrona
che ancora pareva immersa fra
le braccia di Morfeo e poi se stessa. E poi il cuscino.
“Vi sveglio fra tre ore,
dormiglione. – la gatta si avvicinò alle tende
della finestra, per tirarle
meglio in modo da non far passare nemmeno un raggio di luce diretta -
… ma poi
tu non cercare più di tirare giù dal letto me,
quando lavoro al Chupa Capras!
Ah ah ah, questa me la segno.”
Quando
Maka aprì la porta della
classe, gli occupanti della stessa saltarono subito su dalle sedie e le
corsero
incontro con gli occhi luccicanti, sorpresi da quella visita. Era tardo
pomeriggio,
l’orario del corso di recupero per le studentesse
sperimentali, e le due
piccole streghe insieme ai loro partner erano nella solita aula ad
allenarsi,
col sole che entrava di sbieco dalle alte finestre di vetro.
Maka aveva deciso di passare a salutare
i suoi studenti a scuola, prima di andare a casa di Kid, e
così senza dire
nulla a nessuno si era intrufolata nei corridoi della DWMA e aveva
raggiunto la
sua vecchia aula. Dopotutto, lei era sempre la loro professoressa, e
una delle
prime cose che la preoccupavano era il fatto di aver lasciato le sue
streghette
senza un’insegnante per più di due settimane. Le
avrebbe fatto male al cuore
non passare nemmeno per un saluto.
“Professoressa Maka Albarn!”
esclamò Amber Sushi, in preda a quella che pareva pura
estasi, lanciandosi
nella sua direzione: “Hai sconfitto Cariddi! Cariddi era
cattiva, ce lo ha
detto lo zio Viverna!”
La streghetta le si appese alle
braccia e la trascinò giù al suo livello, davanti
al suo faccino circondato da
quella folta massa di capelli azzurri: “Ci ha raccontato che
hai salvato la
scuola! E io lo sapevo che non era colpa del Kishin! Se tu sei sua
amica vuol
dire che non ha fatto niente!”
Maka sorrise mentre veniva raggiunta
anche da Carrie Bat, Em Ni e il ragazzino cicciottello che si
trasformava in
martello; la accolsero calorosamente, si fecero raccontare tutto quello
che era
successo di sua bocca e le raccontarono quello che avevano fatto
durante la sua
assenza.
Non c’erano abbastanza
professori per gestire una classe piccola come la loro, quindi in
pratica era
stato Viverna a far loro da “supplente”. Carrie,
mettendosi a parlare –
stranamente – anche lei, raccontò che avevano
fatto parecchi esercizi di
risonanza insieme a lui, e che erano tutti migliorati molto in quella
pratica.
“La prossima volta che qualcuno
minaccia la scuola, ti aiuteremo anche noi.”
Affermò, con un tono assolutamente
piatto e inespressivo, nonostante la determinazione che trasudava dalle
sue
parole. Per sottolineare ancora di più la quanto seria fosse
la sua
affermazione afferrò la mano della meister e strinse forte,
lasciando quasi un
segno doloroso. Maka trovò quel comportamento parecchio
insolito e inquietante
– insieme ai suoi occhi scolorati, che le davano sempre i
brividi -, ma le fece
molto piacere ascoltare quella frase.
“Mi siete mancati ragazzi.
Tornerò al lavoro dopo il fine settimana, così
potremo ricominciare da dove
abbiamo lasciato. Anche se saremo con una studentessa in
meno.”
Maka cacciò un sonoro sospiro
pensando a Cariddi, e le fece uno strano effetto amaro considerare per
quanto
tempo avesse vissuto così vicino a lei, senza sospettare
nulla dei suoi piani
malvagi.
La
strada era molto buia, ormai.
I lampioni illuminavano l’asfalto con la loro luce gialla ed
elettrica, facendo
un perfetto pendant con la luminosità calda che risplendeva
dalle finestre di
Villa Patibolo. Evidentemente, era ancora piena di persone. Chrona
sospirò, a
disagio, puntando lo sguardo lontano dalla porta di ingresso, e Maka
assaporò
con piacere i riflessi che la Luna proiettava sulla pelle bianchissima
del suo
viso, facendola quasi brillare di luce ovattata. Le strinse la mano
perché,
nonostante tutti i problemi che si faceva nel contesto dei rapporti
sociali e
che per osmosi doveva sopportare anche lei, continuava a farle un sacco
di
tenerezza.
“Guarda che andrà tutto bene.
Liz dice che Death the Kid ha finalmente accettato l’idea che
era Cariddi la
colpevole!”
“Sarà… ma è un sacco di
tempo
che non li vedo. E poi… insomma, sono il secondo Kishin. Ero
condannata a morte.
Che faccia dovrei fare? Oddio…”
Sì beh, in realtà non aveva
tutti i torti. Ansia. Oddio…
Maka si era messa un bel
vestitino viola che donava alla sua costituzione minuta, per quella
sera, e
aveva insistito perché anche la sua compagna si mettesse un
po’ in ghingheri:
insomma, erano più di tre anni che viveva ricoperta solo dal
suo sangue – con l’unica
eccezione di una camicetta da notte - , che la fasciava dal collo fino
alle
caviglie, e non era proprio il massimo per uscire di sera. Chrona si
era lasciata
convincere a farsi prestare un vestito da Blair, dato che la taglia di
Maka le
sarebbe stata decisamente stretta: sì, anche le forme della
voluttuosa micia
erano un po’ troppo ampie e il corpo magro della fanciulla
non riusciva a
riempire tutte le cuciture, ma quel semplice tubino nero le vestiva
addosso che
era una meraviglia, con un paio di spille pinzate nei punti strategici.
Le
spalline sottili le lasciavano scoperte le spalle appuntite e il collo
candido.
Aveva proprio un bel collo, la figlia della strega, nella luce bianca
della
Luna.
Le due ragazze erano ancora
ferme all’ingresso, preparandosi psicologicamente alle
persone che avrebbero
incontrato oltre la soglia, entro pochi secondi, ma Maka pensava che
quel collo
fosse davvero bellissimo. C’erano dei cespugli di rose, di
fianco alla
cancellata – come poi potessero essere in fiore in quel
periodo dell’anno, lo
sapevano solo i giardinieri di casa Death-Thompson -. Maka si
chinò e colse un
fiore, un bocciolo mezzo sbocciato e mezzo no, facendo attenzione a non
pungersi le dita. Si sollevò e si avvicinò a
Chrona, che era stata tutto il
tempo a guardarla con occhio interrogativo.
“Manca solo qualcosa, qui.”
Le appuntò quel bocciolo di rosa
fresco e profumato sulla spilla che le stringeva il vestito sul petto,
sopra al
cuore.
“Ecco. Così sei perfetta.”
“…”
“Hai così tante spine, tu, ma
finalmente stai sbocciando.”
Sfioro
la rosa che Maka mi ha donato, senza riuscire a trovare delle parole
per
poterle esprimere le emozioni indescrivibili che mi sta facendo
provare. Con la
punta delle dita sento la sua consistenza liscia, come seta ma viva:
è questo,
che diventano le spine, quando arriva la primavera?
Cosa
potrei mai aggiungere quando Maka con una sola frase e un gesto ha
già detto
tutto quello che c’era da dire?
Le
sorrido, credo, e lei mi prende per mano e mi trascina dietro la porta
della
casa del Sommo Shinigami, in bocca ai miei antichi amici che continuano
a
proclamarsi tali – pare – anche dopo che li ho
traditi tutti quanti, tanto
tempo fa.
No,
non c’è spazio in me, ora, per questi fantasmi,
questo profumo mi riempie
l’anima, il sorriso di Maka mi dice che va tutto bene, e che
sto sbocciando.
Ha
ragione…
Le
mie spine mi hanno ferita per tutta la vita, crescendo sempre
più dolorose man
mano che il tempo passava, ma ora anche io, persino questa miserabile
creatura,
inizio a sentire qualcosa di diverso. E no, non ci sarà mai
più una madre da
qualche parte che tenterà di nuovo di tagliarmi i petali,
non c’è più un’ombra
all’orizzonte che mi cerca, che minaccia di divorarmi.
So
che non sarà facile, ma all’orizzonte vedo solo
luce.
Maka
mi ama.
Il
potere più terribile dell’universo è
nelle mie mani, ma io so che saprò
custodirlo senza cadere di nuovo nella follia. Perché mai
dovrei farlo? Lei è
con me, e io mi sento… felice. No, di più, mi
sento come se fossi in Paradiso.
Questo
cambiamento mi fa una paura terribile, ma sto cominciando ad
abituarmici: ogni
secondo temo che questo sogno possa scoppiare come una bolla di sapone,
ma
anche se fosse davvero così fragile, combatterò
per proteggerlo.
Farò
tutto ciò che è in mio potere per essere felice,
ora che finalmente un fiore è
sbocciato anche per me.
Entriamo.
Per qualche motivo mi aspettavo di trovare l’atrio pieno di
persone rumorose,
una di quelle situazioni in cui è facile nascondersi. E
invece no. Le luci sono
spente, non c’è nessuno. Maka mi trascina su per
una scala laterale e mi dice
che probabilmente sono tutti in sala da pranzo, e che spera che non
abbiano
iniziato la cena senza di noi.
Dopo
un paio di svolte entriamo in una stanza calda, luminosa, con un lungo
tavolo
centrale: dentro ci sono poche persone, ma la sola loro vista mi
procura un
pungente colpo al cuore.
Ci
sono Soul, Tsubaki, Black*Star - col braccio ingessato -, Liz, Patty.
Nessuno
è seduto a tavola e sembrano più occupati a
chiacchierare che a servirsi dai
piatti colmi di cibo in mezzo alla tavola.
Death
the Kid è seduto su una poltrona rossa, mi fissa.
Lo
guardo.
Non
so cosa dire.
Entrando,
io e Maka abbiamo attirato l’attenzione di tutti, che ora si
sono messi a
salutarci, anche se, in effetti, la prima cosa che ha detto Patty nel
vedermi –
vestita così, immagino -è stata:
“Chrona! Ma allora sei una ragazza!”
Mi
sembra strano essere riaccolta in questo modo, come se nulla fosse,
soprattutto
da Black*Star che sembra fare di tutto per essere più
gioviale possibile. Liz,
addirittura, mi si avvicina con un evidente imbarazzo tinto sul volto:
“Scusaci
per aver sospettato di te. Sei pure stata tu quella che ha affrontato
faccia a
faccia la strega, e poi… beh, sei stata tu a mangiare
Ashura. Non ti abbiamo
ancora ringraziata per questo.”
E
mi sorride. Io resto per qualche secondo ad assorbire le sue parole.
“Ma,
ho anche tradito la vostra scuola e… il resto.”
“Ma
eri pazza per colpa di Medusa, no?” è stata Patty
a parlare, dopo aver infilato
un grosso cosciotto di pollo in bocca. Ha un’espressione
così allegra, mentre
mi scusa in questo modo. In realtà…
“…non
è così semplice.”
“Basta
con questi discorsi tristi, dobbiamo festeggiare! – Kid si
alza dalla sua
poltrona, invitando tutti a sedersi a tavola – Buon
appetito!”
La
cena fila tranquilla, principalmente il discorso gira attorno a Cariddi
e a
quanto fosse stata vicina a portare a termine il suo piano. I ragazzi
prendono
in giro Kid per essere stato contagiato dalla follia in quel modo, se
la
prendono con Soul per avergli dato retta e poi accusano Maka di aver
agito come
una scema totale.
Parlano
con leggerezza di tutto, come al loro solito, anche delle esperienze
peggiori.
Poi
però si mettono a parlare della relazione fra me e Maka.
“No,
perché – dice Patty – a un certo punto
ero davvero convinta che tu fossi una
femmina, ma continuavo a pensare che era strano che andavi dietro a
Maka, e
allora mi dicevo: sarà sicuramente un maschio!”
Maka
non sembra apprezzare molto questo discorso, quanto a me, sono
così imbarazzata
che anche volendo non riuscirei a dire nulla.
“Poi,
dopo che siamo tutti entrati in risonanza con te sulla Luna e tutti
abbiamo
iniziato a pensare alle tett…”
“Stai
zitta Patty!” la rimprovera sua sorella, facendo scoppiare a
ridere la tavola.
Maka si reinfila, silenziosa, il sandalo col tacco al piede, che aveva
preso in
mano poco fa per un eventuale lancio punitivo contro la ciarliera
Thompson. La
sua faccia minacciosa è così buffa che mi metto a
ridere anche io.
Kid
mi si avvicina.
Abbiamo
finito di mangiare, ora, e siamo di nuovo sparsi per la stanza. Mi ero
messa un
po’ da parte perché gli altri hanno cominciato una
conversazione su esperienze
che hanno vissuto senza di me, e quindi ho preferito semplicemente
osservarli e
ascoltare quello che si dicono.
Il
Sommo Shinigami, invece, pareva solo attendere un momento buono per
parlarmi in
privato.
Mi
guarda e io, come prima, non riesco a dire nulla. I suoi penetranti
occhi d’oro
mi mettono parecchia soggezione.
“Immagino
di doverti delle scuse. Ero stato avvelenato, non sapevo quel che stavo
facendo.”
Di
nuovo a scusarsi con me. Mentre rifletto su come rispondere mi volto
verso
Maka, là davanti, e la sua vista mi da un po’ di
coraggio.
“Eri
sotto l’influenza malefica di Cariddi. Non devi delle scuse a
nessuno.”
“Bene,
allora.”
Resta
in silenzio per qualche lungo secondo. Di nuovo, i miei pensieri sono
così
ingarbugliati dal suo sguardo serio che non riesco a pensare a nulla di
sensato
da dire.
“Volevo
dirti… che mi fa piacere che tu abbia mantenuto la tua
sanità. Sinceramente,
non ci speravo molto. Temevo che l’ultimo Dominatore rimasto
insieme a me mi
fosse nemico. Sai cosa sono i Dominatori?”
Rispondo,
meccanicamente: “I Dominatori erano gli otto guerrieri a
guardia dell’Ordine,
comandati dal Sommo Shinigami. Le loro anime non erano umane,
bensì di natura
divina: essi avevano il compito di purgare
l’umanità dalla corruzione della
follia divorando le anime che ne venivano inghiottite. Tutto questo
avveniva
prima della fondazione della DWMA, circa cinquecento anni fa. Shinigami
decise
di fondare la scuola dopo che suo figlio, Ashura, si
trasformò nel primo
Kishin: aveva capito che nemmeno i Dominatori erano immuni alla follia,
quindi
decise di provare a educare gli stessi esseri umani a
contrastarla.”
Mi
si è seccata la gola, prendo un bicchiere dal contenuto
sconosciuto e bevo un lungo
sorso. Brucia lungo l’esofago.
“Impressionante.”
Commenta Kid.
“Ho
ingoiato il Libro di Eibon, il Dominatore della Sapienza, insieme col
Dominatore
della Forza che vi era stato nascosto dentro. E ho avuto tre noiosi
anni per
leggere.”
“Capisco.
Quindi sai di me e Ashura?”
“Sì.”
“Conosci
il segreto del potere della Follia?”
“Sì.
– mi volto verso di lui – Ho assorbito il potere
dell’anima di Ashura, ma nel
farlo sono entrata in risonanza con lui. So che, in realtà,
un Demone altro non
è che un Dio che scatena la follia. Divorare anime umane
concede il potere di
un Dio anche a una persona comune, ma contemporaneamente ne distrugge
la mente:
per Ashura era diverso, lui era già un Dio, la sua
è stata una questione di
scelta.”
Butto
giù un altro sorso dal bicchiere. Mi fa sentire
più rilassata.
“Ma
tu sei umana. – commenta Kid, guardandomi in modo penetrante
– Allora, come hai
fatto a non cedere alla follia, dato che un essere umano non potrebbe
mai
sopportare un tale potere senza impazzire?”
“È
stata Maka.”
Ci
voltiamo a guardarla che ride, in mezzo agli altri.
“Per
lei farei qualsiasi cosa… mi ha chiesto di attenderla, mi ha
detto che ci
saremmo riviste, e quindi sono diventata Kishin per lei, per
sopravvivere. Se
fossi morta probabilmente non me lo avrebbe mai perdonato, e io non
avrei mai
sopportato di perdere un’occasione per incontrarla di
nuovo.”
“Hai
una bella forza di volontà.”
“Ma
chi, io?”
“Sì,
tu.”
Kid
sospira, infilandosi una mano fra i capelli neri. Mi sento come se mi
avesse
appena fatto un’interrogazione, per capire se ero preparata o
no alla lezione
del giorno.
“C’è
una cosa che devo dirti, che non piace né a me né
tantomeno piacerà agli
altri.”
So
perfettamente di che parla. Anzi, quasi mi solleva. Mi sembrava
così strano che
tutti ignorassero con questa leggerezza l’argomento, ora
finalmente posso
parlarne con qualcuno che comprende il mio punto di vista.
“Tre
anni fa hai tradito la DWMA, hai rivelato informazioni della massima
segretezza
al nemico e hai attaccato i nostri compagni. Poi, hai ucciso Tsar
Pushka, falce
della morte Russa, e hai raso al suolo un villaggio ucraino con tutti
gli
abitanti che conteneva. Anche se eri sotto l’influenza di
Medusa non sono cose
che possiamo dimenticare come se non fossero mai accadute: io sono a
capo della
DWMA, non posso ignorare i vincoli della legge solo perché
hai fatto anche
tante buone azioni.”
Sì,
lo so.
“Kid,
io non dovrei nemmeno essere scesa dalla Luna, quella condizione era
ottima
come punizione. Non avevo un corpo, ero solamente un’anima
nuda immersa in un lago di sangue. Se
sono scesa è stato solo perché Maka è
più importante del mio castigo. Se vorrai
imprigionarmi, lo accetterò.”
“Dovremo
parlarne.”
“Sì.”
Finisco
il mio bicchiere, deglutendo tutto il liquido con un paio di sorsate.
Sento la
testa che inizia a girare un po’.
“Ehi!”
Chiamò Black*Star, agitando il
braccio ingessato: “Ma che fate, ve ne state lì
isolati? Venite qui! Sfigati!”
Maka
e Chrona entrarono nel loro
appartamento lanciandosi contro la porta di peso, ridendo come matte.
Chrona
dovette appoggiarsi alle spalle di Maka per non perdere
l’equilibrio e
inciampare sui suoi stessi piedi.
“È stata una bella serata, no?”
“Sì, è vero!”
“E che ti dicevo io?”
Accesero le luci tastando a caso
contro la parete e finalmente l’ingresso prese forma,
colorandosi attorno a
loro restituendo un minimo di percezione spaziale, che a causa dei fumi
dell’alcool
latitava già abbastanza per conto suo.
Maka apparve a Chrona in tutta
la sua disordinata bellezza, coi capelli sciolti e le guance rosse di
riso,
mentre sollevava un piede per sfilarsi i sandali col tacco. Aveva le
caviglie
sottili, e nell’alzare le gambe le si sollevò
anche il vestitino viola,
mostrando per una frazione di secondo le mutandine che aveva sotto.
Chrona
rimase paralizzata a fissarla, sentendo la pressione sanguigna
aumentare e
pulsarle nelle orecchie.
Forse era il vino, quella strana
ebbrezza che le annebbiava i pensieri, ma Maka non le era mai sembrata
così
seducente come la stava vedendo ora.
A piedi nudi quella sottospecie
di angelo le si fece incontro e la prese per le spalle, strizzandole
l’occhio
verde come muschio ricoperto di rugiada.
“Ehi – disse – stanotte col
cavolo che dormiamo sul divano. Se vuoi c’è la
camera da letto che usava Soul…”
Sì, doveva essere l’alcool che
le stava dando alla testa: non si sarebbe mai riuscita a spiegare,
altrimenti,
dove avesse trovato il coraggio per le azioni che stava per compiere.
“Maka. – disse Chrona,
prendendola per le braccia e trascinandola accanto a sé,
così vicina da sentire
il suo seno premere contro il proprio e il suo respiro caldo sul collo
– Voglio
fare l’amore con te. Adesso.”
La sua voce era un mormorio
soffocato. Maka non rispose, non a parole, ma appoggiò le
labbra al suo collo
bianco e Chrona sentì la sua lingua e i suoi denti, e le sue
mani che
scendevano e la circondavano, aggrappandosi alle scapole.
“Vieni.” Mormorò Maka, staccandosi.
La prese per un polso e la
condusse oltre una porta in corridoio, in una stanza che Chrona
riconobbe
subito come la camera della sua compagna: c’era
già stata forse, un giorno,
tanti anni prima quando andavano ancora a scuola.
“Non ho un letto matrimoniale, è
a una piazza e mezza, so che non è molto comodo
ma…”
Maka sembrava imbarazzata con
quelle guance arrossate, ma non ebbe tempo di scusarsi oltre
perché Chrona le
si era incollata alla bocca, spingendola seduta sul letto e
circondandola con
le braccia per mettere in contatto la maggior quantità di
pelle possibile. La
bionda rispose con passione, abbracciandola a sua volta e capovolgendo
la loro
posizione con un colpo di reni: Chrona si ritrovò seduta sul
bordo del letto
con la Albarn in ginocchio sopra le sue gambe, intrappolata in una
dolce
prigione.
“Aspetta.”
Chrona non avrebbe voluto che
Maka si separasse da quel bacio, al momento, ma dovette cambiare idea
nel
vedere la sua ragazza che si sollevava in piedi davanti a lei e, con un
gesto
fluido, abbassava le spalline del vestito viola. Aprì la zip
che aveva sul
fianco e l’abito cadde ai suoi piedi, svelando il suo corpo
sottile e
proporzionato. Chrona deglutì mentre Maka slacciava il
reggiseno e lo lanciava
alle sue spalle, rimanendo solo in mutandine. Non c’erano
parole per descrivere
quanta bellezza vide in lei il secondo Kishin: era semplicemente divina
con
quei lunghi capelli castano chiari che le carezzavano le spalle e la
schiena,
scendendo in qualche ciocca anche sul piccolo seno tondo, nascondendone
quasi i
capezzoli rosei.
La ragazza si riavvicinò al
letto, si sedette e, sfiorando una spalla del demone con la mano, si
sdraiò
sopra le coperte, strofinando le gambe l’una
sull’altra in modo seducente.
“Ma tu vuoi farmi morire
d’infarto.” Sussurrò sopraffatta la
figlia della strega porgendosi su di lei e
allungando una mano sulle sue gote, rosse di eccitazione.
“Forse.” Rispose Maka, con un
sorriso languido.
Chrona aveva perso tutto il suo
coraggio. Quella ragazza meravigliosa ora le metteva soggezione,
così, nuda e
invitante, esperta in quelle cose dell’amore che lei aveva
ignorato per tutta
la sua vita prima di allora. Maka le accarezzò una guancia
notando la sua
esitazione e la ragazza demoniaca ebbe un’ispirazione
momentanea: la pelle
della meister era soffice e liscia come i petali di un fiore, forse un
fiore
sarebbe stato più degno di toccarla.
Chrona si portò in ginocchio sul
materasso, di fianco alla Albarn, e si sfilò la rosa che
aveva ancora appuntata
sul petto, dal colore profondo e sanguigno. Se la portò alle
labbra,
assaporandone il profumo intenso e delicato insieme, poi la
appoggiò sulla
bocca di Maka, che chiuse gli occhi e inspirò gonfiando il
petto.
La rosa scese delicatamente,
accarezzando il collo e le clavicole, esplorò tutta la pelle
del torace
indugiando in circoli lenti sui seni, raggiunse il diaframma e
l’ombelico, e
poi ancora un po’ più giù, dove fu
infine lasciata cadere.
Il demone accarezzò la pancia
liscia di Maka, incoraggiata dalle espressioni di piacere che erano
apparse sul
volto della sua compagna, e poi si sdraiò sopra di lei
puntandosi sui gomiti.
Il cuore le martellava contro le
costole mentre l’altra le prendeva la testa e univa le labbra
alle sue,
allungando l’altra mano alla cerniera sulla sua schiena e
spogliandola
lentamente, con le dita infilate sotto al tessuto che accarezzavano la
pelle
ricoperta di cicatrici. Anche il vestito di Blair fu lanciato sul
pavimento.
“Sai, - mormorò Maka, stringendo
assieme i loro due corpi – a pensarci mi fa ancora strano
toccare una donna in
questo modo – sorrise – ma con te mi sento
così a mio agio.”
Chrona percepì il tocco della
ragazza percorrere premendo tutta la sua spina dorsale, sempre
più giù, sotto
le mutandine, fino a raggiungere quel punto sensibile, in mezzo alle
gambe,
dove sembrava che si fossero accumulati tutto il suo sangue e calore e
linfa
vitale. Le dita che si muovevano là sotto, la fecero andare
fuori di testa, travolgendola
con scosse di piacere. Non riuscì a parlare, a fatica
riusciva a respirare.
“Non ho mai provato quello che
tu mi accendi nel sangue, – sussurrò Maka
– non mi sono mai sentita così tanto viva.
Sei bianca e bellissima come un cigno delle fiabe e nemmeno lo
sai.”
Le dita si insinuarono dentro,
là fra le gambe, senza troppa difficoltà, e
Chrona strizzò gli occhi con un
rantolo. Quelle cose che le diceva… la facevano impazzire.
Iniziò a muoversi
ritmicamente mentre annaspava con le mani sul corpo di Maka,
accarezzandole l’interno
della coscia per fargliela aprire, per tirarle giù lo slip e
per toccare anche
lei in quel punto magico. Intrecciarono le gambe con foga, ansimarono,
si
riempirono la bocca con la pelle e la lingua dell’altra e
vibrarono di piacere
man mano che la loro danza diventava più frenetica e le dita
andavano sempre
più a fondo. Chrona si sentì gridare, nel momento
in cui quell’eccitante
paradiso raggiunse il culmine.
Il battito irregolare di Maka le
pulsò nelle orecchie, quando crollò sfinita e
ubriaca sul suo petto nudo.
Assaporò il profumo della sua compagna come la
più rara e deliziosa delle
essenze.
Due mutandine volarono sul
pavimento, insieme alla piramide di abiti che già vi giaceva
abbandonata.
“Facciamolo di nuovo.”
…
La
luce grigiastra della mattina
giunse col tocco di una pelle fredda.
Chrona si svegliò di soprassalto.
Maka era fredda. E inerte. E immobile.
La fissavano due occhi vuoti
spalancati, come lei ne aveva già visti tanti.
Niente calore, niente anima.
Solo un corpo freddo e rigido.
Rispose a quello sguardo senza
respirare, incapace di comprenderlo, incastrata in quella frattura di
realtà
che le giaceva davanti.
Poi giunse il dolore.
Le
urla strazianti del secondo
Kishin svegliarono Death City sotto un cielo nero, come la morte.
Zona
Autrice
Buon
lunedì a tutti ragazzi!
La scena di yuri vi è stata gentilmente offerta dai Red Hot
Chili Peppers con la canzone Monarchy
of Roses, che ho ascoltato in loop durante tutta la durata
della stesura.
...non aggiungo molto altro perché immagino che il capitolo
parli abbastanza da solo.
Non odiatemi, davvero.
Io vi voglio bene.
Davvero.
*faccina sorridente*
Okay ragazzi grazie per essere arrivati fin qui con la lettura, e
grazie per tutti i tentativi che ci sono stati settimana scorsa per
scoprire l'identità del colpevole! Sempre che non sia
davvero Cariddi... eeeeh! Qualcuno di voi ci avrà
azzeccato...? Lo scopriremo lunedì prossimo! (forse).
A presto allora!
Buona settimana a tutti!
|
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Capitolo 23 *** Wrath. ***
Wrath.
“Non
è propriamente morta.”
Stein si appoggiò al muro con la
schiena, evidentemente provato, cercando di interrompere il flusso
ininterrotto
di domande di Soul Eater. I macchinari dell’ospedale
emettevano soffi e cigolii
inquietanti, facendo da sottofondo al tono sempre così
cinico del dottore,
insopportabile alle orecchie della giovane Falce della Morte.
“…è vero, non respira più
autonomamente e il battito è quasi assente, ma
l’elettroencefalogramma non è
del tutto piatto.”
“Si può sapere che diavolo
significa!?” sbraitò Soul, incurante degli altri
pazienti nel reparto di
rianimazione.
Stein sospirò, aggiustandosi gli
occhiali. Come se il dottore potesse saperne qualcosa di
più, oltre alla
descrizione delle condizioni cliniche attuali di Maka Albarn. Anche lui
sembrava navigare nell’oscurità.
Maka giaceva accanto a loro, su
un letto d’ospedale, collegata a tutta una serie di
macchinari che dovevano
mantenere in vita il suo corpo. Tubi trasparenti si infilavano nella
sua
trachea e una serie di aghi le bucavano la pelle per iniettare sostanze
stimolanti: il suo volto quasi scompariva sotto la copertura opaca
della
maschera di plastica.
Quella mattina Maka Albarn era
stata trovata, morta e avvolta in una soffice coperta di lana, di
fronte alle
porte dell’ospedale di Death City.
Nessuno sapeva cosa diavolo
fosse successo.
“Hai qualche idea su come possa
essere accaduto, Soul?” chiese Franken Stein al ragazzo.
“No… - rispose la falce, tra i
denti - …l’ho vista ieri sera e stava
benissimo.”
Franken Stein, essendo il
miglior medico della città, era stato il primo a essere
chiamato dall’ospedale
per prestare assistenza, mentre Soul Eater era stato contattato
immediatamente dallo
stesso Stein, insieme anche a tutti gli altri ragazzi – che
sarebbero dovuti
arrivare a breve.
Chrona, che al momento era la
persona più vicina a Maka, era scomparsa e Stein non era
riuscito a trovarla da
nessuna parte.
“Credo che sia stato il secondo
Kishin a lasciare Maka di fronte all’ospedale. –
commentò Stein – A quanto ho
capito ora vivono insieme.”
Soul impallidì.
“Stavo giusto per chiederle dove
accidenti è Chrona. Se è come dice lei,
sarà fuori di sé. Non è un buon segno
se è scomparsa, può diventare pericolosa! Maka
sembrava l’unica persona in
grado di farle mantenere il controllo!”
Stein fece per rispondere, ma fu
interrotto da un grosso baccano che giunse dalla porta.
“Maka!”
Death the Kid e Black*Star quasi
sfondarono l’ingresso nel catapultarsi nella saletta
ospedaliera, seguiti
subito dietro dalle più discrete Tsubaki, Liz e Patty
Thompson, che si
riversarono all’interno con espressioni costernate.
Quando videro le condizioni in
cui versava la loro amica su di loro calò il silenzio.
Tsubaki faticò a
mantenere lo sguardo sul letto troppo a lungo e si voltò con
un singhiozzo,
mentre gli altri erano impalliditi come fantasmi.
“Non sento la sua anima…”
mormorò Kid, strizzando gli occhi che iniziavano a divenire
lucidi di fronte a
quella vista miserabile.
“Che significa?” chiese Liz con
voce strozzata.
Soul scosse la testa, coprendosi
gli occhi con la mano, e Stein sospirò nuovamente. I
brontolii e i beep-beep
dei macchinari riempivano il silenzio illuminato di luce al neon della
stanza,
spietati.
“Se dovessi dirvi che Maka è
morta, non sarebbe una bugia. – disse il dottore –
Il suo corpo è inerte e le
sue funzioni vitali sono annullate. Tuttavia, resta una minima
attività
cerebrale, come se il suo cervello si rifiutasse di accettare la morte
del
resto dell’organismo.”
“Ma che diavolo
significa?” chiese Soul, per l’ennesima volta,
accompagnato dagli sguardi
interrogativi di tutti gli altri ragazzi.
“Significa che il corpo non ha
subito traumi che abbiano causato il decesso. Non è stata
avvelenata, né
colpita, né danneggiata da qualche malattia. È
perfettamente sana. È quasi come
se, per assurdo, la sua vita fosse scivolata via lasciando
indietro il corpo
come un sacco vuoto.”
“Come se la vita fosse…”
ripeté
Kid, ipnotizzato da quelle parole.
“Come se l’anima fosse
fuoriuscita per conto suo!” affermò Black*Star,
tentando con tutte le sue forze
di spremersi le meningi per essere d’aiuto, dato che per il
momento, col
braccio ingessato, non avrebbe potuto fare altro. Tutti i presenti si
voltarono
verso di lui, basiti.
“Che c’è, che ho detto?”
chiese
il ninja, a disagio.
“L’anima…” ragionò
Stein a voce
alta, cupo.
“Ehi ragazzi! – gridò Patty
all’improvviso, dopo aver finito di contare i presenti sulla
punta delle dita –
Dove accidenti è Chrona?”
“Dove
diavolo hai messo la SUA
anima, strega!?”
Cariddi tossì nel tentativo di
respirare. La mano che le aveva stretto la carotide era così
forte e violenta
che l’aveva sollevata dal pavimento fino a farle dondolare i
piedi e le catene,
spingendola brutalmente contro il muro. La strega provò a
sillabare qualche
parola ma fallì miseramente, emettendo solo qualche suono
gutturale.
Le sue ciglia erano piene di
lacrime: un demone terrificante era apparso all’improvviso
nella sua cella e
quei fiammeggianti occhi neri sembravano solo volerla fare a pezzi.
La mano si aprì e Cariddi
ricadde sul pavimento di pietra con uno strillo, ma il demone non se ne
andò e
lei per evitare di vederlo strizzò gli occhi e si
coprì le orecchie con le mani,
accovacciata a terra tremante come un animale.
“Dov’è ho detto!?”
“Non lo so! Non lo so, giuro! Io
non ho fatto niente!”
“L’anima di Maka Albarn è
appena stata rubata! È questo che faceva il tuo manufatto!
Dov’è!?”
Cariddi urlò e pianse,
contraendo il viso in una smorfia di terrore. Non sembrava in grado di
aggiungere nulla di più in quelle condizioni vergognose.
Chrona la osservò, disgustata,
ansimando di rabbia.
Si era materializzata nella
cella della Gorgone senza che nessuno se ne accorgesse: le pareti di
pietra, pesanti
e claustrofobiche, si chiudevano su di loro puzzando di muffa e
polvere, nel
buio quasi totale rotto solo da un raggio di luce proveniente dalla
sottile
grata sulla porta di metallo. Le emanazioni spinose di Chrona
riempivano la
stanza trasformandola in un oscuro buco di rovi.
La furia l’aveva quasi accecata
alla vista di Cariddi, ma ora vederla piangere e strisciare al suolo le
causava
solo un sentimento di pietà misto a disprezzo.
“Non lo
so… - mugugnò Cariddi, mangiandosi le
parole – non lo so… lasciami in
pace…”
Il secondo Kishin era fuori di
sé. Era confusa e furibonda. La prima colpevole a cui aveva
pensato nel vedere
il corpo freddo di Maka era stata quella strega che aveva ai suoi
piedi, quella
strega che aveva tentato di costruire un artefatto per rubare le anime
e
sfruttarle a proprio piacimento.
L’unico pensiero unitario che
era stata capace di formulare, in quella furia bruciante e in quel
dolore
insostenibile, era stato di trovarla e riprendersi l’anima di
Maka, che
sicuramente doveva aver rubato lei. Chi altro poteva essere stato,
altrimenti?
Ora che la vedeva così, però,
iniziò ad avere dei dubbi: come poteva quella donna patetica
aver compiuto un
atto tanto complesso, nelle condizioni in cui si trovava?
Calmò il respiro e ritirò le
spine dal corpo incatenato di Cariddi, piombando in uno stato di caos
mentale
che minacciava di lasciare di nuovo spazio alla disperazione.
“Io non ho fatto niente! – urlò
di nuovo Cariddi, trovando il coraggio di esprimersi nuovamente davanti
alle
evidenti esitazioni del demone – Il libro che avete trovato
nella mia stanza
l’ho scritto vent’anni fa!
Sì, ho inventato io quel manufatto con le
pietre magiche, l’ho fatto perché volevo
vendicarmi sulla DWMA, perché aveva
fatto uccidere mia madre! Ma… ma… poi ho lasciato
perdere, perché io che ero
una strega inesperta mi sarei solo lanciata nel suicidio!
L’avevo nascosto!”
Chrona la stava a sentire con
gli occhi sgranati, incapace di obiettare.
“…io avevo pensato di rimandare
il progetto ma poi… poi è stata fatta la pace e
l’ho abbandonato! Il libro era
sepolto da qualche parte nella mia casa nel regno delle streghe, qualcuno
l’ha cercato e l’ha messo tra i miei libri qui a
Death City…qualcuno ha
cercato di incastrarmi! L’ho ripetuto decine di volte ma non
mi hanno creduto!”
Chrona riuscì finalmente a
prendere un respiro, mentre Cariddi ricominciava a singhiozzare
sommessamente.
Le faceva male la testa. Il corpo di Maka era morto, privato
dell’anima, e quella
strega non aveva fatto altro che raccontare balle.
“Si può sapere allora perché hai
confinato me e Maka nella tua casa di Messina, strega?”
chiese, mentre i suoi
pensieri ingarbugliati ricominciavano a funzionare su un filo razionale.
“…io volevo aiutarvi davvero! – rispose
quella – Avevo fiducia in Maka! Ma poi ho scoperto di avere
quel libro in vista
e… e…”
“…hai avuto paura.” Concluse
Chrona.
“Sì! – riprese la
strega,
piangendo più forte – Avevo paura! Avevo paura che
Franken Stein trovasse il
mio libro e mi prendesse per la colpevole! Avevo paura di perdere
tutto! Avevo
paura di essere condannata per quello che sono stata in
passato… avevo paura
che voi pensaste che vi stavo ingannando! Ma
è stato tutto inutile!
Aaah!”
Cariddi ricominciò il suo pianto
isterico, dondolando con il corpo e tenendosi le mani nei capelli.
Chrona
sospirò, scuotendo la testa.
“Sei una povera sciocca. Non hai
fatto altro che scavarti la fossa da sola.”
“Tu…tu mi credi?”
La strega la stava guardando,
con gli occhi umidi e cerchiati di nero, illuminati però di
speranza.
“Per forza. – rispose il secondo
Kishin, con voce mesta – Come ti ho detto, qualcuno ha rubato
l’anima di Maka.
Stamattina l’ho trovata vuota, fredda. Immagino che non
esista nulla in grado di
strappare un’anima dal corpo in quel modo oltre al bracciale
che hai inventato
tu… e tu non puoi essere la colpevole. Guardati. Non posso
fare a meno di
pensare che quello che dici è la verità, qualcuno
ha creato il bracciale e ha
davvero cercato di incastrarti, e adesso lo sta usando.”
Cariddi spalancò gli occhi:
“Significa che Maka è… morta?”
“Non è morta! La sua
anima è ancora da qualche parte, intrappolata!”
“Va bene va bene… non so cosa
accada se si usa il potere del bracciale su una persona ancora viva,
non l’ho
mai testato…”
“Devi aiutarmi a trovarla.”
Chrona tese la mano in basso, risoluta,
verso la giovane donna accasciata al suolo e incatenata: aveva preso
quella
decisione mentre parlavano, dopo aver assistito a quella scenata di
inequivocabile sincerità. Cariddi la osservò
incerta.
“Avanti! Ne sai più di me e poi,
alla fine, sei davvero innocente. Inoltre non mi sembri nella
situazione di
poter rifiutare una mia richiesta.”
La strega afferrò la sua mano e
si rialzò. Un paio di viticci di sangue nero le si
arrotolarono su per le
braccia causandole un attimo di terrore, ma quando questi si appesero
alle
manette che la legavano e le fecero saltare via provò un
piacevolissimo senso
di sollievo.
“Quindi… sono libera?”
“Io non…”
Furono interrotte da un veloce
rumore di passi fuori dal corridoio, accompagnato da urla che
ordinavano di
aprire la cella. Chrona si voltò verso la luce e vide Sid
Barret, trafelato,
che entrava dalla pesantissima porta della prigione, spalancandola con
gran
fragore metallico. La luce calda delle lampade del corridoio si
rifletteva
nelle sue iridi lattee e vuote.
“Chrona, eccoti qui! – disse –
Ti stanno cercando tutti, ma evidentemente ci hai preceduti!”
La ragazza demoniaca fece una
smorfia contro la luce che le abbagliava lo sguardo, mentre Cariddi
compì un
passo in avanti ansiosa di uscire da quel buco ammuffito di cella. Sid
e la sua
squadra dovevano aver percepito le onde dell’anima del demone
comparire
all’improvviso, là sotto.
“Maka è in ospedale?”
“Sì, ma devi venire subito! Le
cinque pietre magiche sono sparite!”
“Sì, questo lo sapevo già. -
Mormorò
Chrona, tirandosi dietro Cariddi fuori dalla piccola stanza buia
tenendola per
il polso. – Le ha prese il vero colpevole, non era stata
Cariddi a rubarle.
Ora, devo solo capire chi è.”
“…aspetta, non è tutto! Anche le
piccole streghe Amber e Carrie sono sparite dal
dormitorio…!”
Cariddi Gorgon puntò i piedi a
terra a quell’affermazione e Chrona, che si stava
già dirigendo verso le scale,
si fermò e la guardò, indagatrice, e poi
guardò Sid che era ammutolito a quella
reazione.
“Amber e Carrie…? E loro
cosa…?”
La strega sembrava essere
rimasta fulminata da quelle parole, e dopo aver lentamente scosso la
testa
mormorò qualcosa fra sé e sé,
incredula.
“Non ci posso credere…”
Sid e i suoi uomini precedettero
Chrona nella direzione dell’uscita dei sotterranei, esortando
il demone e la
strega a seguirle.
“Se questo ti stupisce, Cariddi,
aspetta di vedere cosa c’è là
fuori…” disse Sid, cupo.
Corsero sulle scale nella
direzione del primo piano, del secondo, del terzo, del tetto. Sbucarono
dalle
grandi porte fino a vedere il cielo. Era nero. Non nero di nuvole, ma
proprio
nero nero, come se una maledizione ne avesse assorbito ogni altro
colore. Era
pervaso da uno strano tremolio, come quello di un’onda
dell’anima estremamente
potente.
Chrona, senza parole, si
concentrò per individuarne la provenienza, ma le sue
orecchie le diedero un
indizio molto più veloce e rapido di quello che stava
accadendo: un paio di
potenti battiti d’ala scossero l’aria e una risata
folle, acuta come il verso
di un topo, risuonò nell’atmosfera.
Un grosso rettile alato stava sorvolando
i tetti di Death City: a cavallo di esso una figura con un lungo
mantello nero
stava esprimendo tutta la sua malsana soddisfazione.
Da quella persona proveniva
tutto il male che aveva avvolto la città, e anche il
vibrante potere di un
potentissimo artefatto magico.
“Non ci posso credere…”
ripeté
Cariddi.
“Mario Viverna!”
Zona
Autrice
Buon
lunedì ragazzi!
Oggi ho dato un esame e quindi non ho molta energia per scrivere cose
interessanti XD
Ne approfitto per ringraziarvi tutti, lettori e recensori, per avermi
seguito fin qui! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che non vi
abbia sconvolto troppo perché... siamo solo
all'inizio! Ahahahah.
Vi auguro una buona settimana e vi auguro anche di non trovarvi mai di
fronte una Chrona incazzata nera, perché potrebbe essere
un'esperienza poco piacevole (sì ci ho messo degli adesivi
col telefono, non me ne vogliate, sono pigra) XD
Al prossimo capitolo!
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Capitolo 24 *** Viverna! ***
Viverna!
Mario
Viverna stava cavalcando
quella che pareva un’enorme lucertola alata bianca, volando
sui tetti di Death
City come se ne fosse diventato il nuovo re. Gridava frasi
intellegibili da
quella distanza, trionfante.
Chrona aveva puntato i suoi
occhi neri contro quell’immagine e non la lasciava nemmeno un
secondo,
impietrita dallo stupore.
“Non ci posso credere… Mario
Viverna!” esclamò Cariddi ad alta voce,
col caldo vento del deserto che le
scuoteva i capelli sciolti e spettinati, facendola assomigliare a una
vera
gorgone delle leggende. Sembrava in preda al panico più
totale, condizione che
l’ammutolì impedendole di aggiungere altro.
Sid osservava anch’egli il
cielo, corrucciato, e poi si mise a parlare:
“È lassù da un quarto d’ora
circa, lo stregone, qualche minuto dopo che il cielo è
diventato nero. Non siamo
riusciti a capire da dove accidenti abbia tirato fuori quella specie di
drago e
nemmeno quali siano le sue intenzioni, ma questa maledizione proviene
da lui.”
Lo zombie sospirò, frustrato.
“… sono stato veramente cieco a
non accorgermene prima ma… è evidente che le
pietre sono state rubate da
Viverna. Era l’unico a parte gli agenti della DWMA a sapere
dov’era la chiave
della camera blindata dove le avevamo messe.”
“Il colpevole era lui, fin
dall’inizio.” Sentenziò il
secondo Kishin, sempre con gli occhi incollati
all’uomo in volo. Il suo tono di voce era gelido come una
lama di ghiaccio.
“Cosa!? – chiese Sid, allarmato –
Intendi… è stato lui a manipolare i ladri fin
dall’inizio? Ma come…?”
“Solo ora che si sta
mostrando nella sua vera natura lo riconosco. –
sillabò Chrona, osservando
l’uomo che si sbracciava in preda a una malata euforia
– Ha passato tutto
questo tempo a nascondersi, ma ho percepito la sua anima, dalla Luna,
minacciare Maka Albarn. Sono scesa appositamente per fermarlo.”
La strega, lo zombie e la sua
squadra sentirono un brivido di paura al suono di quella voce.
“L’anima di Maka è
lì, tra le
sue mani. La riconoscerei tra mille.”
“Dobbiamo fermarlo allora!”
esclamò il capo della sezione di sicurezza della DWMA,
ordinando con un gesto
del braccio alla sua squadra di estrarre le armi da fuoco. Gli uomini
si
schierarono in un lampo davanti al limite del tetto, ma prima che
potessero
puntare il bersaglio una strega sconvolta di frappose fra loro e
Viverna,
saltando sul cornicione e spalancando le braccia.
“No! – urlò Cariddi – Non
sparate!”
Gli uomini sollevarono le armi,
sorpresi. La Gorgone era sconvolta, le sofferenze che aveva subito
negli ultimi
giorni si sommavano al profondo trauma del momento, nel suo volto
pallido e
fantasmatico.
“Quel drago è Amber! La
ucciderete se fate fuoco!”
“Cosa!?” chiese Sid, scioccato.
Probabilmente non avrebbe fatto
molta differenza a Viverna se gli uomini della DWMA gli avessero
sparato prima
che lui si accorgesse di loro, pensò Chrona, ma tutte quelle
esitazioni diedero
il tempo allo stregone di notare le persone che lo fissavano dal tetto
della
scuola.
Il grosso rettile bianco si girò
verso di loro, planando nell’aria, e iniziò a
dirigersi nel punto dove si
trovavano.
“Andate a chiamare Kid!” urlò
Sid, spaventato. Un paio di uomini si staccarono dal gruppo e si
precipitarono
giù dalle scale. Cariddi saltò giù dal
muretto e si mischiò al resto della
truppa, mentre Chrona rimase in piedi a fissare lo stregone che si
avvicinava,
immobile.
Le sue percezioni le dicevano
che quell’uomo era diventato molto potente, rispetto a prima,
ma era
perfettamente consapevole che non avrebbe mai potuto opporsi al potere
del
secondo Kishin, se lei avesse deciso di sprigionarlo nella sua
interezza.
Eppure, quel folle continuava ad avvicinarsi, tronfio e sorridente,
come se
pensasse di essere onnipotente.
Chrona si chiese se si stesse
trovando a fronteggiare solo un povero pazzo o qualcosa di
più.
Le grosse ali del rettile
sbatterono in avanti per fermare la sua avanzata, quando finalmente lo
stregone
si trovò a fronteggiare i suoi avversari. Era davvero Mario
Viverna: la sua
veste nera sbandierava attorno al suo corpo eretto e i suoi lunghi
capelli
corvini erano scompigliati dal battito delle ali della sua cavalcatura.
Un
folle senso di potere rifulgeva nei suoi occhi gialli, da rettile. Ai
suoi
piedi stava accovacciata una bambina dai capelli rossi e gli occhi
spiritati:
la giovane strega Carrie Bat.
Il suo sorriso si estese
nell’osservare gli astanti sotto di lui:
“Guarda guarda! – esclamò – E
io
che pensavo che ti avessero già uccisa, Cariddi
Gorgon!”
Cariddi ammutolì a quelle parole, mentre Sid
ordinò ai suoi uomini di alzare di
nuovo le armi, con la conseguenza di scatenare
l’ilarità dello stregone.
“Sei un pazzo Viverna!” disse Chrona,
guardandolo fisso nel volto.
La ragazza demoniaca sentiva il
potere dell’uomo, avrebbe potuto sovrastarlo come niente.
Tendenzialmente, odiava
fissare negli occhi le persone, era una cosa che la metteva a disagio:
quella
persona però aveva rubato l’anima di Maka, la Maka
che le aveva salvato la vita
e aveva accettato il suo amore, quindi quello non era assolutamente il
momento
di lasciarsi andare ai timori. Non era nemmeno più un
semplice stregone, la sua
anima era degenerata in uovo di Kishin. Ai suoi occhi era solo feccia.
Viverna rise di nuovo,
nonostante l’evidente pericolo in cui si era cacciato.
“Non avete proprio capito cosa è
successo, vero, sciocchi? Aspettiamo, aspettiamo pure che arrivi il
Sommo
Shinigami! Dovrete capire tutto per bene!”
“E cosa succede se prima io ti
faccio a pezzi?” sibilò Chrona, mentre
fra le sue scapole eruttava una
cascata di sangue nero e si materializzava in Ragnarok, stretta fra le
sue
mani.
Il rettile volante scartò
all’indietro all’improvviso, evitando il secondo
Kishin che scattava in avanti
con le ali spalancate, caricando un fendente, e schivò il
colpo con una agile
capriola aerea. Chrona ritirò le ali e si avventò
contro Viverna con la spada
sguainata, ma quando la sua lama giunse a cinque centimetri dal collo
del
nemico dovette arrestarsi di colpo: l’uomo per pararsi aveva
sollevato il polso
sinistro, che era circondato da un grosso bracciale di un metallo
sconosciuto,
adornato delle cinque pietre magiche.
Da quel bracciale proveniva
l’onda dell’anima di Maka.
“Non colpirai mica l’anima della
tua amichetta, eh, Kishin?” Viverna scoppiò a
ridere e Chrona abbassò
all’istante la spada, ammutolendo.
“Cosa credi Gorgon, che non mi
fossi accorto di te? So che mi stai alle calcagna da quando sono
arrivato qui,
alla DWMA, insieme alle mie bambine…
tenace e persistente come tua
madre, sei, come un’erbaccia! Non credere che non mi fossi
preparato a te!”
Viverna concentrò le onde
anti-demone di Maka sul palmo della mano e con quelle colpì
Chrona in pieno
viso, facendola balzare all’indietro. Il secondo Kishin aveva
smesso di
difendersi. Si andò a schiantare sul tetto della DWMA,
rotolando fino ai piedi
di Cariddi, che aveva osservato tutta la scena in preda al panico
più totale.
Sid iniziò a perdere il suo
sangue freddo nel vedere il secondo Kishin maltrattato in quel modo, ma
l’attenzione di tutti fu catturata dall’arrivo di
qualcuno, che si precipitò
sul tetto con un grande corteo.
Death The Kid, accompagnato
dalla sua Falce della Morte, il suo consigliere Excalibur, il dottor
Stein,
Black*Star con Tsubaki, le sorelle Thompson e un ampio seguito di
soldati,
arrivò correndo sul luogo del misfatto, arrestandosi di
fronte al cornicione.
Si erano precipitati là lasciando l’ospedale, dove
era in degenza il corpo
vuoto di Maka Albarn.
“Sommo Shinigami…” mormorò
Sid, quasi
come una richiesta d’aiuto.
Kid squadrò lo stregone che
volava davanti a lui, torvo, e finalmente tutto fu chiaro.
“Eri tu! – urlò lo Shinigami,
indicandolo – Fin dall’inizio!”
Viverna sorrise sornione, dominandoli
dalla sua posizione elevata. Allargò le braccia, quasi come
se stesse per
mettere in scena un grande spettacolo.
“Shinigami!
Finalmente eccoti
qui, Dio di questo mondo! Con queste parole io ti depongo, e prendo il
tuo
posto di Dominatore supremo!
Non c’è nulla che potete fare
per impedirmelo! Sono onnipotente adesso!”
Viverna delirava, e Kid
trattenne i soldati dal fare fuoco. Si avvicinò a Chrona,
ancora riversa a
terra, e le tese una mano.
“Cosa diavolo ti fa pensare che
ti lasceremo fare quello che ti pare!?” rispose il Sommo
Shinigami, mentre con
la sua mente fina tentava di analizzare la situazione.
“Il mio è un piano perfetto, e
ormai che ho costruito l’artefatto non potrete più
fermarmi. – rispose lo
stregone – Lascia che ti illustri come sono riuscito a
prendere possesso di
questo potere, perché tu possa capire!”
“Ti ascolto.” Kid si fece
passare un braccio del secondo Kishin attorno alla spalla e la
sollevò,
sostenendola: lei però sembrava caduta in uno stato di
sconforto irrecuperabile.
“Come avrete già capito tutti –
esordì Viverna – il mio obiettivo era quello di
acquistare il potere di
nascosto, nascondendo la mia identità fino
all’ultimo. Sono stato io a
organizzare il progetto sperimentale delle studentesse streghe, io
ho
fatto in modo di avvicinare me stesso, le mie bambine e quella codarda
di Cariddi
Gorgon al mio bersaglio finale, Maka Albarn! –
Viverna sollevò il polso
ornato dal bracciale, gongolante – Questa piccola puttana
finalmente ha quello
che si merita. Sono stato sempre io ad architettare
i furti, io ho
fatto in modo che quei deficienti che manipolavo facessero tutto quello
che
volevo, grazie ai poteri grezzi di Carrie e Amber! La mia
specialità è il
controllo mentale, e loro mi hanno servito a dovere!”
“Mostro! Usare così due bambine!”
gli gridò contro Tsubaki, scandalizzata.
“Con gli straordinari poteri
telecinetici e telepatici di Carrie ho potuto manipolare le menti delle
mie
vittime e con le trasfigurazioni di Amber ho fatto in modo di sparire
sempre al
momento giusto! Sommo Shinigami, è stata opera della follia
latente di Carrie
il veleno che ti ho somministrato a Milano, facendoti accoltellare da
quel
funzionario. Non era geniale? Eri molle come un mollusco, potevo farti
credere
quello che volevo!”
Kid digrignò i denti, sorreggendo
sempre il peso morto di Chrona.
“È stato facile, per te, far
ricadere le accuse sul secondo Kishin!” esclamò.
“Sì, ma ammetto che quella
stupida ha fatto tutto da sola. – rispose lo stregone,
incrociando le braccia e
adombrandosi di un’aura di perfidia – In
realtà, il mio vero piano non era far accusare
il Demone, anche se mi è stata molto comoda. Io, miravo a
far ammazzare Cariddi
Gorgon.”
La strega ammutolì tremando
mentre gli occhi gialli e crudeli dello stregone vertevano su di lei.
“Questo piano perfetto è stato
costruito per avere due risultati: il primo è
l’acquisizione del potere, il
secondo, l’eliminazione di quella codarda!”
Cariddi trovò il coraggio di
opporsi a tanta malignità e gli chiese, alzando la voce:
“Cosa cavolo vuoi da
me!? Si può sapere cosa ti ho fatto?”
La fronte di Viverna si ricoprì
di rughe mentre si contraeva in una smorfia di rabbia:
“Cosa mi hai fatto? Cosa mi hai fatto!?
Avevi il mondo in mano, e l’hai
buttato alle ortiche! Sei la vergogna della tua stirpe!
Circe…Circe ti aveva
tramandato tutte le sue arti più segrete, e tu non hai fatto
nulla per farle
fruttare! Venti anni fa… tu, tu progettasti questo manufatto
magico! – lo
stregone agitò per aria il polso con il bracciale
– Ma poi lo abbandonasti, uno
strumento così potente!”
Cariddi fece una smorfia e
rispose: “Si può sapere cosa ti importa di quello
che faccio o non faccio?
Questi sono solo affari miei!”
Viverna si incupì: “Non sono
solo affari tuoi, stupida. Solo che non lo sai. Non sai niente, ed
è per questo
che necessiti di morire. Il sapere di Circe non doveva finire in mano
ad una
inetta come te, la sua eredità sarebbe dovuta andare al suo primogenito.”
“Primogenito!? Ma io non ho…”
Cariddi si interruppe a metà frase, a bocca aperta, mentre
iniziava a capire le
parole di Viverna. Kid sgranò gli occhi, mentre gli altri
cercavano di
comprendere la situazione.
“Già! – urlò lo stregone,
infuriato – Primogenito! Pensa quanto
possono essere infami le streghe!
Non posso nemmeno portare il cognome della mia stirpe, e sai
perché?”
Cariddi rimase a bocca aperta,
incredula.
“Perché io non sono una strega!
Sono nato uomo! Sono stato rinnegato persino da mia
madre e dalle mie
parenti solo per questo piccolo, scomodo particolare. Sì, anche
io sono
figlio di Circe Gorgon, anzi: sono nato duecento
anni prima di te! Il
suo sapere doveva essere tramandato a me! E invece no: Circe ha
preferito
prolificare una seconda volta, per avere una strega vera, una donna, di
cui
poter essere orgogliosa! Io non ero altro che lo scarto da dimenticare,
che si
è dovuto accontentare di un nome falso, che non è
mai stato considerato!”
“Cariddi e Mario Viverna sono
fratelli!?” realizzò Patti
all’improvviso, mentre i due si squadravano con
odio.
“…sembrerebbe di sì. - Rispose
Kid, mentre un quadro della faccenda finalmente si formava nella sua
mente. – E
tu, Viverna, hai organizzato tutto questo per vendicarti su tua sorella
minore?
Mi sembra piuttosto infantile, sai, per un uomo di più di
duecento anni!”
“È inutile che ti poni dei
problemi, Shinigami! – gli rispose Viverna sarcastico
– Tanto ormai è troppo
tardi per voi. Il mio piano geniale si è già
compiuto.”
“Cazzate.”
Chrona si risollevò, aiutata da
Kid: sembrava aver finalmente trovato una via per uscire dal suo muto
sconforto. La sua voce era acida e cattiva.
“Puoi lamentarti quanto vuoi di
essere nato uomo, ma non penso che Circe ti abbia ignorato
così per questo
motivo. È perché sei patetico.”
Viverna ammutolì di rabbia.
“È stata Cariddi a progettare
quell’artefatto, non tu. – continuò il
Secondo Kishin – E poi, anche per
arrivare fino a questo punto, sei stato costretto a usare i poteri di altri,
di due streghe bambine. Il tuo unico merito è
stato quello di aver
covato rancore in silenzio per duecento anni per poi uscirtene con
questo
stupido piano che non avresti mai potuto creare da solo. Cariddi
avrebbe potuto
conquistare il mondo, sì, e a scelto di non farlo. Tu invece
no. Sei solo un
profittatore lagnoso.”
Viverna sembrò impazzire di
rabbia: “Ha parlato proprio lei!
L’imbarazzante, inutilissima,
fallimentare cavia da laboratorio di Medusa! Nata
umana! Che vergogna!
Dovresti solo startene zitta!”
“Uuuh, brucia.” Commentò Liz
senza farsi udire da nessuno.
“Sarò anche quello che sono, –
rispose Chrona – ma ho sempre cercato il potere contando
sulle mie forze. Non
striscio come te.”
Viverna dette una pacca sul
collo lungo e squamoso di Amber, trasformata in drago, spingendola a
risollevarsi verso il cielo.
“In ogni caso ora sarò io il
nuovo re. Dì pure tutto quello che vuoi Kishin,
vedrai quello che vi
aspetta. Con l’anima di Maka Albarn vi piegherò
tutti come mosche.”
Si allontanò prendendo quota, e
Chrona non lo seguì. Rimase lì in piedi accanto
al Sommo Shinigami, stringendo
i denti e trattenendo le lacrime, che minacciavano di scappare dietro a
quel
muro bruciante di rabbia.
I
cittadini di Death City erano
usciti tutti dalle proprie case non appena avevano udito le prime
esplosioni. I
mattoni volavano per le vie correndo il rischio di ferire qualcuno.
Era da quando era resuscitato il
primo Kishin Ashura che la città non subiva un attacco del
genere: fontane,
insegne, lampioni, crocevia stavano saltando in aria uno dopo
l’altro sotto a
quel cielo nero, lasciandosi dietro solo macerie. Era il simbolo di
Shinigami,
la maschera della Morte, che veniva cancellato da ogni angolo in cui
compariva,
anche come semplice decorazione, da detonazioni improvvise. Una piccola
streghetta dai capelli rossi correva per le vie generando tutta quella
distruzione, seguita in volo da uno strano drago bianco cavalcato da un
alto
stregone nero, che declamava la fine del regno di Shinigami.
La gente usciva dalle porte e
faceva capannello a quello strano spettacolo: qualcuno tentò
di opporsi a tale
vandalismo, ma veniva regolarmente scagliato via da un colpo di coda
del rettile
alato. Lo stregone era Mario Viverna, uno di quelli che erano arrivati
alla
DWMA il mese prima.
“Sono io il vostro nuovo capo! –
urlava – Prostratevi!”
Un folto gruppo di cittadini si
fece trovare sulla sua via, cercando di porre fine a quella follia: a
nulla
valsero i loro tentativi di resistenza, perché la piccola
strega fece saltare
in aria con la sua telecinesi la strada che avevano sotto ai piedi.
I soldati del Sommo Shinigami
inseguivano il piccolo gruppo, ma potevano fare ben poco, oltre a far
evacuare
la popolazione, poiché Viverna sembrava davvero diventato
invulnerabile:
l’anima di Maka Albarn racchiusa nel suo bracciale emanava
onde protettive,
schermandolo da qualsiasi attacco. Inoltre, gli armati non potevano
mirare al
drago o a Carrie perché rischiavano di ucciderle,
cosicché la potenza di fuoco
era drasticamente ridotta. Viverna continuava a invitare la gente a
uscire di
casa e a distruggere tutte le insegne di Death the Kid, facendo il giro
della
città.
Quando la pulizia delle effigi
fu terminata, iniziò a importunare la gente facendo saltare
in aria le porte di
casa.
L’intervento della polizia
continuava a essere inutile.
Sulla
mano fredda di Maka era
comparso uno strano livido, bluastro, che ricordava molto la forma di
un
pentacolo rovesciato. Era con quell’incantesimo che Viverna
doveva aver
estratto l’anima di Maka – pensò Chrona
-, forse toccandola senza che lei se ne
accorgesse. O forse, più probabilmente conoscendo il
soggetto, era stata Carrie
Bat a compiere il maleficio, avvicinandosi alla sua maestra di scuola
quando
lei era andata a trovarla in classe. Sì, doveva essere
andata così.
La saletta di ospedale era
tranquilla, ma Kid non smetteva per un secondo di parlare sul suo
telefono che
si era fatto portare apposta dallo studio fino a lì. Chrona
non se ne sentiva
disturbata, anzi: aveva apprezzato molto il gesto dello shinigami di
volerle
restare accanto a tutti i costi, ma purtroppo la situazione in
città degenerava
e il preside della DWMA doveva esserne costantemente aggiornato.
Aveva chiesto lei di potersene
restare lì. La presenza del corpo di Maka riusciva a farle
mantenere lucidità
nel ragionamento – proprietà che le pareva mancare
insieme all’ossigeno, quando
non poteva vedere almeno il suo volto addormentato. Alla fine era
successo: la
presenza minacciosa, Mario Viverna, era riuscito a portarle via la sua
adorata
ragazza. Non tutto era perduto, ovvio – vedeva solo un
baratro di morte, se
così non fosse stato – ma per il momento la
situazione era gravissima: per
quanto si arrovellassero, non riuscivano a escogitare un piano che
potesse
salvare tutti quanti.
Fosse stato per lei si sarebbe
lanciata all’istante al salvataggio, se ne avesse avuto la
facoltà, ma c’erano
due grossi problemi: primo, l’anima di Maka era una grigory
dalle
potenti onde anti-demone, che Viverna non si faceva problemi a usare
contro il
Demone, Chrona. La figlia della strega sentiva ancora i postumi
dell’attacco
che l’aveva colpita, sul tetto della scuola.
Secondo: Viverna minacciava di
ucciderla del tutto se lei si avvicinava troppo. Chrona ci aveva
pensato, e non
le sembrava molto furbo da parte di Viverna distruggere la sua unica
fonte di
potere, ma evidentemente avrebbe preferito quello a una morte certa.
Forse
bluffava, ma lei non sarebbe mai stata disposta a correre il rischio.
O, forse, c’era qualche altro
motivo…
Dopotutto,
il padre di Maka ha ucciso Circe Gorgon, non sarebbe una cosa strana se
Mario
la desiderasse morta per davvero.
Oppure
chissà, magari non è così stupido come
sembra e non ci ha detto tutto.
Magari…
La chiamata
di Kid la richiamò dai suoi pensieri.
“Merda! –
disse, trasecolando – Ha iniziato a uccidere!”
Zona
Autrice
Buon lunedì a tutti!
...eccoci qui a un
capitolo un po' spiegone, spero che lo abbiate apprezzato lo stesso XD.
Come
curiosità, vi confido che la scelta di rendere Mario e
Cariddi fratelli è giunta molto tardi nel corso della
stesura dell'opera: in effetti, le azioni di Viverna non avrebbero
avuto un movente abbastanza convincente se non fosse stato
così... inoltre volete mettere il colpo di scena? Ahahahah!
Ringrazio tutti voi che
mi avete seguito fin qui!
- vi lascio per una
volta senza foto, non ne ho trovata nessuna appropriata -
A lunedì
prossimo!
|
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Capitolo 25 *** Losing hope. ***
Losing
hope.
“Non
c’è
tempo di stare a far progetti, dobbiamo almeno fermarlo, anche se non
riusciamo
a catturarlo! Forza, in piedi!”
Chrona fissò
il Sommo Shinigami trasognata, tenendo fra le sue mani una di quelle
inerti di
Maka. Il tono del dio della morte somigliava molto più a un
ordine perentorio
che una esortazione. Capì all’istante che era
meglio non discutere.
Si alzò in un
attimo e lanciò un ultimo sguardo a Maka, prima di lanciarsi
fuori dalla
finestra in volo dietro al Sommo Shinigami, che sfrecciò sui
tetti seguendo con
lo sguardo all’orizzonte le tracce di fumo, pericolosamente
vicine al centro.
“Che succede?”
chiese il Secondo Kishin affiancandolo con un colpo d’ala.
“Le case –
rispose Kid, con una piattezza velata di disperazione –
adesso mira alle case.
Con la gente dentro. L’evacuazione è iniziata da
troppo poco tempo. Dobbiamo
impedirgli di attentare alle vite dei cittadini. Aiutami.”
“Sì.” Rispose
Chrona, ma la sua voce vacillò nei turbinii di dubbi e
incertezze che ancora le
riempivano la mente.
“A cosa
pensi?”
“Viverna o è
scemo o ci ha taciuto qualcosa. Minaccia di distruggere
l’anima di Maka, ma cosa
mi impedirebbe di ucciderlo in modo orribile, dopo? Perderebbe la
protezione e
i poteri dell’anima grigory.
Dev’esserci qualcos’altro, non può
essere
solo un bluff.”
Kid non fece
in tempo a rispondere perché, nel frattempo, erano giunti
sopra a un vasto cratere
di cemento e calcinacci che affondava fra due abitazioni contigue,
punteggiato
da tubi rotti e mattoni. C’era un condominio lì,
prima, per quanto ricordava
Kid. Soul Eater comparve tra le fila di soldati che già
presidiavano il luogo,
sbracciandosi per farsi notare.
“Di là! –
urlò, indicando una direzione con il braccio, prima di
trasformarsi in falce
tra le mani del Dio della Morte – Sono andati in quella
direzione! È la
streghetta Carrie che fa saltare in aria i palazzi, dobbiamo catturare
almeno lei!”
“Muoviamoci
allora.”
I soldati
inneggiarono esaltati alla loro partenza, rinfrancati dalla vista del
dio che
li proteggeva. Chrona pensò che doveva essere una bella
sensazione essere amati
da così tante persone, ma ebbe pochissimo tempo per finire
il suo ragionamento,
perché l’anima sgraziata e negativa di Viverna le
si presentò subito davanti,
come un tornado portatore di caos. Incontrarono lo stregone a pochi
isolati di
distanza, sempre a cavallo della strega Amber Sushi trasformata in
drago e
Carrie Bat che lo accompagnava, in piedi sul selciato poco distate. La
streghetta aveva le mani sollevate verso l’alto e pareva in
procinto di stare
per compiere un incantesimo molto pericoloso, quindi Kid si
lanciò contro di
lei in volo e la colpì con il manico della Falce della
Morte, travolgendola e
mandandola a gambe all’aria. Chrona vide i suoi occhi
sgranati e vuoti mentre
tentava di rialzarsi, e fu completamente certa che fosse posseduta
dalla
volontà di Viverna fino alle più profonde pieghe
della sua anima. Kid la
afferrò per le braccia nel tentativo di catturarla senza
farle male, ma uno
schianto improvviso lo allontanò da lei come se la piccola
si fosse fatta
saltare in aria: era la sua telecinesi distruttiva. Lo stregone
scoppiò a
ridere a quella scena, a cui aveva assistito senza nemmeno alzare un
dito.
“Guarda chi è
arrivato, il Dio della Morte! Insieme alla cavia di Medusa, bene! Che
volete
fare, uccidermi?”
C’era gente
che correva per le strade con borse e figli in braccio, spaventatissima
per la
scena che si stava svolgendo nella via, e faceva ala agli avversari
creando una
sorta di strana arena vuota in mezzo alla strada.
Kid imbracciò
la falce minaccioso e Chrona atterrò di fianco a lui con gli
occhi duri come la
pietra. Sentiva l’anima di Maka, da lì, quasi
soffocata da quella negativa di
Viverna, ed era… più debole!?
“Se siete
venuti per arrendervi del tutto a me, posso solo esserne
felice.” Sghignazzò il
loro nemico, mentre Carrie tornava a mettersi in posizione
d’attacco, in piedi
con le manine sollevate. Chrona si sentì per un momento
mancare il terreno
sotto ai piedi, non riuscendo a escogitare nemmeno una via per vincere
quello
scontro: “Che stai facendo all’anima di Maka!?
– urlò – Si sta dissolvendo!”
Kid si
accigliò a quelle parole, e Viverna parve piuttosto
contrariato: “È un vero
peccato che te ne sia accorta, speravo di poterti tenere tranquilla
ancora per
un bel po’, con la scusa che se facevi la bambina cattiva
uccidevo la tua
amica…ma mi sa che ormai è inutile dire bugie.
Sto assorbendo l’anima di Maka
Albarn, risucchiandole tutta la sua forza vitale, in modo da trasferire
i suoi
fantastici poteri da questo bracciale a me. Morirà in ogni
caso, che tu lo
voglia o no, prima di domani.”
Chrona sentì
il suo cuore fermarsi.
“…sai,
speravo di riuscire a piegare i cittadini di questa città al
mio dominio mentre
ancora avevo una possibilità per ricattarvi, ma temo che non
sarebbe stato
possibile in ogni caso. Qui se ne stanno andando tutti, nessuno mi da
retta.”
“Maledetto
bastardo!” gridò Soul fuori di
sé dalla rabbia, nello stesso momento in cui
Carrie concentrava nelle sue manine un’energia incontenibile.
“…purtroppo
c’è stato il bisogno di misure
drastiche.” Finì di dire Viverna, mentre il
palazzo che aveva alle spalle saltava in aria, con tutta la gente che
c’era ancora
dentro.
Una
buona metà delle persone che stavano dentro al palazzo che
abbiamo di fronte
muoiono.
Le
sento sparire all’istante insieme al tuono
dell’esplosione. Sono abituata a
vedere le persone morire, ma questo non è giusto comunque,
non è giusto. Anche
perché mi rendo conto che, presto, Maka le
raggiungerà. Non riesco a muovere le
gambe, vorrei camminare in avanti e seguire Kid che si è
precipitato a tirare
fuori dalle macerie i sopravvissuti, ma non ci riesco, è
come se i miei muscoli
si fossero ricoperti di cemento a presa rapida. Si è
bloccato anche il respiro.
E anche i miei pensieri. Ah, no, una cosa la sto pensando.
“Devo
salvare Maka. Adesso, prima che sia troppo tardi.”
Kid
e Soul stanno facendo avanti e indietro dai muri distrutti portando al
sicuro
le persone, aiutati da un paio di soldati che ci hanno appena
raggiunti, quindi
non possono avermi sentita parlare. Viverna però, quello
stupido pezzo di
merda, lui ha intercettato le mie parole.
“Vieni
allora, Demone, così mi risolvo il problema e ti ammazzo
subito.”
Mi
lancio contro di lui mordendomi le vene dei polsi, e sento il sapore
caldo e
ferroso del sangue inondarmi i denti. Non userò la spada
questa volta,
nell’attimo in cui mi sono messa in azione la mia mente si
è schiarita come se
una ventata di aria gelida avesse fatto volare via tutte le incertezze,
e ho
capito che contro quest’avversario le armi da taglio non sono
l’idea migliore.
Lo soffocherò col mio sangue. E poi me lo
mangerò.
Il
drago Amber impenna in avanti nel tentativo di proteggere il suo
cavaliere e
farsi avvolgere dal mio sangue al posto suo, ma è inutile:
io li voglio
entrambi. Sento Viverna dibattersi nei tentacoli neri che in un secondo
lo
avvolgono ma è inutile, perché in un attimo ne
è completamene immerso. La sua
coscienza vacilla mentre lo stritolo nei rovi della mia follia, e sputo
fuori
la povera Amber: la sento trasfigurarsi nella sua forma normale di
delicata
strega bambina, perché pur essendo soggetta
all’incantesimo dello stregone resta
una vittima anche lei. Torno a concentrarmi sul mio nemico, e incontro
una
resistenza notevole.
“Ahahah,
speri di farmi impazzire, Demone?”
La
sua anima sarà anche un degradato uovo di Kishin, ma devo
ammettere che la
stoffa del sangue Gorgon non gli manca: ormai la mia
oscurità ci immerge
completamente e se fosse stato una persona normale sarebbe
già sotto il mio
potere, se non addirittura fuso al sangue.
“Non
sarei così allegro se fossi in te – lo provoco,
infastidita dal suo
atteggiamento spavaldo – ho assorbito avversari peggiori di
te. Come un
soggettino di nome Ashura, ad esempio.”
Stringo
la presa e lo sento soffocare, ma nonostante tutto continua a
resistere. È
inutile che continui così, fra poco si sarà
dissolto, e potrò recuperare il suo
bracciale con l’anima di Maka.
“Come
se non sapessi che puoi divorarmi, stupida – afferma,
faticosamente – mi stai
proprio sottovalutando.”
È
a questo punto che percepisco qualcosa che mi gela le vene:
l’anima di Maka
inizia a divenire sempre più debole, a dissolversi nel
buio… la sta assorbendo
tutta in una volta!
“…se
sforzo così il processo ci metterà più
tempo a perdere coscienza di se stessa,
ma sarà legata a me! La assorbirò come tu hai
fatto con Ashura, e se proverai a
distruggere me anche lei morirà!”
Terrorizzata
ritiro il contatto, rigettandolo fuori: all’improvviso ci
ritroviamo in piedi
uno di fronte all’altro, sull’asfalto sporco di
nero della strada, con un
capannello di persone che ci fissano. Kid ora è alle prese
con Carrie Bat, ma
si fermano entrambi a guardarci perché si rendono conto che
qualcosa è
cambiato. Viverna ridendo come un pazzo si strappa il bracciale
metallico dal
polso, ormai inutile, e lo lancia ai miei piedi.
“Che
diavolo è successo!? – urla Kid – Che
è successo all’anima di Maka!?”
Non
ho nemmeno la forza per rispondere.
Pochi minuti prima, due giovani studenti stavano
correndo per le vie
centrali di Death City, prendendo a spallate la folla che ormai si
riversava in
fuga per le strade procedendo in senso contrario al loro. Uno era un
maestro
della classe Crescent Moon, l’altro un’ arma
– un martello – proveniente dalla
sezione NOT. Avevano da poco saputo di quello che era successo alle
loro due
piccole partner streghe, del fatto che il loro tutore non aveva fatto
altro che
usarle per tutto il tempo, e che erano state accompagnate alla DWMA
unicamente
per poter servire da strumento al sordido Viverna. Correvano come
pazzi, fino a
che giunsero nel punto da cui partivano le colonne di fumo, visibili da
ogni
angolo della città, e rimasero bloccati dallo spavento: il
centro della strada
era occupato da una enorme massa nera che emanava follia e
oscurità, che li
colpì in pieno compromettendo la loro capacità di
pensare lucidamente. Il Sommo
Shinigami, invece, stava combattendo contro Carrie Bat a suon di
incantesimi di
detonazione. Il ragazzino-martello, riconoscendo la sua partner che
sfidava il
preside della scuola, rimase immobile e con gli occhi sgranati dalla
costernazione.
“Do…dovrei andare ad aiutarla, Em-Ni?”
“Non dire idiozie! Ma non lo vedi che è
posseduta!? Aiuta il Sommo
Shinigami piuttosto!”
Il ragazzino cicciottello se ne rimase lì a tremare
paralizzato dalla
paura, mentre il suo compagno lo trapassava da parte a parte con lo
sguardo.
“No, non posso… sono solo un’arma
io.”
“Lo farò io allora. Dov’è
Amber?”
Em-Ni esaminò il terreno ma non vide traccia della sua arma.
Fece molta
fatica a tenere lo sguardo fisso sulla massa di sangue nero e
ribollente che si
agitava proprio davanti a lui: dedusse che doveva trattarsi del Kishin
che
aveva a che fare con Viverna, le sue onde di follia erano molto
riconoscibili. All’improvviso
il corpicino di Amber, avvolto nel suo abito candido, emerse dal sangue
e andò
a cadere sull’asfalto, privo di sensi. Il suo maestro si
lanciò da lei,
circondandola con le braccia per proteggerla da quell’incubo
incarnato; vederla
in quello stato miserabile, con gli occhi cerchiati di nero e
un’espressione di
vaga sofferenza sul volto, gli fece male al cuore. Si
affrettò a portarla al
riparo dal campo di scontro, in mezzo alla gente, vicino a dove stava
il loro
amico martello.
“Amber, Amber dai rispondi per favore, svegliati!”
La streghetta stropicciò gli occhi e poi li
spalancò, come due grosse
finestre azzurre, e sorrise debolmente alla vista del suo maestro che
la
guardava preoccupato.
“Ciao Em-Ni…che succede? Dove sono?”
“Non… non ricordi nulla?”
“Io…”
Amber si sollevò seduta, sempre sorretta dal ragazzo, e si
guardò
intorno.
“…ricordo che c’era Mario, che ha detto
che dovevo fargli un favore. E
poi più nulla…mi è entrato nella
testa. Mi aveva promesso che non lo avrebbe
fatto mai più, erano anni che non lo
faceva…”
I suoi occhi azzurri si riempirono di lacrime e il suo maestro la
abbracciò, tenendola stretta.
“…ho paura che mi abbia fatto fare cose
brutte…ma aveva promesso che
non le avremmo fatte mai più, che saremmo andate a
scuola…anche Carrie…è ancora
nella testa di Carrie…”
Qualcosa in mezzo alla strada, all’improvviso,
attirò la loro
attenzione, bloccando anche il combattimento del Sommo Shinigami: la
concrezione
di sangue nero si dissolse liberando due corpi ricoperti di
oscurità che si
fronteggiavano: Mario Viverna e Chrona Gorgon, con le ali sfilacciate
che si
srotolavano al vento e un’espressione di pura perdizione
stampata nel volto.
Amber singhiozzò e Em-ni rabbrividì,
perché erano entrambi allenati abbastanza
bene da capire perfettamente quello che era appena successo.
“L’anima della professoressa Maka… non
c’è più!” esclamò
terrorizzata
la streghetta. Il suo maestro si limitò a stringerla a
sé più forte, in
silenzio.
Rimasero a guardare lo stregone liberarsi del suo bracciale e il Sommo
Shinigami chiedere spiegazioni ad alta voce, sentendo le loro speranze
farsi
sempre più deboli. Sicuramente le due divinità
che stavano combattendo contro
Viverna, il signor Death the Kid e Chrona, avrebbero reagito. Avrebbero
salvato
la loro professoressa e la loro città. E invece no, erano
come paralizzati.
Kid stringeva i denti dalla frustrazione mentre il Kishin sembrava
reggersi in piedi a fatica, da tanto le tremavano le gambe. Em-ni
trovava tutto
ciò inconcepibile.
“Dobbiamo fare qualcosa Amber, o il tuo tutore e Carrie
finiranno per
metterli fuori gioco! Dobbiamo salvare la professoressa!”
sibilò il giovane
maestro, trovando quella mancanza di iniziativa dei suoi superiori
parecchio
irritante.
Amber il tutta risposta avviò la metamorfosi, prendendo la
forma
dell’arma più distruttiva che era riuscita ad
imparare: un lanciamissili. Il
suo maestro le lanciò uno sguardo di approvazione e se la
caricò su una spalla,
sussurrando al ragazzino martello di rimanersene nascosto tra la gente.
Avrebbero colpito Viverna prima che potesse fare altri danni, e gli
avrebbero
fatto abbastanza male da impedirgli di reagire quando i più
grandi lo avrebbero
catturato.
Avvenne tutto in un attimo: Em-ni si erse sull’asfalto con
Amber pronta
a sparare; il Sommo Shinigami si voltò verso di lui
allungando in avanti la
mano, come se volesse fermarlo; il Kishin lo fissò con i
suoi occhi vuoti
gridando un disperato “no!”; Viverna lo
intercettò in un attimo, e fece un
cenno come per impartire un ordine a qualcuno; Carrie si
piazzò in piedi di
fronte al suo dominatore.
Il colpo partì e prese in pieno il corpo di Carrie, che
esplose con una
detonazione istantanea di luce che accecò tutti i presenti,
scagliando Amber e
il suo maestro all’indietro per il rinculo e facendo sparire
dalla vista la
strada con tutti i suoi occupanti. Se qualcuno urlò non si
sentì, perché il
tuono del colpo era stato troppo forte.
Presto fu tutto finito.
Em-ni fu svegliato da qualcuno che lo riscuoteva, facendogli strofinare
la testa contro l’asfalto ruvido; aprì gli occhi e
trovò il Sommo Shinigami che
incombeva su di lui, preoccupato. Gli fece strano trovarsi a pensare,
completamente a caso, che il capo di tutta la loro città
avesse soltanto un
anno più di lui.
“Ehi – disse Death the Kid premurosamente
– stai bene ragazzo?”
“Penso di sì.” rispose il maestro,
cercando subito con gli occhi la sua
piccola arma e trovandola in un secondo, con sommo sollievo, seduta
accanto a
lui. Anche il preside si rilassò: “Bene.
– disse, sforzandosi di sorridere –
Sei stato coraggioso, sai? Forse un po’ troppo avventato, ma
coraggioso. Per
fortuna non ti sei fatto nulla.”
Il maestro si guardò intorno, preoccupato da quelle parole,
e lo scenario
che vide attorno a sé lo mise in parecchia agitazione: la
gente che assisteva
allo scontro era scappata via, e rimanevano solamente lui, Amber, il
Sommo
Shinigami, Soul Eater e il Kishin, inginocchiata a terra col bracciale
di
Viverna fra le mani. In un angolo, in lacrime, scorse anche il suo
amico
martello. Poi niente altro, se non un alone nero a sporcare la strada
dove era
esploso il colpo di Amber.
“Viverna è scappato?”
“Sì. Purtroppo non siamo riusciti a seguirlo
nell’esplosione.”
“Ma pensavo di averlo…”
“Ha usato Carrie come scudo. – si intromise Soul
Eater, cupo, in piedi
di fianco a loro – Purtroppo il colpo l’ha preso
lei. Ed è…”
Amber scoppiò in un mare di lacrime. Em-ni la strinse a
sé, sentendosi
invadere dalla costernazione anche lui, e da un indefinito e insidioso
senso di
colpa.
“È un disastro.” Mormorò
Chrona Gorgon, stringendo il freddo metallo
del bracciale fra le dita.
Zona
Autrice
Buon lunedì a tutti
ragazzi!
Che la gioia e il buonumore siano con tutti voi!
*guarda il capitolo che ha appena pubblicato*
*lol*
Qui ho scelto di dare un po' di spazio anche ai nuovi personaggi che ho
introdotto, in particolar modo a Amber e a Em - ni: come ho scritto da
qualche parte in qualche capitolo precedente, quei due sono una
citazione ad una certa coppia di personaggi che qualcuno potrebbe
conoscere. In ogni caso, mi faceva molto brutto non dargli almeno
qualche scena un po' importante. Oh, sì, dai, ve lo do un
indizio per capire da dove arrivano: *khem khem*
Pokémon.
Primo film.
Scene censurate in Europa perché se no i bimbi piangono.
Ahahahah okay, siamo tornati nel mood. Come diavolo andrà a
finire 'sto casino? Ma soprattutto, quanta gente ancora deve morire?
Sono forse io Martin sotto mentite spoglie???
Lo scopriremo lunedì prossimo!
Bye! <3
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Capitolo 26 *** Bleeding sun. ***
Bleeding
sun.
“… purtroppo non
c’è nient’altro da fare.”
Quella frase aleggiò funerea per qualche secondo,
nell’ampio spazio
azzurro della Stanza della Morte, e lasciò dietro di
sé echi che nessuno osò
profanare.
Si stava tenendo un vero e proprio consiglio di guerra, alla DWMA,
poiché la situazione risultava disperata diverso parecchi
punti di vista. Erano
presenti tutti i professori, Excalibur, i ragazzi che avevano composto
la
vecchia squadra di Maka Albarn, la strega Cariddi e, ovviamente, Chrona
Gorgon.
Il discorso che stavano sostenendo non piaceva a nessuno, in particolar
modo
quell’ultima frase pronunciata da Kid: era carica di
sconforto, di fatale
perdita di speranza. Persino Black*Star – presente con il suo
braccio ben
ingessato – non ebbe il coraggio di replicare come avrebbe
fatto al suo solito.
Erano ore che discutevano la situazione, e quella sembrava essere
l’unica via
d’uscita possibile.
Chrona non aveva aperto bocca durante tutta la riunione. Si sentiva a
disagio, profondamente, con ogni fibra del suo essere: se fosse stato
per lei,
sarebbe tornata subito al capezzale di Maka, e magari avrebbe
affrontato la
disperazione da sola, cercando di trovare un modo per non impazzire del
tutto,
e magari far sparire Viverna dalla faccia della terra nel modo
più doloroso
possibile. Invece no, era lì in mezzo a tutte quelle
persone, e le sembrava che
ciascuno la guardasse di sbieco, come per sondare la sua anima, per
leggerle
dentro e compatirla. Era una cosa che la umiliava.
Era stato deciso che Viverna sarebbe stato catturato morto,
indipendentemente dal fatto che l’anima di Maka fosse stata
ingoiata da quella
dello stregone. Chrona non aveva obiettato.
Purtroppo era la terribile verità: non
c’era nient’altro da fare.
“È una decisione orribile, lo so, –
stava dicendo Kid, serio – ma
dobbiamo deciderci a sacrificare qualcuno. Viverna al momento si
è ritirato, ma
prima che gli studenti Amber ed Em-ni lo spaventassero col loro attacco
è
riuscito a uccidere più di venti persone, per non parlare
dell’orribile fine
che ha fatto la povera Carrie Bat.”
Em-ni era presente, solo – Amber e il ragazzino martello
erano in
infermeria a riprendersi -, e indurì i sottili occhi viola
scuro per nascondere
il rimorso. Era stato Kid a volerlo lì, probabilmente
perché lo considerava
abbastanza maturo e abile per avere una voce in capitolo.
“Perdere Maka Albarn è una tragedia inconcepibile
per tutti noi, –
continuò il Sommo Shinigami con voce tremante – ma
se non uccidiamo Viverna
subito potrebbero morire molte più persone. E purtroppo,
nessuna vita singola
può valere più di quella di tante
altre.”
Menzogna, Maka vale mille
volte più di tutti i cittadini di Death City messi insieme pensò Chrona tra sé e
sé, ma se ne rimase in
silenzio perché era ben consapevole che quel pensiero era
parecchio egoista.
Cariddi Gorgon singhiozzò e dichiarò, sconsolata:
“È tutta colpa mia…
mi dispiace. Mio fratello ha fatto tutto questo solo perché
avrebbe voluto
essere al mio posto.”
La strega era seduta vicino a Chrona, e quelle parole turbarono
parecchio il Demone: “Non è vero, – le
mormorò a mezza voce – lui voleva solo
sentirsi più potente di quello che è veramente,
hai solo avuto la sfortuna di
essergli parente.”
Excalibur aveva sentito solo le ultime parole di Cariddi, e di
conseguenza esclamò, a voce troppo alta: “La
strega ha ragione! Viverna ha
fatto capire di volerla morta, quindi per organizzare un piano
d’azione
possiamo usarla come esca!”
L’idea di passare al progetto di un piano d’azione
turbò l’animo di
tutti, ma nel loro intimo sapevano che sarebbe arrivato il momento di
parlarne.
“Va bene – disse Stein, che aveva lasciato Marie e
FJ al sicuro a casa
– mi sembra un buon inizio. Non dimentichiamoci che Viverna
non è stupido, avrà
capito che nel nostro prossimo attacco mireremo a ucciderlo senza
scrupoli,
visto che per Maka non c’è più speranza
ora che l’ha assorbita.”
No,
non dirlo testa-avvitata. Non dirlo neanche per scherzo.
“Lasciate che lo faccia io.”
Chrona si era alzata in piedi e per la prima volta aveva parlato per
farsi sentire da tutti. Stein e Kid la guardarono in silenzio, senza
obiettare,
aspettando che finisse.
“Voglio chiedervi per favore due cose. Primo: lasciatemi
entrare in risonanza
con quel che resta dell’anima
di Maka
solo un’ultima volta, voglio dirle addio. Secondo, lasciatemi
prendere possesso
di Viverna e trascinarlo nelle profondità del mio inferno,
non merita niente di
meno.”
Il Sommo Shinigami sollevò le spalle: “In
realtà l’anima di Viverna
spetta a me. Sono io lo Shinigami dopotutto.”
“Oh, la avrai – rispose Chrona digrignando i denti
– Lascia solo che mi
ci sfoghi un po’ io, prima.”
Il tono che aveva usato era talmente terrificante che persino a
Black*Star era venuta la pelle d’oca. Kid non si
dimostrò particolarmente
impressionato e replicò, freddo: “Ci saremo io e
Soul a dargli il colpo di
grazia e a prendere la sua anima. Capisco il tuo dolore ma ricorda che
sei nel
regno del Dio dell’Ordine.”
“Mi basta.”
“Ohibò! –
esclamò Excalibur quasi urlando – Mi
sembra di
essere tornato in mezzo agli antichi Dominatori di ottocento anni fa!
Che
nostalgia!”
E
così è deciso.
Sentendomi
sopraffare dalla presenza di tanta gente mi allontano, al finire della
discussione, prima ancora che Kid ci abbia dato il permesso di
andarcene. L’azione
partirà fra un’ora. Eh…
un’ora è brevissima. Ma non ce la faccio
più. Sento la
testa scoppiare.
“Chrooona…”
Ho
tenuto io il bracciale con le cinque pietre magiche, il loro contatto
freddo
sulla pelle delle mani mi tiene incatenata alla realtà. Le
lacrime mi appannano
la vista e fatico a capire dove sto andando, sgorgando spontanee come
fiumi
bollenti: ma io non ci sto pensando, non sto impazzendo, va tutto bene.
Ma
certo, fra poco aiuterò la DWMA, e poi andrà
tutto bene, non devo pensarci o
morirò, non devo…
“…sapevi
che saremmo arrivati a questo punto, povera stupida. Lo sapevi fin
dall’inizio.
Quando hai attivato il Cubo per ricostruire la tua carne e le tue ossa
già te
lo sentivi dentro, che sarebbe stata una pessima idea: nulla di quello
che tu
tocchi può andare a finire bene. Adesso Maka
morirà, ed è tutta colpa tua.”
Oh
no, non tu. Stai zitto.
“…pensavi
di esserti liberata di me, eh? E invece no, perché ormai io
e te siamo una cosa
sola, ed io vivrò in te per sempre. Probabilmente, se te ne
fossi rimasta nel
tuo purgatorio tutto questo non sarebbe mai successo. Viverna
è un povero
idiota, e sicuramente Soul, Kid e gli altri avrebbero salvato Maka
senza di te.
Il tuo legame ossessivo con lei l’ha condannata a morte. Che
volevi fare,
salvarla? Tu? Ma se dalle tua mani può uscire solo morte? E
dire che lo sapevi
benissimo.”
Zitto.
“Sappiamo
entrambi di che sostanza sei fatta. Sei fatta di odio, terrore e
rabbia.
Guardati. Stai scappando dalla scuola come se l’avessi
commesso tu il reato, e
gli altri ti hanno guardata, sì, ti hanno guardata come si
guarda un mostro. E
ora sei sola. Dove? E chi lo sa, è un angolo buio, nascosto,
dove la luce del
sole morente già non può più
raggiungerti. È umido a terra. Sporco. Come la tua
anima. Lo sanno tutti, sai? Quello che vuoi. Lo so io e soprattutto lo
sai tu:
il tuo cuore brama la distruzione. Ma sì. Kid non capisce
nulla, proprio come
nostro padre.
Distruggi tutto. Io so che
lo vuoi. Questo mondo fa schifo, cancellalo. Se tutti soffriranno come
soffri
tu ti sentirai molto meglio. Puoi farlo. Non vedi l’ora. La
sento, la sete di
sangue che grida dalla tua anima…sei il Kishin, sei
me.”
STAI
ZITTO, ASHURA!
“…non
raccontiamoci palle. Maka è praticamente morta ed
è colpa tua. È inutile che
piangi, disperarsi così non serve a niente. Tu devi fare
quello che sei nata
per fare, devi lasciarti andare alla follia del caos. Ucciderai
Viverna, e poi
te lo mangerai. E poi anche gli altri, perché farlo ti
piacerà un sacco. Tu lo
desideri, era per questo che Medusa ti ha messa al mondo.
Speravi
di salvare Maka, eri convinta di amarla… ma sei solo una
stupida, tu non sei
capace di amare: la tua è solo una ossessione malata, ti sei
incollata a lei
solo perché è stata la prima persona a rivolgerti
la parola… l’hai distrutta,
sì, tu! L’hai corrotta, anche lei è
diventata malata come te, si è macchiata
della tua sporcizia e adesso è morta! Tu non sei fatta per
amare, ma per
distruggere!”
TI
ODIO! STAI ZITTO!
Una mano si posò sulla spalla di Chrona,
spingendola a voltarsi di
scatto per la sorpresa.
Era Cariddi, in piedi di fronte a lei. La sua siluette era disegnata
dai raggi del tramonto, che illuminavano a fatica le strette mura del
vicolo,
poco lontano dalla scuola, dove si trovavano.
“Stai… bene?”
Chrona sgranò gli occhi. La strega doveva esserle corsa
dietro.
“Stavi urlando…”
Cariddi aveva un’espressione contratta, a metà tra
il preoccupato e lo
spaventato. La figlia della strega non doveva offrire un bello
spettacolo;
continuò a non risponderle, boccheggiando
nell’aria fetida del vicolo come un
pesce sull’asciutto. No, non stava bene per niente.
“Senti… - continuò sua cugina, cercando
di suonare più gentile che poteva
- …so che deve essere particolarmente dura, per te. Ma temo
che scappare così
ti farà stare solo peggio… so che non ti
piacciono le persone, ma se vuoi prima
di partire per l’azione puoi venire a stare da me, per
prepararci. E poi, non
so, magari anche dopo… dopotutto tu sarai la mia unica
parente in vita. Non
voglio lasciarti sola.”
Chrona la osservò mordersi un labbro. Probabilmente si stava
chiedendo
se quello che le aveva appena proposto era stata una delle idee
più pessime
della sua vita, considerato lo stato in cui il secondo Kishin si
trovava in
quel momento. Chrona lo apprezzò, nonostante tutto.
Riuscì perfino a trovare le parole per risponderle.
“No… - ansimò –
Non… non è una buona idea. È meglio se
ti allontani da
me. Ora. Io… ho bisogno di stare sola adesso. Sì,
sola…”
La strega non insistette, ma continuò a guardarla in modo
interrogativo. Chrona voleva liberarsene, e pensò che non
l’avrebbe mai
allontanata se almeno non provava a spiegarsi; la sua presenza
l’aveva
riportata leggermente più a contatto con la
realtà, ma la sola compagnia di un
altro essere senziente le dava il voltastomaco:
“Lui… - iniziò, indicandosi la testa -
…ed io… siamo una cosa sola!
Ormai ho io il potere e lui vuole spingermi ad agire come faceva lui!
Non… non
è stato come Ragnarok che si è
addormentato… lui mi provoca…”
Cariddi fece un passo indietro, terrorizzata.
“…lui vuole che io faccia delle cose… e
la cosa terribile è che io
vorrei farle… voglio farle…”
La strega parve sul punto di scappare a gambe levate, ma si trattenne e
restò là, cercando di mantenere il suo
autocontrollo: “Cugina – disse – forse
è
meglio se torni con me da Kid, se le cose stanno
così.”
“No. No, ho solo bisogno di stare un po’ sola.
Grazie. Non… farò del
male a nessuno. Va tutto bene. A dopo.”
Chrona concentrò la sua anima fino a farla defibrillare,
fino a
sciogliere il corpo in una scarica di energia per materializzarsi
altrove, come
aveva imparato a fare acquisendo gli antichi saperi sepolti nel libri
di Eibon,
e sparì proprio mentre Cariddi stava per rispondere.
“Maledizione.” Mormorò la strega fra i
denti.
Kid stava indossando il suo mantello da Shinigami
nello studio
ricoperto di tombe quando la strega Cariddi entrò nella
stanza tutta trafelata.
Mancavano circa quarantacinque minuti all’appuntamento di
fronte al portone
della DWMA, quando l’operazione per l’eliminazione
di Mario Viverna sarebbe
iniziata.
“Cosa c’è? – chiese lo
Shinigami, lasciando trapelare una vena di
preoccupazione dal tono piatto della voce – Dovresti essere a
prepararti con
Chrona.”
“Chrona è il problema, purtroppo.”
Liz Thompson, che se ne stava trasformata in pistola appoggiata sul
tavolo di fianco a sua sorella, fu attraversata da un brivido di paura:
“…sarà
mica impazzita per la morte di Maka?”
“Temo… temo di sì.”
Kid sibilò tra i denti un improperio e afferrò al
volo le sue pistole.
“Proprio come temevo. Quella ragazza è instabile,
l’avevamo già persa da
prima, quando Viverna ha assorbito l’anima di Maka. Partiamo
subito: Cariddi,
raduna gli altri per favore. Dobbiamo trovare quello stregone e
ucciderlo prima
che Chrona decida di fare follie, e poi dovremo occuparci di
lei.”
Con uno svolazzo nero il dio della Morte volò di corsa fuori
dalla
sala, e la strega poté osservare la profonda delusione e
rimorso che ne solcava
il volto pulito; Cariddi sospirò, provando sentimenti molto
simili: probabilmente,
se le cose fossero degenerate, prima che fosse sorta la luna sarebbe
rimasta
una sola donna al mondo a portare il nome Gorgon.
Certo
che il mio fato non si smentisce proprio mai.
Mi
fa quasi ridere come, dopo tutto quello che la mia vita mi ha sputato
in
faccia, io ancora non abbia imparato come funzionino le cose per me:
perché no,
questa non è la prima volta.
Anche
tanti anni fa, in quel lontano primo Aprile in cui Ashura si
risvegliò di
nuovo, mi convinsi che la mia vita era cambiata in meglio. Maka mi
aveva preso
la mano, e Medusa era stata fatta a pezzi dal professore che aveva
deciso di
prendere come amante. Io ero disorientata… ma ero libera. In
quei brevi giorni
di paradiso imparai cosa vuol dire avere degli amici, e ovviamente mi
innamorai
della mia Maka.
Già
quella volta avrei dovuto capire che quando penso di essere felice, in
realtà
la vita non sta facendo altro che prepararmi il terreno per nuove
sofferenze.
Quella volta Medusa tornò, e mi reclamò a
sé.
Ero
debole, vigliacca e meschina, e risposi alla chiamata. Nemmeno voglio
pensare
al periodo che seguì, tra i digiuni, i castighi e gli
esperimenti, che
ripresero con la stessa frequenza di quando avevo cinque anni. Per non
parlare
della nausea. Per il dolore, e per me stessa: mi facevo schifo.
Avrei
dovuto capire.
Anche
quando mi fu data la possibilità di prostrarmi nella
redenzione, di dare la
vita per la persona che amo di più al mondo e – in
qualche modo – porre rimedio
ai miei peccati, non riuscii a resistere.
Ho
ricostruito il mio corpo. Ho rimesso insieme la mia coscienza.
Per
amore (amore…? Non diciamo idiozie, era solo egoismo) ho
desiderato prendermi
il merito di proteggere Maka e come una stupida ho dimenticato le
inflessibili
regole che determinano la mia vita. Ossia, che nulla di buono
c’è su questo
mondo per Chrona.
E,
soprattutto, per tutti quelli che le stanno attorno.
Ora
è successo di nuovo, solo adesso riesco –
minimamente – a rendermene conto.
Maka
morirà.
È
inutile che Ashura continui a sussurrarmi nelle orecchie di lasciarmi
andare
alla follia e distruggere tutto, tanto c’è
già questa semplice consapevolezza a
strillarmi nell’anima lacerandomi il cuore da
dentro… ho combattuto contro di
lui per tre anni, ormai non sono più condizionabile come un
tempo.
C’è
solo una piccola cosa che ancora mi trattiene dal perdermi di nuovo,
dal
lasciare quell’immenso oceano nero annegare gli ultimi
sprazzi della mia anima,
come un’ancora che mi tenga aggrappata agli scogli:
è una cosa che mi ha già
salvata in precedenza, quella cosa che mi ha spinta a sconfiggere
Ashura
spingendomi a compiere l’eresia di non morire.
La
mia amata è ancora viva e, solo per un breve momento, la
incontrerò di nuovo.
Già.
Non posso certo sprecare questa occasione imperdibile, questo miracolo
fragile
e sfuggente.
È
questo il mio unico pensiero, l’unica barriera tra la me e la
morte e
distruzione di questa città e, poi, del mondo.
Seduta
sulle tegole bollenti di uno dei tetti del centro, assaporo i raggi
rossi del
sole morente che, nonostante il sortilegio di Viverna, sanguinano su
questo
cielo nero di morte il loro addio. Le mie ali oscure incombono, come
questa
notte del destino.
È
ora di andare.
Prima
che sia sorta la Luna, tutto sarà finito.
Prima
che sia sorta la Luna io la rivedrò.
Dopo,
solo il destino lo sa.
Zona
Autrice
Buon
lunedì a tutti!
Sono felice che siate arrivati a leggere fin qui, anche se per
stamattina non ho molte idee su come riempire questo piccolo spazio...
quindi penso che scriverò una barzelletta di pessimo gusto:
Maka
se ne sta in coma sul lettino d'ospedale e Chrona chiede a Franken
Stein: "Dottore, quanto le resta da vivere?"
Lui risponde: "Cinque."
... e Chrona preoccupata: "Cinque cosa?"
"... Quattro... tre... due..."
*scappa
a nascondersi schivando i pomodori e le uova marce*
Vi auguro una buona settimana, alla prossima!
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Capitolo 27 *** Into the abyss. ***
Into
the Abyss.
“Sapevo
che saresti arrivata fin qui.”
La
fanciulla sorrise dolcemente, avvolta dalla sua stessa luce. Ali
bianche
circondavano la sua figura, eteree, ondeggiavano
nell’oscurità delicate come i
bagliori dell’alba. Ma, più che d’alba,
quel chiarore era di tramonto: si percepiva
chiaramente che, poco per volta, si stavano spegnendo.
“Sì,
mi conosci. Non avrei mai potuto perdere l’occasione di
vederti ancora una
volta.”
Un’aria fredda gli scosse i capelli neri,
provenendo dalle pianure
desolate del deserto poco lontano, raggelato dal crepuscolo, e
stranamente non
gli diede troppo fastidio; quella brezza era elettrica di follia, Kid
la
sentiva pizzicargli contro la pelle. Non era molto sicuro su che tipo
di follia
si trattasse, ma gli auspici erano tutti più neri del nero.
Quella sarebbe stata una notte impossibile da dimenticare.
Gli sfuggì un sospiro mentre alzava il cappuccio nero per
proteggersi dal
freddo, e lo sguardo gli cadde automaticamente all’orizzonte:
non trovando la
Luna, per un secondo ebbe l’impressione che fosse ancora
nera, come poco tempo
prima, come quando tutta quella tragedia non era ancora cominciata. In
realtà,
semplicemente non era ancora sorta. Una lingua di sangue rosso ancora
adombrava
le alture ad ovest.
L’oscurità che aveva ricoperto il loro satellite
ormai era scesa sulla
Terra, e quella notte lui, il Dio dell’Ordine, avrebbe dovuto
cancellarla di
nuovo, e sigillarla una seconda volta in qualche anfratto ben nascosto.
Questo
pensiero lo riempiva di tristezza.
Non era di Viverna, la follia che permeava l’aria,
no… era Chrona.
Chrona aveva nuovamente perso il controllo e la sua anima incombeva su
Death
City come una coltre di buio, Kid avrebbe riconosciuto quelle onde
spirituali
ovunque: potevano appartenere solo ad un Dominatore, l’unico
rimasto oltre a
lui. La sua follia era diversa da quella di Ashura, però,
drasticamente: Ashura
era circondato di paura e sospetto, mentre lei… Kid non ne
era sicuro, ma in
quei giorni era arrivato alla conclusione di non aver mai conosciuto
nulla che
potesse esservi comparato. Era qualcosa di molto simile
all’ossessione, unito
all’impotenza e ad uno struggente dolore… come una
profonda sete. Gli sarebbe
piaciuto conoscerla meglio.
Avrebbe dovuto capirlo fin da subito che Chrona sarebbe stata senza
speranza in ogni caso, un Kishin non sarebbe mai potuto andare
d’accordo con le
norme imposte dal Sommo Shinigami.
Se solo Maka non fosse…
Un rumore di passi sulle scale lo distrasse dalle sue meditazioni. Era
Soul, accompagnato da Cariddi, Em-ni e Amber trasformata in arma, i
quali
stavano finendo di salire di corsa i gradini per raggiungere lo spiazzo
dell’entrata della DWMA, dove Kid ed Excalibur li stavano
aspettando in piedi.
“Era come pensavo, vero?” chiese Soul senza
aspettarsi una risposta,
che infatti venne consegnata sottoforma di sguardo mesto; il ragazzo si
trasformò subito in falce e le mani forti del Sommo
Shinigami lo brandirono, in
modo tale che le onde di follia del secondo Kishin potessero invadere
anche lui
attraverso le percezioni del suo maestro.
“C’è poco da discutere ora –
ordinò secco Kid ai presenti – dobbiamo
pensare a Viverna per primo. Cariddi lo cercherà e lo
attaccherà, facendolo
uscire allo scoperto, e noi lo finiremo in un colpo solo. Dopo
sarà il turno
del Kishin.”
Excalibur annuì mestamente alle parole di Kid, osservando il
giovane
maestro Em-Ni deglutire per l’agitazione. Il ragazzo era
stato scelto in
sostituzione di Black*Star per il combattimento, mentre a Stein era
stato
permesso di restarsene con la sua famiglia al sicuro: Kid in ogni caso
avrebbe
solo avuto bisogno di supporto durante il combattimento, o almeno
questo era
ciò che si auguravano tutti.
Cariddi attese un cenno dal Sommo Shinigami, dopodiché
concentrò la sua
magia tra le mani e, con un ampio gesto, dette vita ad una potente
corrente
d’aria che mise a serio rischio la stabilità di
tutti i presenti.
“L’onda dell’anima di Viverna viene da
quella parte.” Kid indicò un
punto verso ovest, in direzione del deserto, mentre materializzava e
attivava i
propulsori per volare. Em-Ni si ritrovò coi piedi sollevati
dal suolo a causa
dei vortici generati dalla strega, la quale si girò per
fargli un occhiolino:
evidentemente si sarebbero spostati nel modo più veloce
possibile, per trovare
e raggiungere lo stregone prima che la situazione potesse degenerare
oltre.
Excalibur li osservava tenendosi fermo il cappello con il suo bastone
da
passeggio.
“Ovviamente dopo che avremo eliminato Viverna, dovremmo
cercare Chrona
– aggiunse Kid, con la morte nella voce – ormai
è diventata imprevedibile, e
potrebbe fare pazzie. Ora via, dobbiamo muoverci, sperando che non ci
abbia
preceduto…”
“Ti stavo aspettando.”
L’aria si era fatta gelida fra le mura delle rovine. Una nera
figura
era apparsa contro le ultime bave di luce del cielo, assisa in cima ad
una
delle colonne che un tempo reggevano il tetto ormai crollato. Ali
stracciate,
come veli da lutto, ondeggiavano lentamente alla brezza del deserto
pendendo
dalle sue spalle.
“…sapevo che mi avresti raggiunto, prima o poi. Ti
ho fatta arrabbiare
parecchio.”
Il tempio antico, costruito da chissà quale cultura
– forse streghe – resisteva
con le sue mura sfatte, le sue colonne e il suo altare nel bel mezzo
del
deserto, ricoperto di terra e polvere. Erbacce crescevano fra i
pietroni al
pavimento. Lo stregone se ne stava seduto su un cumulo di mattoni al
suolo.
“…probabilmente pensi di uccidermi. Ormai
è tardi per salvare la tua
amica. Lo so, naturalmente lo avevo previsto.”
La nera figura non rispose, limitandosi a guardare in silenzio lo
stregone dalla sua posizione sopraelevata. Il suo volto era avvolto
dalle
ombre.
“Penserai che sono uno stupido. Come potrei mai pensare di
dominare il
mondo, io, se i suoi antichi dei continuano a reincarnarsi? Ovvio che
non potrò
mai riuscire a ottenere ciò che voglio fino a che il Sommo
Shinigami vive. O
finché tu vivi.”
Viverna lanciò un’occhiata eloquente verso la
presenza in cima alla
colonna, e le sue iridi gialle come quelle di un rettile rifletterono
la luce
delle stelle, che timidamente iniziavano ad illuminare il cielo come
piccole
lucciole. Brani di oscurità iniziarono a danzare attorno al
demone, ad
avvolgere l’antica roccia sulla quale sedeva come i viticci
di una pianta
rampicante.
“…quindi, sappi che non ho nessuna intenzione di
farmi uccidere da te.
Secondo Kishin.”
Il demone della follia finalmente si mosse: spalancò le ali
e si
sollevò in piedi. Per un attimo l’ultimo,
sottilissimo bagliore blu del
tramonto le illuminò gli occhi neri. Saltò,
atterrò di fronte a Viverna
generando come unico suono il frusciare sordo della polvere che le sue
ali
spinsero nell’aria.
“Io ti divorerò, Chrona Gorgon. Ti
strapperò l’anima dal petto e me la
mangerò. Il potere di Maka Albarn era solo un modo per
iniziare, per poter
arrivare a un potere più grande. Mi hai fatto un grande
favore scendendo dalla
Luna, tornando a mischiarti tra i mortali, sai? In effetti, con i soli
poteri
di Carrie e dell’onda antidemone, temevo che sarebbe stato un
problema
sconfiggere Shinigami. Carrie, poi, è anche stata
sacrificata... Ma ora ho te.
Quando ti avrò divorato, nulla a questo mondo
potrà fermarmi. Mi hai solo reso
le cose più facili, fin da quando hai deciso di
intrometterti.”
Chrona continuò a non rispondere. La brezza del deserto le
accarezzava
dolcemente le ciocche di capelli. Viverna, esaltato, si alzò
in piedi e la
fronteggiò.
“…che c’è!? Non mi attacchi?
Credi che non sia abbastanza forte da
poterti ipnotizzare e rubare l’anima? Avanti!
Attaccami!”
Chrona aprì le braccia, e il bracciale con le cinque pietre
che portava
ancora al polso lanciò un bagliore metallico. Ma non si
mosse oltre. Poi parlò.
“Prendimi.”
Viverna rimase per un momento interdetto, ma poi una sottile risata
beffarda gli sfuggì tra le labbra.
“Oh. – Disse – Capisco. Devo averti
spinta fino a questo punto allora.
Meglio così. Dato che entrambi desideriamo ugualmente la tua
morte, dunque, addio.”
Lo stregone allungò la mano verso il petto del secondo
Kishin, e senza
incontrare resistenza alcuna strinse le dita attorno alla sua anima,
mentre il
corpo della ragazza si dissolveva in una cascata calda di sangue nero,
riversandosi al suolo.
Ci
ho pensato parecchio.
Sento
la mia essenza venire risucchiata, sopraffatta da quella avida dello
stregone,
e per poco la mia coscienza vacilla. Non ho paura, non mi
arrenderò: non è la
prima volta che vengo divorata.
È
inutile tentare di combattere, ormai.
Io
so cosa sono.
Io
so cosa si agita nel mio cuore.
Ashura
continua a sussurrarmi parole seducenti di distruzione
nell’anima, e so che
molto presto cederò per degli ascolto.
Ma
non lo voglio.
Non
desidero più essere causa di dolore per nessuno, ho
già combinato abbastanza
problemi per il mondo fin da quando sono nata.
Quindi,
è molto meglio così…
Tanto
ormai c’è una sola cosa che desidero.
Mia
cugina era terrorizzata, prima. Lo so bene, la capisco.
Probabilmente
lei e Kid si metteranno in moto subito, cercando di anticiparmi,
perché pensano
che potrei commettere follie. Ne avrei commesse, in effetti, ma per
fortuna con
il tempo ho imparato a fermarmi e a pensare. Ora, quando arriveranno e
uccideranno Viverna, si prenderanno anche la mia, di vita.
Meglio
così.
Se
c’è qualcuno che merita di soffrire qui,
è solo lo stregone.
Per
il resto sono… davvero stanca di questa guerra nel mio cuore.
Non
mi importa davvero di quello che sarà di me, dopo.
C’è
una sola cosa che desidero, ormai.
“Sapevo
che saresti arrivata fin qui.”
Sorride.
La
mia anima si contorce e lacrime bollenti mi rigano le guance eteree. Mi
sembra
per un attimo di poter riprendere a respirare come è stato
fino a ieri, una
vita fa. In quello che ho sempre saputo, in cuor mio, essere solo un
bellissimo
e fragile sogno. Lei è qui.
“Sì,
mi conosci. Non avrei mai potuto perdere l’occasione di
vederti ancora una
volta.”
È
viva. È viva davvero. Lo sapevo, lo sapevo!
Se
piango è perché sono felice, anche se ormai anche
la nostra gioia odora di
malinconica tristezza.
La
sua figura sbiadisce dolcemente contro l’oscurità
dell’anima di Viverna, tiene
duro, come ha sempre fatto… vedo le sue ali bianche,
angeliche, circondarla
come un’aura di luce e positività. E anche se sta
morendo, è ancora qui. Ed io
sono con lei.
“Chrona…
per favore, non piangere.”
“Maka…”
Le
tendo le mani, e le sue dita trasparenti si stringono tra le mie.
La
sua energia vitale mi riempie come un’ondata, facendomi
vibrare l’anima come
ogni volta che ci siamo toccate prima. Ma è debole,
debole…
“Maka…
ti amo. Resterò con te. Fino alla fine.”
“Chrona,
non piangere…”
“…mi
dispiace. Mi dispiace, Maka, io… io non avrei mai voluto che
finisse così…io…io
volevo proteggerti, e invece…non ce l’ho fatta. Ho
rovinato tutto, come al
solito. Mi dispiace se sono così… mi dispiace. Ma
anche se sono un Demone e se…
nulla di buono potrà mai venire da me…anche se
non ho potuto salvarti…sappi che
ti amo. Ti amo, ti amo da morire. Se esiste qualcosa di buono in
me… sei stata
tu a mettercelo.”
La
sento stringermi forte. La circondo anche io con le mie braccia forti,
oscure,
e la sento lieve come un fuoco fatuo bianchissimo.
“Non
è vero, Chrona. Non è vero, amore mio. Guardati,
sei il Kishin, ma…”
Si
separa dolcemente e indica la mia anima, dentro il mio petto,
accarezzandola
dolcemente.
È
contorta, ricoperta di spine e ferite, ma brilla di una luce fortissima
e
lilla, come il cielo viola quando grida il suo ultimo addio
perché non vuole
abbandonare il suo cielo. Brucia.
“…ti
sembra l’anima di un dio della distruzione, questa? Ma
no.”
“Maka,
io…”
“Ti
ho attesa perché ero sicura che saresti venuta da me. Nulla
di tutto quello che
hai fatto di male derivava da tue scelte, ma solo dal dolore che ti
affligge.
Tu hai sempre combattuto per me prima che per te stessa, e per tutti
gli altri.
Ti sei sempre negata. Persino la tua trasformazione in Dominatore non
è
avvenuta per la tua sete di potere, ma per proteggere me. Questo
non… questo
solo un’anima profondamente gentile e piena d’amore
potrebbe farlo.”
“Maka…”
“Io
non voglio vederti piangere, perché sono così
felice di vederti…per favore,
sorridi per me. Hai il sorriso più dolce del
mondo.”
Stiracchio
le guance mentre nuove lacrime mi rigano le guance, e stringo a me la
mia amata
mentre lei ancora tiene la mia anima fra le dita. Fa male, fa
malissimo… ma
sono felice così.
Non
morirà più nessun altro a causa mia, e sono con
Maka.
“…mi
dispiace, Maka… avrei voluto vivere la nostra vita insieme.
Ma sai… va bene
così.”
“Aspetta,
ma… cosa stai dicendo?”
Maka
si separa di nuovo e mi trapassa coi suoi occhi verdi. Sembra molto
preoccupata.
“Sai
come ho potuto giungere fin qui, Maka?”
“Come…?”
“Mi
sono abbandonata a Viverna.”
“…e
allora? Non puoi liberarti di nuovo come hai fatto con Ashura? Viverna
non è
mica un demone…”
Mi
fissa spaventata.
“Maka,
dopo averti persa perderò qualsiasi altra cosa che mantenga
la mia stabilità.
Diventerò una minaccia per tutto il mondo che abbiamo
faticato per salvare se
sopravvivo.”
“Ma
io… non…”
Mi
stringe le mani.
“Non
voglio che tu muoia, Chrona!”
Di
nuovo.
“Non
posso vivere senza di te, Maka. Non puoi chiedermelo.”
“Allora…”
Scoppia
in lacrime. No, va bene così, non essere triste per
me…
“…divorami,
portami con te, mangiami, ma non morire!”
“Maka,
io…”
Si
stringe a me, e le nostre anime iniziano a vibrare con una potenza che
pensavo
fosse ormai andata persa nei meandri dell’essenza dello
stregone.
“…portami
con te. Non desidero nemmeno continuare a dare potere a questo
vigliacco che ha
rubato la mia anima.”
“Maka…”
Entriamo
in risonanza e vengo accecata dalla sua luce.
Non
avrei mai voluto questo, ma…
Chiudo
gli occhi nella vertigine,
mentre
io e Maka diventiamo una cosa sola.
Zona Autrice
Buon lunedì cari
lettori!
Come vanno le cose? Io oggi ho ricominciato le lezioni e sono parecchio
rimbambita, ma ciò non mi impedirà di scrivere
anche oggi qualcosina per voi. Dunque, per la location delle rovine nel
deserto mi sono ispirata a... non lo so, chiedetelo al mio inconscio. A
questo punto della storia le scene ormai si creavano da sole e io non
facevo altro che seguire quello che mi compariva nella mente
spontaneamente XD. Non saprei, magari potrebbero ricordare la vecchia
casa di Medusa, quella dove Sid salta in aria prima della festa
d'anniversario della fondazione della DWMA (in effetti, anche quella
era una zona di rovine nel deserto vicino a Death City).
Sì, che ci volete fare, è un fatto stupido ma,
come vi ho detto, sono un po' rimba oggi pomeriggio.
Grazie per essere arrivati fin qui e scusatemi per il breve capitolo,
il prossimo compenserà!
...e sarà anche il
penultimo!
Dopo questa folgorante rivelazione, vi do appuntamento a
lunedì prossimo!
Bye :*
|
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Capitolo 28 *** The last fight. ***
The
last fight.
I piedi di Em – ni raggiunsero il suolo
polveroso del deserto in una
nuvola fitta di sabbia, strisciando sul terreno per recuperare
stabilità nel
forte vento. Cariddi atterrò di fianco a lui un secondo
dopo, interrompendo la
sua magia: le rumorose folate smisero all’istante, con un
ululato sordo, di
soffiare nelle loro orecchie. Kid li aveva preceduti e già
stava avanzando,
dando loro le spalle. Amber non disse nulla, come faceva di solito
quando era
trasformata in arma: ora era in forma di spada, e il suo maestro la
portava con
il piatto della lama appoggiato alla spalla, scaricandone il notevole
peso
sulla schiena. Non avevano idea di che tipo di combattimento sarebbero
stati
costretti ad affrontare, ma una spada era sempre una buona idea per
cominciare.
Un vecchio tempio crollato sorgeva di fronte a loro, stagliandosi
contro il cielo scuro e aperto del deserto: sembrava una sorta di
chiesa pagana,
senza tetto e senza parti di muro, ma nonostante tutto ancora in piedi.
Em – ni
percepì distintamente l’anima dello stregone, ora
che erano così vicini, e un
brivido gli attraversò la spina dorsale: finalmente
l’avevano trovato.
Viverna era là dentro, da qualche parte oltre
l’arco acuto di pietra
della porta ricoperto di erbacce in mezzo ai detriti.
Una scarica improvvisa di energia, un secondo dopo, investì
il maestro
e i suoi compagni, facendoli gelare al loro posto per qualche attimo e
bloccando loro il respiro. Maledizione. Subito dopo il breve attimo di
panico giunse
la gelida consapevolezza che la peggiore delle loro ipotesi era
effettivamente
una realtà: il secondo Kishin era lì, da qualche
parte, insieme allo stregone.
Quell’onda d’anima terribile non lasciava nessun
dubbio.
Kid se ne era accorto subito, e aveva steso una mano di scatto per
fermare di nuovo i suoi compagni. Sembrava molto turbato, e aveva
perfettamente
ragione di esserlo: ora avrebbero dovuto affrontare i due avversari
insieme, e non
sarebbe stato facile. E non solo perché erano entrambi molto
potenti.
“Siamo stati lenti. – si rammaricò il
sommo Shinigami, sottovoce – Ora
ragazzi, fate la massima attenzione. Andiamo a vedere cosa stanno
facendo per
decidere il piano d’azione.”
Em – ni annuì, e seguì il suo preside
che ricominciò l’avanzata.
Sicuramente il loro piccolo gruppo era stato già notato da
entrambi i
loro avversari, ma questo lo sapevano già.
L’effetto sorpresa non era mai stato
nei loro piani. Giunti di fronte all’ingresso del tempio i
ragazzi si
arrestarono per qualche secondo, pressandosi alle rovine cercando di
percepire
se dall’interno provenisse qualche rumore. Em – ni
pensò che, dato che nessuno
era uscito per attaccarli, probabilmente li stavano aspettando
all’interno,
oppure lo stregone e il Kishin si stavano già confrontando;
in ogni caso, se
uno scontro era già in corso, certamente doveva essere molto
silenzioso dato
che nessun suono spirava da oltre la soglia se non il frusciare del
vento tra i
detriti. Em – ni pensò che non sarebbe stata una
cattiva idea aspettare lì,
nascosti dietro le rocce, e lasciare Chrona libera di prendersi la sua
vendetta
contro colui che le aveva portato via l’unica persona che
l’aveva sempre
sostenuta: il Kishin aveva fatto tanto per aiutare la DWMA in quei
giorni e,
prima della sua inevitabile caduta e il suo confinamento, una piccola
rivincita
se la meritava.
Il sommo Shinigami però non sembrava pensarla in questo
modo: dopo
qualche momento di ascolto, dall’ombra in cui stava
accucciato, fece un cenno
con la testa indicando di entrare.
Ovviamente, non poteva permettere che un’anima che spettava
alla sua
competenza fosse rubata dal Demone. Cariddi concentrò la sua
magia ed Em – ni
strinse l’elsa di Amber tra le mani, sentendola trattenere un
fremito di
tristezza. Kid si sollevò e senza più curare di
nascondere la sua presenza
avanzò all’interno del tempio, a grandi falcate.
Di tutti i scenari che avevano pensato di poter
trovare là dentro,
quello che videro fu sicuramente ciò che meno si sarebbero
aspettati.
Viverna si ergeva in piedi in mezzo al tempio, nella pallida luce delle
stelle, coi pugni stretti e le braccia tese lungo ai fianchi. Di Chrona
nessuna
traccia, se non una chiazza di sangue nero che ricopriva il suolo e le
sue onde
dell’anima dentro il corpo dello stregone, che lentamente
iniziavano a svanire,
soffocate da quelle di colui che l’aveva divorata.
Lo stregone nemmeno si voltò all’ingresso dello
Shinigami e dei suoi
due guerrieri.
Kid strinse i denti. Capì quello che era successo in un
secondo: se
Chrona avesse combattuto per non farsi divorare, senza dubbio al
momento
Viverna sarebbe stato morto.
Come… come poteva Chrona averlo fatto davvero? Non avevano
capito
nulla, di lei.
Lo Shinigami ingoiò il peso che gli si era materializzato
nel petto
insieme alla consapevolezza di aver sottovalutato la volontà
del secondo
Kishin, e la tristezza del fatto che, se aveva deciso di farsi
divorare, era
stato per salvare tutti loro.
Gli aveva risparmiato un ben misero compito.
Ma ora il problema era un altro: Viverna, dopo aver assimilato
l’anima
sia di Maka che del secondo Kishin, diventava un problema molto
più pericoloso
di quanto non lo fosse mai stato.
La sua espressione si sarebbe quasi potuta dire neutra, nel buio della
notte, se non fosse stato per un sinistro luccichio nei suoi occhi
dorati.
“Sommo Shinigami, sorellina.”
Salutò con tono scanzonato lo stregone. Cariddi
sollevò le mani pronta
a difendersi e Em – ni si mise in guardia con la sua arma.
Kid rimase immobile,
col lungo mantello mosso dalla brezza e la falce poggiata su una
spalla,
un’espressione di ghiaccio nel volto tagliente.
Sapeva che non sarebbe stato per nulla facile sopravvivere, quando
Viverna avesse attaccato: sentiva le pericolose onde d’anima
del Demone mischiarsi
con quelle di luce di Maka, tutte inquinate dalla terribile sete di
potere e
sangue di chi le aveva divorate.
Nonostante ciò, Kid sollevò la falce: se non
fosse stato lui, a
difendere il suo mondo, chi altro lo avrebbe fatto?
Come minimo doveva provarci.
“Mario Viverna, in quanto sommo Shinigami non posso
permetterti di
prendere possesso del governo di Death City, né tantomeno di
prendere il mio
posto. Stanotte mieterò la tua anima.”
Lo stregone si era accorto di quanto suonassero disperate quelle
parole,
anche se mosse da una determinazione incrollabile:
stiracchiò la bocca in un
sorrisetto di scherno, ben visibile nella penombra notturna.
“…ovviamente sommo Shinigami, è il tuo
lavoro.”
Con improvviso stupore di tutti i presenti dalla schiena di Viverna
eruttarono due fontane di sangue nero, che si materializzarono in
membranose
ali da pipistrello che sbatterono verso il basso, sollevando lo
stregone con un
forte slancio. Nuvole di polvere volarono ovunque mentre
l’uomo si appollaiava
in cima ad uno dei muri crollati, come un rettile viscido uscito dalle
budella
della terra.
Dannazione, il suo sangue era diventato nero.
“… Ma mi pare ovvio che io non sono
d’accordo.” Affermò il nemico,
sollevando le mani verso l’alto: le sue ali di sangue si
disfecero e sbrindellarono
in tentacoli, i quali subito si volsero in direzione dei tre ragazzi
della
DWMA. Kid pensò in un attimo che, se quella tecnica
ricordava anche solo
vagamente ciò che era solita fare Chrona in combattimento,
erano tutti nei
guai: oltre ad essere velocissimi e perforanti quei viticci di sangue
nero era
anche velenosi, e avrebbero spedito a quel paese la risonanza dei
maestri e
delle loro armi, privandoli della maggior parte del loro potere
offensivo.
Em – ni sollevò Amber sopra la testa e
scattò in avanti, balzando
contro Viverna prima che il nemico avesse iniziato a colpirlo: Kid non
fece in
tempo ad intimagli attenzione – maledizione! Lui non sapeva
del veleno… - che
anche la loro compagna strega compì il suo incantesimo,
agitando un vento fortissimo
contro lo stregone che iniziò a vacillare dalla sua
posizione sopraelevata.
Anche lo shinigami dunque partì all’attacco per
coprire le spalle ai suoi
ardimentosi compagni, ma i tentacoli neri del nemico avevano
già iniziato a
muoversi: il vento della strega li aveva dispersi in tutte le direzioni
ma essi
iniziarono a divincolarsi nell’aria, passando pericolosamente
a due centimetri
dal collo di Em – ni. Il giovane maestro schivò e
con un colpo di spada ne
tranciò due di netto, ma un terzo lo raggiunse direttamente
su fianco prima che
Kid potesse raggiungerlo e bloccarlo: il ragazzo finì
spedito all’indietro e si
schiantò al suolo lasciando la presa sulla spada Amber, che
fu scagliata contro
ad un gruppo di blocchi di pietra che un tempo era stato un muro. Il
vento si
intensificò e Viverna finalmente si sbilanciò su
di un lato, dando a Kid la
possibilità di approfittare della sua distrazione per
attaccarlo con un colpo
laterale di falce; tre tentacoli nati all’istante arrestarono
l’assalto,
sorprendendo sia Soul che lo stesso Kid, che fece in tempo a fissare
gli occhi
in quelli gialli e incattiviti di Viverna prima di essere respinto
anch’egli
all’indietro. Era diventato potente, ora, e con la sua forza
era davvero in
grado di contrastare il dio della Morte.
“È inutile che ci provate!
– strillò lo stregone, innalzandosi
con un colpo d’ala al di fuori delle correnti
d’aria di Cariddi ed ergendosi ad
ali spalancate nel cielo stellato con uno sguardo trionfante
– Ho assunto il
poteri della vostra maestra più potente e del Kishin! Non
potrete mai…”
L’uomo si interruppe a metà frase.
Em – ni e Amber, la quale era tornata in forma umana e stava
assistendo
il suo maestro ferito, sollevarono gli occhi al cielo dal suolo, verso
lo
stregone, non appena sentirono il suo verso strozzato. Cariddi
interruppe il
suo incantesimo e Kid arretrò leggermente: stava succedendo
qualcosa di strano.
Viverna si era portato le mani alla gola, soffocato
all’improvviso da
qualcosa, e i tentacoli di sangue che fuoriuscivano dalla sua schiena
si erano
improvvisamente rivolti contro lui stesso, cogliendolo completamente
impreparato.
“Non è poss…” furono le sue
ultime parole, strozzate fra colpi di
tosse, poco prima che i tentacoli si trasformassero in lame e lo
trafiggessero
come spilloni, scattanti come serpenti, perforando la sua carne e
spargendo
spruzzi di sangue nero contro il cielo notturno.
Amber urlò e il suo maestro la strinse a sé
coprendole gli occhi,
mentre Kid non riusciva a separare lo sguardo da quella scena: il loro
nemico
si stava letteralmente auto-distruggendo davanti a loro, riducendosi a
furia di
colpi in un indistinto ammasso di materia contro il buio della notte,
perché
più sangue sgorgava fuori dalle sue ferite, più
lame di sangue lo trafiggevano
da parte a parte.
Presto tutto finì.
Ciò che era rimasto di Mario Viverna colò lungo i
muri fino al suolo,
raggruppandosi in un’unica polla di sangue nero.
Cariddi fece per avvicinarsi, ma Kid tese una mano in avanti e la
fermò, subito raggiunto da un’occhiata
interrogativa della strega: poi anche
lei capì quello che stava per accadere e smise di protestare.
Il sangue nero al suolo iniziò a ribollire.
Amber riuscì a togliersi dal viso la mano di Em –
ni che la copriva, e
osservò a bocca aperta come il sangue nero si raccogliesse,
si raggrumasse ed
infine si sollevasse in piedi, formando la figura smilza ed elegante di
un
corpo di donna. La figura pulsò debolmente, si
rigonfiò in modo innaturale e
poi finalmente il nero esplose, rivelandosi essere la membrana sottile
e setosa
di due ali da Demone: le ali oscure di Chrona Gorgon, che si
innalzarono per
qualche secondo contro il pallido chiarore lunare prima di essere
risucchiate
dalle sue scapole.
Il secondo Kishin si era appena materializzato di fronte a loro,
leggero ed etereo come un fantasma.
Kid non mosse un muscolo: la Dominatrice aveva gli occhi chiusi e
sembrava immersa in una profonda concentrazione. Lentamente
sollevò la testa e
le palpebre, osservando tutti i presenti con occhi quieti. Al suo polso
brillava ancora l’artefatto con le cinque pietre, appena
visibile nell’ombra.
La luna piena, pallida come il volto della morte, riversò la
sua luce
sul deserto, splendendo finalmente alta nel cielo.
Il sommo Shinigami stringeva ancora forte Soul
Eater fra le mani, di
fronte al secondo Kishin.
Non sapeva cosa dovesse aspettarsi: li avrebbe attaccati? Aveva perso
davvero tutti i ponti che la legavano alla realtà e la
mantenevano sana?
“Non preoccuparti Kid.”
Il suo tono di voce era calmo e pacato, ed i suoi occhi neri lo
osservavano
ma sembravano persi in lontananza, in qualche lido misterioso.
“…sono stata molto vicina a perdere il controllo,
perdonatemi. So di
avervi messo in condizione di darmi la caccia e uccidermi e me ne
rammarico, ma
ormai va tutto bene.”
“Cugina?” chiese Cariddi, facendo un passo in
avanti e tendendo una
mano; nonostante le circostanze parecchio strane, Chrona sembrava avere
ragione: la sua anima era calma, e le onde di follia che avevano
percepito
nelle ore precedenti si erano placate. La strega se ne era ovviamente
accorta,
insieme a tutti gli altri presenti:
“…hai…divorato l’anima di
Viverna?”
“Oh, no. – rispose il secondo Kishin, riscuotendosi
un poco. Tese in
avanti la mano e fra le sue lunghe dita apparve un uovo di Kishin, che
una
volta forse si sarebbe potuto confondere con un’anima di
strega di quelle meno
dotate di talento magico. Aveva un aspetto patetico. – Eccola
qui.”
Chrona porse a Kid l’anima, che la accettò senza
dire una parola. Aveva
sottovalutato Chrona, lo aveva fatto sul serio.
“…ho intenzione di continuare a collaborare con
voi come abbiamo fatto
in questa brutta disavventura. Come sapete, non ho nessun interesse nel
portare
il caos. Non voglio darvi motivo di dovermi uccidere.”
Il sommo Shinigami sollevò le sopracciglia, stupito e
sinceramente
ammirato, e dopo qualche attimo di silenzio disse: “Quello
che hai detto è
molto importante. Sarà davvero l’inizio di una
nuova era: la fine della guerra
tra Ordine e Caos, l’inizio di un vero Equilibrio.
Sono… molto felice di
sentirlo.”
Chrona sorrise debolmente. Sembrava sempre che fosse persa in un altro
mondo, distante da loro anni luce.
“Non potrebbe essere altrimenti. –
mormorò, e si indicò il petto – Lei
non vorrebbe mai che io finisca male, dopotutto.”
Anche Kid sorrise.
“Ma certo, lo pensiamo tutti.”
Una vocina interruppe le due divinità,
che subito si voltarono: era
Amber, ancora seduta nella polvere di fianco al suo maestro, il quale
sembrava
tutto tranne che attento al discorso: “Scusate…
potremmo rientrare? Temo che Em
– ni sia svenuto. Ha un buco sul fianco.”
E così il caso era finalmente chiuso,
questa
volta per davvero.
Kid faticò a trattenere un sospiro
d’amarezza mentre gli passavano le macerie delle case sotto
gli occhi, entrando
in città: i suoi cittadini avevano dovuto sopportare delle
sofferenze
terribili, e lui non poteva che rammaricarsi di non aver potuto fare di
più per
loro.
Quello che avevano vissuto era stato davvero
molto peggio di quello che era potuto sembrare all’inizio dei
fatti: a partire
da semplici casi di furto si era arrivati ad un tentativo di spodestare
il
sommo Shinigami, e per ben due volte era stata accusata la persona
sbagliata.
Rimuginando, Kid storse il naso al solo ricordo di quando era stato
avvelenato
dalla follia: aveva memorie piuttosto vaghe rispetto a quel lasso di
tempo, ma
tutto ciò che ricordava era accompagnato da una cupa
sofferenza e rancore. Era
stata un’esperienza orribile. Prese nota mentale di prendere
degli accorgimenti
in futuro, in modo tale che la cosa non potesse accadere mai
più.
Inoltre, insieme alla vita di fin troppi
cittadini e distruzione… avevano perso Maka.
Il gruppo di ragazzi avanzava
silenziosamente fra le vie della città, immersa nel sonno
immobile della notte,
diretto all’ospedale: Amber si era trasformata in una grossa
tigre dalla
pelliccia bianca e trasportava il suo maestro, fasciato stretto con dei
brani
di vestiti e privo di sensi, sulla sua schiena come se fosse stata un
grosso
materasso peloso, mentre Cariddi avanzava al suo fianco tenendogli una
mano
sulla schiena per evitare che perdesse l’equilibrio e cadesse
giù.
Chrona invece camminava al suo fianco,
silenziosa, con la pelle bianchissima che rifletteva il chiarore della
luna.
Kid pensò di nuovo a quanto gli sembrasse
diversa da come l’aveva vista solo qualche ora prima, durante
l’assemblea
operativa: tutt’ora camminava come in un mondo diverso dal
loro, quasi come se
stesse contemplando una luce che solo lei poteva vedere. Non le aveva
chiesto
cosa esattamente fosse successo prima che lui e la sua squadra
giungessero alle
rovine del vecchio tempio, un po’ perché quella
sua espressione estatica gli
metteva soggezione, un po’ perché non era sicuro
che lei gli avrebbe risposto: doveva
essere qualcosa di molto personale. In qualche modo, aveva la
sensazione che sarebbe
sembrato irrispettoso porre delle domande.
Nonostante ciò, Kid si era fatto un’idea che
giudicava verosimile: Maka doveva aver convinto la sua compagna a farsi
assorbire da lei, perché probabilmente le era sembrato un
fato molto meno
infame che farsi divorare da uno stregone criminale. Chissà
cosa si erano
dette. In ogni caso, ora Chrona era tornata dalla loro parte,
presumibilmente
in modo definitivo, ma nello stesso tempo era come se fosse anche
sparita da loro
mondo, e riassorbita da qualcos’altro che richiamava tutta la
sua attenzione.
Il bracciale che ostinava a non volersi togliere dal braccio rifletteva
debolmente la luce della luna, nell’ombra delle vie
lastricate di sampietrini
ricoperte di polvere che stavano percorrendo.
Certo che,
Chrona è parecchio strana per essere un Kishin.
Kid si chiese se una divinità nata da una
passione dominante che non fosse la paura potesse ancora essere
chiamata
Kishin. Perché anche se Chrona aveva mangiato
l’anima di Ashura, iniziava a
pensare che lei non fosse la divinità della paura, affatto:
c’era qualcos’altro
in lei, a darle potere. Non la paura, non l’odio, non
l’insito desiderio
presente in ogni cuore umano di portare distruzione.In
lei c’era una totale abnegazione, la
volontà di cancellarsi completamente per l’altro
per trovare redenzione, una
sete di felicità mai raggiunta.
Malato, disperato amore.
Che tipo di dea era diventata la sua amica,
per davvero?
Le mura ricoperte di mattoni
dell’ospedale
che si avvicinava, ormai di fronte ai suoi occhi, richiamarono Kid alla
realtà,
e i ragazzi si affrettarono a chiamare qualcuno per aiutare il povero
Em – ni
ferito.
Se non fosse stato per Cariddi che la stava
guardando, nessuno si sarebbe accorto che Chrona non stava seguendo gli
infermieri come gli altri.
La ragazza sparì silenziosamente su per le
scale, svoltando poco dopo entrati dalla porta, e sua cugina
scattò verso
quella direzione per cercare di capire cosa diavolo avesse in mente;
Kid allora
assicurò il suo studente al personale
dell’ospedale e scattò anche lui nella
direzione dove era sparita Chrona, tenendo dietro alla strega.
Il secondo Kishin stava salendo le scale ricoperte
di linoleum con passo svelto e non dette segno di accorgersi che i suoi
due
compagni la stavano seguendo incuriositi: d’accordo, Chrona
era parecchio
strana in quel momento, ma certo gli altri non si aspettavano che
perdesse
interesse così velocemente per i suoi compagni infortunati.
Finite le scale il secondo Kishin imboccò il
corridoio delle stanze dove riposavano i pazienti in degenza, che a
quell’ora
era a luci spente, e si diresse senza esitazioni verso destra, con
passo
leggero come l’aria: i suoi due inseguitori continuarono a
seguirla cercando di
non disturbare i malati, raggiungendola in punta di piedi. Le loro
ombre rese
lunghe dalla notte li seguivano lungo i muri bianchi
dell’ospedale come
inquietanti presenze.
A cosa diavolo stava pensando quella strana
ragazza?
All’improvviso la figlia della strega svoltò
a sinistra e si fermò di fronte ad una porticina, la quale
sembrava uguale a
tutte le altre tranne per il fatto che, da oltre la sua soglia,
giungevano i
suoni ovattati di un macchinario medico per il sostegno delle funzioni
vitali.
Kid si bloccò a qualche metro, con un tuffo
al cuore, mentre Chrona apriva lentamente la porta: quella era la
camera di
Maka.
Chrona entrò, e gli altri due la seguirono.
La stanza era nella completa penombra, come d’altronde
anche il resto del reparto: la luce bianca della luna filtrava
attraverso le
tende sottili, illuminando di un dolce bianco latteo il letto e la
piccola
figura che vi stava distesa, ad occhi chiusi; le lucine e i suoni dei
macchinari turbavano quella vista onirica. Chrona si
avvicinò al capezzale,
fondendosi con le ombre e i riflessi chiari della notte, e congiunse le
mani
come in preghiera, toccandosi i polsi. Si inginocchiò.
Kid si avvicinò fino ai piedi del letto,
con
Cariddi al fianco, ma nonostante questo fece un po’ di fatica
a capire che cosa
stava facendo Chrona: la stanza era buia e l’ombra del
secondo Kishin copriva i
suoi stessi movimenti.
Quello che vide, fu che aveva estratto e
preso nelle sue le mani quelle di Maka, e che le teneva molto strette.
Aveva
fatto scivolare il bracciale magico al polso della ragazza, e il
gioiello aveva
preso a brillare con una debole luce dorata.
Aveva appoggiato la fronte su quella della
sua compagna, e pareva intenta in una accorata preghiera, con il volto
nascosto.
…e dopo qualche minuto, Maka
aprì gli occhi.
Spazio
Autrice
Buon
lunedì miei fedelissimi lettori! - fedelissimi
perché diciamocelo, è il ventottesimo capitolo e
non vi siete ancora rotti le scatole di questa storia -
Come state? Vi è piaciuto il capitolo?
In realtà manca veramente poco alla fine ed io sono
costretta a fare un'ammissione di colpa: vi ho mentito.
Ricordate quando, nel lontanissimo prologo, avevo detto di aver finito
tutta la storia? ...Non era vero, perché mi mancavano da
scrivere ancora gli ultimi quattro capitoli. Ma non riuscivo
più ad attendere e a trattenere la mia voglia di pubblicare,
e così... nulla, ho contravvenuto alla mia regola
autoimposta di attendere la fine prima di iniziare a proporvi la mia
storia da leggere.
Però dai, non è così male: se avessi
atteso sul serio, la storia sarebbe iniziata ad uscire solo due
settimane fa! XD
Ovviamente questo a voi non cambia nulla, ma preferivo essere onesta
ora che ho finito davvero e ho il culo parat*coff coff*
...e so che voi non rischierete mai ritardi eventuali per colpa della
mia lentezza nel finire una decina di pagine.
Bene, buona settimana e a lunedì prossimo, per l'ultima
volta!
Ve vojo bbbene!
*grazie
per essere arrivati fin qui*
*...ma
sul serio non vi siete ancora annoiati?*
*vi
adoro*
*ciao.*
|
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Capitolo 29 *** Epilogue. - A new beginning ***
Epilogue.
A new beginning.
La giornata scelta per la cerimonia si era
rivelata una meravigliosa mattina di sole.
L’aria splendeva sui tetti della città di
Death City, ormai quasi del tutto ricostruiti, mentre questi
restituivano
roventi il calore che il sole scaricava su di loro con zaffate di rosso
tepore,
e le scale dell’Accademia per Maestri e Armi Demoniache
brulicavano di persone
abbigliate con abiti estivi.
In realtà, inizialmente non era stata
prevista una eccessiva affluenza di pubblico per quella particolare
cerimonia,
ma pareva che oltre agli studenti della scuola anche gran parte dei
cittadini
era interessata ad assistervi, forse anche solo per
curiosità, o forse per
accertarsi con in propri occhi che quello che tutti raccontavano stesse
accadendo per davvero.
Di fatto la folla era fitta e rumorosa, ma a
Maka non importava un granché.
A lei andava bene così.
In fondo, lei aveva occupato un posto in
prima fila, dove nessuno aveva la possibilità di
spintonarla, e inoltre da lì,
in cima alle scale, poteva percepire la brezza fresca che scendeva da
qualche parte
a nord rendendo l’atmosfera più respirabile: a
dire la verità, poi, le voci e i
battimani che giungevano da dietro le sue spalle la riempivano di
orgoglio e
contentezza. Tsubaki e Black*Star – ancora con il gesso al
braccio – sembravano
condividere il suo umore gaio, in piedi di fianco a lei tra gli altri
maestri
d’elite, nonostante il sole facesse soffrire parecchio il
povero ninja che si
sentiva il braccio dentro ad una sauna di sudore.
“Chi si sarebbe mai aspettato che sarebbe
successa una cosa del genere?” chiese Tsubaki con accento
allegro, forse per la
settima volta, spostandosi un ciuffo di capelli setosi da davanti agli
occhi
blu.
“Eh. – rispose Maka, forse per l’ottava
–
Che ti devo dire. Io ve l’ho sempre detto che Chrona
è straordinaria.”
Era passato un mese da quando Viverna era
stato sconfitto, e da quando la ricostruzione di Death City era
iniziata: era
stato un periodo estremamente laborioso dove ognuno aveva avuto il suo
bel
daffare per sistemare le cose dopo quanto accaduto. Kid era stato
sommerso di
impegni per i progetti edili e burocratici e così i
professori avevano dovuto
lavorare il doppio per continuare a gestire la scuola senza subire
ulteriori
rallentamenti coi programmi (anche perché si stavano
avvicinando gli esami).
Tra le altre cose, ovviamente, c’erano state infinite
riunioni per capire cosa
fare con le due streghette e con il secondo Kishin. Insomma, erano
tutti molto
stressati ed ora, in quella mattina di sole, iniziavano a sentirsi come
in
vacanza.
Per quanto riguarda le streghe, finalmente
erano studentesse a pieno diritto, iscritte alla scuola in modo
ufficiale:
naturalmente si era dovuto rifare tutto daccapo considerato il fatto
che
l’iniziativa di inserimento non era stata altro che un
trucchetto progettato da
Viverna per conquistare la città. Ah, e poi c’era
stata un’aggiunta: una
piccola strega pareva aver raggiunto l’età giusta
per unirsi al progetto, ed
era arrivata giusto qualche giorno prima dal Giappone, accompagnata dal
suo –
vero, stavolta! – tutore. Il tutore in questione altri non
era che Black*Star,
e la streghetta di cui si sta parlando è la piccola Angela,
la strega
camaleonte.
Maka sorrise osservando le tre streghe che
se ne stavano sedute sulla balconata della terrazza della scuola per
riuscire a
vedere sopra le teste dei presenti, con Cariddi che faceva di tutto per
assicurarsi che non precipitassero di sotto: sembrava che Amber e
Angela si
fossero trovate simpatiche vicendevolmente all’istante, e
adesso non vedevano
l’ora di diventare compagne di banco. Questa
novità sembrava aver rincuorato un
po’ la piccola mutaforma per la perdita di Carrie, anche se
bastava solo ancora
nominarla per spingere Amber in un pianto disperato; Maka comunque era
sicura
che presto l’amarezza sarebbe passata e si sarebbe
trasformata in un ricordo
dal sapore agrodolce, dopotutto quelle erano solo bambine. Anche Em
– ni era lì
con loro, da qualche parte: lui era stato dimesso
dall’ospedale solo da poco,
non tanto per la gravità della ferita ma perché
c’era la concreta possibilità
che il ragazzo fosse stato infettato dal sangue nero. Maka sperava con
tutto il
suo cuore che non fosse quello il caso, ricordando tutte le
difficoltà che
aveva dovuto affrontare con Soul, ma sapeva che, anche se il peggio si
fosse
rivelato realtà, Em – ni sarebbe stato capace di
combatterlo; era un ragazzo
forte e coraggioso.
Per quanto riguardava Chrona, invece, si era
discusso tantissimo, lei presente. Certo, era il Kishin, e certo, la
sua fedina
penale era tutto tranne che pulita, ma alla fine era stato deciso che
confinarla o rinchiuderla in prigione non sarebbe stata
l’idea più vantaggiosa,
e quindi…
In un attimo tutta la folla fece silenzio.
Sotto la luce abbagliante del sole, il
secondo Kishin avanzò a passi lenti verso il sommo
Shinigami, che la attendeva
in piedi di fronte alle porte della scuola avvolto nel suo mantello.
La sua maschera lasciava scoperto per metà
il suo volto giovane e fiero, sollevata da un lato, esponendo alla
vista i suoi
luminosi occhi dorati – aveva rinunciato ad indossarla in
modo canonico
parecchi anni prima, considerando quanto gli dava fastidio il fatto che
non
riuscisse mai a stare dritta… tanto valeva lasciarla storta
in modo deliberato.
Chrona si fermò di fronte a lui, circondata
dal resto dei professori, e stese un braccio: un fiotto di sangue nero
eruttò
dalle sue scapole e si materializzò nella sua spada di
acciaio scuro e temprato
a due palmi, Ragnarok, stretta con energia tra le sue dita bianche.
Con un movimento ampio la fece ondeggiare
nell’aria, e la posò di piatto sui palmi,
protendendola in avanti.
“Io – proclamò a voce
alta,
mantenendo un tono fermo e deciso, anche in presenza di tutte quelle
persone a
guardarla – Chrona Gorgon, Maestra di Spada
Demoniaca e secondo Kishin, ti
offro la mia lama, Sommo Shinigami. Nella mia vita precedente ho
peccato e cerco
redenzione, prendo sulle spalle il peso delle mie azioni offrendoti il
me
stessa. Ti prego, accetta questa offerta: la mia spada è al
tuo servizio.”
Dopo qualche attimo di silenzio assoluto, Kid
allungò la mano e prese Ragnarok, sollevandola alta sulla
folla.
“La tua offerta è accertata. Da oggi
questa
spada combatterà per difendere l’Ordine e
l’Equilibrio in questo mondo, che le
sue imprese cancellino i crimini che macchiano il suo passato!”
Kid abbassò la spada e tutta la folla
presente scoppiò in un rumoroso applauso.
Chrona si chinò per riavere la sua arma, con
le guance sorridenti invase da un profondo color viola.
La luce calda delle sei del pomeriggio
entrava orizzontale dalle finestre della casa di Maka, riscaldando gli
occupanti del divano e delle poltrone in soggiorno mentre sorseggiavano
tè
dalle loro tazzine e sgranocchiavano biscotti alla cannella. Era stato
un
piacevole pomeriggio.
Kid aveva insistito per invitare anche
Cariddi alla loro rimpatriata, e anche se all’inizio si era
sentita un po’ a
disagio adesso rideva tranquillamente anche lei alle battute di
Black*Star e di
Patty, appollaiata sul bracciolo del divano con tazza e piattino sulle
ginocchia per mancanza di spazio.
Erano tutti insieme nel salotto di Maka, di
nuovo, come facevano quando erano ancora ragazzini.
“…e alla fine, come tutte le peggiori
disavventure, finisce tutto tarallucci e vino.”
Commentò Soul addentando un
biscotto, stravaccato sulla sua poltrona, e lanciando
un’occhiata alle due
Gorgoni.
“Vino? Perché Chrona, che ci hai messo nel
tè?” chiese Patty colta nel vivo, e tutti i
presenti scoppiarono a ridere.
Maka si sentiva felice. Si spanciò dalle
risate quando la sua ragazza sputò tutto il tè
che stava bevendo subito dopo l’uscita
di Patty, lavandosi completamente la gonna blu che indossava, e
pensò che gli
eventi non avrebbero potuto finire meglio di così. O forse
no, forse Em – ni
poteva risparmiarsi il sangue nero e Carrie poteva essere ancora con
loro, ma
comunque quello era un finale che le piaceva.
Gli altri le avevano raccontato per filo e
per segno tutto quello che era successo da quando Carrie, plagiata
dalla magia
e dalla volontà di Viverna, aveva imposto su di lei
l’incantesimo per sottrarle
l’anima e intrappolarla nel bracciale ,quando era andata a
trovare la sua
classe di streghette dopo aver messo in prigione Cariddi. Lei in
realtà aveva
avuto qualche percezione di quello che le stava avvenendo intorno da
dentro lo
stregone, ma le fece piacere sentirselo raccontare comunque.
Ora portava ancora il bracciale magico al
polso: il metallo grezzo e appena lavorato le stringeva la pelle poco
sotto a
dove era ancora visibile il sigillo che, di fatto, aveva legato la sua
anima
all’artefatto magico, creando uno strano stile stregonesco
parecchio pacchiano,
ma che in fondo non le dispiaceva. Cariddi le aveva raccomandato di non
levarsi
il bracciale per almeno tre mesi, per permettere alla sua anima di
rilegarsi
per bene e in modo definitivo al suo corpo. Questa condizione non la
disturbava
troppo e lei d’altronde non aveva subito nessun fastidio, a
parte i primi
giorni subito dopo il risveglio, dove il corpo rigido le aveva causato
parecchi
problemi con la riabilitazione e aveva sentito freddo a tutte le ore
anche
sotto cinque strati di coperte e con un corpo umano tiepido a contatto
col suo;
meno male che era finito tutto in fretta e si era ripresa completamente
in meno
di una settimana.
“Ragazzi, ragazzi scusate, ho una domanda
seria.”
Kid cercò di interrompere i cori di risa, e
si rivolse direttamente a Maka, indicandola col dito:
“Ormai è passato più di un mese da
quando me
lo sto chiedendo ma siamo sempre stati incasinati, ma ora mi sembra un
buon
momento. – fece una breve pausa - …Ma si
può sapere come avete fatto voi ragazze,
quando eravate dentro Viverna, con… insomma, come avete
fatto a…?”
“…a non finire morta?” lo
aiutò Maka, che
prendeva la questione con una certa leggerezza. Sapeva benissimo quanto
la sua
temporanea scomparsa avesse fatto preoccupare i suoi amici, ma
desiderava che
anche loro smettessero di star male così tanto per colpa
sua, dato che in fondo
era finito tutto bene e lei non ne aveva mai dubitato.
In effetti, come aveva detto Kid, nessuno
aveva avuto ancora occasione (o coraggio) di fare quella domanda: tutti
quindi
si zittirono per l’interesse e guardarono la ragazza intenti.
Lei, tanto per
stuzzicarla un po’, indicò Chrona seduta al suo
fianco, ancora intenta ad
asciugarsi i vestiti coi tovaglioli.
“È colpa sua, in realtà, chiedete a
lei. È
stata lei che ha insistito.”
“Emh… - farfugliò il secondo Kishin
assumendo il colore di una prugna matura - …non, non
è stato facile.”
“E dai Chrona, non puoi fare così dopo la
tua performance di stamattina!” la
incoraggiò Black*Star.
“Beh… - proseguì lei - … in
realtà io,
quando mi sono fatta mangiare da Viverna, ormai avevo deciso di
arrendermi.
Sapevo che avrei perso il controllo dopo aver detto l’ultimo
addio a Maka e non
volevo diventare un mostro come Ashura… quindi la mia
intenzione era quella di
perire insieme allo stregone quando voi l’avreste ucciso. Ci
siamo incontrate,
e Maka mi ha detto che non avrebbe accettato un destino tanto crudele,
così mi
ha chiesto di sopravvivere e di portarla con sé,
assorbendola io a mia volta.”
Maka sorrise e le passò un braccio attorno
alle spalle. All’improvviso l’atmosfera si era
fatta parecchio cupa – cosa poco
strana considerato il fatto che stava parlando Chrona
la-depressione-è-contagiosa
Gorgon – ma tutti pendevano dalle sue labbra comunque.
“… io però ho pensato…
sì, probabilmente è
la cosa migliore da fare, così staremo insieme per sempre in
un certo senso.
Però… non è giusto. Se questo deve
avvenire, avverrà fra tanto, tanto tempo,
perché Maka ha solo diciotto anni, e una vita intera da
vivere. Non sarebbe
giusto privarla del diritto di godersi i suoi anni, e poi…
beh, io vorrei stare
al suo fianco.”
Maka la strinse con il braccio.
“…ho usato il potere del Brew per trasferire
la sua anima di nuovo nel bracciale, e ho cercato con tutta me stessa
di non
assorbirla, nel breve periodo in cui sono stata costretta a farmene
carico. È
stato… complicato, ma per fortuna ci sono riuscita prima che
fosse troppo
tardi.”
Rimasero tutti in silenzio per qualche
momento ad assorbire il racconto, gettando Chrona, che non aveva
più niente da
dire, in un mutismo molto violaceo di imbarazzo, finché Soul
ruppe il ghiaccio:
“Ma certo che ci sei riuscita. – disse,
sarcastico – L’anima di Maka è parecchio
indigesta. Parlo io che sono stato la
sua arma per anni.”
Una ciabatta volò attraverso il soggiorno
colpendo in testa la Falce della Morte e tutta la stanza
scoppiò a ridere di
nuovo.
“Okay, basta, dichiaro un brindisi!”
esclamò
Kid alzandosi improvvisamente in piedi e portando verso il cielo la sua
tazzina
di tè.
“Brindiamo alla nuova era di armonia che ci
attende, con lo Shinigami e il Kishin che lavorano fianco a
fianco!”
“Cin cin!” risposero gli amici.
“Brindiamo a noi che, nonostante tutto,
siamo ancora qua tutti insieme a sparare cretinate!”
“Cin cin!”
“Brindiamo a noi – mormorò Maka
all’orecchio
di Chrona - …e alla mia vita al tuo fianco.”
“Cin cin.” Rispose l’interessata, col
volto sempre
più simile ad una violetta di stagione.
“Cin cin!” ripetè
Patty per la terza volta
completamente a caso in mezzo al baccano, chiedendosi sul serio se non
ci fosse
stata una certa gradazione alcolica nel tè di tutti.
End.
Zona Autrice *e qui parte la
musica dei titoli di
coda*
Buon
lunedì ragazzi, eccoci finalmente giunti alla fine di questo
viaggio!
Arrivati a questo punto mi sento di ringraziarvi tutti, ciascuno di
voi, per aver letto questa storia lunghissima e, in qualche modo,
esservi emozionati insieme a me;
per me questa storia ha significato molto, sia come coinvolgimento
emotivo sia come conferma per le mie capacità, dato che non
sono mai riuscita a portare a termine un progetto tanto corposo come
questo, prima!
Mi mancherà questa storia, devo ammetterlo.
Spero che vi sia piaciuta, e se è stata capace di
trasmettervi almeno una risatina, un sospiro o anche solo un sorriso,
allora sono riuscita nello scopo che mi ero prefissata.
Scrivetemelo pure, se avete voglia!
Detto questo vi saluto, bellissimi.
Alla prossima storia.
Un abbraccione!
Kiki
ps.
La canzone che ho linkato come sottofondo ai "titoli di coda"
è How, di Regina Spektor: sinceramente mi parla moltissimo
di Maka e Chrona, e solo immaginarmela come canzone finale per la fine
del manga mi fa salire una lacrimuccia. Non ci posso fare nulla, sono
una sentimentalona.
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