Petrichor

di Lily Liddell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1x01 Dopo la pioggia ***
Capitolo 2: *** 1x02 Nuovi inizi ***
Capitolo 3: *** 1x03 Voglia di normalità ***
Capitolo 4: *** 1x04 I 76^ Hunger Games ***
Capitolo 5: *** 1x05 Rassegnazione ***
Capitolo 6: *** 2x01 Ritorno al 12 ***
Capitolo 7: *** 2x02 L'incendio ***
Capitolo 8: *** 2x03 Cancellare il passato ***
Capitolo 9: *** 2x04 Gesti naturali ***
Capitolo 10: *** 2x05 Una visita sgradita ***
Capitolo 11: *** 2x06 Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco ***
Capitolo 12: *** 2x07 A volte ritornano ***
Capitolo 13: *** 3x01 Anno nuovo, vita nuova ***
Capitolo 14: *** 3x02 Come una madre ***
Capitolo 15: *** 3x03 Cicatrici ***
Capitolo 16: *** 3x04 Grandi notizie ***
Capitolo 17: *** 4x01 Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo ***
Capitolo 18: *** 4x02 Qualcosa di prestato, qualcosa di blu ***
Capitolo 19: *** 4x03 Il brindisi ***
Capitolo 20: *** 4x04 Promesse e ricordi (1) ***
Capitolo 21: *** 4x05 Promesse e ricordi (2) ***
Capitolo 22: *** 5x01 Cambiamenti all'orizzonte ***
Capitolo 23: *** 5x02 Pan ***
Capitolo 24: *** 5x03 Incontri ravvicinati ***
Capitolo 25: *** 5x04 Cos'è? ***
Capitolo 26: *** 5x05 Far Natale ***
Capitolo 27: *** 6x01 Piccoli imprevisti ***
Capitolo 28: *** 6x02 Temporali ***
Capitolo 29: *** 6x03 Visita in ospedale ***
Capitolo 30: *** 6x04 Il presentimento di Effie ***
Capitolo 31: *** 6x05 La peggior proposta di sempre ***
Capitolo 32: *** 7x01 Una piccola spinta ***
Capitolo 33: *** 7x02 Passato, presente e futuro ***
Capitolo 34: *** 7x03 Dubbi infantili ***
Capitolo 35: *** 7x04 La stanza bianca ***
Capitolo 36: *** 7x05 Primi incontri ***
Capitolo 37: *** 8x01 Una nuova Panem ***
Capitolo 38: *** 8x02 Avanti e indietro ***
Capitolo 39: *** 8x03 Vecchie abitudini ***
Capitolo 40: *** 8x04 Aria estiva ***
Capitolo 41: *** 8x05 Elezioni a Panem ***



Capitolo 1
*** 1x01 Dopo la pioggia ***




P
etrichor
1x01 - Dopo la pioggia

 
Gli occhi verdi continuano a fissarmi. Sono sopra di me, non vedo altro. Provo ad urlare ma dalla mia bocca non esce alcun suono.
Sono immobilizzata, non posso fare altro che aspettare, provo a serrare le palpebre più forte che posso, ma quegli occhi restano dove sono. Galleggiano nell’oscurità senza battere ciglio. Non andranno mai via.
Mi sveglio in un bagno di sudore e con il respiro affannato; quando trovo la forza di sedermi e poggiare la schiena alla spalliera, sollevo una mano fino a coprirmi il viso. Non era reale, sono al sicuro adesso.
Da due mesi a questa parte, lo stesso incubo torna a farmi visita ogni notte. I ricordi della prigionia sono più vivi che mai, lui è il sogno più ricorrente. Lui è quello che veniva da me quasi ogni sera. Non ho mai saputo il suo nome, per me era e rimarrà ‘il Pacificatore dagli occhi verdi’.
La stanza è illuminata solo dalla luce della lampada che ho sul comodino; da quando sono stata liberata dalla prigionia non ho più voluto dormire al buio, ma credo che anche volendo non ci riuscirei.
Vedendomi sveglia, il mio gatto si solleva sulle quattro zampe dall’angolo di letto sul quale si era acciambellato e si stiracchia, mi studia per qualche secondo e poi decide che è ora di mangiare, quindi mi sale in grembo e prende a strusciare la testa contro il mio petto.
Comincio a grattarlo dietro l’orecchio sinistro e lui risponde facendomi le fusa. La sua compagnia mi fa restare sana di mente.
Non ricordo molto del giorno in cui Coin e Snow sono morti; la mia memoria conserva immagini e brevi flash, come ad esempio Katniss nel suo costume da Ghiandaia Imitatrice, poi la freccia che viene scoccata e Coin che cade… dopo c’è la confusione più totale.
Mi sono svegliata in un ospedale e mi hanno detto che ero stata travolta dalla folla, che ero fortunata ad essere sopravvissuta. Di nuovo questa fortuna che sembra perseguitarmi.
Due settimane dopo sono stata dimessa e Plutarch è arrivato alla porta del mio nuovo appartamento con una scatola in braccio. Al suo interno c’era Pumpkin, sporco, spaventato e denutrito… ma vivo. Una fortuna che ci accomuna.
Era nel mio appartamento assieme alla mia famiglia quando è stato dato l’ordine di evacuazione e loro non lo hanno lasciato indietro. Una fortuna che non ci accomuna.
Dopo qualche momento di coccole, lo faccio scendere e lo seguo fino alla cucina, poi riempio la sua ciotola di croccantini e mi verso un bicchiere d’acqua. Non so nemmeno che ore sono, ma a giudicare dall’oscurità che regna fuori dalla mia finestra, direi che è ancora notte fonda.
Prima di tornare in camera da letto mi guardo intorno; è ancora strano per me trovarmi qui. È un regalo di Plutarch… il mio appartamento è stato distrutto dai bombardamenti e non avendo un posto dove andare, mi ha trovato questo.
È la metà del mio vecchio appartamento, ma non è troppo piccolo. Ho due camere da letto, un salotto, due bagni e una piccola cucina.
Da quando ho messo piede qui dentro non sono più uscita.
Una volta a letto, mi allungo per prendere un flacone di pillole che è poggiato accanto alla lampada e ad una bottiglietta d’acqua. Ne faccio cadere un paio sul palmo della mano e le ingoio con l’aiuto dell’acqua.
L’effetto non è immediato, ma dopo una ventina di minuti comincio a prendere sonno.
Quando mi risveglio è già mattina da un pezzo, però, non sono molto riposata. È come se non avessi dormito affatto, mi sembra di aver chiuso gli occhi un attimo fa, però almeno non ho avuto altri incubi.
Ci sono giorni in cui non mi alzo dal letto, dipende da come mi sveglio, questo credo sia uno di quei giorni…
Un paio d’ore dopo, capisco che invece sarò costretta ad alzarmi. Sento la porta d’ingresso aprirsi e mi costringo a tirarmi su.
Chi sarà adesso? Ci sono talmente tante persone che hanno le chiavi…
Plutarch, ad esempio. L’appartamento è intestato a lui e quindi ha una copia. Fulvia, è sempre al fianco di Plutarch, figurarsi se non ha anche lei le chiavi del mio appartamento. Venia, Flavius e Octavia… anche loro ne hanno una copia; il motivo principale è perché avevo smesso di rispondere alla porta, quindi in questo modo hanno aggirato il problema.
Mi avvolgo una vestaglia attorno al corpo ed esco dalla mia stanza; a farmi visita sono proprio i tre ex-preparatori. Li saluto cordialmente, perché sono sempre così gentili con me che mi sento in dovere di far finta di stare bene.
Venia regge due grosse buste della spesa e le poggia sul tavolo del salotto prima di venirmi ad abbracciare. “Allora, come stai oggi?”
“Meglio di ieri.” Rispondo, ed è vero. L’ho notato, ogni giorno che passa sto un po’ meglio.
“Ottimo!” Cinguetta Octavia, poggiando un’altra busta della spesa sul mio tavolo.
Non uscendo più di casa, ho bisogno che qualcuno si occupi di queste cose e loro si sono offerti di farlo prima che fossi io a chiederlo.
“Se sei di buon umore,” Flavius mi porge un grosso scatolo, ma quando vede che non ho intenzione di prenderlo, lo aggiunge alla collezione di spesa sul tavolo. “Potresti dare un’occhiata a questi. Sono vestiti, li ho presi per te!”
Lui sorride, quindi lo faccio anche io. All’inizio l’unica cosa che volevo fare era tornare alla normalità. Poi ho scoperto che la cosa sarebbe stata più difficile del previsto.
Dopo aver lasciato la prigione, credevo che il mio lavoro mi avrebbe aiutata; dopo essere stata dimessa dall’ospedale, però, mi sono resa conto che ci sarebbe voluto più del lavoro.
Ho perso tutto durante i bombardamenti, l’unica cosa che mi è rimasta è la parrucca dorata, una copia a dire la verità. L’originale è stata distrutta quando sono stata arrestata, immagino.
Vestiti succinti e parrucche, comunque, fanno nascere in me un’ansia irrazionale. Ho provato a combatterla all’inizio, quando poi ho iniziato a stare male fuori dalle mura di casa, ho preferito rinchiudermi e stare bene.
Con i ribelli al potere la Capitale sta cambiando. Molte persone hanno perso il lavoro e il governo sta chiedendo quantità di denaro sempre maggiori per ricostruire la città. La moda è diventata un lusso che in ben pochi possono permettersi.
La pelle di Octavia ormai è di un verde pallido, malato. Immagino che quando tutta la tinta sarà svanita, tornerà il rosa naturale. A quanto pare, però, può ancora permettersi il colore ai capelli. Probabilmente perché è Flavius ad occuparsene…
Tutti e tre ora lavorano in un centro estetico, anche se Venia mi ha confessato che stavano pensando di trasferirsi al Distretto 1. Lei e Flavius hanno perso la casa, quindi ora alloggiano entrambi da Octavia, che abita in un quartiere poco toccato dai bombardamenti.
Non hanno nessuno, le loro famiglie sono state uccise dopo che i ribelli li hanno sequestrati…
Per quanto riguarda me, io ovviamente non ho più un lavoro e non avendo un lavoro, ho ben poco da spendere.
I soldi della mia famiglia sono stati tutti prelevati dallo stato per permettere alla Capitale di riprendersi.
È il prezzo che è stato concordato al mio processo, in cambio del mio rilascio.
Flavius sembra non vedere l’ora di farmi provare quello che mi ha preso, quindi lo assecondo perché se è questo quello che lo fa stare meglio, allora sono più che felice di aiutarlo.

I giorni passano e così le settimane.
Plutarch e Fulvia mi fanno visita almeno una volta ogni settimana, mi aggiornano su cosa sta succedendo lì fuori.
Poi un giorno Plutarch si presenta alla mia porta offrendomi un lavoro. Non è importante, ma secondo lui – e secondo la mia terapista – potrebbe aiutarmi.
Accetto e divento la segretaria di Fulvia, il che significa che ogni mattina lei mi porterà centinaia di carte da controllare, timbrare e firmare e che alla fine della giornata passerà a riprendersele.
Non è un problema, è un lavoro ordinato e poi posso restare a casa.
Ogni volta che ne ho l’occasione, chiedo novità riguardanti la mia famiglia, ma le risposte che ricevo sono sempre le stesse. Mia madre e mio zio sono stati vittime dei bombardamenti, mio cugino è ricoverato in ospedale, mia sorella è ancora fra i dispersi, mio cognato – uno stratega – è stato giustiziato poco dopo la morte di Snow e i miei nipoti sono ancora in custodia dello stato, dal momento che l’unico familiare rimasto sono io e a quanto pare non sono ancora mentalmente stabile per potermi prendere cura di loro.
Ci sono stati momenti in cui ho implorato Plutarch perché si impegnasse di più nella ricerca di mia sorella, ma mi hanno detto che stanno facendo tutto il possibile, non solo per me, ma per tutti i dispersi.
Più il tempo passa e più diminuiscono le possibilità di ritrovarla ancora viva, ma ormai io non ci spero più. Vorrei solo avere la certezza che sia morta, perché il non sapere mi logora dall’interno.
Plutarch mi dice di non smettere di credere, mi dice che c’è ancora speranza per tutto. Ci sono così tante cose da fare…
Le prime strutture pubbliche ad essere tornate completamente funzionanti sono stati gli ospedali, subito dopo le scuole.
È stata immediatamente approvata una nuova riforma che prevede due ore a settimana di informazione; volontari del Distretto 13 fanno dei giri nelle scuole a raccontare la ‘vera faccia dell’era di Snow e degli Hunger Games’.
La televisione trasmette interviste su interviste a Paylor, Plutarch e ad altri personaggi che hanno preso parte attiva nella ribellione, che io non ho mai visto prima. Fra una trasmissione e l’altra, durante le pubblicità, fanno comparire i volti dei ribelli caduti.
In genere cambio canale appena cominciano, ma nonostante tutto ogni tanto non riesco ad evitare di guardare negli occhi di Cinna, Portia, Finnick, Primrose e altri volti sconosciuti e non.
Qualche volta mi soffermo a guardare le immagini di guerra. Sono fotogrammi di Katniss nei distretti con una voce fuoricampo. Quando capita, mi ritrovo a pensare. Non alla guerra appena finita, ma alla mia vecchia squadra.
Nella mia mente mi riferisco a loro ancora con questo nome, anche se non dovrei farlo già da tanto tempo, ormai.
Plutarch ogni tanto mi tiene aggiornata anche su di loro, non gliel’ho mai chiesto ma lui infila l’argomento nelle conversazioni appena può. Ho scoperto da poco che Katniss e Peeta si stanno rimettendo, anche se lentamente e che Haymitch è caduto di nuovo nella morsa dell’alcool. Non mi aspettavo nulla di diverso.
Non provo rancore verso i ragazzi, non potrei mai.
Potrei provarne verso Haymitch, ma non ci riesco. Anche se mi ha lasciata indietro la prima volta, dopo tutto quello che avevamo passato… credevo che non sarei uscita viva da quella prigione.
Quando sono arrivati i ribelli a liberare i prigionieri, poi, mi hanno lasciata di nuovo lì; e alla fine, quando mi hanno portata al 13… non è mai venuto a farmi visita. Tutto quello che ho saputo mi è stato riferito da Plutarch.
So che sia lui che Haymitch hanno cercato in tutti i modi di non farmi giustiziare dalla Coin e per questo so che gli sarò debitrice.
Spesso mi ritrovo a pensare all’ultima volta che li ho visti e non riesco più a ricordarlo. So solo che da quel giorno prima dei giochi, che ormai sembra appartenere ad un’altra vita, ho rivisto solo Katniss e solo per poco tempo. Poi sono tornati al Distretto 12, lasciandomi indietro di nuovo. Probabilmente anche se me l’avessero chiesto non sarei mai andata con loro, credevo che il mio posto fosse alla Capitale. Credevo che le cose sarebbero andate bene.
Fulvia una mattina, quando mi ha portato la solita catasta di fascicoli, mi ha detto che per tutta la città hanno sparso cartelloni e volantini con lo slogan niente più giochi e ha aggiunto che la gente della Capitale si sta lentamente abituando a queste nuove prospettive.
Secondo lei sono tutti molto positivi a riguardo.
Su questo ho i miei dubbi. Tutti quelli che consideravo amici non mi hanno più rivolto la parola da quando sono tornata; non tutti hanno preso bene l’ascesa dei ribelli.
Io non so più chi o che cosa sono. Al 13 ero una capitolina, alla Capitale sono una ribelle… Fortunatamente, fra le quattro mura di questo appartamento, sono solo Effie.

È una mattina qualsiasi quando mi sveglio e comincio a prepararmi. Do da mangiare al mio gatto e poi attendo pazientemente l’arrivo di Fulvia. Il suono del campanello non mi prende di sorpresa, ma quando vado ad aprire mi ritrovo di fronte Plutarch.
Sotto il braccio regge una cartellina che contiene il mio lavoro giornaliero, lo faccio entrare e gli offro del succo d’arancia.
Ci sediamo al tavolo del salotto e lui mi passa i fascicoli, comincio a sfogliarli e non mi sembra che ci sia nulla di anomalo, quindi non mi spiego la sua presenza.
“È successo qualcosa?” Gli chiedo, quando vedo che non sembra volersene andare.
Plutarch si sistema sulla sedia, schiarendosi la gola e annuendo appena.
Improvvisamente mi sento cogliere da un sensazione di soffocamento. È successo qualcosa. Cosa? Hanno trovato mia sorella? È morta? Non può più permettermi di restare? Dove andrò se decide di cacciarmi?
Riesco a cogliere un lampo di preoccupazione negli occhi di Plutarch, poi si sporge in avanti e cattura le mie mani fra le sue stringendole appena. Non mi ero resa conto di star tremando. “Non è nulla di preoccupante, sta tranquilla.” Cerca di rassicurarmi, ma non gli credo.
Fino a pochi secondi fa non sembrava così sicuro di quello che stava dicendo. Non trovo la forza di rispondere, quindi ritiro le mie mani e le poggio in grembo.
Ho smesso di tremare ma continuo a sentire il petto compresso in una morsa quasi dolorosa. Respiro profondamente e per un attimo il dolore diventa insopportabile, il respiro mi si blocca nei polmoni, ma è solo una frazione di secondo, poi sto meglio.
Plutarch torna a guardarmi con fare apprensivo e infila una mano nella tasca interna della sua giacca. Tira fuori dei fogli bianchi e li sistema sul tavolo, poi dal taschino tira fuori una penna e la poggia sui fogli.
Il suo comportamento comincia ad innervosirmi, quando finalmente comincia a parlare, lo fa con un tono serio e composto. “Tre giorni fa sono venuto a sapere che i figli di tua sorella non possono più restare nella struttura che li ospita. C’è un tetto massimo di giorni che loro hanno raggiunto…”
Comincia e io non capisco dove voglia andare a parare, i miei occhi sono fissati sui fogli e sulla penna davanti a me.
“Domani i loro fascicoli verranno inseriti nelle pile dei ragazzi in affidamento e loro verranno trasferiti in un’altra struttura di passaggio. C’è una grande possibilità che vengano separati.” Ora Plutarch sta tamburellando con le dita sul tavolo e io non riesco a sollevare lo sguardo nemmeno se ci provo. “Ne ho parlato con la dottoressa che ti sta seguendo e lei mi ha detto che secondo lei sarebbe una cosa positiva sia per te che per i tuoi nipoti. Loro vivrebbero con qualcuno che conoscono e di cui si fidano e tu, tu avresti qualcuno di cui occuparti, il che sarebbe sicuramente produttivo.” Non mi rendo conto di trattenere il fiato finché non devo necessariamente inspirare. Ora so quello che mi sta chiedendo, ma la cosa mi sembra ancora impossibile, non è reale. Spinge verso di me i fogli e mi porge la penna. “Se lo vuoi, se ti senti pronta, questi sono i moduli dell’affidamento.”


A/N: Salve a tutti! Finalmente sono riuscita a scrivere questo primo capitolo. L'ho pubblicato un po' prima del previsto. È un capitolo più che altro preparatorio a ciò che verrà in seguito ma mi serviva per mettere le basi…
Questa fanfiction comincia qui e spero arriverà il più lontano possibile.
Sono ancora una Hayffie shipper accanita quindi più avanti sicuramente proverò a sistemare le cose fra loro due. Dopo quello che è successo, però, ci vorrà un po’.

Non ho molto altro da aggiungere, siamo solo all’inizio e io sono veramente emozionata per questa cosa.
Nell’immagine di copertina ho usato Amanda Abbington come Fulvia, i ragazzini li conoscerete presto. :)
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere con un commento!
Vi aspetto al prossimo!
Se volete una piccola anticipazione sul prossimo capitolo, cliccate qui.
Se invece vi interessa leggere una piccola one shot sull'esperienza in prigione di Effie, cliccate qui.

 

x Lily
 
 
 

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Capitolo 2
*** 1x02 Nuovi inizi ***


1x02 Nuovi inizi
 
Flavius mi costringe a tenere la testa all’indietro mentre mi massaggia i capelli con un siero che li renderà luminosi.
Octavia sta provando a sistemarmi le mani. “Santo cielo Effie, non mi hai lasciato niente su cui lavorare. Da quanto ti mangi le unghie?” Evito di risponderle, perché è un tic nervoso acquisito da poco e non voglio approfondire l’argomento.
Venia torreggia sopra di me, tenendo il suo viso a pochi centimetri dal mio, sistemando le sopracciglia che mi ero rifiutata di toccare da ormai quasi tre mesi.
Questa mattina si sono presentati a casa con la solita spesa, poi mi hanno detto che non potevo farmi trovare in questo stato dai miei nipoti e hanno insistito per occuparsi di me.
Li sto lasciando fare, perché in fondo non mi dispiace che mi coccolino in questo modo; forse se tornerò ad essere quella di prima poco a poco, non sarà traumatico come la prima volta che ho provato…
Niente parrucche, niente trucco pesante, niente vestiti stretti. Ho bisogno di respirare e tutto quello che indossavo una volta ora mi dà la sensazione di star soffocando.
Plutarch aveva ragione, sarà positivo averli qui. Voglio stare bene, non per me, per loro. Hanno bisogno di me.
Dopo i primi attimi di panico, non ho esitato ad accettare la sua proposta. Ho visto quei bambini venire al modo, sono l’unica famiglia che mi è rimasta.
Mi hanno detto che fisicamente stanno tutti e tre bene e dal punto di vista psicologico sono in via di guarigione.
Settimanalmente avranno le loro solite sedute di psicoanalisi, dal momento che non alloggeranno più nell’istituto che li aveva accolti, probabilmente saranno presi in cura dalla mia dottoressa.
Fortunatamente la loro scuola è più vicina a casa mia di quanto non lo fosse all’istituto; non dovranno prendere autobus o mezzi pubblici per raggiungerla e io non dovrò andare a prenderli.
Credo che Plutarch li abbia avvisati della mia- situazione.
Ho provato a uscire ieri, non è andata molto bene.
Sono arrivata alla porta di casa, sono riuscita ad aprirla e ho fatto un passo sul pianerottolo.
Quando i miei occhi sono finiti sulle scale ho avuto la sensazione che l’aria venisse risucchiata dai miei polmoni. Non sono riuscita ad andare oltre, sono dovuta tornare dentro.
Non so nemmeno perché io abbia provato a farlo, non è cambiato niente dall’ultima volta. Non credo lo rifarò… è troppo presto. Voglio aspettare ancora.
Flavius, Venia e Octavia finiscono di prepararmi, poi i primi due lasciano la mia stanza per andare a sistemare le loro cose e resto sola con Octavia.
“Ci trasferiamo.” Dice lei all’improvviso, quando mi volto per guardarla la vedo indaffarata a sistemare nell’armadio i vestiti che hanno tirato fuori per farmeli provare.
All’inizio non capisco che cosa intenta, poi ricordo che mi aveva parlato della loro idea di andare a vivere al Distretto 1. Un po’ mi vergogno, ma il mio primo pensiero è che ora non avrò più nessuno ad aiutarmi con la spesa…
Octavia sembra leggermi nel pensiero quando torna a guardarmi e mi sorride. “Però non preoccuparti! Venia ha parlato con Fulvia di persona e lei le ha detto che sta già cercando qualcuno che ti darà una mano.”
Annuisco, ora che il problema principale è stato risolto, mi lascio prendere dalla tristezza che i miei unici amici mi lasceranno sola.
Plutarch e Fulvia sono gentili, ma credo si sentano obbligati. Loro tre erano gli unici amici che facevano parte della mia vecchia vita. “Immagino sia difficile restare qui.”
Octavia annuisce appena, poi va a sedersi sul mio letto e io la raggiungo. “Qui continuano ad osservarci e a parlare alle nostre spalle.” Mi spiega e posso capirla.
Da quando siamo tornati dal Distretto 13 ci trattano come se fossimo fenomeni fa baraccone.
Tutti i vecchi accompagnatori e le vecchie accompagnatrici non mi rivolgono la parola, credo che abbiano cominciato a dire in giro che sono diventata pazza. Della maggior parte di loro non mi interessa.
Venia, Octavia e Flavius, però, sono gli unici ex-preparatori. Non ci sono altri che potrebbero essere nella loro situazione; chi li guarda vede solo tre persone che dovrebbero essere morte e che invece camminano ancora. Tutti gli altri sono stati giustiziati assieme agli stilisti.
Il solo pensiero mi fa di nuovo contorcere lo stomaco. Ogni cosa me li fa tornare in mente, sempre. Prima Portia e poi Cinna. E pensare a loro mi porta automaticamente a pensare ad Haymitch, a Katniss e a Peeta. È da una settimana che Plutarch non li nomina. Non so se sia un bene o un male.
“Dovresti andartene anche tu.” Le parole di Octavia mi distraggono dai miei pensieri, ma non posso fare a meno di ridere genuinamente.
“Non riesco nemmeno ad uscire di casa…” Evidentemente lei si rende conto di quello che ha suggerito solo dopo la mia affermazione, perché la vedo arrossire.
“Beh, non adesso.” Mi sorride. “Magari fra un po’… potrebbe fare bene anche ai tuoi nipoti, no? Non per sempre. Prenderti una vacanza.”
Una vacanza.
Queste due parole fanno scattare nella mia mente una serie di ricordi spiacevoli. Una vacanza… era tutto quello che volevo dopo il Tour della Vittoria.
Poi c’è stato l’annuncio dell’edizione della memoria.
Haymitch.
I giochi.
E poi…
“Effie?” Mi sento afferrare una spalla e in un attimo scatto in piedi, trattenendo il respiro. “Effie, scusami. Non volevo.” La voce di Octavia è tremendamente dispiaciuta quindi scuoto debolmente la testa, cercando di farle capire di non doversi preoccupare e vado alla finestra.
Non la apro, preferisco tenerla chiusa, ma appoggio la fronte contro il vetro e la superfice fredda a contatto con la pelle mi reca un po’ di sollievo.
Faccio vagare lo sguardo sulle strade, prima quelle più lontane e poi quelle più vicine. Seguo una macchina che fa il giro della piazza, poi si ferma sotto il palazzo.
Dalla macchina scende Plutarch, è accompagnato da una donna che non conosco e dai sedili posteriori escono tre bambini.
Non ricordavo che fossero così piccoli…
“Sono arrivati.” Torno a guardare Octavia, cercando di mantenere la calma, anche se sono nervosa.
Insieme raggiungiamo il salotto, dove Flavius e Venia hanno finito di sistemare le loro cose.
Li abbraccio tutti e tre, mi promettono che verranno a salutarmi prima di partire. Li accompagno alla porta e poi rimango lì, aspettando che il campanello suoni annunciando l’arrivo di Plutarch e dei bambini.
Cinque minuti più tardi, sto stringendo la mano alla sconosciuta, che si è presentata con il nome di Deena Heller. È un’assistente sociale, originaria del Distretto 5, ma all’inizio della rivoluzione si era trasferita al 13.
Si comporta in modo gentile, ma a dire il vero non mi piace per niente. Ha l’aria di essere un cavallo. Forse è per via dei denti terribili o per i capelli scuri che le cadono lunghi e piatti attorno al volto.
Plutarch mi informa che ci farà visita una volta al mese, con date prestabilite e si terrà in contatto con la mia dottoressa, per verificare che i bambini stiano bene e che io sia in grado di prendermene cura.
Siamo tutti in salotto, seduti sul divano e i miei nipoti sono in silenzio. Probabilmente sono spaesati.
Non vedo molti cambiamenti in loro. I gemelli, Anita e Alexandre, sono seduti uno accanto all’altra e spostano lo sguardo da me a Deena; Lavinia, la piccola, è seduta in braccio a Plutarch. È sempre stata una bambina espansiva e socievole, sono enormemente sollevata dal fatto che l’esperienza della guerra non abbia cambiato questi aspetti del suo carattere.
Restiamo a parlare del più e del meno ancora per un po’. Deena mi chiede che cosa sto facendo per vivere, io le rispondo e Plutarch esagera sull’importanza del mio lavoro…
I bambini si rilassano un po’ e rispondono a qualche domanda semplice, come quello che stanno facendo a scuola o come si trovavano all’istituto.
Quando i bambini sono a loro agio, Plutarch e Deena decidono che è il momento di andare.
Plutarch mi fa promettere di chiamarlo se dovessi avere bisogno di aiuto, poi mi lascia sola con i miei nipoti.
Sapevo che sarebbe stato difficile, ma non immaginavo così tanto… guardo Anita e Alexandre e mi sembra di rivedere mia sorella Allie a tredici anni. Si somigliano moltissimo, se non fosse per gli occhi. Entrambi hanno gli occhi di loro padre.
Lavinia invece è identica a mia sorella quasi in tutto, però ha i miei stessi capelli.
Non so ancora come comportarmi con loro, non vorrei dire cose che li facciano stare male, non posso parlare di Allie, non posso parlare di Nolan, non posso parlare di quello che mi è successo durante questi mesi… fortunatamente è Alexandre a rompere il ghiaccio. “Allora, dove dormiremo?”
Giusto, quasi dimenticavo. Gli sorrido e faccio cenno a tutti e tre di alzarsi e di seguirmi. “Ho solo una camera da letto in più, ma ho fatto portare altri due letti così potrete stare comodi. Spero vada bene…”
“Sempre meglio del dormitorio.” Commenta Anita con un mezzo sorriso. Anche se non è stata il massimo della gentilezza, non dico niente e mi limito ad annuire.
Li aiuto a sistemare le loro cose, non hanno molto, solo dei vestiti e Lavinia dei giocattoli. Quando finiamo, Anita e Alexandre mi chiedono se possono andare a guardare la televisione e dopo avergli dato il permesso, vado in cucina per preparare da mangiare.
Prima della prigione ero abituata a cucinare da sola, dopo ho perso un po’ la mano, ma in questi quattro mesi ho fatto di nuovo pratica. Non sono mai stata particolarmente dotata, ma in genere preparo piatti almeno commestibili.
Lavinia mi raggiunge in cucina chiedendomi se può darmi una mano, sono felice di accettare il suo aiuto e insieme ci mettiamo a cucinare.
Io taglio la verdura che lei ha lavato e che mi passa, dal momento che oggi fa più freddo del solito, decidiamo di cucinare un minestrone caldo.
“Sei cambiata.” Mi dice all’improvviso e io sorrido alla sua espressione innocente.
“È vero.” Le rispondo, perché non c’è motivo di negarlo. Il mio cambiamento è palese. Quando sono arrivati, a dire il vero, per poco non mi riconoscevano. “Ti piaccio così?”
Lavinia annuisce convinta, sorridendomi ancora di più. “Mi piacciono i tuoi capelli, sono come i miei!”
È strano, ma se ci penso, forse è la prima volta che vede i miei capelli naturali.
Continuiamo a chiacchierare tranquillamente e a cucinare, poi portiamo tutto in salotto e a noi si aggiungono Anita e Alexandre. La cena prosegue tranquilla, ho modo di capire che i due più grandi sono quelli più provati dall’esperienza. Evitiamo ogni tipo di discussione che possa portare alla mente brutti ricordi.
Per loro è stata una giornata particolarmente stressante, quindi subito dopo cena decidono di mettersi a dormire.
Io approfitto del silenzio e della solitudine per mettermi a riordinare. Prima di andare in camera, mi soffermo davanti la stanza dei bambini per controllarli.
Lavinia sta dormendo, Anita invece è sveglia, Alexandre però è quello che attira di più la mia attenzione. Continua a rivoltarsi fra le coperte, aggrottando la fronte e borbottando parole senza senso.
“È normale.” Dice Anita, sollevando lo sguardo su di me. “Facciamo incubi di continuo, la maggior parte delle volte è il fuoco. Non lo svegliare, peggiora solamente.”
Non sono sorpresa da questa notizia, ormai dubito che esista qualcuno in grado di dormire sonni tranquilli. Le do la buonanotte, poi chiudo la porta.
Mi faccio una doccia veloce, poi mi infilo sotto le coperte. Sono stanca e vorrei provare a dormire almeno qualche ora…
Mi addormento subito ma dopo poco, non so quanto, vengo svegliata da una mano che mi strattona la spalla. “Zia Effie, svegliati! Zia Effie?”
“Sono sveglia.” Biascico mentre cerco di capire che cosa sta succedendo, la luce sul mio comodino è accesa, dopo qualche istante di confusione i miei occhi mettono a fuoco Lavinia. “Che succede?”
La bambina sembra preoccupata, china la testa e comincia a fissarsi i piedi.
“Hai fatto un brutto sogno?” Le chiedo, ma lei scuote la testa.
“Ho bagnato il letto…”
Mi passo una mano sul viso, cercando di svegliarmi del tutto e poi mi sforzo a sedermi sul letto. “Non fa niente, andiamo a darci una ripulita. Va bene?”
Lavinia annuisce e mi prende per mano, non sono abituata ad un gesto del genere, ma ricambio la stretta e l’accompagno in bagno.
Quando torniamo in camera sua la aiuto a cambiarsi e poi, facendoci aiutare da Anita, che non si era ancora addormentata, portiamo fuori al balcone il materasso.
Non avendo più un letto dove dormire, Lavinia torna in camera con me e insieme ci infiliamo sotto le coperte.

Durante le prime settimane Lavinia continua a bagnare il letto tutte le sere, alla fine ha cominciato a dormire direttamente con me, perché pare sia l’unico modo per evitarlo.
Sono venuta a sapere che Anita aggirava il problema degli incubi cercando di restare sveglia tutta la notte; alla fine sono riuscita a convincerla a provare a dormire, ma dopo qualche giorno e una seduta dalla dottoressa, lei le ha prescritto le mie stesse pillole per dormire.
I miei incubi con loro in casa sono diminuiti, forse è anche la presenza di Lavinia accanto a me che mi fa dormire meglio.
L’assenza di incubi mi ha portata a sognare tutto ciò che mi manca, a partire da mia sorella ad Haymitch, a Portia e a Cinna.
Flavius, Octavia e Venia sono partiti da poco, però mi telefonano di continuo per sapere come stiamo.
Ho anche ripreso i contatti con Johanna; ci siamo scambiate qualche lettera ultimamente e mi ha detto che si è trasferita al Distretto 4 per stare vicino ad Annie e al piccolo Finn, mi ha anche mandato delle foto del bambino.
Le cose sono ben lontane dall’essere perfette, però non sono più sola. Ho la mia famiglia accanto e al contrario di quanto pensassi, ho scoperto di aver bisogno dei bambini tanto quanto loro hanno bisogno di me.

 
A/N: Salve a tutti! Grazie mille per aver letto questo capitolo e il primo. Grazie mille anche per i commenti positivi, spero di riceverne anche per questo! :)
Come avevo accennato, i nipotini sono arrivati. Non sarà facile ma presto staranno tutti meglio, nel prossimo capitolo infatti vedremo come tutti si adatteranno alla nuova vita.
Sto già scrivendo il prossimo capitolo, provo a postarlo domani. Dal 18 al 23 vado fuori per le vacanze di pasqua, spero di riuscire a collegarmi con la chiavetta ma non ne sono sicura… comunque al massimo non mi farò sentire per una settimana.
Gli attori che ho usato per i nipoti (quelli che sono anche nella foto promozionale) sono Dakota Fanning (Lavinia – si lo so uso sempre le due Fanning, ma erano perfette per Effie e Allie e quindi continuo ad usarle per la loro versione bambina) Robbie Kay (Alexandre) e Chloe Moretz (Anita).
Ancora grazie, alla prossima!
 

x Lily

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Capitolo 3
*** 1x03 Voglia di normalità ***


1x03 Voglia di normalità
 
“Chi è Haymitch, zia Effie?” Mi chiede Lavinia una mattina, mentre mi sta aiutando a rifare il letto.
La domanda mi coglie del tutto impreparata e finisco per lasciar stare le lenzuola per poter osservare mia nipote e cercare di capire come mai mi ha fatto una domanda del genere.
Nei tre mesi che sono stati qui sono stata attenta a non nominare nessuno che avesse partecipato alla ribellione, è diventata una specie di regola della casa. Forse ha sentito parlare di lui a scuola. “Perché me lo chiedi?”
Lavinia non risponde subito, sembra pensarci un po’ su, poi si decide. “Continui a nominarlo mentre dormi…”
Questa notizia fa più male di quanto dovrebbe, fisicamente male. Provo a ribattere, ma quando inspiro per parlare, il respiro mi si blocca nel petto e tossisco più volte prima di riuscire a riprendere il controllo.
Lavinia, che non è nuova a questi miei momenti, mi versa tranquillamente un bicchiere d’acqua e me lo passa.
“È un vecchio amico.” Rispondo, dopo aver bevuto qualche sorso. Mentire e dire che non ne ho idea ormai è fuori questione… è piccola, non stupida.
“È morto?”
Non voglio avere questa conversazione, non parliamo mai dei morti, né facciamo domande sui vivi. “No.” È l’unica cosa che rispondo, forse un po’ troppo bruscamente, poi metto giù il bicchiere e torno ad occuparmi del letto. “Vieni qui, dammi una mano per favore.”
Fortunatamente lascia perdere le domande su Haymitch e non chiede più nulla; comincio a credere che non sia stata la mia migliore idea lasciarla dormire con me.
Durante la colazione le cose non vanno meglio. Anita e Alexandre vogliono andare ad una festa di compleanno di uno dei loro compagni di scuola, io non sono convinta che sia una buona idea.
A quanto dicono sarà una festa in grande stile, come quelle che ormai si vedono poco. “Anita, tu hai paura dei rumori forti.” Le dico passandole il latte. “Ci sarà musica a tutto volume, non voglio che ti senta male…”
Lei non ribatte e so di aver centrato il bersaglio, poi passo lo sguardo su Alexandre, che sta cercando in tutti i modi di evitare i miei occhi. “Alex, come la mettiamo con le folle? Ho dovuto chiamare Fulvia solo due settimane fa per farti venire a prendere a scuola…” Non ho ancora smesso di ringraziarla ogni volta che passa la mattina; Alexandre si era sentito male durante una proiezione in aula magna, non potevo fare nulla da qui se non chiamare qualcuno per andare a prenderlo. Fulvia non se lo è fatto ripetere due volte.
Lavinia se la ride sotto i baffi ma il mio sguardo la fa tacere. “Non è educato ridere dei problemi altrui.” La rimprovero.
“Ma zia,” Torna all’attacco Anita. “La festa non è fra qualche giorno… è fra più di un mese, può darsi che staremo bene.”
“Se la festa è fra un mese, provate a chiedermelo più avanti.” Non voglio dire di sì a qualcosa che so li farà stare male.
“Andiamo, per favore!” Adesso è Alexandre a provare a convincermi, forse spera che le buone maniere possano smuovermi. Ebbene, questa volta non sarà un ‘per favore’ a farmi dire di sì.
“Se volete una risposta adesso, la mia risposta è no.” Dico con tono risoluto.
“Ma…” Provano a ribattere, ma li interrompo sollevando una mano.
“Richiedetemelo fra qualche settimana e può darsi che cambierò idea.” Mi tampono la bocca con un fazzoletto e mi alzo, scusandomi.
Torno in camera mia e mi siedo sul letto, ho veramente bisogno di riflettere. Non è così semplice come possono credere, sono preoccupata per loro. Non voglio che soffrano e un ambiente caotico come quello di una festa sicuramente non gli farà bene.
Quando esco dalla mia stanza, tutti e tre sono già usciti per andare a scuola.
Comincio a sistemare il salotto mentre aspetto Fulvia con il mio lavoro giornaliero, che non tarda ad arrivare.
Per una volta la invito dentro e lei accetta volentieri, preparo velocemente un tè e ci sediamo al tavolo del salotto. Ho bisogno di chiedere consiglio a qualcuno.
Le espongo i miei dubbi e lei sembra prendere la cosa molto seriamente; si porta la tazza alle labbra e soffia distrattamente sul vapore. “Puoi vedere se i loro disagi diminuiranno in questo mese e poi valutare… se hai dei dubbi puoi sempre chiedere alla tua dottoressa della loro situazione.”
Annuisco, cominciando a sorseggiare il tè poco alla volta. “Sono solo preoccupata.” Non so per quale ragione, ma mi sento in dovere di difendere il mio punto di vista.
Fulvia sembra capire, ma non la vedo convinta. “Hai sicuramente i tuoi motivi, ma prova anche a capire i loro.” Dice, poi si interrompe per poter bere. “Ne hanno passate tante e vorrebbero un po’ di normalità. Forse vedono questa festa come la possibilità di tornare alla loro vecchia vita.”
Ad essere onesta, non avevo pensato a questo aspetto della faccenda. All’inizio anche io avevo fatto di tutto per tornare subito quella che ero, poi ho capito che non era possibile.
Loro però non hanno subito quello che ho dovuto subire io, forse se li lasciassi andare starebbero meglio.
Continuo a chiacchierare con Fulvia finché lei non deve andarsene per andare a lavoro e io comincio a fare il mio.

Dopo aver riflettuto a lungo, sono arrivata alla conclusione che posso lasciar andare i ragazzi.
Fulvia aveva ragione a proposito dei motivi che li hanno spinti a insistere così tanto e se io non riesco ad andare avanti, non devo impedire a loro di provare a farlo.
Non sono più successi incidenti come quello di Alexandre e la cosa mi ha rassicurato molto. In breve tempo, il giorno della festa è arrivato e io mi sono offerta di aiutarli a prepararsi, per dimostrare ad entrambi il mio totale appoggio.
Alexandre è già pronto da un pezzo quando entro nella loro stanza, Anita, invece, è ancora in alto mare.
Per l’occasione sono andati a comprare dei nuovi abiti da indossare, accompagnati ancora una volta da Fulvia. Avrei tanto voluto esserci e ho anche provato a prepararmi per uscire con loro, ma arrivata alla porta di casa, come al solito, mi sono fatta prendere da un attacco di panico.
Per consolarmi, Fulvia mi ha mandato in diretta sul telefono le fotografie dei vestiti di entrambi, per coinvolgermi nella decisione.
Sia Anita che Alexandre indossano degli abiti incantevoli, di un celeste molto chiaro, per far risaltare gli occhi di tutti e due.
Con il mio lavoro – pagato decisamente in modo eccessivo – non è stato difficile accontentarli entrambi.
Aiuto Anita a sistemare i capelli, osservandola attraverso il riflesso del lungo specchio davanti al quale ci troviamo.
Mi sembra di nuovo di rivedere Allie e un nodo mi stringe lo stomaco. Dovrebbe esserci lei al mio posto.
Lei aveva tutto questo da cui tornare, io ho perso tutto… non è giusto.
Anita deve notare che il mio sguardo si è rattristato. “Che c’è?” Mi chiede, preoccupata.
Io scuoto la testa e le dico che va tutto bene, le sistemo l’ultima forcina fra i capelli e la lascio andare.
Una decina di minuti più tardi siamo tutti in salotto, stiamo aspettando che la madre di uno degli invitati passi a prendere i gemelli. Mi hanno assicurato che si comporteranno bene e che non faranno tardi, so chi li accompagnerà alla festa e chi li riporterà qui.
Non posso dire di non essere nervosa, ma devo fidarmi di loro.
Il telefono di Alexandre squilla e lui risponde, quando la telefonata finisce, dice che lui e Anita devono scendere. Li abbraccio davanti alla porta e faccio le ultime raccomandazioni, poi li faccio uscire.
Restiamo sole io e Lavinia, dal momento che questa storia della festa l’ha fatta un po’ ingelosire, decido che questa sera mi dedicherò solo a lei.
Prepariamo insieme la cena e poi ci mettiamo sul divano a guardare i suoi programmi preferiti, poi lei mi chiede di pettinarle i capelli come ho fatto ad Anita.
Accetto volentieri e quella che era una semplice pettinatura diventa un vero e proprio trattamento di bellezza.
Dopo un’ora mi ritrovo stesa sul divano con Lavinia che si diverte a disegnare ghirigori sulle mie gambe con pennarelli per il corpo, insistendo che dovrei farmi dei tatuaggi simili a quelli che ha Fulvia sul viso.
Quando tocca a me disegnare, le sue richieste sono piuttosto precise… vuole un gatto sul braccio, una stella sulla guancia e un cavallo sul dorso della mano.
Le mie doti da disegnatrice non sono mai state un granché. Il gatto sembra più un ragno, la stella fortunatamente è decente, ma il cavallo non somiglia nemmeno vagamente a come dovrebbe essere. Ad essere sincera somiglia molto di più ad un cane grasso.
Lavinia è comunque entusiasta del risultato…
Ci mettiamo a giocare con Pumpkin e poi, verso le dieci di sera, la metto a letto. Le dico che devo restare sveglia per aspettare che tornino i gemelli ma che se ha bisogno può venirmi a chiamare in qualsiasi momento.
Vado a controllarla ogni quindici minuti e dopo mezz’ora si è già addormentata.
Sono quasi le undici quando suona il campanello, è strano perché mi avevano detto che sarebbero rimasti lì fino a mezzanotte.
Quando apro la porta mi ritrovo davanti Anita e Alexandre, accompagnati da Plutarch. Senza dire nulla, i due ragazzini entrano in casa e Alexandre mi abbraccia e non faccio in tempo a ricambiare l’abbraccio che si è già separato.
Mi dà velocemente la buonanotte e poi sgattaiola in camera sua, seguito a ruota da Anita, che prima di andare mi lancia uno sguardo dispiaciuto.
Plutarch si chiuse la porta alle spalle e mi fa cenno di seguirlo sul divano.
Sono confusa, non so casa pensare. So che non c’è bisogno che chieda, perché sarà lui a dirmi cosa è successo.
“Alex si è sentito male, Anita stava bene, ma non è voluta restare lì senza suo fratello.” Mi dice e io respiro profondamente.
Non mi sarei dovuta lasciare convincere, lo sapevo che sarebbe finita così.
“Comunque ora sta bene, è stato solo un piccolo attacco d’ansia. Anche altri ragazzi hanno avuto qualche problema. È normale… stanno facendo molti progressi.”
Le sue parole non sono molto di conforto, se è come dice, però, può darsi che col tempo le cose andranno meglio per loro. Era troppo presto comunque, e io avrei dovuto essere più decisa.
“Effie, non devi fartene una colpa, sono-” Non riesce a finire la sua frase, perché lo interrompo.
“Perché sei andato a prenderli?” Il mio tono di voce non è dei più gentili, ma comincio a risentire della stanchezza e vorrei solo andare a dormire e dimenticare questa serata.
“Anita ha chiamato Fulvia subito dopo che Alexandre si è sentito male, ma lei non poteva muoversi quindi sono andato io.” Risponde lui tranquillamente, capendo il mio stato d’animo. “Avrebbe chiamato te, ma tu a tua volta avresti chiamato qualcuno e ha pensato che in questo modo avrebbe fatto prima.”
Non posso essere arrabbiata per questo, è esattamente quello che sarebbe successo, ma posso sentirmi delusa, non da lei ma da me stessa. Non solo li ho lasciati andare ad una festa dove sapevo che si sarebbero sentiti a disagio, ma mia nipote crede – senza essere nel torto – che io non possa essere d’aiuto.
“Mi hanno esplicitamente chiesto di non farti pesare la cosa…” Aggiunge Plutarch, come se potesse leggermi nel pensiero. Forse la mia espressione è semplicemente inequivocabile. Quando non aggiungo nulla, Plutarch cerca di stringermi la mano per confortarmi, ma io mi sottraggo al contatto. “Effie…” Adesso sembra dispiaciuto. “Se c’è qualcosa che posso fare per aiutarti, non esitare a chiedermelo.”
Questo mi suscita una risata nervosa spontanea. Distolgo lo sguardo e scuoto appena la testa. “Mio nipote si sente male ad una festa e il Segretario delle Comunicazioni lo va a prendere.” La mia voce questa volta suona più aspra di quanto vorrei, ma non riesco ad evitarlo. Ogni volta che Plutarch o Fulvia mi parlano ho sempre la sensazione che si sentano in colpa. Che si sentano obbligati a fare quello che fanno. E quello che fanno è sempre molto di più di quello che dovrebbero fare.
“Ho solo pensato che mandare qualcuno che non conoscessero avrebbe peggiorato la situazione.” Mi spiega lui, continuando a mantenere un tono calmo, il che mi fa innervosire ancora di più.
Cerco di mantenere la calma, perché so che in condizioni normali non reagirei in questo modo e devo restare lucida. “Non c’è altro che tu possa fare. Hai già fatto abbastanza, anzi, hai fatto anche più di quanto avresti dovuto.” Gli dico, poi prendo un respiro profondo e conto mentalmente fino a dieci prima di continuare. “Mi hanno detto quello che avete fatto tu ed Haymitch al Distretto 13.”
Improvvisamente contare fino a dieci non è più sufficiente, perché pronunciare quel nome, di fronte a Plutarch, non fa altro che riportare alla mente altri ricordi dolorosi. Cerco di controllare la voce prima di parlare di nuovo. “Non so perché continui a comportarti in questo modo, come se tutto mi fosse dovuto, come se ti sentissi obbligato, ma ti assicuro che non ne hai motivo, non hai colpa di quello che è successo.”
Mi aspettavo una risposta, qualcosa che avesse a che fare con il risarcimento che ho dovuto pagare e che mi ha lasciata al verde o qualcosa sul fatto che forse avrebbe potuto evitare quello, che potrebbe fare di più per avere notizie su mia sorella, invece non dice nulla. Si alza e mi saluta, dicendomi che mi telefonerà l’indomani per sapere come sta Alexandre.
Forse ho esagerato, forse avrei dovuto evitare di parlare. Mi limito ad annuire e ad accompagnarlo alla porta.
Se prima la situazione mi metteva in imbarazzo, ora sono completamente spaesata. Non so più come comportarmi e non posso fare a meno di sentire l’ansia crescere sempre di più. Comincio a pensare che ci sia qualcosa sotto.


A/N: Ce l’ho fatta! Non sono sicura sia all’altezza, ma ci tenevo tantissimo ad aggiornare oggi. Essere in ritardo alla propria festa di compleanno è un’arte! Questo è più importante di una torta (?) .-.
Comunque, come anticipato nella scorsa nota, partirò domani e tornerò il 23. Non so se potrò aggiornare fino a quel momento…
Vi lascio con il titolo del prossimo capitolo: I 76^ Hunger Games.
Vi avevo già detto che sono cattiva? Sono cattiva. Buona Pasqua!
Alla prossima,
 

x Lily

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Capitolo 4
*** 1x04 I 76^ Hunger Games ***


1x04 I 76^ Hunger Games
 
A distanza di una settimana dalla festa, Alex e Anita ancora non ne vogliono parlare.
Rispetto la loro decisione e non insisto, so che per lui è un grosso fallimento e non voglio infierire.
Quest’anno la primavera è più fredda del solito, però dicono che a breve cominceranno ad arrivare i primi raggi di sole. I ragazzi ne sono entusiasti, mi hanno raccontato che ogni anno, per il loro compleanno, mia sorella li portava a festeggiare in piscina.
È la prima volta che parlano apertamente di qualcosa che succedeva prima della guerra, la prendo come una cosa estremamente positiva e gli prometto che in un modo o in un altro quest’anno non salteranno la tradizione, anche se probabilmente non sarò io ad accompagnarli.
È un venerdì mattina e Fulvia mi porta gli ultimi documenti della settimana; i bambini sono da poco andati a scuola, quindi mi sistemo tranquillamente al tavolo del salotto e comincio a sistemare le carte.
Sono una serie di fascicoli spillati, riguardano dei progetti per dei nuovi programmi televisivi a cui sta lavorando Plutarch. Ci sono anche dei dati sugli ascolti dei programmi appena finiti, tra cui il suo preziosissimo programma musicale, al cui fascicolo c’è attaccato un documento per rinnovarlo.
Non so quante volte mi ha chiesto di guardarlo per sapere cosa ne pensavo, non l’ho mai fatto… però Anita non perde una puntata.
Fra le pile sui talkshow ci sono anche delle liste sui possibili ospiti, faccio scorrere distrattamente gli occhi sui nomi e ne riconosco alcuni, tra cui Gale Hawthorne. Ricordo di averlo visto al Distretto 13, ma ancora più spesso in televisione, sempre durante le interviste.
Cerco di cacciare l’invasione dei ricordi che premono per riempirmi la testa.
Vado a prendermi un bicchiere d’acqua per distrarmi e al mio ritorno scopro che Pumpkin ha deciso che la scatola con il mio lavoro è la sua nuova, comodissima cuccia.
Con il sorriso sulle labbra lo prendo in braccio e lo faccio uscire, poggiandolo sul tavolo. Per assicurarmi che non abbia rovinato i documenti, li tiro tutti fuori e gli regalo la scatola. Subito torna ad infilarcisi dentro.
Mi prendo qualche secondo per osservarlo giocare, poi torno ad occuparmi del mio lavoro.
Sistemo da una parte tutti i fascicoli che ho già letto e timbrato, poi passo a quelli nuovi.
Prima di controllarli uno per uno, do uno sguardo veloce per verificare di che cosa si tratti.
Altri talkshow, uno o due film da decidere quando mandare in onda, diversi programmi educativi per bambini.
Un fascicolo in particolare cattura la mia attenzione. Sulla prima pagina c’è solo la scritta, negli stessi caratteri con cui sono stati scritti tutti i volantini post-bellici che mi sono arrivati per posta: Hunger Games.
Subito penso che ci sia un errore, che deve essere finito nella mia pila per una distrazione da parte di Fulvia.
Sono indecisa se ignorarlo e continuare a sfogliare gli altri file, poi la curiosità vince e faccio spazio sul tavolo per permettermi di dare a quel singolo fascicolo l’attenzione che merita.
Faccio scorrere le dita sulla prima pagina e mi decido a girarla; delle diverse righe che mi ritrovo a leggere, è una sulla quale mi concentro.
Settantaseiesima edizione.
Non ha senso. Assolutamente nessun senso… Che significa ‘sessantaseiesima edizione’?
Con il battito cardiaco accelerato e una pessima sensazione, continuo a leggere il resto del fascicolo, senza soffermarmi sull’intero documento e cercando di capire le informazioni principali, dimenticandomi completamente di tutto il resto.
Lo sguardo mi cade su un piccolo paragrafo, la trascrizione di qualcosa detto dalla presidente Coin.
“Invece di eliminare tutta la popolazione di Capitol City, organizziamo un’ultima, simbolica edizione degli Hunger Games, utilizzando i bambini imparentati direttamente con gli uomini di maggior potere.”
Leggo e rileggo quelle parole più volte, cercando di dargli un senso. Se prima non capivo, adesso sono ancora più confusa.
Porto una mano alla fronte e mi massaggio le tempie. Deve esserci un errore.
Continuo a leggere, l’ansia sale ancora di più. Comincio a comprendere, la realizzazione è troppo pesante.
Le forze mi abbandonano, mi lascio andare contro lo schienale della sedia e tiro indietro la testa. Eliminare tutta la popolazione. Le parole appaiono nero su bianco dietro i miei occhi chiusi. Ultima, simbolica edizione. Non è possibile, credevo che la guerra fosse stata fatta proprio per fermare i giochi. Bambini imparentati direttamente con gli uomini di maggior potere.
È in quel momento che l’informazione mi colpisce.
Bambini imparentati direttamente con gli uomini di maggior potere.
Nolan. Nolan era uno dei primi strateghi.
Mio cognato, il padre dei miei nipoti. Alex e Anita. Se ci dovesse essere una mietitura, loro potrebbero essere sorteggiati.
Le forze tornano all’improvviso e la velocità con cui torno dritta sulla sedia spaventa a morte Pumpkin, che salta arcuando la schiena e facendo volare via qualche foglio.
Devo saperne di più, devo continuare a leggere.
L’idea è frutto della mente della Coin; a quanto pare è stata fatta una votazione subito prima dell’esecuzione di Snow.
Perché ci ha messo cinque mesi per arrivare fra i miei fascicoli? Se era stato deciso così tanto tempo fa, perché me lo ritrovo fra le mani adesso?
Una votazione. L’idea era di Coin, ma altre persone avrebbero potuto fermare questa follia.
Riprendo a leggere, non c’è molto altro. Sto per chiudere il fascicolo quando mi rendo conto che c’è un foglio di quaderno spillato all’ultima pagina.
L’ho letta talmente tante volte in questi ultimi mesi che riconosco la grafia disordinata di Plutarch. Ad una prima occhiata sembra una lista di nomi, sono ancora confusa e devo rileggerla una seconda volta per capire di cosa si tratta.
È esattamente quello che volevo sapere, la lista delle persone che hanno preso la decisione finale.
Ci sono tre no: Peeta, Annie e Beetee. E poi ci sono quattro sì: Enobaria, Johanna, Katniss ed Haymitch.
In un momento di rabbia appallottolo quel foglio di quaderno e lo lancio lontano, con la coda dell’occhio vedo Pumpkin che lo assale per giocarci.
Poggio i gomiti sul tavolo e seppellisco il volto fra le mani, cercando di controllare il respiro.
Non so come sentirmi, un insieme di emozioni mi assale. Rabbia, delusione, terrore, disperazione.
Come hanno potuto? Perché?
Devo parlare con Plutarch. Ora.
Mi alzo e vado verso il telefono, provo a mettermi in contatto con il suo ufficio ma una voce registrata mi informa che al momento non c’è.
Non ho nemmeno controllato che ore sono, uno sguardo veloce all’orologio e mi rendo conto che a quest’ora Plutarch è ancora a casa…
Provo a chiamarlo, ma non risponde. Non può essere uscito… possibile che stia evitando le mie telefonate? Comincio a credere che quel fascicolo trovato per caso non sia affatto una coincidenza.
Che devo fare? Che posso fare? Niente se continuo a stare chiusa qui dentro.
Provo a pensare, a farmi coraggio e a decidere di uscire.
Poi mi rendo conto che è tutto inutile, non uscirò di casa se continuo a pensare a che cosa sto facendo.
Tutte queste volte, tutte le volte che ho provato a farlo, è sempre stato per me stessa. Per riprendere a vivere.
Questa volta è diverso, non è per me. È per loro, per i miei nipoti.
Non ho scelta, devo farlo.
Agguanto la prima giacca sottomano, che inevitabilmente non è mia. È di Anita e mi va stretta, ma non posso tornare in camera da letto. Se metto piede in quella stanza non la lascerò più. Prendo le chiavi di casa e me le infilo in tasca.
La stanza è improvvisamente silenziosa.
Non sento niente, solo il battito del mio cuore. Afferro la maniglia della porta e la giro, senza esitare spalanco la porta e chiudo gli occhi. È l’unico modo.
Faccio un unico passo e mi tiro la porta dietro, sento la serratura scattare e contemporaneamente il mio cuore manca un battito.
Non ce la faccio, non posso farcela.
Devo tornare dentro.
Apro gli occhi e la vista si sdoppia, mi volto e comincio a cercare di infilare le chiavi nella serratura, ma le mani tremano e non riesco a farlo.
Questo mi dà il tempo di cambiare di nuovo idea, non posso fermarmi. Non adesso…
Chiudo di nuovo gli occhi e respiro profondamente e lentamente. Spero che gli esercizi di respirazione fatti con la dottoressa servano a qualcosa.
Dopo un po’ mi calmo e riapro gli occhi. Prendo in considerazione l’ascensore ma l’idea di chiudermi dentro non mi esalta, quindi mi avvicino alle scale.
Dopo il primo scalino mi assale una terribile nausea, ma stringo i denti e abbracciando il corrimano comincio a scendere lentamente.
Sette piani a piedi, senza incontrare nessuno, e arrivo finalmente davanti al portone, dopo quella che mi è sembrata una vita.
Ora devo uscire all’aria aperta.
Da quando metto piede fuori, a quando busso violentemente contro la porta di Plutarch, per me è un attimo. Non so come sia finita qui, non ricordo nulla se non una sensazione strana. Sono completamente spaesata, la mia mente vacilla. Devo restare concentrata.
Finalmente Plutarch si decide ad aprire la porta e per un attimo io non so che cosa fare.
Mi ritrovo in piedi, davanti a lui, che mi guarda stranito, sorpreso e preoccupato.
Prova a chiedermi che cosa ci faccia qui, ma non gli do il tempo di finire di parlare, arrivando subito al punto della questione.
Inizialmente Plutarch sembra confuso, ma comincio ad essere stanca dei suoi giochi.
“Non sono una stupida.” Gli dico, senza abbassare lo sguardo. Sento le mie mani tramare e non faccio niente per fermarle. “Quel fascicolo è vecchio di cinque mesi. E pensi che io sia tanto ingenua da credere che sia finito lì per caso? Una settimana dopo la mia scenata?” Riesco quasi a percepire l’adrenalina che mi scorre nelle vene.
Mi tiene in piedi e mi fa parlare.
“Sei un codardo. Avevi pianificato tutto?” La sua gentilezza, la sua disponibilità, era tutto perché si sentiva in colpa? Sapeva tutto su quei giochi, sapeva che i miei nipoti sarebbero stati in pericolo di vita e non mi aveva detto nulla.
Tutte le volte che aveva insistito per farli affidare a me prima del tempo, voleva provare a fargli vivere quelli che sarebbero potuti essere gli ultimi mesi in maniera decente?
“Mi hai dato questo lavoro per poter farmi leggere quel fascicolo quando ti era più comodo?” Non riconosco la mia voce, è completamente estranea.
Plutarch per una volta è senza parole, vedo il panico nei suoi occhi. Cerca di farmi calmare, di farmi ragionare. “Effie, ti assicuro che-”
“Non sei stato nemmeno in grado di dirmelo di persona?” Lo interrompo di nuovo. “Sei un codardo.” Ripeto, ed è l’unica cosa che posso dirgli, anche se vorrei chiamarlo in mille modi diversi. Non posso, perché sono ancora una signora e voglio mantenere la mia dignità, dal momento che di qui a poco potrebbe essere l’unica cosa che mi resterà.
Plutarch porta le mani in avanti, come per proteggersi. “Effie, per favore fammi parlare. Ascoltami solo per un attimo.”
Resto in silenzio, pronta ad ascoltare le sue stupide scuse. Devo riprendere fiato, l’adrenalina comincia a svanire e le gambe si appesantiscono. Presto mi faranno male e non sarò più in grado di restare in piedi.
“Dopo la guerra i ribelli volevano giustizia. Piuttosto che una strage, la Coin ha pensato di trovare una soluzione che accontentasse tutti.”
Ora sono io ad essere senza parole, è sul serio questa la gente che ci sta governando ora? Una manica di ribelli assetati di sangue capitolino? “Questa non è giustizia, è vendetta.”
Non ribatte, il suo sguardo però parla per lui. Dopo un lungo silenzio, Plutarch torna a guardarmi. “Non ero d’accordo.” Dice, e un sorriso amaro nasce sulle mie labbra. “Dopo la morte della Coin i pareri sono stati vari.” Si passa una mano sul viso, e poi distoglie nuovamente lo sguardo. “La presidente Paylor è contraria a questi ultimi giochi.”
La notizia dovrebbe finalmente darmi la rassicurazione che cercavo e invece non cambia nulla, il tono di voce usato da Plutarch sottintende che c’è dell’altro. “Però?” Lo incito.
“Però non è l’unica a dover decidere.”
“Ma è il presidente.”
“E anche la Coin lo era.” Ribatte secco, poi si contiene. “La proposta dei giochi è stata valutata e accettata dai restanti vincitori. Stiamo cercando di annullarla ma non è facile… la Coin sarà anche morta, ma i suoi sostenitori sono ancora vivi e vegeti.”
“Avresti potuto dirmelo prima.” Non ci sono molte altre cose che posso dire, la situazione mi sembra talmente irreale…
“E a che pro?” Allarga le braccia, e io distolgo lo sguardo; l’unica cosa che sento è una risata sarcastica. “Non c’è nulla che tu possa fare.” Subito si rende conto della crudezza delle sue parole e si scusa. “L’ho fatto per proteggerti, volevo evitarti un altro pensiero.”
Queste parole fanno scattare qualcosa nel mio cervello e prima che io possa registrarlo, il mio braccio si solleva e colpisco Plutarch con uno schiaffo in pieno volto. “Non ho bisogno di protezione. Non più!” Alzo la voce ma lo faccio senza nemmeno rendermene conto. Cerco di calmarmi, ma non ci riesco. Di nuovo tutto quello che mi hanno detto su Plutarch ed Haymitch, durante la mia permanenza al Distretto 13, torna alla mente. “Sono qui, sono viva e sto cercando di riprendere in mano la mia vita. Quello di cui ho bisogno è che qualcuno mi dica con onestà che cosa diavolo sta succedendo!” Urlo il mio sfogo e il cuore riprende a battere all’impazzata, sento gli occhi bruciare e le lacrime premere per uscire.
Mi manca l’aria, le pareti della stanza cominciano prima a chiudersi attorno a me e poi a girare.
Plutarch mi si avvicina e mi chiama per nome, cercando invano di catturare la mia attenzione. Lo sento, lo vedo, ma non riesco a rispondere.
Le gambe cedono, lui mi afferra per darmi supporto e improvvisamente non è più Plutarch. È lui, il Pacificatore dagli occhi verdi. È tornato ed è venuto per me.
Grido con tutto il fiato che mi è rimasto nei polmoni e cerco di divincolarmi, ma mi stringe sempre più forte, finché non diventa tutto buio.

Dopo avermi fatta portare a casa in ambulanza, Plutarch mi ha chiamato diverse volte, ma non ho mai risposto.
Durante i due mesi che sono seguiti, ho smesso di ricevere Fulvia tutte le mattine, ma lo stipendio mi è arrivato ugualmente, anzi, ho ricevuto un aumento.
Se vivessi da sola non avrei accettato quei soldi, ma devo provvedere ai bisogni dei ragazzi e a quelli del mio gatto, quindi sono stata costretta.
Ho preso coraggio e ho scritto a Johanna, perché sono terrorizzata dall’idea di mettermi in contatto con Haymitch, o con Katniss e Peeta.
La risposta alla lettera mi arriva qualche settimana più tardi. Sono solo poche righe e come mi aspettavo, non sono parole di scuse.
Risponde semplicemente alle mie domande. Mi racconta come è andata, di come Peeta ha rifiutato per primo, di come Katniss invece ha accettato per sua sorella e di come Haymitch lo abbia fatto per supportare la decisione di Katniss. La cosa non mi sorprende affatto, quell’uomo non si è mai preso una responsabilità in tutta la sua vita, e mai lo farà.
Johanna è onesta sulle sue motivazioni, che condivide con Enobaria. Non si nasconde dietro la giustizia per dare uno senso alla vendetta.
La rabbia iniziale è svanita quasi subito. Io non so cosa avrei fatto se mi avessero messo di fronte ad una scelta del genere e spero di non doverlo mai scoprire.
Non ho notizie sui giochi, forse è un bene. Se Plutarch non mi dice nulla è perché non hanno ancora deciso che cosa fare, di questo ne sono certa.
Riesco ad uscire più spesso ora, senza dover combattere contro gli attacchi di panico. Ho rifiutato gli aiuti con la spesa, quindi sono stata costretta ad occuparmene io.
Manca poco al compleanno dei gemelli, se riesco ad impegnarmi, festeggeremo tutti insieme… devo solo sforzarmi di non pensare che questo compleanno potrebbe essere l’ultimo.


A/N: Salve! Ho inaspettatamente aggiornato con un giorno di anticipo…
Questo capitolo è stato difficilissimo da scrivere. Già solo il fatto che sia una Post-Mockingjay mi spinge ed essere un po’ OOC, però io cerco sempre di pensare a come potrebbe essere Effie dopo, quindi spero di essere rimasta almeno un po’ Effie. Non so nemmeno se mi sono spiegata adesso…
Sono distrutta… è stato un parto. Non potete capire, mi sono sentita male descrivendo l’ansia di Effie, perché ho provato sulla mia pelle la maggior parte di queste sensazioni e riviverle scrivendo è stata dura… spero almeno di aver reso bene l’idea.
Spero veramente che vi sia piaciuto, fatemi sapere che cosa ne pensate… se ho combinato un disastro, se vi piace l’idea, insomma fatemi sapere che sto combinando! Perché io sul serio non lo so. XD
Alcune parti si scrivono da sole, comunque io sento troppo la mancanza di Haymitch. So già che tornerà fra un qualche capitolo.
L’idea è di finire con questo primo anno fra due capitoli, poi attacco con il secondo… cercherò di far durare il secondo anno un po’ in più. Qualcosa come otto, nove capitoli.
Ho pensato che sei capitoli per cominciare sarebbero andati bene, volevo testare un po’ le acque e mi sembra che ci sia abbastanza materiale per continuare. Questo discorso lo volevo fare alla fine del primo anno, quindi ora la finisco qui.
Alla prossima,
 

x Lily

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Capitolo 5
*** 1x05 Rassegnazione ***


1x05 Rassegnazione
 
Deena, l’assistente sociale, ci fa visita regolarmente e ogni volta se ne va soddisfatta.
Non ho detto a nessuno dei giochi, è una cosa che mi sta facendo impazzire.
Siamo a giugno inoltrato ormai, il caldo è arrivato e presto arriverà anche il compleanno dei ragazzi. Dal momento che il compleanno di Lavinia cade solo una settimana dopo quello di Alex e Anita, i due gemelli hanno deciso che per quest’anno festeggeranno tutti insieme.
Ho accettato di riprendere a lavorare per Plutarch, perché le mie giornate erano troppo vuote e inoltre spero che in questo modo possa venire a conoscenza di qualcosa in più.
Ormai sono mesi che non ho notizie dal Distretto 12 ma ho troppa paura per chiedere informazioni. Temo possa essere successo qualcosa ai miei ragazzi o ad Haymitch.
L’ultima volta che Plutarch me ne ha parlato è stato credo tre o quattro mesi fa. Katniss stava migliorando gradualmente ma con risultati tangibili, così come Peeta.
Non mi ha mai detto molto su Haymitch, solo che dopo la disintossicazione al 13, era ricaduto nella morsa dell’alcool. Forse non ha aggiunto altro perché non c’era nient’altro da dire.
Ormai non mi crea difficoltà uscire per andare a comprare un regalo per i ragazzi, così, un pomeriggio vado al centro commerciale e impongo a me stessa di non andarmene finché non avrò quello che voglio.
È la prima volta che vengo qui dopo la guerra, so che era stato quasi tutto distrutto ma sopra le macerie del primo ne hanno costruito un altro identico.
È strano camminare per negozi cercando qualcosa che possa piacere ai ragazzi. Se mi concentro molto riesco anche a fare finta che tutto sia stato solo un incubo. Lo shopping mi aiutava quando ero nervosa, uscivo di casa e spendevo in un’ora lo stipendio di un mese.
Non me ne facevo un problema e ad essere onesta, se potessi comincerei a girare per comprare qualcosa anche per me, ma devo dare la precedenza ai regali.
Anche con tutti i vestiti che mi portava Flavius, non mi era mai tornata la voglia di fare spese, forse perché non c’era nessun posto dove andare. Ora che ho cominciato a rimettere il naso fuori di casa, ho anche ritrovato parte della mia vecchia passione per i colori.
Posso constatare con i miei occhi come la moda sia cambiata.
Di parrucche se ne vedono pochissime perché i prezzi sono saliti alle stelle. Molti si sono buttati sulle tinte, ma io non le ho mai apprezzate. Altri, come me, hanno deciso che non è una tragedia far notare il proprio colore naturale.
Se me lo avessero chiesto soltanto un anno fa, probabilmente avrei risposto che mai in vita mia sarei uscita senza parrucca. Soltanto un anno fa, mai avrei pensato che mi sarei ritrovata in questo stato.
Tornata a casa il mio bottino consiste in una bambola che Lavinia aveva puntato da settimane in televisione, un nuovo telefono per Anita e un videogioco per Alex. Per la prima volta sono stata grata dell’aumento che mi ha dato Plutarch…

Il giorno della festa è un’assolata mattina di luglio.
Come promesso, io e i ragazzi ci prepariamo per andare a festeggiare in piscina. Ho notato che l’umore dei gemelli non è dei migliori, come poterli biasimare? Ma mi assicurano che stanno bene e che non vedono l’ora di scartare i regali.
Arrivati in piscina mi rendo conto che le cose non saranno facili come avevo pensato: la folla mi infastidisce più del dovuto, l’odore del cloro impregna l’aria e mi provoca una sensazione di soffocamento, le luci artificiali che illuminano l’ambiente si riflettono sull’acqua della piscina, creando riflessi che ballano davanti ai miei occhi e mi fanno girare la testa.
Un’occhiata ai ragazzi mi fa rendere conto che loro stanno bene, almeno per ora, e questo mi rassicura. Cerco di tenere duro per il loro bene e vado a cercare un posto dove poterci mettere.
Non mi aspettavo di trovare così tante persone, evidentemente il caldo deve aver fatto radunare qui mezza Capitol City.
Solo metà della struttura è stata ricostruita, il giardino esterno che una volta era fonte di ritrovo, ora è chiuso al pubblico. L’interno consiste in diverse sale, troviamo una piscina piuttosto grande con meno folla e ne approfittiamo.
Fra qualche ora anche qui comincerà ad affollarsi, quindi mi godo questo poco tempo di relax che riuscirò ad avere.
“Zia Effie, possiamo aprire i regali adesso?”
Mi chiede Lavinia, dopo nemmeno mezz’ora dal nostro arrivo.
Subito i ragazzi si sono cambiati e sono andati a farsi una nuotata, Lavinia ha paura dell’acqua quindi è rimasta a bordo vasca sotto il mio sguardo vigile mentre con i piedi schizzava i due fratelli.
Dopo un po’ però la curiosità è diventata troppo forte ed è tornata di corsa qui, salendo con i piedi sul lettino e sedendosi in braccio a me.
La guardo con un sorriso e non riesco a dirle di no. Annuisco piano, poi allungo il collo per controllare dove sono Alex e Anita.
All’inizio non li riesco a vedere e comincio ad allarmarmi, poi Lavinia allunga il braccio e indica un punto poco distante da noi, seguo la traiettoria del suo dito e li trovo. Anita sta tentando di affogare giocosamente il fratello, che di tutta risposta le schizza in faccia dell’acqua. Li sento strillare da qui, non è esattamente il modo più elegante di comportarsi in un luogo pubblico, ma era da tanto che non li vedevo così contenti.
Non posso certo mettermi a chiamarli da qui, quindi faccio scendere Lavinia e poi la indirizzo dai fratelli. “Lavinia, per favore, va a chiamarli.”
Lei annuisce e trotterella contenta verso il bordo della piscina, senza avvicinarsi troppo. Quando sono tutti qui, i due più grandi cominciano ad asciugarsi.
“Cercate di essere più discreti, stavate dando fastidio alle persone attorno a voi. Non è educato fare tutto quel baccano.” Sono costretta a riprenderli, perché non posso lasciar correre. Però subito dopo aver ricevuto le loro scuse, sorrido contenta e indico con un cenno di capo la scatola con i regali che mi sono portata dietro.
Alex non se lo fa ripetere due volte ed è il primo ad agguantare il suo regalo, Lavinia è la seconda e passa ad Anita il resto.
Li guardo sorridente mentre scartano eccitati i loro regali e poi a turno mi abbracciano; in quel momento il pensiero di perderli torna presente nella mia mente, come un tarlo nel cervello e rabbrividisco.
I ragazzi si accorgono del mio repentino cambio d’umore e subito mi lasciano andare.
“Scusa.” Si affretta a dire Anita con uno sguardo preoccupato negli occhi, io scuoto la testa e le do un leggero bacio sulla guancia.
“Non è niente, comincia ad affollarsi un po’ troppo.” È un bene che abbiano frainteso la natura della mia ansia, così non ho niente da spiegare.
Non è del tutto falso, comunque. Il vociare della gente, sempre crescente attorno a noi, comincia sul serio ad essere pesante.
Credo che riuscirò a resistere ancora per poco, poi sarò costretta a tornare a casa. Sono comunque riuscita a resistere molto di più di quanto pensavo, solo pochi mesi fa non credevo sarei stata nemmeno in grado di venire qui.
Non devo chiedere troppo a me stessa.

Nonostante io cerchi in tutti i modi di capire se sta effettivamente succedendo qualcosa o è sempre tutto come prima, non riesco assolutamente a venirne a capo.
A distanza di tre settimane dal compleanno dei gemelli, nessuna notizia riguardante i giochi è ancora trapelata.
Plutarch non risponde alle mie domande, non come vorrei. Continua ad evitare l’argomento e a dirmi di aspettare, che sarà lui a tenermi aggiornata se dovesse succedere qualcosa.
Comincio a credere che stia di nuovo tentando di nascondermi qualcosa, quando una mattina si presenta alla mia porta.
Anche se ora esco regolarmente e senza troppi fastidi, ho ripreso a ricevere Fulvia tutte le mattine, semplicemente perché per me è più comodo restare qui piuttosto che muovermi e raggiungere i loro uffici.
In un primo momento credo sia venuto lui al posto della sua assistente a portarmi il lavoro di questa giornata, ma mi rendo subito conto che non regge nulla in mano.
La mia confusione dura un attimo, il panico prende immediatamente il suo posto.
Automaticamente mi volto a guardare verso la cucina, i ragazzi stanno ancora facendo colazione, dovrebbero andare a scuola fra poco.
Riesco a sentirli ridere e scherzare da questa distanza, Anita sta cercando di far scendere Pumpkin dal tavolo mentre Lavinia fa di tutto per farlo restare e fargli mangiare un pezzo del biscotto che ha in mano. Il tutto sotto lo sguardo divertito di Alex.
Torno a guardare Plutarch e non faccio nulla per nascondere la mia espressione preoccupata. Comincio a pensare a cosa dire ai ragazzi, come posso dirgli che presto potrebbero finire nell’arena?
Sto per porgere la stessa domanda a Plutarch quando sulle sue labbra si forma un sorriso e indica con un cenno della testa i ragazzi. “La Paylor è riuscita a far ritirare proposta. Entro due mesi tutte le arene verranno distrutte, non devi preoccuparti.”
Quelle parole ci mettono più del dovuto ad essere elaborate e non riesco a descrivere quello che provo in questo momento.
È come se mi avessero tolto un enorme macigno dallo stomaco e finalmente riuscissi a riprendere a respirare.
Gli occhi mi si chiudono automaticamente e inspiro profondamente; sento Plutarch che mi si avvicina e dal tono della sua voce riesco a capire che è preoccupato. “Effie?”
“Sto bene.” Mi affretto a dire, e mi faccio da parte per farlo entrare. Lui scuote la testa, dicendomi che deve andare in fretta in ufficio per una faccenda di cui non può ancora parlare.
Probabilmente non sembro molto sollevata, ma immagino di dover solo elaborare la notizia.
Era quello che volevo sentire, era quello che avevo bisogno di sentire e ora che è successo, non so come comportarmi.
Probabilmente devo fare finta che non sia successo nulla, come se la proposta degli ultimi Hunger Games non fosse nemmeno mai esistita.
Lascio andare via Plutarch e torno in cucina dai ragazzi.
Anita è riuscita a far scendere Pumpkin che ora sta mangiando avidamente il biscotto che Lavina gli ha passato sotto il tavolo.
Questa volta non devo sforzarmi per sorridere, li incito a finire altrimenti faranno tardi a scuola e poi vado a prepararmi, prima che arrivi Fulvia.

Forse le cose andranno finalmente bene, forse riusciremo a far funzionare questa nuova vita.
Comincio a rassegnarmi all’idea che ormai è così che stanno le cose, che è così che deve essere.
In poco più di due mesi le cose si sono stabilizzate; Lavinia ora ha ripreso a dormire nel suo letto, gli incubi di Alex sul fuoco sono diminuiti e Anita dorme regolarmente anche senza l’aiuto delle pillole.
Ogni tanto faccio un salto nell’ufficio di Plutarch, quando sono particolarmente di buon umore e la cosa sta succedendo sempre più spesso. Non era certo questo il lavoro che mi aspettavo di fare quando ero una ragazzina, ma niente di tutto questo era programmato. Ora non posso lamentarmi, sto quasi bene.
Ho smesso di pensare a quella che un tempo era la mia squadra.
Plutarch non mi dice quasi più nulla, probabilmente stanno continuando la loro vita al Distretto 12, esattamente come io sto cercando di continuare la mia qui alla Capitale.
Non è facile, ogni volta che mi tornano in mente, per una qualsiasi ragione, fa male.
È un’altra cosa su cui mi sono rassegnata. Non rivedrò più i miei vincitori.
Non rivedrò più Katniss e Peeta. Non rivedrò più Haymitch.
Mi ritrovo a pensare a lui più spesso di quanto dovrei, soprattutto perché non so nulla su come stia ora. Per quanto ne so potrebbe essere morto senza che Plutarch mi dicesse nulla.
Col tempo, però, le cose si fanno un po’ più facili, ma non abbastanza. Riesco addirittura a convincere me stessa che era così che doveva andare. Come poteva andare diversamente?
Mi tornano in mente le parole che mi disse una volta, qualche giorno dopo la mietitura dell’edizione della memoria: sarebbe molto più facile se fossi una spina nel fianco tutto il tempo.
Ricordo che non capii, adesso invece capisco e non potrei essere più d’accordo. Non so che cosa darei perché nella mia mente ci fossero solo ricordi negativi, solo litigi e sfuriate. Momenti da dimenticare e nient’altro. E invece non fanno che affiorare alla memoria tutti gli altri. Ed è tremendamente difficile cercare di lasciarli andare.
Sono convinta che ci riuscirò, magari non oggi e nemmeno domani, ma un giorno mi sveglierò ed Haymitch Abernathy sarà solo un ricordo insignificante, abbandonato in un angolino del cervello, facile da ignorare.
E con la sua precisione, è proprio quel giorno che ricevo una telefonata.
All’inizio dall’altro lato della cornetta c’è solo il silenzio, sto per agganciare quando la sua voce arriva, un po’ esitante. “Ehi, Principessa.” Due parole e già mi accorgo che è ubriaco. Chiudo gli occhi e inspiro profondamente, cercando di mantenere la calma.
Le parole sono bloccate in gola, non riesco nemmeno a deglutire.
Quando da me non arriva alcuna risposta, riprende a parlare. “Come vanno le cose alla Capitale?”
Sta cercando di mantenere un tono noncurante e disinteressato, ma ho imparato a leggere la sua voce.
I miei occhi fissano il muro, non sono nemmeno sicura di star più reggendo il telefono. Perché adesso? È l’unica cosa che riesco a chiedermi.
Non sento nulla che non siano i battiti del mio cuore, credo che fra poco il mio petto esploderà se non faccio immediatamente qualcosa; cerco di calmarmi. Smetto anche di respirare per evitare che il mio respiro tradisca i miei pensieri. Non voglio che Haymitch capisca quello che mi sta succedendo, non ne sono convinta nemmeno io.
Non capisco se sto per mettermi a urlare di rabbia o di gioia, o se stia per mettermi a piangere o a ridere. Sono terribilmente confusa e lo odio, perché nessuno è in grado di farmi sentire in questo modo.
A questo punto non ci metto molto a capire che sono furiosa.
Non può sparire per un anno e chiamarmi all’improvviso, avendo sicuramente qualcosa da chiedere e sperare che io sia gentile e disponibile.
Le dita si serrano automaticamente attorno alla cornetta, cercando di acquisire sicurezza e apro la bocca per parlare, quando lui decide di fare lo stesso. Questa volta la sua voce è seria e stanca e quello che dice mi fa definitivamente perdere l’uso della parola.
“Senti… qui si è liberata una casa al Villaggio dei Vincitori. I ragazzi ed io volevamo sapere se ti andava di venire qui. Solo- solo per un po’.”


A/N: Io spero che non vi siate dimenticati di questa fanfiction…
Scusatemi ma ho avuto una serie di problemi di salute, ora fisicamente sto meglio ma sono cominciati altri problemi. È un periodo schifosissimo, cercherò comunque di aggiornare almeno una volta a settimana.
Sono tornata su twitter, se volete potete seguirmi e se vedete che sparisco per troppo tempo potete anche rompermi le palle e darmi una spintarella. ==> qui.
Scusatemi, sul serio…
Avrei dovuto inserire Haymitch nel prossimo capitolo ma visto che ho fatto così tardi, ne ho saltato uno e nel prossimo comincerà il secondo anno.
Cercherò di farlo durare più di 5 capitoli, promesso.
Sono un po’ fiacca ultimamente, però ho anche cominciato un nuovo progetto per una cosa su Sherlock e un’altra cosa su Doctor Who, non so se pubblicherò mai… avevo bisogno di tornare un po’ alle mie origini. Mi ero persa…
Alla prossima, grazie per aver aspettato, per aver letto e per i commenti!
 

x Lily

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Capitolo 6
*** 2x01 Ritorno al 12 ***




Petrichor
2x01 Ritorno al 12
 
La decisione è stata difficile, molto più difficile di quanto mi aspettassi.
Non potevo dire di sì, non subito, non senza consultare i miei nipoti e Plutarch…
La chiamata fatta da Haymitch non si è interrotta nel migliore dei modi; non so cosa sperasse, probabilmente che accettassi immediate, facessi i bagagli e partissi per il Distretto 12, senza nemmeno riflettere.
Non aveva idea che stessi ospitando i figli di mia sorella.
I primi a cui ho chiesto consiglio sono stati proprio loro, ero convinta che mi avrebbero detto di voler restare alla Capitale. Dopo tutto hanno ritrovato vecchi amici e hanno cominciato a rifarsi una vita.
Li ho trovati inspiegabilmente predisposti a trasferirsi, invece.
Lavina è stata impassibile e Anita invece ha semplicemente annuito; solo dopo, quando ho avuto la possibilità di parlare con Alex, mi ha confessato che il motivo per cui non gli dispiaceva troppo allontanarsi da Capitol City è perché ovviamente ogni cosa qui ricorda loro i loro genitori.
Gli ho spiegato che la permanenza al Distretto 12 non sarà per sempre, rimarremo lì finché vorranno.
Restava solo da avvisare Plutarch, nemmeno da lui mi aspettavo una risposta così positiva.
Praticamente mi ha costretta ad organizzare il viaggio il più presto possibile, assicurandomi che avrei potuto continuare a lavorare anche da lì, che il Villaggio dei Vincitori è ancora tecnologicamente più avanzato rispetto al resto del distretto e che quindi non avrei avuto problemi a rimanere in contatto con lui. Che in un modo o in un altro avrebbe continuato a mandarmi i suoi file.
E così, dopo poco più di due settimane dalla telefonata di Haymitch, io, i ragazzi e Pumpkin ci ritroviamo su un treno diretto al Distretto 12, contro ogni mia aspettativa.
Il viaggio è lungo e stancante; ho sognato questo treno così tante volte durante i miei giorni da prigioniera che la notte ho fatto fatica a distinguere quale fosse la realtà e mi sono ritrovata a gridare terrorizzata, finché una hostess non è venuta a rassicurarmi e abbiamo finito per parlare per tutta la notte.
Fra le cose di cui sono grata al nuovo governo, c’è sicuramente l’aver eliminato la figura dei senza-voce.

Il pomeriggio seguente arriviamo in stazione e ad accoglierci c’è solo Peeta.
Siamo ancora sul treno ma stiamo per fermarci e lo vedo in piedi sulla banchina, in attesa.
Sono passati quasi due anni dall’ultima volta che l’ho visto; immagini del nostro ultimo incontro tornano alla mente, la sera delle interviste prima che venissero spediti all’interno dell’arena.
Non ebbi nemmeno l’occasione di salutare i miei bambini. Anche se ora, guardandolo dal finestrino del treno, mi accorgo immediatamente che non è più la stessa persona che ho incontrato l’ultima volta. Ormai è un giovane uomo e questa realizzazione mi riempie il cuore di orgoglio.
Finalmente ci fermiamo e mi assicuro che i ragazzi abbiano preso tutti i loro bagagli e che Lavinia tenga stretta la gabbietta dove Pumpkin sta facendo un mucchio di storie per essere liberato.
Quando scendiamo dal treno mi dirigo immediatamente verso Peeta, chiamandolo a gran voce quando mi rendo conto che non ci ha visti.
Lui si volta verso di noi confuso, mi guarda dritta negli occhi e ho la sensazione che non mi abbia riconosciuta. In quel momento mi rendo conto che Peeta non è l’unico ad essere cambiato nel corso di questi due anni; ha sul volto la stessa espressione che i ragazzi avevano la prima volta che gli ho aperto la porta, quando si sono trasferiti da me.
Improvvisamente sono più nervosa e non so nemmeno bene spiegarmi il motivo, almeno finché l’espressione di Peeta non cambia e da confusa diventa incuriosita. “Effie?” Chiede incerto, senza però trattenere un sorriso mentre si avvicina.
Per un attimo non so bene cosa fare, come salutarlo. Ancora una volta la situazione mi sembra irreale. Le mie incertezze vengono spazzate via dallo stesso Peeta, che dopo aver preso i miei bagagli e averli poggiati per terra, mi abbraccia calorosamente.
“Scusami, non ti avevo riconosciuta.” Mi dice senza smettere di sorridere mentre mi lascia andare e io gli faccio cenno di non preoccuparsi.
A quel punto, prima di procedere, faccio le presentazioni. Lavinia, come al solito, si dimostra la più espansiva e non si pone alcun problema a salutare Peeta con un abbraccio. Anita e Alex invece sono più riservati, intimiditi quasi, e si limitano ad una stretta di mano e ad un sorriso un po’ imbarazzato.
Non posso non pensare a come, poco più di tre anni fa, come ogni anno da che hanno memoria, i miei nipoti guardavano i giochi facendo il tifo per i miei tributi.
Come tutti avevano preso in simpatia Katniss in particolar modo, ricordo il modo in cui Anita aveva cominciato a portare i capelli e come Alex invece aveva cominciato a prendere lezioni di tiro con l’arco e a come non facessero altro che parlare di loro due per tutto il giorno.
Fortunatamente, in queste ultime settimane non hanno fatto menzione alla cosa nemmeno una volta. Ho il sospetto che abbia a che fare con quello che gli viene raccontato a scuola, nozioni sulla ribellione e in particolar modo sugli ultimi tre vincitori del Distretto 12.
La cosa, però, ad essere sincera mi rasserena.
C’incamminiamo verso il Villaggio dei Vincitori, Peeta mi racconta come stanno andando le cose al distretto e mi rendo conto che la situazione non è troppo diversa dalla Capitale.
Ci sono cantieri ovunque, le persone vanno avanti cercando di mettersi il passato alle spalle, pensando soprattutto al futuro.
Con i soldi che arrivano dalla Capitale, comunque, le famiglie del Distretto 12 sono molto più agiate; almeno ora c’è la certezza che nessuno più morirà di fame per mancanza di viveri.
Attraversando le strade semidistrutte che separano la stazione dal Villaggio dei Vincitori, non riesco a non notare gli sguardi incuriositi degli uomini che stanno lavorando per rimettere in piedi il distretto.
Quanto ci vorrà prima che mi riconoscano? Quanto prima che insisteranno per rispedirmi da dove sono venuta?
Prima di prendere la decisione finale ci ho riflettuto e non poco… ma sono giunta alla conclusione che qui, o alla Capitale non avrebbe fatto poi tanta differenza, quegli sguardi mi avrebbero seguita ovunque, per un motivo o per un altro.
Arrivati alle porte del Villaggio dei Vincitori, con mia grande sorpresa, mi rendo conto che non è cambiato affatto dall’ultima volta che l’ho visto. Per qualche ragione non è stato colpito dai bombardamenti.
Peeta avanza, seguito dai ragazzi e io non mi rendo conto di essere rimasta indietro. Il mio sguardo passa di casa in casa, la maggior parte delle luci sono accese. Sono abitate…
Quando mi rendo conto di essere rimasta indietro affretto il passo per raggiungerli nuovamente, cercando di ignorare il senso d’ansia e incertezza che riprende a crescere nel mio petto.
Peeta continua a camminare, passiamo davanti alla casa di Katniss e noto che le luci sono spente.
“Katniss è a caccia. Ha ripreso da un po’, l’aiuta a rilassarsi.” Spiega lui, senza che io abbia avuto nemmeno il tempo di fare domande.
Sorrido automaticamente perché mi fa veramente piacere sapere che si stia riprendendo.
Quando siamo davanti alla casa di Peeta, non troppo in lontananza arriva alle mie orecchie un suono strano, lo starnazzare di qualche animale selvatico.
Dirigo la testa verso l’origine del rumore e improvvisamente anche Pumpkin sembra incredibilmente interessato. “Cosa-?” Comincio a chiedere, stranita.
Peeta si avvia verso la porta di casa sua, rispondendo con noncuranza. “Sono le oche di Haymitch.”
“Oche?” Haymitch, che non è in grado di badare nemmeno a se stesso, ha deciso di prendere degli animali da compagnia? La cosa mi sembra piuttosto impossibile, ma decido di tenere quel pensiero per me.
Peeta annuisce, restando fermo all’entrata e cominciando a cercare qualcosa, probabilmente le chiavi. “Sì, sono arrivate diversi mesi fa. Il Dottor Aurelius ha detto che gli avrebbe fatto bene prendersene cura.” Spiega, aggiungendo poi con una risata: “Fortunatamente le oche sono in grado di badare a loro stesse…”
Torno a guardare verso la casa di Haymitch, tre abitazioni più avanti, le tende sono tirate come al solito e non vedo luci. Potrebbe essere uscito, ma più probabilmente è solo troppo ubriaco per accenderle. Non vedo recinti con oche, quindi forse sono sul retro. “Stanno mai zitte?” Chiedo avvicinandomi a Lavinia e prendendo il trasportino di Pumpkin, cercando di farlo calmare.
Lo starnazzare di quegli animali lo sta facendo innervosire e non poco, spero solo che non continueranno così anche tutta la notte.
Peeta si stringe nelle spalle. “A volte sì, non spesso, però. Alla fine vi abituerete.” Cerca di consolarci, poi trova le chiavi e apre la porta di casa sua, facendoci cenno di entrare.
I ragazzi ubbidiscono subito, io invece resto ferma a guardarlo, decisamente confusa. “Quando ha chiamato Haymitch ha detto che si era liberata una casa…”
Aveva mentito solo per farmi venire?
Peeta per un attimo sembra in difficoltà, quasi in imbarazzo. “Haymitch non te l’ha detto?” Si gratta la testa e poi indica con un cenno di capo la casa di fronte. “Mi sono trasferito da Katniss circa un mese fa.”
“Oh.” È l’unica cosa che riesco a dire, perché la notizia mi ha preso completamente alla sprovvista. Ma dal momento che non è educato rimanere imbambolati dopo aver ricevuto un’informazione del genere, aggiungo subito: “Sono veramente molto felice per voi.” E anche se forse non sembra, lo sono sul serio, perché Peeta e Katniss meritano davvero di essere felici dopo tutto quello che è successo.

La prima settimana non è facile, e le cose sembrano voler andare sempre peggio.
Non sono mai stata così tanto tempo al Distretto 12, e nonostante la qualità di vita sia migliorata notevolmente, non è ancora minimamente paragonabile allo stile di vita che offre Capitol City.
Ci ho messo un pomeriggio intero per capire come far funzionare la doccia e a colazione per poco Alex non faceva esplodere la cucina a gas, abituato ai fornelli elettrici presenti nel mio appartamento.
L’elettricità e la linea del telefono, anche se raramente, smettono di funzionare. Peeta dice che è colpa dei continui lavori che stanno facendo e la cosa influisce negativamente sul mio lavoro. Plutarch cerca di mandarmi ogni mattina il lavoro da svolgere tramite email; fino ad ora su sette giorni, due giorni ho dovuto mancare la consegna. Quando sono riuscita a mettermi in contatto con lui per spiegargli la situazione, mi ha detto che non c’era alcun problema e che la cosa importante per ora è che io stia bene.
L’ idea che il mio aiuto non gli fosse in verità mai servito, continua a ronzarmi nella testa, ma ho altre cose a cui pensare ora, quindi non me ne sono fatta un grande problema.
Peeta passa ogni giorno per sapere come ce la caviamo, è sempre molto gentile e disponibile. Senza di lui probabilmente le cose andrebbero molto peggio.
Katniss non è mai passata a salutare, ma sotto consiglio di Peeta, sono stata io a fare una visita a loro.
È stato divertente vedere come neanche lei mi abbia riconosciuta all’inizio, ma dopo qualche attimo di imbarazzo, le cose sono andate piuttosto lisce. Katniss non è mai stata molto espansiva, ma anche lei si è dimostrata gentile nei miei confronti.
Entrambe non eravamo pienamente noi stesse al nostro ultimo incontro ed entrambe abbiamo notato come per tutte e due le cose siano cambiate radicalmente da quel momento.
Certo, sia per me che per lei, così come per Peeta e per tanti altri le cose sono ancora molto lontane dall’essere normali.
Ho visto Haymitch solo una volta ed è stato quasi per sbaglio.
Pumpkin era scappato e l’ho rincorso fino al cancello delle oche di Haymitch, prima che potesse entrare e farsi del male, o fare del male a loro, per quanto possa importarmi di quelle bestiacce.
Ho imparato nel peggiore dei modi, che se sono fastidiose durante il giorno, sono ancora più tremende durante la notte, quando l’unico suono udibile è il loro starnazzare nervoso.
Comunque, il caso ha voluto che proprio in quel momento Haymitch stava dando loro da mangiare; al contrario dei ragazzi lui, ovviamente, mi ha riconosciuta. Non ci siamo detti molto, a dire la verità.
Saluti di circostanza da parte mia, per evitare di restare in silenzio, ma non c’è stata alcuna risposta dall’altra parte.
In quell’occasione Haymitch non si è risparmiato dal dirmi di tenere lontano quel sacco di pulci dalle sue oche.
Ho preferito non rispondere alla provocazione e me ne sono tornata dritta a casa con Pumpkin.
Quando ho raccontato l’accaduto a Peeta mi ha detto che è un buon segno, e quando non ho capito a cosa si riferisse, mi ha detto che Haymitch dà da mangiare alle oche solo quando non è ubriaco o è di buon umore, quindi, qualsiasi fosse la ragione per la quale si trovava in cortile, era comunque un buon segno.
Peeta mi ha anche confessato che quel giorno, quando Haymitch mi ha chiamata, non era stata del tutto una sua idea. Anzi, l’idea era stata principalmente di Peeta, ma mi ha anche detto che Haymitch ci ha messo pochissimo a farsi convincere a chiamarmi.
Quando gli ho chiesto per quale motivo avesse voluto far chiamare Haymitch invece di chiamare lui stesso, mi ha risposto solo con una scrollata di spalle.
La notizia del mio arrivo si è sparsa in fretta, come immaginavo, e gli abitanti del distretto hanno reagito esattamente come avevo previsto. Occhiate, sussurri alle mie spalle. Qualcuno ha tentato di avvicinarsi ma qualcun altro è sempre intervenuto prima che potesse succedere qualcosa.
Non tutti, ho notato, hanno reagito male al mio arrivo. Alcuni, soprattutto amici di Katniss, Peeta ed Haymitch, hanno accettato di buon grado la mia presenza, senza lamentarsi.
Sono comunque preoccupata per i ragazzi. A breve cominceranno a frequentare la scuola e temo che qualcuno lì possa prendersela con loro perché imparentati con me.
Loro stanno vivendo piuttosto bene il cambiamento, se non contiamo qualche piccolo incidente domestico.
Li vedo più spensierati e distratti del solito, essendo abituati all’aria carica di smog della Capitale, l’aria pura del distretto ha avuto un bell’effetto su di loro.

Arriva la notte del settimo giorno passato al Distretto 12, domani Peeta ha promesso che avrebbe portato Lavinia alla panetteria, perché lei ha insistito tanto per andare a vedere come decora le torte.
Come ogni notte vado a controllare che i ragazzi stiano bene.
Mi fermo prima alla stanza di Lavinia, lei sta già dormendo. Pumpkin è acciambellato accanto a lei; sorrido tranquilla e mi prendo qualche secondo per imprimere quell’immagine pacifica nella mia mente, poi mi allontano, senza spegnere la luce.
Anche Anita sta già dormendo e dal momento che ha il sonno molto più leggero rispetto alla sorella, non mi soffermo più di tanto alla sua porta.
Alex è ancora sveglio, è seduto sul letto e sta leggendo un libro che gli ho portato oggi.
Quando si accorge della mia presenza solleva lo sguardo su di me. “Tutto bene?”
Sorrido alla sua domanda, perché dovrei essere io quella che lo chiede, ma annuisco e poi mi avvicino al suo letto. Nonostante le sue proteste, gli poggio un bacio sulla fronte e mi allontano ridacchiando. “Buonanotte.”
Mi allontano prima che possa rispondere, ma la sua voce arriva alle mie spalle, un po’ assonnata. “’Notte…”
Torno in camera mia e prima di infilarmi sotto le coperte vado alla finestra, scosto le tendine e faccio correre lo sguardo sulle strade del villaggio. La maggior parte delle luci sono spente.
C’è una luce accesa al secondo piano della casa di Haymitch, credo sia la camera da letto ma non ci metterei la mano sul fuoco.
La casa di Katniss e Peeta è completamente al buio, invece. Provo ad aprire la finestra per far entrare dentro un po’ d’aria estiva, ma immediatamente sento lo starnazzare delle oche e con un brivido dietro la schiena mi affretto a richiuderla.
Mi metto a letto e prima di chiudere gli occhi appunto mentalmente che dovrò chiamare la mia dottoressa al più presto, perché l’ultima volta che l’ho sentita è stato più di una settimana fa e mi aveva fatto promettere che saremmo rimaste in contatto telefonico.
A svegliarmi è la voce di Alex che ripete il mio nome e poi mi scuote le spalle.
Mi sveglio intontita e confusa, finché non riprendo del tutto conoscenza e noto l’orrore negli occhi di mio nipote.
Spaventata mi tiro su e gli prendo una mano. “Che succede?”
Lui approfitta di quel contatto per trascinarmi fuori dal letto in tutta fretta. “Il fuoco!” Dice e poi comincia a tirarmi verso la porta.
Lo lascio fare, ma allo stesso tempo cerco di tranquillizzarlo, sapendo quante volte ha fatto e rifatto lo stesso sogno. Il fuoco è il suo incubo più ricorrente. “Va tutto bene Alex, era solo un sogno.” Gli dico, ma quando si volta verso di me, la paura non è sparita.
“No! No, non è un sogno!” Grida e mentre imbocchiamo il corridoio quasi inciampo su Pumpkin che corre terrorizzato verso la mia camera da letto. “Il fuoco. È vero, guarda!” Continua a ripetere e mi lascia la mano, per cominciare a correre sul pianerottolo.
Anita esce dalla sua stanza stropicciandosi gli occhi e lanciando a me e al fratello uno sguardo confuso. “Che succede?” Chiede con fare assonnato.
Alex non le risponde, si limita a raggiungere le scale e io lo seguo.
Solo in quel momento un odore acido e penetrante s’infiltra nelle mie narici, costringendomi a tapparmi naso e bocca con il braccio.
Confusa scendo i primi scalini, volto la testa in direzione del salotto e vedo un denso fumo nero che scivola sul pavimento e riempie la stanza. In un attimo avvolge le scale e i miei occhi cominciano a lacrimare. Non posso fare a meno di tossire.
La puzza di bruciato è insopportabile, assottiglio gli occhi il più possibile per cercare di vedere da dove proviene il fumo, ma il sonno, la confusione e ora anche la paura, rendono i miei ragionamenti incoerenti e sconnessi.
È l’urlo agghiacciante di Lavinia che riesce a farmi concentrare, mi volto immediatamente verso di lei che adesso è in braccio alla sorella. Sta indicando qualcosa oltre il corrimano. Prendo a guardare nella direzione opposta al salotto ed è in quel momento che le vedo: fiamme scarlatte alte almeno due metri che stanno inghiottendo tutto, e che si avvicinano pericolosamente alle scale.

 
A/N: E alla settimana schifosa appena passata se ne è aggiunta un’altra ancora più schifosa, scusate se non ho aggiornato prima, ma veramente...
Comunque! A distanza di una settimana riesco ad aggiornare! :)
Che mi dite? Secondo voi come è divampato l’incendio? Ho lasciato qualche indizio molto velato all’interno del capitolo! ;)
Spero che vi sia piaciuto, e che il mio umore nero non si rifletta troppo sulla mia storia. Non ho molto da aggiungere per ora, so come continuare ancora per qualche capitolo quindi spero di risentirvi presto!
Scusate per la pessima copertina all’inizio, ma ormai penso sia chiaro che le mie doti con Photoshop non sono proprio il massimo… XD
Grazie per aver letto, se vi va lasciate un commento.
Alla prossima,
 

x Lily

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Capitolo 7
*** 2x02 L'incendio ***


2x02 L’incendio
 
Il denso fumo nero continua ad avvolgerci; prima di fare qualsiasi altra cosa cerco di capire da dove provengano le fiamme, ma ormai è praticamente impossibile farlo, sono quasi ovunque.
Prima che possano raggiungere le scale, afferro sgraziatamente per un braccio Anita e Alex e li spingo avanti a me, costringendoli a camminare.
Loro due sono sotto shock, Lavinia piange terrorizzata. Quando arriviamo al piano di sotto il caldo è insopportabile, gli occhi lacrimano per il troppo fumo e a stento riesco a respirare.
La puzza di bruciato è asfissiante. Volto velocemente la testa verso sinistra, la cucina e il salotto sono completamente avvolti dalle fiamme, ma la porta d’ingresso è ancora intatta.
Continuando a spingerli davanti a me, cerco di evitare di bruciarmi con la tendina accanto alla finestra e apro velocemente la porta di casa.
Non appena la porta è aperta, dietro di me sento ruggire le fiamme che si espandono ancora più velocemente.
Spingo fuori i ragazzi e inspiro profondamente; cerco di liberare i polmoni prendendo una boccata d’aria e provo a schiarire i pensieri.
Sollevo la testa per guardarmi intorno, le luci delle case sono tutte spente, non so che cosa fare. Le gambe mi fanno male per l’adrenalina che scorre nelle vene, sento il cuore battermi in gola e quasi non riesco a parlare quando ci provo.
Deglutisco dolorosamente e mi volto verso la casa in fiamme, improvvisamente un pensiero orribile mi sfiora la mente e lo stomaco si chiude in una morsa.
Afferro per le spalle Alex. “Va a chiamare aiuto.” Il suono della mia stessa voce arriva estraneo alle mie orecchie, più rauco e basso, probabilmente per tutto il fumo che ho inalato.
Alex però non si muove, mi fissa catatonico e allora gli scrollo vigorosamente le spalle. “Va a chiamare aiuto, capito? Io devo tornare dentro.”
A quel punto Alex sembra riprendersi, annuisce e senza dire una parola corre via, diretto verso la casa di Katniss e Peeta.
Anita mette giù Lavinia che mi allaccia le braccia attorno alla vita, strofinando il volto contro il mio stomaco. “No, resta qui.” Dice fra un singhiozzo e un altro.
La faccio allontanare spostandola delicatamente e mi assicuro che sia di nuovo fra le braccia di Anita. “Non posso lasciare Pumpkin lì dentro.” Spiego alle due bambine, poi le incito ad allontanarsi e ad andare anche loro verso la casa di Peeta. “Non restate qui, è pericoloso.”
Aspetto che si siano allontanate di qualche passo prima di voltarmi e tornare dentro, immediatamente il fumo mi circonda di nuovo.
Le fiamme hanno divorato la maggior parte del salotto, i mobiletti della cucina sono accartocciati su loro stessi; non appena le fiamme raggiungeranno anche il forno a gas ci sarà un’enorme esplosione e non voglio essere presente quando succederà.
Continuando a tossire mi dirigo velocemente verso le scale, l’ultima volta che l’ho visto stava scappando in camera mia, probabilmente terrorizzato dal fuoco. Spero solo non si sia mosso.
Appena metto piede sul primo scalino, questo quasi cede.
Sudore e cenere si stanno cominciando a mischiare sulla mia fronte, vorrei scappare, vorrei raggiungere i ragazzi, ma so che non me lo perdonerei mai, devo almeno provare.
Quel gatto è parte della mia famiglia, non è sopravvissuto ad una guerra per morire bruciato vivo in un incendio, e nemmeno io.
Riesco a raggiungere il secondo piano, ma ormai le fiamme sono anche qui.
La mia camera è ancora intatta, ma il fumo è già presente e si sta condensando, diventando sempre più denso.
Faccio fatica a respirare, lacrime e fumo impediscono ai miei occhi di vedere quello che mi circonda e finisco per sbattere contro il bordo del letto e rovino con il viso per terra.
L’impatto è duro, i riflessi sono compromessi e sento l’inconfondibile sapore metallico del sangue che m’invade la bocca.
Tossisco ancora, questa volta senza riuscire a reprimere un conato di vomito.
Quando provo a sollevare la testa non ci riesco, comincio a credere che invece è proprio così che finirà.
Chiudo gli occhi e cerco di restare concentrata, ma i miei polmoni hanno bisogno di ossigeno e qui non ne è rimasta traccia.
Haymitch mi odierà a morte quando scoprirà che sono morta per salvare la vita ad un gatto…

Voci confuse mi ronzano nelle orecchie, non capisco che cosa stanno dicendo. Sono lontane, lontanissime.
Gli occhi si aprono piano, automaticamente. Qualcuno torreggia sopra di me, guardandomi con quella che credo sia apprensione.
Non ho idea di chi sia.
Le sue labbra si muovono ma alle orecchie non arriva nulla. Credo stia pronunciando il mio nome…
Sollevo una mano e la porto alla bocca ma non riesco a toccarmi le labbra, sono protette da qualcosa. Faccio scorrere le dita sull’oggetto che mi hanno poggiato in faccia e scopro che mi copre bocca e naso.
Cerco di tirarmi su e l’uomo che mi parlava ora mi aiuta a sedermi, ho un cerchio alla testa ma ora riesco a capire meglio le voci che mi circondano.
È un vociare frenetico e confuso. Ho una fitta allo stomaco e digrigno i denti.
Dove mi trovo?
Sbatto le palpebre più volte e poi mi guardo intorno, sono per strada. Le mani cadono lungo il corpo e cerco di alzarmi.
Sono sollevata da terra, abbasso lo sguardo e mi rendo conto di essere stata stesa su un lettino. Perché?
È notte ma non è buio. Tutte le luci delle case sono accese, mi gira la testa a passare lo sguardo su ognuna e la vista si sdoppia per un istante.
Che cosa è successo?
Sono ancora confusa e disorientata, non riesco a focalizzare l’attenzione su nulla. Chiudo gli occhi e inspiro profondamente, le mie narici captano qualcosa, un odore acre e penetrante che impregna l’aria, poi qualcosa mi distrae. Lo starnazzare inconfondibile delle oche di Haymitch. Quelle bestiacce devono essersi terrorizzate a causa dell’incendio. In un attimo un lampo mi trapassa il cervello. L’incendio.
Finalmente i miei occhi si poggiano sulla casa in fiamme. Come ho fatto a non notarla prima? È casa mia.
Poco alla volta i ricordi riaffiorano alla mente, l’immagine di Alex che viene a svegliarmi, Lavina che grida e Anita che la prende in braccio.
Per un attimo il mio cuore sembra fermarsi, mi guardo intorno e li trovo subito. Anita e Alex sono a due metri da me, stanno bene. Hanno delle mascherine sul volto.
Automaticamente risollevo di nuovo la mia mano e le dita riprendono a toccare il mio viso, per rendermi conto che l’oggetto che avevo sentito prima non è nient’altro che una mascherina per l’ossigeno.
I miei occhi tornano alla casa, il fuoco non è ancora stato spento ma molti stanno facendo del loro meglio per occuparsene.
Le fiamme sono molto più basse di quanto ricordassi, credo si siano quasi estinte; riconosco Peeta, è sul mio portico e assieme ad altri uomini di cui non ricordo il nome sta tirando secchiate su secchiate d’acqua all’interno della casa.
Dalla porta principale esce qualcuno, se possono entrare e uscire allora vuol dire che avevo ragione: sono quasi riusciti a spegnere l’incendio.
Con quel pensiero in mente mi metto in piedi e mi tolgo la mascherina, l’uomo che è stato sempre al mio fianco cerca di farmela rimettere, ma io scuoto la testa. “Sto bene.” Ancora una volta la voce è roca, ma almeno adesso è riconoscibile.
Faccio qualche passo per cercare di capire se riesco a stare in piedi e le gambe non mi abbandonano, quindi continuo ad avanzare.
Mi rendo conto che ci sono almeno tre grossi furgoni blindati con il sigillo della Capitale. Tutti hanno delle sirene lampeggianti e silenziose sul tettuccio.
Da uno di questi esce una donna vestita di bianco che si avvicina ad Alex e prende a pulirgli il viso dalla cenere incrostata.
Senza indugiare ulteriormente, mi avvicino anche io a loro. Sembrano ancora sconvolti, sono avvolti da coperte arancioni e hanno gli occhi arrossati.
“Abbiamo dato dei calmanti alla piccola, ora sta riposando sul furgone.” Mi dice la donna e registro a malapena l’informazione. Annuisco senza distogliere lo sguardo da Anita, le sposto appena i capelli dalla fronte e mi sporgo ad abbracciarla.
Lei ricambia subito l’abbraccio. “Pensavamo fossi morta.”
Mi sforzo di sorriderle e coinvolgo anche Alex nell’abbraccio appena la donna finisce di pulirgli il viso. Cerco di rassicurarli per un po’, poi voglio andare a vedere come sta Lavinia, anche solo per controllare che il suo sonno sia sereno.
Mi indirizzano ad un furgone e lo raggiungo lentamente, ho ancora un forte mal di testa ma mi sento molto meglio.
Aprono sotto i miei occhi il portellone sul retro e all’interno, oltre ai moltissimi kit di pronto soccorso, c’è anche un sacco a pelo dove Lavinia è rannicchiata in posizione fetale, sembra che stia bene. Il viso è pulito e rilassato, l’unica cosa che stona è la mascherina per l’ossigeno troppo grande per il suo piccolo viso.
“In un paio di giorni starà bene, ha respirato molto fumo.” Mi spiega un uomo in uniforme bianca, riconosco il suo viso, so di averlo già visto probabilmente in piazza, ma non ricordo il suo nome; poi si volta verso un gruppo di persone e allunga il braccio per indicare. “Se non fosse stato per Haymitch e Thom probabilmente saresti rimasta lì dentro.” Con questo si assicura prima che io stia bene, poi si scusa e si allontana, dicendo di dover tornare a dare una mano.
Riprendo a guardare il gruppo di persone che aveva indicato prima, alcuni si sono allontanati e ora sono rimasti solo in quattro, due uomini di cui non ricordo il nome, un ragazzo che riconosco come Thom e Haymitch. Si sta premendo con forza un fazzoletto sporco di sangue contro il collo.
Prima che possa avvicinarmi a loro, Peeta spunta al mio fianco con una grossa scatola fra le braccia, facendomi trasalire.
“Scusa.” Si affretta a dire. “Non volevo spaventarti. Stai bene?” Quando mi limito ad annuire Peeta appoggia la scatola sul retro del furgone e si passa una mano sulla fronte sudata. “Dentro c’è il tuo gatto.”
A quelle parole è come se avessi ricevuto un pugno in pieno stomaco. “È-?”
“Sedato.” Risponde immediatamente Peeta, sgranando gli occhi, cogliendo la mia paura e immediatamente mi sento più sollevata. Poi comincia a spiegare. “Ha fatto tantissime storie, era terrorizzato. Haymitch si è preso un paio di zampate quando lo ha tirato fuori da sotto il tuo letto.”
“Haymitch ha quasi perso un orecchio per evitare che quel sacco di pulci finisse arrostito.” La sua voce mi arriva alle spalle e quando mi volto noto subito la preoccupazione nei suoi occhi, nonostante il tono di voce sia duro.
Senza pensarci due volte e senza badare alla presenza di Peeta, gli allaccio le braccia al collo stringendolo in un abbraccio, che viene ricambiato quasi subito. “Mi dispiace.”
Devo combattere contro le lacrime per non farle uscire, continuo a ripetermi che non c’è motivo di piangere, stiamo tutti bene.
“Ti assicuro che se anche solo uno dei graffi dovesse fare infezione, gli tiro il collo personalmente.” Dice, senza smettere di abbracciarmi, tentando di suonare minaccioso, ma il tono di voce lo tradisce di nuovo.
“Grazie…”

Quella sera Haymitch ci ospita a casa sua, finché non troveremo un posto migliore, perché Peeta dice che Katniss è troppo scossa ed è meglio che la casa resti silenziosa.
La vista del fuoco ha riportato a galla terribili ricordi riguardanti la guerra e sua sorella Prim.
Peeta mi racconta come Alex è corso verso casa sua chiamando aiuto e di come nel giro di pochi minuti lui aveva mobilitato anche Haymitch e altri abitanti del Villaggio.
Mi racconta anche di come – anche se non lo ammetterà – Haymitch si sia fiondato nella casa in fiamme, costringendo Thom a seguirlo, non appena gli avevano detto che io ero ancora dentro perché volevo recuperare il mio gatto.
I giorni che seguono sono confusi e caotici, gli incubi di Alex tornano all’attacco e si sveglia più volte durante la notte, urlando. A nulla servono le pillole che hanno provato a prescrivergli. Non vuole più uscire di casa, è sempre nervoso e agitato.
Anita e Lavinia dopo le prime notti sono riuscite a recuperare un sonno decente, non peggiore di quello che avevano precedentemente all’incendio, comunque.
Hanno detto che probabilmente l’incendio è stato causato da un malfunzionamento in cucina. Non era mai successo prima, ma le case hanno quasi ottant’anni e con tutto quello che è successo dicono che non c’è troppo da meravigliarsi.
Peeta continua ad essere scettico al riguardo, ripetendo più volte che la casa era in perfette condizioni quando ci abitava lui, ma Haymitch lo ha convinto a non arrovellarsi troppo il cervello, che la cosa importante ora è che abbiamo un tetto sopra la testa.
Io dovrei sentirmi più in difficoltà, dovrei sentirmi obbligata nei suoi confronti perché ci ha preso in casa sua senza nemmeno lamentarsi – anche se questo posto è tutto fuorché adatto a dei bambini – e invece l’unica cosa che riesco a pensare a riguardo è che adesso non potrà più evitare di parlarmi.


A/N: Salve! Questa volta ce l’ho fatta ad aggiornare prima! :)
Scusatemi innanzitutto per il titolo pessimo di questo capitolo, ma se c’è qualcosa in cui faccio veramente schifo e dare i nomi ai capitoli…
Spero di non essere sforata troppo nell’OOC, perché sto trovando veramente tanta difficoltà nel trattare una Effie post-Mockingjay…
Giusto perché mi sembra doveroso, quando scrivo di Pumpkin lo immagino sempre come l'ho descritto in una precedente OS => cliccate qui, la foto si aprirà in un'altra pagina.

In verità non ho molto altro da aggiungere, quindi mi limito a ringraziarvi tutti per aver letto e se volete fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo con un commento. :D
Spero di riuscire ad aggiornare in fretta, a presto
 

x Lily

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Capitolo 8
*** 2x03 Cancellare il passato ***


2x03 Cancellare il passato
 
Piove a dirotto da questa mattina ormai, siamo alla fine di agosto e Haymitch continua a ripetermi che non smetterà anche se continuo a starmene sul suo porticato a fissare la pioggia che cade.
Ne sono consapevole, ovviamente, ma non avendo nient’altro di meglio da fare, almeno cerco di rilassarmi.
Mi piace l’odore del terreno bagnato dalla pioggia, credo che Peeta lo abbia definito ‘petricor’; anche se ora si mischia all’odore di bruciato che proviene da quella che sarebbe dovuta essere la nostra casa.
La notizia dell’accaduto è arrivata alle orecchie di Plutarch, anche se non capisco come, dal momento che io non gli ho detto nulla e credevo che fossi l’unica con cui lui si tenesse in contatto. Evidentemente mi sbagliavo.
Oggi sarei dovuta andare a riprendere quello che resta delle nostre cose, ma la pioggia ha rallentato tutto, non credo ci sarà molto da riprendere, comunque.
I miei pensieri vengono interrotti da una porta che si apre e mi volto per vedere Peeta uscire sul portico con un ombrello in una mano e una cassetta degli attrezzi nell’altra. “Ho sistemato lo scalino, non dovrebbe dare più alcun problema.” Dice con un sorriso e io faccio lo stesso di rimando.
Prima che possa aggiungere qualsiasi cosa, alle spalle di Peeta appare Haymitch con la sua solita espressione scontrosa stampata sul viso e mi rivolge un’occhiataccia. “Vuoi deciderti a tornare dentro, Trinket? Se ti fai venire qualcosa scordati che vada fino al Forno per prenderti delle medicine.”
Porto gli occhi al cielo, infastidita, ma mi alzo comunque. “Se mi sentissi male non te ne accorgeresti nemmeno, credevo che avessi diminuito la dose di alcool, e invece…”
Peeta mi interrompe prima che possa continuare. “Tranquilla Effie, a me non dispiacerebbe fare due passi, anche con questa pioggia.”
“Dovresti davvero prendere esempio dal ragazzo.” Dico ad Haymitch indicando con un cenno di capo Peeta, poi lo saluto con un bacio sulla guancia e torno dentro.
Appena la porta d’ingresso si chiude, Haymitch torna a lamentarsi. “È la terza volta in due giorni che chiami Peeta per sistemare problemi insistenti nella mia casa.”
A queste parole faccio fatica a trattenere una risata. “Inesistenti? Quello scalino era talmente malridotto che mi sorprendo tu non ci sia mai inciampato rompendoti il collo!” Incrocio le braccia al petto e abbasso la voce che involontariamente si era alzata. “Puoi mettere a rischio la tua vita quanto ti pare, ma non rischierò che uno dei miei nipoti si faccia male, si tratta di sicurezza.”
“E sentiamo, come può farti male un tavolo?” Il suo tono sarcastico e il suo tentativo di imitare quello che secondo lui è un accento capitolino mi danno sui nervi.
“Non si può mangiare su un tavolo che traballa!” La voce si alza di nuovo e questa volta non faccio nulla per abbassarla, anzi, sapendo quanto detesta quando il mio tono diventa squillante, la alzo ancora di più.
“Io ci ho sempre mangiato sopra benissimo.”
“Tu ci hai sempre dormito sopra benissimo.”
Non ribatte, perché sa che ho centrato il bersaglio, ma cambia discorso. “E la finestra, allora?”
I miei occhi si allargano dallo stupore, ma come può non capire? Eppure mi sembrano concetti piuttosto elementari. “Haymitch, siamo alle soglie dell’autunno, mi sarei ammalata sul serio con una finestra rotta, sai meglio di me quanto sono rigidi qui gli inverni!”
A questo punto quello che stava per dire muore sul nascere e mi fissa con fare allibito. “Aspetta. Quanto tempo hai intenzione di restare in questa casa?”
E ora sono io a rimanere in silenzio, per quanto tempo ho intenzione di restare in questa casa? Fortunatamente un rumore metallico distrae entrambi e ci voltiamo insieme in direzione della cucina.
Davanti alla porta ci sono Anita e Lavinia, con due piatti fra le mani. In uno c’è del pane caldo che ci aveva appena portato Peeta, nell’altro quello che credo sia del formaggio.
Lavinia ha accidentalmente fatto cadere una forchetta e adesso ci stanno fissando con uno sguardo incerto, forse si sono spaventate sentendoci litigare.
“Che state facendo?” Chiede Haymitch in tono brusco.
Istintivamente gli colpisco il braccio per farlo tacere, senza staccare lo sguardo dalle bambine. “Che state facendo?” Chiedo io, usando un tono più delicato.
Lavinia si affretta a raccogliere la forchetta mentre Anita balbetta per qualche istante chinando la testa sul piatto, poi la solleva e indica con un cenno di capo le scale. “Alex… gli stiamo portando la cena.”
Corrugo lo sguardo, stupita. Non capisco per quale motivo gli stiano portando la cena di sopra quando fra poco più di mezz’ora mangeremo tutti insieme. Beh, almeno io e i ragazzi… “Non sta bene?”
Lavinia scuote la testa. “Ha detto che non vuole uscire dal letto… ha fatto un altro brutto sogno.”
La cosa non dovrebbe più sorprendermi, chiudo gli occhi respirando piano e annuisco. “Ditegli che più tardi andrò a dargli la buonanotte.”
Dopo essere state congedate, le due sorelle si dirigono con passo spedito verso le scale, stando attente a non far cadere più nulla.
Una volta che sono sparite al piano di sopra, do le spalle ad Haymitch e mi dirigo verso il divano, sedendomi e chiudendo nuovamente gli occhi.
Alex peggiora ogni giorno di più.
È passata più di una settimana dall’incendio e lui continua ad avere incubi sempre più invasivi, sono già tre giorni che non mette il naso fuori di casa e ora non vuole nemmeno più lasciare il letto… non posso permettergli di finire come me.
Mi sono rinchiusa nel mio appartamento per più di sei mesi, riducendomi a un’ombra di quello che ero, non voglio che succeda la stessa cosa a lui.
Ma non so come aiutarlo, non ho idea di che cosa gli stia passando per la testa perché con me non parla. Ci ho provato, sul serio ci ho provato. Ogni volta si chiude a riccio e mi respinge. Gli unici momenti in cui riusciva a confidarsi era quando si trovava insieme alle sorelle.
Sento il divano infossarsi accanto a me ma non mi muovo, almeno finché non mi sento punzecchiare un braccio, allora sollevo la testa e vedo che Haymitch mi sta porgendo un bicchiere colmo fino all’orlo di vino rosso.
Prendo il bicchiere un po’ riluttante, lo avvicino al naso per accertarmi che sia effettivamente quello che sembra. “Tu non bevi vino…”
Mi fa cenno di stare zitta. “No, tu però sì, quindi bevi e chiudi la bocca. Mi stai facendo venire mal di testa.” Mi chiedo perché abbia delle bottiglie di vino in casa se non ne beve, poi si allunga per agguantare una bottiglia ancora chiusa di whiskey, solo a sentirne l’odore mi si accappona la pelle.
Comincio a bere a piccoli sorsi, non è un vino di alta qualità ma non dico niente e restiamo in silenzio per quelli che credo siano dieci minuti, o forse di più.
Quando il mio bicchiere è mezzo vuoto e la bottiglia di Haymitch altrettanto, lo poggio sul tavolino di legno di fronte al divano, Haymitch non fa lo stesso.
“Potresti parlare con lui?” Gli chiedo dal nulla e Haymitch sembra visibilmente preso alla sprovvista dalla mia richiesta, quasi confuso. “Con Alex…” Specifico, quando non risponde.
“Perché?” Mi chiede, svuotando la bottiglia in un solo sorso e poggiandola sul tavolino, accanto al mio bicchiere.
“Perché con me non vuole parlare e non credo stia bene, vorrei sapere che cosa gli sta succedendo…”
“Oh, vuoi dire oltre al fatto di essere sopravvissuto ad una guerra e di essere quasi morto bruciato vivo nemmeno dieci giorni fa?” Il suo tono sarcastico non nasconde un’ombra di serietà. Con un nodo allo stomaco mi allungo di nuovo verso il tavolino, ma Haymitch mi ferma la mano, impedendomi di raggiungere il bicchiere.
Torno composta ma distolgo lo sguardo da lui, portandolo alla finestra. “Lo so che ha tutte le ragioni per non stare bene, ma prima dell’incendio non era così. Certo, non stava bene, ma non era… così.” Il nodo allo stomaco si stringe e sento gli occhi cominciare a pizzicare, ma non voglio piangere. “Lui… da quando è con me ha fatto progressi, moltissimi progressi, era terrorizzato da tutto e invece qui stava cominciando a-” devo interrompermi, perché non posso dire che stesse cominciando a stare bene.
Quello che mi hanno raccontato, tutto quello che hanno dovuto passare, forse è veramente solo questo. Però Anita e Lavinia stanno apparentemente meglio, non mi spiego il motivo per cui lui l’abbia presa diversamente.
“Non vuole parlare con me.” Ripeto, lentamente, perché la voce comincia a vacillare e devo stare attenta a non tradirmi. “Ho pensato che se tu gli chiedessi come sta, solo come sta, magari lui potrebbe aprirsi…”
Immagini di un plotone esecutivo si fanno largo nella mia mente, il volto di Portia mi sorride, poi è sanguinante davanti a me e crolla a terra, crivellata da colpi d’arma da fuoco. Mi irrigidisco istantaneamente. “Alex era molto legato a mia sorella, ma era letteralmente innamorato di suo padre. Lui lavorava con Plutarch.” La voce si rompe, ma tossisco per ricompormi. Stringo le mani in grembo e chino lo sguardo. “Quando hanno giustiziato i ribelli ci hanno fatto guardare… io non so se quando hanno fatto lo stesso con gli strateghi-” non posso andare oltre perché se aprissi di nuovo la bocca per parlare, finirei per piangere.
Stringo gli occhi per evitare che accada, ma il tentativo fallisce e sento una lacrima scivolarmi sulla guancia per poi finirmi sul dorso della mano. Serro ancora di più i pugni prima di sentire un braccio di Haymitch avvolgersi attorno alle mie spalle e portarmi verso di lui.
All’inizio mi sento soffocare, l’ansia mi assale e vorrei divincolarmi, ma dura solo un attimo. Poi il groppo alla gola si fa insopportabile e trattengo a stento un singhiozzo, ma stringo i denti e respiro a narici strette, non posso crollare adesso.
Ancora una volta restiamo in silenzio, abbracciati, per non so quanto tempo, finché adesso è lui a parlare per primo. “Okay.” Dice, poi mi lascia andare. “Proverò a parlargli, ma se non vuole farlo non lo spingerò.”
Annuisco, cercando di ricompormi, poi Haymitch si alza afferrando quello che resta del mio bicchiere di vino e lo svuota in un colpo solo, dirigendosi poi verso le scale.
Resto di sotto ad aspettare finché Haymitch non torna e io mi alzo, andandogli incontro. “Allora?” Faccio con fare speranzoso, ma lui scuote la testa.
“Ha detto che è stanco perché non riesce a dormire.” Non so nemmeno perché ci speravo così tanto, era più un tentativo disperato che altro. “Però…” Il tono di voce di Haymitch mi costringe a cercare il suo sguardo e non so decifrarlo. Va in cucina a prendersi un’altra bottiglia di whiskey e lo seguo. “Puoi stare tranquilla, non ha visto l’esecuzione di suo padre.”
Non so come possa esserne così certo. “Te l’ha detto lui?”
Lui scuote la testa di nuovo, poi riprende a bere. “No, ma- fidati, se avesse visto suo padre morire starebbe molto peggio.” Si allontana, tornando in salotto e dandomi le spalle solleva appena la bottiglia di whiskey, alzando la voce, ma mantenendo un tono leggero. “Preoccupati se inizia a bere.”

Questa notte non ho quasi chiuso occhio, ogni volta che mi addormentavo un incubo diverso si presentava a disturbarmi il sonno.
Prima ho rivisto l’esecuzione di Portia, poi l’incendio, poi il mio Pacificatore, i giochi e i nomi miei nipoti che venivano estratti dalla mietitura.
Ho ripensato a tutto quello che è successo durante la giornata, da Alex al fatto che non possiamo restare qui per sempre, che devo cominciare a cercare un’altra sistemazione. Ho l’impressione che se restassi qui anche solo un’altra settimana io e Haymitch finiremmo per ammazzarci a vicenda.
Quando arrivo in cucina per preparare la colazione mi sorprendo di trovare Alex già sveglio e seduto al tavolo. “’Giorno.” Mi saluta con un mezzo sorriso.
“Buongiorno.” Gli rispondo sorridendo calorosamente, poi comincio a cucinare.
Non sono mai stata una grande cuoca, ma in questo anno sono decisamente migliorata, le mie prime colazioni erano rivoltanti, ora sono mangiabili.
O almeno i miei nipoti non si lamentano più.
Dopo poco arrivano anche Lavinia e Anita, Alex mi sembra più rilassato, forse parlare con Haymitch gli ha fatto bene sul serio, per quanto può sembrare strano.
Per venticinque anni è stato mentore e per quindici di questi anni lo ha fatto con il mio fiato sul collo, so che se vuole può essere un’ottima guida. Me lo ha dimostrato in più di una occasione.
La colazione procede in maniera rilassata anche se Alex è silenzioso come al solito; ad un certo punto arriva anche Haymitch, che si limita a prendersi qualche fetta di pane e della pancetta, senza preoccuparsi di metterli su un piatto o un tovagliolo e va a sistemarsi sul divano.
Dopo aver finito di mangiare, comincio a sistemare la cucina e quando torno dai miei nipoti mi accorgo che Alex ha lasciato la tavola per andare in salotto.
È in piedi vicino al divano, vedo che sta parlando con Haymitch, ma sono troppo lontani e non posso sentire quello che si stanno dicendo.
Faccio per avvicinarmi, ma bussano alla porta e vado ad aprire. È Peeta che chiede se, dal momento che ha smesso di piovere, i ragazzi vogliono accompagnarlo in panetteria.
Lavinia è entusiasta e accetta immediatamente, Anita lancia uno sguardo incerto al fratello che a sua volta si rivolge ad Haymitch, come per chiedergli il permesso. Haymitch si sforza a non incrociare il mio sguardo, annuisce serio e poi si alza dal divano, andando verso la finestra. Sposta appena la tenda e solleva lo sguardo verso il cielo. “Verrà a piovere fra qualche ora, passo a riprendervi io, devo comunque andare al Forno per fare scorta di liquori.”
Questo suo gesto di gentilezza non solo mi sorprende, mi preoccupa. Anche Peeta sembra sorpreso, ma annuisce e aspetta che i ragazzi lo seguano.
Haymitch non si è mosso dalla finestra, lo raggiungo e assieme a lui guardo i ragazzi e Peeta che si allontanano, finché non lasciano il Villaggio dei Vincitori.
Dal momento che siamo soli, ne approfitto per parlargli. “Haymitch, ascolta, ci ho pensato. Appena recupereremo quello che è rimasto dalla casa cercherò un altro posto dove stare. Hai già fatto abbastan-”
“Non andrete da nessuna parte.” M’interrompe bruscamente, allontanandosi dalla finestra. “Siediti.”
La mia preoccupazione ritorna, ma non faccio domande, mi siedo e aspetto che sia lui a parlare.
“Non è stato un incidente.” Dice e all’inizio non capisco, quindi continuo a tacere. “L’incendio. Non è stato un incidente.”
Continuo a non capire, apro la bocca per parlare, ma non so che cosa dire, quindi mi limito a scuotere la testa. “Come? Non-”
“Il ragazzo era sveglio. Ha visto qualcuno buttare qualcosa dentro casa attraverso la finestra che poi ha preso fuoco, probabilmente una bottiglia. Era buio, non ha visto chi è stato.” Haymitch si passa una mano sul viso, improvvisamente stanco e io aspetto di apprendere la notizia.
Ci mette un po’ ad arrivare, ma mi lascia sconvolta. Lo shock dura un attimo, però. Me lo sarei dovuta aspettare.
“Non voglio che mettiate piede fuori da questa casa se non siete con me, con Peeta o con Katniss. Chiaro?” Haymitch parla, ma non lo sto ascoltando.
Non erano i miei nipoti che hanno cercato di uccidere, il bersaglio ero io e loro hanno rischiato di morire per colpa mia.
“Effie mi stai ascoltando?”
Ho pensato come una stupida che il passato si potesse cancellare, ma è ovvio che non è così. Forse me lo merito, dopo tutto quello che ho fatto. Sicuramente chiunque abbia appiccato l’incendio pensava fosse la cosa giusta da fare.
Ecco che cosa sono: capitolina al 13, ribelle alla Capitale, assassina al 12.

 
A/N: Salve!
Un altro capitolo scritto, sinceramente mi sono divertita molto di più a scrivere questo. Mi piace farli litigare ma poi far vedere che sotto sotto si vogliono bene.
Quindi, per un po’ rimarranno ancora qui, poi vedremo…
Probabilmente non riuscirò ad aggiornare per almeno un’altra settimana, nel frattempo se vi va lasciatemi un commento facendomi sapere che cosa ve ne è parso di questo capitolo, sono veramente curiosa…
Grazie a tutti, venire qui e dare libero sfogo alla mia fantasia mi fa pensare di meno a tutto il resto.
Alla prossima,
 

x Lily

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Capitolo 9
*** 2x04 Gesti naturali ***


A/N: Salve! Se non avete del tutto rimosso questa fanfiction, questo è il nuovo capitolo, non vi rompo tanto le scatole adesso, alla fine (come al solito) c’è una nota d’autore in cui vi spiegherò in brevissimo cosa è successo.
Buona lettura!

2x04 Gesti naturali
 
Ottobre è alle porte e le piogge si fanno sempre più insistenti, ma ormai anche quell’ultimo briciolo di serenità che mi portava l’odore della terra bagnata è volato via assieme alla consapevolezza di non essere al sicuro.
A causa del mal tempo, inoltre, non sono nemmeno riuscita a mettermi in contatto né con Plutarch, né con la mia terapista. Mi ero dimenticata di quanto fosse primitivo questo posto. Una pioggia e tutti i congegni elettronici vanno a farsi benedire.
In queste settimane ho pensato di fare i bagagli e di tornare alla Capitale, ma non ho mai trovato il coraggio di farlo sul serio.
Cambierebbe così tanto? Oltre all’avere un contatto con il mondo civilizzato?
Non è successo nulla dalla serata dell’incendio, nessuna altra minaccia, nessun altro pericolo; ho cominciato addirittura a notare un cambiamento nell’atteggiamento che alcune persone hanno nei miei confronti, un cambiamento in meglio.
Alcuni amici di Haymitch hanno cominciato a salutare me e i ragazzi quando c’incontrano per le strade del Distretto, sempre scortati da lui o da uno dei miei ragazzi.
I bambini hanno ritrovato parte della serenità che avevano perso nelle settimane precedenti e per questo motivo sono arrivata alla conclusione che restare qui non è una cattiva idea.
Peeta ha cominciato a portare abitualmente Lavinia in panetteria e ultimamente anche Anita ha cominciato a seguirlo.
Dopo aver scoperto la natura dolosa dell’incendio, i miei nipoti hanno cominciato a passare diverso tempo con Peeta; ho cercato di dissuaderlo lui continua a dire che non è un problema e che si diverte a stare con loro.
Nonostante la giovanissima età, sono sicura che un giorno sarà un ottimo padre; l’ho anche fatto presente durante una conversazione ma l’argomento è stato subito accantonato da Katniss per mostrarci un nuovissimo dipinto di Peeta, una gigantografia di una foto mandatale da Annie con soggetto il piccolo Finn.
Quando Lavinia ha scoperto passione di Peeta per la pittura, non ha perso tempo a nominarlo il suo disegnatore personale e ogni volta che lascia la casa di Haymitch per raggiungere quella di Katniss, torna sempre con un nuovo disegno.
Un giorno, un paio di settimane fa, Peeta si sentiva particolarmente ispirato e ha dipinto un ritratto di loro tre che poi Lavinia ha fatto appendere al muro; per convincere Haymitch ci sono volute due ore, ma alla fine ha ceduto, più per sfinimento che per altro, ma ogni tanto vado a controllare che il dipinto sia ancora alla parete e che lui non l’abbia messo via…
Nemmeno Katniss sembra troppo infastidita dalla presenza dei miei nipoti; passa molto tempo nei boschi, anche quando il tempo è decisamente inadatto e quando è a casa, mi hanno detto che si chiude nella sua stanza e non si fa sentire.
Un paio di volte – nonostante le mie notevoli perplessità – Anita è addirittura riuscita a convincerla a farsi accompagnare da lei nei bochi. Non capisco come abbia fatto, ma immagino che abbia ereditato le doti persuasive di mia sorella…
Di ritorno da una battuta di caccia, Katniss ci ha informati che anche se non ha ancora alcuna base di preparazione, Anita ha tutte le possibilità di diventare un’ottima tiratrice.
Oltre ad aver fatto diventare verde d’invidia Alex, la cosa mi ha fatto preoccupare notevolmente e ho messo bene in chiaro che gradirei che nessun arco fosse messo nelle mani di mia nipote quattordicenne.
Katniss mi ha promesso che non l’avrebbe più fatto, ma ho i miei dubbi a riguardo…
 “Meglio nei boschi che con Haymitch. Mi ha fatto notare.
Non penso abbia tutti i torti, in effetti. Se escludiamo arco e frecce, Haymitch è un sicuramente un esempio peggiore per dei ragazzini così altamente impressionabili; lo è sempre stato e non finirò mai di ripeterglielo.
Non ha fatto nulla per migliorare le condizioni della casa, non ha fatto nulla per diminuire la quantità di alcool che assume quotidianamente e non ha fatto nulla per rendere questa convivenza meno problematica possibile.
Devo anche ammettere che non ha fatto nulla per peggiorare la situazione, però.
Quando venivo al Distretto 12 ogni anno, per le mietiture, in più di un’occasione si è fatto trovare in condizioni a dir poco imbarazzanti; con tre ragazzini in casa, almeno ha avuto la decenza di andare in giro sempre vestito.
Forse, però, è più una questione di clima che di rispetto… non mi sorprenderebbe; e poi non si è mai lamentato delle grida di terrore che ogni tanto interrompono il silenzio in piena notte, sia che le grida siano mie, sia che appartengano ad uno dei miei nipoti… così come noi non abbiamo mai proferito parola sulle sue.
Alex ogni tanto gli sta un po’ troppo sul collo, credo sia terrorizzato dalla possibilità che si ripeta di nuovo qualcosa come l’incendio e non posso biasimarlo. Immagino che la figura maschile – azzarderei a dire quasi paterna – di Haymitch lo rende un po’ più sicuro.
Haymitch da parte sua non ha fatto assolutamente nulla per alimentare questa cosa, e di questo sinceramente ne sono sollevata.
Se Alex dovesse affezionarsi troppo, Haymitch troverebbe senza ombra di dubbio il modo per deluderlo e mio nipote non merita nulla di simile.

È un pomeriggio qualsiasi, fuori ha smesso di piovere da qualche ora, ma l’aria è ancora umida e fredda. Ormai ho rinunciato da settimane a dare una forma decente ai miei capelli, che dopo nemmeno un’ora tornano ad essere come se mi fossi appena svegliata, quindi li tengo legati in uno chignon per la maggior parte del tempo. Non è il massimo dal momento che qui non posso recuperare nemmeno un quarto dei prodotti per capelli che userei di solito e dalla Capitale, di questi tempi, non farebbero mai partire un treno per un singolo ordine, ma devo accontentarmi.
Katniss ha approfittato del tempo per andare a caccia e ha portato Anita con sé, Lavinia e Alexandre invece sono con Peeta alla panetteria, ma dovrebbero tornare fra poco.
Haymitch sono giorni che si comporta in modo strano: esce al mattino presto dopo aver dato da mangiare a quelle maledettissime oche e torna di pomeriggio inoltrato. Inutile dire che quando ho provato a fare domande mi ha liquidato con un: “Non sono affari tuoi, Trinket.” Senza aggiungere nient’altro.
Non mi dispiacerebbe uscire e andare a fare due passi, fino al Forno, magari. Potrei comprare qualcosa di carino per Katniss e Peeta, per ringraziarli di tutto quello che stanno facendo per noi; ma sono sola e la regola è: nessuna uscita se non accompagnati. Per quanto queste settimane siano state molto tranquille, non si è mai troppo prudenti.
Non appena questo pensiero si formula nella mia mente, sento bussare violentemente alla porta d’ingresso. Scatto immediatamente in piedi, reprimendo a stento un sussulto spaventato.
Nella mia mente immediatamente cominciano a susseguirsi una miriade di scenari più o meno pericolosi, ma poi i colpi si ripetono e mi rendo conto che se qualcuno avesse voluto aggredirmi, non avrebbe di certo bussato alla porta…
Prima di avvicinarmi, raggiungo cautamente la finestra e scosto appena la tenda per poter spiare attraverso il vetro. In piedi di fronte alla porta c’è un ragazzo che riconosco essere Thom, uno dei pochi abitanti gentili del Distretto, ma non è solo.
Haymitch ha un braccio attorno al suo collo, per poggiarsi. È ubriaco, penso, ma poi lui alza la testa per poter battere di nuovo dei colpi alla porta e mi rendo conto che il suo naso sanguina.
Senza pensarci più due volte, vado subito alla porta.
“Finalmente.” Esordisce Haymitch secco, lasciando andare Thom ed entrando, sorpassandomi.
Inizialmente resto ferma, ancora sconvolta dalla vista che mi si è presentata di fronte. Con la coda dell’occhio vedo Haymitch andare in cucina, mi volto per guardare Thom e di tutta risposta lui si stringe nelle spalle.
“Ha fatto a botte.” Risponde semplicemente alla mia domanda muta, poi mi chiede se ho bisogno di aiuto, ma io scuoto la testa.
“No, grazie per averlo riportato a casa.” Mi ci vuole solo un attimo per riprendermi. Ho affrontato situazioni peggiori di un naso sanguinante per quanto riguarda Haymitch, so esattamente che cosa fare. Senza l’aiuto di nessuno.
Congedo abbastanza in fretta Thom, per poi recarmi in cucina. Haymitch sta cercando di fermare l’emorragia infilandosi dei pezzetti di carta nelle narici, io mi convinco a mettere da parte l’istinto che mi dice di cominciare a fare domande e vado a prendere del ghiaccio.
Lo faccio sedere al tavolo e lo costringo a spostare le mani per potergli poggiare il sacchetto pieno di cubetti di ghiaccio sul naso e lui non fa resistenza.
Aspetto qualche momento prima di spostarlo, il sangue si è fermato e quello che c’è sta cominciando a seccare, così come quello sulla maglietta grigia.
La macchia non andrà mai via, la maglia è da buttare…
Una veloce occhiata mi basta per constatare l’entità del danno. “Non è rotto, per fortuna.” La mia mente va inevitabilmente al periodo passato insieme alla Capitale, prima della ribellione, prima della Ghiandaia Imitatrice.
Innumerevoli volte ho dovuto rimediare ai danni delle fin troppo frequenti risse in cui Haymitch s’immischiava. Anche se non ho mai preso nessun pezzo di carta che lo attesti, sono molto più che ferrata con i kit di pronto soccorso…
Quando provo a tamponare via il sangue, però, mi blocca e mi leva dalle mani il sacchetto con il ghiaccio, rimettendolo dov’era. “Non è niente, solo una botta.”
È in quel momento che mi rendo conto che non solo non è ubriaco, ma non puzza nemmeno di alcool come al solito. Mi chiedo se abbia bevuto anche solo una goccia oggi… la cosa mi insospettisce più di quanto non vorrei ammettere e prima di pensare a cosa sto dicendo, gli chiedo con chi ha fatto a botte e perché.
Al momento Haymitch non risponde, anzi, si alza e va in salotto.
Ovviamente lo seguo senza nemmeno farci caso e prendo posto accanto a lui, aiutandolo a reggere il ghiaccio quando mi rendo conto che il naso non è l’unica parte del corpo ad aver subito danni.
Fa fatica a tenere il braccio sollevato, il che mi suggerisce che probabilmente ha ricevuto diversi colpi anche sul torace. Nulla di preoccupante, visto che sta in piedi e respira regolarmente. 
Dopo qualche momento di silenzio, torno di nuovo a fare domande. “Haymitch,” comincio tranquillamente. “Sai perfettamente che continuerò a chiedere finché non mi risponderai sinceramente, quindi… vuoi dirmi tu cosa è successo o devo cominciare a chiedere in giro?”
Con un lamento più scocciato che di dolore, Haymitch mette definitivamente via il ghiaccio, abbandonandolo sul tavolino di legno, di fronte al divano. “Hanno aperto un bar fuori la stazione. Un buco di fogna, ma almeno sai con cosa ti stai avvelenando.”
“Una rissa da bar? Tutto qui?” Non so per quale ragione, ma la cosa non mi convince affatto.
“Era da qualche giorno che giravano delle voci.” Il suo tono non promette nulla di buono, quindi non dico niente e resto in silenzio, senza distogliere lo sguardo, sperando che continui e fortunatamente il seguito arriva senza nemmeno dover chiedere. “C’era un tizio che quando alzava troppo il gomito cominciava a vantarsi di certi amici…”
Non è da Haymitch essere così vago e io sto cominciando a stancarmi, perché penso di aver capito dove vuole andare a parare e la cosa non mi piace per niente. “Non riesco a seguirti, che stai dicendo?” La mia voce suona più insistente di quanto vorrei, ma non posso evitarlo.
Dopo un lungo sospiro, Haymitch si passa una mano sugli occhi, evitando di sfiorare il ponte del naso ancora dolente. “Li ho trovati.”
“Chi?”
“I bastardi che ti hanno buttato una bottiglia incendiaria nella finestra.” Risponde secco, poi aggiunge in tono sarcastico: “A mio parere un pessimo spreco di alcool.”
Io però resto serissima. “Sei sicuro?”
Haymitch annuisce. “Sì, prima di rischiare di finire all’ospedale ho preferito accertarmi che fossero loro, sì.” Ripete, di nuovo sarcastico, ma questa volta colgo una punta di onestà nella sua voce.
Non so se sentirmi sollevata o indispettita. Questo non è il modo giusto di risolvere un problema, questo è solo il modo di causarne nuovi. “Avresti potuto chiamare delle autorità.” È l’unica cosa che mi viene in mente da dire.
“Qualcuno l’ha fatto, dopo che gli ho gentilmente spiegato come stavano le cose.” Fa per alzarsi, ma io lo costringo a restare seduto afferrandogli saldamente il polso.
“Avresti potuto farti molto male.” È evidente che fra noi due io sia l’unica a vedere la serietà della situazione.
“Un ‘grazie’ andava bene, Principessa. Che fine hanno fatto le tue buone maniere?” Mi prende in giro e la cosa conferma solo quello che ho pensato poco fa; la mia presa si stringe, perché temo tenti di nuovo di andarsene, ma non lo fa. “Io sto bene e sicuramente adesso chiunque dovesse avere una mezza idea di rifare qualcosa di simile, ci penserà due volte prima di provarci.”
Resto per un attimo in silenzio, elaborando quello che ha appena detto. È vero, ha ragione, ma ciò non toglie che quello che ha fatto è stato estremamente avventato e stupido.
Che altro mi potevo aspettare da una persona come Haymitch?
Non so cosa dire, quindi non dico nulla. La presa attorno al suo polso si allenta, ma ancora non si muove.
Restiamo entrambi in silenzio a guardarci e ci metto un attimo a riconoscere lo sguardo che ha negli occhi, perché ormai è molto tempo che nessuno mi guarda più in questo modo.
Possibile che mi trovi ancora attraente? Di questi tempi sto portando a stento un filo di trucco e i miei capelli sono ai limiti dell’osceno… eppure dal modo in cui mi guarda è ovvio che sta pensando di baciarmi.
In una vita precedente la maggior parte della gente che incontravo mi guardava così, invece adesso…
Non mi sorprendo quando Haymitch si fa avanti, mi sorprendo invece quando il mio corpo non mi impone di tirarmi indietro.
Nel momento in cui le nostre labbra s’incontrano, una sensazione di familiarità mi avvolge. Sembra passato solo un giorno dal nostro ultimo bacio, quando probabilmente sono passati più di due anni.
È cambiato tutto e allo stesso tempo non è cambiato niente; è assurdo, ma mi sembra così naturale che non ci faccio nemmeno caso quando uno di noi due – non riesco a registrare chi – comincia ad approfondire il bacio.
Una serie di immagini si affollano nella mia mente, non sono immagini negative, anzi… sono immagini felici, immagini che avevo rimosso. Momenti rubati durante e dopo il Tour della Vittoria, incontri fugaci e segreti.
Inevitabilmente questi ricordi, però, si trascinano dietro gli altri. Avverto a malapena una mano di Haymitch sfiorarmi un fianco e subito i suoi dannati occhi verdi mi lampeggiano nella mente.
Con un sussulto interrompo bruscamente il bacio e mi alzo in piedi, dando le spalle ad Haymitch e fissando la finestra; improvvisamente mi manca l’aria. “Perdonami, io-” cerco subito di riprendere il controllo di me stessa, me non so come continuare, quindi dico la prima cosa che mi viene in mente. “I ragazzi torneranno a breve, forse dovrei cominciare a preparare la cena.”
Dietro di me, Haymitch si alza e con la coda dell’occhio vedo che si avvia verso la cucina. “Come vuoi tu, dolcezza…” Biascica le parole, improvvisamente più stanco di prima, poi sento il rumore dell’anta che si apre e il tintinnio di una delle sue bottiglie di whiskey.


A/N 2: Chiedo immensamente perdono per quest’assenza lunghissima e spero sinceramente che qualcuno sia ancora interessato a questa storia.
Non ci credo di essere riuscita sul serio ad aggiornare…
Ho avuto un calo di ispirazione, che è tornata un paio di giorni fa e oggi ho provato a scrivere di nuovo, sperando di aver prodotto qualcosa di decente.
Ho riletto l’ultimo capitolo prima di scrivere questo quindi non dovrebbero esserci problemi di trama… credo.
Cercherò di non far succedere mai più una cosa del genere, continuerò ad aggiornare appena possibile.
I primi di agosto partirò e se non troverò una rete wifi non potrò aggiornare, ma proverò a scrivere nuovi capitoli così nel peggiore dei casi, a vacanza finita aggiornerò più velocemente!
Inoltre volevo solo dirvi che io e la mia ragazza stiamo tentando di aprire un GdR (ovviamente in tema Hunger Games) su Facebook, se qualcuno di voi dovesse essere interessato, può tranquillamente contattarmi tramite MP, qui o comunque sul mio profilo ci sono vari link per dove trovarmi. :3 Stiamo provando a fare qualcosa di carino!

Grazie a chi è rimasto per essere stato così paziente con me, un abbraccio e al prossimo capitolo! :)
 

x Lily
 

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Capitolo 10
*** 2x05 Una visita sgradita ***


2x05 Una visita sgradita
 
A svegliarmi, questa mattina, sono le fusa di Pumpkin; ci metto un po’ a capire dove mi trovo, ma piano piano la mia mente torna ad essere attiva e la realtà prende consistenza attorno a me.
Non sono nel mio letto, sono in quello di Haymitch; nelle ultime settimane i suoi incubi sono diventati più insistenti.
È a corto di alcool e l’unica cosa che sembra funzionare per farlo addormentare, è la mia presenza accanto a lui la notte. Anche se non lo ammetterebbe mai… non mi ha chiesto lui di restare, mi sono autoinvitata, ma il fatto che non mi abbia cacciato, è la conferma di quello che pensavo.
Il motivo per cui la scorta di alcool di Haymitch è finita è il maltempo: nevica. Nevica incessantemente da due settimane ormai, e secondo Peeta non smetterà di nevicare fino ai primi di marzo.
Con un enorme sforzo di volontà, abbandono il letto e faccio qualche passo, agguantando la vestaglia che ho lasciato sulla sedia ieri notte e me la infilo, strofinando i palmi delle mani uno contro l’altro.
Pumpkin scende con un balzo dal letto e comincia a strusciarsi contro le mie gambe, mi chino appena per grattargli la testa dietro l’orecchio e lui comincia a fare le fusa. Quando miagola, dietro di me sento un fruscio di lenzuola e poi un lamento roco, ancora carico di sonno. “Trinket, fai stare zitta quella bestiaccia.”
Senza rispondere, mi limito a prendere in braccio Pumpkin, portando gli occhi al cielo e lascio la stanza in punta di piedi. È ancora presto e probabilmente stanno ancora dormendo tutti, non voglio fare rumore.
Scendo le scale ed entro in cucina, dove lascio andare il gatto e riempio la sua ciotola di croccantini, lui per ringraziarmi ricomincia la sua serenata di fusa.
Lo lascio in pace e raggiungo il salotto, dopo essermi accostata alla finestra, sposto appena la tenda con la mano per guardare fuori.
La neve cade lentamente, solo qualche fiocco, ma è così da giorni, alterna deboli nevicate a tempeste in piena regola.
Questo significa niente comunicazioni, né telefono… il che mi ha completamente separata dal resto di Panem. Non solo non può arrivare il carico di liquori di Haymitch, ma non possono nemmeno arrivare notizie da Plutarch e la cosa sta cominciando a innervosirmi.
Vorrei sapere che cosa sta succedendo alla Capitale, vorrei sapere se si hanno notizie di mia sorella e di mio cugino, vorrei poter parlare con la mia terapista… e perché no, anche scambiare lettere con Annie per sapere come stanno lei e il piccolo Finn.
I miei occhi poi vagano finché non trovano quello che resta della vecchia casa di Peeta, la mia vecchia casa. I lavori sono fermi da mesi, da quando sono cominciate le piogge, non solo per quanto riguarda la casa, ma anche per il resto del Distretto. Ricominceranno in primavera, quando la neve si scioglierà.
Con questi pensieri che mi ronzano in testa, abbandono la finestra per tornare in cucina. Pumpkin ha svuotato la ciotola e ora è già sparito, probabilmente rannicchiato sul letto di Lavinia, o sul divano.
Comincio a preparare del tè caldo, ogni giorno che passa, mi ritrovo ad odiare sempre di più l’inverno al Distretto 12. Detesto il freddo, mi ricorda i giorni passati rinchiusa in cella, vestita di niente se non una tunica di lino.
Mentre aspetto che l’acqua cominci a bollire, qualcuno suona al campanello e vado immediatamente ad aprire, prima che qualcuno si svegli, sono rari i momenti di pace come questi.
Alla porta è Peeta, regge un pacco in una mano e un cestino nell’altra. Mi faccio subito da parte. “Entra, o congelerai!” Gli dico con apprensione e lui non se lo fa ripetere due volte.
Non appena la porta si chiude alle sue spalle, Peeta mi passa quello che sta reggendo e comincia a strofinarsi le mani, lasciando neve fresca su tutto il pavimento. Evito di farglielo notare, perché ormai questa scena si ripete da giorni e gli volto le spalle, avviandomi verso la cucina. “Vieni, sto facendo un tè.”
Ancora una volta, Peeta non fa complimenti e mi raggiunge immediatamente; mentre metto in infusione le foglie di tè, poi, mi volto verso di lui che ora è seduto al tavolo, con di fronte il cestino e il pacco.
So che nel primo c’è del pane caldo, sfornato da poco, mentre ignoro completamente il contenuto del secondo.
Verso il tè bollente in due tazze e gliene porgo cautamente una, poi prendo posto di fronte a lui.
Dopo qualche attimo, e un paio di sorsi, Peeta sembra riprendersi completamente e spinge verso di me il pacchetto. “Era indirizzato alla mia vecchia casa, quindi lo hanno dato a me, ma è per te.” Mi spiega e io metto giù la tazza per ispezionarlo.
È un piccolo pacco marrone, mi stupisco che sia riuscito ad arrivare, dal momento che credevo che le comunicazioni fossero interrotte, ma evidentemente devono aver sfruttato queste ore di calma.
I timbri che lo ricoprono mi fanno capire immediatamente che arriva dalla Capitale, forse sono lettere di Plutarch.
“Mi hanno detto che probabilmente fra qualche ora arriveranno anche i carichi di liquore, di’ ad Haymitch che gli conviene fare scorta, non so quando arriverà un altro treno…”
Sorrido al ragazzo, poggiando il pacchetto e riprendendo in mano la tazza, solo per riscaldarmi i palmi. “Sono sicura che non ci sarà bisogno che glielo dica.”
Anche Peeta mi sorride, annuendo e infilando il naso praticamente nella tazza.
Rimaniamo a parlare ancora per un po’, mi racconta di come se la stanno cavando lui e Katniss. Ora che è tutto ricoperto di neve, non può andare a caccia e la cosa la rende parecchio frustrata, ma appena smette di nevicare per qualche ora, si arma di arco e frecce e sparisce.
Peeta mi fa sapere anche che gli incubi di entrambi sono notevolmente migliorati, così come i suoi episodi. Non ne ha avuto nessuno per quasi tre settimane ora e la cosa mi rende enormemente felice.
Quando se ne va, torno di sopra e comincio a preparare un bagno caldo. Il mese scorso ho fatto riparare la caldaia da Peeta, quando Haymitch si è rifiutato di farlo e da quel momento le cose sono cambiate radicalmente.
Le docce non sono più state gelide, e sinceramente, nonostante Haymitch mi abbia raccomandato di non passare ore chiusa in bagno, ho continuato a prendere tutto il tempo che mi serviva.
Riempio la vasca da bagno fino all’orlo e faccio schiumare il sapone profumato che ho trovato circa quattro settimane fa al Forno; ormai è quasi finito, spero di riuscire a recuperarne altro in fretta.
Mi metto a mollo e mi rilasso completamente, il caldo dell’acqua mi avvolge e mi culla e ogni pensiero mi abbandona.
Più di un’ora e mezza più tardi, lascio il bagno per raggiungere la cucina. Anita ha preparato la colazione e mangiamo tutti insieme, fatta eccezione per Haymitch che non si è ancora alzato.
Quando abbiamo finito, i ragazzi vanno a prepararsi per poi uscire a giocare con la neve, tutti e tre sembrano decisamente più entusiasti di me al riguardo.
Alla Capitale nevicava di rado, e quando lo faceva, enormi spazzaneve si assicuravano che le strade fossero ben pulite, e altri macchinari spargevano delle polveri che impedissero alla neve di depositarsi nuovamente, quindi non c’erano posti dove giocare.
Dopo essermi assicurata che i miei nipoti siano ben coperti, li lascio andare e riempio una grossa tazza di caffè da portare ad Haymitch.
Lo trovo già sveglio, intento a leggere sul letto. È così che cerca di distrarsi quando è in astinenza.
“Questa mattina Peeta mi ha detto che probabilmente più tardi arriverà il carico di liquori.”
Non mi risponde, ma non ho bisogno di una risposta. Solleva appena gli occhi dal libro e allunga una mano per prendere la tazza che gli sto porgendo, la mano trema ed è costretto a poggiare immediatamente la tazza sul comodino.
Non aggiungo altro e lo lascio in pace, sapendo che in questi casi preferisce restare da solo.

Diverse ore più tardi, dopo pranzo, sono seduta di fronte al camino acceso. Pumpkin è acciambellato sulle mie ginocchia e fa le fusa mentre lo accarezzo.
Sono completamente persa nei miei pensieri, quindi quando Alex mi si avvicina reggendo qualcosa, sussulto per la sorpresa.
“Che cos’è?” Mi chiede lui, facendomi vedere il pacchetto arrivato questa mattina.
Me ne ero completamente dimenticata, e allungo una mano per prenderlo. “Lettere, credo.” Non perdo tempo ad aprirlo questa volta e dentro ci sono, come pensavo, diverse lettere.
Le poggio sul divano, fra me e mio nipote, poi comincio a studiarle. Un paio sono di Plutarch, in una mi racconta che non si hanno notizie di mia sorella, ma mi informa che mio cugino si sta riprendendo e che presto sarà dimesso dall’ospedale; nell’altra invece – spedita un paio di giorni dopo – mi chiede di telefonarlo appena possibile per accordarci su alcuni termini del mio lavoro e di telefonare anche alla mia terapista, in modo da poter riprendere le nostre ‘sedute’.
Ci sono diverse lettere di Annie, mi scrive per raccontarmi come sta andando la sua vita. Finn ha quasi due anni, ormai scorrazza per tutta la casa, parlotta di continuo e ha imparato a nuotare.
Mi sorprendo di scoprire che da un paio di settimane Johanna è andata a vivere con lei. Non c’è scritto se la convivenza è momentanea o permanente, forse non lo sa nemmeno lei.
C’è anche una lettera di Venia, era più di un anno che non avevo notizie da lei o da Octavia e Flavius. Hanno saputo che io e i miei nipoti ci siamo trasferiti al Distretto 12 e vogliono sapere come stiamo.
Hanno aperto un centro S.P.A. al Distretto 1 e gli affari stanno andando bene, anche se i primi tempi è stata dura; Venia mi ha anche dato i loro numeri di telefono. Sono contenta per loro, e non appena le linee telefoniche riprenderanno a funzionare, li chiamerò sicuramente per parlare direttamente con loro.
“Zia, questa lettera è dell’assistente sociale.”
Alex interrompe ancora una volta il flusso dei miei pensieri, sollevo lo sguardo su di lui per rendermi conto che mi sta porgendo una lettera che ancora non avevo aperto. La prendo in mano e la rigiro più volte, è vero, il mittente è Deena Heller e il contenuto della lettera mi fa raggelare il sangue.
Ha cercato di mettersi in contatto telefonico con me e non c’è riuscita, quando nemmeno Plutarch è riuscito a darle le informazioni che cercava, ha deciso di venire a controllare di persona. La lettera è stata spedita una settimana fa e il giorno della visita è oggi. Ovviamente.
Sollevo lo sguardo dalla lettera e mi guardo intorno; la cucina è piena di piatti sporchi, il pavimento del salotto e dell’ingresso è ricoperto di impronte di fango e di neve sia fresca che sciolta.
La stanza di Haymitch è un inferno, quelle dei ragazzi sono in disordine e la visita potrebbe essere a momenti.
Mi alzò in fretta, facendo cadere a terra Pumpkin che si lamenta e risalta sul divano con un balzo. “Va’ immediatamente a chiamare le tue sorelle, probabilmente riceveremo una visita dall’assistente sociale oggi, dobbiamo risistemare la casa.”
Alex sembra preoccupato quanto me, se Deena Heller dovesse pensare che questo posto non è adatto a loro – e non lo è – probabilmente li riporterebbe alla Capitale, ora che mio cugino si è ripreso.
Comincia a fare le scale di corsa e sparisce subito dopo, io cerco di sistemare i cuscini sul divano e di sollevare da terra cartacce e bottiglie vuote, andandole a gettare nella pattumiera in cucina.
I piatti da fare sono una montagna… non ce la farò mai.
Quando torno in salotto, incrocio Haymitch pronto ad uscire. “Dove stai andando?” Domando prontamente, forse con un po’ troppa impazienza.
I suoi movimenti sono lenti e quando risponde, la sua voce è stanca. “Tu che cosa credi?” È più brusco del solito, e non mi guarda nemmeno in faccia mentre cerca di abbottonarsi la giacca, ma con le mani che tremano è un compito difficile.
Mi avvicino a lui per aiutarlo, pronta ad essere cacciata, ma non succede e comincio ad abbottonare i bottoni partendo da quello più in alto. “Sta per arrivare l’assistente sociale, io e i ragazzi rimetteremo tutto in ordine, se hai intenzione di ubriacarti non tornare prima di stasera.” Non vorrei sembrare troppo dura o scortese, ma l’ultima cosa di cui ho bisogno è Haymitch ubriaco che vomita sulle scarpe dell’assistente sociale.
Lui borbotta qualcosa di incomprensibile mentre abbottono anche l’ultimo bottone. “Per favore, quando passi davanti alla casa di Katniss, chiedi a Peeta di venire qui.” Lui annuisce distrattamente quando gli sistemo il colletto foderato di pelliccia e istintivamente mi porto in avanti per dargli un leggero bacio sulla guancia. “Non fare stupidaggini.” Lo congedo e lui apre la porta, richiudendola subito dopo.
L’aria gelida mi si attacca alle ossa e i comincio a battere i denti, torno di fronte al camino per riscaldarmi e poco dopo arriva Peeta. Gli spiego la situazione e insieme decidiamo come proseguire.
Lui farà i piatti mentre io sistemerò il piano di sopra con le camere da letto mentre i ragazzi si occuperanno dello studio e del salotto; secondo lui il prossimo treno che non sia da carico dovrebbe arrivare fra due ore, quindi abbiamo fino a quel momento per rivoltare la casa.
Dopo nemmeno mezz’ora da quando Peeta è arrivato, bussano alla porta. il cuore mi si ferma in gola, ma non è l’assistente sociale, è Haymitch accompagnato da alcuni amici. Portano con loro otto grosse casse cariche di liquori, mi basta uno sguardo per vedere che ha bevuto ma non tanto da essere ubriaco perso.
Prima che possa dire qualcosa, mi sorpassa e fa cenno agli altri di entrare. Quelli che lo hanno aiutato se ne vanno poco dopo e ho la sensazione che Haymitch resterà chiuso nella sua stanza per parecchio tempo. La cosa mi tranquillizza, in un certo senso.
Lavare il pavimento credevo sarebbe stata la cosa più difficile, ma quando metto piede nella camera di Haymitch, mi rendo conto che se provassi a fare qualcosa, non finirei mai in tempo. Ora è ubriaco, steso sul letto ancora vestito e con le scarpe piene di fango.
Facendo come se lui non esistesse, decido semplicemente di accantonare tutti i vestiti che sono sul pavimento da una parte e di buttare le bottiglie vuote, sperando con tutto il cuore che l’assistente sociale non voglia esaminare tutte le stanze.
Quando torno di sotto, il salotto e la cucina splendono, non so come ringraziare Peeta ma lui come al solito non vuole nulla in cambio.
Venti minuti più tardi, sono in salotto assieme ai miei nipoti e Deena Heller – con il suo volto da cavallo – e abbiamo tutti una tazza fumante in mano e il sorriso sulle labbra.
La temperatura all’interno della casa è perfetta grazie al camino, fuori ancora non nevica, e spero non riprenda ora.
Secondo Deena, la sua è una permanenza molto breve. Fra due ore deve riprendere il treno, ma se dovesse venire a nevicare molto forte, allora sarei costretta ad ospitarla per la notte ed è l’ultima cosa che voglio fare.
Per prima cosa parla con i ragazzi, gli fa domande di ogni genere. Chiede loro della scuola, e non sembra troppo entusiasta quando scopre che al Distretto 12 non c’è una vera e propria scuola, non ancora almeno. Ma mento spudoratamente quando le dico che in primavera, quando riprenderanno tutti i lavori di ricostruzione, partirà anche un progetto per quello. Immagino che comunque prima o poi la ricostruiranno…
Mentre parlano, lei appunta tutto su un quaderno che poggia sulle gambe, non so cosa darei per poter leggere quello che scrive.
Quando sembra aver finito con i miei nipoti, li rimanda di sopra e restiamo solo noi due.
“Sembrano molto più sereni rispetto all’ultima volta.” Comincia e la cosa mi porta un sorriso sincero sulle labbra. “Come mai ha deciso di venire al Distretto 12?”
È impossibile che non conosca il mio passato, sia prima che dopo la guerra, quindi la sua è una domanda di pura cortesia. “Ho degli amici qui, mi hanno aiutata a riprendermi.”
Lei annuisce, riprendendo a prendere appunti. “Ho saputo dell’incendio di cinque mesi fa.”
“Un incidente.” Mi affretto a dire, mascherando ogni genere di emozione sul mio viso. Era dai tempi dei Giochi che non recitavo in questo modo, mi stupisco di esserne ancora in grado. “Una fuga di gas, le case sono molto vecchie. Ma abbiamo fatto controllare tutto, questa casa è perfetta.”
Non ho nemmeno finito di parlare che dal piano di sopra arriva un sonoro tonfo. Qualcosa – o più probabilmente qualcuno – deve essere caduto per terra, ma mi sforzo di sorridere, senza distogliere lo sguardo da lei, come se non mi fossi accorta di nulla.
“Cos’è stato?” Mi chiede, confusa.
“Cos’è stato cosa?” Rispondo, fingendomi confusa anch’io.
Un altro tonfo e Deena si alza. “Questo.”
Io resto seduta, portando la tazza di tè alle labbra. “Probabilmente il gatto, è terribilmente maldestro.”
Ancora un altro tonfo, stavolta più pesante. “Un gatto incredibilmente grosso…” Un sopracciglio di Deena si alza, spostando lo sguardo da me al soffitto.
A questo punto porto una ciocca di capelli dietro l’orecchio e poggio la tazza sul tavolino, poi mi alzo anch’io. “Forse è il padrone di casa. È… malato. Ha la febbre molto, molto alta. Forse ha cercato di alzarsi ed è caduto.”
Deena sembra più sollevata e torna a sedersi, anche io faccio lo stesso. “Non vuole andare a controllare?”
“No.” Rispondo subito, forse troppo bruscamente. “No, non c’è bisogno… sono sicura che stia bene.” O almeno starà bene finché non andrò a tirargli il collo.
“Vivete con il padrone di casa? Credevo che questa casa fosse in affitto.”
Io scuoto la testa, mettendomi composta e riacquistando sicurezza; le sorrido e accavallo le gambe. “Siamo suoi ospiti, dopo l’incendio mi ha invitata a stare qui. Siamo vecchi amici.”
Il suo sguardo è fin troppo intenso, mentre riprende a scrivere sul suo maledettissimo quaderno. Come se non sapessi di tutte le voci che giravano ai tempi dei Giochi e anche dopo…
Fortunatamente non ha molto altro da chiedermi, facciamo un giro veloce della casa e riesco a convincerla ad evitare la stanza di Haymitch, premendo sulla sua presunta febbre altamente contagiosa.
Quando se ne va, vedo che Katniss e Peeta ci stanno osservando dalla loro finestra e non appena Deena sparisce dal Villaggio dei Vincitori, tutti e due lasciano la loro casa per raggiungermi e sapere tutto.
Gli racconto ogni cosa, e quando sono soddisfatti, li saluto. Ora devo andare ad uccidere Haymitch.
Come pensavo, lo trovo sul pavimento, steso supino con quattro bottiglie vuote ai piedi.
Pumpkin arriva da dietro di me e si avvicina al volto di Haymitch, annusandolo. Lui lo scaccia via con la mano ed un lamento; è in stato di semi-coscienza ma riesce a chiedermi com’è andata con l’assistente sociale. Evito di soffermarmi sui particolari, perché domani mattina non ricorderà nulla, mi limito a dire che per ora credo non prenderà provvedimenti.
Mi chiede aiuto per alzarsi, ma dopo essermi chinata e avergli sistemato un cuscino sotto la testa, gli do un paio di pacche affettuose sulla spalla. “Buonanotte Haymitch, divertiti sul pavimento.”
Me ne vado chiudendo la porta alle mie spalle, con un sorriso soddisfatto sulle labbra, sapendo che domani avrà un mal di schiena terrificante oltre ai postumi della sbornia. Così impara a comportarsi in questo modo…


A/N: Salve!!!! Un altro capitolo che non vedevo l’ora di scrivere! È anche più lungo del solito, sono soddisfatta di me stessa. :3
Fatemi sapere cosa ne pensate e ci vediamo al prossimo capitolo! Lo sto progettando da una vita, non vedo l’ora di finirlo, sarà forse il mio preferito!!!
Se vi va di leggere qualcosa di parecchio post-Mockingjay, ho scritto una one-shot Hayffie un pochino particolare. La potete leggere cliccando qui.

A presto, grazie per aver letto e se volete, lasciate un commento!
 

x Lily

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Capitolo 11
*** 2x06 Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco ***


2x06 Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco
 
“TU E IL TUO MALEDETTISSIMO GATTO! GIURO CHE GLI TIRO IL COLLO!”  La voce di Haymitch arriva dalla finestra aperta e tuona per tutta la casa. Ero in cucina, ma esco di corsa per vedere che sta succedendo e lo trovo dentro al recinto delle oche.
La pelle mi si accappona quando mi rendo conto che ne sta reggendo una per le zampe. L’animale penzola senza vita davanti ai miei occhi e sono costretta a distogliere lo sguardo per non sentirmi male.
“È la terza che fa fuori, ti avviso Trinket: se lo prendo mi faccio un paio di guanti con la pelliccia.” La voce è tremendamente seria, ma so che è tutta scena.
Incrocio le braccia al petto, tenendo volutamente lo sguardo lontano dall’oca e alzo il mento. “L’arancione non è il tuo colore, Haymitch. E poi non hai nessuna prova che confermi che sia stato Pumpkin. Potrebbe essere stato un cane randagio…”
Lui mi piazza di fronte quella maledetta bestiaccia morta e io volto ancora di più la testa. “Questa non è opera di un cane. È opera di un gatto, del tuo gatto.”
Alza la voce di nuovo e questa volta mi guardo intorno infastidita, se continua così perfino Katniss e Peeta riusciranno a sentirlo. Faccio un passo indietro per allontanarmi da lui e dall’oca e poi gli indico la porta di casa con un veloce cenno della testa. “Metti via quell’animale e torna dentro. È soltanto un’oca…” Con queste parole torno dentro casa, lasciando la porta aperta.
Alex mi aspetta all’ingresso della cucina, ovviamente ha sentito tutto, perché appena mi avvicino abbastanza, lancia un’occhiata incuriosita alla finestra. “Un’altra oca?”
Io annuisco e raggiungo il lavello. Se c’è una cosa che detesto è lavare i piatti sporchi, ma ho bisogno di distrarmi e mi accontento di ogni cosa. “Dammi una mano, per favore.” Gli chiedo e lui obbedisce.
Non parliamo mentre io lavo le stoviglie e lui le asciuga con un panno; da quando è sbocciata la primavera le cose hanno cominciato a girare per il verso giusto, finalmente.
Con il bel tempo, il telefono ha ripreso a funzionare e riesco a mettermi in contatto settimanalmente con tutti e a portare a termine il mio lavoro con Plutarch.
Agli inizi di aprile hanno anche ripreso i lavori in tutto il Distretto, la vecchia casa di Peeta è quasi di nuovo in piedi e io non ho ancora deciso che cosa fare… immagino di doverne parlare con Haymitch, ma in questi giorni, con le sue oche squartate dai randagi, non ho nessuna voglia di mettermi a parlare con lui.
È soprattutto per questo che nei due giorni successivi parliamo a malapena, io cerco di evitarlo ma lui non fa nulla per non essere evitato.
Dopo tre giorni di trattamento del silenzio, una sera decido di provare a ragionare con lui, perché a quanto pare sono l’unico adulto presente nella casa.
Vado da lui con le migliori intenzioni, e lo trovo ubriaco sul letto, ma per fortuna non è incoerente.
Ben presto, però, mi rendo conto che ragionare è impossibile, dopo due minuti di parole dette con calma e razionalità, come al solito lui comincia a lamentarsi del fatto che ho monopolizzato la casa, che sono una spina nel fianco e che non vede l’ora di liberarsi di me.
Tutte cose che ho già sentito, ovviamente, ripetute per l
’ennesima volta solo perché è ubriaco… ma questa volta il litigio degenera.
Lui lascia il letto e comincia ad alzare la voce e io mi ritrovo costretta a fare lo stesso. Finiamo per urlarci cose terribili in faccia e mi ritrovo ad accusarlo di cose che per quanto vere, preferirei non tirare fuori in questo momento, come l’alcolismo e il fatto che si sta comportando in maniera pessima da settimane, sempre rinchiuso, sempre di cattivo umore.
L’adrenalina che scorre nelle mie vene ha un effetto strano, il dove e il quando scompaiono. Mi sembra di essere tornata indietro, ai tempi dei Giochi, quando le parole avevano un significato diverso, quando le nostre grida ostili rimbombavano nel salotto dell’attico, durante gli Hunger Games, quando non avevo incubi e non avevo paura anche della mia stessa ombra.
Haymitch riesce a farmi diventare matta; sono furiosa, furiosa come non ero da moltissimo tempo e come mai pensavo sarei stata di nuovo. Allo stesso tempo, però, non riesco nemmeno a ricordare l’ultima volta che mi sono sentita così viva.
Poi tutto succede talmente in fretta da non rendermene nemmeno conto.
Haymitch avanza pericolosamente verso di me, ma esattamente come avrei fatto un tempo, non indietreggio, anzi, avanzo. Le nostre voci si sovrappongono, gli punto un dito accusatorio contro il petto e lui mi afferra istintivamente il polso.
C’è un attimo di stasi, entrambi smettiamo di parlare. Nei suoi occhi grigi c’è una luce diversa, minacciosa ma dura un attimo. Non mi da nemmeno il tempo di allarmarmi, prima di prendere coscienza della situazione. A questo punto immagino che allenterà la presa e farà un passo indietro, invece fa esattamente l’opposto.
In un battito di ciglia mi ritrovo inchiodata alla parete, con il corpo di Haymitch premuto contro il mio, come se potessimo diventare incorporei e passare dall’altra parte.
Le sue labbra attaccano le mie in un bacio affamato, quasi feroce. Dopo quella sera di ottobre, non avevamo più parlato del bacio, questa volta però le cose sono completamente diverse.
Questo bacio non assomiglia in minima parte all’ultimo che ci siamo scambiati, questo bacio è carico di rabbia e tensione. Denti contro denti, lingua contro lingua.
Con la stessa velocità con cui è iniziato, poi, finisce.
Ci ritroviamo entrambi senza nulla da dire, ansimanti e confusi.
Nei suoi occhi leggo una domanda muta, cerca il minimo segno di esitazione dalla mia parte, ma non ne trova e così si rifà avanti, coinvolgendomi in un bacio non meno passionale del primo.
Non so nemmeno io perché questa volta il mio cervello non mi abbia imposto di fermarmi, perché il mio corpo non si sia paralizzato dalla paura.
Forse è l’adrenalina che ancora scorre nelle vene a causa del litigio o forse è la rabbia che è ancora presente e non vuole cedere il posto a nessun altro sentimento.
L’unica cosa di cui sono certa è che questa volta non c’è niente che mi impedisca di lasciarmi andare.
Non avrei mai creduto che dopo tutto quello che mi è stato fatto, avrei permesso a qualcuno di toccarmi. Ovviamente, in fondo al cuore, sapevo che se mai fosse successo di nuovo, questo qualcuno doveva essere Haymitch.
Con una forza che non immaginavo avesse, mi solleva di peso dalla parete finché non siamo entrambi sul letto.
Riesco a liberarlo dalla maglietta prima di mettermi a litigare con la cintura dei suoi pantaloni, forse per la prima volta nella storia dei nostri incontri romantici, sono io ad avere più problemi con i vestiti.
Ovviamente Haymitch non perde l’occasione di farmelo notare. “L’ultima volta è stato più difficile farti uscire dai tuoi maledetti vestiti.” La sua voce è più profonda, rotta dall’eccitazione.
Ricordo l’ultima volta come se fosse stato ieri, come se non fosse successo nulla in questi anni e la cosa mi sorprende, mi spaventa quasi. Non dovrebbe essere così semplice, ma lo è. 
“L’ultima volta resterà l’ultima se non stai zitto.”
Ricordi un litigio simile a questo mi affollano la mente, poco dopo che i ragazzi erano entrati nell’arena. Ricordo un vestito molto più complicato rispetto a quello che indosso ora… Ricordo di essermi infuriata perché lui continuava a uscire di nascosto invece che restare con me a controllare che non succedesse nulla di male. Se soltanto mi avesse detto qualcosa…
Le mie riflessioni s’interrompono bruscamente quando Haymitch comincia a tracciare una lunga scia di baci, facendola partire dal collo, scendendo sul petto, sull
’addome, sullo lo stomaco.
Presto non c’è più niente che impedisca alla nostra pelle di essere a contatto; i miei pensieri diventano incoerenti, poi svaniscono nel nulla, sopraffatta dalle sensazioni.
Il mattino seguente sono svegliata dalle grida terrorizzate di Lavinia.
Spaventata, balzo giù dal letto. Haymitch mi segue a ruota, senza dimenticare di afferrare il coltello che tiene sempre nascosto sotto il cuscino.
Arriviamo davanti alla porta e subito mi ritrovo fra le braccia Lavinia, tremante e in lacrime. Alzo la testa per vedere che cosa sta succedendo e a stento trattengo un grido orripilato.
Anita è nascosta spaventata dietro il fratello, Alex sembra tranquillo.
Sul letto di Lavinia, decisamente morta, c’è quella che un tempo era un’oca e che adesso è un cumulo di piume e sangue. L’animale, completamente smembrato, è al centro del letto, in una chiazza densa e rossa.
Dietro di me sento Haymitch ringhiare, mi volto verso di lui e vedo che si sta asciugando il sudore dalla fronte, con la mano che ancora regge il coltello. È impercettibile, ma riesco a notare un leggero tremore…
Anche io mi ritrovo a tremare, l’urlo di mia nipote è stato agghiacciante. La stringo di più, accarezzandole la testa.
Lavinia strofina il viso contro il mio stomaco e quando parla, la voce è rotta da singhiozzi. “Mi sono svegliata ed era sul mio letto.”
“Va tutto bene, tesoro. Adesso va in bagno a sciacquarti il viso.” Cerco di sorriderle, poi mi rivolgo ad Anita. “Accompagnala, per favore.” La sorella non se lo fa ripetere due volte, si allontana da Alex e prende Lavina per una mano, accompagnandola alle scale.
Appena si sono allontanate, Haymitch punta il coltello contro l’oca. “Appena quel gatto si fa vivo non la passa liscia.”
Sto per ribattere, ma Alex è più veloce di me. “Non dovresti arrabbiarti. È sul suo letto, vuol dire che è un regalo…”
“Un reg-” Haymitch comincia a lamentarsi seccato, ma il mio sguardo lo ferma e si morde le guance, prima di alzare le mani in segno di resa e di allontanarsi.
Gli vado dietro, ma prima che possa dire o fare nulla, esce di casa sbattendo la porta.
Tiro un sospiro di sollievo, perché almeno adesso non dovrò evitare che Haymitch insegua Pumpkin per tutta la casa, quindi torno da Alexandre. “Va a controllare come sta Lavinia, qui ci penso io.”
Lui annuisce e si allontana, io resto da sola con quella povera bestia. Riesco a fissarla per cinque secondi, prima di decidere di non avere nessuna intenzione di spostarla.
Però non può rimanere lì e di sicuro non posso chiedere ad Alex di farlo al posto mio. Mi resta solo una cosa da fare: chiamare – per l’ennesima volta – Peeta.

Come al solito arriva qui poco dopo averlo chiamato e mette l’oca in una scatola, poi mi aiuta a cambiare le coperte.
“Non è così strano.” Mi dice, mentre sistemiamo il lenzuolo. “Anche Ranuncolo qualche volta lo fa. È nella natura dei gatti, non potete farci nulla.”
Porto gli occhi al cielo, scuotendo la testa. “Prova a convincere Haymitch…” dico sarcastica.
“Sono sicuro che gli passerà, sa quanto è importante quel gatto per te. Sono tutte parole, non gli torcerà nemmeno un pelo, vedrai.” Cerca di rassicurarmi e questa volta gli do ragione.
Come potrei mai dimenticare quello che ha fatto per me quando sono arrivata qui? Avrebbe potuto lasciare che Pumpkin morisse fra le fiamme dell’incendio e invece non l’ha fatto.
Chiudo gli occhi e inspiro lentamente, Haymitch aveva ragione. È ovvio che si tratta del mio gatto e adesso sono io che gli devo delle scuse… “Grazie Peeta, non so davvero come avrei fatto senza di te.”
“Tranquilla, Effie. Mi fa bene distrarmi un po’ ogni tanto.” Questa volta nel suo sorriso c’è qualcosa di strano, una nota amara che non riesco a decifrare.
Vorrei approfondire, ma allo stesso tempo non vorrei metterlo a disagio, quindi preferisco restare in silenzio e aspettare che sia lui a parlare, se vuole farlo.
Peeta, però, lascia cadere l’argomento, scusandosi e dicendo di dover tornare a casa per finire un dipinto, io lo ringrazio ancora e lo lascio tornare alla sua quotidianità.

La giornata prosegue tranquillamente, non voglio nemmeno pensare che fine abbia fatto la carcassa dell’oca, probabilmente seppellita da qualche parte o cremata.
Lavinia si è ripresa e così anche Anita, Alex le ha spiegato che cosa significava quel gesto. La bambina temeva che il gatto potesse essere arrabbiato con lei e che le avesse voluto fare un dispetto, ma dopo aver appreso che si trattava di un regalo, era decisamente meno scossa.
Pumpkin è comparso nel primo pomeriggio, l’ho trovato mentre stava disteso sornione sul davanzale della finestra a riscaldarsi sotto i raggi del sole, mi ha guardata per qualche secondo, poi è sceso dalla finestra e ha cominciato a strusciarsi fra le mie gambe, finché non gli ho dato da mangiare, come se nulla fosse.
Quando il sole comincia a tramontare, decido di andare a prendere una boccata d’aria fuori.
Appena esco, le oche cominciano a starnazzare impazzite, lancio un’occhiataccia verso la loro direzione e poi vado a sedermi sul mio solito dondolo (sistemato da Peeta un paio di mesi fa) rilassandomi dopo quella che è stata una lunga, lunghissima giornata.
Una risata in lontananza riempie improvvisamente l’aria, sollevo lo sguardo cercando la persona da cui proviene.
Più avanti, davanti la casa di Katniss e Peeta, Lavinia sta giocando con Ranuncolo, gli accarezza la testa, si rincorrono e lui le fa degli agguati scherzosi.
Non è la prima volta, Lavinia adora gli animali, e gli animali adorano lei; però mi ritrovo a richiamarla, perché già altre volte ha giocato con il gatto di Katniss davanti alla loro casa, con me presente, e lo sguardo della ragazza si era incupito terribilmente.
Solo qualche giorno più tardi Peeta mi ha raccontato di quanto Ranuncolo fosse legato a Primrose e mi ha confidato che in quell’occasione Lavinia le aveva ricordato la sorella.
Un po’ dispiaciuta, mia nipote torna in casa, non le abbiamo spiegato il motivo per cui non deve giocare con Ranuncolo se non è nel nostro giardino, ma è una bambina sveglia e credo che abbia captato qualcosa.
Dopo poco, riconosco la sagoma di Haymitch avanzare verso casa, lo aspetto senza muovermi e quando raggiunge il portico, invece di entrare si siede accanto a me, senza molta eleganza.
Ha bevuto ma è ben lontano dall’essere ubriaco, però ha una bottiglia vuota in mano; prendo un bel respiro e parlo senza guardarlo negli occhi, perché altrimenti non riuscirei a scusarmi come avevo deciso di fare. “Avevi ragione… a proposito di Pumpkin. Mi dispiace…” Poi un altro respiro, calando lentamente le palpebre. “E mi dispiace di aver detto quelle cose terribili ieri sera, sull’alcool e tutto il resto.”
Haymitch resta in silenzio per qualche secondo, poi mi passa un braccio attorno alle spalle. “Credo che ti sia già fatta perdonare per quello che hai detto ieri sera, Principessa.” Anche se non lo sto guardando, riesco a sentire il ghigno che si è formato sulle sue labbra.
Scuoto la testa rassegnata, e io che ancora mi stupisco, penso

“Da domani terrai il tuo gatto chiuso in casa, e se esce e ammazza un’altra delle mie oche mi assicurerò che non ci sia Peeta ad aiutarti con la carcassa…” Il suo tono di voce è un po’ troppo divertito per i miei gusti.
Con una smorfia, faccio per dire qualcosa, ma le oche che starnazzano m’impediscono di aprire bocca. Si capisce immediatamente che sono spaventate; sia io che Haymitch balziamo in piedi.
Gli animali stanno svolazzando e dimenandosi ovunque.
“EHI!” Haymitch lancia la bottiglia vuota in mezzo al gruppo di oche. “SCIÒ!”
Un lamento e un soffio, poi un movimento di coda e Ranuncolo balza sul recinto, con una piuma attaccata al muso.
Io lo sapevo, lo sapevo, che il mio cucciolo non poteva fare una cosa del genere!
Haymitch sbraccia di nuovo e il gatto schizza via, correndo verso la sua casa.
Ancora un po’ sconcertata, seguo la sua fuga finché non entra con un balzo aggraziato, attraverso una finestra aperta, poi torno a guardare Haymitch, sollevando un sopracciglio. “Chiedo scusa, stavi dicendo?”
Dopo aver lanciato un’altra occhiataccia rivolta verso la casa dei due ragazzi, Haymitch si limita a passarmi una mano dietro la schiena e mi incita ad avviarmi alla porta di casa. “Dentro, forza.”
Sulle mie labbra, però, non può che apparire un sincero sorriso soddisfatto. Potrà ammetterlo o meno, ma avevo ragione io…


A/N: Salve! Non vedevo l’ora di scrivere questo capitolo!!!
Spero con tutto il cuore che vi sia piaciuto, non so quando potrò riaggiornare perché devo partire per una vacanza. Con un po’ di fortuna, avrò il tempo di scrivere così non appena tornerò potrò inserire i nuovi capitoli.
Fatemi sapere cosa ne pensate e alla prossima!
 

x Lily

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Capitolo 12
*** 2x07 A volte ritornano ***


2x07 A volte ritornano
  
Due anni e mezzo prima
 
Ti va se questo pomeriggio andiamo a fare shopping? Ho visto un completo turchese in centro che mi starebbe benissimo, potremmo vedere qualcosa anche per te!
 
È il messaggio che lampeggia davanti ai miei occhi; Flavius me l’ha mandato diverse ore fa, ma l’ho letto solo ora dal momento che fino a un quarto d’ora fa dormivo.
I sonniferi che mi ha consigliato Plutarch funzionano meglio di tutti gli altri che ho provato e per la prima volta dopo settimane sono riuscita a dormire per una notte intera, senza incubi. Senza nemmeno sogni a dire il vero, un sonno privo di ogni cosa.
Non mi sento molto riposata, però.
Fisso ancora per qualche secondo lo schermo del telefono, ormai non ricordo nemmeno più quand’è stata l’ultima volta che sono uscita di casa e la voglia di farlo è completamente assente.
Prendo la mia decisione e invio la risposta.

 
"Mi dispiace veramente molto ma sono troppo stanca per uscire. Sono sicura che Octavia sarà felicissima di accompagnarti."
 
Appena il messaggio viene inviato, poggio il telefono sul comodino accanto al letto e apro il flacone di pillole che ho nell’altra mano. Ne faccio cadere un paio sul palmo che ora è libero dal telefono e poi le porto alle labbra.
Ingoio le pillole con l’aiuto di un po’ d’acqua e mi infilo nuovamente sotto le coperte. Finalmente ho trovato il modo di dormire senza il terrore di svegliarmi urlando, se prima non avevo nessuna voglia di uscire, ora non ho voglia nemmeno di lasciare questo letto.

Presente
 
Questi flashback tornano di continuo quando scrivo lettere alla mia terapista.
Ormai sono diventate mensili, il mio umore continua a migliorare giorno dopo giorno; se penso allo stato in cui mi trovavo quasi tre anni fa, faccio fatica a riconoscermi.
Non sono nemmeno la stessa persona che ero prima, questo è evidente. È come se fossi una terza persona, completamente nuova, non ancora del tutto stabile, ma sono sulla strada giusta.
Le lettere continuano a susseguirsi davanti ai miei occhi, mentre metto nero su bianco tutto quello che mi passa per la testa; metto a nudo i miei sentimenti, e allo stesso tempo racconto momenti di vita vissuta qui al Distretto 12.
Gli ultimi giorni di aprile stanno per passare e l’aria è decisamente più calda. Il Distretto è rifiorito; i lavori alla vecchia casa di Peeta sono stati completati una settimana fa, ma non ci siamo ancora tornati.
Non credo lo faremo, non per ora.
Mentre questo pensiero si forma nella mia mente, due mani si poggiano sulle mie spalle, stringendo appena, in una stretta confortevole.
Senza darmi nemmeno il tempo di voltarmi, Haymitch mi solleva quasi di peso dalla sedia su cui sono seduta per poggiarmi sul bordo del tavolo. Gli allaccio automaticamente le braccia al collo, ricambiando immediatamente il suo bacio che non tarda ad arrivare, mentre cerco di sopprimere una risatina.
Ultimamente è stranamente di buonumore, forse anche perché da un paio di settimane a questa parte, non ha più sempre i miei nipoti in giro per casa…
Con l’arrivo della primavera, i lavori alla scuola sono cominciati ma nel frattempo, sono stati messi a disposizione diversi locali inutilizzati e non pericolosi, per permettere ai ragazzi di avere un luogo di incontro dove studiare.
Per quanto mi faccia piacere ricevere questo tipo di attenzioni, non credo che il tavolo in salotto sia il luogo più adatto, ma mentre provo a farlo notare ad Haymitch, un rumore sordo proveniente da dietro le mie spalle mi ferma.
Haymitch non sembra averlo nemmeno notato, troppo impegnato a sbottonare i bottoni della camicetta turchese che indosso in questo momento.
« Hai sentito? » Sono costretta a sollevargli il viso portandogli la mano sotto il mento, divincolandomi quanto basta per potermi voltare e guardare attraverso la finestra.
Con una mano ferma sulla mia coscia, mi tiene ferma. « Non era niente, probabilmente il tuo gatto ha fatto cadere qualcosa. »
Cerca di baciarmi di nuovo, ma questa volta sposto il viso, costringendolo a spostarsi per potermi far scendere. « Non veniva da dentro casa! »
Mi avvicino alla finestra e sposto lentamente le nuove tende a quadri, che ho costretto a fargli mettere, osservando quello che succede fuori.
Dopo un attimo avverto la presenza di Haymitch al mio fianco, anche lui in attesa, pronto a provare la sua ragione.
Non succede nulla per qualche momento, poi, c’è un movimento in direzione della casa di Katniss e Peeta. La porta principale si spalanca e la ragazza marcia fuori, in fretta e a testa bassa; mi aspetto che esca anche Peeta, e invece non succede nulla, la porta resta aperta mentre lei si allontana.
Io e Haymitch ci scambiamo uno sguardo confuso, preoccupato. Entrambi ci aspettiamo che Katniss vada direttamente verso il bosco, e invece, con nostra sorpresa, vediamo che si dirige verso il nostro portico.
Ci basta un’altra occhiata e tutti e due ci stacchiamo dalla finestra contemporaneamente, dirigendoci poi con passo svelto alla porta. La apro prima ancora che Katniss possa bussare, col risultato di farla trasalire dalla sorpresa.
« Stavate uscendo? » Chiede, con il respiro leggermente accelerato. Ha una strana espressione sul volto, non spaventata ma sofferente; sta cercando di non piangere.
« No. » Mi affretto subito a dire, facendomi da parte in modo che possa entrare. La guido poggiandole le mani sulle spalle, non so per quale ragione ma sono terribilmente preoccupata. « Eravamo alla finestra e ti abbiamo vista uscire. Che succede? »
Haymitch non ha ancora detto una parola, sta studiando Katniss con uno sguardo intenso. Resta indietro a chiudere la porta, ma ci raggiunge subito in salotto, quando la faccio sedere.
Katniss inizialmente non risponde, resta in silenzio a guardarsi attorno. « Che è successo alla casa? »
È chiaro che sta temporeggiando, sto per parlare quando Haymitch si intromette.
Le afferra cautamente il braccio sinistro e Katniss sussulta. « Effie ha deciso che le vecchie tende non facevano più il loro dovere. Che è successo al tuo braccio, invece? »
La ragazza si muove sul cuscino, a disagio. Lascio cadere gli occhi sul braccio che Haymitch ha ancora fermo in una mano e mi accorgo che il tessuto è strappato e insanguinato, appena sotto il gomito.
Cercando di restare calma, allungo una mano verso la ferita, ma le dita si fermano prima che possa raggiungere il suo braccio, ho paura di farle male.
« Vado a prendere del disinfettante. » Con questo, mi alzo senza guardare in faccia né Haymitch, né Katniss e mi dirigo spedita verso il bagno.
Ho il sospetto di sapere cosa sia successo, ma preferisco non saltare a conclusioni affrettate. Recupero del disinfettante e un po’ di garza, quindi torno in salotto.
Sono stata via solo pochi minuti, giusto il tempo di prendere quello che mi serviva, ma Haymitch non è più sul divano.
Mentre raggiungo Katniss mi guardo intorno, per vedere se è nei paraggi, ma non riesco a vederlo.
« È andato da Peeta. » Mi informa con un filo di voce Katniss, e io annuisco in silenzio; ha lo sguardo un po’ troppo perso nel vuoto per i miei gusti e il viso ha decisamente perso colore.
« Stenditi, non ci vorrà molto. »
La aiuto a mettersi comoda e per evitare che svenga, le poggio un cuscino sotto i piedi. « Sto bene, Effie. » Cerda di rassicurarmi, ma non mi inganna… ho visto quell’espressione cento altre volte.
« Va bene, però adesso sta giù. » La costringo a non muoversi mentre tiro su la manica rovinata, per esaminare il taglio. « Non è nulla di grave, solo un graffio. »
Comincio a pulirlo, per assicurarmi che sia veramente solo un graffio, ma fortunatamente la mia ipotesi iniziale era corretta. « Non avrai nemmeno bisogno di punti. »
Cerco di sorriderle, ma Katniss non mi sta nemmeno guardando. Annuisce debolmente, con lo sguardo rivolto al soffitto.
Quando finisco di medicarle il braccio, la aiuto a sedersi e non posso non notare che il viso ha finalmente ripreso un colore salutare. Probabilmente si era solo presa un brutto spavento.
Allungo lo sguardo verso la finestra per cercare di vedere che cosa sta succedendo dall’altro lato della strada, ma le tende sono tirate.
Non vorrei fare alcun tipo di pressione su Katniss, ma sono preoccupata, quindi mi trovo costretta a chiederle cosa sia successo; se non vorrà rispondere, non insisterò.
La ragazza si prende un attimo per pensarci su, poi si decide e solleva i piedi, portando le ginocchia al petto.
Dio solo sa dove sono state quelle scarpe, sicuramente saranno piene di terra che adesso sarà tutta sul mio divano, ma tengo la lingua a freno e chiudo gli occhi per un momento, inspirando lentamente. Non è il momento di pensare all’arredamento… disinfetterò tutto più tardi.
« Stava cucinando quando ha avuto una crisi. Ho provato a calmarlo ma non mi ero accorta del coltello. »
Come sospettavo, le poggio una mano sulla spalla e gliela stringo; quando si sporge di lato per appoggiarsi a me, mi coglie alla sprovvista, ma dopo un attimo di incertezza le avvolgo le spalle in un abbraccio.
Questi gesti sono rari da parte sua, immagino che la giornata anche prima dell’incidente non fosse stata delle più facili.
Katniss non aggiunge altro; l’unico motivo per cui è qui e non con Peeta è che probabilmente è stato lui stesso a convincerla ad allontanarsi. Non lo avrebbe mai lasciato da solo dopo una crisi.
Immagino che anche lui sia emotivamente molto provato in questo momento, l’idea che ci sia Haymitch con lui, però, mi rassicura almeno in parte.
« Dove sono i tuoi nipoti? » Mi sento chiedere, mentre resta ferma, con la testa poggiata alla mia spalla.
Automaticamente comincio ad accarezzare i capelli, per cercare di tranquillizzarla. « Sono a scuola, non torneranno prima di un paio d’ore. Prenditi tutto il tempo che ti serve. »
Sia lei che Peeta ne hanno passate tante, stanno andando avanti così bene, è normale avere alti e bassi. Io stessa ne ho avuti diversi…
Hanno solo bisogno di tempo, non sarà mai tutto perfetto, ma sono sicura che un giorno anche loro troveranno il modo di stare tranquilli.

Ad una settimana di distanza, tutto sembra essere tornato normale. Dopo aver passato una notte da noi, nella stanza in cui ho dormito per mesi – prima di trasferirmi definitivamente in quella di Haymitch – Katniss è tornata a casa, per risolvere la situazione con Peeta.
Non che ci fosse molto da risolvere, avevano solo entrambi bisogno di qualche ora da soli per riprendersi. Purtroppo, sono abituati a momenti del genere.
Come ormai ogni giorno, sono seduta sul portico della casa, a godere un po’ dell’aria fresca, primaverile.
Lo starnazzare delle oche è sempre presente, ma ormai ci sono abituata. Dall’altro lato della strada, Peeta sta tornando a casa dopo una giornata di lavoro; i nostri sguardi si incrociano, mi saluta con un sorriso sincero e sollevando il braccio con cui non regge i sacchi di farina.
Ricambio il saluto sventolando brevemente la mano, poi lui sparisce dietro l’uscio di casa sua e io torno a contemplare la strada del Villaggio dei Vincitori.
Dopo pochi minuti, la porta di casa si apre e la testa di Anita spunta fuori, sembra preoccupata. « Zia, ti cercano al telefono. È Plutarch Heavensbee. »
Al suono di quel nome, scatto in piedi. Non ricevo telefonate da Plutarch da mesi… ci sentiamo quasi regolarmente via mail, ma non si prendeva la briga di telefonare da poche settimane dopo l’incendio.
Mi affretto a tornare in casa e a raggiungere il telefono; quando rispondo, la sua voce è incerta.
Ascolto lentamente quello che ha da dirmi, facendo attenzione ad ogni parola e quando aggancio la cornetta, dopo aver salutato con un filo di voce, resto ferma a fissare il vuoto per non so quanto tempo.
Quando sollevo lo sguardo, mi rendo conto che ho quattro paia di occhi puntati su di me.
Sono confusa, non riesco ad individuare i sentimenti che provo in questo momento, perché sono tantissimi, troppi.
Mi volto verso Alex, ma le parole sono rivolte anche ad Anita e Lavinia. « Andate in camera vostra, vi raggiungo immediatamente. »
Devo pregarli ancora due volte, prima che decidano finalmente di ascoltarmi. Quando siamo rimasti solo io ed Haymitch, le mie gambe non mi reggono più e sono costretta a sedermi.
Sento il suo sguardo bruciare sulla pelle, so che vorrebbe chiedermi cosa è successo, invece non dice nulla, aspetta che sia io a cominciare.
Per qualche secondo osservo le mie mani contorcersi in grembo, nervosamente, poi prendo un respiro profondo e mi decido ad alzare lo sguardo su di lui.
Non so con quale coraggio, ma riesco addirittura a guardarlo negli occhi mentre parlo.
« Era Plutarch, hanno trovato Allie. » Non so come continuare, le parole vengono a mancare, troppi pensieri che si sovrappongono e aumentano la mia confusione.
« È-? »
« Viva. » Lo interrompo immediatamente, abbassando nuovamente lo sguardo, solo per un momento, per poi accorgermi che Haymitch, forse, è addirittura più confuso di me. Forse si aspettava che piangessi di felicità? È indubbiamente una notizia positiva, ma talmente inaspettata che non riesco a gioirne. « È stata in coma per molto tempo, si è svegliata diversi mesi fa ma non aveva documenti con sé quando è stata trovata e in seguito allo shock ha sofferto di una grave perdita di memoria. »
« Ora come sta? » La voce di Haymitch è terribilmente atona, ma ora non posso preoccuparmi di questo…
« Ha recuperato parte della memoria, è ancora confusa ma migliora a vista d’occhio. Non appena ha ricordato chi fosse, Plutarch è partito immediatamente, per controllare di persona… ha preferito essere certo prima di darmi false speranze. »
Restiamo in silenzio entrambi a questo punto, provo ad alzarmi ma il mio corpo non risponde, quindi decido di rimanere ferma dove sono, aspettando che succeda qualcosa.
« Mi ha detto che se voglio può mandare un hovercraft a prendermi. Ha detto che ovviamente la mia presenza lì non potrà fare una grande differenza, ma la vicinanza di sua sorella e dei suoi figli potrebbe aiutare Allie a riprendersi più in fretta. »


A/N: Dopo mesi riaggiorno… scusatemi, ma sono successe diverse cose e mi sono lasciata trasportare…
Comunque sia, non ho dimenticato Effie ed Haymitch e ho deciso che, siccome era tornata la voglia di scrivere, loro avevano la precedenza! Quindi dopo aver testato un po’ le acque con una piccola One Shot su Effie, ho subito ripreso in mano Petrichor.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, so che non succede molto, ma ha messo le basi per quello che succederà dopo!
Manca pochissimo a Mockingjay pt. 1, sono ipereccitata e spaventata allo stesso tempo, non vedo l’ora di vedere Effie al Distretto 13, anche se non è quello che succede nel libro, sono curiosa di vederla lì.
E poi il passato non condizionerà il suo futuro, quindi io continuerò a scrivere questa storia, seppur lentamente.
Lasciatemi un commento, se vi va!
Alla prossima,

x Lily

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Capitolo 13
*** 3x01 Anno nuovo, vita nuova ***




Petrichor
3x01 Anno nuovo, vita nuova
 
Otto mesi prima
 
Mi sembra un sogno. Non uno di quelli belli, ma nemmeno un incubo. Solo- mi sembra di star vivendo un’esperienza extracorporea.
I bambini ovviamente non appena hanno ricevuto la notizia, sono voluti partire immediatamente per la Capitale.
Fra poco l’hovercraft atterrerà e la mia testa è ancora confusa. Non so quanto dovrò restare, ma di certo non posso lasciare da soli i miei nipoti adesso.
Allie non si è ancora ripresa, fisicamente sta quasi bene, ha solo qualche difficoltà a camminare e ogni tanto la voce suona ancora un po’ impastata. Sono preoccupata per il trauma psicologico che ha subito, ma il tempo guarirà le ferite. Ne sono sicura.
Fanno atterrare l’hovercraft sul tetto dell’ospedale e Plutarch ci sta già aspettando. Ci accompagna assieme ad un team di medici all’interno della struttura.
Non appena metto piede all’interno di quei corridoi asettici, una sensazione terribile mi stringe lo stomaco in un groviglio di nodi, la nausea è quasi ingestibile. Non è lo stesso ospedale dove fui ricoverata io, ma è praticamente identico.
Tutti gli ospedali sono la stessa cosa.
I medici, avvolti nei loro camici bianchi, m’inquietano. Comincio ad avvertire una stretta al petto e inspiro lentamente. Plutarch deve rendersi conto che c’è qualcosa che non va, perché mi poggia una mano sul braccio e stringe la presa delicatamente. « Tutto bene, Effie? »
Io annuisco, sforzandomi terribilmente di sorridere, combattendo la nausea e la sensazione di soffocamento. « Sì, sono solo un po’ nervosa. »
Devo essere pallida, o verde, perché quando ci fanno sedere in una sala d’attesa praticamente vuota, senza che io chiedessi nulla mi portano un bicchiere con un po’ di acqua e zucchero.
Accetto volentieri, anche se per la prima volta dopo mesi, vorrei avere in borsa i miei calmanti.
Dopo poco meno di dieci minuti, un dottore ci informa che possiamo procedere.
Cercando di distrarmi, mi concentro sui bambini. Lavinia sembra contenta, Anita e Alex sono decisamente più preoccupati, ma stanno affrontando la situazione egregiamente.
Quando finalmente arriviamo davanti alla stanza con la targhetta “Allegra Trinket”, mi sento mancare l’aria.
Stringo i denti, e con un sorriso finto sulle labbra seguo Plutarch in silenzio.
Allie è sveglia, il viso è rilassato e quando ci vede, sulle sue labbra si allarga un sorriso sincero. Sembra stare bene.
Erano anni che non vedevo il suo colore naturale di capelli. Un incantevole biondo cenere che le ho sempre invidiato; solo le punte sono quasi bianche, con un’ombra rosa sbiadita. Si ostinava sempre a tingerli di un fucsia intenso, che diceva far risaltare il verde grigiastro dei suoi occhi.
Lavinia corre ad abbracciarla e dopo un attimo di incertezza, anche Alex e Anita la raggiungono. Sento di nuovo la mano di Plutarch stringersi attorno al mio braccio e mi volto verso di lui; sta sorridendo e automaticamente ricambio il sorriso, cercando di non far cadere la maschera. Dovrei essere più contenta, ma deve esserci qualcosa di sbagliato in me.
Il dottore che ha in cura mia sorella si avvicina a loro quattro e le poggia una mano sulla spalla, rivolgendosi poi a tutti noi. « In tre settimane, quattro al massimo, potremo dimetterla così potrete tornare a casa. »
Casa, è una parola strana. Perché la mia è stata bombardata più due anni fa e l’appartamento in cui vivevo prima di trasferirmi al Distretto 12 non potrà mai ospitarci tutti. La vecchia casa di Peeta sarebbe perfetta, è abbastanza grande per tutti, ma Allie non acconsentirà mai a trasferirsi al 12…

Presente
 
Un anno nuovo, forse mi porterà fortuna…
Sono passati tre anni dalla guerra e la notte faccio ancora fatica a dormire alcune volte.
L’orologio segna le tre del mattino, ma sento delle voci provenire dal corridoio, quindi accendo la lampada sul comodino e mi alzo lentamente.
Infilo velocemente una vestaglia e delle pantofole, poi mentre la allaccio in vita, mi avvio verso la fonte del rumore.
Le voci provengono dal salotto e quando entro, non posso che restare colpita da quello che vedo: Allie è seduta sul divano e sta ridendo di gusto con un bicchiere vuoto in mano, ma non è sola.
« Johanna! L’hai fatta bere? » Il mio tono accusatorio non sembra nemmeno scalfirla, si limita a stringersi nelle spalle.
« È il primo gennaio, Trinket, cercavo solo di far rilassare un po’ tua sorella, dovresti ringraziarmi. » Dal modo in cui biascica le parole, capisco che è ubriaca anche lei.
Prendendo il bicchiere dalle mani di Allie, mi assicuro che stia bene. « È sotto farmaci, potevi ucciderla. » Sibilo fra i denti, ma ancora una volta Johanna Mason mi rifila uno sguardo indifferente.
« Un bicchiere non farebbe male nemmeno a te, sai? »
Prima che possa ribattere, una voce alle mie spalle mi fa sobbalzare. « Fate più piano, finirete per svegliare Finn. » Annie è in pigiama, in piedi accanto alla porta. « Ma- che succede? » Chiede quando nota la mia espressione.
Indico con un cenno veloce della testa Johanna, portando le mani sui fianchi. « L’ha fatta bere. »
Annie si preoccupa, avvicinandosi a noi velocemente e lanciando uno sguardo di rimprovero a Johanna. « Sta bene? Dobbiamo portarla in ospedale? »
Sono fortunata che Annie è in uno dei suoi periodi sì, altrimenti sarebbe stato tutto più difficile. Scuoto la testa, più tranquilla. « No, non prende nulla da questa mattina. »
Lei annuisce, decisamente sollevata, poi si rivolge a Johanna. « A letto, tutte e due. »
Mentre Annie cerca di convincere l’altra donna ad alzarsi, io aiuto mia sorella a mettersi in piedi. Lei si volta per raggiungere le sue stampelle, ma la fermo. « Ci penso io dopo, adesso andiamo a letto, appoggiati a me. »
Mi allontano con le braccia di Allie al collo, lentamente. Prima di uscire mi volto verso Annie, per ringraziarla con lo sguardo e per darle la buonanotte. Non smetterò mai di ringraziarla per averci ospitati a casa sua, non so dove sarei adesso se non fosse stata così gentile.

Sei mesi prima
 
Mentre spingo la sedia a rotelle di Allie lungo la strada, Anita e Alex camminano avanti a noi, reggendo le loro valige e quella di Lavinia.
Plutarch è al mio fianco, mentre porta le mie e quelle di mia sorella, mentre Lavinia è dietro di noi, con il trasportino di Pumpkin fra le braccia.
L’aria al Distretto 4 è calda e appiccicosa, nonostante ormai sia ottobre e l’estate è passata da un pezzo. Temo che a breve comincerà a piovere e non la smetterà più, data l’umidità.
Allie già si lamenta a causa del tempo. L’unica cosa che posso fare è scuotere la testa e continuare a spingerla. « Hai sentito cosa ti ha detto il dottore, l’aria di mare non può che farti bene. »
Mia sorella cerca di voltarsi verso di me, per rifilarmi un’occhiataccia. « Perché non la finisci di nasconderti dietro le parole del medico e non ammetti che non ce la facevi più a stare in quella casa? Cosa credi, che sia veramente così stupida? »
Non rispondo, perché la risposta probabilmente non le piacerebbe.
« Tua sorella non ha tutti i torti. » S’intromette Plutarch. Evidentemente oggi sono tutti contro di me.
« Te l’ho già detto, Effie. Va bene, non è un problema stare lontani da Capitol City per un po’. » Le parole rassicuranti di Allie, portano un debole sorriso alle mie labbra.
Non so quanto durerà questa sistemazione, ma spero il più a lungo possibile.
Non le ho nemmeno proposto di tornare insieme al Distretto 12, ogni volta che parliamo dei mesi che io e i ragazzi abbiamo trascorso lì, storce sempre il naso.
Sono rimasta in contatto con Haymitch e i ragazzi; Peeta sembrava contento quando ha saputo che sarei andata a stare con Annie e Johanna, Katniss ne è sembrata sorpresa.
La reazione di Haymitch è stata completamente indifferente. So che non l’ha presa bene, ma so anche che non lo ammetterà. Spero solo capisca che in questo momento la mia famiglia ha bisogno di me.
Forse, quando Allie starà bene, potrò tornare al Distretto 12, ma per ora la cosa è fuori discussione.

Presente
 
Dopo aver portato Allie a letto, vado a controllare che Annie non stia avendo problemi con Johanna. Quella donna alle volte riesce ad essere insopportabile.
È chiaro che mia sorella non le piace affatto, ma addirittura tentare di avvelenarla… dubito l’abbia fatto con intenzioni cattive, ma un minimo di coscienza ci vorrebbe ogni tanto.
Quando sono certa che Johanna sia nella sua stanza e che Annie sia tornata a dormire, torno nella mia camera e mi infilo di nuovo sotto le coperte, accarezzando pigramente la testa di Pumpkin, appisolato accanto al mio cuscino.
Lui solleva la testa e mi guarda con fare stanco, per poi sbadigliare immediatamente dopo. Comincia a leccarsi una zampa e a pulirsi la testa strofinandosi la zampa appena leccata contro l’orecchio.
Mi incanto a guardarlo, allontanando ogni genere di pensiero per una manciata di minuti, poi un rumore fuori la finestra lo fa distrarre e si alza in piedi, sospettoso.
« Non è niente, torna a dormire. » Cerco di rassicurarlo, lui rimane fermo con le orecchie tese ancora qualche momento, poi si siede e riprende a pulirsi con attenzione.
Lo lascio in pace, stendendomi e mettendomi comoda, quando trovo una posizione soddisfacente, allungo la mano per spegnere la luce.
Poco dopo, Pumpkin si sposta, acciambellandosi sulle mie gambe e cominciando a fare le fusa.
La mia mente vaga, ripensando agli avvenimenti delle ultime settimane. I ragazzi vanno a scuola regolarmente, si trovano bene.
Allie dice che appena sarà completamente autosufficiente torneremo alla Capitale, io non ne sono così convinta. Credo che le faccia bene stare qui, l’aria pulita è rigenerante. Ogni mattina facciamo colazione sulla grossa terrazza di Annie, che affaccia direttamente sul mare.
Se potessi resterei qui per sempre… ma mi manca la mia squadra, mi manca da morire perfino lo starnazzare continuo delle oche di Haymitch; non pensavo che lo avrei mai ammesso, ma è così.
Haymitch… non lo sento da mesi ormai, dopo l’ultima telefonata non ho avuto più il coraggio di chiamarlo.

Quattro mesi prima
 
« Se vuoi che torni, Haymitch, basta chiederlo. » La mia voce è calma mentre reggo la cornetta del telefono e ripeto per l’ennesima volta quella frase.
Quante volte l’ho pronunciata durante le ultime chiamate? Non riesco nemmeno più a contarle e ogni volta, la risposta è sempre la stessa.
Questa volta non è diversa. « Non mi interessa, Trinket. Se vuoi tornare, torna. Se non vuoi tornare, resta dove sei. Ma smettila di telefonare ogni volta solo per lamentarti e piagnucolare. »
« E va bene, allora. Se veramente non ti interessa, tranquillo, non ti importunerò più con le mie telefonate. »
Rimetto la cornetta al suo posto con una forza tale da far tremare il tavolino su cui è poggiato il telefono, poi ho bisogno di respirare piano e di contare fino a dieci.
Come può essere così odioso? Perché non ammettere semplicemente che gli manco? Lo conosco da troppo tempo per dubitare di questo…
Oh, ma manterrò la mia promessa. Se vorrà parlarmi, allora dovrà essere lui a chiamare, altrimenti, può anche restare solo per il resto della sua vita. Non mi interessa…

Presente
 
Mi giro e rigiro fra le coperte, incapace di riprendere sonno.
Dopo un’ora mi arrendo e ammetto a me stessa che questa è una di quelle notti in cui non dormirò affatto.
Cercando di non svegliare Pumpkin, sgattaiolo via dal letto, rimpiangendo immediatamente il calore del piumone.
Indosso di nuovo la vestaglia e lascio la stanza, dirigendomi in cucina.
Inaspettatamente vedo che la luce accesa, e al suo interno – meno inaspettatamente – ci trovo Johanna, intenta a reggersi la testa, seduta al tavolo, di fronte ad un bicchiere d’acqua. O almeno spero sia acqua.
Quando avverte la mia presenza, solleva appena la testa ed emette un lamento incomprensibile. Probabilmente sono già i postumi della sbornia, ben le sta.
« Ti prego, vattene. Non ce la faccio a sentire il suono della tua voce, ho la testa che mi scoppia. »
Sorrido sotto i baffi, facendo il giro del tavolo e aprendo il frigorifero. Tiro fuori la bottiglia del latte e recupero un bicchiere, facendo tintinnare più del dovuto il vetro contro un altro bicchiere.
Johanna si lamenta di nuovo, coprendosi gli occhi. « Trinket… »
« Cosa? » Faccio con fare innocente, sedendomi di fronte a lei e versandomi un bicchiere di latte. « La cucina è un locale condiviso, se ti dà così fastidio la mia presenza, puoi sempre tornare nella tua stanza. »
« Sono troppo stanca per le tue stronzate, e non mi reggo in piedi. Quindi, ti prego, chiudi la bocca e lasciami in pace. »
Porto gli occhi al cielo, scuotendo appena la testa e nascondendo un altro sorriso. Dopo aver bevuto un sorso di latte, poi, sono tentata di poggiarlo sul tavolo facendo altro rumore, ma mi trattengo e lo poggio con delicatezza.
Ormai è calato il silenzio, ma non è un silenzio fastidioso. Sono abituata alla presenza di Johanna, che ormai potrebbe anche essersi addormentata.
Non posso non pensare alle settimane passate in prigione, insieme, quando lei era la mia unica compagnia, ogni tanto con l’aggiunta di Annie, quando era in sé.
Il bicchiere ormai è vuoto, ma io continuo a non avere sonno. Johanna è immobile di fronte a me, ancora con il viso fra le mani. Respira lentamente, non riesco a capire se è sveglia o meno ma comincio ad annoiarmi.
Faccio per aprire la bocca, un po’ di conversazione non può certo farle male, ma m’interrompe prima ancora che possa dire una sola parola. « Non ci provare nemmeno. »
È un avvertimento che dovrebbe somigliare ad una minaccia, ma la voce è impastata dal sonno. Non capisco per quale motivo non va a letto se è così stanca.
Apre gli occhi, poi li richiude e si massaggia le palpebre chiuse. « Incubi. » Mi dice, come se mi avesse letto nel pensiero.
« L’alcool non ti aiuterà a farli passare. » Le rispondo, alzandomi per andare a prendere dell’altro latte.
« No? E cosa mi aiuterebbe? » Si volta, con un sorrisetto fastidioso stampato sulle labbra. « Magari se dividessimo il letto potrei dormire sogni più tranquilli. Haymitch mi ha detto che funziona. »
Senza batter ciglio, mi avvicino a lei e porto gli occhi al cielo. « Ho un bicchiere pieno di latte in mano, non ti conviene fare tanto la spiritosa. »
« Le carte in tavola sono ribaltate, eh? » Sospira, sempre più stanca.
Probabilmente si sta riferendo a quella volta quando, durante una edizione degli Hunger Games, mi rovesciò l’intero contenuto del suo bicchiere in testa, solo perché avevo cercato di essere gentile con lei.
Non lo apprezzò…
Un tempo, probabilmente, quel ricordo mi avrebbe fatta innervosire, adesso non fa altro che suscitare in me una risatina spontanea.
Johanna finalmente si decide ad alzarsi, accettando di buon grado il bicchiere che le sto porgendo, poi si avvia alla porta, ma prima di lasciarmi sola si volta un’ultima volta. « Non so chi fra voi due sia più imbecille. State solo perdendo tempo, e chissà
per quale miracolo ne avete avuto ancora. »
Le perle di saggezza firmate Johanna Mason… con queste parole, lascia la cucina lasciando la porta aperta.
Anche se ci provo, non riesco a non riflettere su quello che ha detto. Potrà anche essere insopportabile, ma la maggior parte delle volte, la ragione è dalla sua.


A/N: Salve di nuovo! Ecco il nuovo capitolo, un po’ in anticipo rispetto a quanto mi immaginassi, ma meglio così. :)
Ho in mente un po’ di cose da far succedere, questo terzo anno non durerà molto in quanto a capitoli, ma sarà abbastanza intenso.
Non vedevo l’ora di arrivarci, finalmente posso lavorare più a fondo con Johanna, Annie e Finn.
Come ho detto in passato, amo alla follia l’idea di un’amicizia fra Effie e Johanna. Se volete, qui c’è una one-shot che approfondisce il rapporto fra loro due, durante la prigionia. La tematica è un po’ dark.
Spero vi sia piaciuto, lasciatemi un commento per farmi sapere, così potrò migliorare sempre di più la mia scrittura.
A presto,

x Lily

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Capitolo 14
*** 3x02 Come una madre ***


3x02 Come una madre
 
L’inverno è finito, anche se non da molto.
L’inizio della primavera al Distretto 4 lo immaginavo diverso, più caldo, invece l’aria è ancora incredibilmente umida.
È ancora mattina presto quando esco in terrazza, ma Annie, Finn e Johanna sono già seduti al tavolo della colazione.
I miei nipoti e mia sorella si sono trasferiti da tre settimane ormai.
Allie e Johanna erano assolutamente incompatibili, dopo l’incidente di capodanno, Allie non le ha dato più pace.
Prima che Johanna potesse arrivare alle mani, ho suggerito che forse sarebbe stato meglio trovare un’altra sistemazione.
Non so se ho fatto bene a restare qui, ma non sono troppo lontani. Non hanno nemmeno lasciato il Villaggio della Vittoria.
Il piccolo Finn sta saltellando da seduto sulle gambe della mamma, mentre Johanna beve da una grossa tazza.
Appena mi siedo, Finn si distrae e volta lo sguardo verso di me, facendomi un gran sorriso. « Zia Effie, in braccio! »
Ricambiando il sorriso, sollevo lo sguardo su Annie, in una richiesta muta mentre lei fa scendere il piccolo che comincia subito ad arrampicarsi sulle mie gambe.
Allungo una mano per prendere una tazza di tè caldo e comincio a bere a piccoli sorsi quando Annie si alza e solo in quel momento mi rendo conto che è già vestita e pronta per uscire.
È insolito, ma non chiedo niente per non essere inopportuna.
« Perché sei già pronta? » Per fortuna c’è Johanna…
Annie sposta una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio, mentre una risatina un po’ nervosa le scappa dalle labbra. « La mia dottoressa ha detto di dover spostare l’appuntamento settimanale; non è un problema per voi sorvegliare Finn per qualche ora, vero? »
Poggiò la tazza sul tavolo e scuoto la testa, sorridendo contenta. Mi fa veramente piacere aiutarla, finalmente posso rendermi un po’ utile. « Assolutamente. Ci divertiremo, vero? » Mi rivolgo al piccolo Finn, accarezzandogli la testolina bionda e lui annuisce sorridente.
« Tantissimo. » Aggiunge sarcasticamente Johanna, ma alza le mani in segno di resa quando gli rifilo un’occhiata obliqua.
Annie ci ringrazia, poi si avvicina a me chinandosi su Finn per potergli poggiare un bacio sulla fronte e si allontana, lasciando solo noi tre in terrazza.
Johanna non sarà molto d’aiuto, lo so bene. Ci tiene molto a Finn, ma preferisce dimostrarlo in modi meno convenzionali, io però ho dovuto imparare a leggere fra le righe e riesco a vederlo.
Restiamo ancora un po’ seduti tutti e tre al tavolo, con il bambino che prende a giocare con gli avanzi della colazione, nonostante io abbia provato in tutti i modi a spiegargli che non si deve giocare con il cibo.
Come previsto, Johanna non mi sostiene, continuando a passargli molliche di pane che lui poi a turno lancia in aria o infila in bocca.
Dopo mezz’ora, ho la testa piena di briciole e il terrazzo è un disastro; quando cominciano ad avvicinarsi dei gabbiani, Finn si eccita e comincia a saltellare e ad indicare gli uccelli, che allarmati dai suoi gridolini, cominciano ad agitarsi.
È decisamente il momento di tornare dentro, ma non posso lasciare tutto in disordine, quindi affido Finn a Johanna, che lo porta in braccio verso la sua stanza e io torno dentro, per munirmi di aspirapolvere.
Aspetto pazientemente che i gabbiani se ne siano andati, prima di andare a finire il compito iniziato da loro, per evitare un’invasione. Non voglio che Annie debba stancarsi troppo, le sedute con la sua psicoterapeuta sono utili, ma ogni volta che torna a casa è sempre molto provata.
Mentre sistemo il tavolo, la voce di Johanna arriva dalle mie spalle. « Mai nella vita avrei pensato di assistere a una scena del genere. » Dal tono che sta usando, riesco a percepire il sorriso sornione che le incurva le labbra. Con la coda dell’occhio la vedo appoggiata alla porta, sulla soglia. « Effie Trinket, che fa le faccende di casa. Il mondo va a rotoli… »
Sospirando e lasciando perdere le bottiglie di succo d’arancia, porto entrambe le mani sui fianchi, cercando di non perdere la calma. Perché quella donna deve sempre cercare di infastidirmi?
« Si chiama dare una mano. In genere è una pratica comune fra gli amici. »
Adesso mi aspetto una frecciatina sul fatto che né lei, né Annie sono mie amiche. È quello che è successo l’ultima volta che ho pronunciato questa parola di fronte a lei, ma io ero in ospedale e Johanna in astinenza. Era stato un brutto momento, chiarito diverse settimane più tardi, ma il ricordo fa ancora male e improvvisamente temo che possa succedere di nuovo.
I mio sguardo deve tradirmi, perché portando gli occhi al cielo in un’espressione scocciata, Johanna oltrepassa del tutto la porta e mi raggiunge al tavolo; recupera le ultime cose che ho lasciato lì, e poi mi punta un dito contro il viso. « Non una parola con Annie, o giuro che il tuo gatto finisce in fondo all’oceano. » Le sue minacce sono solo fumo, nemmeno lei ci crede mentre parla.
Tornate in casa portiamo tutto in cucina, e quando mi assicuro che tutto è in ordine, mi rivolgo nuovamente a lei. « Dov’è Finn? »
« L’ho lasciato in camera. » Risponde subito lei, dirigendosi verso il corridoio.
La seguo verso il salotto, dove le impedisco di entrare. « Non puoi lasciare solo un bambino di nemmeno tre anni! Può farsi male, può uscire e cadere dalle scale, ma cosa ti passa per il cervello? »
Johanna mi guarda come se fossi una pazza, poi allunga un braccio per indicare la scalinata che porta al piano inferiore. « C’è quel maledettissimo cancello che blocca le scale, come pretendi che lo apra? A volte anche io faccio fatica! »
« Oh, questo la dice lunga sul tuo quoziente intellettivo. »
L’occhiata che mi rifila, è un mix di sorpresa e rabbia, ma prima che possa ribattere, un rumore sordo e il pianto di Finn ci fa distrarre entrambe.
Con un tuffo al cuore, ignoro completamente la donna di fronte a me e mi precipito a vedere cos’è successo nella stanza del piccolo.
Finn è seduto in mezzo a diversi giochi sparsi sul pavimento, il viso è rosso per lo sforzo del pianto, dagli occhi continuano a cadergli incessantemente dei lacrimoni.
Lo prendo immediatamente in braccio, cullandolo e cercando di farlo calmare, ma non c’è verso di farlo smettere di piangere.
Johanna ci raggiunge, guardandosi intorno. « Lo avevo messo sul letto. »
« Era per terra. » Le rispondo, continuando a cullarlo, senza guardarla nemmeno in faccia, con il cuore che mi martella nella gabbia toracica, cercando di combattere il desiderio di piangere assieme a lui.
« Dev’essere caduto, fammi vedere. » Johanna si avvicina a me, ma stringo al petto Finn, dandole le spalle. È colpa sua, se non lo avesse lasciato solo, non sarebbe successo. « Effie. » Il suo tono è talmente risoluto da costringermi a voltarmi.
Sul viso ha un’espressione preoccupata, sta protendendo le braccia verso di me; quando parla, il tono di voce non cambia. « Fammi vedere. » Ripete, e questa volta le permetto di avvicinarsi.
Con delicatezza, sposta i capelli di Finn dalla fronte, mostrando un taglietto insanguinato.
Lo stomaco mi si contorce dolorosamente, spezzandomi il fiato. « Oh santo cielo! Dobbiamo portarlo in ospedale! »
Johanna scuote la testa, passando appena il pollice sulla ferita. « No, è solo un graffio, ha già smesso di sanguinare. » Sembra sollevata, ma io non lo sono per niente.
« Ha battuto la testa, dobbiamo portarlo in ospedale! » Quando Annie lo verrà a sapere, non solo non si fiderà più di me, ma dubito che mi permetterà di prendere in braccio Finn, e non avrà tutti i torti.
Chiudendo gli occhi e respirando rumorosamente, Johanna annuisce. « E va bene, basta che la smetti di agitarti così. »
Finalmente si decide a darmi ragione e dopo essermi messa la prima cosa che mi è capitata sottomano, lasciamo in fretta la casa. Mentre Johanna va a prendere il furgone di Annie, io aspetto pazientemente con Finn in braccio, che sembra essersi calmato.
La voce di mia sorella mi fa trasalire. « Che succede? » Chiede preoccupata, solo in quel momento mi rendo conto che sto tremando e che ho il viso bagnato di lacrime.
Stando attenta a Finn fra le mie braccia, le asciugo rapidamente e le sorrido. « Nulla. Niente, tranquilla. Stiamo per andare a fare una passeggiata. »
Allie, appoggiandosi all’unica stampella che ancora le serviva per aiutarsi a camminare, allunga uno sguardo verso casa.
Probabilmente ha appena accompagnato i bambini a scuola. « Effie, quello è il tuo sorriso da lavoro. Vuoi dirmi cosa è successo? »
Il mio “sorriso da lavoro” sono sorpresa di saperlo ancora indossare come una maschera, a piacimento. Evidentemente sono cose che non si dimenticano.
« Finn è caduto e ha battuto la testa, si è graffiato la fronte e ora lo stiamo per portare in ospedale. » Anche la mia voce trema, e temo di star per cominciare di nuovo a piangere quando una delle manine di Finn mi copre la bocca. Istintivamente gli stringo la mano nella mia, guardando in basso verso di lui, per assicurarmi che stia bene.
Allie si avvicina e esamina di persona il graffio. « Ti fa tanto male? » Gli chiede con fare materno, ma Finn risponde di no.
Un po’ mi rassicura, quindi lei mi stringe appena una spalla. « Effie, è un bambino di tre anni, è normale che cada e si faccia male. Portalo all’ospedale se vuoi essere più sicura, ma è solo un graffietto. »
Quando arriva Johanna con il furgone, il volto di Allie s’indurisce immediatamente; mi saluta con due baci sulle guance e si allontana lentamente, tornando verso casa.
Nel giro di venti minuti siamo già in una saletta colorata, aspettando che venga qualcuno a visitare Finn.
La mia sorpresa è immensa quando mi rendo conto di conoscere la dottoressa che entra dalla porta, per la prima volta mi pento di essere voluta venire qui.
È la madre di Katniss e io non avevo idea che fosse al Distretto 4. I nostri sguardi s’incrociano per un istante, la sorpresa è reciproca. Johanna s’intromette, salutando a sua volta la donna, con un sorriso ed un veloce abbraccio.
Io porto nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e dopo essermi assicurata che Finn è a suo agio, mi scuso e lascio la stanza, mettendomi ad aspettare in corridoio.
Ho avuto abbastanza emozioni per oggi.
Ho ricordi confusi della mia permanenza in ospedale, però ricordo che lei era uno dei medici che ronzava continuamente attorno ai vari pazienti.
Non ci siamo mai rivolte la parola durante tutto il mio periodo di convalescenza, non credo che si sia nemmeno mai avvicinata abbastanza, mi evitava volontariamente e se devo essere onesta, gliene ero grata.
Credo ci siano cose che non si possono dimenticare, o perdonare.
Mentre cerco di allontanare la valanga di pensieri e ricordi negativi che combattono nella mia testa per tornare a galla ed affondarmi, decido che l’unica cosa da fare per distrarsi e telefonare ad Annie.
Affrontarla ora, per evitare di farlo dopo… probabilmente è ancora in piena seduta, e non vorrei disturbarla, ma la mia testa sta per scoppiare e devo fare qualcosa per alleviare il peso che sento.
Con mia grande sorpresa, dopo un attimo di preoccupazione, la donna mi dice di non preoccuparmi. A quanto pare non è la prima volta che succede, Finn sta cominciando a voler esplorare ogni angolo della casa e ogni tanto perde l’equilibrio su quelle gambette, soprattutto quando tenta di scendere dal suo lettino.
Immensamente sollevata, mi scuso per aver interrotto la seduta e la saluto, tornando a fissare la porta dove la visita del piccolo deve ormai essere quasi giunta al termine.
Dopo poco, infatti, la signora Everdeen esce dalla saletta, rivolgendomi un debole sorriso di saluto. « Non è nulla di cui preoccuparsi, solo un graffio. L’ho disinfettato e gli ho messo un cerotto, per precauzione, ma in un paio di giorni la ferita sarà completamente risanata. »
Finalmente il nodo che mi stringeva lo stomaco si scioglie completamente e la ringrazio dal profondo del cuore. Ci salutiamo e prima di allontanarsi mi dice che dovremo firmare un paio di carte prima di potercene andare.
Quando raggiungo Johanna, sta reggendo Finn in braccio, che ride sereno. Mi avvicino per assicurarmi che sia tutto okay e lui vuole tornare in braccio a me. Lo prendo con cautela, e lui ci tiene moltissimo a farmi vedere il suo cerotto a forma di delfino.
Gli rispondo che appena sua madre tornerà, glielo faremo vedere anche a lei e lui ne sembra estremamente contento.
Informo Johanna della telefonata con Annie e lei mi rinfaccia il fatto che mi aveva avvisata.
« Lo sapevi? » Le chiedo, poi, mentre sto aggiustando i vestiti del piccolo, per prepararlo ad uscire.
Non devo nemmeno spiegarle che mi riferisco alla madre di Katniss, perché Johanna incrocia le braccia al petto e si appoggia con la schiena contro la parete. « Forse. »
« Avresti dovuto dirmelo. »
« In un ospedale intero le possibilità erano poche… »
La buona sorte raramente è stata dalla mia parte, ma questo me lo tengo per me, mentre annuisco accondiscendente.
Pochi momenti dopo, la porta si apre di nuovo e un giovane infermiere entra nella saletta, reggendo una cartellina con dei moduli.
Ci chiede di compilarli e firmarli e a turno, prima Johanna, poi io ci passiamo i fogli.
Quando siamo pronte, riconsegno all’infermiere il tutto, lasciando che sia lei a reggere Finn.
« Complimenti. » Mi dice lui quando riprende la cartellina. « Avete un bellissimo bambino. »
Colpita dall’affermazione, rimango ferma, con la mano ancora tesa verso di lui. A distogliermi da quello stato di confusione è la sonora risata che proviene da Johanna, alle mie spalle.
« Veramente- » Comincio, ma non c’è bisogno di continuare, perché l’infermiere deve comprendere la sua gaffe e arrossisce, cominciando a balbettare scusa.
« Oh, perdonatemi. Non intendevo- non l’avevo riconosciuta per via di- » Comincia ad indicarsi il viso e in effetti mi rendo conto di non essere andata molto in giro senza trucco e parrucca, non all’infuori del Distretto 12, e della Capitale, comunque.
Prima che possa ribattere, Johanna mi afferra per un braccio. « È stato un piacere, arrivederci. » Dice, cercando di controllare un’altra ondata di risate.
Evidentemente per lei la situazione deve essere molto divertente, la cosa un po’ mi irrita. Ma mai quanto la pacca sul sedere che mi arriva quando mi fa passare davanti a lei per uscire dalla stanza.


A/N: Salve :3
A velocità incredibile, un altro capitolo! Spero che la qualità non ne risenta. XD
Comunque, prima o poi Effie dovrà tornare al Distretto 12 e non so come farò a farla stare lontana da Johanna! ç_ç Mi consolerò con Haymitch…
Volevo avvisarvi di un paio di cose.
La prima è che ho aperto una pagina su Facebook che riguarda solo le mie storie che scrivo qui su EFP. Si chiama Lily in Wonderland EFP e la potete trovare qui.
La seconda cosa è che, forse, se seguite sia il fandom di Supernatural oltre ad Hunger Games, potreste avere a breve una sorpresa. Dipende da come si mette con la mia creatività… non vi anticipo altro. U.U
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, a presto!
 

x Lily
 

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Capitolo 15
*** 3x03 Cicatrici ***


3x03 Cicatrici
 
Per la prima volta nella loro vita, Alex e Anita festeggeranno il loro compleanno al mare.
L’anno scorso io rischiavo di ricadere in depressione, con Allie ancora in convalescenza e l’idea di lasciare di nuovo la Capitale che prendeva sempre più consistenza, quindi ci eravamo ritrovati a ridurre i festeggiamenti all’osso.
Quest’anno mia sorella ha voluto fare le cose più in grande e mantenere la tradizione di famiglia, anche se ormai il mare lo vedono ogni giorno.
Una giornata in spiaggia sarà rilassante, senza contare che già da una settimana ha cominciato a fare veramente molto caldo.
Hanno conosciuto un paio di ragazzi a scuola, e verranno questo pomeriggio a casa di Annie, dal momento che la terrazza al piano terra dà direttamente sulla spiaggia.
A me è stato dato il compito di intrattenere i ragazzi fino a che non sarà tutto pronto, anche se non si tratta di una sorpresa, vogliamo comunque che non vedano nulla prima dell’ora della festa.
Passo tutta la mattinata in giro con i ragazzi, mentre mia sorella e Annie preparano tutto e Johanna sorveglia il piccolo Finn.
Prima di tornare a casa, passiamo a prendere la torta che abbiamo fatto preparare e non riesco a non pensare che sicuramente una torta fatta da Peeta sarebbe molto meglio di quella appena acquistata.
È qualche settimana che non ho notizie da lui e da Katniss, non credo che debba ancora preoccuparmi ma se entro una o due settimane non si faranno sentire, allora sarò io a chiamarli, dovessi anche chiamare Haymitch per sapere cosa sta succedendo.
Quando arriviamo a casa, tutto è pronto e dobbiamo solo aspettare il resto degli invitati.
Ne approfitto per andare nella mia stanza a cambiarmi; non ho molta voglia di bagnarmi, ma tutti gli altri indosseranno il costume da bagno e non voglio essere l’unica a non farlo.
Il tempo di tornare al piano di sotto, e gli amici dei ragazzi sono già arrivati.
È stata Annie a suggerire di fare la festa da loro, la casa è più grande e più vicina alla spiaggia, e dice che avere un po’ di movimento in casa l’aiuta a distrarsi.
Mi sono resa conto che con l’arrivo dell’estate, l’umore di Annie è decisamente peggiorato. I momenti no sono molti di più dei momenti sì; Johanna mi ha detto che ogni estate è sempre così, dice che le ricorda Finnick.
Quando raggiungo la spiaggia, cerco con lo sguardo mia sorella. Noto Annie a mare con il piccolo Finn che nuota già come se fosse un pesciolino.
Johanna non si avvicina all’acqua ma è stesa su un telo a prendere il sole, fortunatamente ha avuto la decenza di indossare anche il pezzo superiore del costume… questa volta.
Finalmente trovo Allie, sta giocando con Lavinia sulla sabbia e la scena a cui mi trovo ad assistere mi scalda il cuore.
Da un paio di settimane mia sorella ha abbandonato anche l’ultima stampella e ha ripreso a camminare autonomamente.
Fisicamente si è ripresa, e psicologicamente sembra stare bene. Mia sorella è sempre stata una donna forte, più forte di me sicuramente.
Non vuole parlare di quello che è successo, e la capisco. È come se volesse rimuovere tutto, far finta che non sia successo nulla. Ho provato a dirle che poteva parlare con me, ma forse è meglio così. Ognuno reagisce a proprio modo al dolore, non posso imporle il mio modo di pensare, se per lei funziona continuare a fare come sta facendo, allora tanto meglio per lei.
Quello che ho potuto notare, è che la presenza dei suoi figli la sta aiutando immensamente. Così come l’unica cosa che fa alzare dal letto Annie la mattina è il piccolo Finn.
Mi avvicino a loro lentamente, non so se è un buon momento e non vorrei interromperle, ma quando mi vede, Allie mi fa cenno di avvicinarmi e chiede a Lavinia se può lasciarci sole solo per qualche minuto.
La bambina si alza e va a giocare vicino ai fratelli, che stanno facendo il bagno con gli amici, senza però entrare in acqua. Nonostante manchi solo una settimana al suo nono compleanno, non riesco a non pensare come la sua storica paura dell’acqua sia rimasta. Almeno certe cose non cambiano, la cosa mi rassicura.
Quando mi siedo accanto a mia sorella, lei sembra sovrappensiero. Non le chiedo nulla, per evitare di fare pressione e aspetto che sia lei a parlarmene se ha voglia.
Dopo qualche momento, evitando di guardarmi negli occhi, comincia a parlare. « Ci ho pensato. » Dice, e mi volto verso di lei, giocando nervosamente con una ciocca di capelli. Sono un po’ preoccupata perché non si era ancora comportata in maniera così strana da quando ci siamo ritrovate. « Effie, questo posto mi piace, ma non è casa mia. Voglio tornare alla Capitale con i bambini. Tu non devi sentirti obbligata di venire con noi… » Solo in quel momento si volta a guardarmi e mi sorride debolmente.
Non sono in grado di ricambiare il sorriso, e resto in silenzio. Me lo aveva detto mesi fa che appena si sarebbe ripresa completamente se ne sarebbe andata, ma non l’avevo presa sul serio. Errore mio, Allie non è mai stata il tipo che si rimangia la parola data. È identica a mia madre.
« Non devi decidere adesso, prenditi il tempo che ti serve. » Aggiunge, ma la sento a stento. La mia testa è da un’altra parte.
Non credo di voler tornare alla Capitale, non appartengo più lì. Ma allora dove? Restare qui con Annie e Johanna? Trovare una casa mia? E per fare cosa?
No… la verità è che vorrei poter tornare al Distretto 12, ma sono troppo orgogliosa per farlo così, senza un motivo. Non posso solo prendere un treno e andarmene, se avessi potuto, forse, lo avrei già fatto.
È una questione di onore adesso, a meno che non ci sia un valido motivo, non tornerò, sempre che non sia Haymitch o uno dei ragazzi a chiedermelo, ovviamente. In tal caso penso che sarei capace di saltare sul primo treno diretto lì.
Ma questo è un sogno, conoscendoli, non succederà. Il che mi riporta a pensare che non sento nessuno di loro da settimane e forse dovrei preoccuparmi… non lo so, ho troppe cose per la testa.
Ci ripenso e decido che non farò passare due settimane, se entro tre giorni non avrò notizie, telefonerò io.
« Va bene. » Le rispondo, anche se ormai è un po’ tardi per farlo. « Va bene, ci penserò. »
Allie mi sorride e mi abbraccia, il pensiero che le faccia così piacere tornare a Capitol City e avermi con lei un po’ mi fa male.
Da una parte vorrei rendere felice mia sorella, che ne ha dovute passare tante, dall’altra vorrei non dover più tornare lì…
Per distrarmi un po’ decido di andare a sedermi un po’ in riva al mare, bagnando appena i piedi, e evitare di pensare a qualsiasi cosa che non sia il rumore delle onde del Distretto 4.
I miei piani vengono rovinati da Johanna, che senza chiedere il permesso, si siede accanto a me, sotterrandomi le mani sotto la sabbia. « Perché quel muso lungo? Ti si è spezzata un’unghia? O ti è finita la sabbia nel costume? » Si tiene le ginocchia al petto, ed è almeno una ventina di centimetri più in dietro rispetto a me.
Ormai i problemi dovuti alle torture subite sono svaniti quasi del tutto, anche se preferisce continuare ad evitare contatti prolungati con l’acqua, soprattutto se non necessari.
« Allie vuole tornare a Capitol City. »
Dalle labbra di Johanna esce una risatina acuta, poi poggia la testa sulle ginocchia, piegata in modo da potermi guardare in faccia. « Così almeno te ne potrai tornare a casa. »
« Non credo che andrò con lei. » Ammetto, distogliendo lo sguardo.
« Non parlavo della Capitale. » Il suo tono di voce è diverso dal solito, talmente diverso che mi sorprende, sono costretta a voltarmi verso di lei, solo per trovarla con lo sguardo perso nel vuoto. È uno sguardo che conosco bene, lo stesso sguardo che aveva quasi ogni giorno quando c’incontravamo nel cortile della prigione.
Mi chiedo se alle volte non senta la mancanza del suo Distretto. Non ha nessuno lì; la sua famiglia ormai sono Annie e Finn, qui, al 4.
Prima che possa dire qualsiasi cosa per distrarla, un paio di piccole braccia mi cingono il collo e la testa di Lavinia si appoggia alla mia spalla. Automaticamente volto la testa per darle un bacio sulla guancia, quando si siede accanto a noi e passa lo sguardo da me a Johanna. « Che fate? » Chi chiede con fare innocente.
Johanna sposta appena lo sguardo su di lei, senza risponderle.
« Facevamo due chiacchiere. » Le dico, spostandole i capelli dal viso e sistemandoglieli dietro le orecchie. « Ti stai divertendo? »
Lei annuisce, poi fa per dire qualcosa, ma si ferma, distratta da qualcos’altro. « Che hai sulla gamba? » Il suo sguardo è puntato su di me, sulla mia coscia sinistra, accanto all’orlo del costume.
In un attimo, le sue piccole dita stanno sfiorando un leggero rigonfiamento che ho sulla pelle. Ormai è bianco, ma ai miei occhi torna immediatamente incandescente.
La vista si abbuia per un istante, e quello dopo sono legata ad una sedia. Due Pacificatori mi stanno facendo domande che nella confusione della mia testa non riesco a cogliere. Poi mi sento afferrare alle spalle e ne vedo altri due, mi tengono ferma e le mie grida mi rimbombano in testa.
Quello che mi stava facendo le domande mi afferra le gambe nude e piene di lividi, creandone sicuramente di nuovi, mentre l’altro solleva un pezzo di ferro incandescente e lo poggia lentamente sulla mia carne già rotta in precedenza. Sempre lo stesso punto.
Il dolore tremendo dura un attimo, non lo lasciano mai più di un secondo o due perché non vogliono che perda i sensi.
Le domande ricominciano, ma prima che possa ripetersi tutto, mi sento afferrare con forza la spalla e voltare.
Gli occhi di Johanna mi fissano con intensità. « Ehi! Ci sei? » La mano che mi stringe la spalla fa quasi male, ma è un bene, mi tiene ancorata alla realtà.
Il buio si dissolve del tutto e annuisco piano, senza riuscire a dire nulla; con il cuore che mi martella nel petto e la nausea che mi stringe lo stomaco. Respiro lentamente, cercando di riprendere il controllo. Non ricordo nemmeno quand’è stata l’ultima volta che erano tornati a trovarmi i miei Pacificatori… non posso dire che mi siano mancati.
Mi volto di nuovo, per vedere che Lavinia mi sta osservando preoccupata, cerco di sorriderle per tranquillizzarla ma non credo funzioni molto. « Mi dispiace. » Dice con un filo di voce. « Non volevo farti arrabbiare. »
« Non mi hai fatta arrabbiare. » Le rispondo, continuando a respirare lentamente.
Johanna indica di nuovo la mia cicatrice. « Sono stata io, l’ho usata per spegnere una sigaretta. » Dice e Lavinia storce il naso, passando gli occhi da me a lei.
Io annuisco, dandole corda, anche se non ho idea di dove voglia andare a parare. Forse vuole soltanto fornire una risposta alla bambina in modo che non ponga di nuovo quella domanda.
« Perché? »
« Perché non la smetteva di stare zitta. Tua zia sa essere esasperante. » La leggerezza con cui ne parla è inquietante, non sono sicura che Lavinia debba sentire una storia del genere, anche se finta.
« Non deve piacerti per niente. » Osserva lei, rifilando a Johanna uno sguardo incredulo.
« Oh, al contrario. Tua zia è una delle poche persone che sopporto. Dovresti vedere che cosa faccio alle persone che non mi piacciono. Hai mai provato ad accettare- »
« Okay, basta così. » La interrompo, facendo leva sulle braccia e alzandomi in piedi, e porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi.
Faccio lo stesso con Lavinia e la aiuto a togliersi la sabbia di dosso, ignorando l’espressione divertita di Johanna e quel suo sorrisetto irritante.
« Mamma mi ha detto di chiamarvi, dobbiamo portare la torta. » Ci informa Lavinia, una volta che la situazione sabbia è sotto controllo.
Io annuisco, mandandola avanti e voltandomi un’ultima volta verso Johanna. « Grazie. » Credo che un “grazie” non sia sufficiente, ma è quello che posso offrirle in questo momento.
Lei si stringe nelle spalle, passandosi una mano fra i capelli per ravvivarli. « A buon rendere. » Mi risponde semplicemente, come se non fosse successo nulla, e si allontana anche lei, tornando in direzione della casa.


A/N: Okay, non so se è un bene aggiornare così velocemente… però in genere non ho ispirazione, quindi meglio approfittarne. Poi se dovessi avere un periodo no, almeno avrò fatto il possibile prima.
In questo capitolo i temi erano un po’ più forti, ma era un po’ che le cose andavano bene ed è ancora troppo presto per dimenticare tutto quello che è successo.
Apprezzo veramente moltissimo tutti quelli che commentano la mia storia, facendomi sapere cosa ne pensano. Sono sempre felicissima di leggere i commenti e di rispondere a tutti quanti :)
Se siete fan di Supernatural, e vi piace l'idea di un crossover/AU fra Hunger Games e Supernatural, allora date una possibilità al primo capitolo di quella che vorrei far diventare una long-fic. Non sono sicura di quello che è, però l'idea mi sembrava carina. Il primo capitolo lo potete trovare qui. :)

Manca poco all’uscita di Mockingjay, non vedo l’ora!!!
A presto,
 

x Lily

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Capitolo 16
*** 3x04 Grandi notizie ***


3x04 Grandi notizie
 
Altri otto mesi sono passati, ormai ho lasciato il Distretto 12 da un anno e mezzo. Katniss e Peeta hanno attraversato momenti difficili accostati a momenti più sereni, ma sono almeno cinque mesi a questa parte che durante le telefonate, Peeta non ha nulla di cui lamentarsi.
Parlo quasi esclusivamente con lui, è l’unico che si prende la briga di chiamare. Haymitch e Katniss sono uguali, se fosse per loro potrei anche essermi trasferita da un’altra parte, non saprebbero nulla.
Da quando mia sorella se ne è andata, ho ripreso a parlare con Haymitch. Ho dovuto mettere da parte l’orgoglio e telefonare, ma non mi ha mai chiesto di tornare.
Allie ha lasciato il Distretto 4 poco prima dell’inizio dello scorso settembre, sei mesi fa. I ragazzi così hanno potuto cominciare un nuovo anno di scuola alla Capitale.
Mia sorella sta molto meglio; così come i miei nipoti. Hanno ripreso le vecchie amicizie, e ne hanno create di nuove.
Anita si è anche fidanzata con un compagno di classe, quando me lo ha detto, Allie non sembrava entusiasta, ma la ragazzina era al settimo cielo e non ho potuto fare a meno di essere felice per lei.
Alex mi ha detto di star pensando di voler intraprendere la carriera stilistica. Fra un anno lui e Anita finiranno la scuola, e fino a prima della guerra l’unica loro opzione nel mondo del lavoro era all’interno degli Hunger Games, con un padre Stratega, una zia Accompagnatrice e tutti i nonni, sia paterni che materni, fra i primi Sponsor.
Adesso le cose sono molto cambiate, ma sono sicura che Allie preferirebbe che Alex si dedicasse ad altro rispetto alla moda.
Mi ha detto di essersi appassionato recentemente; lo stile di Capitol City è cambiato, ma non drasticamente. Immagino che sia anche naturale, sempre sfarzoso e brillante, ma meno plastico e innaturale.
L’economia della Capitale si è ripresa, ma non abbastanza da permettere a tutti di poter recuperare tutto quello a cui erano abituati un tempo.
Parrucche e tessuti pregiati sono diventati un lusso che in pochi possono permettersi. In compenso, il resto di Panem va avanti velocemente, nonostante le ovvie difficoltà.
La vita con Annie, Johanna e il piccolo Finn procede bene.
Il mese scorso, per la prima volta dopo tre anni, ho festeggiato il mio compleanno. Anche se ho come l’impressione che sia stata una trovata subdola di Johanna per scoprire quanti anni avessi, perché non mi ha dato pace durante i giorni seguenti.
Annie ha ridotto le sessioni di terapia, ora deve andare una volta ogni quindici giorni e Johanna invece si è finalmente decisa a cominciarle.
Non so cosa sia stato a farle scattare in mente quel qualcosa che l’ha convinta, probabilmente io ed Annie che non le abbiamo dato tregua affinché non provasse almeno per un mese.
Le prime settimane sono state dure, sembrava che stesse peggiorando invece che migliorare. Incubi e episodi di rabbia incontrollata erano all’ordine del giorno, ma è stata ai patti e ha continuato finché le cose non hanno cominciato ad andare bene.
Anche se ha dovuto cambiare tre terapisti prima di trovarne uno in grado di tenerle testa. Il primo credo se la sia data a gambe dopo la prima seduta. Il secondo è quasi finito all’ospedale quando Johanna lo ha preso a pugni e per poco non siamo finite sugli schermi di tutta Panem, perché la signorina Mason ha avuto la grandissima idea di minacciare di morte il terzo dottore che l’aveva presa in cura.
Al quarto tentativo io e Annie siamo rimaste in sala d’attesa per un’ora, temendo di dover trascinare via Johanna tenendola per braccia e gambe, e invece quando è uscita dalla stanza ci ha informate che il dottore non era un completo idiota.
Finn chiacchiera continuamente, a settembre ha cominciato a frequentare un asilo e così sono cominciate anche le domande.
Annie non è sicura di voler rispondere ora a tutte, e non le posso dare torto. È ancora troppo piccolo per capire quello che è successo, e sta succedendo ancora.

È una domenica pomeriggio quando io e Annie stiamo sparecchiando la tavola.
Finn ci aiuta andando avanti e indietro da me alla madre, io gli porgo i piatti sporchi e lui trotta contento verso Annie.
L’affetto che provo verso di lui è indescrivibile; io, Annie e Johanna siamo tre donne devastate. La vita ci ha messe davanti a scelte difficili e momenti che tutte e tre preferiremmo cancellare dalla nostra memoria, ma il piccolo Finn, con la sua allegria e la sua innocenza, riesce anche con un semplice sorriso a farci stare bene.
Continuiamo finché il trillo del telefono cattura la nostra attenzione, Annie subito chiede a Johanna di andare a rispondere, essendo l’unica che in quel momento non stava facendo nulla.
Lamentandosi come al solito, lei si alza dalla sedia su cui era seduta a guardarci e esce dalla cucina; solo per affacciarsi dalla porta poco dopo. « Peeta. » Dice semplicemente e senza farmelo ripetere, mi pulisco le mani ai lati del vestito e vado a rispondere.
Non chiamava da una settimana circa, cominciavo a preoccuparmi.
« Ciao Effie. » Mi saluta cordiale, ma nella sua voce colgo qualcosa di diverso.
Automaticamente mi preoccupo, anche se cerco di mantenere un tono di voce calmo, per non tradirmi. « Peeta, finalmente… non telefonavi da un po’. »
C’è un breve silenzio dall’altra parte della cornetta, prima che lui riprenda a parlare. « Lo so, mi dispiace… siamo stati un po’ impegnati. »
Impegnati? Allora era veramente successo qualcosa… « Va tutto bene? »
L’ultima volta che c’è stato un periodo di tempo prolungato in cui non avevo avuto loro notizie, alla fine avevo scoperto che Katniss era finita all’ospedale, perché era stata attaccata da un cane selvatico durante una battuta di caccia che le aveva morso il polpaccio e Peeta si era dovuto occupare di lei per qualche giorno, dal momento che lei non poteva muoversi.
« Sì, sì, tutto bene. » Si affretta a rispondere Peeta. « Non preoccuparti, stiamo tutti bene. »
Evidentemente anche lui aveva pensato alla stessa cosa. « Ottimo. Mi avevate quasi fatto preoccupare… come stanno Katniss e Haymitch? »
« Haymitch sta cercando di limitarsi con l’alcool. » Questa mi giunge nuova, ma non dico nulla. « Katniss, beh, ecco- ahm- come? Come vanno le cose da te? »
No, non me la racconta giusta. Per niente. « Tutti bene. Peeta? » Non so se devo preoccuparmi o meno, non capisco perché è così evasivo. Ha chiamato lui per l’amor del cielo!
« No- no, Effie, non- è che devo dirti una cosa. Sei- beh sei la prima persona che chiamo e non so bene come dirlo… » Anche se non posso vederlo in faccia, riesco a percepire la difficoltà che ha nel parlare.
Il cuore comincia a battere più forte, forse non dovrei essere così spaventata, ma perché si sta comportando in questo modo. « Che succede? Che ha Katniss? »
« Te l’ho detto, niente è che- abbiamo deciso di sposarci. » Le ultime parole le pronuncia talmente velocemente che faccio fatica a capirle in un primo momento, poi, quando sono sicura di aver capito bene, il cuore manca un battito, ma stavolta per la gioia.
« Oh- aspetta. Sul serio? » Non è che non ci creda, ma voglio esserne sicura.
« Sì, sì sul serio questa volta. »
« Oh, Peeta! Congratulazioni! » A stento riesco a trattenere la commozione, e non posso credere di essere così lontana. Vorrei poterli stringere entrambi fra le mie braccia. « Ma perché non me lo hai detto prima? Stavi per farmi venire un infarto, non sono cose da fare! »
« Scusa, Effie… è che non sapevo bene come dirtelo. » Lo sento ridere nervosamente dall’altro capo del telefono.
« Non fa niente… » Non riesco a smettere di sorridere, non credo di essere stata così felice da mesi. « Ma- quando lo avete deciso? Avete già una data per il matrimonio? »
« Beh, » Peeta esita, facendomi rimanere in attesa. « Ne parlavamo da un po’ a dire il vero, nulla di serio. Alla fine è stato Haymitch a convincerci a darci una mossa. »
Questa notizia mi stupisce quasi più dell’aver appreso che sta cercando di regolarsi con il liquore. « Haymitch? » Chiedo incredula, quasi ridendo. « Il mio Haymitch? » Le parole escono da sole, prima che possa controllarle. « Voglio dire- beh, racconta, no? » Mi sistemo nervosamente i capelli dietro l’orecchio, voltandomi per controllare che non ci sia Johanna che stia origliando la mia conversazione, ci mancherebbe solo questo.
« Ha detto che gli facevamo venire il mal di testa e che se non ci sbrigavamo a decidere una data, l’avrebbe fatto lui al posto nostro. »
Non riesco ad evitare di portare gli occhi al cielo, scuotendo impercettibilmente la testa, una cosa così romantica, non stento a credere sia una frase di Haymitch, però se hanno veramente scelto una data, almeno è stata efficace. « Allora? Quando vi sposerete? »
« Fra otto settimane, scusa se ti chiamo con così tanto anticipo, ma volevamo essere sicuri che tu, Annie, Jo- »
Non può nemmeno finire la frase, perché lo interrompo prima. « Anticipo? » Non ci credo. « Otto settimane tu me lo chiami anticipo? Ti prego dimmi che è tutto pronto… torta, vestito, invitati- io- Peeta… otto settimane! »
Dall’altro capo del telefono è caduto il silenzio, sento Peeta biascicare qualcosa, come se stesse parlando con qualcun altro, o da solo. « Beh, a dire il vero no. Abbiamo scelto la data la settimana scorsa, ma veramente noi volevamo fare qualcosa di estremamente semplice… »
Ovviamente. Porto una mano a coprirmi la fronte, inspirando piano. Respiro lentamente, cercando di riprendere il controllo. Non è il tuo matrimonio, Effie. « Certo. Certo, certo… ma non potete fare un matrimonio senza un po’ di organizzazione. »
Peeta non risponde, forse sono stata un po’ troppo aggressiva, credo di averlo messo in difficoltà. « Katniss è con te? »
« No. » La risposta è immediata, poi si affretta a spiegare. « No, è andata da Haymitch. Ma tornerà a breve… »
« Non voleva che mi chiamassi, vero? »
« Non così presto, mi aveva chiesto di aspettare ma pensavo che ti saresti offesa se non ti avessi chiamata subito. »
Le sue parole non possono non portarmi un sorriso alle labbra, la dolcezza di Peeta è sempre rassicurante. E ovviamente ha anche molta ragione, me la sarei presa tantissimo. « Beh, ma non posso certo restare qui con le mani in mano. Lasciare un matrimonio nelle vostre mani sarebbe da incoscienti. »
« Non preoccuparti Effie, c’è Haymitch. » Peeta si rende conto della sciocchezza che ha detto un secondo dopo che le parole hanno lasciato le sue labbra, perché subito aggiunge: « Magari possiamo chiamarti per prendere le decisioni. »
Scuoto la testa vigorosamente, anche se Peeta non può vedermi. « Mi spieghi come faccio ad organizzarvi un matrimonio perfetto da qui? » Ma avevo fatto una promessa, beh non esattamente, mi ero ripromessa che non sarei tornata a meno che non avessi avuto un valido motivo. Il matrimonio dei miei ragazzi è un ottimo motivo. « Peeta, chiedimelo. »
« Effie, non so se è una buona idea. » Riesco a percepire la sua indecisione, e riesco quasi anche a vedere l’espressione sul suo volto.
Non posso certo autoinvitarmi, ma… se è lui a chiedermelo, allora è tutta un’altra questione. « Peeta, non fare il bambino. Avete bisogno di me. Chiedimelo e basta, per favore. »
« Katniss mi ucciderà… » Lo sento sospirare profondamente, e so che la vittoria è mia. « Effie, vorresti venire qui al Distretto 12, per aiutarci a preparare il matrimonio? » Nonostante tutta la scena, dal suo tono di voce quasi scherzoso, capisco che sta sorridendo.
Istintivamente la mia schiena si raddrizza, mentre sistemo ancora una volta i capelli dietro le orecchie. « Ma certo che sì. Sarà un’impresa fare tutto in otto settimane, ma adoro le sfide. Prenderò il primo treno… »
« Fai con calma, devo trovare un modo di spiegarlo a Katniss prima… »
Non vorrei essere nei suoi panni, ma non mi sento in colpa. Forse un pochino per averlo costretto, ma lo sto facendo per il loro bene!
Ci salutiamo, e quando aggancio il telefono, ho bisogno di un attimo per assicurarmi che quello che è appena successo non sia un sogno, ma la realtà.
Ovviamente devo dare la notizia anche ad Annie e Johanna, ma voglio godere di quella sensazione di benessere ancora per un po’ e voglio che sia solo mia.
Appena mi sento pronta, torno in cucina per vedere che è vuota. Allora provo ad andare in salotto e li trovo tutti e tre lì. Annie che fa il solletico a Finn sul divano, e Johanna che li sorveglia nascondendo un sorriso dalla poltrona, con un libro in mano.
Faccio notare la mia presenza schiarendomi la voce, poi comincio ad avvicinarmi al divano a piccoli passi, senza sedermi.
« Allora? » Chiede senza troppe cerimonie Johanna. « Che voleva Peeta? »
È inutile tirarla troppo per le lunghe, quindi congiungo le mani in grembo e sorrido senza più nascondere la mia felicità. « Lui e Katniss hanno deciso di sposarsi. »
Gli occhi di Annie si illuminano, mentre si sistema seduta dritta, portandosi Finn in grembo. « Quando? »
« Fra otto settimane. » Lo dico lasciando intendere che è una data incredibilmente vicina, ma loro non battono ciglio.
Mi concentro su Johanna, che era rimasta in silenzio. Quando si rende conto che la sto fissando, fa un mezzo sorriso, lasciando perdere il libro e sollevando le gambe, incrociandole sulla poltrona. « Fanno sul serio questa volta? »
Io annuisco convinta. « Assolutamente. » Poi aggiungo, cercando di non sembrare troppo impaziente. «Oh, e Peeta mi ha chiesto di raggiungerli il prima possibile per aiutarli ad organizzare tutto. »
Annie sorride sotto i baffi e Johanna mi lancia un’occhiata obliqua. « Ma davvero? »
Annuisco di nuovo, distogliendo appena lo sguardo, concentrandomi intensamente sulla finestra. « Ovviamente vi aspetteremo qualche giorno prima del matrimonio. »
« Sì? Perché io credo di averti sentita praticamente obbligare Peeta ad invitarti. » La voce di Johanna è tagliente, ma mai quanto lo sguardo che le rifilo.
Lo sapevo che stava origliando, lo fa sempre! Questa donna non ha la benché minima idea di cosa sia la privacy o lo spazio personale. « Beh, ho dovuto spingerlo un po’ ma alla fine è stato più che contento di invitarmi. »
Johanna si alza, incrociando le braccia al petto e passando lo sguardo da Annie a me. « Io sono contenta. » Annuncia, oltrepassandomi e fermandosi alla porta. « Così almeno quando te ne andrai posso prendermi la tua stanza. »
Possibile che questa sia la prima cosa a cui pensa? Non la capirò mai. « Non ci pensare nemmeno, starò via solo otto settimane. »
Questa volta Johanna mi scoppia a ridere in faccia, e la cosa sembra divertire molto il piccolo Finn, che comincia a ridere di gusto, assieme a lei. « Certo, come se tornassi. »
L’uscita di Johanna mi prende alla sprovvista, mi volto a guardare Annie, sconvolta, ma lei non sembra stupida da quell’affermazione, quindi torno dall’altra. « Ma certo che tornerò. »
Portando gli occhi al cielo, scuote la testa, in una mia pessima imitazione. « No che non tornerai. » Quando mi volto di nuovo verso Annie, ancora più incredula, vedo che anche l’altra donna sta scuotendo la testa. A quanto pare entrambe sono convinte che resterò lì, beh si sbagliano.
Johanna intanto continua dalla soglia della porta, poggiandosi con la spalla allo stipite. « E io mi prenderò la tua stanza. Vedi di portarti anche il tuo gatto, altrimenti te lo spediamo in un pacco. »
« Oh, adesso non esageriamo, Johanna! » Interviene Annie, alzandosi e prendendo in braccio anche Finn. La raggiunge alla porta, ma prima di sorpassarmi si ferma un attimo al mio fianco. « Però credo che sarebbe il caso di portarlo con te, faresti un viaggio inutile per venirlo a riprendere… »
Ora ci si mette anche Annie…
Mi lasciano sola, incapace di fare qualsiasi cosa; decido di sedermi per un po’ cercando di rimettere insieme i pensieri. Ho un mucchio di cose da fare! Devo preparare le valigie, trovare un treno, cominciare ad organizzare almeno mentalmente le cose principali che mi serviranno per il matrimonio… dovrò cominciare a stilare una lista.
Non sarebbe la prima volta che organizzo il matrimonio di Katniss, in teoria, ma in pratica questa volta voglio che sia speciale per loro. Saranno loro a scegliere tutto, ma dovrò essere io ad indirizzarli sulla giusta strada.
Sospiro, appoggiando la schiena al cuscino del divano e chiudo gli occhi per un momento, senza riuscire a smettere di sorridere.
Tornare al Distretto 12… ora che ho un motivo valido posso farlo senza problemi, ma restare è tutta un’altra questione. Non sono io a doverlo decidere.


A/N: Salve! Questo capitolo è un po’ più lungo del solito ma per buoni motivi!
Il terzo anno è concluso, anche se è durato un po’ meno in quanto a capitoli e un po’ in più in quanto a tempo… il prossimo anno si svilupperà su un arco di circa sei mesi.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate con un commento!
- 2 a Mockingjay e le nuove clip di Haymitch e Effie mi hanno uccisa (positivamente). Vorrei solo che diventassero ufficialmente canon! Su, su che potete farcela! Io punto sulla parte 2 XD :3
Grazie per aver letto, a presto! :D
 

x Lily

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Capitolo 17
*** 4x01 Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo ***




Petrichor
4x01 Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo
 
Il treno arriva al Distretto 12 in perfetto orario; l’ultima volta che sono arrivata qui, con i miei nipoti, ero miserabile. Non riesco a non pensare a quante cose siano cambiate rispetto a due anni e mezzo fa.
Anche la stazione è molto diversa. C’è molta più gente, è tutto più nuovo. Durante la mia assenza, il Distretto ha continuato la sua rinascita, e adesso è praticamente ricostruito.
Sono sorpresa quando alcuni volti mi sorridono, evidentemente mi riconoscono. Un uomo anziano, che riconosco essere uno dei clienti più assidui della panetteria di Peeta, si ferma un attimo davanti a me, per salutarmi.
È tutto un po’ surreale, non ha nulla a che vedere con il Distretto 4, o la Capitale, ma devo ammettere che questo posto ha un fascino particolare.
Ad aspettarmi ci sono sia Peeta che Haymitch, sinceramente non mi aspettavo anche la sua presenza. L’ultima volta era venuto a prendermi solo il ragazzo, e adesso, a distanza di quasi un anno e mezzo, lo noto ancora più cresciuto.
Non credo che lui e Katniss smetteranno di essere i miei bambini, però.
Finalmente posso smettere di trascinarmi dietro i trolley e la gabbietta di Pumpkin, quando Peeta mi viene in contro, seguito da Haymitch.
Abbraccio calorosamente il ragazzo, congratulandomi anche di persona e faccio fatica a lasciarlo andare. Riesco a leggere la gioia nei suoi occhi, che sicuramente si riflette nei miei.
Non esito ad abbracciare anche Haymitch, ma per meno tempo e meno entusiasmo. Stavolta dovrà guadagnarsi il mio affetto.
Dopo il giro di saluti, Haymitch mi fa immediatamente notare che per il tempo che dovrò restare, ho portato troppe valigie. Me ne ero accorta anche io, mentre Annie continuava a passarmi tutti i capi che avevo nell’armadio e devo dire di essere stata tentata di lasciare una o due borse lì, ma poi non sapendo cosa indossare al matrimonio, ho preferito portare tutto. Non si sa mai…
« Perché hai portato anche il gatto? » Mi chiede poi Haymitch, afferrando in malo modo la sua gabbietta e io mi affretto subito a prenderla, per evitare che lo faccia cadere. « Perché ha portato anche il gatto? » La domanda viene poi rivolta subito a Peeta quando io non rispondo immediatamente.
Il ragazzo si stringe nelle spalle, caricandosi come un mulo con le mie borse, e lasciando le restati ad Haymitch.
« Non potevo certo lasciarlo con Johanna! » Mi difendo, cominciando a incamminarmi verso l’uscita.
Peeta è subito dietro di me e con la coda dell’occhio lo vedo voltarsi verso Haymitch. « Non ha tutti i torti… »
Sento appena che Haymitch borbotta qualcosa, e poi comincia di nuovo a lamentarsi sulla quantità di valigie, quando inizia a sollevarle.
La prima cosa che mi accoglie, al Villaggio dei Vincitori, è lo starnazzare delle oche di Haymitch, che arriva da lontano.
Avevo dimenticato l’odore di questo posto, la legna bruciata, il terreno bagnato… è così diverso dall’odore di salsedine sempre presente quando ero a casa di Annie.
Un po’ mi mancano, vorrei sapere che cosa sta facendo adesso il piccolo Finn. Quando ci siamo salutati davanti al treno, prima che salissi, non sono riuscita a contenere la commozione. Sarà difficile passare le mie giornate senza quel bambino, ma devo cercare di concentrarmi su altro.
Come ad esempio il fatto che senza nemmeno chiedermi il permesso, sia Peeta che Haymitch si stanno dirigendo con i miei bagagli verso la casa di quest’ultimo.
« Chiedo scusa. » Mi schiarisco la gola, fermandomi e puntando i piedi a terra, poi mi rivolgo a Peeta. « La tua vecchia casa è ancora libera? »
Il ragazzo è visibilmente confuso, ma dopo un attimo di incertezza, annuisce. « Sì, perché? »
Mi ritrovo a sorridere, senza sentirlo veramente. « Perfetto, allora se non vi dispiace potete anche portare i miei bagagli lì. »
Li sorpasso, aspettando che si muovano, e la voce di Peeta mi arriva alle spalle, troppo alta per non essere sentita, anche se si sta rivolgendo chiaramente ad Haymitch. « Credo tu sia nei guai… »
Dal momento che Peeta non è stato così discreto da usare un tono di voce più basso, mi volto appena verso di loro, con il sorriso ancora disegnato sulle labbra. « Oh, non ne hai idea. »
Non entravo in questa casa dai tempi dell’incendio e appena oltrepasso l’ingresso, il sorriso si spegne.
La casa è perfetta, sembra che non sia mai successo nulla. L’arredamento è simile, ma diverso nei dettagli. È fredda, ma basterà accendere il camino.
Mentre Haymitch e Peeta portano le mie valigie al piano di sopra, io ne approfitto per liberare Pumpkin che subito sparisce sotto uno dei divani, e per andare ad aprire le finestre in modo da arieggiare un po’ la casa.
Le tende sono terribili, ma per il momento preferisco non toccare nulla. Non so sul serio quanto resterò qui, potrei tornare al Distretto 4 fra otto settimane, è meglio che non mi faccia strane idee.
Sfregandomi le braccia, faccio correre lo sguardo fuori la finestra. Fortunatamente la neve si è sciolta dalle strade e ora sono rimasti solo piccoli cumuli negli angoli delle vie. Nel giro di una o due settimane sparirà del tutto.
« Se non chiudi ti prenderai un malanno. » La voce di Haymitch mi fa trasalire, non lo avevo sentito arrivare.
Ormai l’aria si è rinfrescata, quindi gli do ascolto e chiudo la finestra. « Peeta mi ha detto che hai smesso di bere. »
Lui storce il naso, poi si allontana per andare ad accendere il camino. « Non è che abbia avuto molta scelta. Il treno con i rifornimenti non arriva da settimane. »
Ora le cose sono decisamente più chiare. Lo raggiungo, sedendomi sul divano di fronte al caminetto e quando ha finito, anche lui si siede. « Potrebbe essere la volta buona. » Gli faccio notare, osservandolo, ma lui evita di proposito il mio sguardo, concentrandosi a guardare le fiamme che prendono vita.
« Nah… » Risponde semplicemente, dopo qualche secondo.
Osservandolo più da vicino, mi rendo conto che ha il viso stanco. Enormi occhiaie gli segnano gli occhi, prima alla luce del sole non l’avevo notato, ma ora, con le ombre proiettate dal caminetto, sono molto più evidenti.
« Sai che mi devi delle scuse, vero? » Dico dal nulla, perché è bene che lo sappia. Non vorrei si facesse idee sbagliate.
Haymitch mi guarda come se avessi appena detto che il fuoco è freddo e questa sua espressione mi fa quasi tenerezza. Ma perché provo ancora a spiegargli le cose? « E posso sapere di cosa dovrei scusarmi, Principessa? »
Se sta pensando di corrompermi usando stupidi e vecchi nomignoli, non funzionerà… non del tutto almeno. « Assolutamente no. È proprio questo il punto. »
« È un punto molto stupido. »
« Tu sei un uomo molto stupido. »
Questo tipo di scambio di battute veloci mi è mancato, non so nemmeno dire quanto ma mi è mancato.  Riesco a vedere negli occhi di Haymitch che sta pensando la stessa identica cosa, quando purtroppo veniamo interrotti da Peeta, che con un leggero colpo di tosse fa notare la sua presenza alle nostre spalle.
Sia io che Haymitch ci voltiamo verso il ragazzo, che dopo un momento di incertezza, indica le scale che portano di sopra. « Ho finito di sistemare le borse nella tua camera, Effie, pensavo che- » Si ferma un attimo, rimanendo in silenzio e osservando la scena, prima di grattarsi la nuca, un po’ imbarazzato. « Però non fa niente, adesso io magari vado. »
Questa volta io ed Haymitch parliamo nello stesso istante, ma mentre lui enfatizza un sonoro: « Già » io scuoto la testa, socchiudendo appena gli occhi. « Sciocchezze. »
Lo colpisco appena sulla gamba, per non fargli aggiungere altro, e mi alzo immediatamente, sistemandomi il vestito. « Devo ancora salutare la futura sposa, no? Abbiamo fin troppe cose di cui dover parlare. »
Dopo aver spento il caminetto, per evitare incidenti, andiamo tutti a casa dei ragazzi. Katniss è felice di vedermi, nonostante tutto.
Vederli tutti e tre insieme, sereni, mi fa stare bene. Posso finalmente constatare che le cose si stanno aggiustando sempre di più, che non sono perfette, certo, ma il tempo va a vanti.
Dopo qualche momento di chiacchiere frivoli, è il momento di prendere in mano la situazione.
« Allora, avete detto che vi sposerete al Palazzo della Giustizia, quindi ci servirà un vestito adatto… »
Katniss china gli occhi su quello che ha indosso in quel momento: un pantalone scuro, un pullover grigio e degli anfibi di pelle. « Veramente pensavo di andarci così. » Non riesco a capire se è sarcasmo o è seria. Mi volto confusa verso Haymitch e Peeta, per una conferma e li vedo ridere sotto i baffi, poi Katniss aggiunge, con serietà. « Ovviamente senza pullover. »
Inclinando un sopracciglio e tornando a guardarla, la squadro da capo a piedi. Non posso permetterle di commettere un simile reato.
Faccio scoccare la lingua contro il palato, aprendo la borsa che ho poggiata ad una spalla. Tiro fuori la cartellina su cui ho lavorato durante tutto il tragitto dal Distretto 4 a qui e poi torno a guardare Katniss. La vedo impallidire. « No. » Dice immediatamente, poi solleva lo sguardo sui due dietro di me, con uno sguardo implorante. « No… »
Mi avvicino a lei, afferrandola per un braccio e dandole qualche leggera pacca sulla schiena. « Non puoi vestirti così al tuo matrimonio, Katniss. »
Lei non sembra nemmeno avermi ascoltata, mentre cerco di indirizzarla verso le scale ma Katniss resta voltata verso Haymitch e Peeta che adesso stanno quasi ridendo. « Haymitch! Fa qualcosa, fermala. »
È in questo momento che i due non riescono più a trattenere le risate e lo sguardo di Katniss da implorante diventa omicida.
« Mi dispiace dolcezza, ma non posso farci proprio niente. »
Non capisco perché tante storie; portando gli occhi al cielo, la spingo verso il primo gradino. « Su, su, su! Non è una tragedia. Dobbiamo solo provare qualche vestito… ti prometto che durerà poco. »
Haymitch e Peeta intanto si stanno divertendo fin troppo, quindi quando sono a metà strada con Katniss, mi volto e sorrido nella loro direzione. « Restate qui voi due, quando ho finito con lei sarà il vostro turno. »
Le risate muoiono all’istante, e stavolta è Katniss a sorridere, lasciandosi spingere al secondo piano.
Dal suo armadio facciamo uscire un vecchio scatolone, dimenticato lì da chissà quanto tempo. Al suo interno ci sono una manciata di vestiti, buttati lì senza alcuna cura, tutti spiegazzati.
« Non so perché non li ho buttati. » La voce di Katniss si è abbassata, ma il suo sguardo è rimasto invariato.
Dal momento che lei non osa toccarli, mi avvicino ai vestiti per vedere se c’è qualcosa di fattibile.
« Forse dovrei buttarli. »
Non ha senso farle indossare un abito che le porti brutti ricordi in una giornata dove dovrebbe solo essere felice. « Perché buttarli quando possono essere sfruttati al meglio? » È una domanda retorica, perché poi prendo un vecchio vestito verde acqua e comincio a strappargli le maniche.
Katniss sobbalza all’improvviso rumore di stoffa che si strappa, ma non mi ferma. « Che stai facendo? » Chiede invece, un po’ allarmata.
Io continuo, mettendo da parte le maniche e tenendomi solo il vestito, poi riprendo a cercare nello scatolone. « Se non c’è niente che indosseresti, tanto vale creare qualcosa di nuovo da mettere. »
« Ma- credevo volessi farmi mettere un vestito strano e vistoso. » La sua confusione è così genuina da farmi sorridere.
« Peeta ha detto che volete qualcosa di semplice. Non sono qui per imporvi nulla, solo per aiutarvi a non rovinare tutto. » Le passo un vestito blu, e lei se lo rigira fra le mani, prima di decidersi a strapparlo, imitando i miei gesti di poco prima. « Katniss, è il tuo matrimonio, indosserai qualsiasi cosa tu voglia. »
Lei solleva lo sguardo e apre la bocca per parlare, ma io levo una mano e le poggio due dita sulle labbra. « Bah, bah, bah. Tranne quello che hai indosso ora, e dovrà essere comunque approvato da me. »

Il resto della settimana trascorre velocemente, non mi aspettavo una risposta positiva da parte di Katniss, invece mi sta dando corda e alla fine credo si stia anche divertendo a farmi valutare accostamenti improponibili di proposito solo per vedermi affranta.
Occuparmi del matrimonio riporta in me vecchi ricordi, alcuni dolorosi altri felici. Non è la prima volta che le faccio provare abiti da sposa, ma ora è tutto nuovo, questa volta è vero.
Trovare un vestito per Peeta è molto più semplice, così com’è semplice trovarlo per Haymitch. Anche se il suo dovrà fare un viaggio di emergenza in lavanderia prima di poter essere indossato.
Adesso ho una questione altrettanto importante da trattare con lui, e la cosa mi preoccupa un po’.
Quando arrivo a casa sua, per la prima volta da quando sono tornata, la prima cosa che noto è che la casa non è nel disordine più totale, come me l’ero immaginata.
Ha addirittura tenuto le tende che gli avevo fatto cambiare.
« Hai bruciato quelle vecchie e non avevo nessuna intenzione di andare a comprarne delle nuove. » È stata la sua scusa, ma a volte credo che pensi sia più stupida di quanto sembro.
Ci sistemiamo in cucina, mi siedo al tavolo mentre lui inizia a preparare un tè. Comincio a sondare il terreno, facendo domande casuali sul matrimonio.
Haymitch risponde alle mie domande, e non credo sospetti nulla; poi, quando mi porge la mia tazza e prende posto di fronte a me, mi sorprende. « La risposta è no, dolcezza. »
« No? » Sono confusa, ma continuo a guardarlo mentre lui nasconde un ghigno dietro la tazza fumante, prima di provare a bere un sorso.
« Non accompagnerò Katniss all’altare, o da qualsiasi altra parte. » Forse anche io lo credo più stupido di quanto in realtà è, ma mi aspettavo comunque una risposta simile.
Metto giù la tazza, poggiando le mani sul tavolo e intrecciando le dita. « Non puoi farmi questo. » Sono seria, terribilmente seria. « Haymitch, ho convinto Katniss a giocare al bricolage con i vestiti. Tu consegnerai quella ragazza a Peeta. »
Detto questo, mi alzo dalla tavola, recupero la tazza e vado in salotto, stando attenta a non scottarmi.
Dopo nemmeno un minuto, suona il campanello e vado ad aprire, abbandonando nuovamente la tazza semivuota sul tavolino di fianco al divano. È Peeta e regge un enorme pacco, sottile di spessore. È una delle sue tele, rivolta verso di lui.
Haymitch ci raggiunge in salotto, per vedere chi fosse anche se le opzioni non erano molte.
« Che cos’è? » Chiede al ragazzo, indicando quello che ha in mano e sedendosi sul divano in malo modo.
Peeta sorride radioso, facendomi cenno di sedermi accanto a Haymitch, io mi poggio appena al bracciolo del divano, rimanendo in attesa della sua risposta.
« Un dipinto. » Dice, continuando a sorridere ma senza girarlo.
« Fin qui ci arrivavo, vuoi farcelo vedere o no? » Non capisco l’impazienza, forse è solo curioso di vedere uno dei nuovi lavori di Peeta, oppure vuole solo che se ne vada.
Peeta annuisce, voltando finalmente la tela.
Il dipinto ritrae una scena familiare; siamo noi quattro nel salotto di casa loro. Io e Katniss siamo sedute al tavolo, nell’intento di tagliare e ricucire pezzi di abiti. Haymitch è sul divano con un libro in mano, e Peeta è accanto al camino, mentre ravviva il fuoco. Momenti come questo si sono ripetuti più volte durante gli ultimi giorni.
È magnifico, non mi aspettavo nulla del genere. Due lacrime mi si formano ai lati degli occhi, ma le asciugo subito.
« Ho pensato che ti avrebbe potuto far piacere appenderlo da qualche parte. » Dice rivolto ad Haymitch, ma lui ha ancora gli occhi puntati sul dipinto. Dopo un momento, annuisce semplicemente, senza aggiungere altro.
Io mi alzo e vado ad abbracciare Peeta, prendendo poi in mano la tela, per guardala meglio. « È meraviglioso, veramente bellissimo. » Gli sorrido di nuovo e lui arrossisce, chinando il viso.
« Ora è meglio che vada, devo aiutare Katniss a preparare la cena. » Si congeda velocemente, e io vado immediatamente a poggiare il quadro sul divano, accanto ad Haymitch.
Lui gli lancia un’altra occhiata, poi sento che il suo sguardo si ferma su di me. « E va bene. » Dice, seccato.
Io mi volto verso di lui, confusa. « Come prego? »
« Ho detto va bene, consegnerò Katniss a Peeta, ma non indosserò niente di particolare. » Ancora più felice, congiungo le mani e poi mi chino verso di lui per dargli un leggero bacio sulla guancia. Lui mi allontana, facendo finta di essere infastidito, poi aggiunge: « Adesso vattene, prima che cambi idea. »
Senza aspettarmi nulla di diverso, e ancora con il sorriso sulle labbra, do un’ultima occhiata a quel magico quadro ed esco, tornando sulla strada.
Facendo il giro della casa di Haymitch, trovo Peeta ad aspettarmi con le braccia incrociate.
Appena mi vede, si muove e mi viene incontro. « Come hai fatto a fingere di piangere? » Mi chiede, sorpreso.
Io scuoto la testa, sorridendo debolmente. « Non fingevo. È veramente bellissimo. »
« Oh- grazie… » Anche lui sorride, un sorriso contento, spontaneo e genuino. Poi cominciamo a camminare vicini, mentre mi accompagna a casa. « Ho esagerato? »
Mi ritrovo di nuovo a scuotere la testa, perché non riesco quasi a parlare dalla felicità. « No. No, sei stato bravissimo. » Mi metto sottobraccio, e sollevo lo sguardo.
« Ha funzionato? Accompagnerà Katniss? »
Stavolta annuisco, inspirando lentamente l’aria fresca del Distretto. Certo, forse questo stratagemma è stato un po’ troppo, ma mi rimangono solo sette settimane e non ho intenzione di perdere tempo, farò quello che serve per questo matrimonio.
E poi Haymitch avrebbe accettato comunque alla fine, ho solo accelerato un po’ le cose…


A/N: Salve! Ancora una volta un capitolo un po’ più lungo, ma questo qui mi è piaciuto tantissimo da scrivere, penso sia il mio preferito in assoluto quindi ci terrei tantissimo a sapere cosa ne pensate! :D
Il dipinto è stato la ciliegina sulla torta, ma della torta parleremo nel prossimo capitolo u.u
Fra Katniss, Peeta, Haymitch ed Effie qui non so chi mi sia piaciuto di più… se fossi brava a disegnare farei il dipinto >_> ma gli omini stilizzati mi vengono male, quindi niente da fare.
Ho visto Mockingjay ieri e l’ho amato, voglio andare a rivederlo perché una volta sola non basta.
A presto,
 

x Lily

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Capitolo 18
*** 4x02 Qualcosa di prestato, qualcosa di blu ***


A/N: Scusate questa nota all’inizio, vorrei solo chiedervi di leggere la nota alla fine dopo aver letto, perché ci terrei a spiegare alcune cose presenti all’interno di questo capitolo.

4x02 Qualcosa di prestato, qualcosa di blu
 
Dal momento che Peeta e Katniss hanno deciso di sposarsi pochi giorni prima del compleanno della ragazza, a lui tocca il compito di preparare non una, ma due torte.
Non è nemmeno un compleanno da poco, visto che compirà ventun anni. Quindi abbiamo deciso di far restare gli invitati qualche giorno in più, per poter festeggiare tutti insieme.
Parlando di invitati, ormai mancano quattro settimane al matrimonio e Katniss non mi ha ancora detto quante persone saremo esattamente. Peeta mi ha assicurato che hanno già telefonato a tutti, ma preferirei comunque avere una lista scritta.
Abbiamo stabilito che saremo in pochi ad assistere al matrimonio vero e proprio, mentre alla cena inviteranno anche altri abitanti del Distretto, loro amici.
Ancora non ho idea di che cosa indosserò, ma impegnata come sono a organizzare tutto il resto, il mio abito è l’ultimo dei problemi.
Sia i futuri sposi che Haymitch si sono categoricamente rifiutati di fare delle prove, ma ho ancora un po’ di tempo per convincerli. Almeno una prova li costringerò a farla, non ho intenzione di discuterne.
Questa mattina mi sono svegliata di buon umore, quindi mi alzo dal letto e dopo aver nutrito Pumpkin ed essermi fatta una doccia rigenerante – perfino l’acqua calda non ha dato problemi – decido di uscire per andare a parlare con Peeta, in panetteria.
L’aria primaverile di aprile mi solletica sulla pelle quando esco di casa, mi assicuro di chiudere la porta e prima di proseguire, mi prendo qualche secondo per abituarmi alla temperatura. Forse avrei fatto meglio a portare un giacchino o qualcosa di simile, perché fa ancora un po’ troppo freschetto per i miei gusti.
Finalmente mi decido a darmi una mossa, in fondo non ho tutta la mattinata, e mi dirigo verso la strada.
Le oche sono più nervose del solito, e quando volto la testa per capirne il motivo, mi rendo conto che è perché Haymitch sta dando loro da mangiare in questo momento.
Più che dare da mangiare, in verità, sta gettando grossi pezzi di pane all’interno del loro recinto, per poi guardarle azzuffarsi fra loro mentre starnazzano come delle pazze e perdono piume.
Mi avvicino lentamente, per non disturbarlo. « Sembra che io non sia l’unica ad essere felice del fatto che il carico di liquore sia in ritardo… »
Lo faccio sobbalzare e le oche si spaventano. « Non- farlo. » Si volta verso di me, con uno sguardo allibito e la cosa non può che farmi ridere, però annuisco, scusandomi. « Che ci fai in piedi a quest’ora? Credevo che la Principessa non si svegliasse prima delle dieci del mattino. » Mi prende in giro, tornando a gettare il pane alle oche.
Avvicinandomi ulteriormente, stando attenta a non essere troppo vicina al recinto, incrocio le braccia al petto, osservando la scena davanti ai miei occhi. « Mi sono svegliata più riposata del solito. » Rispondo, senza particolare enfasi. È raro vederlo sereno come in questo momento, forse non sono l’unica ad essersi svegliata bene. « E poi devo finire di parlare con Peeta per quanto riguarda la torta del matrimonio. »
Haymitch scuote la testa, divertito, poi si volta a guardarmi. « Lascialo respirare. Solo perché è l’unico che ti ascolta non vuol dire che devi torturarlo con questa storia del matrimonio perfetto. »
Senza ascoltarlo minimamente, decido di prendere un po’ di coraggio e affiancarlo vicino al recinto. Non credo che le oche si interesseranno molto a me, dato che sono molto più interessate a mangiare.
Haymitch non dice niente, ma prova a passarmi un pezzo di pane. Io resto ferma, facendo scorrere lo sguardo dalla sua mano ai suoi occhi, parecchio indecisa. Non credo di volerlo fare, quelle oche mi odiano e il sentimento è reciproco. « Andiamo, dolcezza. » Mi incita, costringendomi a prendere il pane. « Non ti mangiano mica. »
Avrei i miei dubbi su questo, ma mi limito a inspirare rumorosamente, tornando a guardare le oche, che adesso hanno gli occhi puntati su di me. Piccoli occhietti neri, tutti fissi a guardarmi. Mi vengono i brividi e improvvisamente mi pento della mia idea di avvicinarmi.
« Se non ti sbrighi potrebbero decidere di venire a prenderselo da sole… » C’è una punta di presa in giro nel suo tono di voce, ma non ci faccio caso perché l’idea di quelle bestiacce mi disgusta, quindi stacco velocemente un pezzo di pane e lo lancio il più lontano possibile da me, ritraendo immediatamente la mano.
Subito le oche cominciano a muovere nervosamente le ali e a starnazzare, poi si allontanano, rincorrendo la mollica.
« È stato tanto male? » Mi prende in giro di nuovo, sopprimendo una risata, ma gli lancio un’occhiataccia, restituendogli il resto del pane. Anche se devo ammettere che la sua risata ha un qualcosa di ipnotico.
Una folata di vento mi fa rabbrividire e Haymitch mi guarda di sottecchi, prima di decidere di levarsi il maglione che sta portando in quel momento, restando solo con una maglietta sottile, per poggiarmelo sgraziatamente sulle spalle. « Dovresti coprirti di più, non fa ancora abbastanza caldo da andare in giro così. » Non mi guarda in faccia mentre parla, ma non posso fare a meno di sorridere, mentre un senso di calore mi riscalda lo stomaco.
Sorridendo, mi sporgo verso di lui, mettendomi sottobraccio e appoggiandomi anche io al recinto.
Restiamo in silenzio finché le oche non tornano da Haymitch e lui riprende a lanciare pezzetti più piccoli, per tenerle sulle spine.
« Hanno dei nomi? » La mia domanda è incredibilmente stupida e non so nemmeno perché gliel’ho chiesto. Haymitch non darebbe mai dei nomi a questi animali…
Lui si stringe nelle spalle. « Solo qualcuna, e solo quando sono annoiato. » Non capisco che cosa voglia dire; ma improvvisamente mi chiedo se ce ne sia una con il mio nome. Non perché mi interessi veramente, ma più per curiosità.
Non ho intenzione di chiederglielo, ma anche se non lo faccio, la risposta arriva comunque. Allunga un braccio verso una delle oche che al momento non è interessata al pane. « Lì. » Dice e ogni tanto credo sul serio che possa leggermi nel pensiero, o forse è solo perché quest’anno sono esattamente vent’anni che ci conosciamo.
Immagini del nostro primo incontro si susseguono davanti ai miei occhi, e mi portano il sorriso sulle labbra.
« E posso sapere il motivo? » Con la coda dell’occhio cerco di notare la sua espressione, senza però voltarmi verso di lui. Il suo viso è impassibile, ma i suoi occhi sorridono, riesco a vederlo.
« È quella con la voce più starnazzante di tutte. » La sua risposta gli fa guadagnare uno sguardo indignato e un colpo secco sul braccio, ma non batte ciglio, anzi, nasconde un sorriso sotto i baffi. Poi indica altre due oche, che al momento si stanno pulendo le piume a vicenda. « Quelle due sono Katniss e Peeta. »
Trattenendo una risata, penso che nemmeno a Katniss farebbe molto piacere sapere che c’è un’oca che porta il suo nome.
« Quella lì è Bran. » Aggiunge, e questo nome mi fa corrugare lo sguardo. Cerco di capire dove stia indicando e noto un’oca più piccolina delle altre. Dal momento che è un po’ che non ricevono pane, si sono calmate e al momento lei è acquattata tranquilla, in un angolino del recinto.
« Hai dato ad un’oca il nome di tuo fratello? » Non so per quale motivo, ma la notizia mi lascia piuttosto perplessa.
Lui annuisce, stringendosi nelle spalle. « Quella con le penne mezze nere invece è Arya. »
E il nome della sua ragazza. Inquietante. I miei occhi si fermano su di lei, constatando che l’oca Effie è decisamente più aggraziata.
« Deliziosa. » E spero veramente che lo sia, perché adesso so cosa ceneremo al matrimonio. Mi schiarisco la voce, sentendomi incredibilmente stupida e anche un po’ in colpa per questo pensiero, ma è arrivato prima che potessi fermarlo. « Devo- devo andare da Peeta, si sta facendo tardi. »
Congedandomi un po’ troppo velocemente, saluto Haymitch con un singolo bacio sulla guancia, prima di andarmene, dimenticandomi di restituirgli il maglione.
Quando arrivo da Peeta, lui è in cucina, ricoperto di farina. « Effie! » Mi saluta, contento di vedermi e si avvicina per abbracciarmi.
Trattenendo il respiro e facendo un passo indietro, sollevo le mani per non farlo avvicinare oltre, lui resta un momento interdetto, poi si guarda le mani e scuote la testa, un po’ divertito. « Scusami, sto finendo di decorare la torta di prova per il matrimonio. Aspetta, ti faccio vedere! »
Almeno lui mi ha dato ascolto a proposito delle prove, non so come farei senza Peeta; su questo Haymitch ha ragione, è l’unico che mi dà ascolto.
Rimango ad aspettare, con l’odore del pane appena fatto che mi ricorda che questa mattina non ho ancora fatto colazione.
Peeta arriva poco dopo, spingendo un carrello sul quale è poggiata una torta un po’ piccolina. « Quella che farò per il matrimonio ovviamente sarà più grande. » Dice, evidentemente deve aver letto la mia espressione perplessa. Anche se le dimensioni non sono il mio unico dubbio…
« È- molto bella, ma è… » Non so bene come dirlo senza sembrare scortese, quindi mi limito a dire le cose come stanno, tamburellando con le dita della mano destra sul labbro inferiore. « …blu. »
La torta ha tre piani, rivestita di panna bianca, però è macchiata da strisce blu, come se i due colori si fossero mischiati.
Peeta annuisce, girandola verso di me per farmi vedere il resto delle decorazioni, che devo essere sincera, sono bellissime. « Mi è caduto del colorante nella crema, Katniss ha detto che le piace così, quindi penso che la rifarò in questo modo. »
Una torta blu? Non sono proprio convintissima, ma se è quello che vogliono loro…
Peeta poi prende un cucchiaio e con quello raccoglie un po’ di crema colorata, passandomelo con un sorriso. « Assaggia, ti assicuro che il colorante non ha alterato il sapore. »
Accetto il cucchiaio e lo porto alle labbra; la panna si scioglie immediatamente sulla mia lingua e il suo sapore dolce m’invade la bocca. Per quanto mi riguarda, a questo punto la torta potrebbe essere anche a pois verdi, non m’importerebbe. « E torta blu sia… » Gli sorrido, riconsegnando il cucchiaino a Peeta, che sorride soddisfatto.
Prima di andarmene, lui mi consegna una busta di carta contenente una grossa quantità di biscotti appena sfornati. Lo ringrazio, salutandolo con un abbraccio e torno in strada.
Mangiucchiando biscotti mentre cammino, cerco di fare mente locale. Almeno adesso la questione torta è sistemata, ora devo raggiungere Katniss per vedere se ha scritto o meno una lista con tutti gli invitati.
Quando arrivo, la busta di biscotti è metà vuota e Katniss si sta preparando per uscire.
Appena entrata, i suoi occhi mi studiano un po’ incuriositi. « Tu e Haymitch avete fatto pace? » Mi chiede, lasciandomi piuttosto perplessa. Lei indica la maglia che ho poggiata sulle spalle, e automaticamente le mie mani salgono a stringerne le maniche, allacciate larghe attorno al mio collo. « È il suo maglione, no? »
Io annuisco, sollevando appena il mento, ignorando il suo sguardo divertito. A volte mi sembra ancora una bambina! « Avevo freddo e me lo ha prestato, non è cambiato assolutamente nulla. » Mi affretto a precisare, per non farle venire strane idee.
Immediatamente dopo, Katniss si affretta a cambiare discorso e mi chiede per quale motivo sia venuta, avvisandomi che sta per andare a caccia.
Visibilmente contrariata, la costringo a smettere di prepararsi. « Katniss, » Il mio tono di voce lascia trasparire l’esasperazione che sto provando in questo momento. Sembra non capire quanto sia importante il passo che compirà da qui a breve. « Non dovresti andare a caccia con il matrimonio così vicino, se dovesse succederti qualcosa dovresti rimandare tutto! »
Lei scuote la testa, rifilandomi un’occhiata scettica. « E tu non dovresti mangiare tutti quei biscotti, o non entrerai nel vestito. »
Quest’uscita mi prende del tutto alla sprovvista e rimango ferma a guardarla, sconcertata. Dopo tutto il tempo che ci conosciamo, dovrebbe aver imparato un po’ di buone maniere e invece ogni giorno che passa, diventa sempre più impertinente. Avere come vicino di casa Haymitch dev’essere un’influenza terribile.
Sorridendo compiaciuta del fatto di essere riuscita a zittirmi, Katniss mi dà le spalle e senza scusarsi si dirige verso la cucina.
Almeno adesso non sembra più avere intenzione di uscire. La raggiungo velocemente, ancora un po’ offesa. Lei si allunga a recuperare qualcosa da vicino al frigorifero e mi passa un pezzetto di carta stropicciato.
Calo lo sguardo per vedere di cosa si tratti, e mi rendo conto che è la lista che le avevo chiesto.
Un po’ rincuorata, prendo posto a sedere e poggio il foglietto sul tavolo. Katniss rimane in piedi, approfittandone per rimettere in ordine delle stoviglie.
Leggo velocemente i nomi scarabocchiati con una grafia pessima. I primi sulla lista siamo io ed Haymitch, sorrido intenerita da questo gesto, anche se non era affatto necessario aggiungerci. Subito dopo ci sono i nomi di Annie, Finn e Johanna. C’è anche Tom, e alcuni ragazzi che aiutano Peeta in panetteria. La lista continua anche se non per molto. Alcuni nomi sono familiari, altri meno. Saranno in tutto una ventina.
Noto che alcuni nomi che mi sarei aspettata di trovare mancano, uno fra tutti fa sentire la sua mancanza più degli altri.
Sollevo lo sguardo sulla ragazza, che in questo momento mi sta dando le spalle e sembra piuttosto indaffarata a riordinare. « Katniss? » La chiamo e lei si ferma, senza voltarsi.
Non può trattarsi di una distrazione, e non vorrei risultare scortese, quindi cerco di utilizzare il mio tono di voce più dolce. « Tesoro, manca tua madre… »
C’è un attimo di silenzio, in cui lei china la testa e resta ferma. « Lo so. » Dice infine, prendendo a pulire con foga una padella.
Tenendo in mano la lista, mi alzo e lentamente mi metto al suo fianco, senza toccarla. Riesco a capire che è una situazione incredibilmente difficile, ma non credo di riuscire a restarmene in disparte senza fare nulla.
« Katniss, credo tu ci debba ripensare. » Le poggio cautamente una mano sull’avambraccio, prima che consumi la pentola.
Lei si ferma, ma ha ancora lo sguardo chino. « Non credo voglia venire qui, dopo tutto quello che è successo. »
Annuisco, stringendo appena la presa attorno al suo braccio, cercando di confortarla. Già il fatto che non mi stia allontanando è un buon segno. « Lo so, lo capisco. » Le dico, costringendola a girarsi. Sorridendole, le sollevo il mento ma lei distoglie lo sguardo.
Mi spezza il cuore vederla così, non riesco a resistere e la stringo in un abbraccio. All’inizio non ricambia, poi – forse solo per farmi contenta – si china verso di me e ricambia brevemente la mia stretta. Dopo tutto questo tempo, trovo ancora strano che senza i miei tacchi, sia molto più alta di me.
« Prova a darle la possibilità di scegliere. » Abbozzo un sorriso lasciandola andare, ma restando di fronte a lei, sperando di farla sentire un po’ meglio. Lei annuisce piano, prendendo in mano la lista che le sto porgendo.
Allargando il mio sorriso, le afferro il viso fra le mani, accarezzandole affettuosamente le guance con i pollici; automaticamente il suo viso si colora leggermente di rosso e i suoi splendidi occhi grigi si illuminano un po’. « Grazie, Effie. »
Finalmente mi sorride, anche se debolmente. Sta diventando una splendida donna e quegli occhi tristi non si addicono affatto ai momenti felici che la stanno aspettando.
Non so come si evolverà questa situazione spinosa, ma prometto a me stessa che qualsiasi cosa succederà, le starò accanto. Voglio che sia felice e spensierata, almeno il giorno del suo matrimonio.


A/N2: Salve! Questo capitolo non so come definirlo. Non credo di aver mai scritto così tanti Mama!Effie feels. Ero un pochino incerta su come è venuto.
Ahm, sì per i nomi del fratello e della ragazza di Haymitch non ho scusanti. Poca voglia di scervellarmi… sorry.
Comunque ero indecisa anche se inserire o meno quella parte, ma poi ho pensato che Haymitch non si è ancora lasciato il passato alle spalle, non completamente. Nessuno lo ha fatto, diciamo che per adesso continuano a vivere la loro vita, ogni tanto però il passato bussa alla porta.
Sono ricordi che adesso fanno meno male rispetto ad un tempo, non credo che se ne andranno mai del tutto e ho pensato potesse essere carino aggiungere quella parte. Anche per mostrare quanto si conoscono veramente Effie ed Haymitch, per far vedere che la loro amicizia risale a prima della rivoluzione.
Loro due hanno molto passato alle spalle, Effie sa di quello che è successo a lui e alla sua famiglia; e la gelosia, beh ho pensato che sia piuttosto naturale per una donna come Effie, nonostante sia lei stessa ad accorgersi di essere un po’ esagerata.
Spero di non aver dato fastidio, o di aver deluso nessuno.
Grazie per aver letto il capitolo e questa nota spropositatamente lunga. Apprezzo moltissimo tutti quelli che mi scrivono le loro opinioni, sul serio, grazie.
A presto con un altro capitolo,
 

x Lily

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Capitolo 19
*** 4x03 Il brindisi ***


4x03 Il brindisi
 
A cinque giorni dal matrimonio il panico è alle stelle. Almeno per quanto riguarda me.
Ci sono ancora un miliardo di cose da fare e ormai non c’è più tempo. Peeta continua a dirmi che è tutto sotto controllo, che andrà sicuramente benissimo, ma io ho la sensazione che sarà una tragedia.
Ricordo perfettamente come avevo pensato di organizzare il loro primo matrimonio, ogni dettaglio, anche se non avevo messo in pratica quasi nulla… se non il vestito.
Il vestito. Non ho ancora deciso che cosa mettere… Come posso continuare a rimandare? Eppure ogni volta che ci provo, succede sempre qualcosa che mi porta a posticipare.
Dal momento che gli sposini sono convinti della loro idea di voler tenere tutto molto piccolo, la cena la preparerà Peeta, con l’aiuto dei ragazzi della panetteria.
Abbiamo scelto insieme le portate e alla fine sono riuscita a trattenere Katniss, non sarà lei ad andare a cacciare la selvaggina per la cena, ma sarò io ad acquistarla.
Oggi, comunque, non devo pensare a nulla di tutto ciò. No, perché oggi arrivano gli ospiti ed è compito mio assicurarmi che sia tutto impeccabile.
Pochi giorni dopo la chiacchierata fra me e Katniss, lei si è decisa a chiamare sua madre.
Per quello che mi ha raccontato Peeta, la telefonata è durata più di un’ora e non è stato facile per la ragazza, ma nemmeno per sua madre. Alla fine la sua risposta era stata incerta, aveva detto che ci doveva pensare, perché non era sicura di poter tornare al Distretto 12.
Due giorni fa ha telefonato lei, una telefonata piuttosto breve – sempre a detta di Peeta – per scusarsi, e avvertire che non ce la faceva a raggiungerli. Io ho comunque deciso di riservarle un posto, nel caso dovesse ripensarci all’ultimo momento.
Katniss si è chiusa a riccio, dicendo che se lo aspettava, poi è sparita per ore, tornando di sera, quando avevo quasi convito Haymitch ad andare a cercarla.
Ieri è arrivato il treno merci con il carico di liquori, non ho nemmeno cercato di tenere Haymitch all’oscuro della notizia, perché sono convinta che in un modo o in un altro lo sarebbe venuto a sapere.
Con mia enorme sorpresa, però, dopo aver recuperato le sue casse, non si è chiuso in casa ubriacandosi fino allo svenimento, ma ha continuato ad essere reperibile.
Forse ha deciso di fare scorta per paura che il treno possa ritardare di nuovo, oppure ha deciso di darsi una regolata in vista del matrimonio imminente. Qualsiasi sia la sua ragione, non posso che esserne estremamente contenta. Un problema in meno di cui occuparsi; Haymitch sobrio non è molto più facile da gestire di Haymitch ubriaco, ma almeno è un po’ più ragionevole.
Mancano poco più di due ore all’arrivo del treno, il salotto di Katniss è già pronto per la prova che si terrà stasera, quindi ne approfitto e mi chiudo in camera mia. Devo trovare il vestito perfetto da indossare.
Non avendo molte occasioni a cui poterli sfoggiare, i vestiti eleganti scarseggiano e quei pochi che ho gridano Capitol City. Non so nemmeno perché alcuni di questi sono ancora qui… prima o poi dovrò liberarmene.
Dopo mezz’ora di ricerca, trovo qualcosa di adatto. È un vecchissimo abito da cocktail, probabilmente rubato dall’armadio di mia sorella quando ero al Distretto 4. È rosso intenso, con un colletto di perline scure. Arriva a metà coscia, ma posso indossare delle calze color carne per essere sicura che nessuna cicatrice faccia qualche comparsa a sorpresa.
Non ricordo di averlo mai indossato prima, né di averlo visto a mia sorella, forse potrebbe addirittura essere mio e appartenere ad una delle collezioni di abiti che mi regalò Flavius, quando viveva ancora alla Capitale. I miei pensieri vanno immediatamente a loro, non li sento da molto e mi chiedo come lui, Venia e Octavia se la stiano cavando. Non so nemmeno se sanno del matrimonio… ne dubito; dovrei chiamarli.
Non adesso, adesso devo trovare qualche accessorio da aggiungere al mio abito, magari una sciarpa, no… forse qualche bracciale.
Lo indosso per vedere se mi entra e fortunatamente non incontro problemi, temevo veramente di aver esagerato con i biscotti di Peeta. A questo punto è il momento di decidere come tenere i capelli, mi posiziono di fronte allo specchio e tento invano di acconciarli in una maniera che mi soddisfi.
Alla fine ci rinuncio e li lascio sciolti, lunghi sulle spalle. È solo una prova oggi, posso sempre decidere di fare qualcosa di più elaborato il giorno del matrimonio.
Il numero delle mie paia di scarpe si è drasticamente ridotto. Alla Capitale ne avevo ancora molti, adesso mi sono rimasti solo diversi stivali e qualche tacco, ma la scelta non è abbastanza.
Fortunatamente, in una scatola in fondo all’armadio, riesco a trovare un paio di scarpe che posso abbinare al vestito; anche se, potendo, non sarebbero state la mia primissima scelta. Sono dei sandali piuttosto alti, rosa acceso. È un po’ che non utilizzo scarpe di questo tipo, ma sicuramente non avrò alcun tipo di problema.
Quando finisco di prepararmi controllo che le camere degli ospiti siano in perfetto ordine – visto che Johanna, Annie e Finn staranno da me in questi giorni – e decido di uscire, per vedere se Katniss ha bisogno di me.
Nel momento esatto in cui apro la porta di casa, mi ritrovo di fronte Peeta e Thom, carichi di valigie. « Effie, » Peeta sobbalza, rimanendo un attimo fermo a fissarmi, facendo qualche passo indietro e finendo inevitabilmente col calpestare i piedi del povero Thom, mentre cercava di arretrare. « Cosa-? »
« Scusate… » Cerco di dare una mano come posso, ma fra i tacchi e il vestito sono ben poco d’aiuto. « Il treno è arrivato un po’ in anticipo? »
« A dire il vero è arrivato in perfetto orario. » È Thom a farmelo notare, forse il tempo è passato più velocemente di quanto credessi mentre mi preparavo.
« Annie e Johanna sono a casa nostra. » Dice Peeta, mentre cominciano a sollevare le valigie e a portarle su per le scale.
Io li seguo lentamente, stando attenta a non essere nella loro traiettoria, nel caso dovesse cadere qualcosa.
Thom fra i due è quello più gracile, ma riesce tranquillamente a sollevare i bagagli senza eccessivi sforzi. « Dove li poggio? » Mi chiede, quando hanno portato tutto sul pianerottolo.
« Lì, la porta in fondo al corridoio e quella dopo. » Rispondo subito, cercando di far notare che ho una certa fretta.
Thom non sembra accorgersene, ma per fortuna posso sempre contare su Peeta, che mi fa un cenno veloce con la testa, prima di cominciare a portare tutto dove gli ho indicato.
« Dovete cambiarvi. » Sono le prime parole che si sentono dire quando escono dalla stanza che ho lasciato a Johanna, e i due ragazzi si scambiano uno sguardo confuso. « Per la prova del- oh, per l’amor del cielo, andate a cambiarvi e basta. » Non posso perdere tempo anche con loro, la mia battaglia è Haymitch, ci metterò ore per convincerlo a prepararsi. « E, Peeta… non mettere i vestiti del matrimonio. Né tu, né Katniss. »
« Perché? »
Spiegare la storia delle superstizioni adesso è poco produttivo, per non parlare del fatto che non ho tutto questo tempo a mia disposizione. « Perché altrimenti rovinerete la sorpresa. » Rispondo semplicemente, con un sorriso un po’ plastico.
Dal solo sguardo di Peeta, capisco che non c’è nessuna sorpresa da rovinare… quindi chiudo gli occhi per un istante e respiro profondamente.
« Okay, niente vestiti del matrimonio e alla cerimonia farò finta di non aver mai visto l’abito di Katniss, va bene? » Il suo tono di voce, gentile e un po’ compassionevole, fa quasi passare in secondo piano questa seccatura.
Annuisco, facendogli cenno di non preoccuparsi.
Insieme lasciamo la mia casa e ci dirigiamo verso quella di Katniss, fortunatamente non devo entrare perché vedo che i miei tre ospiti si stanno già muovendo verso la mia direzione.
Saluto quindi Thom e Peeta, con la promessa di rivederci a breve e vado poi in contro ad Annie, che ha già aperto le braccia per abbracciarmi.
La stringo calorosamente, rendendomi conto solo in quel momento che tutti e tre mi erano mancati incredibilmente. Finn è il secondo a ricevere le mie attenzioni, lo prendo in braccio per qualche momento, schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia che lo fa sorridere.
Johanna ha le braccia incrociate al petto, e mi saluta con un cenno di capo e un mezzo sorriso, prima di squadrarmi da capo a piedi. « Perché sei tutta in tiro? » Mi chiede, mentre ci avviamo verso casa.
« Fra poco ci riuniremo tutti a casa di Katniss, per cercare di capire come funzionerà il matrimonio. » Le rispondo, senza aspettarmi quello che dice subito dopo, con un sorriso sornione sulle labbra.
« Bel vestito. Un colore a caso. »
Annie corruga la fronte alle parole di Johanna e per un istante anche io sono confusa, poi capisco a cosa allude e non riesco a trattenere un lieve lamento, mentre apro nuovamente la porta di casa.
« Ti assicuro che quest’abito era l’unico che potessi mettere. »
Anche se poco convinta, Johanna mi sorpassa, colpendomi scherzosamente con un’anca quando mi passa vicina.
Mentre faccio un veloce giro della casa, cerco di spiegare la situazione, ovviamente lei non è contenta e preferirebbe riposare dopo il viaggio.
Non ha tutti i torti, ma sarà una prova veloce senza troppe pretese, giusto per essere sicura che sia tutto pronto. Poi potranno riposare quanto vorranno.
Dopo aver mostrato loro le rispettive stanze, le lascio in pace in modo che possano cambiarsi anche loro e sistemarsi con calma.
A questo punto non posso rimandare oltre. Armata di coraggio e perseveranza, mi dirigo verso la casa di Haymitch, cercando di non precipitare a terra per colpa del terriccio che bisticcia con le suole delle mie scarpe.
Passa diverso tempo da quando busso alla sua porta a quando lui viene ad aprirmi. È trasandato ma non più del solito, cerco subito il suo sguardo per capire se è presentabile. Riesco a leggergli in faccia che ha bevuto, ma è ancora lontano dall’essere ubriaco.
Un’altra cosa che riesco a percepire immediatamente, sono i suoi occhi sul mio corpo. È vero, quest’abito era l’unico veramente adeguato, ma forse c’era anche un tubino viola da qualche parte, buttato chissà dove. Non avevo tempo di cercarlo, comunque.
È il rosso; gli è sempre piaciuto come mi sta. Qualche volta, durante i suoi deliri da ubriaco, è arrivato perfino a farmi dei complimenti per questo. Beh, sempre se quelli si potessero considerare come dei complimenti.
Non è nemmeno un segreto a dire il vero, Johanna lo sapeva, così come lo sapevano Finnick e Chaff… non riesce mai a tenere la bocca chiusa quando alza troppo il gomito.
« Bel vestito, Principessa. Dove pensi di andare conciata così? » L’espressione sul suo volto è genuinamente confusa, comincio a ricredermi sul lontano dall’essere ubriaco.
Lo spingo con una mano dentro casa, lui non fa resistenza. « Alla prova della cena per il matrimonio, dove verrai anche tu dopo esserti rimesso a nuovo. »
« Assolutamente no. » Protesta immediatamente, ma io non mi aspettavo nulla di diverso.
« Assolutamente sì. » Ribatto con fermezza, continuando a spingerlo verso la porta del bagno. « Forza, spogliati e fatti una doccia, io vado a prenderti dei vestiti puliti. »
Mi sembra di essere tornata a decenni fa, quando non c’erano ancora Katniss e Peeta, eravamo solo noi due e dovevo sempre occuparmi io di tutto.
Haymitch mi afferra per un polso, senza stringere veramente, prima di strattonarmi quasi scherzosamente verso di lui. « Dopo di te, dolcezza. »
Con un gesto fermo ma delicato, lo costringo a lasciarmi andare, prima di rifilargli un’occhiataccia. « Ti voglio fuori di questa casa fra trenta minuti esatti. »
Dopo qualche altra chiacchiera, riesco a convincerlo, quindi salgo al piano di sopra per cercare di trovare i vestiti che avevamo scelto tempo fa, sperando non li abbia fatti sparire.
La stanza è un macello, come al solito. Vestiti ovunque, il letto è sfatto e l’aria è viziata. Apro un po’ le finestre, sperando di migliorare la situazione, almeno noto con piacere che la quantità di bottiglie vuote sul pavimento non è esagerata. Non so nemmeno a quanto risalgono, il che è un bene.
Trovo finalmente il completo che sto cercando, seppellito sotto un cumulo di coperte e panni sporchi. Andrebbe stirato, ma non c’è tempo, quindi recupero quello che mi serve e lo porto in salotto.
Busso alla porta del bagno, per cercare di farlo sbrigare e poi lo avviso che sto uscendo di nuovo, per raggiungere gli altri a casa di Katniss.
Spero solo di non essere stata troppo poco convincente, se sarà il caso manderò qualcuno a venirlo a prendere.
Arrivata di nuovo a casa della ragazza, mi rendo conto che ci sono ancora alcune cose da sistemare. In questo momento ci sono solo lei, Peeta e Thom. Degli abitanti del distretto non dovrà arrivare nessun altro per ora.
Poco dopo, Annie, Johanna e Finn ci raggiungono. Noto con piacere che mi hanno dato ascolto e si sono cambiate.
Dal momento che Haymitch tarda ad arrivare, comincio ad organizzare alcune cose basilari, come la sistemazione dei posti. Voglio concedergli ancora qualche minuto di tempo…
La mancanza della madre di Katniss si fa sentire, per una manciata di secondi lei fissa il posto contrassegnato con il suo nome, finché non decido di levarlo – almeno per adesso.
Dopo aver catturato l’attenzione di tutti, comincio a spiegare nel dettaglio cosa stiamo facendo tutti qui, in questo momento e come procederà la giornata del matrimonio.
« Quindi mi stai dicendo che non è nemmeno una vera cena? » Mi canzona Johanna, mentre prende posto fra Annie e Thom, lanciando un’occhiata un po’ esplicita a quest’ultimo, che mi fa sentire leggermente a disagio.
« Sono solo le quattro del pomeriggio. » Le faccio notare con cortesia, tossicchiando leggermente quando lei allunga le mani per afferrare le posate.
Ignorando il mio avvertimento e cominciando a giocare con la forchetta, Johanna sbuffa annoiata, adocchiando il bicchiere vuoto davanti a lei. « Quindi immagino che non ci sarà nemmeno da bere. »
Sto per rispondere, ma la voce di Haymitch arriva dalle mie spalle. « Niente alcool prima delle cinque. Nuova regola del Distretto 12, non lo sapevi? » Dal suo tono riesco a sentire il ghigno che ha disegnato sul viso, ma quando mi volto per fargli notare che è in ritardo, le mie proteste muoiono sul nascere.
Quello non è il completo che avevo scelto.
« Dove l’hai trovata? » Non è molto educato il modo in cui ho posto la domanda, ma è stato piuttosto naturale. L’ultima volta che ho visto quella giacca è stato più di cinque anni fa. Non avevo nemmeno idea che l’avesse tenuta.
Riconosco la mano di Portia, l’aveva disegnata per lui durante il Tour della Vittoria, la adoravo.
« Chiusa in un baule, adesso siamo pari. » Di nuovo quel tono e quel sorriso, è insopportabile.
In quel momento mi arriva un calcetto sotto al tavolo da parte di Johanna. « Chiudi la bocca Trinket, o entreranno le mosche. »
Non uscirò viva da questa casa.
Katniss e Peeta cominciano a ridere sotto i baffi, evito volontariamente lo sguardo degli altri presenti a tavola, concentrandomi sui due ragazzi.
Cerco di farli stare composti, mentre riprendo a spiegare tutto quello che dovrà succedere. Ignoro tutte le seguenti frecciatine di Johanna, se non le do corda smetterà.
« Andiamo Effie, » Si lamenta Katniss, quando le faccio notare per l’ennesima volta che sta tenendo i gomiti sul tavolo. « Finn è in piedi sulla sedia. »
Chiudo gli occhi per un istante, contando fino a dieci per sbirciare subito dopo il bambino, che si sta divertendo a saltellare sul cuscino della sedia, sotto gli occhi vigili di Annie. « Cara, » Le sorrido forzatamente; qui stiamo sfiorando il ridicolo… « Finn ha quattro anni, tu stai per sposarti. »
Il tempo trascorre piuttosto velocemente, fra un rimprovero e quattro chiacchiere. Nonostante i miei sforzi, Katniss continua a stare scomposta sulla sedia.
Ormai manca poco da ridefinire, anche se forse è rimasta la cosa che mi preoccupa di più.
« Dovremmo- » comincio, con un tono di voce pacato. « Dovremmo provare a fare un brindisi. O un discorso… insomma, qualcosa per gli sposi. » La voce si affievolisce sempre di più, perché so che non ci sarà alcun volontario e che alla fine toccherà a me scrivere qualcosa e consegnarlo a chi di dovere.
Katniss e Peeta si scambiano uno sguardo incerto, poi entrambi riprendono a guardarmi.
Annuisco appena, sto per alzarmi quando la voce di Johanna mi ferma. « Posso? »
La sensazione di disagio e quasi paura che provo in questo momento è inspiegabile. Sollevo lo sguardo su Johanna, cercando di capire se stia scherzando o meno. Sul suo volto c’è un sorriso che non promette nulla di buono. « Ho due parole da dire, per- » Si ferma, come a cercare le parole giuste da pronunciare. « per ringraziarti di questa giornata e di tutto quello che stai facendo. »
Non finirà bene.
Annuisco, perché non posso fare altro, con il cuore che continua a tamburellarmi nel petto, impazzito.
Si alza in piedi, sollevando il bicchiere – sbagliato – e vuoto, poi incrocia lo sguardo con Katniss, e mi sembra che nei suoi occhi ci sia un’espressione quasi complice. Forse non ha nulla in mente, forse vuole solo essere-
« Tra rose e fior, nasce l’amor. »
Lascia stare, Effie. Mi ritrovo di nuovo a chiudere gli occhi, inspirando molto lentamente. Tentando disperatamente di ignorare il suo tono cantilenante.
« Effie ed Haymitch si voglion sposar, »
« Johanna… » È un sussurro appena percettibile, mentre ogni muscolo del mio corpo si irrigidisce e porto una mano a coprirmi appena le labbra.
« Partono in due, tornano in tre… » Riesco a percepire il calore e il rossore che si sta espandendo sulle mie guance, e il sottofondo di risatine indistinte non mi aiuta affatto, mentre lei continua. « Questo vuol dire che è nato un bebè. »
« Johanna. » Quasi non mi accorgo che mi sto alzando.
Le ultime parole di quello strazio sono pronunciate velocemente, cercando di controllare una risata. « Con- i capelli rosa e problemi di alcolismo. »
« JOHANNA! » È uno strillo acuto, che causa ilarità generale, mi ritrovo avvampata in volto, mentre mi sporgo verso di lei per afferrare quel maledetto bicchiere che sta sventolando in aria.
Lei però ha riflessi migliori dei miei e mi afferra il polso, trascinandomi verso di lei con una forza che non mi aspettavo. Mi ritrovo sollevata da terra, fra rumori di sedie che si spostano e piatti che cadono a terra.
Le orecchie mi fischiano dall’imbarazzo e la velocità degli eventi unita alla vergogna non mi fa comprendere a pieno le dinamiche dei fatti.
In due momenti distinti mi ritrovo prima sull’altra metà del tavolo, poi a terra – inchiodata al pavimento dal corpo di Johanna.
All’inizio credo si sia sentita attaccata e abbia reagito di conseguenza, poi mi rendo conto che sta sorridendo e il mio stomaco si stringe quasi dolorosamente.
La spingo via, e lei non fa resistenza, poi avverto due mani possenti afferrarmi per le spalle e risollevarmi finché i miei piedi non toccano nuovamente terra.
Non mi volto nemmeno per vedere chi degli altri presenti sia stato, e marcio dritta verso la porta, offesa e indignata, mentre le risate sciamano lentamente in un brusio nervoso.
Al diavolo il brindisi, al diavolo Johanna, al diavolo Haymitch e al diavolo il matrimonio!

Ci vogliono tre ore per farmi calmare; sono in salotto, sul divano e sto cercando di non pensare a nulla.
Ma è impossibile e la mia mente va automaticamente a ripercorrere tutto quello che è successo. L’imbarazzo mi stringe immediatamente il petto, portandomi quasi le lacrime agli occhi. Come si fa ad essere così insopportabili?
Con che coraggio guarderò Haymitch domani? E i ragazzi? Me ne sono andata senza dire una parola, non ho nemmeno controllato in che stato fosse la tavola.
Mi sono ritrovata dei pezzi di vetro nei capelli, non so quante cose si siano rotte.
Non avrei dovuto reagire in quel modo, conosco Johanna e il suo modo di fare… era quello che voleva, farmi esplodere. E c’è riuscita.
Coprendomi il viso con le mani e scuotendo la testa, quasi disperata, avverto qualcosa che mi strattona il vestito. Apro gli occhi per ritrovarmi il piccolo Finn, in piedi, di fronte a me.
« Che c’è tesoro? » Gli chiedo gentilmente, dimenticando quello a cui stavo pensando all’istante.
« Zia Johanna ha detto che le dispiace per quello che è successo a tavola. » Ha le mani intrecciate dietro la schiena e sta ondeggiando sul posto, come se stesse recitando una poesia.
Non posso che sorridere al piccolo, accarezzandogli affettuosamente la testolina bionda. « Ti ha chiesto lei di venirmelo a dire? »
Finn annuisce, poi si volta in direzione delle scale. Seguo i suoi movimenti, e in cima alla rampa Johanna è appoggiata con la schiena alla parete, ci sta guardando senza dire nulla.
Distolgo lo sguardo da lei per concentrarmi di nuovo su Finn. « Puoi dire a zia Johanna che se vuole chiedermi scusa, sarebbe buona educazione farlo di persona. »
Il bambino annuisce, e poi con uno scatto iniziale, comincia a correre verso le scale. Una volta in cima riferisce ciò che ho detto, ma Johanna lo prende in braccio e si allontana.
La rabbia iniziale è svanita, una scusa tramite Finn è comunque più di quanto mi aspettassi. Farò passare la notte, poi se sarà il caso mi chiarirò con lei e anche con gli altri.
L’unica nota positiva di tutta questa faccenda è che almeno non è successa alla vera cena del matrimonio.
Lo avevo detto che una prova era necessaria.


A/N: Salve! Scusate se ci ho messo un po’ più del solito ad aggiornare. Non sono sicura con quanta velocità scriverò adesso, perché scarseggiavo un po’ in quanto a creatività. Però spero di essermi fatta perdonare scrivendo un capitolo decisamente più lungo del solito.
Che dire? Almeno adesso sappiamo qual è il punto di rottura di Effie… xD
Il prossimo capitolo è quello del matrimonio, non vedo l’ora di scriverlo!
Se vi interessa, giusto per curiosità se cliccate > QUI < potrete vedere una foto di Elizabeth Banks come l’ho immaginata in questo capitolo.
Un’altra cosa, i riferimenti a Haymitch che adora Effie in rosso, li ho messi perché mesi fa scrissi una one shot che riguarda proprio questo argomento. Se volete la potete trovare qui, è ambientata prima dei 74th Hunger Games.
E invece per quanto riguarda la giacca di Haymitch, è una piccola citazione ad una mia vecchia long, 13 Days, ambientata durante il loro Tour della Vittoria, dove scoppia la prima scintilla.
In genere non lo faccio, ma questa volta volevo ringraziare le due persone splendide che mi hanno aiutata sia a correggere il capitolo che a farmi trovare la giusta ispirazione, senza di loro avreste dovuto aspettare ancora. Vi adoro! :)

Grazie mille anche a tutti voi, come al solito, per aver letto! Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo con una recensione, alla prossima!
 

x Lily

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Capitolo 20
*** 4x04 Promesse e ricordi (1) ***


A/N: Salve, scusate se questa volta la nota la metto di nuovo ad inizio capitolo, ma è importante e ci tengo a metterla in bella mostra.
Due parole e poi vi lascio, prometto.
Prima di tutto, questo capitolo come potete vedere è decisamente più lungo del solito. Consideratelo un “episodio” speciale…
Il motivo per cui ci ho messo qualche giorno ad aggiornare è perché avevo bisogno di staccarmi da questa per un po’, perché avevo bisogno di ideare questo capitolo e volevo che fosse esattamente come me l’ero immaginato. Nel frattempo, per recuperare quell’atmosfera che volevo dare, ho scritto una storia divisa in due parti. La potete trovare sul mio profilo, è abbastanza triste, ma avevo bisogno di riprendere i contatti con quella Effie Trinket.
Ci ho messo veramente l’anima in questo capitolo, quindi ci terrei ad avere un vostro parere – anche se dovesse essere negativo – a riguardo.
Grazie per avermi dedicato cinque minuti prima del capitolo, e buona lettura! Alla fine, vi darò giusto un paio di link.

4x04 Promesse e ricordi
 
Un trillo insistente continua a risuonarmi nelle orecchie e ci metto un po’ a capire che non si tratta della mia sveglia, ma del telefono.
Cercando di svegliarmi, allungo una mano e a tentoni lo afferro, rispondendo con un filo di voce ancora impastata dal sonno.
« Effie, scendi e datti una mossa. » Haymitch è decisamente agitato e la sua agitazione diventa istantaneamente anche la mia.
Senza capire che cosa stia succedendo e prima che possa chiederglielo, ha già riagganciato il telefono e io mi ritrovo stordita e preoccupata, ancora avvolta nelle mie coperte.
Mi costringo a scendere da letto, facendo ruzzolare per terra Pumpkin – che si lamenta rumorosamente – e senza indugiare oltre, mi affretto a scendere al piano di sotto.
Esco in strada e uno spiffero freddo mi fa rendere conto che sto indossando solo un leggero maglione, che a stento arriva a coprirmi sotto il sedere.
Sto per rientrare in casa per prendere qualcosa da mettermi, ma Haymitch è già di fronte a me, con un’espressione preoccupata sul viso.
Cerco di fargli capire che non posso andare in giro così, ma a quanto pare la mia presenza è richiesta urgentemente altrove.
Non è nemmeno sorto il sole, e mentre cammino qualcosa mi da fastidio ai piedi. Un’occhiata verso il basso mi informa che ho anche dimenticato di indossare le pantofole. Ottimo.
Gli occhi ancora non si aprono bene, forse sto sognando… non sarebbe la prima volta che songo di andare in giro senza scarpe e in mutande.
Quando Haymitch mi porta di fronte alla casa di Katniss e Peeta, però, mi rendo conto che non è un sogno – sono veramente in mutande fuori da casa mia.
« Haymitch, che cosa-? » L’aria fresca che continua a solleticarmi gambe e viso, mi aiuta anche a svegliarmi.
Senza rispondere, lui bussa alla porta. Un colpetto secco, quasi inudibile. Il fatto che Peeta apre immediatamente mi fa capire che era già in attesa dietro.
La stessa espressione con cui mi ha salutata Haymitch poco fa, è quella con cui mi accoglie Peeta.
Mi ci vuole poco per fare due più due, entrando per sottrarmi al freddo, costringo gli altri due a seguirmi per chiudere poi la porta alle mie spalle. « Che succede a Katniss? »
È Peeta a rispondermi, continua a molleggiare sul posto, guardando ovunque tranne che nella mia direzione. « Ha avuto un brutto incubo, non sono riuscito a calmarla e si è chiusa in bagno. »
Cercando disperatamente di abbassare l’orlo del maglione, mi rivolgo ad Haymitch, che al contrario di Peeta non si fa troppi problemi ad indugiare con lo sguardo. « Ho proposto di abbattere la porta, ma… »
Scuoto la testa, passandomi una mano fra i capelli. Ci mancava solo questa. « No, nessuno abbatterà nessuna porta. Sarà solo un po’ di ansia prematrimoniale. » Cerco di dirlo con un sorriso, ma è ancora troppo presto e non sono affatto convincente.
Riesco a farmi portare davanti al bagno e invano cerco di comunicare con la ragazza che non mi risponde nemmeno.
Se non fosse per i singhiozzi sommessi che sento dall’altro dato della porta, potrei tranquillamente pensare che la stanza sia vuota.
Continuo a parlarle, cercando di tranquillizzarla e dopo più di mezz’ora, la serratura scatta ma la porta non si apre. Le lascio qualche momento per decidere che cosa fare, alla fine, afferrando la maniglia, spingendo appena per poter sbirciare dentro.
Katniss è in piedi, accanto alla porta, con gli occhi rossi e gonfi di pianto. Le lacrime hanno smesso di rigarle il viso, ma il corpo è ancora un po’ scosso da tremiti. La sola vista mi fa pizzicare gli occhi, ma non mi faccio avanti. Potrebbe essere ancora nervosa e reagire male ad un contatto fisico.
« Dov’è Haymitch? » Chiede con un filo di voce, e io le rispondo che è qui fuori.
Quando non si muove, io le dico di aspettare solo un attimo, mentre vado a chiamarlo e lui mi segue di nuovo al bagno, mentre Peeta resta in piedi, immobile al centro della stanza.
Diversamente da me, Haymitch non si pone il problema del contatto fisico e appena si ritrova di fronte Katniss in quello stato, le si avvicina stringendola in un abbraccio che la ragazza ricambia immediatamente.
Non voglio intromettermi, quindi richiudo la porta e li lascio in pace, mentre vado a vedere in che stato sia Peeta. Non dev’essere facile nemmeno per lui.
Lo trovo seduto sul divano, con le mani congiunte sulle ginocchia. Una gamba trema nervosamente, e lo sguardo è un po’ perso nel vuoto.
Inspirando profondamente, abbasso la voce per cercare di non spaventarlo. « Peeta? »
Al suono del suo nome, il ragazzo sussulta e alza lo sguardo, ma quando i suoi occhi si poggiano su di me, si tranquillizzano immediatamente anche se riesco ancora a leggere la paura, il turbamento e qualcosa che non riconosco. « Come sta? »
Sorridendogli, decido che è sicuro avvicinarsi e mi siedo accanto a lui, poggiandogli una mano sulla spalla. « Meglio. Haymitch è con lei. »
Annuendo, Peeta si sottrae al contatto alzandosi in piedi e cominciando a mappare la stanza con passi lunghi. I pugni delle mani si serrano e lui comincia a respirare lentamente.
Con Haymitch chiuso in bagno con Katniss, comincio a sentirmi a disagio, ma cerco di non darlo a vedere.
Dopo un po’ Peeta si calma da solo, allontanandosi per qualche momento, per poi ritornare con una coperta. Me la porge e finalmente posso coprirmi, ringraziandolo quando riprende il suo posto accanto a me.
Cominciamo a parlare, e il suo sguardo si rilassa, tornando il Peeta di sempre.

 Sono passate le nove del mattino quando Haymitch e Katniss escono da quel bagno, lei ha il viso più rilassato – addirittura un sorriso contento sulle labbra – e non appena entrano in salotto, lei e Peeta si scambiano un abbraccio sentito.
Ringrazio con lo sguardo Haymitch, poi guardo di nuovo l’orologio e decido che è veramente arrivato il momento di andarcene.
Il Villaggio dei Vincitori ormai è sveglio, non posso uscire conciata così, quindi mi volto verso Peeta, indicando la coperta con cui mi ero coperta fino a poco fa. « Non ti dispiace se la prendo in prestito, vero? »
Peeta scuote la testa, ma Haymitch lo canzona ridendo sotto i baffi. « Non prestargli niente. Non te lo ridarà più e lo userà come pigiama. »
Afferrando frettolosamente la coperta e avvolgendomela attorno alle spalle, coprendo anche il maglione, gli rivolgo uno sguardo seccato. « Se ci tieni così tanto, posso restituirtelo immediatamente. »
La risposta di Katniss arriva subito, divertita e tagliente. « Non qui, per favore… »
Tossicchiando nervosamente e stingendo più saldamente la presa attorno alla coperta, sollevo il mento e decido che entrambi i ragazzi stanno più che bene per essere lasciati da soli.
Si sposeranno fra meno di sei ore, devono cominciare a prepararsi.

Durante il breve tragitto verso casa, Haymitch mi racconta quello che è successo e quando torno a casa, dopo averlo salutato un po’ troppo velocemente, Annie e Johanna sono già sveglie e preoccupate dal fatto di non avermi trovata lì.
Cerco di spiegargli velocemente la situazione, mentre preparo la colazione per tutti e riempio la ciotola di Pumpkin di croccantini. Fortunatamente Finn sta ancora dormendo.
« E dagli torto! » È il commento sprezzante di Johanna, quando le racconto che Haymitch mi aveva detto della preoccupazione di Katniss riguardo il matrimonio.
A quanto pare il sogno riguardava proprio quello, non è entrato nei dettagli ma l’aveva turbata a tal punto di farle dubitare di volersi sposare.
« Dico solo che è così chiaro che si amano alla follia. È normale essere un po’ nervosi, tutto qui. »
« Tutto qui? È spaventata, e lo saresti anche tu! » Continua, ignorando le richieste di Annie di abbassare la voce. « Dubito che tu possa capirla. Dopo quello che le hanno fatto, io non mi stupirei se non si presentasse affatto al Palazzo di Giustizia. »
Solo l’idea mi dà i brividi, quindi rispondo con lo stesso suo entusiasmo. « Lei vuole sposarsi. »
« Non basta… » Non alza più la voce, anzi, l’ha abbassata. Così come il suo sguardo si è spento. « Tu lo faresti? » Non sono sicura sia una domanda vera o retorica, poi solleva nuovamente lo sguardo su di me e questa volta i suoi occhi sono in fiamme. « Con quello che è successo, tu avresti veramente il coraggio di farlo? »
So perfettamente a cosa si riferisce, ma le sue domande toccano un tasto dolente e non ho intenzione di darle una risposta. Invece distolgo lo sguardo, portandolo fuori dalla finestra. « Per una che dice di non essere mai stata innamorata hai parecchie parole da spendere sull’argomento. »
Mi pento immediatamente di quello che ho detto, sono nervosa e stressata. Questa giornata è appena cominciata e già non vedo l’ora che finisca… menomale che doveva essere un giorno pieno di gioia e allegria.
Quando torno a guardare Johanna, mi rendo conto che le mie parole purtroppo sono andare a segno. Il suo viso è una maschera dura, carica di rabbia e risentimento e per un attimo temo per la mia incolumità.
Si limita a lasciare la tavola e a passarmi accanto dandomi una spallata. « Fottiti. » Biascica fra i denti, prima di uscire sbattendo la porta.
Vorrei seguirla per scusarmi, ma mi accorgo che Annie è fin troppo silenziosa.
È chiaro che la scena a cui ha appena assistito deve averla scossa.
Ha lo sguardo fisso nel vuoto, sto per avvicinarmi, quando la sua voce mi ferma. « Ha ragione. »
Cerco di avvicinarmi, di poggiarle una mano sulla spalla ma non serve a nulla. « Va tutto bene, Johanna probabilmente si era solo svegliata un po’ male. » Le dico, sperando di riuscire a distrarla.
« No. » Risponde subito lei, continuando a fissare il vuoto con occhi vitrei. « Non Johanna. » Sono confusa, mentre prendo posto vicino a lei, prendendole il volto fra le mani ma lei si divincola e io non insisto. « Katniss. Katniss ha ragione. Ha paura, ha paura di perdere tutto quello che le rimane. »
Comincio a credere di essere l’unica a pensare che facciano bene a sposarsi, mi mordo le guance, mentre stringo forte una delle mani di Annie, aspettando che torni in sé. Potrebbe volerci un po’.
Lei solleva le gambe poggiando i piedi sulla sedia, mi lascia la mano e si abbraccia le ginocchia, cominciando a dondolare avanti e indietro. So con certezza che non c’è più niente che io possa fare. « No, Annie. Non anche tu, ti prego- non posso- »
Ormai non mi risponde, si sta coprendo le orecchie con le mani mentre continua a dondolarsi con gli occhi sbarrati.
Mi alzo e vado al lavello, faccio scorrere l’acqua e mi sciacquo il viso perché sento che sto per mettermi a piangere e devo evitare di farlo.
Sento di nuovo la porta sbattere e poco dopo, sollevando gli occhi alla finestra, vedo che Johanna si sta allontanando, andando verso l’uscita del Villaggio dei Vincitori.
Non posso lasciare Annie da sola in questo stato. Non posso permettere a Johanna di andarsene e non posso sistemare tutto quello che c’è rimasto prima del matrimonio. Non da sola, ma non c’è nessuno ad aiutarmi e mi sento completamente persa.
Sto per voltarmi di nuovo verso la donna alle mie spalle, quando dal piano di sopra arriva la voce di Finn che chiama sua madre a pieni polmoni. Probabilmente si è appena svegliato e non trovare Annie accanto a lui deve averlo fatto innervosire.
Come se avesse ricevuto una doccia fredda, Annie si sveglia dal trance, barcollando in avanti quando si alza in piedi. Le vado in contro per aiutarla e si appoggia a me per qualche passo, poi mi ringrazia con un filo di voce prima di allontanarsi quasi di corsa verso le scale.

« Si può sapere che fine ha fatto Haymitch? » Chiede Katniss, mentre la sto aiutando ad infilarsi nel vestito che abbiamo preparato.
Io cerco di sembrare vaga quando rispondo, tirandole su la zip. « Sta cercando Johanna. »
Ovviamente Katniss non ci passa sopra, voltandosi confusa, rischiando di strappare la gonna. « Sta cercando Johanna? » Ripete, come se non avesse sentito bene.
Io annuisco, infilandomi uno spillo fra i denti, magari così non cercherà di approfondire l’argomento.
La costringo a voltarsi di nuovo, mentre riprendo a sistemarle il vestito.
Dopo che Annie si è ripresa, sono corsa da lui per convincerlo ad andare dietro a Johanna. Sicuramente non avrebbe dato retta a me, ma lei e Haymitch sono amici da così tanti anni, a lui avrebbe dato ascolto.
E adesso mi ritrovo a mezz’ora dal matrimonio, con Haymitch e Johanna chissà dove e una sposa che si divincola come un’anguilla mentre tento invano di tirarle su i capelli. « Sta ferma, Katniss… finirò per farti male. »
« Dov’è andata Johanna? »
« Se lo sapessi, non avrei mandato Haymitch a cercarla. » Le faccio notare, con un sorriso forzato e un tono piuttosto inequivocabile.
« Hai fatto tanto per convincerlo ad accompagnarmi… » Lo dice come se fosse già sicura che lui non si presenterà, ma lo farà. Altrimenti può considerarsi un uomo morto.
Una volta che i capelli sono al loro posto, mi prendo un attimo per ammirare la bellezza di Katniss. Il vestito è bianco, ma la gonna lunga – pur essendo molto semplice – ha diversi veli colorati. Il colore del tramonto, quello preferito di Peeta.
La parte superiore, invece, apparteneva ad una vecchia canotta che le ho cucito alla gonna, è beige chiaro ma si abbina perfettamente al resto.
« Sei bellissima. » Le dico, dal profondo del cuore e lei sorride, arrossendo appena.
« Grazie. » Si tocca un po’ il vestito, guardandosi allo specchio che ha di fronte a lei, osservando l’effetto finale.
« Katniss, cara, tu vuoi sposarti, vero? » La mia domanda la coglie talmente alla sprovvista che si volta verso di me con uno sguardo quasi spaventato.
« Perché me lo chiedi? » Dietro questa domanda ce ne sono almeno altre dieci che non pronuncia, e per la seconda volta nella giornata, mi pento di aver aperto bocca.
Scuoto la testa, sorridente. « Scusami. Sono una stupida, è che sono così emozionata. Non posso credere che stia succedendo davvero! » Cinguetto, e la voce mi si alza di un’ottava, automaticamente.
Katniss rilassa le spalle, tornando ad osservare il suo riflesso. Restiamo in silenzio per un po’, poi si allontana per andare ad infilare le scarpe. « Sì. » Dice mentre le prendo i sandali. « Sì, voglio sposare Peeta. »

Io e Katniss siamo in piedi, in una saletta del Palazzo di Giustizia. Annie, Finn e Thom sono già al loro posto nella sala in cui si svolgerà il matrimonio.
Haymitch e Johanna non sono ancora qui e io comincio veramente a preoccuparmi.
Katniss è tesa come una corda di violino, sto cercando di non farle mangiare le unghie ma se continua così a breve comincerò a mordermi anche io le mie.
« Perché siamo qui? » Mi chiede, quando non ne può veramente più. Riesco a leggere l’ansia nei suoi occhi e me la sta trasmettendo tutta.
« Stiamo aspettando che arrivi Peeta. Resta qui un attimo, tesoro, torno subito. »
« No! Effie, aspetta. Non puoi andartene anche tu… »
Rimango un attimo ferma, incerta su cosa fare, alla fine decido di rimanere con lei, ma apro la porta e faccio uscire solo la testa, per vedere che cosa sta succedendo fuori.
Vedo Peeta, in piedi – vestito di tutto punto – che si guarda intorno disorientato. Quando si volta verso di me, i suoi occhi si ingrandiscono e fa per raggiungermi, io esco fuori dalla porta con mezzo busto, sollevando una mano per non farlo avvicinare oltre. « Haymitch e Johanna? »
È un sussurro, non voglio che Katniss si agiti ulteriormente.
Peeta scuote la testa, poi qualcuno lo chiama dalla sala del matrimonio e lui è costretto ad allontanarsi.
Il cuore mi martella nel petto e ho una voglia incredibile di vomitare. Questa volta lo uccido sul serio.
Torno dentro, chiudendo la porta e avvicinandomi alla ragazza con un enorme sorriso sulle labbra, come se fosse tutto in regola. « Solo pochi minuti e poi potremo andare. »
Appena finisco di pronunciare questa frase, la porta si spalanca e trasaliamo tutte e due, voltandoci insieme.
Haymitch ha la camicia trasandata e un graffio sullo zigomo destro. Non deve essere stato facile convincere Johanna a venire. Faccio per parlare, ma solleva una mano, ancora ansimante, e poi mi fa cenno di andarmene, con il un veloce gesto del pollice.
Sorrido sollevata a Katniss, poi faccio per andare. Devo solo raggiungere il mio posto e sarà tutto perfetto. Ma la ragazza mi ferma. « Effie? »
Io mi volto, leggo l’incertezza nei suoi occhi. Temo possa stare per dire qualcosa che manderà a monte la giornata, invece lei fa un passo avanti, con un sorriso un po’ imbarazzato. « Perché non ti siedi tu al posto di mia madre? Non voglio vedere una sedia vuota. »
La richiesta mi lascia un po’ spiazzata, dopo un attimo di incertezza, poi annuisco e vado verso di lei, abbracciandola con calore. Devo trattenere le lacrime, non è ancora il momento di piangere.
Haymitch ci fa notare che abbiamo già fatto aspettare tutti abbastanza, quindi io li lascio soli e raggiungo gli altri.
Johanna siede imbronciata, con le braccia incrociate e lo sguardo infastidito… non posso parlarle ora, ma lo farò alla prima occasione.
La cerimonia è semplice, ma mi commuovo lo stesso quando Haymitch porta Katniss da Peeta, con il passo decisamente troppo veloce. Vederli lì, seduti uno vicino all’altra, è un’emozione troppo forte.
Non riesco a trattenermi nemmeno quando Haymitch continua a prendermi in giro, sottovoce, mentre firmano tutti i documenti.
Sono i miei bambini e stanno crescendo, cresceranno insieme e non mi interessa quello che pensano gli altri, so che saranno felici insieme e questo matrimonio è la cosa più bella che possa capitargli.

Dopo aver sbrigato le faccende burocratiche al Palazzo di Giustizia, tutti insieme raggiungiamo la loro casa.
La porta è aperta e resterà così fino a stasera.
Ad aspettarli c’è praticamente mezzo Distretto e la cosa sembra imbarazzare incredibilmente la ragazza, che tiene la testa leggermente china mentre attraversano la soglia di casa, mano nella mano, e tutti gli altri intonano una canzone tradizionale.
Io ricomincio a piangere, portandomi un fazzoletto alla bocca, tentando di non farmi sentire.
« Ti prego, piantala. » Haymitch è poco convincente con quel ghigno sulle labbra, ma io scuoto comunque la testa.
Un brutto singhiozzo mi spezza il respiro. « Non- ci riesco! » E mi rendo conto che è un’esagerazione, ma sul serio, non riesco a smettere di piangere, perché sono così felice per loro due. Sono lacrime di gioia e non mi vergogno affatto a versarle.

Il resto della giornata trascorre serenamente. Il protagonista della festa diventa subito Finn, che si esibisce in monologhi insensati e balli divertenti.
Quando crescerà quel bambino farà strage di cuori… ha già conquistato tutte le donne del Distretto.
È quasi buio quando mi ritrovo fuori la loro casa, in giardino, con un bicchiere di vino in mano e un piatto con una fetta di torta integra nell’altra.
Mi avvicino ad Haymitch, che se ne sta seduto su una delle sedie che abbiamo sistemato ieri. Sta parlando con un amico, ma quando lui mi vede gli batte una pacca amichevole sulla spalla, prima di alzarsi cedendomi il posto.
Gli porgo la fetta di torta e lui comincia a punzecchiarla con i denti della forchetta, incerto.
Ho notato che ha bevuto poco stasera, immagino sia un buon segno. Rimaniamo a parlare per un po’, finché non adocchio Johanna che esce dalla porta principale e mi congedo da Haymitch per raggiungerla. Ho lasciato a lui mio bicchiere vuoto, non si sa mai.
Una volta che ho di fronte la donna, lei cerca di cacciarmi via, senza troppi complimenti.
« Johanna, per favore… » Da quando siamo arrivati qui, durante tutta la cena, non ho fatto altro che pensare a come potermi scusare. « Non intendevo dire quelle cose prima. »
Lei si appoggia con la schiena al muro, incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo. « Mi sembravi piuttosto convinta. »
« Lo ero. » Johanna torna a guardarmi, quasi confusa. Probabilmente non si aspettava questa risposta, ma non voglio mentire, voglio solo spiegarmi. « Ti ho aggredita perché avevi ragione. »
Lei resta in silenzio, a guardarmi, aspettando che continui, sembra quasi curiosa di scoprire dove io voglia andare a parare.
« Dopo tutto quello che ho dovuto passare non lo so se avrei il loro stesso coraggio. » Ammetto, chinando lo sguardo. « E mi dispiace di averti detto quelle cose orribili, ma io posso capire Katniss. Credimi. Io ho paura. Ogni giorno, perché continuo ad imporre la mia presenza in un posto dove non so se sono veramente gradita, o se mi permettono di restare solo perché si sentono in colpa. »
« Trinket, » Cerca di avvisarmi, ma io continuo.
Le mie mani tremano e devo soltanto far uscire i pensieri che mi stanno lacerando da più di quattro anni. « Tu lo sai quello che mi è successo, e anche lui lo sa. » Lacrime si formano ai lati dei miei occhi, pronte per essere versate e questa volta è tutto un altro genere di lacrime. « Torturata, violentata, tutto per informazioni che non avevo. »
« Effie. » La voce di Johanna è ferma, il suo sguardo leggermente preoccupato, ma non m’interessa più niente.
« Mi ha lasciata indietro e continuo a pensare che se mi avesse voluto veramente qui con lui, mi avrebbe portato con sé la prima volta, invece di lasciarmi indietro non una, non due ma tre volte. »
Non so quando sono passata a parlare dal plurale al singolare, ma i miei pensieri vengono spazzati via dallo sguardo di Johanna, che più parlavo più s’ingrandiva, finché non si sposta da me a qualcosa alle mie spalle.
« Non è con lei che ne dovresti parlare, lo sai, dolcezza? »
Ed ecco che la buona sorte mi tira un sonoro schiaffo dritto in faccia.
 
Continua

A/N2: Scusatemi, ma era veramente troppo lungo e l’ho dovuto interrompere qui. Il matrimonio continuerà nel prossimo capitolo!
Se volete vedere la mia idea del vestito di Katniss guardate qui e se invece vi interessa una versione un po’ più approfondita sulla prigionia di Effie, che riprenderò nel prossimo capitolo, potete leggere questa one-shot.
Grazie mille!

x Lily

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Capitolo 21
*** 4x05 Promesse e ricordi (2) ***


4x05 Promesse e ricordi (2)
 
« Mi ha lasciata indietro e continuo a pensare che se mi avesse voluto veramente qui con lui, mi avrebbe portato con sé la prima volta, invece di lasciarmi indietro non una, non due ma tre volte. »
Non so quando sono passata a parlare dal plurale al singolare, ma i miei pensieri vengono spazzati via dallo sguardo di Johanna, che più parlavo più s’ingrandiva, finché non si sposta da me a qualcosa alle mie spalle.
« Non è con lei che ne dovresti parlare, lo sai, dolcezza? »
Ed ecco che la buona sorte mi tira un sonoro schiaffo dritto in faccia.
Continua
~
Non è il coraggio a farmi voltare verso di lui, ma l’istinto. Haymitch però non riesce a reggere il mio sguardo e mi dà le spalle, allontanandosi a grandi passi verso casa sua.
Dovrei seguirlo, ma i miei piedi rimangono inchiodati per terra, impedendomi di muovermi.
« Tu sai cos’è successo, vero? » Mi ero quasi dimenticata della presenza di Johanna, quando torno a guardarla, mi rendo conto che nemmeno lei si è mossa. È ancora con la schiena poggiata alla parete e quando non rispondo, mi ripete la domanda.
« Cos’è successo dove? Quando? » La mia confusione è totale, provo a guardare in direzione di Haymitch, ma i pochi lampioni che illuminano la strada non sono sufficienti e il buio lo ha già inghiottito.
Johanna stavolta sembra molto più seccata di prima, il che mi costringe a prestarle più attenzione. « Hai detto che ti ha lasciata indietro, tre volte. » La guardo spaesata, senza capire dove voglia andare a parare. Anche il suo sguardo cambia, sembra incerta, incredula quasi. « Non gli hai mai chiesto cosa è successo dopo? »
Scuoto la testa debolmente, devo restare calma mentre brutti ricordi combattono per salire a galla e prendere il controllo su di me, ma non stavolta. « Io so cosa è successo. » Ma lo so sul serio? O credo di sapere?
In risposta, Johanna mi ride in faccia – una risata aspra, arrabbiata – poi si scosta dalla parete con una spinta di reni. « Non posso crederci. » Dice, scuotendo la testa. « Sai una cosa? Tu ti meriti tutto questo. Oh, sì! » Enfatizza, con un sorriso sarcastico disegnato sulle labbra, poi il suo tono di voce cambia, abbassandosi drasticamente. « L’unica cosa che mi urta è che è lui a non meritarlo. »
Non mi dà il tempo di risponderle, perché si allontana da me, tornando dentro casa.
Rimango ferma, riflettendo sulle sue parole. È vero, non ho mai chiesto come sia andata veramente, perché pensavo di saperlo, insomma era piuttosto chiaro; ora comincio ad avere i miei dubbi.
Durante gli interrogatori facevano di tutto pur di ricavare informazioni. Continuavano a ripetermi che mi avevano lasciata indietro, che non si fidavano di me, che ero una pedina nelle loro mani, poco importante, sacrificabile.
Erano parole che sarebbero servite per spezzarmi, per farmi cedere e confessare. Ma io non avevo nulla da confessare, e alla fine – pur sapendo che si trattava di menzogne – forse, ho finito per crederci.
Non si fidava di me, mi aveva lasciata sola.
A distanza di anni, non ho mai voluto fare domande. Ho ancora paura che possa essere il senso di colpa ad aver spinto Haymitch a permettermi di stare qui. Lui sapeva quello che mi avevano fatto in prigione, eppure non mi ha portata con sé, dopo tutto quello che avevamo passato insieme.
Come potevo chiedergli qualcosa?

Decido di andare a parlargli, ma la voce di Thom mi ferma. « Effie! Dove sta andando? Fra poco Katniss e Peeta faranno la tostatura. »
Sventolo una mano in direzione del ragazzo. « Devo parlare con Haymitch, vienici a chiamare prima e non far fare nulla senza di noi, va bene? »
Lui mi dà la sua conferma, e sono libera di andare.
È arrivato il momento di essere un po’ coraggiosa, e di chiarire una volta e per tutte questa faccenda. Non posso continuare a stare qui senza sapere.
Mentre mi avvio in direzione di casa sua, ancora una volta le parole di Johanna tornano nella mia mente.
Sai una cosa? Tu ti meriti tutto questo. Oh, sì! L’unica cosa che mi urta è che è lui a non meritarlo.
Conosco Haymitch da molto più tempo di lei, eppure, loro due continueranno a condividere qualcosa che io non arriverò mai a capire.
Durante la guerra ho perso molti amici; ho perso Portia – giustiziata mentre mi costringevano ad assistere di fronte ad uno schermo – e ho perso mia madre, durante i bombardamenti. Ma loro hanno perso tutti e molto prima che scoppiasse la rivoluzione.
Non capirò mai cosa si prova a dover sopravvivere alla vittoria degli Hunger Games, come non capirò mai cosa si prova a dover assistere alla morte della propria famiglia, impotente. Non fino in fondo.
È stata sempre Johanna a dirmi che probabilmente Katniss e Peeta avevano paura. Che ne avrei avuta anche io… forse abbiamo tutti paura di quello che potrebbe succedere.
Dovrei darle retta più spesso, a volte dimentico che dietro quel sorriso sarcastico c’è una donna distrutta. E se prima non aveva nulla da perdere, adesso ha Annie e Finn nella sua vita, e a giudicare da come ne parla, sono sicura che l’idea di perderli la ucciderebbe.
Perché anche se la guerra è finita, chi ci garantisce che questo equilibrio durerà per sempre?
Il solo pensiero di dover riaffrontare tutto mi fa desiderare di essere morta.

Mentre cammino, sento qualcosa che sbatte contro la mia caviglia, prima una, poi due volte.
Mi fermo e mi rendo conto che sono sassolini. Volto la testa verso la direzione da cui provengono e mi rendo conto che è Haymitch che me li sta lanciando.
Non capisco se è un modo per attirare la mia attenzione, o un modo per cacciarmi. Se non parla, sarà difficile capirlo.
Mi avvicino lentamente; è seduto per terra, con la schiena poggiata al recinto delle oche. La luce è poca, siamo troppo distanti dai lampioni, ma riesco a vedere l’espressione turbata sul suo volto.
Sono in piedi di fianco a lui, e non alza nemmeno lo sguardo per guardarmi in faccia. Continua a lanciare sassolini, questa volta al nulla.
« Posso? » Gli chiedo, e lui annuisce.
Mi siedo accanto a lui, lisciandomi un po’ il vestito e poggiando la testa contro la sua spalla. « Non hai paura di sporcarti il vestito di terra, Principessa? » Il suo patetico tentativo di suonare pungente, fallisce.
« Ti manderò il conto della lavanderia. » È la mia risposta, mentre stendo le gambe e poggio anche io la schiena contro il recinto, per stare più comoda.
Restiamo in silenzio per qualche momento, voglio vedere se è lui a cominciare a parlare.
Ovviamente non dice nulla, ma non mi aspettavo lo facesse.
Dopo non so quanto tempo, mi trovo costretta ad iniziare quella conversazione che in realtà nessuno dei due è molto contento di affrontare. « Che è successo? » Gli chiedo, ma lui non risponde. « Voglio sapere. Per favore… »
Lo sento inspirare bruscamente, prima di cominciare finalmente a parlare. « Dovevi essere al sicuro. » Sono le prime parole che pronuncia, e prima di riprendere ci mette un po’. « Plutarch mi aveva assicurato che saresti stata al sicuro. »
Chino automaticamente la testa per cercare di nascondere un sorriso amaro, ma è troppo buio perché lo veda. Non sono sicura di voler ascoltare, ma devo. Devo…
« Sapevamo che non eri così stupida da non capire quello che stava succedendo, ma speravamo che fossi abbastanza intelligente da fare finta di niente. »
Un terribile groppo mi si forma in gola, ma cerco di non cominciare a piangere adesso perché non voglio impedirgli di continuare. Solo adesso il dubbio di essere stata sottovalutata dai miei amici scompare, ed è troppo tardi.
« Cinna voleva metterti al corrente, ma Portia gli fece promettere di tenere la bocca chiusa. Io onestamente non sapevo cosa fare, alla fine mi sono fatto convincere. » La sua voce è stabile, le parole scorrono veloci e sembrano essere state scelte con cura. Come se avesse pronto questo discorso da anni.
Quando sento pronunciare i nomi di Portia e Cinna, trattengo il respiro per evitare di fare rumore, anche il più piccolo. Porto la testa all’indietro, finché non tocca il recinto e solo in quel momento mi concedo di inspirare lentamente e a lungo, riempiendomi i polmoni d’aria, perché so che ne avrò tremendamente bisogno per quello che sta per arrivare…
« Quando siamo arrivati al 13 Plutarch ha perso il contatto con tutti i suoi uomini alla Capitale. » Fa una breve pausa, come se stesse cercando di ricordare. « Non ci voleva un genio per capire che qualcosa era andato storto, ma non potevamo fare nulla, solo aspettare. »
E mentre loro aspettavano io facevo la mia conoscenza con il Pacificatore dagli occhi verdi. Mi mordo la lingua per non dire niente, e continuo ad ascoltare in silenzio.
« Non potevamo sapere che avevano imprigionato anche te, pensavamo che non avendo nulla contro di te ti avessero semplicemente minacciata, o qualcosa di simile. »
Le sue parole fanno male, ma comincio a capire. La cosa però non rende più facile la situazione.
« Quando hanno liberato gli altri, non avevano l’ordine di cercare anche te. »
Chiudo di nuovo gli occhi, è un altro colpo da incassare. Sapere che erano lì, a due passi da me… ma questa volta, capisco perché mi hanno lasciata indietro. Dovevano recuperare Peeta il più in fretta possibile, non avevano nemmeno idea che fossi lì.
« È stata Johanna a dircelo. Mi ha quasi cavato un occhio quando ha scoperto che non c’eri. »
Ero l’unica con cui si degnava di parlare, a parte Annie, quando non era sotto shock. Non ricordo bene come è cominciata. Un giorno durante l’ora d’aria – fra un interrogatorio e un altro – si è avvicinata ed è rimasta in silenzio. È andata avanti per giorni finché non ha cominciato a raccontare le cose più stupide.
Per cercare di non impazzire, era questa la sua scusa, io ero meglio di niente.
Durante le feste alla Capitale non perdeva mai occasione di ricordarmi quanto mi disprezzasse. Lei, Haymitch e Chaff si divertivano spesso a prendermi in giro e a cercare di umiliarmi e ridicolizzarmi in ogni modo possibile, pur di divertirsi un po’ alle cerimonie. Ogni tanto anche Finnick li seguiva, quando non poteva tirarsi indietro.
Ricordo che un giorno, mentre eravamo nel cortile della prigione, mi disse che Haymitch ogni tanto le parlava di me quando si ubriacava ad un evento. “La maggior parte delle volte si lamenta.” Disse. “Ma quando ci dà giù di brutto allora comincia a dire un sacco di cose…” Ricordo che la cosa la disgustava tanto quanto sembrava divertirla. Diceva di non capire, e la cosa che non capiva era come Haymitch si potesse essere innamorato di me. Ricordo di non averle creduto. Perché credevo che se fosse stato vero non mi avrebbe lasciata indietro.
Haymitch continua a parlare, questa volta la voce non è più ferma come prima. Riprende a tirare sassi. « Io e Plutarch abbiamo provato a chiedere di rimandare qualcuno, ma la Coin si è rifiutata categoricamente. » Fa una pausa, in cui uno dei sassi viene lanciato con troppa forza e rimbalza rumorosamente sul terreno. « Troppo rischioso. »
Troppo rischioso. Un sorriso beffardo compare sulle mie labbra e un sospiro rompe il silenzio che era calato dopo le sue ultime parole.
« Poi è successo tutto in fretta, Peeta, Katniss che viene sparata, la Capitale… » Fa un’altra pausa e il suo braccio scivola lungo il mio fianco, stringendomi verso di lui e io non oppongo resistenza, inspirando piano. Le sue parole successive si poggiano direttamente fra i miei capelli, come un sussurro appena percettibile. « A quel punto ti credevamo morta. » Poi continua, senza spostarsi. « Quando ti abbiamo trovata eri sotto shock; ho letto la tua cartella clinica ma non sono riuscito ad entrare nella tua stanza. »
Adesso non riesco a trattenermi, devo interromperlo. « Quando gli altri furono portati via- » Comincio, e devo schiarirmi la voce prima di poter continuare. « Ricordo che dopo smisero di interessarsi a me. » Probabilmente avevano finalmente capito che non sapevo nulla, che non valevo nulla. « Si limitavano a nutrirmi quando se ne ricordavano, per tenermi in vita. Nel caso fossi risultata utile, immagino. »
La presa di Haymitch si stringe ancora di più e china la testa finché la sua fronte non si poggia sulla mia spalla. Per un po’ non dice niente, quindi prendo coraggio e gli chiedo quello che voglio sapere più di tutto.
« Perché non mi hai portata con te quando sei tornato qui? »
Il mio tono di voce non è accusatorio, sono calma. Voglio solo sapere.
Haymitch solleva la testa e io mi volto per guardarlo in faccia, la sua espressione non è cambiata. « Dopo il processo di Katniss siamo dovuti andare via in fretta, tu eri tornata in ospedale. Con Peeta in quelle condizioni, Katniss in uno stato pietoso- io non sono riuscito- non potevo… Credevo che saresti stata meglio alla Capitale. »
Le frasi cominciano ad essere spezzate. Non potevo. Non ‘non volevo’. È sufficiente.
Gli cingo il collo con un braccio, stringendolo come posso. Mi fa spazio, passandomi entrambe le braccia attorno alla vita e gli poggio un bacio sulla guancia, prima di poggiare la testa sulla sua spalla.
« Mi dispiace. » È la prima volta che si scusa, e giuro di sentire una punta di vergogna nella sua voce.
Scuoto la testa, cercando di convincerlo che sia tutto a posto e in un attimo le mie labbra trovano le sue.
All’inizio è un bacio casto, vuole solo dire ‘va tutto bene’, ma poco a poco prende una vita tutta sua. Le mani di Haymitch mi stringono la vita, mentre cerca di spingermi con forza contro la recinsione, approfondendo il bacio.
Non ricordo nemmeno quand’è stata l’ultima volta che ci siamo baciati; due anni fa? Questo però è un bacio diverso, il suo sapore è diverso. Non sa affatto di liquore, ma di torta al cioccolato.
Mi separo da lui per un istante, perché c’è un’ultima cosa che voglio sapere. « Haymitch- » Lui non è troppo contento di doversi staccare dalle mie labbra, ma poggia la fronte contro la mia, inspirando lentamente attraverso le narici. « Ho bisogno di sapere se vuoi che resti. Perché posso tornare a Cap- » Il resto della frase viene spazzata via da un suo bacio affamato, quasi violento.
Credo che sia un messaggio piuttosto inequivocabile e mi ritrovo a sorridere contro le sue labbra, mentre cerca di spostarmi, ma finisce per perdere l’equilibrio e io mi ritrovo a terra, con il corpo di Haymitch che pesa su di me.
Il respiro mi si spezza nel petto, e un lamento lascia le mie labbra, che si trasforma subito in un gemito quando la sua bocca trova la mia gola.
Le oche che si agitano mi ricordano dove mi trovo e comincio a sottrarmi al suo tocco, ma quando mi rendo conto del motivo per cui gli animali sono agitati, scatto seduta, spingendo Haymitch, che si lamenta confuso.
Di fronte a noi c’è un imbarazzatissimo Thom, che boccheggia indietreggiando. « Ehm, Effie mi avevi chiesto di venirti a chiamare prima della tostatura- siamo tutti pronti, stiamo aspettando solo voi… »
Grazie al cielo è buio e il rossore sul mio viso non si nota. Mi alzo in fretta, senza riuscire a guardare in faccia Haymitch, lisciandomi il vestito e pulendolo dalla terra.
Thom ci dà immediatamente le spalle, mentre io continuo a morire di vergogna.
« Dimmi la verità, dolcezza… li paghi tu per interromperci sul più bello? »
Rispondendogli con un’occhiataccia e un leggero schiaffo sul braccio, comincio a filare dritta verso la casa di Katniss e Peeta, cercando di riprendere un aspetto presentabile.

Una volta che siamo entrati nel salotto, tutti gli occhi sono puntati su di noi – probabilmente perché siamo spariti e siamo in ritardo – spero solo di non avere terra ovunque o-
Johanna mi si avvicina con un ghigno, allungando una mano verso i miei capelli e poi mi piazza una piuma nera di fronte al naso. Afferrandola velocemente e cercando di liberarmene, le do le spalle.
I due ragazzi ci osservano leggermente in imbarazzo, si scambiano un paio di battute e sogghignano sotto i baffi… poi finalmente si decidono e si riuniscono attorno al camino.
Tutti noi li raggiungiamo mentre accendono il fuoco per la prima volta, prendono il pane e concludono il loro rituale tradizionale.
Gli occhi di entrambi brillano un po’, forse per la vicinanza al fuoco o forse per l’emozione, prima di scambiarsi un bacio un po’ impacciato.
Dopo anni di finzione pubblica, penso che abbiano imparato e invece mi ritrovo a ricredermi. Ma nonostante l’imbarazzo, non sembra finto, tutt’altro. Questa volta è vero e glielo si legge negli occhi.
La loro vista mi riempie il cuore di gioia; cerco con lo sguardo Haymitch e quando lo trovo, lui mi si avvicina, passandomi una mano attorno ai fianchi e andiamo insieme a congratularci con i nostri ragazzi.

Quando se ne sono andati tutti, restiamo solo noi quattro a sistemare un po’ in giro.
A dire il vero io sto sistemando il salotto, mentre Haymitch, Katniss e Peeta sono sul divano, stravaccati.
Katniss è stesa su mezzo divano, la sua schiena è poggiata al petto di Peeta e fa fatica a tenere gli occhi aperti, ma sul suo viso è stampato un indelebile sorriso. Il che potrebbe anche essere dovuto a tutto lo champagne che le ha passato Johanna dopo la tostatura, ma preferisco non indagare.
Haymitch è all’altro capo del divano, con i piedi alzati su una sedia spostata al momento.
Sollevo un cuscino da terra e lo poggio su un punto del divano che non è occupato da loro, poi batto una pacca affettuosa sul braccio di Haymitch. « Credo sia ora di andare, si sta facendo tardi… »
Lui annuisce, massaggiandosi il ponte del naso, poi però Peeta fa per alzarsi – costringendo Katniss a fare lo stesso - « Aspettate, vi metto da parte un po’ di torta così non dovremo mangiare solo quella per il prossimo mese. »
Si allontana con un sorriso e Katniss torna a mettersi sul divano.
Haymitch si alza con un lamento, io gli porgo il braccio per permettergli di appoggiarsi. « Lo sai, dolcezza, mi sbagliavo. »
Credo si stia rivolgendo a me, invece è con Katniss che sta parlando. « Riguardo a cosa? » Chiede lei, sistemandosi comoda e cominciando a togliersi le scarpe.
« Penso di averti detto che avresti potuto vivere cento vite e ancora non meritarti quel ragazzo. » Spiega, poi lancia un’occhiata in direzione della cucina. « Mi sbagliavo. »
Katniss non risponde, ma gli sorride. Immagino sia una cosa fra loro due, quindi non mi intrometto.
Quando Peeta torna con la torta, ci diamo la buonanotte e poi li lasciamo in pace. È la loro prima notte di nozze, dopotutto.

Ad una settimana di distanza dal matrimonio, Katniss ha festeggiato il suo compleanno assieme alla sua famiglia e ad i suoi amici.
Posso contare sulle dita di una mano i momenti in cui l’ho vista così radiosa e finalmente nei suoi occhi leggo quell’allegria che speravo avrei visto durante questo periodo di mia permanenza al Distretto 12.
Abbiamo accompagnato Johanna, Finn e Annie al treno oggi, ma l’unico spostamento che hanno fatto le mie valigie è stato quello da casa mia a casa di Haymitch.
Finalmente il senso di angoscia e di precarietà è svanito, so di essere a casa.
Questo però non rende i saluti più facili.
Non riesco a trattenere le lacrime quando prendo in braccio il piccolo Finn, che mi chiede perché non torno assieme a loro. Annie tenta di spiegarglielo ma è troppo piccolo per capire veramente.
Abbraccio calorosamente anche lei, promettendole di telefonare spesso. Un’altra promessa che le faccio è che saremo andati tutti a trovarli, almeno una volta ogni tanto.
Quando viene il turno di salutare Johanna, lei si tira indietro, sollevando le mani. « Non ti abbraccio, Trinket. » Si lamenta, ma non mi interessa, mi faccio avanti ugualmente, abbracciandola mentre lei si divincola borbottando insulti.
La lascio andare subito, cercando di non sorridere troppo. « Prenditi cura di Annie. » So che non c’è alcun bisogno di ricordarglielo, ma mi preme fare comunque le mie raccomandazioni.
Lei lancia un’occhiata all’altra donna, annuendo appena. « E tu non lasciare che lui si avveleni. Noi non ti riprendiamo… »
Scuoto la testa, facendo un passo indietro e raggiungendo nuovamente Haymitch accanto ai neo sposini.
Ci scambiamo gli ultimi saluti, rimanendo poi a guardare il treno che si allontana dal Distretto 12.

 
A/N: Salve! Sto malissimo… xD ho passato una giornata d’inferno e non ho nemmeno capito che cos’ho. Mi sono presa l’influenza credo e adesso devo impasticcarmi perché ho la testa che mi scoppia. Ma avevate risposto così positivamente all’ultimo capitolo che mi dispiaceva non mantenere la promessa di aggiornare il prima possibile.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, io mi sono divertita a scriverlo e ho anche versato qualche lacrimuccia.
Ho dovuto modificare una parte di una vecchia storia che ho scritto che non coincideva con il romanzo, ma dovrebbe andare bene.
Un paio di giorni fa ho scritto una cosa, riguarda proprio i momenti in cui Effie capisce che c’è qualcosa che bolle in pentola e Cinna, Portia ed Haymitch le stanno tenendo qualcosa nascosto. La potete trovare qui.
È divisa in due parti, ma mi serviva per riprendere questi argomenti e per tornare in contatto con la vecchia Effie.
Grazie mille a tutti per le recensioni, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo!
Alla prossima, sperando che passi in fretta…
 

x Lily

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Capitolo 22
*** 5x01 Cambiamenti all'orizzonte ***



Petrichor
5x01 Cambiamenti all’orizzonte
 
È passato un mese esatto dal matrimonio dei ragazzi e le cose non potrebbero andare meglio.
La giornata è molto calda, ma non afosa. È la temperatura perfetta.
Sapendo di dover restare, sto organizzando la mia vita qui diversamente. Al contrario di Haymitch, non riesco a non fare nulla quindi ho trovato un impiego al Palazzo di Giustizia.
Non è niente di che ed è praticamente la stessa cosa che facevo a Capitol City, per Plutarch. Avevo smesso quando mi sono trasferita al Distretto 4, ma ora posso riprendere a fare da segretaria.
Vado lì ogni mattina, anche se non è strettamente necessario. Potrei anche solo prendere i fascicoli dall’ufficio del sindaco e portarli a casa – e quando non ho molta voglia di vedere gente lo faccio – ma ogni tanto resto lì a lavorare. Almeno mi rendo utile.
Sento inevitabilmente la mancanza di Annie, Finn e Johanna. Parliamo al telefono regolarmente, non ogni giorno ma più di una volta alla settimana, principalmente con Annie. Ogni tanto chiacchiero per qualche minuto con Finn e anche Johanna sporadicamente mi concede un po’ del suo preziosissimo tempo. Comunque sia, Annie mi tiene aggiornata su tutti e tre.
Finn ha compiuto da pochissimo cinque anni e gli abbiamo mandato un regalo da parte di tutti, assieme ad un biglietto disegnato personalmente da Peeta.
Continuo anche a sentire mia sorella, anche se ogni telefonata finisce sempre in un nuovo litigio. Non approva la mia decisione di restare qui. Si sente tradita, sperava che un giorno sarei tornata alla Capitale per stare con lei e i miei nipoti.
Mi sento terribilmente in colpa, ma so che non posso tornare a Capitol City, ormai è questo il mio posto. Mi ha chiesto di tornare per il compleanno dei gemelli, ma non credo che lo farò.
Mi sembra impossibile che compiano già diciassette anni; ricordo come se fosse ieri il giorno in cui arrivarono a casa mia, spaventati e disorientati.
Loro non ce l’hanno con me. Ho parlato personalmente con Anita, dice di essere felice che io mi sia finalmente trasferita qui permanentemente.
Anche Alexandre è d’accordo con lei, e mi ha detto di aver finalmente convinto Allie ad assecondare la sua passione per la moda. Stanno anche progettando un breve viaggio al Distretto 8, per fargli visitare qualche fabbrica tessile.
Anita non ha ancora ben chiara la strada che vuole intraprendere, per il momento pensa a spezzare i cuori di tutti i ragazzi che incontra.
Il famoso fidanzato che Allie non approvava, ho scoperto essere durato tre settimane… non è poi troppo diversa da com’ero io alla sua età.
Lavinia invece resta la piccola di casa, anche se ormai ha quasi dieci anni. Nell’ultima telefonata mi ha detto che le manco tanto, ma che si sente che sono contenta “da come parlo”.
A quanto mi ha detto, sta cercando di convincere in tutti i modi Allie a comprare un cane. Non so chi l’avrà vinta… Allie detesta gli animali, ma Lavinia è parecchio cocciuta.
Il che mi porta a pensare ad Haymitch. Ogni mattina si alza per nutrire le oche e poi torna a letto, ci resta la mattinata aspettando che torni, poi pranziamo insieme e io cerco di trovare qualche attività da fare il pomeriggio, per evitare che restiamo entrambi senza fare nulla.
Ogni tanto passo la serata a cucire; dopo il matrimonio di Katniss e il vestito creato dal nulla, utilizzando abiti vecchi, ho cominciato a sperimentare. Portia mi aveva insegnato una cosa o due, e le sto mettendo in pratica.
La vita di Katniss e Peeta non procede troppo diversamente da come faceva prima del matrimonio. Lei continua ad andare a caccia un giorno sì e uno no, ogni tanto solo per passeggiare… ci sono giorni in cui non porta nemmeno l’arco con sé.
Peeta invece continua a lavorare alla panetteria e dal momento che la clientela è sempre maggiore, ha anche assunto un paio di ragazzi e ragazze per farsi aiutare, tra cui Thom.
Thom… che da quando i due ragazzi si sono sposati, praticamente è sempre a casa nostra. Non me la sento più di chiamare Peeta per ogni cosa, quindi ho cominciato a considerare lui il mio punto di riferimento.
Haymitch non è molto entusiasta, ma io non posso vivere in una casa che d’inverno fa entrare spifferi da ogni finestra. Ho fatto anche smontare alcune stanze inutilizzate, trasformandole in salotti, studi o stanze per gli ospiti.
Ci sono così tante stanze e siamo solo in due… mi manca la presenza dei miei nipoti e di Finn.
È con questo pensiero che sto tornando a casa una mattina, dopo qualche ora di lavoro al palazzo di Giustizia. Ad aspettarmi, già nel viale vedo che è parcheggiata un’auto che non conosco.
Istintivamente porto gli occhi verso la casa di Katniss e Peeta e vedo che la ragazza è alla finestra, spiando in questa direzione. Quando si accorge della mia presenza, lascia subito il suo posto e penso che si sia sentita in imbarazzo per essere stata sorpresa a guardare, ma poi la sua porta di casa si apre e lei esce a passo svelto.
Le vado in contro, chiedendole di chi sia l’auto parcheggiata e lei mi risponde che è di Plutarch. « È arrivato qui mezz’ora fa. Non so che vuole, non sono entrata. » Sembra preoccupata e non posso biasimarla. Ogni volta che Plutarch Heavensbee si presenta per una ragione o per un’altra, finisce sempre per succedere qualcosa. « Ho chiamato Peeta, » aggiunge. « Ha detto che appena si libera in panetteria ci raggiungerà. »
Le sorrido, cercando si sembrare rassicurante e le stringo appena le spalle in un mezzo abbraccio. « Va tutto bene, Katniss. Sono sicura che non è nulla di serio. » Dico, ma non ne sono per niente certa. Per dirmi che mia sorella era viva ha telefonato, se si è presentato qui di persona, non oso immaginare cosa possa essere successo. « Resta qui, io vado a vedere cosa sta succedendo. Va bene? »
Katniss annuisce, io mi assicuro che non sia troppo nervosa, poi senza pensarci eccessivamente, marcio verso casa mia.
Quando entro mi sembra che sia tutto normale, silenzioso e calmo. Poi la voce di Haymitch risuona forte e chiara dalla cucina. « Ma sei completamente impazzito? » Sta praticamente urlando e decido di accorrere prima che la situazione possa degenerare.
Con mia sorpresa, mi rendo conto che Plutarch non è solo. C’è anche Fulvia con lui; è visibilmente dimagrita e i tatuaggi sul viso sono scoloriti quasi ad essere invisibili. Si sta infossando sempre di più contro il bancone, adocchiando preoccupata Haymitch, mentre stringe una cartellina al petto.
« Effie! » Il primo ad accorgersi della mia presenza è Plutarch, che quando mi vede allarga le braccia esasperato, sembra molto contento di rivedermi. « Finalmente sei arrivata, stavo cercando di ragionare con Haymitch, ma- »
« Ragionare? » Ripete subito lui, voltandosi verso di me con uno sguardo allibito, poi indica Plutarch con un veloce gesto del braccio. « È uscito fuori di testa! »
Confusa, torno a guardare Plutarch, boccheggiando leggermente. « Posso sapere che sta succedendo? » Chiedo, alla fine.
Plutarch fa per parlare, ma Haymitch lo batte sul tempo. « Vuole convincerci ad adottare un bambino. »
Dopo un momento di sconcerto inziale, la mia prima reazione è quella di scoppiare a ridere in faccia ai presenti, credendo che si tratti di un pessimo scherzo. Quando vedo che l’espressione di Haymitch non cambia, mi rivolgo a Plutarch. « Cos- cosa? »
Lui si passa le mani sul viso, visibilmente sotto pressione. « Haymitch, per l’amor del cielo. Ci sono modi e modi… » Prende a guardarci, attentamente e in attesa. « Potremmo sederci tutti un attimo, per favore? »
« No. » Dice subito Haymitch, ma io gli metto una mano ferma sul braccio.
« Haymitch, siediti. » Il mio tono stavolta non ammettere repliche e lui è costretto a fare come dico, poi invito anche Plutarch e Fulvia a fare lo stesso, prima di prendere posto al tavolo della cucina, accanto ad Haymitch e di fronte agli altri due.
Non appena si siede, Plutarch prende la cartellina dalle mani di Fulvia e la poggia al centro del tavolo. « Effie, » si rivolge a me perché ormai ha capito che Haymitch è una causa persa. « Effie, ho parlato con la tua dottoressa e- »
« Non dovrebbe essere una cosa privata? » Lo interrompe di nuovo Haymitch, e questa volta non ho assolutamente niente da ridire.
Plutarch cerca appoggio nei miei occhi, ma non lo trova, quindi annuisce appena. « Ovviamente non ha condiviso alcuna informazione personale. » E qui ho i miei dubbi, dal momento che durante la telefonata della settimana scorsa le ho esplicitamente raccontato delle mie mancanze, ma non dico nulla, quindi lui continua. « Ho soltanto proposto la cosa e Amelia ha detto che potrebbe essere una buona idea. »
« Una buona idea? » Ripeto, incredula. Perché non vengo mai informata di queste chiacchierate fra la mia dottoressa e Plutarch? Non vedo altre soluzioni se non cambiare terapista.
Haymitch sta cominciando a perdere la calma, si agita nervosamente sulla sedia e sono costretta ad afferrargli una mano e a tenerla poggiata sul tavolo per evitare che tremi. « Taglia corto, Heavensbee. Perché sei qui? » Dice lui, portandosi una mano sul viso e cominciando a massaggiarsi il ponte del naso.
Vorrebbe bere…
Plutarch balbetta qualcosa, poi scuote la testa e finalmente si decide a dire qualcosa di concreto. « Si tratta di alcuni manifesti. »
A questo termine, sia io che Haymitch restiamo piuttosto confusi.
Plutarch cogliendo il disagio, cambia discorso aprendo il fascicolo ma nessuno dei due presta veramente attenzione. « Ho personalmente parlato con alcuni psicologi infantili, e li ho fatti mettere in contatto con Amelia. Abbiamo trovato un bambino che sarebbe perfetto per voi. Si chiama Pan, è un orfano di quasi sei anni e- »
« Perché? » Questa volta sono io ad interromperlo e Plutarch ne sembra piuttosto colpito.
Sembra già tutto pronto, da quanto tempo sta architettando questa messa in scena? Mesi? Anni? Stava solo aspettando il momento giusto? Non sono sicura di volerlo sapere, ma prima che possa farlo, lui chiude il fascicolo e congiunge le mani sul tavolo. « Ve l’ho detto, » dice, scambiando uno sguardo con Fulvia, che sembra essersi fusa con la sedia. « È per alcuni manifesti. »
Io comincio ad avere un’idea di che cosa si tratti, ma Haymitch è talmente infuriato che sembra non star nemmeno più ascoltando.
« Vedete, » continua Plutarch, in un tono più gentile. « Capitol City non si è ancora ripresa del tutto, così come il resto di Panem. L’entusiasmo iniziale della fine della guerra si sta spegnendo e ci serve qualcosa per riaccenderlo. »
La mano di Haymitch si stringe istintivamente attorno alla mia, ma non ci guardiamo. I nostri occhi rimangono fissi su Plutarch.
« Abbiamo pensato che se il resto di Panem vedesse che i vecchi Vincitori stanno andando avanti con le loro vite, avremmo potuto trasmettere un importante messaggio. Speranza: se ce l’avete fatta voi, allora tutta la popolazione può farcela. »
Tira fuori un fascicolo dalla cartellina, dal quale estrae delle fotografie. I miei occhi stavolta si poggiano automaticamente su quei fogli, perché qualcosa cattura la mia attenzione. Sono immagini che conosco, quasi tutte.
« Guardate. » Ci mostra alcune foto modificate e con delle scritte stampate sopra. « Katniss e Peeta si sono finalmente sposati. Annie sta crescendo il figlio di Finnick e Johanna si è trasferita, lasciandosi tutto alle spalle, per sostenere la sua amica. Beetee sta lavorando per noi, con risultati incredibili e perfino Enobaria ha raccolto fondi per l’apertura di una catena di palestre nel Distretto 2, e ora sta lavorando come sport manager. »
Mentre parlava ha continuato a mostrarci i suoi manifesti. Non so come abbia fatto a recuperare alcune di queste foto, come quelle del matrimonio di Katniss, ad esempio, ma non mi piace.
« Haymitch, a conti fatti tu resti l’unico che- beh… » Io non ho parole e Haymitch continua a stringermi, forse con troppa forza, la mano.
Quando parla, la sua voce non è rabbiosa, il che è un pessimo segno. « Fuori. »
Conosco questo tono, e prima che esploda, prendo in mano la situazione. Gli lascio la mano, alzandomi in fretta e allungando le braccia verso Plutarch e Fulvia. « Credo si sia fatto tardi, mi dispiace ma non possiamo ospitarvi oltre. »
Plutarch vorrebbe protestare, ma Fulvia si alza di scatto e mi raggiunge a testa bassa, quindi io aspetto che anche lui faccia lo stesso.
« Grazie per la visita. » Dico, con un tono un po’ tirato. Mentre li accompagno alla porta.
« Effie, ti prego almeno considera l’idea. » Mi supplica Plutarch, e io pur di farlo andare via il prima possibile annuisco.
Esco con loro, per lasciare Haymitch cinque minuti da solo in modo che possa calmarsi, ma ad aspettarci ci sono Katniss e Peeta e non appena Plutarch mette gli occhi su di loro, sorride a trecentocinquanta denti. « Oh! Katniss, Peeta. È un piacere rivedervi, mi permettete un paio di- »
« No! » Strillo, catturando l’attenzione dei ragazzi così come quella di Plutarch e Fulvia, ma mi scuso immediatamente.
« Effie che succede? » Peeta è preoccupato, mi si avvicina prendendomi per le spalle, ignorando le rassicurazioni di Plutarch.
Io scuoto la testa, facendomi lasciar andare. « Niente, va tutto bene. » Dico, poi prendo Katniss e Peeta da parte e li costringo entrambi a voltarsi conducendoli praticamente a suon di spinte verso casa loro.
Una volta che sono arrivati alla porta, mi assicuro di parlare a bassa voce, anche se Plutarch e Fulvia non si sono mossi. « Non uscite di casa fino a domani, non rispondete al telefono, né a domande di nessuno. Chiaro? »
I ragazzi si scambiano uno sguardo confuso e un po’ preoccupato, però annuiscono. Io gli prometto che al più presto spiegherò loro tutta la situazione, poi torno sui miei passi.
Congedo molto velocemente i miei ospiti, che hanno un hovercraft da prendere e cerco di calmarmi prima di tornare dentro casa.
Haymitch ha lasciato la cucina. È sul divano e in mano ha una bottiglia di liquore già mezza vuota. Al diavolo la regola “niente alcool prima delle cinque”, immagino. Oggi però glielo concedo.
« Non starai pensando seriamente di accettare? » Mi chiede, quando prendo posto accanto a lui, sfilandomi le scarpe e sollevando i piedi sul divano.
Onestamente io non so cosa pensare. Un bambino non è un animale domestico che puoi prendere e, se dovessi renderti conto di non essere in grado di prendertene cura, restituire. « Non lo so. Forse… Certo non per i manifesti. »
Haymitch non risponde, continua a bere ma non mi caccia.
Lascio che rifletta ancora un po’, credo di sapere che cosa sta pensando, quindi dopo un po’ di silenzio, cerco di spingerlo a comunicare, anche se sono costretta a distogliere lo sguardo. « Lo so che non hai mai voluto figli. Non dopo i Giochi, non con me. »
Una sera – durante non ricordo che edizione – cominciò ad inveire, ubriaco fradicio, contro chiunque gli capitasse fra i piedi (me compresa, ovviamente) finché non cominciò a parlarmi dei tributi che erano appena morti davanti ai nostri occhi. Di come lui non avrebbe mai avuto figli per non fargli fare la stessa fine.
« Però, » continuo. « La vita può cambiare. Insomma, guardaci… i Giochi sono finiti. »
Mi faccio coraggio e mi volto a guardarlo, il suo sguardo però è perso nel vuoto. Riesco quasi a sentire gli ingranaggi nel suo cervello che si muovono, i pensieri che si accavallano. Leggo l’indecisione nei suoi occhi. « E se succede qualcosa? »
Qualcosa. Non c’è bisogno di specificare, ho capito benissimo che cosa intende dire. « Plutarch ha detto che è un orfano di quasi sei anni. Vuol dire che aveva a malapena un anno quando la guerra è finita. » Cerco la sua mano, un po’ incerta ma lui ancora una volta non mi allontana. Però beve un altro lungo sorso direttamente dalla bottiglia. « Ha vissuto tutta la sua vita in un istituto, se succedesse qualcosa non credo starebbe meglio lì. Tanto varrebbe fargli avere qualche anno in una famiglia normale. »
« Normale? » Il ritorno di quella punta di sarcasmo mi fa sperare che si stia riprendendo e sorrido.
« Beh, quasi normale. Insomma, ci sono famiglie peggiori di noi. I ragazzi stanno bene, tu stai bevendo di meno… io me la cavo. » Questa non è una bugia, gli lascio la mano per potermi sistemare meglio sul divano in modo tale che lui possa passarmi un braccio attorno alle spalle. Poi continuo, cercando di assumere un tono di voce convincente. « Forse non siamo una famiglia molto convenzionale, ma funzioniamo Siamo una squadra. »
« Tu hai già preso la tua decisione, Effie. » E nemmeno questa è proprio una bugia.
« Ma non potrei mai fare qualcosa di così importante senza il tuo consenso. » Lascio stringermi un po’ nell’abbraccio, chiudendo gli occhi e inspirando piano. « Almeno promettimi che ci penserai. Non dobbiamo decidere subito, possiamo prenderci tutto il tempo che vogliamo. »
C’è una lunga pausa in cui io perdo quasi le speranze, poi sento il suo petto vibrare debolmente contro la mia testa, quando parla. « Va bene. »

A distanza di sei settimane, non abbiamo ancora preso una decisione.
Haymitch però ci sta sul serio riflettendo. Ci sono state discussioni, alcune anche piuttosto accese, che sono finite con uno dei due a dormire sul divano, in genere Haymitch, ma stiamo facendo progressi.
Comprendo le sue paure, sono anche le mie, ma non voglio fermarmi per questo.
Abbiamo anche parlato con i ragazzi, loro sono sembrati positivi a riguardo… un po’ sconcertati all’inizio – soprattutto per quanto riguarda la storia dei manifesti – ma positivi.
Ho trovato una strada completamente sbarrata invece da Allie.
Non me lo sarei aspettato… credevo mi avrebbe appoggiata e invece non è stato così.
Ho deciso di chiamarla oggi, per cercare di sistemare le cose. Quando provo a spiegarle la situazione, però, si ostina a non capire.
« Si può sapere che cosa ci trovi nel Distretto 12? Almeno il Distretto 4 aveva il mare, che diavolo ci può essere di così interessante lì? » Mi dice, con fare quasi disgustato.
« Sto bene qui, Allie. Ci sono Katniss e Peeta e Haymitch. » La mia voce è quasi una supplica. Vorrei avere l’appoggio di mia sorella, soprattutto in un momento come questo.
« Riguarda lui, non è vero? Sono quasi trent'anni che è il tuo unico argomento di conversazione. E adesso anche questa storia dell’adozione. Sei impazzita per caso? » Sento che sta cominciando ad alzare la voce, dovrei salutarla e agganciare ma voglio chiarirmi, una volta e per tutte.
« Non voglio parlare dell’adozione adesso. Ora sto solo cercando di capire perché mia sorella non vuole essere almeno un po’ felice per me! »
« Non ci credo, » comincia, e già capisco che non potrà venirne nulla di buono. « Come puoi esserti innamorata di una persona, così- così… così. »
Sospiro, allungando un occhio verso il salotto. I ragazzi ed Haymitch sono qui; abbiamo pranzato insieme e adesso stavamo affrontando per l’ennesima volta l’argomento adozione, quando ho sentito il bisogno di chiamare Allie.
I miei occhi, però, si fermano su Haymitch. Adesso sta parlando animatamente con Peeta, ma non riesco a sentirlo da qui. « Ha i suoi lati positivi. E mi fa dormire sonni tranquilli la notte. »
« Euphemia Trinket, che cosa direbbe la nostra povera madre? » Dice, con un tono di rimprovero.
Non ci credo, non può veramente giocarsi questa carta! « Nostra madre è morta, Allie. » Rispondo fermamente.
C’è un attimo di silenzio, poi parla di nuovo e il suo tono di voce è cambiato. È più amaro, più tagliente. « Sì, e per colpa di persone come lui! E così anche mio marito… come fai a non vederlo? »
Allora è questo il vero problema? Dà la colpa a loro per quello che è successo? Inspiro profondamente, cercando di non alterarmi. Forse è troppo presto per Allie, forse ho sbagliato a parlare così apertamente con lei di cose che potevano ancora turbarla. « Allie- credo che non dovrei più telefonarti, almeno per un po’. »
Dall’altro capo del telefono arriva una risata nervosa. « Vuoi voltare le spalle alla tua famiglia? »
Queste parole fanno male, perché è vero, Allie era la mia famiglia. Ma forse ora non più.
Torno a guardare in direzione del salotto. Sembrano essersi calmati, non stanno più discutendo, stanno parlando tranquillamente. Peeta dice qualcosa, Katniss ride e Haymitch scuote la testa, poco convinto.
Mi ritrovo a sorridere, e sono assolutamente certa delle parole che pronuncio subito dopo. « Sono già con la mia famiglia. »

 
A/N: Salve! Sono le 4:15 di notte, non ce la faccio a rileggere quindi pubblicherò domani mattina, con calma…
Questo capitolo sarà l’ultimo per qualche giorno. Dal 6 al 9 non potrò scrivere, ma continuerò appena possibile.
Avevo preannunciato grandi cambiamenti, e poi qualcuno che segue le mie storie da parecchio, conoscerà già il personaggio di Pan… io non vedevo l’ora. Stavo veramente morendo dalla voglia di introdurlo!
Non vi dico più niente, fatemi sapere cosa ne pensate perché sono curiosissima!
Grazie infinite a tutti quelli che spendono qualche minuto per recensire! :)
A presto,
 

x Lily

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Capitolo 23
*** 5x02 Pan ***




5x02 Pan
 
È il primo ottobre e non smette di piovere da due settimane al Distretto 12.
Poco importa, comunque, perché in questo momento non è lì che mi trovo. Sono a Capitol City, di nuovo. Ma questa volta non sono da sola, perché Haymitch è venuto con me.
Per mesi ne abbiamo discusso, e alla fine abbiamo accettato la proposta di Plutarch. Siamo qui per andare a prendere Pan e per portarlo a casa.
I “quasi sei anni” si erano rivelati essere appena cinque anni e mezzo. Ma festeggerà il compleanno fra due mesi e a detta di Plutarch, era molto felice quando ha saputo che non lo avrebbe passato nell’istituto.
Come avevo pensato, aveva pochi mesi alla fine della guerra; ha perso la famiglia ed è cresciuto qui, assieme ad altri bambini.
Sono tremendamente nervosa. Il viaggio in treno è stato stressante e lungo. Non voglio restare qui più del dovuto.
Continuo a chiedermi se sia la cosa giusta da fare. Non sono sicura che Haymitch lo voglia davvero, ma da quando abbiamo preso la decisione, ogni volta che gli ho fatto presente i miei dubbi, ha continuato a ripetermi che se veramente non lo volesse, non avrebbe mai acconsentito in primo luogo.
Su questo gli credo, ma la situazione mi sta comunque uccidendo.
Siamo in un piccolo ufficio all’interno dell’istituto che ospita Pan, così come moltissimi altri bambini rimasti orfani durante la guerra e anche dopo.
La gamba destra di Haymitch continua a tremare nervosamente, le mie dita stanno sanguinando per quanto le ho masticate, le mie unghie ormai sono inesistenti. Avrei dovuto portare dei guanti.
« Smettila. » Una mano di Haymitch impedisce alla mia di arrivare di nuovo alle labbra, poi l’allontana. « Stai sanguinando. »
Io mi sistemo meglio sulla sedia, senza replicare. Comincio a cercare qualcosa nella borsa, finché non tiro fuori un fazzolettino e lo arrotolo attorno all’indice della mia mano destra – sperando che la situazione migliori prima che arrivi il bambino.
Abbiamo già compilato tutti i moduli da compilare, firmato tutti i documenti da firmare e parlato con chi di dovere.
È quasi mezz’ora che siamo qui da soli, in attesa.
Dopo altri dieci minuti, finalmente, c’è un rumore alle nostre spalle. Entrambi trasaliamo, voltandoci a guardare.
Le porte si aprono ed entrano cinque persone. Plutarch e Fulvia, la proprietaria dell’istituto con l
’assistente sociale con cui abbiamo parlato, e Pan.
Vederlo in piedi in mezzo ai quattro adulti, sembra quasi più piccolo di quanto non sia veramente.
Ha folti capelli scuri, che per l’occasione sono stati pettinati all’indietro con del gel. Gli occhi – grandi e castani – vagano nella stanza, poggiandosi prima su Haymitch, poi su di me. Non sembra troppo nervoso, sicuramente meno di me.
Plutarch ci sorride, e allarga le braccia in segno di saluto. Mentre il gruppo avanza verso di noi, mi rendo conto che Pan  sembra far fatica a camminare. Mi chiedo se sia colpa dei vestiti che indossa – un completo che sembra fin troppo pregiato per il luogo in cui si trova.
Dal momento che non so come fare per farmi passare la paura, utilizzo l’unico modo che conosco: fingere. Fingo di non averne, perché sono una brava attrice e perché è un metodo collaudato più e più volte con gli anni. Se sono fortunata, la paura svanirà da sola.
Costringo il mio corpo a collaborare, mi alzo in piedi e vado verso di loro. Si fermano e mi posso accovacciare di fronte al bambino, con un sorriso sincero sulle labbra.
È un po’ intimorito, ma ricambia il sorriso e poi i suoi occhi si allargano per un istante – come se si fosse reso conto di essersi dimenticato qualcosa di importante – e allunga la sua manina verso di me, sollevando poi la testa verso Plutarch, che gli fa un cenno di approvazione.
Gli stringo la mano, continuando a sorridere e poi faccio le presentazioni.
Ci risediamo per fare due chiacchiere e per conoscerci meglio. Haymitch è silenzioso, e io comincio a sentire di nuovo una morsa allo stomaco. Non sono sicura di riuscire a nasconderlo. Non sono solo nervosa, sono terrorizzata.
Ho paura che vada tutto male, ho paura di non essere all’altezza della situazione, ho paura che Haymitch si tirerà indietro.
È tutto facile finché siamo qui. Ma come sarà quando saremo da soli? Fra poco torneremo sul treno, poi arriveremo a casa. E da quel momento come sarà?
Mi gira la testa, forse è meglio non pensarci troppo.
Quando stiamo per congedarci, Plutarch ci chiede se può scattarci una foto.
« No. » È la risposta immediata di Haymitch; io non credo di volerlo fare.
Prova a convincerci, e alla fine è Fulvia che lo fa desistere. Dicendo che il treno ormai starà per partire e che dobbiamo avviarci in stazione.
Sono convinta che ci saranno decine di telecamere nascoste e paparazzi qui fuori che ci scatteranno foto a sufficienza da utilizzare per i suoi manifesti.

Siamo sul treno da poco più di due ore. Per fortuna Pan ha lasciato alla Capitale l’imbarazzo iniziale e sta cominciando a fare domande su domande. Vuole sapere com’è il Distretto, com’è la casa e come sarà la sua stanza.
È incredibilmente elettrizzato dall’idea di avere una cameretta tutta per lui, senza doverla dividere con gli altri bambini.
« Ci sono gli alberi? » Mi chiede, mentre ci avviamo al tavolo del nostro scompartimento.
Sia io che Haymitch ci scambiamo uno sguardo confuso; il bambino ci guarda con il nostro stesso sguardo riflesso negli occhi.
« Mi piace arrampicarmi. » Ci spiega semplicemente, poi comincia a grattarsi la schiena – i vestiti che indossa gli danno sicuramente fastidio. « È divertente. »
L’idea che si arrampichi in giro di sicuro non mi entusiasma, però annuisco abbozzando un sorriso. « Ma certo. » Rispondo, e gli passo il menù poggiato sul tavolo. Già prima, sotto suggerimento di Plutarch, ci ha dato prova delle sue abilità di lettura.
Lasciamo che sia lui a decidere e finiamo per ordinare praticamente tutto quello che c’è sul menù.
Poco dopo, da un’apertura sul tavolo arrivano le nostre ordinazioni.
Mentre cominciamo a mangiare, Pan continua a grattarsi e a contorcersi – talmente tanto che sia io che Haymitch rimaniamo con le posate a mezz’aria, cercando di capire che cosa stia tentando di fare.
« Pizzica… » Dice lui, strattonando il maglione.
Haymitch mette giù il cucchiaio ancora pieno di purea e afferrando il collo del maglione, prova a sfilarglielo via, con il risultato di sollevarlo quasi come una marionetta dalla sedia. « È incollato? » Commenta confuso, cercando con maggiore foga di liberarlo.
« Te l’ho detto! » Protesta Pan, continuando a divincolarsi. « È per non farmelo togliere, ma pizzica! »
Intervengo anche io, alzandomi e mettendomi alle spalle del bambino, cercando di capire che cosa stia succedendo.
Il maglione è fissato alla maglia sottostante con delle striscioline di velcro adesivo. Anche mia madre utilizzava lo stesso metodo con me, per tenere i vestiti sempre al loro posto. Un po’ primitivo, ma funzionava perfettamente. Lo detestavo: prudeva da morire.
Con un po’ di calma riesco ad aiutarlo, e il maglione finisce dimenticato su una sedia.
Finalmente libero, Pan si gratta un po’ il collo e si sistema le maniche. « Grazie. »
Torniamo a mangiare e il tempo passa tranquillamente; finché qualcosa non cattura la mia attenzione.
Pan si sta dedicando ad una coscia di pollo; quando non riesce a usare bene il coltello, Haymitch – invece di tagliare al posto suo la carne – gli suggerisce di fare direttamente con le mani.
Lui lo fa e in un attimo non è più Pan. È uno dei tributi che ho estratto dalla boccia e che ho fatto salire su un treno identico a questo; i volti si susseguono – arriva anche Peeta, ferito, nell’arena, che divora con le mani dello stufato, nascosto in una grotta.
Provo a scacciare dalla mia mente quelle immagini, ma lo stomaco si stringe di nuovo e la nausea torna.
Cerco lo sguardo di Haymitch, ma non mi è di nessun aiuto, perché anche in quei momenti, lui era sempre con me.
« Effie? » Dal suo tono di voce mi rendo conto che ha capito che c’è qualcosa che non va, ma tento di fare finta di nulla. « Stai bene? »
Annuisco, poco convinta. Mi sforzo a portare un boccone alla bocca, ma anche solo l’odore mi fa rivoltare lo stomaco.
Mi devo alzare, e Haymitch cerca di fare lo stesso, ma lo fermo. « Sto bene. Ho solo bisogno di un po’ d’aria. Resta con lui. »
La mia intenzione era quella di provare a stendermi un momento, per provare ad alleviare l’ansia – ma sono costretta a deviare verso il bagno, e faccio appena in tempo prima di essere sorpresa da un conato di vomito e mi ritrovo a dare di stomaco.
Se solo servisse a farmi sentire meglio… sto solo peggio.
Aspetto un po’, poi provo a sciacquarmi il viso con dell’acqua fredda. Quando sollevo gli occhi sullo specchio appeso alla parete quasi mi spavento. La mia pelle ha un colorito verdognolo, la fronte è imperlata di sudore e acqua, le labbra sono praticamente bianche.
Esco dal bagno e un cerchio alla testa mi impedisce di andare avanti – prima di svenire, decido di andarmi a stendere.
È solo nervosismo. Mi dico, mentre mi stendo supina sul letto e prendo a fissare il soffitto. È normale.
Mi sento un po’ in colpa ad aver lasciato solo Haymitch, ma nello stato in cui sono adesso non sarei di nessun aiuto.
Chiudo gli occhi per un attimo, per cercare di riprendere le forze.

Quando riapro gli occhi, la prima cosa che vedo è Haymitch. Mi sta stringendo il braccio in una presa salda, probabilmente è stato lui a svegliarmi.
Non mi sento più riposata, è stato un sonno tormentato da incubi e ricordi.
« Stavi cominciando ad agitarti. » Non faccio fatica a credergli, mentre mi passa una tazza fumante.
Mi sistemo seduta e la accetto, un’occhiata veloce e mi rendo conto che è tè. Bene, perché il mio stomaco non reggerebbe nulla di diverso in questo momento.
« Dove siamo? » Chiedo, cominciando a sorseggiare la bevanda lentamente. È calda, ma non bollente.
Haymitch si siede accanto a me, dal suo lato del letto, e si toglie le scarpe. « Siamo quasi al Distretto 8. Dovremmo essere a casa entro domani mattina. »
Apprendendo la notizia e mettendola da parte, continuo a bere finché la tazza non è vuota. Poi, dopo averla poggiata sul comodino, cerco di alzarmi. Tasto la mia stabilità e quando mi rendo conto di riuscire a stare in piedi, faccio il giro del letto per spogliarmi, infilarmi velocemente la camicia da notte e una vestaglia. « Dov’è Pan? »
« Nel suo scompartimento. Si sta preparando per andare a letto, ha detto che faceva da solo… »
Ha solo sei anni, non dovrebbe “fare da solo” – ma immagino che crescendo nel modo in cui è cresciuto, abbia dovuto imparare a cavarsela in diverse occasioni. « L’ho spaventato? »
Haymitch scuote la testa, infilandosi sotto le coperte, visibilmente provato. « No, gli ho detto che avevi mangiato troppo. »
Annuisco, ma poi lascio comunque la stanza. Voglio parlargli per assicurarmi che stia bene. Come primo approccio non è stato proprio il migliore…
Busso prima di entrare e lo trovo intento a mettersi a letto. La sua valigia è aperta sul pavimento, ma è in ordine.
I suoi capelli non sono più tirati all’indietro con il gel, ma lisci e un po’ spettinati. « Hai fatto anche una doccia? » Chiedo stupita e lui annuisce tranquillo. « Da solo? »
« Sono come quelle che avevamo lì. Sono facili da usare, basta premere un pulsante… » Non si troverà così bene a casa; a volte anche io litigo ancora con quella maledettissima doccia. Le tubature vecchie e la caldaia antica. Due volte su tre l’acqua ci mette ore a riscaldarsi.
Mi tornano in mente i miei nipoti, per convincerli a fare il bagno la sera dovevo supplicarli – Finn invece una volta entrato nella vasca, non voleva più uscirne.
« Posso? » Gli chiedo, indicando il letto e lui annuisce silenziosamente. Mi siedo accanto a lui, rimboccandogli un po’ le coperte come facevo sempre per Lavinia. « Mi dispiace per prima, » dico, accarezzandogli con mano un po’ incerta i capelli – ho quasi paura a toccarlo, come se non fosse reale. « Non mi sono sentita molto bene. »
Pan scuote la testa, con un sorriso. « Non fa niente. Ho mangiato anche il tuo gelato. »
La notizia non può che far sorridere anche me; rimaniamo a chiacchierare per qualche altro minuto. Mi racconta cosa ha fatto durante il pomeriggio – e cioè continuare ad informarsi sul Distretto e sulle persone che ci vivono. Haymitch gli ha parlato di Peeta e di Katniss. Devo ammettere che se l’è cavata molto meglio di me, un po’ mi vergogno.
Devo ricordare di ringraziarlo, se non fosse stato per lui sarebbe stato un disastro.
Sto per alzarmi quando Pan mi ferma; sul viso ha un’espressione un po’ incerta.
« Che c’è? » Gli chiedo, con fare preoccupato.
Lui ci mette un po’ a formulare una frase, e quando parla la sua voce è più bassa. « Devo chiamarti mamma? »
La sua domanda mi coglie del tutto impreparata. E di nuovo la nausea mi stringe lo stomaco. Non posso andare avanti così… non posso nemmeno rispondere con un “non lo so” – è un bambino, vuole risposte. Quindi faccio un respiro profondo, tentando di sembrare meno nervosa di quanto sia. « Sì, se vuoi. Ma se ti piace di più puoi chiamarmi Effie. Non devi sentirti obbligato. »
Lui sembra pensarci un attimo, annuendo con un’espressione molto seria – che sul suo viso da bambino non può che fare tanta tenerezza – credo stia valutando bene le due opzioni. Poi pare decidersi e mi guarda senza cambiare espressione e quando parla, lo fa con un tono altrettanto serio. « Mi piace mamma. »

 
A/N: Salve! Nella mia mente il capitolo finiva con un’altra scena. Una scena in più, però poi ho pensato che sarebbe stato più carino concluderlo in questo modo. Avevo comunque raggiunto e superato le 2000 parole, quindi ho fatto così.
La scena con cui volevo chiudere magari la utilizzerò per aprire il prossimo.
Spero che l’incontro con Pan vi sia piaciuto. Sarò onesta, io non vedo un bambino di sei anni da moltissimo tempo, i nipoti e Finn erano un pochino più marginali, e Pan mi sta mettendo in crisi.
Ho un cugino di due anni che però vedo pochissimo ed è troppo piccolo perché io possa prendere spunto per i bambini di questa storia… quindi mi sono affidata ai ricordi di quando io avevo sei anni (?) spero sia stata credibile.
Vi piace il nuovo banner? Credo si chiami così, insomma il coso – l’immagine – in cima. L’ho inserito anche nel capitolo precedente per provarlo, ma questo è il primo nuovo in cui lo metto. Se vi dà fastidio lo tolgo… xD
Come al solito parlo troppo; se vi va lasciatemi un commento con i pensieri su questo capitolo, li leggo sempre volentieri e cerco di rispondere il prima possibile :) – e vado in ansia quando non ricevo recensioni, perché ho sempre il terrore che abbia scritto qualcosa di brutto a livello di trama, che magari a nessuno è piaciuto. Lo so, sono paranoica – x)
Comunque! Grazie mille a tutti per aver letto, e a presto!
 

x Lily

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Capitolo 24
*** 5x03 Incontri ravvicinati ***




5x03 Incontri ravvicinati
 
Il camino acceso riscalda ed illumina il salotto. Dalla finestra filtra una luce fredda; è appena primo pomeriggio, ma il cielo è coperto e i raggi del sole non riescono a filtrare completamente attraverso le nuvole. Una pioggia finissima cade da ore, non mi sorprenderei se presto si trasformasse in neve.
La casa è silenziosa; si sente solo l’ululare del vento fuori la finestra e lo scoppiettio della legna nel camino.
Sono sul divano, con un libro in mano e una tazza di tè fumante sul tavolino di fronte a me. Haymitch è seduto al lato opposto del divano, con i miei piedi poggiati sulle sue gambe. Sta leggendo anche lui; ha una mano poggiata sulla mia caviglia e con il pollice mi traccia distrattamente dei cerchi sulla pelle – non sono nemmeno convinta che ne sia consapevole.
Anche prima dell’arrivo di Pan, i momenti così rilassanti erano rari…
Thud.
Un rumore sordo proviene dal piano di sopra. Aggrottando le sopracciglia, chiudo il libro e sollevo lo sguardo al soffitto.
Anche Haymitch fa lo stesso, prima di guardarmi con fare interrogativo. Mi stringo nelle spalle, in una risposta muta; quando non succede altro, torniamo alle nostre attività.
Passano diversi minuti di quiete, e poi…
Thud.
Chiudo di nuovo il libro e me lo poggio in grembo. Pan è di sopra, in teoria aveva detto che avrebbe finito i compiti, poi sarei andata a controllarlo, ma credo che abbia trovato altri modi di passare il pomeriggio.
« Tutto bene? » Chiedo ad alta voce, voltandomi in direzione delle scale.
C’è una lunga pausa, durante la quale io ed Haymitch ci scambiamo uno sguardo incuriosito e un po’ preoccupato; poi la voce di Pan arriva forte e squillante. « Sì. »
Dall’intonazione capisco che c’è qualcosa che sta nascondendo, ma è Haymitch a porre la domanda successiva, battendomi sul tempo. « Che stai facendo? »
Un’altra pausa – ancora più lunga della precedente – precede la risposta, data con un tono fin troppo innocente. « Gioco con il gatto. »
Capisco che il momento rilassante è finito; Haymitch torna alla lettura come se niente fosse, io metto i piedi per terra e mi alzo. Devo andare a salvare Pumpkin.
Fin da quando è arrivato, Pan ha dimostrato un interesse particolare per il mio gatto – e in parte anche per le oche di Haymitch.
Risalgo le scale in fretta ed entro nella sua stanza; lo trovo a cavalcioni del mio povero Pumpkin. Gli sta tenendo la testa ferma, mentre cerca di infilargli una delle sue magliette.
« Pan… » Non è la prima volta che succede, fortunatamente la natura del mio gatto è incredibilmente docile.
Il bambino continua a tenerlo fermo, guardandomi con due occhi enormi e innocenti. « Stiamo giocando! » Cerca di giustificarsi, ma il mio sguardo cade su Pumpkin, la coda comincia a muoversi convulsamente aventi e indietro.
Un disperato meow mi spezza quasi il cuore. « Non mi sembra che si stia divertendo molto. » Dico, poi prendo ad avvicinarmi lentamente, puntando il letto. « Lascialo andare. »
Pan fa come gli dico, sbuffando un po’. Il gatto si libera dalla maglietta e schizza via, uscendo dalla porta. « È noioso. » Annuncia, prima di raggiungermi sul letto.
Gli accarezzo i capelli, sorridendogli.
La paura iniziale è andata a scemare, ma certe volte sono ancora terrorizzata. Ormai è con noi da cinque settimane; mi sono abituata alla sua presenza in casa.
Essere chiamata
mamma è ancora strano. Le prime volte mi si accapponava la pelle ogni volta che sentivo pronunciare quella parola, ora sta diventando ogni giorno più naturale.
So che è lo stesso anche per Haymitch. Non ne parliamo, ma sono arrivata ad un punto in cui non ho bisogno che mi dica qualcosa per capirlo.
Lo vedo. Lo vedo nel modo in cui gli parla, nel modo in cui lo guarda, o se lo issa su una sola spalla e lo porta di sopra, se fa i capricci a tavola.
Spero solo che anche il bambino riesca a vederlo.
« Dovresti provare a giocare con i tuoi compagni di classe. »
Pan scuote la testa convinto. « Sono noiosi anche loro. » Ha cominciato la scuola da un mese circa, e sta avendo qualche difficoltà a fare amicizia.
Parlando con una delle sue insegnanti, mi ha detto che è sicura che con un po’ di tempo si sistemerà tutto, e di non cercare di forzarlo troppo.

La pioggia fine continua a cadere, e a distanza di una settimana, non c’è stata ancora nessuna nevicata.
Il freddo fuori è pungente ma non fastidioso; Katniss e Peeta sono nel nostro cortile, stiamo discutendo sulla possibilità di rimodernare il rifugio invernale delle oche: una piccola casetta in fondo al recinto, dove gli animali vengono protetti dal freddo.
Con le piogge il legno si è  un po’ rovinato e non vorrei rischiare di doverle ospitare in casa…
Haymitch è stravaccato sul dondolo, mentre lui e Peeta, seduto di fronte a lui su una sedia pieghevole, discutono su quanto tempo e su quali materiali serviranno per completare il lavoro – come al solito lui si è deciso troppo tardi e non sono sicuri di farcela prima della prima neve.
Katniss ed io siamo poggiate con la schiena contro la balconata del portico; entrambe ascoltiamo in silenzio, seguendo lo scambio di battute fra i due ma siamo distratte da Pan, che gioca accanto al recinto delle oche saltando dentro le pozzanghere di fango.
Non lo farò entrare in casa prima di disinfettarlo dalla testa a i piedi. Per fortuna gli ho fatto mettere impermeabile e galosce.
« Io e Thom possiamo metterci dieci giorni. » Sta dicendo Peeta, ed entrambe riportiamo l’attenzione al ragazzo. « Forse di meno se ci facciamo aiutare da qualcun altro. »
« Entro la fine della settimana. » Commenta Haymitch, continuando a scuotere la testa. « Prima che la neve vi fermi. »
« Potresti dare una mano anche tu… » Gli faccio notare, stringendo le labbra fino a farle diventare quasi una linea orizzontale.
Haymitch mi riserva un’occhiata scocciata, ma poi qualcosa cattura la sua attenzione alle mie spalle e i suoi occhi si sgranano.
Mentre comincia ad alzarsi, io prendo a voltarmi.
Proprio mentre arriva un grido spaventato e la voce di Pan che chiama in preda al panico: « Papà! »
Il tempo e il mio cuore si fermano.
Era salito in piedi sul recinto, con le braccia allargate e un piede davanti all’altro – probabilmente mentre io e Katniss eravamo concentrare a seguire la conversazione. Poi vacilla mentre solleva un piede, barcolla all’indietro e piomba con un tonfo oltre la recinsione, provocando scompiglio fra le oche.
Quelle bestiacce sono pericolose, già le vedo mentre attaccano.
Poi il tempo riprende a scorrere.
Haymitch e Peeta si fiondano verso il recinto, Haymitch lo salta con un balzo e un’agilità che credevo non avesse più. Peeta rimane dietro, sporgendosi con il busto oltre il bordo.
Io e Katniss li seguiamo a ruota, avvicinandoci al cancello. Katniss lo apre e io entro passandole davanti.
Haymitch ha già sollevato da terra Pan, scacciando con un unico braccio le oche impazzite, che starnazzano e si agitano, cercando di beccare tutto ciò che capita a tiro, finendo anche per litigare fra loro.
Pan è ancorato a Haymitch come una calamita. Braccia e gambe sono allacciate attorno al suo collo e busto, anche se Haymitch non lo tenesse ben saldo con il braccio che non allontanava le oche, dubito che il bambino sarebbe caduto.
Mi avvicino velocemente, poggiando una mano sulla testa di Pan, assicurandomi che non sia ferito. « Stai bene? » Gli chiedo, spaventata e con il cuore che mi martella nel petto, minacciando di schizzare fuori.
Il bambino non risponde, ma annuisce vigorosamente, tenendo premuto il viso contro la spalla di Haymitch.
Nemmeno lui parla, ma mi stringe un braccio e si allontana verso il cancello, reggendo stretto il bambino.
Peeta va subito da loro, accompagnandoli verso casa. Katniss resta ferma, mi guarda.
Ha uno sguardo incuriosito, quasi divertito. Non capisco che cosa ci sia di tanto divertente in quello che è appena successo, poi con un veloce movimento della testa, indica qualcosa alla mia destra.
Confusa, mi volto e noto una decina di paia di piccoli occhietti neri che mi fissano. Ed in quel momento mi rendo conto di dove mi trovo.
Non mi ero nemmeno resa conto di essere entrata dentro il recinto. Non c’è niente che mi separa da loro.
Il panico mi assale, indietreggio orripilata ma i miei movimenti devono farle innervosire di nuovo perché starnazzano e avanzano.
Un grido strozzato mi lascia la gola, mentre le braccia di Katniss mi afferrano tirandomi oltre il cancello e chiudendolo. Ma il terreno è scivoloso, e perdo l’equilibrio. Finendo direttamente nel fango.
Squittisco disgustata, chiudendo gli occhi e inspirando piano. Riesco a sentire chiaramente le risate di Katniss che riempiono l’aria, mentre cerco di non pensare allo stato in cui sono.
Quando apro gli occhi, mi rendo conto che Peeta e Haymitch non si sono mossi dalla soglia di casa. Uno sguardo divertito balla sugli occhi di entrambi, ma non osano ridere. Peeta per educazione, Haymitch perché ha ancora fra le braccia Pan e riesco a vedere che la preoccupazione non l’ha ancora abbandonato.

La neve arriva, finalmente, passata la prima metà di novembre.
Una sera siamo andati a dormire, e ci siamo risvegliati con venti centimetri di neve che ricoprivano tutto il Distretto.
A dire il vero a risvegliarci è stato Pan, che saltando sul nostro letto al ritmo di: « Sveglia! Sveglia! » Ha fatto venire un infarto sia a me che ad Haymitch, credendo che fosse successo qualcosa.
Ci sono voluti dieci minuti buoni per riprenderci – e fortunatamente il coltello che stava sempre sotto il cuscino di Haymitch, è nel cassetto del comodino da molto, ormai.
Una volta convinti che andasse tutto bene, dopo aver spiegato al bambino che non poteva svegliarci così, ci siamo vestiti e lo abbiamo accompagnato fuori.
Adesso si sta rotolando, disegnando angeli sul soffice manto di neve. Continua a nevicare, ma i fiocchi sono pochi e radi.
Stanotte dev’esserci stata una bufera, per essere così tanta ora.
Pan non aveva mai visto la neve prima. « È fredda. » Continuava a ripetere, oppure, « Si scioglie! » quando la prendeva con le mani.
Alla Capitale nevica raramente,  e quando succede, enormi spazzaneve si affrettano subito ad eliminarla dalle strade, ammucchiandola in cumuli sporchi ai lati di esse.
C’erano luoghi in cui si poteva andare a sciare o a fare una vacanza, ma la neve non era mai vera, sempre artificiale.
Ha superato presto lo spavento che si era preso cadendo nel recinto delle oche, e ha promesso che non ci sarebbe più salito. In compenso l’ho sorpreso due volte mentre cercava di risalire le scale al contrario…
Questa primavera, quando la neve si scioglierà, sarà difficile tenerlo con i piedi per terra. Letteralmente. Già me lo vedo a saltare come una scimmia da un ramo ad un altro degli alberi – e magari a rompersi un braccio nel procedimento.
Faccio correre gli occhi dal bambino ad Haymitch; è seduto sul dondolo accanto a me, e non lo perde di vista un solo istante. Dopo l’incidente nessuno di noi l’ha perso di vista. Nemmeno i ragazzi, quando ci sono.
Pan ha deciso di sua spontanea volontà che Peeta e Katniss meritavano il titolo di zio e zia. All’inizio Haymitch non era contento, non so per quale ragione – forse gelosia – ma alla fine ha accettato la cosa, e a loro due la cosa ha fatto sicuramente piacere.
Stiamo cominciando a pensare al regalo di compleanno, dal momento che mancano poco più di due settimane.
Da una parte vorrei chiedergli cosa desidera, e dall’altra invece vorrei fargli una sorpresa.
Haymitch dice di avere la situazione sotto controllo, ma non vuole dirmi in che modo e io non so cosa pensare; dice che dovrò aspettare ancora un po’ e non posso fare altro che fidarmi.
Pan si alza dalla neve e comincia a sbracciare nella nostra direzione, chiedendoci di raggiungerlo.
Vorrei sul serio, ma infradiciarmi nella neve non è esattamente il miglior modo per cominciare la giornata, quindi batto un colpetto affettuoso sulla gamba di Haymitch. « Vado a preparare la colazione, tu fagli compagnia. »
Borbottando qualcosa di simile a proteste, si alza con un lamento e si porta una mano alla schiena.
Il salto della staccionata ha portato con sé piccole conseguenze, che ovviamente gli hanno impedito di dare una mano durante la riparazione del rifugio delle oche.
Sono giorni che sto cercando di convincerlo a vedere un medico, ma dice che è solo una botta e che passerà con un po’ di riposo – spero per lui che sia vero.
Quando raggiunge il bambino, si accovaccia vicino a lui e io mi alzo, rivolgendomi a loro a gran voce, per farmi sentire. « Perché non fate un pupazzo di neve? »
Se lo sguardo di Haymitch fosse in grado di uccidere, io non starei più respirando – in compenso Pan sembra estasiato dall’idea e ricomincia a saltellare in giro, dando calci alla neve e facendola volare in aria.
Sapevo che Haymitch non ne sarebbe stato entusiasta, ma ho intenzione di far passare del tempo da soli a quei due, quindi gli do le spalle e mi avvio verso la porta.
Ho già la mano poggiata al pomello quando vengo colpita alla schiena da qualcosa di incredibilmente freddo e bagnato. Vengo percorsa da brividi da capo a piedi mentre mi volto lentamente.
Sto già per rimproverare Pan, quando mi rendo conto che a lanciarmi la palla di neve in realtà è stato Haymitch – per vendetta sicuramente – e che il bambino sta sghignazzando divertito dietro le sue gambe.
Prima che possa inveire contro di lui, con una mossa fulminea e un veloce movimento del braccio, un’altra palla si schianta dietro di me – mancandomi per un pelo. « EHI! » Protesto, ma non serve a nulla.
Pan, dietro di lui, continua a ricaricarlo con altre palle di neve. Evidentemente l’idea del pupazzo di neve non deve più entusiasmarlo.
Prima che possano colpirmi di nuovo, mi affretto ad entrare in casa – per sentirli ridere e poi lamentarsi. La voce di Haymitch risuona anche con la porta chiusa. « Oh, andiamo dolcezza! Avevamo appena cominciato a divertirci… »
Socchiudendo gli occhi e inspirando piano, mi avvicino alla finestra e guardo entrambi con fare indispettito. All’apparenza sembro più infastidita di quanto non sia in realtà, ma non posso fare finta di niente.
È più una questione di principio.
Haymitch allarga le braccia, come a dire “che c’è?” – poi tiro le tende con un singolo movimento secco.
Non ho un solo bambino in casa, ne ho due e a quanto pare sono entrambi intenzionati a farmi perdere la testa.


A/N: Salve!!
Non ho molto da dirvi in realtà… ero emozionata da questo capitolo quindi ho cercato di scriverlo in fretta, volevo far interagire un po’ di più la squadra con Pan.
Prevedo grandi cose XD
Volevo ringraziare ancora una volta tutti quelli che leggono e che commentano; se questa storia va avanti è anche grazie a voi che mi incoraggiate tantissimo. Sapere che c’è qualcuno che legge quello che scrivo e che lo apprezza, mi sprona a scrivere e a pensare sempre a cose nuove.
A presto con il prossimo capitolo!
 

x Lily

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Capitolo 25
*** 5x04 Cos'è? ***



Alla fine del capitolo c’è una nota un po’ lunghetta, vi avviso subito così non vi spaventate. Scusate, ma avevo un paio di cose da dire e altre due da spiegare.
 
5x04 Cos’è?
 
L’insegnante di Pan, Miss Greenlaw, aveva ragione sull’avere pazienza.
Con il passare delle settimane, si è ambientato molto di più e ha cominciato a fare amicizia. In particolar modo con una bambina, Zora ed un bambino, Ash – entrambi suoi compagni di classe.
Abbiamo organizzato una festa di compleanno con alcuni di loro, arriveranno fra poco e Pan è davvero contento – io sono anche molto nervosa perché è la prima volta che incontrerò le loro mamme, ma immagino che prima o poi sarebbe dovuto succedere.
Il regalo che Haymitch mi ha tenuto nascosto fino a pochi giorni fa è una slitta. Era sua, l’aveva ricevuta quando aveva più o meno l’età di Pan.
È rimasta chiusa nella cantina di casa sua, inutilizzata, per più di trent’anni.
Lui, Peeta e un paio di ragazzi l’hanno rimessa a nuovo, per assicurarsi che fosse sicura. L’ho vista, è una bella slitta fatta a mano. Un po’ vecchiotta, ma può passare per vintage.
Non so come fosse prima, ma ora che è stata riverniciata con della lacca rossa e lucida, sono sicura che Pan l’adorerà.
Sulla sicurezza non posso dire di essere assolutamente d’accordo – ma è un bambino e non posso impedirgli di giocare sulla neve. Vorrà dire che io o Haymitch gli staremo dietro tutto il tempo che passerà su quella slitta.
Katniss e Peeta mi stanno aiutando a finire di sistemare la sala da pranzo, mentre Haymitch e Pan sono di sopra.
Le prime ad arrivare alla festa sono Zora e sua madre – Nelly. La bambina indossa un delizioso vestito a fiori bianchi e porta i capelli scuri legati in due codini. Faccio accomodare entrambe, poi Peeta va a chiamare Pan e lui e Zora si dileguano dopo aver chiesto il permesso di andare a giocare.
So che Haymitch non scenderà prima che arrivi un altro po’ di gente – a quel punto sarò io a costringerlo ad unirsi a noi.
Io e Nelly finiamo per chiacchierare un po’ in sala da pranzo, e ogni tanto anche i ragazzi intervengono durante la conversazione.
Scopro che ha diversi anni in meno di me, che ha un negozio di fiori assieme a suo marito – e quando Pumpkin le salta in braccio, che è allergica al pelo di gatto.
A questo punto chiedo a Katniss di prendere Pumpkin e di chiuderlo nella mia stanza, scusandomi con la madre di Zora, un po’ imbarazzata.
« Non fa niente. » Sorride lei, asciugandosi gli occhi leggermente arrossati. « Non potevi saperlo. »
Fortunatamente la sua allergia non è molto forte e poco dopo sta già molto meglio.
È una persona piacevole; è educata, simpatica e di bell’aspetto. Ha gli occhi blu – gli stessi di Zora – e i capelli corvini, che in questo momento sono tirati su e fissati dietro la nuca con un fermaglio.
Mi confessa che non è la prima volta che ci incontriamo.
Per un attimo il mio cuore si ferma – ho il terrore di aver mietuto il nome del figlio o della figlia di un’amica o di un parente – ma dal modo in cui mi guarda capisco che non è così.
« Nell’ospedale, al 13. » Dice, portandosi una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio. Poi guarda nella direzione in cui poco prima erano spariti Pan e Zora. « Avevo partorito da poco, eri due letti dopo il mio, ma non eri cosciente. All’inizio non ti avevo nemmeno riconosciuta… »
Non è una cosa di cui parlo volentieri, ma non voglio sembrare troppo scortese, quindi cerco di deviare l’attenzione su qualcos’altro.
Poco dopo arrivano altri compagni di classe e l’argomento cade del tutto.
Fra gli ultimi ad arrivare ci sono anche Ash ed entrambi i suoi genitori. Riconosco suo padre, lavora alla stazione. La madre non ha un viso familiare, ma mi piacciono i suoi capelli – lunghi e rossi. Ad occhio non credo di sbagliarmi quando penso che abbia più o meno la mia età. In braccio ha una bambina piccola che potrà avere sì e no un anno. Entrambi i suoi figli hanno i suoi stessi capelli rossi e occhi verdi.
Mentre il padre va dietro al figlio, Nelly mi accompagna da lei e fa le presentazioni. Si chiama Flux ed è originaria del Distretto 5. Lei e suo marito – Troy, che è di qui – si sono conosciuti al Distretto 13, e poi si sono trasferiti insieme al 12, subito dopo la guerra. Scopro anche che Ash è di quasi un anno più piccolo di Pan e Zora, mentre la bambina è poco più piccola.
Resto con loro due ancora un po’ e continuiamo a chiacchierare, poi comincio ad aggirarmi fra i presenti, per assicurarmi che sia tutto a posto.
Peeta è seduto per terra al centro del salotto, un cerchio di bambini lo circonda. Uno per volta, sta dipingendo la faccia di tutti con vari colori.
« Non so come sia cominciato. È successo e basta… » Mi spiega stringendosi nelle spalle, continuando il suo lavoro. Non mi sembra per niente dispiaciuto da come stiano andando le cose, anzi credo si stia divertendo, quindi non dico nulla e lo lascio fare, allontanandomi con un sorriso.
Ogni volta che lo vedo con Pan mi ritrovo a pensare che un giorno sarà un ottimo padre. E credo che lui non veda l’ora, ma sono ancora molto giovani e Katniss non è assolutamente pronta.
Pensando a Katniss, non la vedo da nessuna parte – così come non vedo Haymitch.
Preoccupata che possano essersela svignata, do un’ultima occhiata a Peeta per essere sicura che la situazione bambini sia sotto controllo, e salgo al piano di sopra per cercare quei due.
Li trovo in camera mia. Sono seduti per terra, a gambe incrociate, ai piedi del letto. Uno di fronte all’altra. Hanno delle carte in mano e quando apro la porta, mi guardano come se nulla fosse.
Portandomi le mani sui fianchi, cerco di rifilargli un’occhiata di rimprovero – anche se so che a nessuno dei due importerà più di tanto. « State giocando a carte? »
« Black jack. » Specifica Haymitch, con un mezzo sorriso a fior di labbra.
« E lui sta barando. » Aggiunge immediatamente Katniss con un tono accusatorio.
Haymitch sembra profondamente indignato a riguardo, e torna a guardare la ragazza. « Non sto barando! »
« Sì, stai barando. Sono sicura. Stai contando le carte. »
« Ti ho insegnato io a giocare. »
« E a barare… »
« Adesso basta! » Interrompo il loro teatrino per farli tornare alla realtà; li guardo entrambi in silenzio, sperando che capiscano la situazione, ma i loro sguardi di rimando sono assolutamente vuoti e confusi. « Se non ve ne foste accorti, c’è una festa al piano di sotto. »
Haymitch annuisce, poi scambia uno sguardo con Katniss. « Sì, è per questo che ci siamo chiusi qui su a giocare. »
Per un istante la ragazza lo asseconda, poi aggiunge. « Ammettilo che stavi barando. »
« Non stavo- »
« Ho detto basta! Tutti e due, fra dieci minuti vi voglio di sotto. Se non ci sarete per quando Pan spegnerà le candeline, ne subirete le conseguenze. »
Senza dargli il tempo di rispondere, li lascio lì, sperando vivamente che seguano il mio consiglio.
Torno di sotto e comincio assieme a Peeta a sistemare il tavolo per la torta che – ovviamente – lui stesso ha preparato.
Poco più di dieci minuti dopo, anche Katniss e Haymitch ci raggiungono. Con un sorriso, li ringrazio per avermi ascoltata.
« Avevamo pensato di liberare il gatto e farlo volare sulla tavola, per far fuggire tutti. » Confessa Katniss senza troppa enfasi. « Ma poi pensavamo che ti saresti arrabbiata. »
Non capisco se è sarcastica o meno – credo si diverta a prendermi in giro – quindi evito di approfondire l’argomento. Sono solo contenta che siano entrambi qui adesso.
La vista di Pan che spegne le sue sei candeline e scherza e gioca con i suoi amici mi commuove. Quando apre il nostro regalo i suoi occhi si illuminano. Corre ad abbracciarci, poi ci chiede se possono andare fuori a giocare con la neve.
La festa si sposta all’aperto; muniti di cappelli, guanti e cappotti pesanti, tutti gli invitati e gli ospiti lasciano la casa.
Abbiamo provato a spiegare a Pan, Zora ed Ash che non potevano andare sulla slitta in tre, ma non ci hanno dato ascolto e non so per quale ragione della fisica, non solo sono riusciti a starci, ma non si sono nemmeno ribaltati.
Alternando trainate in slitta e battaglie a palle di neve, si fa quasi sera e gli invitati cominciano a tornare a casa.
Alla fine restano solo Ash e Zora e quando si stancano, torniamo dentro.
Haymitch accompagna Katniss e Peeta a casa. Il padre di Ash e la bimba piccola sono andati via già da qualche ora, perché lei cominciava a stancarsi; quindi sono rimaste solo Nelly e Flux. Le invito sul divano e offro loro un tè.
Poco dopo i bambini ci raggiungono e si piazzano di fronte al divano dove siamo sedute, con aria sospetta. O forse sono i volti pieni ti trucco sciolto dalla neve a dargli un’espressione un po’ bizzarra.
Conosco quello sguardo negli occhi di Pan – in genere precede una grossa richiesta.
« Volevamo chiedervi una cosa. » È la bambina a cominciare, noi ci scambiamo un’occhiata, poi lasciamo a loro il tempo di continuare.
« Ieri a scuola abbiamo studiato una cosa. » Dice Ash, molleggiando un po’ sul posto. « Si chiama Natale. »
La parola non mi dice assolutamente nulla, è sua madre però a porre la domanda che mentalmente mi ero posta anche io. « Cos’è Natale? »
« Una festa. » Adesso è il turno di Pan. « Miss Greenlaw ha detto che si festeggiava tanto tempo fa, prima di Panem, ma che poi hanno smesso e che adesso che possiamo, lo dobbiamo studiare. »
Faccio un po’ fatica ad elaborare le informazioni; ma mi è assolutamente più facile pensare che ora che la guerra è finita, nelle scuole si insegnino cose che prima non potevano essere affrontate.
« Miss Greenlaw ha detto che Natale era speranza e che si festeggiava con la famiglia e con chi volevi bene. » È di nuovo Ash a parlare e gli altri due annuiscono convinti.
Zora si rivolge alla mamma, sporgendosi verso di lei e appoggiandosi alle sue ginocchia. « E c’è un vecchio con un enorme sacco di giocattoli che porta regali ai bambini, si chiama Babbo Nachele. »
« Natale. » La corregge Ash e la bambina ripete, come se nulla fosse. L’informazione mi lascia alquanto perplessa. Ma non dico nulla e aspetto che finiscano.
« Però non lo facciamo per i regali. » Ci tiene a precisare Pan, guardandomi dritta negli occhi e cerco di capire se sia in grado di mentirmi anche così. Non credo… « Vogliamo fare Natale! »
« Possiamo? »
Cominciano una cantilena condita di promesse e spiegazioni, notizie imparate a scuola ed altre promesse.
Non sapendo bene come comportarci, io e le altre mamme ci consultiamo brevemente, per poi accettare – causando un’esplosione di entusiasmo da parte dei bambini.

La sera, dopo aver salutato tutti, sgombrato il salotto, messo un po’ in ordine in giro e aver fatto addormentare Pan, mi ritiro in camera da letto.
Mi arrampico sul mio lato e mi infilo sotto le coperte, cercando di riscaldarmi un po’.
Con calma, comincio a spiegare ad Haymitch quello che è successo prima, mentre lui era con i ragazzi. Gli parlo di Natale, delle promesse che noi abbiamo fatto ai bambini e di quelle che loro hanno fatto a noi.
Gli faccio notare che forse potremmo anche invitare Annie e Johanna per festeggiare insieme… così finalmente Finn e Pan potranno incontrarsi.
So che l’idea non lo farà impazzire, quindi provo ad addolcire un po’ la pillola accompagnando ogni frase con un bacio.
Mi ritrovo con la schiena premuta contro il materasso e Haymitch praticamente sopra di me – non è esattamente il risultato che volevo ottenere, ma in questo momento potrei chiedergli qualsiasi cosa e me la concederebbe, quindi – in effetti – è quello che volevo ottenere.
Prima che possa aggiungere altro, un suo bacio mi leva il respiro. Quando i miei polmoni reclamano aria, lo costringo a guardarmi in faccia – impresa alquanto ardua, ma ne esco vittoriosa.
Oltre al Natale, c’è un’altra cosa che mi ronza in testa da tutto il pomeriggio e prima che sia troppo distratto da altro, vorrei chiarire.
« Solo una cosa… » Gli chiedo, mentre è già a metà strada dall’avermi sfilato la camicia da notte. Non si ferma, ma continua a guardarmi. « Prima, con Katniss… stavo barando sul serio? »
Lui ci pensa, come se temesse che dalla sua risposta ne dipendesse il resto della nostra serata. Per rassicurarlo, sollevo la testa e catturo le sue labbra in un altro bacio.
Dopo un attimo sento che le sue labbra si stendono in un sorriso contro le mie, ma non è un vero e proprio sorriso – è più un ghigno. « Ovvio che sì. » Risponde, poi aggiunge: « Le ho insegnato io a giocare… e a barare. »
Non so perché, ma mi aspettavo una risposta del genere. Sorrido anche io e sopprimendo una risata, scuoto impercettibilmente la testa, mentre gli permetto di farmi passare la camicia da notte oltre le spalle.

 
A/N: Salve! Scusatemi se questo capitolo è arrivato con un po’ di ritardo ma sono state giornate impegnative queste appena passate.
Dovevo finire i preparativi per il matrimonio di mia zia, che si è sposata oggi e sono stata fuori dalle 10:00 alle 20:00 e credetemi quando vi dico che ho passato un’intera giornata a mangiare. Sto per esplodere…
Comunque appena tornata mi sono messa all’opera per finire di scrivere.
Lo so, è un pochino strano, però siamo in periodo natalizio e io sono una che il Natale lo ama e lo sente tantissimo xD
Love and Christmas are in the air. E mi sento tanto buona, appena finiranno le feste giuro di tornare la perfida di sempre… vabbé, cattiva cattiva no, però torno normale, giuro. XD
Ogni riferimento a Nightmare Before Christmas in questo capitolo è assolutamente casuale… talmente casuale che il prossimo si chiamerà “Far Natale”.
Per quanto riguarda la storia dietro al capitolo, beh ho immaginato che a Panem non festeggiassero più il Natale e che essendo questo simbolo in un certo senso di amore, bontà e speranza,  i potenti ci tenessero a seppellire e dimenticare la sua esistenza.
Ora con la pace, non dico che si tornerà a festeggiarlo – perché ormai fa parte dei libri di storia – però almeno ora i bambini sanno cos’è e più o meno cosa significava.
Per i personaggi delle mamme di Zora e Ash – Nelly e Flux – in mente avevo due attrici: Erica Carroll e Ruth Connell. Se volete vederle, cliccate sui nomi e si apriranno in un’altra pagina le immagini. :) – ogni riferimento a Supernatural, anche qui, è assolutamente casuale xD – sono in hiatus, perdonatemi… e compatitemi.
Se volete, qui c'è la mia pagina Facebook, per sapere a che punto sono con i capitoli, in generale :)

Grazie mille per aver letto, il prossimo capitolo cercherò di farlo arrivare tra il 22 e il 23 dicembre. Nemmeno quelli che verranno saranno giorni rilassanti purtroppo x)
A presto e grazie mille a tutti!!
 

x Lily

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Capitolo 26
*** 5x05 Far Natale ***


 







5x05 Far Natale
 
Il 24 Dicembre sembra arrivare prima del solito quest’anno.
Per Pan sono appena cominciate le vacanze invernali, che dureranno poco meno di due settimane.
L’altro ieri sono arrivate Annie e Johanna, ero un po’ nervosa quando Pan e Finn si sono incontrati – temevo che Pan potesse ingelosirsi, ma non è stato così.
I due bambini hanno legato subito; devo essere sincera, non me lo aspettavo. Con tutto il tempo che Pan ci ha messo a fare amicizia con i suoi compagni di classe, ero convinta che ci sarebbe voluto un po’ più di tempo – invece il carattere estroverso di Finn ha facilitato molto le cose. Sono praticamente spariti subito, a confabulare chissà che cosa.
La vecchia casa di Peeta ormai è abitata già da diverso tempo, quindi ho dato ad Annie e Johanna due stanze di casa nostra.
Non è stato difficile spiegare loro la situazione, visto che anche Finn frequenta lo stesso anno scolastico di Pan – nonostante Finn abbia sei mesi di meno. Sono state felici di venire qui a trovarci.
Non abbiamo nemmeno finito di fare colazione, questa mattina, che Pan continua a dire che non abbiamo ancora fatto l’albero di Natale. Pretende di andare tutti nei boschi a scegliere e tagliare un albero da decorare; quando a lui si aggiunge anche Finn, non possiamo più rifiutare.
C’è anche bisogno che qualcuno resti qui a preparare tutta la cena di stasera, quindi ci dividiamo.
Haymitch dice di non avere nessuna intenzione di andare nei boschi con questo freddo. Lui, Peeta e Annie restano qui mentre io, Katniss, Johanna e i bambini ci prepariamo per uscire.
A Johanna spetta il compito di tagliare l’albero, Katniss invece ci guida. Io vorrei essere a casa, al caldo, senza neve negli stivali e senza la paura di essere sbranata da un cane selvatico – ma Pan e Finn si stanno divertendo un mondo.
Corrono e saltano nella neve, si rincorrono e rischiano di farci cadere – ho pregato Johanna di stare attenta con l’ascia che tiene a penzoloni dalla cintura dei pantaloni e lo stesso ho fatto con Katniss, con l’arco che ha in spalla, per sicurezza.
I bambini continuano ad indicare alberi troppo grossi; Johanna sta per perdere la pazienza. Non ha tutti i torti – non possono chiederle di tagliare il tronco di un pino alto quattro metri!
Alla fine troviamo un compromesso: un arbusto altro poco più di un metro e mezzo; ai bambini piace e Johanna ritiene di poterci lavorare.
In tutta onestà, quando comincia ad accettare il legno del tronco, un brivido spiacevole mi corre lungo la schiena. Era da tempo che non la vedevo all’opera e non ricordavo quanta forza avesse nelle braccia.
Ogni colpo inferto risuona nelle mie orecchie amplificato e mi fa sussultare; i lineamenti del suo viso s’induriscono a causa dello sforzo e della concentrazione – donandole un’aria fredda e inquietante.
Ricordi spiacevoli tornano alla mente, ma vengono immediatamente spazzati via dai gridolini di gioia di Pan e Finn quando lei completa l’opera e l’albero crolla a terra, senza rumore, sul manto di neve che ricopre i boschi.
Con un sospiro di sollievo, cerco di ritrovare la mia compostezza – almeno questo strazio è finito.
« Adesso come credete di portarlo a casa? » È Johanna a chiederlo, ma non c’è bisogno nemmeno che le risponda. Basta uno sguardo di Katniss – lei è già consapevole.
La ragazza si avvicina all’albero, stando attenta a non far cadere l’arco e testa la sua pesantezza.
Portando gli occhi al cielo, e imprecando fra i denti, Johanna aiuta Katniss a sollevare il tronco dal lato opposto al suo; poi si rivolge ai bambini. « E voi due non pensate di cavarvela. Afferrate la punta, forza. »
Nonostante i modi poco gentili (cosa che le faccio notare, ma che lei ignora) i bambini sono ben felici di dare una mano. Afferrano attentamente l’estremità più stretta dell’albero e se la issano sulle spalle – ricoprendosi di neve e altra sporcizia proveniente dalla corteccia.
Io non ho intenzione di partecipare a questa cosa, quindi li seguo da dietro, stando attenta a non scivolare – di nuovo.
Sarei dovuta rimanere a casa…

Haymitch non è stato di alcun aiuto e quando noi torniamo, loro sono ancora in alto mare.
« Va a prendere un vaso e della terra. » Lo istruisce Katniss, ma lui allarga le braccia, guardandosi intorno.
« E dove credi che troverò un vaso e della terra? » Le fa il verso, ma la ragazza gli rifila un’occhiataccia.
« Il tuo rifugio per le oche è pieno di schifezze, sono sicura che troverai tutto lì. » La sua risposta le fa guadagnare un mezzo insulto poco sentito, ma poi si alza dalla poltrona su cui è inchiodato da ore e agguantando il cappotto, esce sbattendo la porta di casa.
Devo dire di essere piuttosto fiera di Katniss, non sono dovuta intervenire nemmeno una volta per cercare di convincerlo.
Se continua così, potrò fidarmi a lasciarlo solo con loro.
Sono sicura che il broncio ad Haymitch non durerà nemmeno un’ora. È tutta scena, ormai non inganna più nessuno.
Mentre io comincio a sistemare la sala da pranzo assieme a Katniss, Peeta ed Annie continuano a cucinare e dalla cucina arrivano profumi che risvegliano il mio appetito. Mi rendo conto solo ora che abbiamo saltato il pranzo.
Pan e Finn stanno facendo merenda seduti sul divano, nel frattempo Johanna ha approfittato dell’assenza di Haymitch per impossessarsi della sua poltrona per riscaldarsi di fronte al camino acceso.
Quando lui torna – con tutto quello che ci serviva – e la trova lì, mi rifila uno sguardo arrabbiato, ma Johanna non accenna a cedergli il posto.
« È stata fuori tutto il giorno con noi; perché non vai a mettere l’albero in quel vaso? » Gli chiedo gentilmente, ma il suo sguardo peggiora.
In compenso, ricevo un mezzo applauso da parte della donna. « Continua così, Trinket, e potresti cominciare a piacermi. » Commenta. Eccone un’altra che fa solo scena.
Scuoto la testa, roteando gli occhi e li lascio alle loro faccende, ripulendo il macello che hanno fatto Finn e Pan sul divano, mentre mangiavano.
I due bambini adesso sono spariti, e non so veramente che cosa aspettarmi da loro.
In cucina Annie e Peeta mi dicono di non avere bisogno di nulla, quindi torno in salotto, dove è comparsa una scala al centro della stanza.
L’albero è pulito e nel suo vaso; Pan e Finn sono riapparsi e ci stanno appiccicando sopra qualcosa, facendosi aiutare da Katniss e Johanna – mentre Haymitch è finalmente riuscito a tornare sulla sua poltrona e li osserva all’opera, con una bottiglia di liquore in mano.
Mi avvicino portando le mani sui fianchi, indicando con un cenno di testa la bottiglia. Oltre alla regola del non bere prima delle cinque ne abbiamo un’altra adesso: non bere di fronte ai bambini. E lui le sta infrangendo entrambe.
« Per riscaldarmi… » Cerca di giustificarsi, con un sorriso che vorrei tanto cancellargli dalla faccia. Non ho nemmeno idea di dove l’abbia trovata – mi ero assicurata di nascondere le sue scorte prima che arrivassero gli ospiti.
Afferro la bottiglia ma lui non la lascia andare. So già che se uno dei due non molla, finirà male.
Fortunatamente la testa di Peeta spunta dalla porta della cucina, facendo distrarre entrambi. « Effie per caso hai visto che fine ha fatto il liquore per i dolci? »
Con un lamento e un’occhiata esasperata all’uomo seduto accanto a me, gli strappo la bottiglia di mano, borbottando un: « Sei incredibile. » E mi assicuro che abbia sentito, mentre mi allontano.
« Mi ami per questo. » Mi canzona, urlandomi dietro.
« E insopportabile! »
« Anche per questo… »
Cercando di ignorare i sorrisetti sui volti di Annie e Peeta, gli consegno la bottiglia. « Mi dispiace. »
Peeta scuote la testa, spostando delle teglie dal ripiano. « Non fa nulla, grazie. »
Torno in salotto, per cercare di capire che cosa stanno facendo all’albero. Katniss sembra piuttosto concentrata, certe volte si comporta ancora come una bambina. Non riesce ad annodare un nastro attorno ad uno dei rami più sottili e la cosa sembra frustrarla parecchio.
Finn alla fine ha pietà di lei, si fa alzare in braccio e annoda in un secondo il fiocco al posto suo, tornando poi a quello che stava facendo prima.
Un’occhiata più da vicino mi informa che stanno infiocchettando l’albero con i miei nastrini che utilizzo ogni tanto per il cucito – ho ripetuto mille volte a Pan di non mettere le mani fra le mie cose, ma gli entra da un orecchio e gli esce dall’altro.
E adesso è proprio lui che sta riempiendo l’intero albero di lustrini. I miei lustrini. Non che li usassi più di tanto ormai, ma ci ero comunque affezionata.
Mi mordo la lingua e conto fino a dieci. Questa a quanto pare è un’occasione molto speciale, ma finita la festa dovrà fare i conti con me.
Non voglio scoprire cos’altro ha sgraffignato dal mio armadio, quindi mi allontano, ma prima che possa essere troppo lontana, riesco chiaramente a sentire la voce di Haymitch mentre suggerisce: « Magari sulla punta ci potete infilare una delle sue parrucche, se le trovate… »

Non immaginavo di poter mangiare così tanto. Il menù non era solamente a base delle specialità del Distretto 12, ma anche di qualcosa del Distretto 4, portato da Annie e conservato nel nostro congelatore.
Lei e Peeta si sono veramente superati, è tutto delizioso e perfetto.
Fortunatamente i bambini non hanno trovato le mie parrucche – non che me ne siano rimaste. Forse ne avrò conservate due al massimo, e non ho nemmeno idea di dove possano essere. Dimenticate da qualche parte a prendere polvere, sicuramente.
In compenso, Pumpkin ha trovato la pace dei sensi. L’albero di Natale è diventata la sua cosa preferita nell’intero universo. Lo ha tirato giù già due volte da quando i bambini, Johanna e Katniss si sono allontanati – e tutte le volte loro due lo hanno dovuto rimettere in piedi.
Credo che adesso ci si sia infilato dentro, e potrebbe crollare da un momento all’altro. Ma non siamo riusciti a deconcentrarlo dal mordicchiare incessantemente i rami e gli aghi – e non ho avuto il cuore di rinchiuderlo in camera, solo per evitare che rovini tutto. Non lo vedevo così entusiasta da quando Katniss mi ha portato un po’ di erba gatta per evitare che Ranuncolo si sentisse male.
Anche dopo la cena, restiamo al tavolo a chiacchierare. Gli argomenti si susseguono con facilità; le conversazioni sono condite da commenti taglienti di Johanna, battute poco felici – almeno per me – di Haymitch e scambi di frasi fra i due bambini. Potrei sinceramente stare ore a sentirli parlare, e non solo io. Siamo un po’ tutti concentrati su di loro, cercando di dare lo stesso spazio ad entrambi.
Sono due esibizionisti e invece di cercare di rubare uno le attenzioni dell’altro, si spalleggiano a vicenda – mentre Pan racconta del suo incontro con le oche di un paio di mesi fa, come se niente fosse, dipingendosi come un grande eroe coraggioso e invece Finn racconta di come abbia scalato a mani e piedi nudi uno scoglio pieno di ricci la scorsa estate.
Entrambi sembrano molto interessati a quei racconti, che noi ascoltiamo con il sorriso sulle labbra – sapendo perfettamente quanto sia uno che l’altro siano stati modificati a loro favore.
Se è così che dovrebbe essere Natale, potrei anche abituarmici.
Quando finalmente decidiamo di alzarci e tornare in salotto, Johanna, Annie, Katniss e Peeta prendono possesso di uno dei divani; su quello più piccolo invece mi siedo io accanto ai bambini ed Haymitch torna sulla sua poltrona.
Credo che non mangerò per due giorni di fila.
Pan si alza per poter saltare in braccio a Peeta – non ho veramente idea di dove trovino tutte queste energie.
Johanna, gettando un’occhiata al ragazzo e al bambino, non perde occasione di chiedere quand’è che lui e Katniss ne faranno uno tutto loro.
Entrambi la prendono a ridere, ma temo che la conversazione possa diventare scomoda e vorrei intervenire.
Pan comunque non mi dà il tempo, perché afferra con una manina il mento di Katniss e con l’altra quello di Peeta, con un sorriso beffardo dipinto sul volto. « Adesso vi dovete baciare. »
Tutti restiamo piuttosto perplessi da questa sua affermazione, ma Finn si alza a sua volta e lascia me sola sul divano. « Abbiamo messo il vischio sul lampadario. Quelli sotto il vischio si devono baciare, c’è scritto sul libro. »
« Il tuo libro dice un sacco di stron- »
« Johanna! » La mia voce e quella di Annie si uniscono in un unico ammonimento, che porta un’espressione seccata sul volto dell
’altra donna, ma poi accavalla le gambe distogliendo lo sguardo.
Io alzo la testa per guardare il soffitto e mi rendo conto che effettivamente, c’è del vischio che pende dal lampadario. « Ma- come? »
« Abbiamo usato la scala. » Spiega Pan, e io torno immediatamente a guardare Haymitch, con uno sguardo pericoloso.
« Li hai fatti salire sulla scala? »
Lui si stringe nelle spalle. « C’ero io dietro… »
« Non cambiate discorso! » Finn è di nuovo all’attacco, spinge Katniss verso Peeta, ma la ragazza cattura la testa del bambino sotto il braccio in una presa leggera e lui si divincola, mentre lei non riesce a trattenere un sorriso.
« Andiamo… » Li supplica Pan, mettendo su il suo sguardo migliore. « È Natale! » Sta usando questa scusa un po’ troppo ultimamente. « Per favore… »
Haymitch non riesce a trattenere una breve risata. « Non avresti dovuto insegnargli che con un “per favore” può ottenere tutto quello che vuole, dolcezza. »
Non gli rispondo nemmeno, ormai ho deciso di ignorarlo.
I bambini continuano ad insistere finché i ragazzi non possono non cedere alle loro richieste. Si scambiano un bacio frettoloso e parecchio imbarazzato. So quanto detestino queste dimostrazioni d’affetto in pubblico – ma non posso fare a meno di pensare a quanto siano teneri e carini. I miei due bambini. Non più tanto bambini, ormai…
Pensavo che questo avrebbe fatto calmare Pan e Finn, e invece quello che il primo dice subito dopo mi coglie del tutto impreparata. « Adesso voi due. »
E indica Annie e Johanna.
Le due si guardano per un istante, poi Johanna si rivolge prima a Pan, « Tu stai completamente fuori. » e poi ad Haymitch. « Tuo figlio sta male. »
Ma è Finn a parlare, poi. « Dovete farlo! Siete sotto il vischio… » Si avvicina e aggrappa le ginocchia di entrambe. « Mamma, per favore! »
La cosa che mi colpisce di più è che non ha chiamato mamma Annie, ma Johanna. La donna sembra piuttosto infastidita dalla cosa, e scuote la testa. « Non sono tua madre. » Dal modo in cui lo dice sembra una cosa che ripete quasi quotidianamente – e mi chiedo se vada tutto bene…
« Lo sa. » Le dice Annie, prendendolo in braccio.
Sono distratta da Pan che si arrampica sul divano per aiutare l’amico nell’impresa di convincere le due donne a scambiarsi un bacio sotto il vischio.
Un po’ esasperata, forse anche per qullo che è appena successo, Annie si trova d’accordo ad acconsentire alla loro richiesta e dopo che i due bambini hanno ricevuto minacce un po’ troppo esplicite dall
ex-vincitrice del Distretto 7, anche loro due si scambiano un rapidissimo bacio – con Katniss che distoglie lo sguardo e Peeta che invece sembra volersi mettersi in mezzo. Prima di ricevere un muto rimprovero da parte della moglie, e china la testa arrossendo.
Non oso guardare la reazione di Haymitch, preferisco non sapere.
Mi distraggo un attimo – solo per qualche secondo – ma la mia attenzione un’altra volta viene portata altrove. Questa volta è Johanna a chiamarmi, devo essermi incantata perché mi guarda con un’espressione strana sul volto.
« Cosa? » Le chiedo, confusa mentre lei si alza.
« Non è educato fissare. » Mi prende in giro.
Io scuoto la testa, passando gli occhi sui presenti. « Non stavo fissando! »
« No? » Si esibisce in una mezza risata, prima di scambiare uno sguardo complice con Haymitch. Mi volto verso di lui e noto una luce strana nei suoi occhi – non ho idea di cosa sia, ma non mi piace per niente. « Perché mi sembrava che volessi un bacio anche tu. »
Capisco quello che sta per succedere con un attimo di ritardo ed è inutile infossarsi nel mio posto sul divano. « No. No-no-no! Johanna non ti azzar- » Ovviamente non ascolta nemmeno una delle mie proteste, prima di saltarmi praticamente in braccio afferrandomi per le spalle.
Sento le risate dei bambini – e forse anche quelle di Katniss, non ne sono sicura – fondersi al fischio nelle mie orecchie.
Non vorrei ammetterlo, ma non è così male quanto faccio credere e la odio. Ho la testa e lo stomaco in fiamme per la vergogna mentre le risate non danno alcun cenno di voler smettere. Non ricordo nemmeno l’ultima volta che mi sono sentita tanto in imbarazzo.
Quando con un sonoro schiocco, finalmente, si stacca dalle mie labbra, nei miei occhi c’è una minaccia muta. Questa volta non la passa liscia. « Ti detesto. » È un sibilo fra i miei denti.
Questa notte farà bene a dormire con un occhio aperto, perché giuro che la strangolo e al diavolo l’ospitalità.
« Ammettilo, ti è piaciuto. » Le mie minacce non servono, il suo sorriso maniacale continua ad allargarsi e non accenna a scollarsi di dosso.
« Scendi. » Scandisco quell’unica parola cercando di recuperare quel minimo di dignità che mi resta e con una spinta lei si tira su, dandomi le spalle e tornando a sedere.
Mentre tutti cercando di controllare i loro respiri e di riprendersi, Haymitch si allunga sulla poltrona per colpirmi la caviglia con la punta del piede. « Potreste ripetere da alzate? Da quest’angolo non ho visto molto… »
Gli regalo un sorriso sarcastico, mentre calcio via il suo piede. « Goditi la poltrona, perché stanotte ci dormi. »
Haymitch ha aiutato i bambini a montare il vischio, non so se credere che questo fosse un piano architettato dall’inizio.
Perché quando siamo insieme il loro gioco preferito è “ridicolizza Effie”? Non li sopporto. Tutti… sono uno più infantile dell’altro.
Annie fa scendere Finn e sembra voler dire qualcosa in mio favore, ma si ferma prima di cominciare e il sorriso svanisce dal suo volto, mentre si alza in piedi assieme a Peeta e Katniss, protendendosi in avanti.
Il tempo di girarmi e un grido strozzato sfugge dalle mie labbra, mentre il mio cuore manca un battito.
Un fulmine arancione schizza via dall’albero, che vacilla all’indietro – prima di piombarmi addosso con un tonfo sordo.
Basta. Mai più Natale in questa casa.


A/N: Non lo so. Non fate domande, non lo so. È Natale, io impazzisco in questo periodo.
L’immagine iniziale fa ridere, questo lo so… non sono brava con Photoshop, però apprezzate il tentativo. (?) XD
In questo capitolo l’Hayffie è velato e la cosa mi piace. Per la prima volta mi rivolgo a Pan come “figlio” e non solo bambino, e per la prima volta viene nominato l’amore… xD sto male, sul serio. Compatitemi, è il Natale... non mi fa bene.
Questo capitolo rasenta il limite della crack!fic ma giuro che dal prossimo le cose torneranno tutte normali.
Ho un miliardo di cose in serbo per l’anno 6 e l’anno 7. Succederanno un sacco di cose e tutte molto in fretta. Non vedo l’ora! :)
Questo era l’ultimo aggiornamento prima di Natale.
Non smetterò di scrivere durante le feste, ma prendo qualche giorno di pausa. Non troppo, una settimana credo, forse qualche giorno di più – o di meno se proprio non riesco a stare ferma.
Se volete restare aggiornati > qui < trovate la mia pagina facebook. :3
Volevo come al solito ringraziare tutti veramente di cuore, ogni volta che leggo le vostre recensioni sono la persona più felice del mondo.
A presto e Buon Natale a tutti!!! :D
 

x Lily
 
PS_ In memoria di tutti gli addobbi natalizi distrutti, mordicchiati e mangiati da Melody e Miù, le mie due gatte cattive nell’anima ma senza le quali non potrei vivere.

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Capitolo 27
*** 6x01 Piccoli imprevisti ***









P
etrichor
6x01 Piccoli imprevisti
 
L’acqua calda della doccia mi accarezza la pelle mentre mi insapono i capelli. Credo sia venuto il momento di tagliarli.
Magari potrei anche provare a convincere Haymitch a spuntare i suoi – e a radersi un po’, visto che nelle ultime settimane ha lasciato che la situazione barba diventasse fuori controllo.
Ho sentito Annie qualche giorno fa e ci ha chiesto se volevamo passare le vacanze estive al Distretto 4 con loro; prima di accettare ho voluto comunque chiedere conferma a Katniss. Sua madre vive ancora lì e non volevo prendere questa decisione senza prima parlarne con lei.
So che le due sono rimaste in contatto telefonico anche dopo il matrimonio, ma Katniss non ne parla mai apertamente e io non insisto.
Non ha avuto nulla da ridire, però, quindi fra un mese e mezzo saremo tutti sul treno, per passare l’estate al mare.
Il più contento di tutti credo sia Pan, che non vede l’ora di rivedere Finn.
Mi sono alzata prima del solito questa mattina e voglio restare ancora un po’ sotto la doccia per essere coccolata dal getto
caldo; lo scrosciare dell’acqua che mi tuona nelle orecchie ha un non so che di rilassante.
Poi il getto diventa improvvisamente gelido, senza alcun preavviso – e con un grido e un repentino movimento del braccio, spingo con il gomito la manovella, interrompendo il flusso.
Odio questa vecchia casa.
Mentre cerco di riscaldare le membra intorpidite strofinando i palmi delle mani contro le braccia, esco dalla doccia e avvolgo attorno al corpo un asciugamano e attorno ai capelli un altro.
Forse potrei far arrivare dalla Capitale qualche sapone un po’ più delicato e di qualità superiore. Solo perché mi sono trasferita definitivamente qui non significa che io debba rassegnarmi all’idea di usare uno shampoo economico.
Non mi sorprende che i miei capelli si stiano rovinando.
Di fronte allo specchio, mentre mi lavo i denti, comincio anche la solita ispezione.
Prima era settimanale, ma dopo il mio ultimo compleanno – due mesi fa – è diventata quotidiana. Cerco nuove rughe e nuovi capelli bianchi. Fortunatamente raramente ne trovo. Oggi, però, sono sfortunata e mi sembra che le righe attorno agli occhi si siano inspessite.
Forse oltre ai saponi potrei farmi mandare anche qualche crema.
Con i capelli ancora bagnati, torno in camera e comincio a vestirmi.
Haymitch è ancora a letto – e ci resterà ancora per diverse ore – ma è sveglio e segue con occhi pigri ogni mio movimento.
« Devi chiamare Thom per sistemare il tetto. » Gli dico, infilandomi un paio di orecchini e guardandolo attraverso lo specchio di fronte a me. Metto giusto un paio di gocce di profumo sui polsi e dietro le orecchie, poi comincio a selezionare dei cosmetici.
È da un po’ che ho ripreso a truccarmi, non eccessivamente, giusto per nascondere le imperfezioni che aumentano ogni giorno di più sul mio viso.
Dormo male, mangio poco e sono sempre nervosa… e la mia pelle ne risente.
Ma è un brutto periodo al Palazzo di Giustizia, la mia scrivania è sempre piena di carte da leggere e firmare, e da documenti da controllare.
E poi se voglio passare l’estate con la mia famiglia, al Distretto 4, devo portarmi avanti col lavoro – altrimenti sarà un disastro e non potrò godermi veramente la vacanza.
Haymitch si volta dandomi le spalle, portandosi le coperte fino al collo, rispondendomi che dopo ci penserà lui.
Roteando gli occhi, rimetto tutto in ordine e prendo ad asciugare un po’ i capelli, prima di tirarli su in un elegante – e pratico – chignon.
Svegliare Pan è molto più facile, mentre lui si veste io preparo la colazione per tutti e tre. Mangio velocemente, lasciandolo in cucina e metto da parte la colazione per Haymitch assieme ad un sandwich per il pranzo nel caso dovessi fare tardi.
Riempio la ciotola di Pumpkin di croccantini, e poi esco assieme a Pan, tirandolo per un braccio quando lui vuole andare a vedere le oche – è già tardi, dovrebbe essere a scuola.
Fuori c’è Peeta che si prepara ad andare in panetteria; ci offre un passaggio e per una volta accetto volentieri. Mentre siamo sul suo furgone gli chiedo io di passare da noi più tardi, per controllare il tetto. Ogni volta che piove, l’acqua comincia a filtrare da qualche parte e ci allaga il salotto.

Al lavoro la giornata non è diversa dalle ultime settimane, e per le tre del pomeriggio ho finito.
Mentre aspetto che Pan esca da scuola, mi fermo un po’ a parlare con Nelly e Flux – ormai è diventata un’abitudine. Non so esattamente se diamo diventate amiche, perché quello che ho con loro è un tipo di rapporto che non avevo mai sperimentato prima.
Le amiche che avevo alla Capitale erano diverse da loro – e per quanto consideri Annie e Johanna mie amiche, in loro due c’è qualcosa di diverso, abbiamo condiviso momenti che ci legano ad un livello superiore.
Ma loro due – Flux e Nelly – mi piacciono. Mi diverto con loro, e chiacchieriamo di argomenti più o meno seri. Ogni tanto ci incontriamo anche, qualche volta a casa mia, qualche volta da loro. È una bella sensazione avere qualcuno con cui confrontarsi e parlare, non lontano da casa.
Ci salutiamo poco dopo, mentre torno con Pan verso casa, a piedi.
Già mentre entriamo nel Villaggio dei Vincitori, sento che c’è qualcosa che non va.
In genere è tutto calmo e silenzioso, invece adesso c’è un brusio continuo di gente che borbotta agitata.
Preoccupata, mi chino e prendo in braccio Pan con un lamento – lo faccio istintivamente, quasi non me ne accorgo.
La paura si intensifica passo dopo passo, quando mi rendo conto che le persone si affollano nei pressi di casa nostra.
« Che succede, mamma? » Il bambino non nasconde la sua preoccupazione, mentre i suoi occhi vagano nella direzione della folla, allungando il collo.
Gli porto una mano alla testa e la tengo premuta contro il mio collo, con fare protettivo. « Non lo so. » Gli rispondo, mentre un miliardo di scenari catastrofici si susseguono davanti ai miei occhi, come se fossero reali.
Potrebbe essere successo di tutto, mi dico.
Haymitch potrebbe essersi sentito male.
Peeta potrebbe aver avuto un episodio ed aver ferito Katniss nel mentre.
Katniss potrebbe essersi fatta male mentre era a caccia.
Forse era stata attaccata da un animale selvatico.
Cerco volti familiari in tutte le persone che si voltano verso me e Pan, ma non trovo nessuno e questo non fa altro che agitarmi di più. Dove sono?
Non posso correre con Pan in braccio, ma se potessi lo farei.
Ignoro il solito starnazzare, quando mi avvicino a casa. Forse Haymitch è stato beccato da una di quelle maledettissime oche.
Sento due braccia afferrarmi per le spalle e mi volto sgraziatamente, con gli occhi sbarrati dalla paura.
Peeta fa un passo indietro, forse intimorito dal mio sguardo spaventato.
« Che è successo? » Gli chiedo immediatamente. Sono felice di vederlo, almeno so che lui sta bene, ma il modo in cui mi guarda può voler dire solo una cosa.
« Niente di grave. » Si affretta a dirmi, mentre faccio scendere Pan e lo prendo per mano.
Il ragazzo mi fa cenno di seguirlo e senza esitare lo faccio.
« Peeta, » Cerco di incitarlo; siamo accanto al suo furgone, mi apre lo sportello posteriore per far salire Pan. Io lo sollevo e lo faccio sedere sul sedile, prima di allacciargli frettolosamente la cintura di sicurezza.
Mi arrampico sul sedile del passeggero e mi tiro dietro lo sportello.
Dopo aver messo in moto, Peeta finalmente si decide a parlare, gettando un’occhiata a Pan – attraverso lo specchietto retrovisore. « Haymitch è caduto dal tetto. Ma sta bene. Sta bene. » Ripete, più convincente, quando mi volto verso di lui spaventata.
È come se il mio cuore stesse cercando di schizzarmi via dal petto. Guardo di fronte a me, inspirando piano e la strada mi sembra che si stia allungando.
« Katniss è con lui adesso. » Continua a parlare, probabilmente per non lasciare che cada un silenzio imbarazzante che mi farebbe solo preoccupare di più.
Vorrei poter chiudere gli occhi, respirare lentamente e cercare di tranquillizzarmi – invece mi sporgo all’indietro, oltre il mio sedile e accarezzo il ginocchio di Pan con un sorriso che spero sia convincente. « Va tutto bene, tesoro. Hai sentito lo zio Peeta? » Lui annuisce, è un po’ pallido e io mi sento molto peggio.
Sono costretta a tornare seduta composta. Mi porto una mano alla fronte, sto sudando. Combatto contro la nausea che mi stringe lo stomaco. « Come? » Chiedo alla fine, mentre Peeta si addentra in una zona del Distretto che non credo di aver mai visitato.
Il ragazzo lancia un’altra occhiata al bambino e mi chiedo se ci sia qualcosa che non possa dire. Comincio a sentire gli occhi che pizzicano di lacrime, ma mi sforzo e le caccio dentro.
Peeta mi stringe una mano, questo suo gesto mi calma inspiegabilmente e riesco a respirare un po’ più normalmente.
Riporta la mano sul volante, prima di parlare – con la voce leggermente incerta. « Ero passato dopo il lavoro per sistemare il tetto, ma ha detto che ci pensava lui… »
« Lo uccido. » È un sussurro, e dovrebbe essere solo per me – preferirei che Pan e Peeta non avessero sentito, ma non è così.
Il ragazzo mi sorride, mentre mio figlio rimane in silenzio.
Che diavolo gli è saltato in mente? Poteva ammazzarsi, poteva rompersi il collo. Basta solo questo pensiero e il cuore torna a martellarmi nel petto.
Scuoto la testa, cercando di allontanare l
’idea e mi volto di nuovo verso Peeta. « Perché non lo hai fermato? »
Dal suo sguardo capisco che si sente in colpa e improvvisamente mi dispiace di averglielo chiesto. « Ci ho provato, Effie. Sul serio – non ha voluto sentire ragioni. »
Sospiro, sapendo quanto possa essere cocciuto Haymitch quando ci si mette.
« Ha detto- » Comincia di nuovo il ragazzo, prima di fermarsi. Sembra pensarci un attimo, prima di continuare con un’espressione strana sul volto. « Ha detto che ti lamenti sempre che non fa nulla in casa e voleva fare lui questa volta. »
Distolgo lo sguardo, sentendo un groppo in gola. « Oh, splendido! » La mia risata nervosa risuona all’interno del veicolo. « Quindi adesso è colpa mia. »
« Non ho detto questo. » Si affretta a specificare, ma sorrido amaramente, rivolta al finestrino in modo che nessuno mi veda.
« Tu no, ma lui lo farà. »

L’ospedale del Distretto 12 è praticamente identico a quello che c’era al Distretto 13. O forse sono io che li vedo tutti uguali, ormai.
Anni fa, non sono nemmeno sicura che questo posto esistesse.
Per quanto ne so potrebbe essere stato tirato su dal nulla, dopo la guerra. Uno degli obiettivi principali del nuovo governo è sempre stato l’uguaglianza fra i Distretti. E nonostante ci siano ancora molte differenze, la distanza si è notevolmente accorciata.
Volti assolutamente anonimi mi passano di fianco, mentre tengo stretta la mano di mio figlio e seguo Peeta a testa alta.
Prima di vederlo sento la sua voce.
Sta urlando qualcosa ma non riesco a capire cosa. Quello che mi sorprende è che un’altra voce gli risponde, urlandogli contro. È Katniss e sembra piuttosto arrabbiata.
Io e Peeta ci scambiamo uno sguardo preoccupato e poi affrettiamo il passo. Sappiamo dove andare – basta seguire le grida.
Arriviamo appena in tempo per vedere un infermiere sollevare di peso Katniss per farla uscire da una stanza, e lei se lo scrolla di dosso, prima di vederci.
Punta dritta verso di me con gli occhi spiritati. « Quell’idiota si ammazzerà! » Ringhia, poi i suoi occhi cadono su Pan e borbotta delle scuse.
Io decido di lasciare il bambino con Peeta, e raggiungo Katniss, poggiandole una mano sul braccio. Non credevo si sarebbe preoccupata così tanto.
« Il dottore ha detto che se non la smette di bere morirà e a lui non sembra nemmeno importare. » Torna a guardarmi ma stavolta rimango ferma, con uno sguardo confuso dipinto sul volto. Ma di che sta parlando?
« Credevo- credevo che fosse caduto dal tetto… » Balbetto, cercando di capirci qualcosa.
Sul viso di Katniss sembrano passare una serie di emozioni. Per un attimo riflette anche la mia stessa confusione, poi si rilassa. « Sì, sì. Si è rotto un polso, ma sopravviverà – cosa che invece non farà se continua ad ubriacarsi. »
È ancora visibilmente scossa, ma riesco a cavarle qualche informazione. Haymitch non era del tutto sobrio quando è salito sul tetto e una volta arrivato qui, oltre a sistemargli il polso, gli hanno anche fatto dei controlli generali.
A quanto pare i suoi reni se la passano abbastanza male – chissà perché ma la cosa non mi sorprende affatto.
Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, solo speravo ci avrebbe messo un po’ più tempo.
Do a Katniss il compito di tornare a casa e di svuotare l’armadietto dei liquori – dicendole che troverà la chiave nel cassetto del mio comodino – poi mi accerto che Pan stia ancora con Peeta e finalmente mi lasciano entrare.
Haymitch è seduto su un lettino; sta ancora litigando con il medico in piedi di fronte a lui – con due infermiere che stanno cercando di sistemargli il tutore attorno al braccio –  riesco ad intuire dagli stralci di conversazione che sento, che si sta categoricamente rifiutando di assumere i medicinali che gli sono stati prescritti, ma quando la porta si chiude alle mie spalle e i nostri occhi s’incontrano, si zittisce immediatamente, distogliendo lo sguardo con fare colpevole.
Sospiro, rivolgendomi direttamente al dottore, mentre mi avvicino. « Se non è un problema, può parlare con me di tutto. Mi assicurerò che prenda le medicine. » La mia voce è stanca; solo a guardarlo – e a sentirlo litigare con chiunque cerchi di avvicinarsi troppo – riesco a capire che sta bene. Almeno in apparenza, e almeno per ora.
Il dottore mi guarda un attimo perplesso, poi le sue mani si stringono attorno alla cartellina che sta reggendo. « Beh, se è un parente non c’è alcun problema. »
La risposta comincia automatica, « Sono sua- » e poi mi fermo, incerta. Sono la sua cosa, esattamente? Non siamo sposati e di certo non sono la sua fidanzata.
Il dottore continua a fissarmi, in attesa. Possibile che non sappia chi sono? Insomma chiunque in questo Distretto conosce il mio nome. Ma non tutti conoscono la mia faccia, ormai…
A salvarmi è la porta che si apre e Pan che si fionda sul letto di Haymitch, saltandogli in braccio e gettandogli le braccia al collo.
Haymitch stringe gli occhi in un’espressione di dolore, ma ricambia l’abbraccio. « Piano, ragazzino. Mi fa male. » Lo rimprovera, ma non c’è severità nella sua voce.
Subito dopo la testa di Peeta spunta dalla porta, un po’ imbarazzato. « Scusami, Effie. È scappato e non sono riuscito a riprenderlo. »
Con un sorriso gli faccio cenno di non preoccuparsi, mentre rimane fermo sulla soglia – prima di decidere di entrare.
Torno a guardare il dottore, che sbatte le palpebre confuso dalla velocità degli eventi, poi sembra che un lampo gli attraversi gli occhi e si raddrizza. « Oh. Miss Trinket, mi dispiace non l’avevo- senza… » Prende un profondo respiro, guardando di sottecchi Haymitch, e credo di leggergli un po’ di timore negli occhi, prima di riprendere a parlare. « Comunque! Prego, mi segua così potremo parlare più tranquillamente. »
Lascio la stanza senza con una maschera inespressiva sul volto e torniamo in corridoio.
Qui mi spiega la situazione di Haymitch. Non è critica, ma se non vuole che lo diventi, dovrà smettere di bere definitivamente e seguire la cura che gli è stata prescritta.
Secondo il dottore il polso guarirà in otto settimane o giù di lì; non è questo quello che mi preoccupa.
Haymitch ha già provato a smettere di bere… non ha mai funzionato, non fino in fondo.
Ora le cose sono diverse, però. Ha già ridotto molto le dosi, forse questa è la volta buona.

Le prime settimane trascorrono in fretta e senza troppi intoppi – gli antidolorifici che prende per il polso rotto sostituiscono perfettamente gli alcolici.
I problemi cominciano ad arrivare quando deve smettere di prenderli. Comincia ad andare in astinenza – non come l’ultima volta, ma riesco a vederlo.
Tenta di tenerlo nascosto, per Pan, forse per me – o per entrambi. Non lo so.
Quello che so è che mi fa male vederlo in questo stato, ma per il suo bene non mollo e nemmeno lui lo fa.
Sono sinceramente speranzosa.

 
A/N: Salve!
Eccoci qua. Tutto tornato normale. La mia follia natalizia è finita e sono tornata la solita, vecchia, perfida me. :D
Un paio di cose da dire. Effie non è veramente così vecchia come crede, ma essendo il suo punto di vista, lei si vede così.
E Haymitch, beh era ora che smettesse definitivamente di bere. Non poteva andare avanti in questo modo senza conseguenze e di certo non voglio che stia male! Fate il tifo per il nostro ex-mentore!! XD

Ora, in condizioni normali un polso rotto e la situazione dei reni di uno che beve da più di trent’anni non dovrebbero essere facilissime da curare. Però stiamo parlando di Panem. Insomma credo che in tutto quel tempo la medicina abbia fatto passi da gigante, se non nei Distretti almeno nella Capitale, e ora stanno cercando di parificare le condizioni della nazione.
Comunque, ho mille cose in serbo per questo sesto anno, e anche per quello che verrà.
Vedrete, vedrete… le cose stanno per cambiare – di nuovo.
Grazie mille a tutti, alla prossima e ancora buone feste!
 

x Lily

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Capitolo 28
*** 6x02 Temporali ***




6x02 Temporali
 
L’estate al Distretto 4 la ricordavo decisamente diversa.
Una fitta pioggia è caduta dal cielo tappezzato di nuvoloni neri fino a questa mattina.
Fa piuttosto freddo, ma fortunatamente oltre ai leggeri vestiti estivi ho portato anche qualche maglione.
Seduta su una sedia del balcone della cucina, mi godo il meraviglioso spettacolo davanti ai miei occhi: onde altissime si scagliano contro la scogliera e riesco a vedere i riccioli di spuma marina che schizzano in ogni direzione – nonostante io sia piuttosto lontana e piuttosto in alto, rispetto al livello del mare.
L’oceano si è alzato a causa della pioggia incessante; le onde hanno divorato gran parte della spiaggia e il bagnasciuga si è ridotto a poco più di una strisciolina di sabbia.
Se dovesse riprendere a piovere così, il mare arriverà alle porte del terrazzo principale, sul retro della casa – dove in teoria passavo tutti i miei pomeriggi estivi, quando mi ospitavano qui.
Annie ha detto che se dovesse succedere, non sarebbe un grosso problema, visto che hanno la possibilità di innalzare una specie di barriera antipioggia – che di solito usano quando c’è alta marea.
Nonostante la bellezza del panorama, c’è qualcosa che manca. Ha appena smesso di piovere e l’unico odore che riesco a sentire è quello della salsedine. S’infiltra nelle mie narici e oscura tutto il resto. Si attacca alla mia pelle, ai miei vestiti e ai miei capelli, prepotentemente.
Non c
ero più abituata.
Mi manca l’odore della terra bagnata dopo ogni pioggia al Distretto 12. Petricor. Una delle cose che preferisco, l’odore di casa.
Da quassù riesco a vedere Katniss e Peeta – sono seduti l’uno accanto all’altra sulla spiaggia, stanno parlando ma ovviamente sono troppo lontani. Poi Peeta solleva la testa verso il cielo ed allunga una mano. Forse sta ricominciando a piovere.
Anche Katniss alza lo sguardo, imitando poi lo stesso gesto di Peeta. Si alzano, e si avviano verso casa tenendosi per mano. Non riesco più a vederli, probabilmente sono rientrati.
Qui c’è la tettoia che mi ripara e non tira un filo di vento, ma non passa nemmeno un minuto e un lampo squarcia il cielo – seguito immediatamente da un tuono e la pioggia comincia a cadere copiosamente.
Quanto durerà ancora?
Mi alzo e torno dentro casa, assicurandomi che la finestra sia ben chiusa. Pan detesta i temporali, voglio assicurarmi che stia bene.
Purtroppo il temporale non è solo fuori le mura di casa, ma anche all’interno.
Finn è confuso, molto confuso. Già da mesi ormai continua a chiamare
 mamma Johanna. Sia lei che Annie gli hanno spiegato che lei non è sua madre, e il bambino dice di saperlo, ma non gli interessa, vuole continuare a chiamarla in questo modo.
Johanna non è per niente entusiasta della cosa.
Annie non è troppo preoccupata per il figlio, ma lo è per l’amica. Crede che a Johanna dia ancora più fastidio di quanto stia già facendo notare e teme che questo possa causare problemi in casa.
Lei non si apre con nessuno, né con Annie, né con Haymitch, né tantomeno con me. Vorrei sul serio essere d’aiuto, per tutto quello che hanno fatto quando ero io ad averne bisogno, ma non so assolutamente cosa fare e questa sensazione di impotenza mi sta uccidendo.
Mentre lascio la cucina, Pan mi viene incontro – evidentemente mi stava cercando.
Cerco di rassicurarlo ma c’è poco da fare; restiamo insieme, andiamo in salotto e ci sediamo su un divano. Lui si siede in braccio a me, gli accarezzo la testa e lo osservo intenerita.
Quando si calma, in salotto ci raggiungono Johanna, Katniss e Peeta.
Si siedono con noi e come al solito cominciano le solite lamentele sulla pioggia. Andiamo avanti così da giorni… l’argomento principale di tutte le conversazioni sono sempre i temporali.
Quanto dureranno, quando tornerà il bel tempo, il sole, il caldo.
Stare otto sotto lo stesso tetto – nonostante la casa sia grande – è complicato. La privacy e lo spazio personale sono ridotti all’osso.
Pan e Finn dormono nella stessa stanza, io e Haymitch dividiamo una camera da letto e Katniss e Peeta ne dividono un’altra adiacente alla nostra.
È inutile dirlo, ma queste vacanze non sono affatto come me le ero immaginate.
Dopo un po’, li lascio da soli e vado di sopra. Sto cercando Haymitch.
Sta un po’ meglio, ma la noia non aiuta. In giornate come queste, passerebbe tutto il tempo – o quasi – a bere. Invece adesso non può farlo e sono preoccupata per lui.
So quanto impegno ci sta mettendo a restare sobrio – non l’ho mai visto provarci così tanto, e ancora una volta, vorrei poter essere d’aiuto e non so come.
Mi sento incredibilmente impotente.
Arrivo fino alla camera da letto, sto per bussare ma un rumore improvviso mi ferma – vetro che si infrange contro qualcosa.
Afferro la maniglia e la giro, spingendo con forza.
Dentro c’è Haymitch, in piedi accanto al letto che respira faticosamente. I suoi occhi si fermano su di me, sono come ricoperti da un velo, e per un attimo temo non mi abbia riconosciuta.
Conosco quello sguardo – si è appena svegliato da un incubo.
Per terra sono sparsi ovunque i cocci della lampada rotta, non so se l’ha lanciata lui o se è semplicemente caduta mentre si alzava.
Mi si stringe il cuore e delle lacrime si formano ai lati dei miei occhi. Non so cosa darei per non vederlo in questo stato, ma non posso farci niente.
Gli vado incontro, anche se non dovrei, facendo sbattere la porta. Dovrei aspettare che si calmi, che sia sicuro avvicinarsi. Ma mi fido di lui ormai, so che non mi attaccherà.
Si volta e mi dà le spalle, ma non gli serve a molto. Lo cingo da dietro, allacciandogli le braccia attorno al busto e poggiandogli la testa contro le scapole – è troppo alto perché possa poggiargliela sulla spalla.
Non si allontana dall’abbraccio e dopo poco sento che i muscoli si rilassano sotto la mia presa. Il respiro si regolarizza e una mano callosa e un po’ tremante copre la mia, accarezzandone il dorso con il pollice.
« Grazie. » Borbotta e la sua schiena vibra piacevolmente contro il mio orecchio.
Sorrido, più tranquilla e lo incito a girare su se stesso, in modo che possa allacciarli le braccia al collo e poggiargli un bacio sulle labbra – senza smettere di sorridere. « Non c’è di che. » Gli rispondo, quando ci separiamo.
Lui mi guarda per un istante, i suoi gelidi occhi grigi sono riscaldati da una luce diversa. Non più velati; e si china di nuovo su di me, per baciarmi ancora.
Gli faccio scorrere una mano sul petto – fino all’altezza del cuore. « Stai facendo un ottimo lavoro. » Incoraggiarlo a continuare per questa strada è l’unica cosa che posso fare.
Anche se credo che lui mi abbia trovato un’altra utilità. Sono due le cose che può fare per non bere: dormire e distrarsi.
Dormire senza l’aiuto dell’alcool gli causa ancora incubi terribili, e io sono la sua distrazione.
Non faccio troppe storie quando mi spinge per farmi camminare all’indietro finché non inciampo nel letto e lui atterra sopra di me. Cercando di non ridacchiare troppo, ci scambiamo baci veloci.
Faccio velocemente mente locale – Johanna, Katniss e Peeta sono di sotto con Pan. Annie e Finn probabilmente sono nella sua stanza o in quella del bambino, una è in fondo al corridoio e l’altra al piano superiore.
Forse abbiamo qualche minuto.
Poi qualcuno bussa alla porta.
La testa di Haymitch finisce sulla mia spalla con un grugnito, e un’imprecazione. È da quando è cominciata la pioggia che non riusciamo a stare soli dieci minuti in questa casa affollata.
« Effie? » Stranamente è la voce di Johanna che mi chiama. Mi separo da Haymitch e torno in piedi, stando attenta a non calpestare i cocci di quella che un tempo era la lampada.
Apro la porta, sistemandomi un po’ i capelli.
Gli occhi di Johanna vagano per la stanza, fermandosi prima su di me, poi sui cocci per terra e su Haymitch ancora a letto, e ci lancia un’occhiatina sfacciata.
Io schiarisco la voce, posizionandomi in modo tale che tutto ciò che è all’interno della stanza sia coperto dalla mia figura. « Come posso aiutarti? »
La donna torna a guardare me, questa volta nei suoi occhi non c’è malizia, ma uno sguardo strano. « Volevo chiederti una cosa, ma se hai da fare posso passare più tardi. »
Johanna che vuole parlare con me di sua spontanea volontà è un evento più unico che raro. Mi volto a guardare Haymitch, con una domanda muta negli occhi. Lui solleva una mano con una smorfia e mi fa cenno di andare. Sillabo un “grazie” insonoro, poi lascio la stanza, chiudendomi la porta alle spalle.
Raggiungiamo la sua stanza, si rifiuta di parlare prima.
Una volta dentro, va a sedersi sul letto e incrocia le gambe.
Mi guardo intorno – ora che ci penso è la prima volta che ci entro. La camera è spaziosa, ha una grossa finestra che dà sul mare ma è tutta sottosopra.
Ci sono vestiti sul pavimento e il letto su cui è seduta Johanna è sfatto. Sembra più la stanza di una quindicenne che di una ventottenne.
Prendo una sedia che sembra fare da appendiabiti e dopo aver spostato tutti i vestiti che c’erano sopra, mi siedo. « Allora? » Le chiedo, con un po’ di impazienza nella voce. Non voglio metterle fretta, ma sono genuinamente curiosa.
Johanna non risponde subito, guarda fuori dalla finestra e poi sembra decidersi. « Allora forza! » Allarga le braccia, guardandomi come se si aspettasse qualcosa da me. Quando vede che non capisco, sbuffa calando le spalle e portando gli occhi al cielo, annoiata. « Continui a chiedermi se voglio parlare di quello che sta succedendo, beh forza, illuminami – perché non so più che cosa fare e se hai qualche idea, condividila col resto della classe. » Adesso comincio a capire, ma questo non facilita la situazione. Io non ho nessun suggerimento, qualche cosa nei miei occhi deve tradirmi, perché Johanna fa per alzarsi. « Ho capito, sei inutile. Non fa niente, cretina io che ci ho anche provato. »
« No, no! Aspetta. » La fermo, sollevando una mano e impedendole di muoversi. Lei torna a sedersi, guardandomi in attesa e io mi sistemo sulla sedia. Improvvisarmi psicologa non credo sia un’ottima idea – però forse posso improvvisarmi amica. « Mi hai detto che Finn continua a chiamarti mamma, ma che sa perfettamente che non lo sei. » Lei annuisce, evidentemente infastidita. « Forse dovresti lasciarlo fare. »
Johanna si lascia scappare un lamento, poi si alza e mi costringe a fare lo stesso. « Va bene, basta. Non sta funzionando. »
La fermo, impedendole di spingermi via. « Aspetta, ascoltami. » Lei smette di allontanarmi, ma nei suoi occhi c’è una minaccia non tanto velata. Non mi piace per niente. « Non credo sia confuso, credo sia solo un bambino di appena sei anni che ti vuole così bene da considerarti una seconda madre. » Le dico, ma non vedo cambiamenti nel suo sguardo. « Insomma lo hai cresciuto assieme ad Annie, vivete insieme da tutta la sua vita- »
Johanna mi ferma e il suo sguardo mi preoccupa. « No, no. È questo il problema! »
La guardo del tutto spaesata, senza capire a che cosa si stia riferendo.
« Come la prenderebbe se decidessi di andarmene? »
Tutto quello che avevo pensato prima viene spazzato via in una frazione di secondo e solo una cosa resta. « Vuoi andartene via? » Le chiedo, quasi spaventata.
Una cosa del genere avrebbe un impatto terribile, non solo sul piccolo Finn ma anche su sua madre, non ho alcun dubbio.
Johanna scuote la testa, seccata. « No, non ho detto questo. Ho detto se. Se decidessi di andarmene. » Ripete, soffermandosi molto su quella sillaba che sembra fare una grossa differenza, ma che alle mie orecchie ha poco potere.
Respiro profondamente, chiudendo gli occhi e massaggiandomi la fronte – sento un principio di mal di testa e so che sarà terribile. « Ne hai parlato con Annie? »
« No. » Risponde subito lei, e in quella parola sento un misto di paura e vergogna. « Ma questa non è casa mia. Insomma vivo qui da quasi sei anni, ma non è casa mia. Sono un’ospite, per quanto posso andare avanti così? »
Purtroppo conosco fin troppo bene quello che sta provando – è quello che ho provato io finché non mi sono trasferita definitivamente a casa di Haymitch.
È una sensazione orribile, non posso darle torto se vuole porvi fine. Ma non credo che andarsene di qui sia la scelta migliore.
« Johanna, credo sul serio che tu debba parlarne con Annie – non con me. » Non voglio sembrare scortese, ma non posso consigliarle nulla su un argomento così delicato. Le loro tre vite – di Annie, Finn e Johanna – ormai sono intrecciate per sempre. Se lei si dovesse allontanare, non so come potrebbero prenderla gli altri due.
La donna sembra rifletterci su a lungo; quando annuisce e mi dice di andare non c’è rancore nei suoi occhi, nonostante non abbia fatto assolutamente nulla, credo di averla aiutata anche se minimamente. Se deciderà di parlare con Annie, sarà sicuramente un passo avanti.
Devono chiarirsi; non credo che Johanna voglia veramente andarsene. Come me, vuole solamente capire dove appartiene veramente. Già prima della guerra non aveva molto, ma dopo ha perso tutto.
Mentre cammino lungo un corridoio, mi rendo conto che improvvisamente sento su di me la stanchezza di un’intera giornata – nonostante non sia nemmeno mezzogiorno.
È in momenti come questo che vorrei tornare sotto le coperte, a letto, e non alzarmi per ore e ore.
E sto per farlo, ma poi c’è un lampo e il rombo di un tuono. Pan mi chiama, e la stanchezza sparisce, mentre mi affretto per arrivare da lui.

 
A/N: Salve!
Questo capitolo era pronto da un po’ e dovevo pubblicarlo domani, ma siccome ho scoperto che forse partirò, ma non so quando e non so per quanto, ho preferito metterlo ora.
Il prossimo – anche quello quasi pronto – lo metterò appena possibile.
Spero di non essere andata troppo OOC con Johanna; ormai mi sono affezionata ai loro personaggi e volevo trattarli un po’ più approfonditamente, almeno per un po’.
Per esperienza personale, ho cercato di rendere al meglio la sensazione di oppressione in una casa affollata durante un’estate piovosa.
Poca privacy, possibilità di momenti intimi pari a zero. Ognuno li ruba come può…
A proposito di esperienza personale, io cerco sempre di sfruttarla quando scrivo – me la cavo con ansia e attacchi di panico, ma quando si tratta di astinenza purtroppo (o forse per fortuna) non ne so nulla. Spero di essere stata credibile… molto a breve dovrò trattare di un’altra cosa di cui non so assolutamente nulla e la cosa mi terrorizza, ma per il momento non mi fascio la testa.
Nel prossimo capitolo mi soffermerò su temi diversi, spero che questo vi sia piaciuto!
Non so se aggiornerò prima della fine dell’anno, quindi volevo augurare a tutti un buon anno nuovo!
Ci sentiamo presto, grazie mille a tutti! :)
 

x Lily

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Capitolo 29
*** 6x03 Visita in ospedale ***


 

6x03 Visita in ospedale
 
Sole e caldo sono finalmente arrivati – a metà luglio, e al momento sono in spiaggia, a qualche passo da casa, con il telefono premuto contro l’orecchio.
Sto parlando con Anita e ho già parlato con Alex. È il giorno del loro compleanno e non potevo non chiamarli per fare loro gli auguri.
Mi assicuro che i loro regali siano arrivati a destinazione e loro mi dicono che vorrebbero venirmi a trovare, la prossima primavera magari. Vogliono conoscere Pan; ne sarei felicissima.
Non ho ancora parlato con Allie dopo l’ultima telefonata, ma grazie ai gemelli so che sta bene.
Ha trovato un lavoro e sanno che sta vedendo qualcuno, anche se non l’hanno mai incontrato.
Sono felice per lei – e mi dispiace aver troncato in questo modo i rapporti, ma non sono io ad aver sbagliato. Lei aveva bisogno di tempo per capire, se non lo ha ancora fatto, allora vuol dire che non è ancora pronta per tornare a far parte della mia vita.
Quando capirà il suo errore, se vorrà farlo, sarò felice di riaccoglierla a braccia aperte.
Non ho più parlato come si deve con Johanna riguardo la sua indecisione sul restare o meno, ma lei sembra aver deciso di restare, per ora.
Annie mi ha detto che hanno parlato a lungo, e si sono chiarite. Non ho voluto fare troppe domande, perché – nonostante la curiosità – sono comunque affari loro; non ho il diritto di impicciarmi. Certo, se vorranno (se vorrà Annie) sarò sempre qui per ascoltare.
La situazione di Haymitch non è cambiata molto. Questa mattina, però, lui, Finn e Peeta sono scesi a mare – stanno cercando di insegnare a Pan a nuotare. L’impresa sembra ardua.
Quando aggancio il telefono, mi volto per assicurarmi che la porta che dà sul terrazzo – l’unica che ci permette di raggiungere direttamente la spiaggia – sia chiusa. Pumpkin ha già provato a scappare un paio di volte da quando è tornato il bel tempo. Una volta rassicurata, raggiungo la riva del mare – dove anche Annie è seduta a godersi lo spettacolo.
La vedo infinitamente più serena rispetto a qualche settimana fa, non so se sia merito del chiarimento con Johanna o meno, ma ne sono felice.
Gli occhi le si assottigliano e le sue risate riempiono l’aria, mentre non perde di vista il gruppetto in acqua.
Peeta sta tenendo a galla Pan, facendogli poggiare la pancia sulle sue braccia. Haymitch è a mezzo metro da loro, con l’acqua che gli arriva alla vita – e non posso fare a meno di notare che nonostante gli anni e il poco esercizio, sia ancora molto attraente.
Sta praticamente urlando suggerimenti al bambino; ed è di questo che ride Annie.
Pan non riesce nemmeno a stare a galla, e lui continua a dirgli di muovere braccia e gambe – mentre Finn s’immerge e riemerge dall’acqua come un delfino. O uno squalo, visto che continua a girare intorno a lui e Peeta.
Le uniche due assenti all’appello sono Johanna e Katniss. La prima non aveva voglia di uscire, ed è rimasta dentro; la seconda oggi non si sentiva molto bene a detta di Peeta, ed è ancora a letto.
Alla fine Haymitch smette di dare consigli e scende in acqua fino all’addome, dove caccia il ragazzo dicendogli che non è capace e comincia a spiegare di persona le tecniche a Pan – finendo inevitabilmente per limitarsi a giocare in acqua con i due bambini.
Se quello che stanno facendo può essere considerato giocare, visto che principalmente è solo vittima di assalti subacquei da parte di Finn e Pan si è agganciato a lui come una scimmia, senza dare cenno di volersi staccare.
Sono veramente grata di questa mattina, perché le ultime settimane sono state pesanti e stressanti. È il primo giorno che vedo Haymitch veramente più rilassato. Ho paura che non durerà a lungo.
Nonostante il sole, continuo a non godermi la vacanza.
Ora che so che Johanna non lascerà il Distretto a breve, sono un po’ più serena – ma Haymitch continua ad avere alti e bassi. Solo perché in questo momento è a mare con i bambini non significa che fra un’ora non sarà di nuovo in camera a prendere a pugni la parete; e anche se non me lo chiederebbe mai apertamente, so che vorrebbe che gli prestassi più attenzioni.
Ma Katniss negli ultimi giorni è sempre più nervosa e questo ha effetto su Peeta, che ora sta cercando un po’ di distrarsi.
Non ho ancora voluto affrontare l’argomento con loro, e mi sento terribilmente in colpa.
Ho appena finito di preoccuparmi per Annie e Johanna, Haymitch ha incubi quasi tutte le sere e mi tiene sveglia, senza contare che in questo stato non può essermi troppo d’aiuto con Pan – non posso, non riesco ad occuparmi di tutti. Vorrei potercela fare…
Katniss e Peeta discutono ogni sera da qualche giorno; riesco a sentirli, pur non capendo quello che si dicono – la parete che divide le nostre stanze è sottile, ma non abbastanza.
Decido di lasciar trascorrere l’intera mattinata e dopo pranzo mi rendo conto di aver veramente bisogno di dormire.
Pan e Finn sono in acqua dopo nemmeno un’ora dopo aver lasciato la tavola – sotto gli occhi vigili di Annie e Peeta.
Mentre salgo le scale vedo Haymitch e Johanna sul divano che parlottano animatamente fra loro, e credo che Katniss sia ancora in camera sua. Non l’ha lasciata nemmeno per pranzare. Comincio a credere che stia veramente poco bene.
Sono tentata di andare a controllare di persona, ma poi decido di lasciarla in pace e di andarmi un po’ a stendere. Se non dormo molto la notte, mi conviene recuperare quando posso.
Non ho nemmeno raggiunto la metà del corridoio che la porta della camera da letto di Peeta e Katniss si apre, e la ragazza esce con fare tranquillo.
Io mi fermo. Lei si ferma, e per un istante ci guardiamo perplesse.
L’istante successivo lei mi rivolge un sorriso debole, e uno sguardo incerto.
La conosco a sufficienza per sapere che vorrebbe chiedermi qualcosa ma non ha il coraggio di farlo.
Non posso rimanere indifferente anche a questo. Credo che non dormirò mai più. « C’è qualcosa che non va? » Le chiedo gentilmente e lei distoglie lo sguardo.
Poi torna a guardarmi e annuisce. « Veramente stavo venendo a cercarti. »
Sorrido un sorriso entusiasta e inspirando gonfio il petto andando verso di lei, forse un po’ troppo rapidamente – le mie abilità si stanno arrugginendo. « Beh, allora è un’ottima cosa che ci siamo venute incontro a vicenda, no? » Cinguetto e la mia voce suona così finta che rabbrividisco da sola. Una volta mi riusciva così bene…
Ma Katniss sembra non farci nemmeno caso – non è un asso nel comprendere il comportamento umano, per mia fortuna, e dà per buono quello che la mia voce ha detto, senza tener conto del come lo ha detto.
« Puoi accompagnarmi in ospedale? » Mi chiede con naturalezza ma la domanda mi lascia ancora più perplessa di prima.
Preoccupata, mi volto finché non siamo l’una di fronte all’altra e la guardo con fare apprensivo – a vederla non sembra stare male. « È successo qualcosa? »
Katniss scuote la testa lentamente, poi fa un passo indietro. « Ho parlato con Peeta. » Comincia a dire. Lo so, penso. « Secondo lui dovrei incontrare mia madre. »
Allora è di questo che si tratta. Annuisco comprensiva, mentre il mio sguardo si addolcisce.
« Gli ho detto che non volevo, » Continua, prendendo un po’ di sicurezza. « ma ho cambiato idea, e non posso chiedergli di accompagnarmi adesso… »
Dubito che Peeta si rifiuterebbe, o troverebbe strana una richiesta simile, ma non voglio contraddirla – se vuole sul serio che sia io ad accompagnarla, ovviamente farò in modo di accontentare la sua richiesta.
Forse riuscirò anche a farmi prescrivere dei sonniferi. Potenti.
Mentre scendiamo le scale e ci avviamo all’uscita, intercettiamo Haymitch e Johanna che lasciano il salotto.
« Andate da qualche parte? » Chiede lui, rifilandoci un’occhiata incuriosita – quasi sospetta.
« Solo una passeggiata. » Risponde immediatamente Katniss, afferrandomi per un braccio e incitandomi ad uscire.
Le poggio una mano sulla sua per calmarla – è chiaro come il sole che è nervosa – e rivolgo un sorriso gentile agli altri due. Johanna non è minimamente interessata, ma Haymitch le ostruisce il passaggio al corridoio. « Abbiamo bisogno di qualche chiacchiera fra donne, nulla di speciale. »
Le mie parole sono leggere, ma lo sguardo di risposta di Haymitch è pesante e fa quasi male. Si stringe nelle spalle, tira su col naso e si allontana, Johanna lo segue – nessuno dei due ci saluta.
Come temevo, nemmeno un’intera giornata.
« Che gli è preso? » Mi chiede Katniss una volta fuori, se si è accorta lei che c’è qualcosa che non va, allora vuol dire che la situazione è veramente nera.
« Nulla. » Rispondo, stringendomi nelle spalle e continuando a camminare guardando dritto davanti a me. « Credo si senta un po’ trascurato. » Non voglio entrare nei particolari.

L’ospedale del Quattro è esattamente come lo ricordavo.
Io e Katniss siamo in attesa in una piccola saletta vuota, aspettiamo che sua madre si liberi degli impegni per qualche minuto.
La ragazza si mordicchia le unghie e il solo vederla m’innervosisce. Il rumore delle unghie che si spezzano sotto la morsa dei suoi denti è quasi insopportabile.
Chiudo gli occhi e cerco di non pensarci – ci ho messo mesi a far ricrescere le mie e a far sanare le ferite delle cuticole che mordevo di continuo. Non rovinerò tutto in cinque minuti.
Quando finalmente la porta si apre e la donna entra nella stanza, io e Katniss ci alziamo e le andiamo incontro.
Non so perché sono così nervosa, forse è solo empatia verso la ragazza.
Trovo che non sia affatto cambiata dall’ultimo incontro – nonostante sia stato un paio di anni fa, se non di più.
I capelli biondi sono legati in uno chignon complicato e fissato alla nuca e ci scruta entrambe con due occhi celesti, che dietro le lenti degli occhiali poggiati sul naso  sembrano più grandi del normale.
Non credo li portasse l’ultima volta.
Dopo aver stretto Katniss in un abbraccio e averle dato due baci sulle guance, sposta gli occhiali dalla punta del naso e li poggia sulla fronte, allungandomi poi una mano. La stringo ricambiando il sorriso.
C’è molta meno tensione rispetto al nostro ultimo incontro. Mi chiedo cosa sia cambiato – forse io.
Lascia la mia mano dicendo che posso chiamarla Margareth. Quel nome risuona più volte nella mia testa e mi rendo conto che è la prima volta che si presenta. Come posso non averle mai chiesto il suo nome? Non che ci siano state molte occasioni buone…
Abbiamo concordato prima con Katniss che non vuole essere lasciata sola, quindi non provo nemmeno ad allontanarmi dalle due con qualche scusa.
Rimaniamo insieme tutto il tempo, anche se non faccio molto. Le lascio parlare del più e del meno, intervenendo se vedo che la conversazione cade, per evitare silenzi imbarazzanti.
Non si vedevano da sei anni, ma sono rimaste in contatto tutto il tempo – la situazione non è troppo difficile da gestire per nessuna delle due.
Ovviamente la madre la trova incredibilmente cresciuta. L’aveva lasciata poco più di una ragazza e la ritrova quasi una donna – anche se ai miei occhi rimarrà sempre una ragazzina e credo che anche per lei non faccia differenza.
Vengo a scoprire che Katniss le ha parlato anche di me, di come si sono adattate le nostre vite insieme. Forse è per questo che non avverto più astio nei miei confronti.
Katniss non prova nemmeno a chiederle di farle visita al Distretto 12, al contrario le promette che sarà lei a venire qui al Quattro più spesso.
Margareth deve tornare a lavorare dopo poco più di un’ora e noi siamo costrette ad andarcene.
« Tutto bene? » Le chiedo, quando ormai siamo lontane. Non mi sembra sia particolarmente scossa, anzi, la vedo più serena.
Lei mi sorride, annuendo appena. « Sì, non è stato come me l’ero aspettato. »
Però non entra nei particolari, quindi mi limito a chiedere se è una cosa positiva o meno.
« Sì. » Mi risponde, abbastanza convinta, e continua a camminare. Cerco di capire se stia mentendo, ma non è mai stata una brava bugiarda – non ai miei occhi, dato che sono stata io ad insegnarle a recitare. E poi quel sorriso che non accenna a svanire dal suo volto parla da solo.

Tornate a casa vengo accolta dalle grida di Pan che mi chiama a squarciagola per farmi vedere come ha finalmente imparato a nuotare – dopo aver passato un’intera giornata in acqua.
Certo, non ha una gran tecnica e sembra più un cucciolo caduto in mare per sbaglio che cerca di sopravvivere, ma almeno galleggia.
Condivido con lui la sua gioia e rimango a guardarlo finché non è ora di cena e l’atmosfera a tavola è piacevolmente leggera.
Quando ci alziamo tutti e ognuno torna alle proprie abitudini, la prima cosa che faccio e mettere a letto Pan – per una volta non fa storie, il mare lo ha distrutto.
Forse ho finalmente trovato un modo produttivo per fargli scaricare le batterie.
Vorrei andare a letto, ma quando sono in camera Haymitch mi costringe ad uscire di nuovo, chiedendomi di seguirlo.
Provo a fare domande, decisamente sorpresa dal suo atteggiamento, ma mi liquida con un: « Tu pensi troppo, dolcezza. »
E non mi dice altro finché non mi trascina in spiaggia – nonostante le mie proteste. Apparentemente siamo diretti vicino gli scogli. È buio, ma la luna in cielo è alta e piena ed illumina sufficientemente ciò che mi circonda.
È indubbiamente uno spettacolo mozzafiato, azzarderei a dire romantico, ma mi sembra un po’ strano che sia stata un’idea di Haymitch. Quando glielo faccio notare, fa l’offeso e mi dice che è un modo per chiedermi scusa per oggi pomeriggio.
Si ferma sulla spiaggia e si siede, io lo imito.
Forse è la sobrietà che lo fa parlare. Non mi dispiace; dopo tutti questi anni, in effetti, riesce ancora a sorprendermi.
Ovviamente c’è qualcosa sotto – mi stupisco di non aver capito prima di cosa si trattasse – ma mi è piuttosto chiaro quando fa diventare un semplice bacio qualcosa di molto più grande.
Lo lascio fare per un po’, perché in fondo non mi dispiace veramente. « Mi sei mancato. » Mormoro contro le sue labbra, mentre siamo stesi sulla spiaggia, lui sopra di me.
Cerco con tutte le mie forze di non pensare agli insetti che potrebbero essere in giro, alla sporcizia che sicuramente ho addosso in questo momento per colpa della sabbia.
« Mi sei mancata anche tu, Principessa. » Risponde e la sua voce è roca, rotta dall’impazienza.
Le sue labbra trovano un punto preciso sul mio collo che sa farmi perdere la testa. È sleale. E la mia mente viene annebbiata dalla lussuria.
Le sue mani sono ovunque, ma poi una si avventura troppo in basso e devo fermarlo. « Haymitch, » La mia voce è a metà fra una preghiera e un lamento. « Siamo all’aperto, probabilmente ho i capelli pieni di sabbia… non posso. Non- » Vorrei potermi lasciar andare, ma solo l’idea dell’intera situazione mi blocca.
« L’alternativa è una stanza con trenta centimetri di muro che ci divide dai ragazzi. » Poggia le labbra sulla mia fronte e sento il suo respiro fra i capelli.
Riflettendoci, non ha tutti i torti. « Lo so. » Stavolta è un lamento in piena regola. Sospiro. « Ma, la sabbia… »
Temo possa prenderla male, invece sorride contro la mia fronte e non ne capisco il motivo. « C’è solo una soluzione, no? »
Il suo tono di voce è divertito, e continuo a non comprendere. « Mh? » Non faccio nemmeno in tempoa formare una frase di senso compiuto che sento le sue mani afferrarmi per la vita e costringermi a voltarmi.
Mi ritrovo in un battito di ciglia sopra di lui, a cavalcioni, e cerco di mettermi dritta – ma lui porta una mano fra i miei capelli e li scompiglia, probabilmente cercando di togliere la sabbia.
Mi spinge in avanti verso di lui per catturare le mie labbra in un altro bacio, prima di separarsi e guardarmi con uno sguardo carico di desiderio. « E poi lo sai che mi diverto di più quando sei sopra. »
Ormai sa di aver ottenuto quello che voleva, ma non perdo tempo a chinarmi di nuovo sopra di lui, per eliminare dalle sue labbra quel ghigno soddisfatto con un bacio.

 
A/N: Salve!!!!
È ufficiale, questi due sono due adolescenti. Io li amo, troppo. Troppissimo. E NON VEDO L’ORA DI PUBBLICARE IL PROSSIMO CAPITLO AAAAAAAAAAAAAAAHHHHH.
Ok la smetto, avrete capito che succede qualcosa di grosso, non dico altro. Chi può capire capirà, gli altri dovranno aspettare qualche giorno.
Siccome sto scrivendo questi capitoli in anticipo (oggi ho pubblicato il 6x02) e il capitolo 6x05 è già stato scritto (anche se non sono sicura sarà il finale, probabilmente sì, per quest’anno) e non so bene quando farò uscire tutti… ma presto. Lo giuro.
Un paio di cose veloci. FINALMENTE la mamma di Katniss ha un nome. Spero non vi sia dispiaciuto, insomma ho cercato un nome di fiore/pianta – il primo che mi venisse in mente che non fosse Lily o Rose.
Ultima cosa – sto cominciando a shippare Johanna e Annie… non le avevo mai considerate insieme, ma scrivendo Petrichor c’è stata una specie di scintilla in me.
Voi che dite???? Le avevate mai considerate come una ship? Premetto che Annie e Finnick sono l’amore, ma la vita va avanti, credo… e l’idea di loro due insieme non mi dispiace. Insomma, meglio loro due insieme che con due sconosciuti. :-S Almeno dal mio punto di vista…
Comunque! Partirò il 6 mattina, quindi fra il 4 e il 5 aggiornerò con il prossimo capitolo. Che ho già scritto, sul serio sono troppo impaziente.
Attendo notizie, grazie infinite come sempre a tutti voi! Vi adoro e ancora buon anno nuovo
:)
 

x Lily
 

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Capitolo 30
*** 6x04 Il presentimento di Effie ***




6x04 Il presentimento di Effie
 
Mi guardo allo specchio e la donna riflessa mi rifila uno sguardo confuso. Ho un mal di testa perenne; più che dolore è un fastidio, dietro la tempia destra – ogni tanto posso ignorarlo, ma questa mattina non ci riesco.
Forse è il tempo, mi dico. L’umidità sta tornando, manca una settimana  a settembre – manca una settimana al nostro ritorno a casa.
Dev’essere questo che mi rende così nervosa. Un’ansia terribile mi stringe il petto senza nessun motivo apparente. Tiene il mio stomaco in una morsa quasi dolorosa mentre combatto contro la nausea che mi provoca.
Sono stanca, sono terribilmente stanca. Devo smetterla di invecchiare. È possibile invecchiare così tanto in poche settimane? Mi vedo diversa…
Quasi come se potesse leggermi nel pensiero, la voce di Haymitch mi arriva alle spalle. « Sei bellissima come al solito, Principessa. Adesso però muoviti, non puoi stare davanti allo specchio tutto il giorno. »
Osservo la sua figura attraverso lo specchio; si sta infilando una camicia bianca di lino e mentre abbottona distrattamente i bottoni, si china su di me per poggiarmi un bacio fra i capelli.
Resto ferma a guardarmi, quasi catatonica. C’è qualcosa che non va nel mio viso – non capisco cosa, però. « Sono vecchia. » Non riconosco nemmeno la mia voce.
Haymitch emette un suono simile ad un lamento, prima di poggiarmi entrambe le mani sulle spalle, in segno di conforto, e poi chiude la specchiera, costringendomi a mettermi in piedi. « Non sei tanto più giovane di me – e io non sono vecchio. »
« Ma lo sarai. E anche io… » Comincio a sentire le lacrime che si formano ai lati degli occhi, e un doloroso groppo in gola.
Haymitch cambia sguardo, mi osserva un po’ confuso, ma mi abbraccia e io mi lascio abbracciare. « Non è che puoi farci tanto, lo sai, dolcezza? Se proprio devi invecchiare, tanto vale farlo insieme. È una buona cosa, no? »
Io scuoto la testa, mentre lacrime nervose mi rigano il viso e una sensazione terribile continua ad attanagliarmi il petto. « Non voglio invecchiare. »
« Effie, ma che ti prende? » La sua voce è stanca, lo sto facendo esasperare. Lui dovrebbe cercare di stare bene, per non riprendere a bere – e io invece di aiutarlo peggioro le cose. Un singhiozzo mi rompe il respiro e lui mi stringe di più. « Va bene, scusa, mi dispiace. »
Cerco di tornare in me, e dopo qualche tentativo fallito ci riesco. Mi asciugo le lacrime e mi scuso. « È lo stress. » Gli dico, cercando di convincermene. « Avrò bisogno di una vacanza da questa vacanza. »
Lui annuisce, poco convinto, continua a fissarmi preoccupato. Forse, se si preoccupa per me, avrà poco tempo per pensare all’astinenza da alcool. « Io non credo che sia una cosa tanto grave. » Mi dice, mentre lasciamo la stanza.
Passandomi le mani fra i capelli, cerco di lisciarli per renderli più ordinati. Mi sento sempre più sfatta e disordinata, mi farebbe bene un ritiro in qualche centro.
Haymitch prende il mio silenzio come un’autorizzazione a continuare. « Fino a pochi anni fa la vecchiaia al 12 era un lusso. » Dice, e mi volto a guardarlo. « Mettila così, fra qualche anno Pan sarà più grande, potremo sbolognarlo ai ragazzi e se si sbrigano magari avremo anche qualche nipotino. Sarà uno spasso vederli impazzire. »
Sorrido un po’ incerta, annuendo appena e incrociando le braccia al petto. « Già, nipotini. » L’idea mi dà la nausea, no è inaccettabile. Un’altra ondata di ansia mi costringe a fermarmi, stringo di più le braccia attorno al mio corpo. Inspiro profondamente, e poi proseguo.
È solo una brutta giornata, Effie.

A tavola ci sono già tutti. Ci stavano aspettando e mi sento un po’ in colpa.
In genere offrirei ad Annie il mio aiuto per portare i piatti in tavola, ma oggi non mi sento assolutamente in vena. Voglio solo tornare a letto.
La tavola è rotonda; io come al solito siedo fra Johanna ed Pan. Haymitch, dopo di lui, gli dice di smetterla di giocare con le posate ma poco dopo anche Finn comincia a fare lo stesso.
È Annie a porre fine al gioco; poi prende posto fra il figlio e Peeta.
Accanto a me, Johanna si sporge alla sua sinistra per poter aiutare Finn a tagliare la carne che ha nel piatto. Annie li guarda di sottecchi, nascondendo un sorriso sotto i baffi.
Katniss e Peeta stanno parlando fra loro – venendo interrotti occasionalmente da Haymitch.
Sono seduta con loro, ma è come se fossi da un’altra parte.
Forse dovrei pensare razionalmente. Non sono mai stata una stupida.
Quest’ansia, il mio nervosismo, non sono dovuti al nulla – e potrei anche cominciare a rendermene conto.
Nella stanza c’è un vociare crescente, non riconosco nemmeno chi sta parlando. Le voci si sovrappongono, si uniscono. Non sono l’unica cosa che riempie la camera, però. L’odore forte della salsa che Peeta sta versando sulla carne, i broccoli che Annie tenta invano di far mangiare a Finn, il succo d’arancia fresca che Johanna sta bevendo – tutti questi odori si mescolano fino a darmi quasi il capogiro.
È la voce di Katniss a farmi tornare con i piedi per terra. « Effie, stai bene? Non hai toccato cibo. »
Sollevo gli occhi sulla ragazza, mi sta osservando con uno sguardo apprensivo. Gli altri stanno continuando a parlare, come se niente fosse. Dovrei rassicurarla, dirle che non è nulla, solo un leggero malore.
Ma dalle mie labbra esce tutt’altro. « Credo di essere incinta. »
Il cambiamento di atmosfera nella stanza è tale da spaventarmi.
Non vola più una mosca e tutte le teste dei presenti sono voltate verso di me; una forchetta cade per terra e tintinna rumorosamente contro il pavimento – il suono riecheggia nel silenzio più assoluto e quasi riesco a sentire anche i battiti del mio cuore che accelerano.
Il tutto non può durare più di una manciata di secondi, ma ai miei occhi la scena si svolge al rallentatore.
A rimandare in moto il meccanismo è Haymitch; mi volto verso di lui, concentrandomi solo sul suo viso. « Cosa? » La voce è ferma, ma le mani tremano. La forchetta era la sua.
« Io- » Comincio, balbettando, ma vengo interrotta da Finn.
« Cos’è incinta? » Chiede curiosamente a nessuno in particolare. I miei occhi non lasciano Haymitch.
Johanna si muove vicino a me, sporgendosi in avanti e passando un braccio dietro la mia schiena per colpire amichevolmente la spalla di Pan. « Significa che la festa è finita. »
I miei occhi cadono su Pan, quando lo sento parlare. « Adesso tu e papà vi sposerete? » E tornano a guardare Haymitch perché voglio evitare la domanda.
« Sei sicura? » Mi chiede lui e io scuoto immediatamente la testa.
« Credo. Ho detto credo. Non ne sono sicura, per niente. » Sottolineo ogni parola, tornando a guardare il mio piatto, che improvvisamente è diventato molto interessante.
Poi l’odore della salsa s’infiltra nuovamente nelle mie narici e sono costretta ad allontanarlo, con un lamento disgustato.
Annie si sporge verso di me e poggia una sua mano sulla mia, stringendola appena in segno di conforto. « Quanti giorni hai di ritardo? »
Prima che possa rispondere, però, Katniss si alza, allontanando il suo piatto. « Non voglio sentire. »
Qualcosa scatta nella mia mente e sbatto violentemente la mano che Annie non sta stringendo sul tavolo. Tutti rimangono colpiti da questo mio gesto e il silenzio ricade.
« Adesso vi sedete, » Comincio, cercando di controllare la voce – fallendo miseramente, « e mi ascoltate. » Continuo, inspirando profondamente e cercando di sorridere forzatamente. « Perché per più di tre mesi io vi ho ascoltati e ho cercato di risolvere i vostri problemi; quindi adesso, per favore, aiutatemi. »
Affianco a me sento Haymitch respirare lentamente, poi leva il tovagliolo dalle gambe di Pan. « Peeta, porta i bambini da un’altra parte. »
Il ragazzo non si muove, mi fissa un po’ intimorito, io annuisco e non appena riceve il permesso si dilegua assieme a Pan e Finn.
Annie si volta per vedere suo figlio allontanarsi, ma una volta che se ne sono andati, torna a guardare me, in attesa.
La risposta non tarda ad arrivare, ma è quasi un sussurro. « Quasi quattro settimane. » Rispondo, abbassando nuovamente lo sguardo.
« E quando pensavi di dirlo? » Sapevo che Haymitch non sarebbe stato per niente entusiasta, ma è il tono accusatorio che mi spaventa di più.
Mi pento terribilmente di non essere riuscita a trattenermi e di aver parlato davanti a tutti. Non so che darei per restare sola con lui per cinque minuti, ma forse il mio subconscio ha agito da solo. La presenza femminile di Annie, Johanna e Katniss mi rassicura un po’ – mi sento protetta in un certo senso; da cosa, non lo so.
« Io- » Balbetto di nuovo, cercando di concentrarmi ma mi risulta difficile. Tutt’un tratto mi sento incredibilmente insicura. « Volevo aspettare, essere sicura- ma… »
« Ma è chiaro che lo sei. » Johanna quasi ride, e mi volto verso di lei per cercare di capire che cosa ci sia di così divertente. Lei si mette comoda, indicandomi con un cenno veloce della mano. « Insomma, guardati. Le tue tette sono esplose. »
Istintivamente porto le mani al seno, voltandomi verso gli altri presenti con uno sguardo indagatorio.
Sia Katniss che Annie balbettano qualcosa di simile a  « Giusto un po’. »
Haymitch, accanto a me, si muove nervosamente sulla sedia. « Credevo fosse la mia immaginazione. » Borbotta più a se stesso che al resto di noi.
Mentre Katniss e Johanna sorridono divertite al suo commento, Annie fa finta di non averlo sentito. « Fanno male? » Mi chiede.
Io annuisco appena, distogliendo lo sguardo.
Lei continua a fare domande come: « Hai nausea la mattina? » Oppure: « Sei più stanca o spossata del solito? » E io mi ritrovo a rispondere sempre positivamente.
« Non credo ci sia molto da chiedersi, allora. » Commenta Katniss. Una veloce occhiata e riesco a dire che l’unica cosa che vorrebbe fare e raggiungere Peeta e i bambini.
« Lo sapete che siete degli irresponsabili, vero? Alla vostra età… » Le parole di Johanna fanno più male di quanto non dovrebbero.
Cerco di ignorarle ma inaspettatamente è Haymitch a rispondere alla provocazione. « Questo non ti riguarda. » Dice con voce ferma e il mio sguardo finisce su di lui. Poi si volta verso Katniss ed Annie, aggiungendo con un tono più pacato. « E nemmeno voi due. Effie, dovresti parlare con me. » Io annuisco, felice che finalmente la pensiamo allo stesso modo, poi una sua mano mi stringe il braccio in una presa salda. « Adesso. »
Ci alziamo, e insieme a noi si alzano anche Johanna e Katniss. Nei loro occhi c’è una sorta di allarme – Annie resta ferma, ma sul suo volto c’è il medesimo sguardo.
La presa attorno al mio braccio non è affatto stretta, ma i modi di Haymitch non sono mai stati delicati. Cerco di rassicurarle con un sorriso, mentre vengo praticamente trascinata fuori dalla cucina.

« Non volevo parlare davanti a tutti, è stato istintivo. Mi dispiace… » Chiudo gli occhi, mentre mi siedo sul letto e massaggio lentamente le mie tempie. Il mal di testa ora è terribile.
Pumpkin è ai piedi del letto, ma quando si accorge che sono accanto a lui, si alza e mi si siede in grembo. Comincio automaticamente ad accarezzargli la testa, mentre lui inizia una serenata di fusa.
Haymitch sta facendo avanti e indietro per tutta la stanza – aumentando solamente la mia ansia, ma non dico niente per evitare di farlo innervosire ulteriormente.
« Devi promettermi una cosa. » Dice alla fine, e mi prende alla sprovvista.
Non riesco ad immaginare che cosa potrebbe volere in un momento simile, ma il suo sguardo mi preoccupa. Non promette nulla di buono, ma annuisco.
« Se non sei incinta non metterti l’idea in testa. »
Una serie di cose che vorrei rispondergli mi passano velocemente per la testa, ma nessuna di queste gli piacerebbe. « Haymitch… »
« Tu credi di essere incinta e ti stai facendo suggestionare. » Dice, guardandomi dritta negli occhi, e fa male. Vorrei poter sparire, ritrovarmi come per magia da un’altra parte.
I miei occhi si fissano sul pavimento; mentre un’orribile sensazione di vuoto mi impedisce di muovermi, la mia mente elabora quello che ha appena detto e realizzo quello che c’è dietro le sue parole. Per poco non riesco a parlare. « Tu non vuoi- »
« Non dirlo nemmeno per scherzo. » C’è quasi rabbia nella sua voce, e quando sollevo lo sguardo dal pavimento per concentrarmi sui suoi occhi, la sua espressione offesa mi colpisce come uno schiaffo. « Ho detto di non metterti idee in testa. Non voglio che ti fissi con qualcosa che ti farebbe solo stare male. »
Si siede sul letto accanto a me e Pumpkin si alza dalle mie gambe per camminare sulle sue, ma Haymitch lo caccia in malo modo e il gatto finisce per terra, per poi nascondersi sotto il letto.
« Se sei incinta, » continua quando io non dico nulla. « Allora va bene – voglio dire, Pan è con noi da un anno e non si è ancora rotto nulla, no? »
Vorrei potergli dire che un neonato non è esattamente la stessa cosa di un bambino di sei anni ma le parole mi restano bloccate in gola e finisco per annuire, abbozzando un terribile sorriso. « Come puoi essere così calmo? Dovresti essere tu quello con una crisi di panico. »
Haymitch rimane in silenzio per qualche secondo, prima di rispondere. « Non possiamo dare di matto in due, no? »
Cerco una delle sue mani e la stringo tra le mie, solo in quel momento mi rendo conto che le sue stanno ancora tremando.
Mi sporgo verso di lui e poggio la testa contro la sua spalla. « Possiamo fare a turno. » Gli dico, con un sorriso sincero sulle labbra, questa volta.
« Vuoi scrivere un programma, dolcezza? » Mi prende in giro, facendomi ridere debolmente.
Chiudo di nuovo gli occhi e inspiro lentamente, riuscendo finalmente a calmarmi un po’. Haymitch mi abbraccia e io mi rilasso fra le sue braccia. Devo stare tranquilla, ha ragione. Su tutto – stranamente.
Adesso devo solo smettere di pensarci, mi farò visitare il prima possibile – solo dopo comincerò a preoccuparmi per tutto il resto.
Non devo fasciarmi la testa prima di romperla.
Se sono veramente incinta, affronteremo al cosa come tutto il resto, e se non lo sono… allora non mi farò venire strane idee in mente.
È così facile a parole

 
A/N: Salve!
Allora, finalmente siamo arrivati ad un punto interessante. 
Ora, devo darvi una brutta notizia (anche se per me non lo è). Il prossimo capitolo è già pronto da un pezzo, lo devo solo revisionare e aggiungere una scena.
Poi non ho più nulla di pronto e – e questa è la pseudo brutta notizia – forse sarò un pochino più lenta con gli aggiornamenti perché ho cominciato a revisionare (e pubblicare qui su EFP) il mio romanzo.
Non abbandonerò affatto Petrichor, perché è una storia che adoro e alla quale io mi sono affezionata tantissimo – così come anche a voi.
Però avevo scritto questo romanzo nell’ormai preistorico 2008 (cominciato nel 2007) e mi è venuta voglia di correggerlo… lo sto modificando tantissimo, ho aggiunto personaggi e modificato la trama. Dovrebbe essere il primo di 5 romanzi – 2 già scritti e  un altro a metà – è un urban fantasy, se vi piace il genere potete darci un occhiata >> qui <<
Il 6 mattina parto, ma se riesco a finire il 6x05 capitolo mentre sono via lo pubblicherò comunque. Vorrei potervi dire il titolo, ma sarebbe un po' spoileroso. Se volete saperlo, però basta chiedere. Altrimenti vi tengo sulle spine per qualche altro giorno... ;)
A prestissimo e grazie a tutti! 
 

x Lily

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Capitolo 31
*** 6x05 La peggior proposta di sempre ***




6x05 La peggior proposta di sempre
 
Quattro paia di occhi mi fissano in silenzio e la cosa mi fa sorridere. Tutt’un tratto sono tornata ad essere un fenomeno da baraccone, evidentemente.
La madre di Katniss ci ha appena lasciati soli; Annie, Johanna e Finn stanno aspettando fuori – non possono stare qui troppe persone, nemmeno volendo, visto che la stanzetta è minuscola.
Sono in ospedale, di nuovo, seduta su un lettino scomodo, nonostante i due cuscini che ho dietro la schiena.
Avevo un appuntamento questo pomeriggio, ma ho avuto un leggero malessere e hanno voluto portarmi qui in fretta.
Margareth mi ha visitata di persona – e ha confermato la mia intuizione. Ha calcolato che sono all’incirca alla sesta settimana di gravidanza. Nonostante me lo sentissi, non credo di aver ancora metabolizzato bene la notizia, e non so nemmeno se mi hanno dato qualcosa, perché mi sento stranamente molto bene.
Al contrario dei presenti…
Non tutti, in effetti. Haymitch sembra sul punto di svenire. È pallido, e si tiene le mani, stringendole in grembo. Farebbe di tutto pur di essere da un’altra parte con una bottiglia di liquore in mano – glielo leggo negli occhi, ma si sta sforzando di non darlo a vedere e non potrei essergli più grata.
Katniss e Peeta mi fissano in silenzio, senza sapere bene che cosa dire. Sono quasi teneri.
L’unico che sembra stare un po’ meglio è Pan. In questo momento è in braccio a Peeta ma sta facendo di tutto per scendere.
Alla fine il ragazzo lo lascia andare e lui non perde tempo a saltare sul mio letto per sedersi accanto a me.
C’è un guizzo negli occhi di Haymitch, per un istante gli leggo puro terrore nello sguardo – credo tema che Pan possa rompermi in qualche modo.
Non posso che sorridere, di nuovo intenerita. Nei due giorni che sono passati dal mio “annuncio” ad oggi, sono stati attenti al mio comportamento. Ora, però, è tutto un po’ più reale.
Dovrei essere spaventata e confusa – ma non mi permettono di esserlo, perché sono tutti talmente spaesati che non riesco a concentrarmi sulla mia situazione. Mi distraggono.
« È un maschio o una femmina? » Finalmente Pan non ne può più del silenzio, e mi parla con un’espressione curiosa.
Io scuoto la testa, accarezzandogli i capelli. « Non lo so, è troppo presto per saperlo. »
Pan sembra aver rotto con successo il ghiaccio, perché Katniss si sistema nella sedia in cui è seduta, e poi mi guarda incerta prima di parlare. « Non pensavo aspettassi sul serio un bambino. Insomma, credevo fossi troppo vecchia per- questo. »
Forse aver rotto il ghiaccio non è stata un’ottima mossa.
« Katniss… » La voce di Peeta è bassa e un po’ imbarazzata, ma il mio sorriso tirato gli dice di non preoccuparsi.
Non ha tutti i torti. Non sono più giovanissima, ma di certo non sono da buttar via.
Sua madre mi ha detto che vuole tenermi sotto controllo per le prime settimane; Katniss e Peeta torneranno al Distretto 12 assieme a Pan (e Pumpkin) in modo che possa ricominciare la scuola regolarmente. Haymitch invece resterà qui con me ancora per un po’.
Lei lo guarda come se non capisse l’offesa appena fatta – e credo che sia veramente così. Non posso prendermela più di tanto, non voleva essere scortese. È solo Katniss. « Ma, » Continua lei, facendo scorrere lo sguardo da Haymitch a me, soffermandosi di nuovo su di lui. « Tu sei vecchio… insomma hai- » Si ferma un attimo, immagino stia cercando di fare qualche calcolo. « Quarantotto? Quarantanove anni? »
Haymitch sembra svegliarsi dal suo trance per rifilarle un’occhiataccia. « Quarantasette. »
Gli occhi della ragazza poi si fermano su di me, con una domanda muta. Cercando di raddrizzare le spalle come posso, mi passo una mano fra i capelli, distogliendo lo sguardo da lei. « Io di certo ho superato da un pezzo l’età per una gravidanza, ma secondo tua madre non dovrebbe esserci nessun tipo di problema, quindi… »
Katniss porta gli occhi al cielo – evidentemente la mia risposta non l’ha completamente soddisfatta, ma non otterrà di più. Non mi piace rivelare la mia età, anche adesso che la mia vita è cambiata.
Ci sono cose che non cambiano.
Non sono nemmeno sicura che Haymitch lo sappia… sono certa di averglielo detto, una volta – più di dieci anni fa – ma credo fosse completamente ubriaco, non penso se lo ricordi.
« Sono sicuro che andrà tutto bene. » Cerca di rassicurarmi Peeta e gli sorrido, stavolta più calorosamente.
È tutto un po’ surreale – forse quando tornerò a casa le cose mi sembreranno più vere.
« Allora… quando arriverà? » Pan si mette in piedi sul letto, ma a questo punto Haymitch si alza e lo prende in braccio, nonostante i suoi capricci per voler restare vicino a me.
« Ci vorrà un po’. » Tento di distrarlo, allungandomi verso di lui e accarezzandogli un braccio. « Poco meno di nove mesi. Fra qualche giorno lo sapremo con precisione. »
Pan replica l’esatta espressione che aveva Katniss sul viso poco fa – evidentemente nemmeno lui è troppo soddisfatto della mia risposta – e si volta verso Haymitch, guardandolo con fare interrogatorio. Ho un brutto presentimento… « Da dove vengono i bambini? »
Grazie al cielo l’ha chiesto a lui.
Haymitch si volta immediatamente verso di me, ma mi lascio andare contro i cuscini, sollevando solo un braccio e sventolando la mano nella sua direzione. « No, la carta chiedilo a tua madre non puoi giocarla stavolta. »
Katniss e Peeta riescono a stento a trattenere le risate, mentre guardano Haymitch – e il suo colorito cambia di ogni tonalità dal bianco al viola, passando anche per il verde. « Non è il momento, adesso. » Conclude sbrigativo, facendo scendere Pan e permettendogli così di tornare a sedersi accanto a me.
Il bambino non è entusiasta, ma gli poggio un bacio fra i capelli mentre rivolgo uno sguardo rassicurante ad Haymitch – la situazione lo sta mettendo abbastanza alla prova, non voglio che creda che io non sia dalla sua parte.
« Che cosa farete adesso? » Ci chiede Peeta, con un po’ d’impazienza nella voce – sembra che volesse porci questa domanda da un pezzo.
Haymitch lo osserva di sottecchi, prima di rispondergli con un’altra domanda. « Tu cosa suggerisci di fare? » Il sarcasmo evidente. Non crede che siano affari suoi, in fin dei conti non ha tutti i torti, ma potrebbe usare modi più educati. Io ancora ci spero
Peeta scambia un veloce sguardo con Katniss, quei due stanno tramando qualcosa. È lei a parlare, con una risoluzione nella voce che non mi aspettavo. « Dovreste sposarvi. »
Pan salta di nuovo in piedi sul letto. « Sì! » E continua per un po’, continuando ad insistere – perché nessuno dei presenti si è più mosso o ha detto nulla dopo l’uscita di Katniss.
È da un po’ a questa parte che è un pensiero fisso nella sua testa. Tutti i bambini della sua classe hanno i genitori sposati e ci ha chiesto più volte perché noi non lo fossimo.
Abbiamo sempre cercato di evitare l’argomento, di girarci attorno. Non so nemmeno bene il motivo ma il solo pensiero m’innervosisce. Non che non voglia farlo, ma temo che l’idea del matrimonio possa far spaventare Haymitch – forse anche più di una gravidanza.
Quando Pan si spegne, torna seduto – un po’ affannato – e ci guarda confuso. « No? » Chiede – la delusione nei suoi occhi è terribile da sopportare.
« Forse la ragazza ha ragione. » Haymitch fa un tentativo, probabilmente tentando di testare le acque, prendendomi completamente alla sprovvista.
Pan si riaccende immediatamente. « Sì! » Ma stavolta Haymitch lo afferra al volo, riportandoselo sulle ginocchia – evitando così che qualche dottore entri per capire che cosa sta succedendo.
« Basta saltare, sfonderai il letto. » Lo rimprovera e il bambino tace, mettendo su un finto broncio poco credibile.
Solo in quel momento devono accorgersi che io non ho detto ancora una parola.
« Effie? » Peeta mi chiama, ma i miei occhi sono su Haymitch.
Non controllo le mie espressioni in questo momento – non ho idea di cosa esprima il mio viso ma non deve essere qualcosa di bello, dato il modo in cui mi sta guardando lui.
« Forse la ragazza ha ragione? » Ripeto le sue parole, cercando di fargli comprendere l’assurdità. Ma evidentemente non riesce a vederla.
« Sì. » Ripete, guardando i due ragazzi prima di tornare a guardare me. « Così almeno non faranno più storie all’ospedale perché non siamo parenti. »
Chiudo gli occhi per un attimo, appoggiando la schiena ai cuscini e inspirando lentamente – cercando di restare calma.
« Effie? » Nella sua voce c’è una nota di preoccupazione ma adesso non m’interessa. « Stai bene? »
« Questa è la… » Non so nemmeno come definirla, avverto le lacrime che si formano ai lati dei miei occhi e quasi non riesco a trattenere un singhiozzo. « È la- peggior proposta di matrimonio che una donna possa ricevere e non ci credo che sia capitata a me! » La diga si rompe, le lacrime mi rigano il viso e il petto si alza e si abbassa in singhiozzi incontrollati.
Ho passato anni della mia adolescenza ad immaginare come sarebbe stata la mia proposta di matrimonio e questa è la cosa assolutamente più lontana a tutte le possibilità che ho mai affrontato.
Non è vero, è un incubo.
Tutti e quattro si alzano, guardandomi come se improvvisamente fossi diventata verde. Non hanno mai visto una donna piangere?
« Effie? » Peeta si avvicina, ma mi tiro indietro – non voglio che mi tocchino.
« Credo che siano gli sbalzi d’umore. » Informa tutti Katniss e sul serio, non ho idea del perché dica così. Non ho sbalzi d’umore.
Sono disperata. Ho un animale al posto di quasi-marito, che non è nemmeno in grado di farmi una proposta di matrimonio decente e due quasi-figli che gli danno corda. Come potrei non piangere?
Mentre mi asciugo le lacrime con il dorso della mano, vedo Peeta che prende in braccio Pan e va verso la porta. « Credo sia il momento di andare. »
Sia Katniss che Haymitch, però, non si muovono. È lui a parlare. « Non è un no, sì? »
« No! » Gli urlo.
Katniss boccheggia confusa. « No sì, o no no? »
Non li sopporto più.
Nessuno dei due.
Afferro uno dei cuscini che ho dietro la schiena e glielo lancio – colpendo Katniss su un braccio, e guadagnando uno sguardo allibito da parte della ragazza. « Che ho detto? » Chiede, ma prima che qualcuno possa risponderle, la porta si apre e sua madre entra un po’ agitata.
« Che succede? » Chiede, guardando il caos che regna intorno a noi.
« Haymitch le ha chiesto di sposarla. » Le risponde Peeta.
Lei sembra contenta. « Congratulazioni! » Dice, ma c’è poco da essere contenti.
« Non mi ha chiesto proprio niente… » Torno a coprirmi il volto – la crisi di pianto è passata, mi sento un po’ meglio, ma non posso credere a quello che è appena successo.
« Tanto credo che abbia detto di no. » È la voce di Katniss.
Subito dopo, però, viene sostituita da quella di sua madre. « Oh, io credo proprio che invece sia un sì. Vi ci abituerete… »
« Fa spavento. » Commenta Peeta.
« Ed è solo l’inizio. » Risponde immediatamente lei. Il silenzio di Haymitch quasi mi preoccupa, ma ho altro per la testa in questo momento. « Forse dovreste lasciarla un po’ da sola. » Suggerisce Margareth, e anche se non la vedo, sento il sorriso nella sua voce. « Ha bisogno di riposto. » Aggiunge, poggiandomi una mano sulla spalla.
Questa volta non mi muovo. « Non ho bisogno di riposo. » Dico, prima di cominciare a scuotere la testa, desolata. « Ho bisogno di un anello di fidanzamento. Fiori. Musica. Cioccolata. » Quella parola mi risveglia inspiegabilmente l’appetito. Sposto le mani dal viso e sollevo lo sguardo sulla donna al mio fianco – che mi sta ancora sorridendo, senza che io capisca veramente il perché. « Posso avere un po’ di cioccolata, per piacere? »

Le settimane successive passano fin troppo in fretta, fra Haymitch che non mi permette di fare un passo senza che ci sia lui dietro di me e Johanna che non perde mai occasione di ricordarmi come – fra qualche mese – io diventerò gigantesca.
Ma comunque non sarà lì quando succederà, perché fra poco finalmente tornerò a casa, al Distretto 12 e sono sicura che ad accogliermi ci sarà pioggia, pioggia, e ancora pioggia.
Anche se Haymitch ne parla poco, io sto già pensando al matrimonio. Sono psicologicamente pronta a combattere su ogni piccolo particolare – e so già che dovrò rinunciare a praticamente tutto quello che ho sempre sognato.
Era moltissimo tempo che non pensavo a come sarebbe stato il giorno del mio matrimonio. Mi rendo conto che l’ultima volta che l’ho fatto, probabilmente lavoravo ancora come accompagnatrice.
Che razza di piega ha preso la mia vita? Come è successo?
Non voglio sposarmi con una pancia enorme, ma non voglio nemmeno far passare troppo tempo…
Ho aspettato abbastanza.

 
A/N: Salve!
Sono tornata dalla mia vacanza, ed ecco pronto il nuovo capitolo!! Per quest’anno è tutto, il prossimo sarà il primo di un nuovo anno. :)
Effie con gli sbalzi d’umore è stata meravigliosa da scrivere. E la proposta di matrimonio… povera anima, mi ha fatto quasi pena. XD
Non avendo mai affrontato una gravidanza, mi sto documentando un pochino – e sto anche tenendo in considerazione che, ancora una volta, ci troviamo a Panem. Non solo, ci troviamo in una Panem che sta cercando di completare un’unificazione non solo politica ma anche economica, quindi immagino che il progresso in campo medico negli ultimi anni per i Distretti sia stato notevole.
Con l’ultimo capitolo che ho pubblicato, il primissimo ha raggiunto le 2000 visualizzazioni (non sono riuscita a fotografarlo per un soffio) e volevo ringraziarvi tutti tantissimo.
Fatemi sapere cosa ve n’è parso di questo capitolo, a prestissimo!
 

x Lily

 

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Capitolo 32
*** 7x01 Una piccola spinta ***







7x01 Una piccola spinta
 
Le dita della mano destra accarezzano automaticamente il mio ventre leggermente gonfio.
Dovrei già essere pronta, penso.
Da questa posizione sembra tutto incredibilmente grande. Il letto, la scrivania, l’armadio…
Sono seduta per terra, le spalle contro la porta della mia camera da letto.
Dovrei chiudere la finestra, il vento di gennaio sta facendo congelare tutta la stanza – ma non riesco ad alzarmi.
Il freddo mi tiene concentrata, tiene attiva la mia mente che altrimenti sarebbe da tutt’altra parte.
Cerco di non pensare al vestito che giace abbandonato sul materasso.
È un bellissimo vestito, dovrebbe essere appeso all’armadio con una gruccia e invece è tutto spiegazzato sul mio letto ancora sfatto.
Veli rossi, rosa e celesti si ammassano l’uno sull’altro, mischiandosi. È fin troppo leggero per l’inverno al Distretto 12, ma ho combattuto così tanto per farlo arrivare direttamente dalla Capitale.
Non l’ho solo fatto arrivare, l’ho fatto creare. Fino a qualche giorno fa era solo un’idea su dei pezzi di carta.
Haymitch non era d’accordo. Haymitch non era d’accordo su niente.
Alla fine ha ceduto al vestito solo quando gli ho raccontato la storia che c’era dietro.
L’ha disegnato lei, Portia. Un progetto che mi ha regalato quando ho compiuto diciotto anni, con la promessa che l’avrebbe realizzato solo per il giorno del mio matrimonio.
Non è stata lei a fabbricarlo.
Non so chi sia stato, non ho voluto saperlo. Ho solo mandato i disegni ad Alex e lui mi ha assicurato che avrebbe fatto in modo che finissero nelle giuste mani.
Ieri è arrivato e mi sta divinamente. Nasconde anche la pancia.
Ma non posso indossarlo.
Continuo a guardarlo, continuo a fissarlo senza smettere di piangere.
Dovrei essere felice, dovrebbe essere il giorno più bello della mia vita fino ad adesso e invece mi ritrovo ad essere triste, più triste di quanto non fossi da mesi.
Devo essere una persona orribile.
Ho rinunciato a tutto.
Ogni bambina alla Capitale sognava il proprio matrimonio e lo sognava perfetto. Io non ero da meno.
Con il passare degli anni, assieme a Portia, siamo arrivate a pianificare ogni singolo dettaglio.
Mi sarei sposata sulla spiaggia; sotto un arco intrecciato di gigli rosa.
Ci sarebbe stata della musica elegante ed un banchetto ricoperto da leccornie provenienti da tutta Panem.
Mio padre mi avrebbe accompagnata all’altare, mia madre avrebbe pianto.
Allie sarebbe stata la mia testimone mentre Portia la damigella d’onore.
Da ragazza sognavo che mio marito sarebbe stato un uomo magnifico. Bello, importante e ricco.
Un influente sponsor, uno stratega o un politico.
Sono sicura che mia madre avesse una lista per me e per Allie. È riuscita a far sposare lei a venticinque anni.
Non ha mai avuto molto successo con me, continuavo a darle solo delusioni.
Se mi vedesse adesso… per fortuna è morta.
Non solo lei.
Mio padre non mi accompagnerà da nessuna parte, Portia non sarà al mio fianco e Allie non mi ha nemmeno telefonata.
Haymitch non ha voluto nemmeno festeggiare – saremo noi e i ragazzi al Palazzo di Giustizia, e basta.
Non ci saranno Annie e Johanna.
Avrei almeno voluto invitare Flux e Nelly, ma poi avrei dovuto invitare anche i rispettivi mariti e i bambini… ho preferito evitare altre discussioni.
Qualcuno bussa alla porta e il rumore rimbomba nelle mie orecchie. Rimango in silenzio, magari andranno via.
«Effie, sei pronta?» È la voce di Peeta, sembra impaziente. «Siamo tutti giù ad aspettarti, quanto ti manca?»
Devo alzarmi in piedi, lentamente, e raggiungo il letto cercando di non pensare troppo. «Sono pronta.» Rispondo, mentre riappendo il vestito alla sua gruccia e lo infilo nell’armadio. Dubito lo rivedrò mai più.
Quando esco, Peeta mi osserva con fare incuriosito – e anche un po’ preoccupato. «Va tutto bene?»
Annuisco, asciugandomi le lacrime che cominciano a seccarsi sul mio viso. Ormai sono abituati ai miei sbalzi d’umore e alle crisi di pianto.
In fondo alla scalinata ci aspettano Katniss, Haymitch e Pan. Sono tutti e tre un po’ più eleganti del solito, ma di certo non sembrano star andando ad un matrimonio.
Katniss ha i capelli sciolti, e Haymitch ha avuto la decenza di spazzolare i suoi – però vedo che non ha voluto farsi la barba; Pan invece ha un cappotto nuovo che gli abbiamo comprato un paio di settimane fa, appositamente per l
’occasione.
Li raggiungo in silenzio, devo coprirmi per bene o congelerò. Ho anche dimenticato di chiudere la finestra in camera…
«Che fine ha fatto il vestito?» Mi chiede Haymitch quando saliamo sul furgone di Peeta.
Distolgo lo sguardo, concentrandomi sulla neve che ricopre i lati della strada. «Appartiene ad un matrimonio che non avrò mai.» Rispondo dopo un po’, in modo quasi teatrale.
Comincio a credere che sia una pessima idea.
Per il resto del viaggio non parliamo, nonostante i tentativi di Peeta di fare conversazione – alla fine lui e Pan finiscono per chiacchierare durante tutto il tragitto.

Nel momento in cui arriviamo al Palazzo di Giustizia, io vorrei solamente andarmene a casa, infilarmi sotto le coperte e non uscire più.
Non mi sentivo così insicura da moltissimo tempo. È tutta colpa della gravidanza.
Pan è con Katniss mentre Peeta si sta accertando che sia tutto pronto.
Riesco a vedere che Haymitch è nervoso, ma prima che possa dire anche solo una parola, mi afferra per un braccio e mi costringe a seguirlo, portandomi da parte. «Mi dici che ti prende?»
Vorrei potergli chiedere che cosa vuole dire, ma sarebbe una domanda troppo stupida. Sono costretta a limitarmi a distogliere nuovamente lo sguardo.
Lascio passare molto tempo prima di rispondere, forse troppo. «Perché lo stiamo facendo?»
Haymitch odia quando rispondo ad una domanda con un’altra domanda, eppure questa volta sembra che la cosa non lo abbia nemmeno infastidito.
S’immobilizza e anche se non lo sto guardando in faccia, sento il suo sguardo trafiggermi la nuca.
Non provo niente.
Non riesco a concentrarmi su nulla, sono solo molto stanca e vorrei poter andare a dormire.
Di nuovo le mie dita tornano sul rigonfiamento che ho sull’addome e accarezzo appena un punto indefinito. Dovrebbe cominciare a muoversi, spesso sento dei movimenti ma mai troppo definiti.
«Ti prego, dimmi che non stai facendo tutta questa scena solo perché non ho voluto un’inutile festa.»
«Una festa per il nostro matrimonio non può essere inutile – ma no.» Il mio tono di voce si alza quando pronuncio quell’ultima sillaba, scandendo bene ogni parola che l’ha preceduta.
«E allora perché?» Si avvicina, ma non osa toccarmi. Mi conosce abbastanza per sapere quand’è che mi scanserei e quando invece no. Sa che ci troviamo nella prima situazione.
È una domanda a cui preferirei non rispondere, ma per quanto sia difficile, devo farlo. «Perché non so nemmeno se mi ami.»
Il silenzio che ne segue è doloroso per le mie orecchie, ho paura che andrà via, che non vorrà più vedermi.
Il suo sguardo s’incupisce ma non lo distoglie, nemmeno per un secondo. «Ma certo che lo sai, che stai dicendo?»
Io scuoto la testa, senza smettere di accarezzarmi il ventre. È diventata un’abitudine per rilassarmi, ormai. Avverto un movimento, ma non arriva sotto le mie dita. Non voglio che si agiti, quindi respiro lentamente, cercando di rimanere in controllo. «Non me l’hai mai detto.»
«Non ce n’è bisogno, mi conosci.» La voce è forzata, non è da lui nemmeno accettare di parlare di quest’argomento.
Riconosco che dev’essere un incredibile sforzo ma non riesco ad apprezzarlo. Non è sufficiente. «Haymitch, sono una donna incinta che sta per sposarsi ed è tutta colpa tua.»
C’è l’ombra di un sorriso che gli spunta sulle labbra, sta cercando di non farlo notare perché sa quanto detesti quel ghigno in certe situazioni. «Lo so. E io voglio sposarti, quindi andiamo.»
Allunga una mano verso di me, aspettando che io la prenda, ma non mi muovo. «Non me lo hai nemmeno chiesto come si deve.»
Haymitch muove le dita della mano avanti e indietro, incitandomi a prenderla. «L’ho fatto ora.»
Non fa più nulla per nascondere quel suo maledetto sorriso, ma io scuoto di nuovo la testa. «Non è vero, non l’hai fatto.» Non può essere così facile.
«A me sembra proprio di sì. Non te lo chiederò di nuovo, però.» I miei occhi cadono istintivamente sulla sua mano ancora protesa.
Sto veramente esitando?
Un altro movimento nel mio ventre mi distrae; questa volta l’ho sentito – forte e chiaro. Una pressione che avverto anche sotto il palmo della mano, il suo primo calcio.
Mi sta spingendo per farmi sbrigare?
«Dolcezza, sto cercando di convincerti a sposarmi prima che cambi veramente idea…» Per la prima volta sento una vena di incertezza nella sua voce e non ho intenzione di sentirla mai più.
È il mio turno di sorridere mentre gli prendo la mano e annuisco, lasciando che mi porti nell’altra stanza.
Dovrei dirgli del calcio, probabilmente, ma preferisco tenerlo per me ancora per un po’. È un momento nostro, forse sono egoista a non volerlo condividere, ma ce ne saranno altri…

Credo di essere rimasta seduta in quella sala del Palazzo di Giustizia per quindici minuti, se non di meno.
Pan e Peeta riescono a convincere Haymitch e a trascinarlo ad un picnic per fare almeno qualcosa di diverso dal solito.
Era tutto stranamente già pronto e ho come l’impressione che questo fosse il piano già dall’inizio – ma lui e Katniss continuano a negare, quindi non insisto.
Appena torniamo a casa, Pan crolla immediatamente sul divano e Haymitch se lo carica in spalla per metterlo a letto.
Nonostante i ragazzi ci tenessero ad assistere alla tostatura, ancora una volta Haymitch è stato categorico… non sono sicura che sia una questione di privacy, quanto di imbarazzo. Non è mai stato il tipo che dimostra affetto in pubblico, anche quando questo pubblico è più che altro la nostra famiglia allargata.
Mentre è via mi avvicino al camino per accendere il fuoco, e stendo una coperta sul pavimento. Non troppo vicina, non voglio rischiare che anche questa casa vada a fuoco.
Poco dopo mi raggiunge e ha già in mano il cesto con il pane fatto da Peeta questa mattina.
«Dovresti spiegarmi un’altra volta come funziona, non credo di aver capito bene.» Gli dico, mentre prende posto dietro di me.
Non è vero, ma è divertente sentirgli spiegare la stessa cosa volta dopo volta. Riesce a sintetizzarla sempre di più.
Lo sento sospirare, un po’ scocciato – ma questo non gli impedisce di accontentare la mia richiesta. «Non c’è nulla da spiegare. Spezzi una fetta di pane, l’abbrustolisci senza prendere fuoco e gli dai un morso. Fine della storia.»
Ci tiene molto alla parte “senza prendere fuoco”. Secondo lui sono un’incapace, evidentemente.
Mi porto all’indietro, sedendomi fra le sue gambe. Poggio la schiena contro il suo petto e le mani sulle sue ginocchia, annuendo appena. «Fammi vedere…»
Non se lo fa ripetere due volte. Prende in mano una fetta di pane e tenendone un’estremità, mi fa afferrare l’altra.
Seguo i suoi movimenti, e insieme la dividiamo a metà – anche se il pane è troppo fresco e facciamo un po’ di fatica.
Haymitch poi si allunga verso il fuoco e con estrema attenzione avvicina la sua metà di fetta alle fiamme – non troppo vicino, né troppo lontano.
I miei occhi vagano dalla sua mano al suo volto; i giochi di luce dovuti al fuoco che gli ballano sul viso hanno qualcosa di ipnotizzante e non riesco a fare a meno di sorridere, mentre una sensazione di calore mi riscalda il petto.
Appena la superfice chiara comincia a scurirsi, lui ritira il braccio, soffiandoci un po’ sopra prima di porgermela, avvicinandomela alla bocca.
L’odore di pane abbrustolito impregna piacevolmente l’aria; un po’ incerta sfioro appena la mollica con le labbra, per paura che sia troppo caldo, ma è sopportabile.
Stando attenta a non far cadere briciole sulla coperta, do un piccolo morso e il pane mi si scioglie quasi sulla punta della lingua.
Arriva il mio turno e devo ammettere di essere un po’ nervosa. Il mio cuore batte a ritmo veloce, mentre mi allungo verso il camino.
Haymitch evidentemente non si fida, perché accompagna i miei movimenti poggiandomi una mano sul polso.
«Sta attenta.» Mi rimprovera, e vorrei dirgli che ho la situazione assolutamente sotto controllo, ma mi sento allontanare bruscamente e mi rendo conto che ho quasi fatto prendere fuoco al pane.
Non dice nulla, e affonda comunque i denti nella superfice carbonizzata, senza preoccuparsi della pioggia di briciole che mi fa finire in grembo.
Sospirando, le spazzo via con la mano – meglio sulla coperta che sui miei vestiti.

Restiamo in silenzio a lungo, e io ho la possibilità di ripensare a tutta la giornata appena trascorsa.
Non mi sento diversa, ero convinta del contrario.
Un tempo credevo che quando mi sarei sposata, sarei diventata un’altra donna – alla fine, lo sono già. Anche se adesso non potrò più farmi chiamare “Miss Trinket”.
Ci siamo spostati sul divano, Haymitch è seduto con le gambe sul tavolino, e io sono stesa di fianco, con la testa poggiata contro il suo stomaco.
La mano destra di Haymitch è poggiata distrattamente sul mio ventre, mentre quella sinistra è sul suo ginocchio.
Sto tracciando pigramente la linea dell’anello dorato che adesso porta all’anulare. Le fiamme ancora vive nel camino fanno sembrare che il metallo sia liquido ed incandescente. Di rimando sollevo anche la mia di mano, per osservare l’anello gemello che indosso da una giornata intera e già non lo avverto più, come se fosse stato sempre lì.
Avverto un debole movimento nel basso ventre – era da un po’ che non si faceva sentire.
Come se fosse stato colpito da una scarica elettrica, Haymitch s’irrigidisce, ritraendo la mano. «Ma che-?»
Tirandomi su e mettendomi a sedere, cerco di evitare di ridere, scuotendo appena la testa. «Dev’essersi svegliata, ha cominciato a darmi calci da questa mattina.»
Lo sguardo preoccupato che ha sul volto è impagabile. «È normale?»
«Molto normale.» Lo tranquillizzo, allungandomi per dargli un bacio sulla guancia.
«Aspetta, hai detto svegliata? Una femmina
Oh, ci è arrivato, finalmente.
Annuisco, stringendomi nelle spalle e cercando di sembrare il più naturale possibile. «Se mi avessi accompagnata all’ultima visita lo sapresti.» Mi sistemo meglio, appoggiando il braccio allo schienale del divano e piegando le ginocchia sul cuscino. «Non l’ho ancora detto ai ragazzi, voglio tenerli un po’ sulle spine.»
Non so quanto riuscirò senza resistere, devo ammettere che è stata dura tenermelo per me fino a questo momento, ma così ci penserà due volte prima di lasciarmi andare da sola un’altra volta.
Devo ammettere che ora che la giornata si è conclusa, mi sento molto più rilassata di questa mattina. È stato un periodo incredibilmente intenso, e non si è affatto concluso.
Ora dobbiamo sistemare una delle stanze inutilizzate e farla diventare una cameretta per la bambina.
Questa casa ha ancora così tante stanze praticamente vuote e ci viviamo in tre. Non riesco a pensare come dev’essere stato per lui viverci da solo così a lungo.
E poi la cosa più importante: «Sarò io a scegliere il nome.» Dico di punto in bianco, dopo una lunga pausa. «Me lo devi, non mi hai fatto scegliere nulla per il matrimonio… è il minimo che puoi fare.»
Dalle labbra di Haymitch esce un lamento e so già quello che sta pensando, ormai è un libro aperto. È noto che abbiamo opinioni piuttosto contrastanti rispetto ai nomi… «Va bene, basta che non te ne esci con qualcosa di ridicolo.»
Sorrido, voltando la testa in modo che non possa vedermi. «Ad esempio?»
«Ad esempio,» ci pensa su, ripassando evidentemente i nomi capitolini che ha nel suo repertorio. «Adorabella
E questo da dove lo ha pescato? Trattenendo a stento una risata, mi volto verso di lui con un’espressione supplichevole. «Oh, ma è il nome di mia madre!»
Di rimando mi guarda confuso; prima di parlare si prende qualche secondo. «Sul serio?»
Non resisto e chino la testa, poggiandola contro la sua spalla, scoppiando a ridere. «No.» Rispondo, quando riesco a sollevare lo sguardo, senza spostarmi. Lui torna a cingermi la vita con un braccio. «Mia madre si chiamava Constance.»
Quel nome non usciva dalle mie labbra da un’infinità di tempo. È quasi un suono malinconico.
Ho bisogno di non pensarci, quindi do una piccola pacca affettuosa sulla coscia di Haymitch, catturando la sua attenzione. «Però sai che “Adorabella” non è tanto male? Potrei segnarmelo da qualche parte.»
«Effie…»
Sollevo le mani in segno di resa, roteando gli occhi. «Va bene, va bene.» Non ho intenzione di divorziare dopo nemmeno ventiquattr
ore di matrimonio. «Sceglierò io il nome ma dovrai comunque approvarlo. Contento?»
Lui emette un verso di approvazione, prima di appoggiare il mento sulla mia testa e riprende ad accarezzare distrattamente la mia pancia.

Il fuoco nel camino si è quasi spento, faccio fatica a rimanere sveglia – dovremmo andare a dormire, ma non voglio che questa giornata finisca.
Mi metto seduta e alle mie spalle Haymitch sussulta, non mi ero resa conto che stesse già sonnecchiando, ma mi fa cenno di non preoccuparmi quando mi scuso.
C’è una cosa che volevo chiedergli già da diverso tempo, ma non ho mai avuto abbastanza coraggio per farlo.
Credo che questo sia l’unico momento buono, quindi metto da parte la paura. «Cosa credi che sarebbe successo? Se non fosse finita così.»
Sono certa che nessuno dei due si aspettasse che la nostra vita avrebbe preso questa piega. Che saremmo finiti insieme, sposati, con un bambino e un altro in arrivo.
Continuo a chiedermi che cosa sarebbe successo se gli avvenimenti di otto anni fa fossero stati diversi, se non fosse cambiato nulla.
La risposta di Haymitch arriva talmente in fretta che mi ritrovo a pensare a quante volte anche lui si sia fatto la stessa domanda. «Prima o poi qualcuno si sarebbe accorto di quello che facevamo e saremmo finiti sui giornali – probabilmente ti avrebbero licenziata, e avresti sposato un uomo ricco sfondato e con i capelli blu. Non credo che sarebbe cambiato molto per me, probabilmente i miei reni avrebbero ceduto ad un certo punto…»
Questa prospettiva è decisamente meno cruda di tutte quelle che avevo in mente io, ma forse le mie idee sono state distorte nel corso degli ultimi anni.
Mi ritrovo a sorridere, mentre torno alla posizione in cui ero prima – stesa di fianco, quasi di schiena, appoggiata ad Haymitch. «Stavo per farlo.»
«Cosa?»
«Sposarmi… avevo molti pretendenti, ero quasi fidanzata.»
Riesco a sentire il suo sguardo anche se in questo momento i miei occhi sono sul camino. Il fuoco si è spento e l’unica fonte di luce è una lampada accanto al divano.
«Non me lo avevi mai detto.» È il suo commento, potrebbe anche sembrare un po’ più stupito, ma immagino che adesso non abbia più importanza.
«Non me lo hai mai chiesto.» Una risposta alquanto stupida, ma vera. Non è mai sembrato molto interessato alla mia vita sentimentale, quando lavoravamo insieme. Non gli era mai importato.
«In ospedale hai detto che quella era la proposta di matrimonio peggiore che potessi avere.» Mi fa notare, e io annuisco.
«Infatti. Ma non ho mai detto che era anche l’unica che avessi mai ricevuto. Semplicemente non prendo in considerazione l’altra perché non ho accettato – ovviamente.» Gli dico in tono semplice, stringendomi nelle spalle.
«Perché non lo hai fatto?» Ecco, questa è una domanda intelligente.
Sorrido, sollevando lo sguardo per cercare i suoi occhi, anche se la posizione non mi permette di avere una buona visuale. «Vuoi provare ad indovinare?» Scherzo, ma lui fa una smorfia e il mio sorriso si allarga. «Mia madre era furiosa. Era il figlio di un collega…»
«Sarebbe potuta finire male.» Dice, con un tono serio, così in contrasto con il tono leggero usato da me fino ad adesso.
La natura del mio sorriso cambia da genuino ad amaro, ma non svanisce. «Peggio di come è andata veramente?»
Haymitch distoglie lo sguardo, ma poi torna a guardarmi. La sua espressione si fa meno tesa. «Avresti potuto sposare un pappagallo colorato.»
Sollevo una mano per accarezzargli la barba – sempre troppo lunga, e lui volta la testa per potermi soffiare un bacio sulle nocche delle dita. «E invece guarda quanto sono stata fortunata.» Scherzo ironicamente, ridacchiando quando lui allontana la mia mano con fare offeso.
Torno a sedermi, allacciandogli le braccia al collo e costringendolo a baciarmi. Riesce a resistere per qualche secondo, ma poi me la dà vinta, rispondendo al bacio e approfondendolo.
Le nostre labbra restano incatenate più di quanto dovrebbero e quando ci separiamo, i nostri volti restano vicini.
Le mie dita trovano di nuovo il loro posto sulla sua guancia, ormai la barba è talmente lunga che non pizzica nemmeno più.
Gli sorrido dolcemente, è raro che abbiamo così tanto tempo per noi, c’è sempre qualcosa da fare.
Mi faccio avanti per potergli dare un altro bacio, lascio appena che le nostre labbra si sfiorino, prima di allontanarmi abbastanza da poter guardalo negli occhi.
In genere sono sempre spenti, oggi invece li trovo incredibilmente brillanti.
«Ti amo. E sono felice di aver sposato te, e non un-» Inspiro profondamente, tirando appena le labbra; è più difficile di quanto sembri. «Pappagallo o quello che è.»
Sembra incredibilmente sollevato dalla notizia e prima di alzarsi, mi bacia ancora, con più trasporto.
Si è fatto veramente tardi, ho bisogno di riposare e Haymitch mi porta in camera quasi di peso.
Quando andiamo a letto cado immediatamente in un profondo stato di dormiveglia, ancora abbastanza sveglia da rendermi conto di non star dormendo, ma non abbastanza da essere totalmente cosciente di quello che mi circonda.
Haymitch mi sta abbracciando da dietro, anche lui praticamente già addormentato e non sono pienamente convinta di quello che sentono le mie orecchie; se è già un sogno, lui che parla nel sonno o soltanto la mia immaginazione che nel silenzio della notte decide di giocarmi un brutto scherzo – ma sono quasi certa di cogliere un bisbiglio appena udibile fra i miei capelli che dice: «Ti amo anche io.»

 
A/N: SALVE! SONO IMPAZZITA.
Sì, cioè no. Abbastanza (?)
Non so più che cosa fare della mia vita. Non so come sia successo, ma io volevo che succedesse e so che Haymitch coccoloso e amoroso è terribilmente OOC – quindi beccatevelo come un “forse è successo, forse no, non lo so stavo dormendo, evitiamo di chiedere” vi lascio col dubbio, anche se io so la risposta MHUAHUAUHUAHA.
No seriamente mi sento incredibilmente insicura in questo momento.

Adesso vado in un angolino a riprendermi, perché questo capitolo non potete immaginare che razza di parto sia stato.
Grazie a tutti quelli che mi hanno aiutata e spero di non avervi fatto perdere fiducia in me.
COSA IMPORTANTISSIMA!!!! Ho cominciato un prequel per Petrichor (non sarà assolutamente così lungo e i capitoli per ora sono la metà di questi – anzi di meno, circa 1100 parole, questo supera le 3500).
Si chiama Ozone e la potete trovare >> qui <<
Petrichor è l’odore della terra bagnata dopo la pioggia, prima dei temporali invece in genere l’aria è impregnata di ozono, quindi… yeah, bit lame, but still.
Sono gli anni di Effie come accompagnatrice, come cambia il suo modo di pensare e come è cambiato il suo rapporto con Haymitch.
A breve farò alcuni riferimenti, ma non è assolutamente necessario leggere l’altra storia.
Un’ultima cosa: chiedo infinitamente perdono a chi sa usare photoshop perché la copertina del settimo anno fa veramente schifo.
Detto questo, grazie mille a tutti come al solito, se volete lasciatemi un commento per sapere cosa ve n’è parso!
A presto!
 

x Lily

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Capitolo 33
*** 7x02 Passato, presente e futuro ***




7x02 Passato, presente e futuro
 
La conversazione sta andando avanti da un po’. La stanza è illuminata a giorno, è una bellissima giornata. La luce filtra attraverso le tende bianche della finestra e la temperatura è perfetta.
Continuo ad accarezzarmi l’addome, distrattamente, mentre lascio che gli altri parlino al posto mio.
« Non approvo assolutamente, Euphemia » la voce di mia madre rimbomba sulle pareti della stanza.
Siamo sedute ai due lati di uno dei lunghi divani che adornano questo soggiorno.
« Non è così male come sembra, Mrs. Trinket » cerca di rassicurarla Finnick, rivolgendole un sorriso garbato.
Mia madre ricambia il sorriso e si aggiusta i capelli con una mano, ridacchiando appena. « Oh, chiamami pure Constance, caro ».
« Sono una donna adulta, madre, » dico, schiarendo bene la voce e impettendomi « e posso sposare chi voglio ».
« Avete visto il nuovo programma televisivo di cucina? Hanno cucinato un’enorme torta al cioccolato con panna, ciliegie e bacon » Annie s’infila nella conversazione repentinamente, forse per cambiare argomento.
« Ma certo! » esclama mio padre, alzandosi e andando all’altro lato della stanza, dove c’è un grosso carretto che dovrebbe contenere liquori, ma che al momento è strapieno di piatti contenenti la suddetta torta.
Siamo nell’attico del Centro di Addestramento e in tutta la mia carriera è la prima volta che lo vedo qui dentro.
Mio padre mi passa uno dei piatti, prima di distribuire i restanti agli altri.
Con una forchetta ne porto un po’ alla bocca e la torta ha un sapore strano. Non sa di cioccolato, o di bacon, ha solo un sapore molto dolce, quasi nauseabondo.
La porta della mia stanza si apre e la testa di Portia spunta fuori, si rivolge direttamente a me. «Effie, mancano cinque minuti» e torna dentro.
È tempo di alzarsi, vado verso Finnick e gli porgo il piatto con la torta, lui mi ringrazia e incomincia immediatamente a dare piccole forchettate di dolce al piccolo Finn, seduto fra lui e Annie, che li guarda sorridente.
Vado verso la porta da dove è uscita Portia e mia madre mi segue. Entro e mi ritrovo in un piccolo camerino.
All’interno ci sono Portia, Cinna e il team di preparatori di Katniss.
Lo stilista mi spoglia, per poi passarmi nelle mani di Portia, che mi fa infilare il vestito che aveva preparato per il mio matrimonio ma che non ho voluto mettere. « È un vero peccato » dice, visibilmente delusa, mentre mi sistema i veli sulle spalle. « Avresti fatto un figurone, ti sta d’incanto ».
« Mi dispiace » borbotto, prima di guardarmi allo specchio.
Il vestito mi calza a pennello, scivola liscio su ogni curva del mio corpo e sul mio ventre ora piatto.
Mentre Cinna mi si avvicina per sistemare gli ultimi pezzi del vestito, vedo mia madre che mi fissa, scuotendo la testa con un’espressione di disapprovazione stampata sul viso.
Cinna non dice nulla, è sempre in silenzio, poi mi consegna ai preparatori.
Loro non la smettono di parlare. « Questi capelli li devi proprio tagliare » commenta Octavia, mentre comincia ad armeggiare in un cassetto della mia toletta.
Nel frattempo Flavius comincia ad ispezionarmi le mani e mi da una pacca amichevole sulla spalla, visibilmente soddisfatto « Perfetto, vedo che hai smesso di mangiarti le unghie, invece! Sono passi avanti, stai andando veramente bene ».
Il mio sguardo si sposta su Venia, che è ferma accanto a loro, con le braccia incrociate. Lei si accorge di essere osservata e annuisce contenta. « Assolutamente una conquista. Sono fiera di te, Effie! »
Finiscono di truccarmi e Cinna si allunga a prendere la mia parrucca dorata dalla sua scatola, in fondo all’armadio, e mi aiuta ad infilarla stando attento a non far uscire i capelli.
Mi posiziono di fronte allo specchio lungo, con loro dietro di me – ma mentre loro sono tutti perfettamente nitidi, la mia immagine è distorta.
Non riesco a mettermi a fuoco, il volto è una chiazza di colori indistinta.
« Dobbiamo andare » mi avverte Portia, io annuisco e mi avvicino a Cinna. Lo abbraccio, e lo saluto, perché non ho avuto il tempo di farlo.
Portia si avvia alla porta, la apre ed esce – ma questa volta la seguo anche io.
All’interno della stanza non ci sono più le stesse persone che c’erano prima e improvvisamente un allarme parte nella mia testa, sento di essere in pericolo.
Seduti sui divani ci sono decine di bambini; ci metto un attimo a riconoscerli, ma quando lo faccio il mio sangue si ghiaccia.
Sono loro, i miei vecchi tributi. Mallow, Nettle,
Rocky
, Blue, Spike, Ivy, Violet – e tutti gli altri, dal primo all’ultimo.
I loro occhi sono tutti su di me e al centro mi aspetta la mia boccia di vetro.
So già che all’interno ci sono solo i loro nomi, ripetuti all’infinito.
Mi volto per quardare dietro le mie spalle, e mia madre e Cinna sono spariti.
C’è solo Portia, che mi guarda con fare incoraggiante e un sorriso che non raggiunge gli occhi. Allunga le braccia verso di me e mi fa cenno di andare.
Io torno a guardare la boccia con dentro i nomi e mi avvicino; infilo la mano nel mare di buste e prendo la prima che capita sotto le mie dita.
La sollevo, aprendola con cautela e leggo mentalmente il nome che c’è scritto: « Primrose Everdeen ».
Provo a pronunciare quelle due parole ad alta voce, ma dalla mia bocca non esce alcun suono, non importa quante volte provi.
Sollevo lo sguardo dal biglietto ai miei tributi, ma nessuno si muove e io non la vedo.
Allora sospiro e metto via la busta, infilo di nuovo la mano dentro e ne tiro fuori un’altra: « Primrose Everdeen ».
Ripeto gli stessi gesti cinque, dieci, venti volte, ma il risultato non cambia.
Alla fine una delle bambine si alza e io dimentico la boccia, si avvicina a me con gli occhi fissi nei miei.
Ha un caschetto di capelli castani e una ferita aperta e sanguinante sulla tempia sinistra. La riconosco, è Lavander.
Non dice nulla, ma porta le mani avanti e spinge di lato la boccia pieni di nomi, che va in frantumi sul pavimento, spargendo schegge di vetro e biglietti ovunque.
I miei occhi rimangono fissi su quel macello a lungo, e quando sollevo di nuovo lo sguardo, i tributi sono spariti.
Al loro posto sul divano c’è solo Haymitch, con un bicchiere pieno di liquore in mano e gli occhi fissi su un punto alle mie spalle. Sembra che il suo sguardo mi stia attraversando, come se fossi invisibile.
Provo a chiamarlo, ma lui non mi sente.
Mi volto anche io, e dietro di me c’è uno schermo gigante. Prende quasi tutta la parete.
Sta dando le immagini di un’arena, è una grossa radura al cui centro è stata posizionata la Cornucopia ma non ci sono i soliti ventiquattro tributi attorno.
Sono solo loro, i miei ragazzi, tutti lì. Tutti morti.
Chiamo i loro nomi, uno per uno, come se volessi farli svegliare, ma non si muovono.
Anche Haymitch, Katniss e Peeta sono stesi per terra, insanguinati, immobili, con gli occhi sbarrati che mi fissano e il viso distorto in un’espressione di puro terrore.
Con una morsa terribile nel petto che mi impedisce di respirare, i miei occhi continuano a vagare su quella strage di innocenti – riconosco Pan, e accanto a lui c’è il corpo di una bambina. È stesa di spalle, non posso vedere il suo volto, vedo solo una cascata di capelli biondi raggrumati per colpa del sangue che la ricopre e in quel momento, pur non avendola mai vista prima, so che è lei, la mia bambina. Ed è quello il futuro che l
’attende.
È colpa mia.
Sono tutti morti per colpa mia e continueranno a morire.
Non riesco più a guardare.
Chino lo sguardo e la mia pancia è tornata ad essere gonfia, le mie mani sono ricoperte di sangue rosso vivido. Scintilla e continua a colarmi fra le dita, come se avessi una ferita aperta.
Ma non sono ferita e quel sangue so che non è mio. Ho le mani sporche di tutto il sangue che ho causato, di tutti i bambini e i ragazzi che ho ucciso.
Li ho uccisi io.
È colpa mia.
Moriranno per colpa mia.

Mi sveglio scattando seduta, con un grido strozzato che mi si blocca in gola, e due braccia forti sono pronte a cingermi le spalle e a stringerle, dondolandomi lentamente avanti e indietro, mentre tento disperatamente di riprendere fiato.
La lampada dal lato di Haymitch è accesa e io mi porto istintivamente le mani davanti al viso, controllando che siano pulite e non insanguinate.
« Ho sognato- » la mia voce è debole, ma non c’è bisogno che finisca.
Haymitch smette di cullarmi nel suo abbraccio e si stende di nuovo, portandomi con sé. « Lo so » dice, prima di portarmi una mano dietro la schiena. « Continuavi a ripetere tutti i loro nomi ».
Dopo un po’ il mio respiro si regolarizza e le immagini del sogno si confondono in un’idea confusa di cui restano solo occhi freddi, sangue scarlatto e sensazioni spiacevoli.
Erano mesi che non avevo incubi così vividi, ma con la gravidanza i miei sogni stanno diventando sempre più strani.
« Non discuteremo più dei nomi per la bambina prima di andare a dormire, va bene? » propone Haymitch, con la voce ancora impastata dal sonno, so che non resterà sveglio a lungo.
Io annuisco, incapace di usare la mia voce per rispondere.
Chiudo gli occhi, sperando di riuscire a riaddormentarmi in fretta e di non fare altri sogni, di alcun tipo.
Lasciamo la luce accesa, perché dopo che uno di noi due ha avuto un incubo ormai è diventata un’abitudine.

Al mattino mi sveglio da sola nel letto e mi rendo conto che il senso di angoscia che mi ha lasciato l’incubo di questa notte non è ancora del tutto svanito.
Ho un mal di testa martellante che mi paralizza, una morsa di ferro mi tiene stretta la parte alta della nuca e quasi ho le lacrime agli occhi per il dolore.
Resto a letto il più a lungo possibile, sperando che passi in fretta.
Negli ultimi anni mi sono sempre svegliata in questo stato dopo un incubo di questa portata, ma ogni volta tendo a dimenticarlo.
Quando la morsa si scioglie, quasi un’ora più tardi, lascia il posto ad un mal di testa non troppo leggero, ma decisamente più sopportabile.
Sono lo stesso provata e abbattuta, quindi decido di non alzarmi comunque e di giocare pigiando leggermente su alcuni punti della pancia, aspettando che la bambina risponda spingendo in quell’esatto punto.
Nelle prime ore del giorno è sempre molto attiva, certe volte mi tiene sveglia per quanto si muove.
Finisco per saltare la colazione e rimanere sotto le coperte fino ad ora di pranzo, quasi.
Prima che vengano a chiamarmi, striscio fuori dal letto e mi infilo sotto la doccia, per tentare di acquistare un aspetto decente.
Quando sono pronta e scendo al piano di sotto, un odore delizioso mi accoglie.
All’interno della cucina la tavola è già imbandita, Haymitch, Pan e Katniss sono seduti mentre Peeta sta finendo di cucinare.
Smette solo quando si rende conto della mia presenza, e mette da parte una padella per venire ad abbracciarmi. « Auguri » dice sorridente e io lo ringrazio.
Anche Pan si alza, venendomi ad abbracciare, appoggiando l’orecchio sulla mia pancia. « Wow! » esclama, sorpreso ed entusiasta.
Io lo guardo con un sorriso incuriosito, mentre gli passo una mano fra i capelli. « Che c’è? »
Sento le sue manine muoversi dietro la mia schiena e solleva la testa per potermi guardare in faccia, regalandomi un sorriso sdentato. « Le mani non si toccano per quanto sei grossa! »
Che gioia…
La mia espressione deve rivelare un po’ troppo, perché Haymitch si alza e lo afferra sotto le ascelle, sollevandolo. « Ti avevo detto di non direle mai una cosa del genere, ragazzino » lo rimprovera in un tono leggero, facendolo sedere sulla sua gamba dopo che ha ripreso posto al tavolo.
Io sollevo un sopracciglio. « Quindi anche tu pensi che io sia enorme? » Peeta e Katniss sghignazzano, mentre Haymitch cerca di arrampicarsi sugli specchi.
Ormai, nonostante non sia proprio la cosa che mi entusiasmi di più di questa situazione, mi sono rassegnata all’idea che per i prossimi due mesi continuerò a crescere e a crescere, ma farmelo notare non è esattamente elegante – posso accettarlo da un bambino di sette anni, ma non da mio marito.
Lui borbotta qualcosa di simile a: « Non mettermi in bocca parole che non ho detto » prima di rivolgersi a Peeta. « Allora, ci vuole ancora molto? »
Il ragazzo scuote la testa, continuando a mescolare il contenuto di una pentola. « No, ormai è quasi pronto » lo rassicura, prima di rivolgersi a Katniss. « Perché non le dai il nostro regalo? »
« Prima il mio! » Pan si alza dalle gambe del padre e corre in salotto, io ne approfitto per sedermi al tavolo e rivolgo uno sguardo interrogativo ai presenti, ma nessuno vuole dirmi nulla.
Quando il bambino torna, mi porge un pacchetto che scarto con impazienza, cercando di stare attenta a non rompere la carta.
« Zio Peeta mi ha aiutato » dice, quando ho finalmente liberato il suo regalo e vedo che è uno splendido disegno incorniciato in una cornice fatta a mano.
Il disegno è di Pan, rappresenta tutti noi. Al centro c’è lui, e io e Haymitch gli teniamo le mani. Non si è risparmiato dal disegnarmi un grosso cerchio al posto della pancia.
Accanto a noi poi ci sono anche Katniss e Peeta che si tengono per mano, e vicino ai nostri piedi, due palle arancioni che immagino siano Ranuncolo e Pumpkin.
Alle spalle ci sono le nostre due case, sovrastate da un sole sorridente.
Sopra a tutto, con la sua grafia infantile, le parole « buon compleanno mamma ».
« Ti piace? » chiede, e io annuisco convinta – perché provare a parlare adesso è impossibile senza finire col piangere.
Immagini dell’incubo tornano a tormentarmi e improvvisamente credo di non meritare questo regalo. Credo di non meritare nulla di quello che ho, e le lacrime di gioia diventano lacrime nervose.
Ma le caccio via comunque, e mi faccio avanti per abbracciare Pan, che mi allaccia le braccia al collo mentre io gli do una serie di baci che gli fanno il solletico, facendolo ridere.
« Così però non vale, adesso il nostro regalo farà schifo » lo prende in giro Katniss, con un sorriso beffardo sulle labbra.
Pan si separa da me per fare la linguaccia alla ragazza, poi si avvicina a lei tentando di rubarle il suo pacchetto dalle mani, ma Katniss solleva il braccio e gli mette una mano in testa tenendo l’altro braccio teso, in modo da non poterlo far avvicinare. « Andiamo, sei una pulce. Che pensi di fare? »
Il bambino si divincola un po’, tentando si spingere in avanti con la testa, ma non riesce a fare nemmeno un passo – quindi si arrende, tornando da suo padre, sconfitto e con un broncio che durerà meno di cinque minuti, conoscendolo.
Peeta spegne i fornelli e si gira, appoggiandosi al bancone, mentre Katniss mi porge il regalo e io lo prendo.
« È un po’ presto, ma lo abbiamo visto mentre passeggiavamo nella piazza principale e… » dice Peeta, mentre lo apro ed estraggo una piccola scatola di legno, « è un carillon ».
Katniss si allunga per poter sollevare il coperchio e tirare una cordicella che riavvolgendosi fa partire una dolce melodia.
Haymitch fa passare una mano sulla superficie decorata del cofanetto, con fare quasi assente. « Conosco questa canzone, » dice « non ricordo dove l’ho sentita »
« È una ninnananna » spiega la ragazza. « Ti sarà utile quando nascerà la bambina ».
« Oh, volete proprio farmi piangere oggi, non è così? » scherzo, ma in realtà lo penso sul serio, mentre mi alzo per abbracciare prima Peeta, poi Katniss, anche se lei è un po’ riluttante. Cerca di evitare ogni contatto con la mia pancia come se fosse radioattiva.
« Scusa, » si affretta a dire « è che è strana ».
« Strana, enorme… » porto gli occhi al cielo, tornando a sedere e rivolgendo uno sguardo prima a lei e poi ad Haymitch. « Voi due sì che sapete trattare una donna in dolce attesa » cerco di nascondere un sorriso, perché in realtà m’incuriosisce vedere tutte le loro reazioni così diverse.
Peeta mi poggia entrambe le mani sulle spalle, stringendole appena in un gesto di conforto, prima di aggiungere con fare scherzoso: « Sei sempre meravigliosa, non ascoltarli, Effie ».
Annuisco divertita, coprendo una delle sue mani con la mia. « Vedete? Dovreste tutti prendere esempio ».
Haymitch sbuffa – facendo solo ampliare il mio sorriso già largo. « Allora, vuoi anche il mio regalo o no? » chiede, tirando fuori dalla tasca il suo pacchetto « Perché mi hai rotto per settimane con questa storia ».
È vero… l’ho fatto. E credo che dopo decine di giri di parole e suggerimenti velati, per paura che non capisse il mio intento – perché Haymitch è Haymitch – io glielo abbia anche indicato, con tanto di un non-tanto-velato: « Voglio quello per il mio compleanno ».
Quindi dopo tutti i miei sforzi, posso finalmente allacciare attorno al polso il mio prezioso braccialetto.
In realtà è molto semplice, è formato da una serie di anellini dorati incatenati fra loro.
Da quando porto la fede all’anulare della mano sinistra, vedevo la mia mano destra incredibilmente vuota, adesso non è più così.
Finalmente cominciamo a mangiare, perché sto morendo di fame – e Peeta ha cucinato tutti i miei piatti preferiti, tutti preparati alla perfezione.
Quando arriva il momento del dolce, tira fuori una torta al cioccolato ricoperta di panna e altri ricordi legati al sogno tornano alla mia mente, facendomi irrigidire appena sulla sedia.
« Che c’è? » mi chiede lui, un po’ preoccupato, quando si accorge che sto fissando la torta con un po’ troppa insistenza. « Ne avevamo parlato ieri, pensavo avessi deciso che volevi questa ».
Io annuisco, cercando di sembrare il più naturale possibile – non è colpa sua, la torta è magnifica e sono sicura che è anche deliziosa, il problema adesso è mio.
Haymitch sembra ricordarsi improvvisamente di qualcosa, si alza e va al frigorifero, prendendo una grossa ciotola. « Ti ho preso anche un’altra cosa » dice, poggiando sulla tavola l’enorme recipiente ricolmo di bellissime, rossissime e profumatissime fragole.
Praticamente le assalgo. « Haymitch! Ma dove le hai prese? Siamo a febbraio! »
Forse non avrei dovuto reagire con così tanto entusiasmo, perché adesso lui è talmente pieno di sé che me lo rinfaccerà per mesi. « Direttamente da Capitol City » risponde agguantando anche lui un paio di fragole e passandone una a Pan. « Plutarch mi deve ancora qualche favore… »
E il pranzo prosegue fino al pomeriggio, fra chiacchiere, torta al cioccolato e fragole.
Io non esito a riempirmi il piatto di quest’ultime per poi ricoprirle – o meglio affogarle – nella crema di cioccolato con cui Peeta ha farcito la torta. E del formaggio grattugiato, guadagnandomi una serie di versi disgustati da parte di Pan e Katniss.
Cerco in tutti i modi di non pensare più all’incubo.
Devo cercare di convincermi che quelle cose appartengono ad una vita passata, una vita che faccio fatica a credere fosse la mia.
Ho riconosciuto i miei errori e l’ho fatto apprendendo le cose nel peggiore dei modi…
Mi sento in colpa ogni volta che la mia mente torna a quegli anni ma non posso rimediare ai danni che ho causato.
Nel mio piccolo ho sempre cercato di trarre il meglio da tutte quelle situazioni e l’unica cosa che mi permette di andare avanti, adesso, è il pensiero che senza quei giorni io ora non sarei qui.
Guardare quello che ho adesso, pensare al futuro, è la sola cosa che mi salva dal mio passato. 


A/N: Salve!
Per evitare confusioni, Effie è quasi al settimo mese di gravidanza. 29esima settimana, giorno più, giorno meno.
Ma quanto si diverte Effie a chiamare Haymitch “mio marito”? È bellissima XD
La parte iniziale sul sogno è normale sia strana, la volevo così, insomma è un sogno…
Infatti, infatti, nella mia mente, questo io lo chiamavo L’episodio sogno. Ma ovviamente non potevo dare questo titolo, altrimenti sarebbe stato troppo palese che l’inizio era un sogno (ma va), non avrei mai potuto farlo passare come flashback, per poi fare BAAAAM non è un flashback, ma un sogno, e nemmeno – è un bruttissimo incuboooo. (Lasciatemi stare sono le tre e mezza di notte) e quindi trovare un titolo che non fosse fuorviante ma che non fosse nemmeno troppo rivelatore, è stato abbastanza difficile.
I tributi che ho nominato qui, sono gli stessi che ho descritto/descriverò in Ozone, quindi se volete sapere qualcosina di più su di loro, potete leggerla. Anche se non avendo mai fatto tanta strada nei Giochi, purtroppo non potevo approfondire molto.
Sto cercando di aggiornare Petrichor ogni 4/5 giorni, per non andare troppo di fretta, quindi immagino che nel frattempo mi dedicherò un pochino ad Ozone.
Fatemi sapere cosa avete pensato di questo capitolo, tutto il sogno è stato parecchio difficile da scrivere, soprattutto quella frase con Annie, Finn e Finnick, stavo qui di fronte allo schermo con un groppo in gola a pensare come sarebbe potuta andare diversamente… e lo stesso quando le ho fatto estrarre il nome di Prim decine di volte.
Comunque, grazie mille a tutti e a presto!!
 

x Lily
 
ps_ *Voce di Saw* Voglio fare un gioco con voi. Secondo voi quanti anni ha Effie adesso? Ho solo il mio amore da dare come premio, però, *cambia voce e diventa Fantozzi* vi stimerò moltissimo!

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Capitolo 34
*** 7x03 Dubbi infantili ***




7x03 Dubbi infantili
 
« Non sto dicendo che mi fa schifo, dico solo che è un po’ inquietante. Tutto qua » Katniss sta cercando di spiegare il suo punto di vista da un po’, ma temo che stia solo peggiorando la situazione.
« Andiamo, che cosa c’è di inquietante in una nuova vita che sta per nascere? Io trovo che sia incredibile » Peeta rotola sulla schiena, e adesso sta fissando il cielo limpido.
I picnic sul Prato sono diventati una sorta di tradizione che facciamo almeno una volta al mese, se il tempo ce lo permette.
Ormai è tornato tutto com’era prima, e abbiamo trovato il nostro posto.
« Vuoi vedere che cosa c’è di inquietante? Okay » La ragazza si alza dalla coperta su cui era seduta, accanto a suo marito e togliendosi un po’ la polvere dai pantaloni si siede su quella dove ci siamo messi io ed Haymitch.
« Che vuoi fare? » le chiede lui, adocchiandomi con fare un po’ preoccupato, ma Katniss gli fa cenno di non preoccuparsi e si fa passare la bottiglia di succo di frutta che sta reggendo in mano.
« Aspetta » dice, poi mi poggia la bottiglia sulla pancia – ormai oltremodo gonfia – e io mi tiro su, appoggiandomi sui gomiti e guardando in basso, per cercare di capire che voglia fare.
Aspettiamo un attimo, e dopo qualche momento avverto un calcio all’altezza del ventre, esattamente sotto la bottiglia, che vacilla e cade, prontamente afferrata dalla ragazza, che la ripassa ad Haymitch.
« Questo secondo te non è inquietante? » ripete, tornando al suo posto accanto a Peeta e lui scuote la testa divertito. « Ha un parassita che vive dentro di lei, si nutre di quello che mangia e si muove dentro la sua pancia. Io lo trovo assurdo »
Haymitch incurva un sopracciglio, rifilando alla ragazza un’occhiata poco gentile. « Ehi, hai appena chiamato mia figlia parassita? »
« È quello che è » ribatte lei, con semplicità, senza voler effettivamente offendere nessuno.
« È una bambina » precisa Peeta, ottenendo un gesto di approvazione da parte di Haymitch. Io mi limito a seguire lo scambio di battute, allungando ogni tanto lo sguardo verso Pan, che si sta arrampicando su un albero vicino.
« E comunque non resterà lì dentro ancora per molto » Haymitch non sembra molto rilassato a questo pensiero, e a dirla tutta non lo sono nemmeno io. Ma immagino sia normale.
« Pensate di esserne in grado? » ci chiede all’improvviso Katniss, con una serietà che mi sorprende. « Insomma, non ne sapete niente di bambini – e non provate a tirare fuori di nuovo la storia di Pan, perché quando quella cosa verrà fuori non avrà niente a che fare con un bambino di sei anni ».
Haymitch le tira la carta appallottolata che avvolgeva il nostro pranzo, ma lei è abbastanza veloce da chinarsi e scansarla. « Prima “parassita” adesso “cosa”. Potresti finirla, cortesemente? »
« Non hai risposto alla domanda » sottolinea lei, senza cambiare espressione.
Credo sia venuto il momento di intervenire, quindi tento di mettermi seduta, ma è abbastanza complicato, e sono necessari sia Peeta che Haymitch per aiutarmi a tirarmi su. Sta diventando frustrante anche solo fare i gesti più semplici, non vedo l’ora che finisca. Ormai dovrebbero mancare circa tre settimane. « Certo che ne saremo in grado » le dico sorridendole, ovviamente sto pensando l’esatto opposto, ma non posso certo dirglielo.
« E poi non saranno soli » aggiunge Peeta, passandole un braccio attorno alle spalle. « Vedrai che se la caveranno, certo, non sono le persone più affidabili che conosciamo, ma sono fiducioso » scherza, senza riuscire a trattenere una risata.
Da quando sono diventati loro i nostri tutori e non viceversa?
« Ti ringrazio » faccio roteare gli occhi, tornando stesa sulla coperta, stanca di tenermi sollevata.
« Sono solo preoccupata per voi ».
« Non esserlo, siamo venuti fuori da situazioni ben peggiori » cerca di rassicurarla Haymitch, e per provare il suo punto, si sporge verso di lei per stringerle un braccio, ma lei si scansa con un ghigno e gli rilancia la carta appallottolata, colpendolo in petto.
« Ragazza ingrata » l’apostrofa lui, rinunciando a quel momento di gentilezza e tornando a far finta che il succo di frutta sia vino.

Sono quasi le nove di sera, e abbiamo finito di cenare da poco. Sto tentando di riordinare la cucina ma la cosa mi riesce piuttosto male.
Ogni cassetto che apro, viene richiuso dalla pancia se provo ad avvicinarmi, e fare tutto stando girata di fianco è terribilmente scomodo.
Aspetto solo il momento di poter tornare a dormire a pancia sotto.
Ho la sensazione di stare per esplodere, i piedi non entrano in nessun paio di scarpe e la schiena ormai è a pezzi.
Sospirando e sedendomi sulla sedia più vicina, allungo uno sguardo oltre la porta per vedere se riesco a trovare mio figlio. Pan si è comportato in modo strano durante tutto il pasto. Comincio ad essere un po’ preoccupata per lui. Sono giorni che non è più lo stesso.
Cerca di evitarci, si isola appena può e se gli chiedi il perché lo stia facendo, ti liquida dicendo che non è vero.
Mi rialzo per completare l
’opera, e appena finisco di sistemare come posso, vado in salotto per vedere se è lì, ma c’è solo Haymitch, sul divano a leggere un libro. La casa è piena di riviste e libri sulla gravidanza, e ho costretto anche lui a leggerne qualcuno, tanto per stare più tranquilla.
Pan però non è qui, e quando chiedo dove sia, Haymitch mi dice che è di sopra.
Credo sia venuto il momento di capire che cosa sta succedendo, e per trovarlo ci metto poco.
Non è nella sua stanza, ma nella stanza che dovrà essere della sua sorellina. Uno dei tanti vecchi studi che non abbiamo mai utilizzato.
Haymitch, Peeta e Thom si sono dati da fare per dipingerla e io e Katniss abbiamo pensato all’arredamento. Non che lei sapesse bene dove mettere le mani, ma mi è stata d’aiuto soprattutto per spostare e riposizionare i mobili e la culla.
Pan è seduto sulla sedia a dondolo e sta giocando con il carillon che Katniss e Peeta mi hanno regalato per il compleanno.
La ninnananna suona e la bambina si agita. Lo fa sempre quando sente questa melodia, non ho ancora capito se la adora o la detesta, ma lo scoprirò molto presto, immagino.
Mi avvicino a lui, con cautela. Sembra sovrappensiero. « Va tutto bene? » gli chiedo e lui annuisce in silenzio, continuando a studiare il carillon. « Pan, se c’è qualcosa che non va puoi dirmelo, lo sai ».
Il bambino non sembra del tutto sicuro di voler parlare. Si prende il suo tempo, mi guarda con i suoi grandi occhi scuri e alla fine china la testa, parlando con un filo di voce. « Quando arriverà la bambina mi riporterete indietro? »
Le sue parole mi colgono del tutto impreparata e mi lasciano piuttosto confusa. « Come– perché dovremmo volerti riportare indietro? »
« Tu e papà mi avete adottato perché volevate un bambino e ora che ne arriverà uno tutto vostro non avete più bisogno di me » allora era di questo che si trattava?
Sapere che Pan tema di essere rimpiazzato mi rattrista incredibilmente e subito mi avvicino, facendogli cenno di alzarsi per farmi posto.
« Ma certo che no » lo rassicuro, mantenendo un tono leggero. « Io e papà non potremmo volerti più bene di così, non cambierà nulla. La tua casa è questa adesso ».
Nonostante il suo viso non sia del tutto libero dal timore di venire abbandonato, annuisce, mi regala un debole sorriso e un fugace bacio sulla guancia, prima di correre via dalla porta e lasciarmi da sola.
Lascio cadere la testa contro lo schienale della sedia e inspiro profondamente, accarezzandomi la pancia.
Cerco di rassicurarmi, pensando che sia del tutto normale che Pan possa provare un po’ di gelosia nei confronti di sua sorella.
Da piccola Allie mi detestava. Ero la più piccola, e per un po
’ ho avuto le attenzioni di tutti i familiari. Mio padre mi venerava.
Con il passare degli anni i nostri caratteri ci hanno portate a litigare spesso, ma crescendo abbiamo cominciato a legare di più.
Dovrei chiamarla… lei ha cresciuto tre bambini piccoli, sicuramente potrebbe essermi d’aiuto.
Non sono sicura di come potrebbe prendere una telefonata da parte mia, però. Non dopo l
’ultima volta.
Per il momento forse è meglio concentrarsi sulla bambina e su Pan.
Poi comincerò a pensare ad un modo per riappacificarmi con mia sorella.

Ci ho messo diversi giorni a venire a capo della situazione, ma anche con Haymitch ci siamo messi d’accordo sul passare un po’ più di tempo con Pan e abbiamo finito per fare un sacco di cose insieme. Che fossero semplicemente i suoi compiti a casa, passeggiate – per quanto potessi – o anche solo rimanere a chiacchierare o a vedere la televisione sul divano.
Lui sembra molto più tranquillo e questo ha reso tutto molto più facile.
Con Allie non è andata malissimo, nonostante all’inizio non volesse parlarmi.
Ad avere problemi, adesso, sembra essere Peeta.
Così, mentre la bambina continua a tirarmi terribili calci, mi ritrovo sul suo divano mentre lui mi parla sottovoce, per non essere sentito.
« Non riesco a capire che cosa la spaventi così tanto » mi sta dicendo, con un’espressione un po’ triste sul viso.
Da quando sono rimasta incinta credo che anche in lui sia scattata la voglia di diventare genitore.
« Evidentemente non è ancora pronta, siete giovani, avete ancora molto tempo… » le mie parole, però, non gli sono di alcun conforto, glielo leggo negli occhi.
« Scommetto che nemmeno Haymitch era pronto quando Plutarch vi ha proposto di adottare Pan » in effetti non ha tutti i torti, penso. « Come hai fatto a convincerlo? »
Inspiro profondamente, passandomi una mano sul ventre e cercando di massaggiarlo per calmare la bambina. « Ne abbiamo parlato a lungo, abbiamo valutato bene le cose da fare… e poi come ha detto anche Katniss, questa volta non sarà la stessa cosa ».
« E l’ha presa subito bene? La gravidanza… voglio dire, non era spaventato nemmeno da questo? »
« Oh, era terrorizzato » mi ritrovo quasi a ridere, e Peeta corruga la fronte. « E anche io lo ero » aggiungo, allungandomi verso di lui per potergli stringere velocemente un braccio. « Ma non ce lo aspettavamo, probabilmente se gli avessi proposto una cosa del genere mi avrebbe dato della pazza ».
Peeta annuisce, un po’ demotivato. « Siamo sposati da quasi tre anni, prima o poi- »
« Prima o poi, prima o poi… te l’ho detto: siete giovani e avete tutto il tempo che volete. Non darle fretta e vedrai che alla fine sarà anche lei a volerlo ».
Di questo in verità non ne sono affatto sicura, ma vedere Peeta in questo stato mi fa provare un po’ di pena, quasi.
Non possiamo continuare a trattare l’argomento perché Katniss ci raggiunge e siamo costretti a lasciare il salotto.
Peeta mi aiuta ad alzarmi e dal momento che è quasi ora di pranzo, decido di avviarmi verso casa.
Non ho nemmeno varcato la soglia di casa loro, però, che sono costretta a fermarmi.
« Scusate… » non credo che abbiano nemmeno capito il motivo per cui io mi stia scusando, almeno finché Peeta non guarda per terra e dalle labbra gli scappa un’imprecazione.
« Peeta! » lo rimprovero, cercando di ignorare il fatto che sulle mie gambe stia scorrendo un liquido caldo.
Mi sento decisamente mortificata per aver rotto le acque sul loro zerbino, se avessi fatto solo un passo più avanti…
Con un respiro profondo, mi volto per vedere Katniss intenta a fissarmi. È bianca come un lenzuolo, sembra sul punto di svenire. « Vado a chiamare Haymitch » dice, poi sta per allontanarsi, ma la costringo a fermarsi.
« No, aspetta. Va tutto bene, cara. Adesso respira un attimo e per favore va a prendermi degli stracci » torno a guardare Peeta, nemmeno lui ha una bella cera.
Io sto per partorire e devo assicurarmi che questi due non si sentano male.
Sto tremando leggermente, devo cercare di ignorare la mia paura e concentrarmi invece sui due ragazzi di fronte a me, che non hanno la più pallida idea di cosa fare.
« Peeta, in teoria abbiamo ancora tempo, ma l’ospedale è lontano, quindi forse è meglio se vai a prendere il furgone, va bene? » lui annuisce, allontanandosi immediatamente.
Non rimango sola, perché alle mie spalle arriva subito Katniss, con in mano una grossa pila di strofinacci. Ne lascia cadere qualcuno a terra e io ci salgo sopra con i piedi – ancora gocciolante.
« Non è presto? » apprezzo il fatto che stia tentando di nasconderlo, ma se la sua voce è calma, i suoi occhi sono terrorizzati.
Le sorrido portandole una mano sul viso, accarezzandole brevemente una guancia, e scuotendo la testa. « Qualche giorno, non preoccuparti mi avevano detto che probabilmente sarebbe successo ».
Almeno finché non arriveranno le contrazioni potrò controllare la situazione, poi me ne laverò le mani e se la vedranno loro.
Peeta arriva con il furgone e mi faccio aiutare a mettere sul sedile del passeggero e per terra altri stracci. Non ci tengo a rovinargli anche la macchina.
« Katniss, ora puoi andare da Haymitch. Prendete Pan e raggiungeteci in ospedale, chiudete la porta o Pumpkin uscirà e non far guidare lui. Intese? »
La ragazza annuisce, non sembra completamente lucida, ma confido in lei.
Quando Peeta mi aiuta a salire, mi rilasso sul sedile dell’auto e questo però fa sì che il cuore mi riprenda a battere impazzito nel petto. Vorrei poter distrarmi con qualcosa…
« Non correre » chiedo gentilmente al ragazzo, appena mette in moto. « Te l’ho detto, c’è tempo ».
Gli sorrido di nuovo, questa volta con meno convinzione.
Adesso che loro due sono stati sistemati, e non devo ancora avere a che fare con Haymitch, posso finalmente lasciarmi prendere un po’ dal panico.
Solo perché mi avevano detto che sarebbe potuta arrivare un po’ prima, non significa che lo volessi… anzi, speravo con tutto il cuore ci mettesse un po’ in più.
Non sono convinta di essere pronta, e Haymitch sicuramente non lo è. 
Ho mille dubbi che mi passano per la testa e lei continua a premere contro il mio ventre, come per ricordarmi continuamente che ora è un po
’ tardi per i dubbi. E ha ragione, ha perfettamente ragione. 
Ma ci sono ancora tantissime cose che dovevamo fare, tantissime cose che dovevamo finire di sistemare.

E non abbiamo nemmeno deciso il nome…

A/N: Salve :)
Scusatemi infinitamente, ma sto passando un brutto periodo e tutto quello che scrivo mi fa abbastanza schifo. Questo capitolo incluso. Non lo so, forse sono io.
Comunque, se tutto va bene, dovrebbe esserci una sorpresa nel prossimo.
Adesso penso di concentrarmi un attimo su Ozone, che quello sembra venirmi più facile.
Spero sinceramente di non aver abbassato proprio tanto il livello della storia.
A presto, con l’arrivo della mini-Abernathy!
 

x Lily

 

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Capitolo 35
*** 7x04 La stanza bianca ***




7x04 La stanza bianca
 
La luce bianca mi acceca e non capisco da dove provenga.
Anche se provo a guardarmi intorno non vedo assolutamente nulla.
È tutto bianco, solo ed esclusivamente bianco.
Non c’è un muro, una porta, una finestra.
Come ci sono arrivata qui?
Sto sognando?
Quando mi sono addormentata?
All’improvviso una voce arriva dalle mie spalle, talmente vicina da farmi sobbalzare.
« Hai intenzione di dirmi qualcosa o pensi di stare così tutto il giorno? » mi sorprendo nel riconoscere questa voce e il mio sospetto viene confermato quando mi volto e mi ritrovo di fronte Portia.
Non è come me la ricordo.
L’ultima volta che l’ho vista era in piedi, di fronte ad un plotone di Pacificatori. Il viso tumefatto, i vestiti stracciati e un’incredibile risolutezza nello sguardo che rimarrà marchiato a fuoco nel mio cervello fino alla fine.
Sono confusa, che sta succedendo?
« Sai dove ti trovi? » mi chiede e io scuoto la testa.
È così serena…
I lunghi capelli ricci e neri le incorniciano il viso privo trucco e segni di lotta. Gli occhi scuri mi scrutano attentamente e le labbra sono curvate nel più debole dei sorrisi.
Indossa una maglietta e un pantalone bianco che arriva fino a coprirle i piedi.
Quando chino lo sguardo mi rendo conto che anche io sto indossando esattamente le stesse cose.
Non sembra che sia un sogno, ma non può star succedendo sul serio.
Portia è morta davanti ai miei occhi, ne sono sicura.
Sono morta anche io?
E come?
Non ricordo nemmeno a che ora mi sono svegliata questa mattina.
Forse non mi sono ancora svegliata…
« Vieni, sediamoci a prendere un tè » si comporta con così tanta naturalezza che mi viene quasi voglia di fare lo stesso.
Forse dovrei solo chiederle che cosa sta succedendo.
Mi fa voltare su me stessa e mi rendo conto che alle mie spalle adesso c’è un tavolino imbandito con due sedie che prima non c’era.
Ci sediamo e lei mi versa un liquido ambrato in una tazza di porcellana.
Tavolo, tovaglia, servizio da tè, sedie… tutto rigorosamente candido come la neve.
Le uniche note di colore siamo noi due e il contenuto delle nostre tazze.
Il tè non è caldo, ma non è nemmeno freddo.
Ha un sapore ordinario, come milioni di tè che ho già bevuto.
Dopo un unico sorso, metto giù la tazza e trovo finalmente il coraggio di parlare. « Sono morta? »
Portia allontana la tazza dalle labbra senza poggiarla sul piattino e scuote la testa impercettibilmente, prima di rispondere. « No » dice, con un tono rassicurante. « Non ancora, ma dipende tutto da te ».
So che dovrei essere spaventata, ma non riesco a provare nulla.
Sono solo più confusa di prima e vorrei cercare di capirci qualcosa.
« Che sta succedendo? » chiedo, cercando lo sguardo della mia amica.
Lo trovo e lei abbandona definitivamente la sua tazza di tè per potermi prendere le mani e stringerle appena. Avverto a malapena il suo contatto. « Sai dove ti trovi? »
Perché continua a chiedermelo? Ho già risposto di no la prima volta.
« No » ripeto. « Non ho mai visto questo posto prima d’ora ».
Portia non mi lascia andare, ma scuote lentamente la testa, chiudendo gli occhi e inspirando piano. « No… » dice in un sospiro, con un tono quasi affranto. « Non qui. La tua mente sta creando questa stanza » mentre parla mi rendo conto che adesso sono comparse delle mura pallide. Riesco a vederle solo perché in alcuni punti sono rotte da crepe sottili.
Non ci sono finestre o porte… mi sento in trappola.
« Non ricordi dove sei adesso? »
Ci provo, ci provo sul serio a ricordare, ma non arriva nulla. « No ».
La mia risposta sembra preoccuparla molto e si alza dal tavolo. Io faccio lo stesso, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo. « Più resti qui, più sarà difficile andartene ».
« Vuoi dire che non è un sogno? » le chiedo e lei scuote la testa.
Non capisco come possa essere possibile, se non è un sogno allora che cos’è?
« Devi ricordare, Effie » indietreggio di un passo e sbatto contro qualcosa. Mi volto e un divano di pelle bianca è alle mie spalle. Lo aggiro e mi siedo, portando le mani ai capelli.
Dov’ero questa mattina?
Anche se non ne ho memoria, non dovrebbe essere difficile come domanda. Sarei dovuta essere a casa mia, immagino.
Effie, ti dispiacerebbe fare un salto da me appena puoi?
È la voce di Peeta che riecheggia all’interno della stanza, risuona lontana e rimbalza contro le mura bianche.
Mi volto immediatamente verso la fonte del rumore, e mi rendo conto che una delle pareti ha una finestra.
È priva di tende o modi di aprirla.
C’è solo un rettangolo di vetro, che adesso è oscurato e il volto del ragazzo sembra essere dall’altra parte.
Mi guarda dritta negli occhi e mi sorride.
Ricordo quella telefonata.
Scommetto che nemmeno Haymitch era pronto quando Plutarch vi ha proposto di adottare Pan. Come hai fatto a convincerlo?
« Che cos’è? » chiedo a Portia alzandomi e avvicinandomi alla finestra.
Lei mi raggiunge subito. « Frammenti di memoria ».
« Ed è un bene che stia succedendo? » la mia ingenuità la fa sorridere, mentre allungo la mano per poter toccare il vetro.
È freddo…
« Potrebbe esserlo, te l’ho detto: dipende da te ».
Ricordo Peeta. Ricordo di essere stata a casa sua, di aver discusso del fatto che Katniss non voleva avere figli e poi…
Mi si sono rotte le acque.
No, non se ne parla. Voi due restate fuori con Pan.
È la mia stessa voce che intima ad Haymitch e Katniss di restare fuori dalla sala parto.
Li ho cacciati perché continuavano a farmi pressione.
Ho lasciato entrare solo Peeta.
Katniss non se l’è fatto ripetere nemmeno una volta.
Haymitch non mi ha ascoltata.
Non lo fa mai.
Non voglio che tu mi veda in questo stato Haymitch. Sono orribile…
Non sono un esperto, ma non credo che il parto sia come una sfilata di moda.
La voce arriva dalle mie spalle e mi volto per vedere che si è aperta un’altra finestra.
Immagini di Haymitch che mi fissa con fare apprensivo si susseguono davanti ai mei occhi.
Ricordo il dolore.
Ricordo le grida.
I medici hanno cercato di portarlo via quando ho cominciato a strillargli contro.
Lui non ha voluto lasciarmi sola.
Gli ho urlato cose orribili e vorrei poter riprendermele tutte indietro.
« Voglio tornare da loro » mi rivolgo a Portia, lei annuisce.
« Lo so, non credo che tu sia troppo lontana » mi indica qualcosa e io mi trovo a fissare una porta di legno candido.
In cima, affisso con un chiodo, c’è un bellissimo fiocco bianco.
« Come sta la bambina? » sto provando a ricordare altre cose, ma la mia mente è bloccata. C’è come un muro alto che non mi permette di vedere oltre.
« Non posso saperlo… » Portia mi spinge ad andare verso la porta e io faccio come mi dice.
La serratura è chiusa.
La mia mano si stringe con ancora più forza attorno alla maniglia e cerco di girarla ma non si muove nemmeno di un millimetro. Sembra inchiodata.
Adesso dovete uscire.
Perché?
Che succede?

Do una forte spallata alla porta e della polvere chiara cade dal soffitto, dalle crepe nella parete.
« Aiutami! » supplico la mia amica, ma le lei scuote la testa chinando lo sguardo.
« Non posso, mi dispiace. Devi essere tu a farlo ».
Non riesco a fermare l’emorragia.
Mi allontano dalla porta e prendo la rincorsa, tentando di buttarla giù. Le crepe si allargano e si allungano, facendo tremare le pareti.
Sta perdendo conoscenza.
« No… » è un sussurro appena percettibile, ma sono decisa a non mollare.
Non se ne parla nemmeno.
Torno indietro, raggiungo il tavolo e afferro una sedia.
Non ci penso proprio a morire adesso.
Faccio appena in tempo a vedere l’ombra di un sorriso sulle labbra di Portia e colpisco la porta chiusa con la sedia.
Inizialmente non succede nulla.
Non ho sentito nulla, è come se non avessi fatto niente.
La porta non si è mossa, la sedia non si è rotta.
Solo la solita polvere ha cominciato a scendere.
Prima poca, poi sempre di più.
Le crepe si allargano e si uniscono, e poco a poco le mura prendono a sbriciolarsi tutte attorno a me e una luce accecante si fa strada fra le fessure sempre più larghe.

Dietro le palpebre chiuse una luce forte mi forza a tenere gli occhi serrati. Un fischio perenne e tremendamente fastidioso mi tuona nelle orecchie; qualcosa si muove accanto a me e sono costretta ad aprire gli occhi.
Non vedo nulla, è tutto sfocato.
C’è un beep continuo che proviene dalla mia destra.
Mi volto di scatto, e avverto qualcosa in un braccio.
Lo strattono e qualcosa si muove.
Due mani mi afferrano e io grido terrorizzata.
Altre due mani si serrano attorno alle mie braccia, continuo a divincolarmi e a gridare con tutto il fiato che ho nei polmoni, ma non verrà mai nessuno ad aiutarmi.
Sono di nuovo al Distretto 13, in ospedale.
« Effie! »
No. Non sono al 13.
Haymitch non è mai venuto a trovarmi in ospedale.
« Effie! »
Chiudo gli occhi. Forse sparirà tutto.
La testa è pesante, fa male.
Sono confusa.
La stanza gira vorticosamente attorno a me.
Perché sono in ospedale?
« Dov’è Portia? » la mia voce suona estranea alle mie orecchie.
Nessuno mi risponde.
« Dov’è Portia? » ripeto, avvertendo grosse lacrime che mi scivolano lungo il viso e una morsa dolorosa mi stringe il petto, rendendomi quasi impossibile respirare mentre una serie di singhiozzi incontrollati mi spezzano il fiato.
« Effie… » è la voce di Haymitch, ancora, ma non riesco a vederlo.
« Haymitch? » un altro singhiozzo mi costringe a sillabare il suo nome lentamente.
« Sono io, dolcezza. Riesci a sentirmi? » finalmente i miei occhi mettono a fuoco tutto quello che mi circonda, ma il cuore continua a battere incontrollatamente nel mio petto e la stanza non la smette di girare.
Non vedo solo un Haymitch di fronte a me, ma tre, tutti e tre con lo stesso sguardo terrorizzato negli occhi.
« Do-dov’è Portia? » chiedo di nuovo, perché lei non è qui con me.
« Chi è Portia? » una voce alla mia destra mi fa voltare. C’è una donna che non ho mai visto prima, sta facendo qualcosa a dei fili.
Seguo tutta la lunghezza del tubo finché non vedo che termina con un ago infilato nella mia mano.
Il mio cuore manca un battito e i beep aumentano.
Voglio andarmene.
« È una sua amica » sento la voce di Haymitch mentre le sue mani impediscono alle mie di estrarre l’ago. Due lacrime finiscono sul mio polso e sollevo lo sguardo su di lui. È confuso, perché? « Effie, Portia è morta sette anni fa, che stai dicendo? »
« No! » scuoto la testa vigorosamente e ho un moto di nausea. Mi porto una mano a coprirmi la bocca mentre la donna affianco a me armeggia su dei macchinari.
« È confusa, dobbiamo aumentare le dosi » la donna sta parlando con qualcuno alle mie spalle, girarmi per vedere di chi si tratta peggiora solo il mio mal di testa.
C’è un’altra donna identica a lei, che le sta passando una boccetta di vetro.
Una delle due si china sopra di me e mi punta una luce dritta negli occhi, sono tentata di chiuderli, ma mi tiene le palpebre aperte con le dita.
« Sa come si chiama? »
« Effie… Effie Trinket » le allontano le mani, perché il fastidio diventa insopportabile. « Portia… era con me, poi la stanza bianca è crollata ed è sparita. Deve- deve essere da qualche parte ».
Le due donne si consultano ma non riesco a sentire quello che si stanno dicendo, poi improvvisamente la mia testa si fa infinitamente più pesante.
Mi lascio andare contro il cuscino del letto e inspiro profondamente, mentre una delle due donne se ne va.
L’altra dice qualcosa ad Haymitch ma ancora una volta non capisco.
Perché parlano così piano?
I beep rallentano, il ritmo diventa quasi rilassante.
A quel punto sento la mia mano venir stretta da quelle di Haymitch e la realizzazione mi travolge come una doccia fredda.
Un groppo in gola mi impedisce di parlare e gli occhi mi si chiudono da soli.
Ho tantissimo sonno…
Devo restare sveglia, però.
« Haymitch- » non riesco a controllare bene la lingua, mi lecco le labbra per cercare di migliorare la situazione. « La bambina… do-dove…? »
La presa attorno alla mia mano si stringe ancora di più e io cerco di ricambiare la stretta senza successo. « Sta bene » dice, e il terribile nodo che si era improvvisamente formato nel mio stomaco comincia a sciogliersi. « Ho messo Pan e i ragazzi a farle la guardia ».
Vorrei poter dire qualcosa ma ho perso completamente l’uso della parola.
Non posso più tenere gli occhi aperti, tutte le mie membra si sono rilassate e il respiro è rallentato.
Ho bisogno di dormire, non riesco a stare sveglia.
Provo a combattere l’urgenza di addormentarmi, ma più ci provo e più fallisco.
Devono avermi drogata, o qualcosa di simile…
Odio gli ospedali.
Voglio restare sveglia.
Voglio vedere mia figlia.
Haymitch non mi lascia mai andare, sento la presa sulla mia mano sempre presente.
Vorrei che fosse stato così anche l’ultima volta.


A/N: Salve!
Allora, che dire? Questo capitolo non doveva finire così, avrebbe dovuto avere una conclusione un pochino più chiusa, ma dal momento che ho raggiunto e superato il mio limite imposto per Petrichor di 2000 parole, ho deciso di farlo finire in questo modo.
Lo so che è un capitolo molto particolare, e probabilmente non è quello che molti si aspettavano, ma era già da molto che progettavo di scriverlo in questo modo e sinceramente a me il risultato piace molto.
Spero sia piaciuto anche a voi…
Vorrei provare ad aggiornare Petrichor una volta a settimana, il venerdì, ma non prometto niente – nel senso che potrei aggiornare un po’ prima, sicuramente non dopo.
Quindi, il prossimo capitolo arriverà sicuramente entro il 6 febbraio – sempre che io non abbia qualche imprevisto, ma speriamo di no.
Vedremo io e voi come se la caveranno i neogenitori e i neozii…
Nel frattempo, continuerò ad aggiornare il prequel di questa storia, Ozone.
Fatemi sapere cosa ve n’è parso.
E io sto prendendo le decisioni finali sul nome della mini-Abernathy. Dovevo “annunciarlo” nel capitolo di oggi, ma avendo ancora qualche piccolo dubbio esistenziale, ho preferito prendermi qualche altro giorno.
Grazie mille a tutti e alla prossima!
 

x Lily

 

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Capitolo 36
*** 7x05 Primi incontri ***




7x05 Primi incontri
 
Quando la confusione iniziale si è dileguata, ha lasciato spazio ad una sensazione strana.
Credo di aver dormito per un giorno intero, e se così non è stato, allora non ho alcun ricordo delle ventiquattro ore trascorse.
Con la mia famiglia vicino, comunque, riprendersi non si è rivelato un problema insormontabile.
Il vero problema è strato scegliere un nome per mia figlia. Ero convinta che una volta con noi, mi sarebbe sembrato quasi naturale darle un nome invece che un altro. E invece la guardavo nei suoi enormi occhi grigi e gli unici nomi che mi venivano in mente erano dolci nomignoli affettuosi.
Abbiamo chiesto aiuto a Pan e i ragazzi, ma i nomi che ci hanno suggerito non piacevano molto a nessuno dei due, quindi per una settimana la bambina è stata chiamata con quattro nomi diversi.
Fragolina da me, per tutte le volte che ho desiderato solo un’intera vasca di fragole durante la gravidanza.
Semplicemente bambina o piccola da Haymitch.
Sorellina da Pan.
E mini-Abernathy dai ragazzi. Principalmente da Katniss, quando non ha trovato un modo migliore per chiamarla, ma Peeta l’ha seguita immediatamente.
Sono stata tentata mille e più volte di proporre ad Haymitch il nome di Portia, ma non l’ho mai fatto – se non come secondo nome – perché per quanto io sia convinta di doverle la vita, non credo sarei in grado di guardare mia figlia ogni giorno ed essere costretta a riportare continuamente alla mente il ricordo doloroso della mia migliore amica.
Alla fine, con me ancora ricoverata in ospedale e Haymitch seduto sul mio letto, ci siamo messi a spulciare per intero un libro di nomi che mi ha spedito mia sorella.
Ho segnato su un foglio tutti quelli che mi piacevano, ad ogni rilettura ne cancellavo qualcuno, finché non ne sono rimasti solo pochi e allora li ho condivisi con Haymitch.
Dopo ore di ricerche, lui ha scartato quasi tutte le mie proposte.
Sophronia, troppo capitolino.
Gia, troppo corto.
Melisandre, troppo lungo.
Odetta, troppo stupido.
Bellatrix, troppo duro.
Narcissa, troppo pretenzioso.
Andromeda, assolutamente no.
Solo uno gli è piaciuto, ci ha messo un po’ a decidere se era per disperazione o se effettivamente lo trovava adatto a nostra figlia.
Dopo quasi quattro giorni di agonia, è potuto finalmente andare a dichiarare ufficialmente la sua nascita al Palazzo di Giustizia e a comunicare il nome da scrivere sul certificato: Sophia Portia Abernathy.

Allie è venuta a trovarmi in ospedale, il giorno in cui hanno deciso di dimettermi.
Fra poche ore potrò andare a casa, ma per adesso mi godo la compagnia di mia sorella e dei miei nipoti.
Solo Alexandre e Lavinia l’hanno accompagnata, Anita non ha potuto lasciare la Capitale ed è rimasta a casa con il nuovo compagno di mia sorella.
È strano. Pensando ai miei nipoti e mi vengono in mente i tre bambini ancora spaventati che ho accolto in casa mia, ma quelli che ho di fronte non sono più loro.
Alex è un uomo, ormai… lui e Anita devono compiere vent’anni e Lavinia tredici. Ha quasi l’età che avevano i gemelli quando abbiamo vissuto insieme a Capitol City e più cresce, più somiglia ad Allie quando era un’adolescente.
Mi dispiace molto che Anita non sia potuta venire, avrei voluto vedere anche lei.
Immagino sia diventata splendida visto che Allie mi ha detto che l’hanno assunta come modella per una rivista di moda.
« Gli affari vanno benissimo » mia sorella sorride mentre ne parla, quindi immagino sia la verità. « Non è stato facile; abbiamo dovuto trovare una nuova sede, rivalutare il target dei clienti e trovare nuovi impiegati… »
Qualche tempo fa Anita mi aveva detto che Allie aveva riaperto l’attività di mia madre. Era a capo di una grossa casa di moda, un’azienda familiare nella quale anche io lavoravo sporadicamente come indossatrice, quando non ero impegnata con gli Hunger Games.
« Tenere tutto sotto controllo non è facile, ma ho lavorato al fianco della mamma per tutta una vita, penso di aver imparato qualcosa » ci scherza su, ma ha ragione. È stata nostra madre stessa che l’ha preparata a questo momento per anni.
Sono convinta che Allie stia facendo un lavoro impeccabile, così come i miei cugini che lavorano con lei.
Non sono proprio dei veri cugini. Solo uno lo è, e non lo sento da prima che scoppiasse la guerra. Non siamo mai stati in ottimi rapporti, a dire il vero non ci parlavamo quasi mai, a stento posso dire di conoscerlo.
Lo stesso vale per gli altri dirigenti dell’azienda, cugini di secondo e terzo grado che vedevo solo durante le feste e le occasioni speciali in famiglia.
Allie adora parlare di sé e del suo lavoro, e ora che ha cominciato, non c’è modo di fermarla. « A dire il vero ho anche cambiato nome all’azienda. Le ho dato il mio cognome, non aveva più senso farle tenere quello della mamma. Non avrebbe comunque approvato la maggior parte delle modifiche che sono stata costretta ad apportare ».
Alex sembra piuttosto scocciato a sentir parlare di queste cose. Evidentemente lui e sua madre non si sono ancora messi d’accordo.
L’ultimo aggiornamento che mi è stato fatto risaliva ad una brutta litigata perché lei non voleva assolutamente fargli intraprendere la carriera da stilista.
Sinceramente non capisco dove possa essere il problema. Tutta la famiglia, con pochissime eccezioni, lavora in quel campo in un modo o in un altro.
Se ha approvato la scelta di Anita di diventare una modella, non vedo perché non supportare anche suo figlio…
Forse dovrei parlarle, ma ho paura che questo porterebbe ad altri fraintendimenti fra me e lei. Ho appena riavuto l’amicizia di mia sorella, non voglio perderla di nuovo.
Nel primo pomeriggio Haymitch e Katniss tornano in ospedale per venirmi a prendere, lasciando a casa i bambini con Peeta.
Senza di loro non so proprio che cosa avrei fatto.
Alex e Lavinia sono entusiasti di rivederli, e non vedono l’ora di poter salutare di nuovo anche Peeta, oltre a voler conoscere Pan e Sophia, ovviamente.
Sono immensamente sollevata dal fatto che né Haymitch né Allie stiano facendo nulla per disturbarsi a vicenda.
S’ignorano, ma questo è sicuramente il male minore.
Certo, un po’ mi dispiace. Vorrei poter vedere due delle persone più importanti nella mia vita andare d’accordo, ma so che chiederlo sarebbe troppo. Sono troppo diversi, vengono da universi opposti e paralleli.
Durante la strada verso casa, m’informo sull’andamento scolastico di Lavinia – non le piace particolarmente andare a scuola, ma è una bambina intelligente ed eccelle dove vuole eccellere, così come lascia fuori le materie che l’annoiano.
Apprendere la notizia di un ragazzino rimasto alla Capitale mi fa accapponare la pelle. Mi rendo conto di quanto effettivamente sia cresciuta – in così poco tempo – e i pensieri vanno inevitabilmente a Sophia. Ora è un fagottino minuscolo, ma quanto ci vorrà prima che Haymitch e Katniss si faranno trovare sul portico di casa armati di coltello e arco per minacciare di morte tutti i suoi futuri interessi romantici?
Molto tempo. Risponde automaticamente il mio cervello; è appena nata e già penso a quando avrà tredici anni? Mi chiedo se sia normale…
A casa ci aspettano Peeta e Pan, con un vero banchetto di bentornato e benvenuto per me, la bambina e la mia famiglia.
Non perdo tempo a presentare ufficialmente Pan a mia sorella e i miei nipoti, mentre Haymitch va a prendere la piccola.
Ci spostiamo tutti in salotto, e quando lui torna da noi lei sta ancora dormendo.
È così strano stare in questa stanza e non sentire più la bambina muoversi dentro di me. Dopo quasi nove mesi ci avevo fatto l’abitudine. Ricordo ogni momento passato ad accarezzarmi il pancione su questo divano e adesso mia figlia è fra le braccia di suo padre.
Senza pensarci due volte, Haymitch la consegna a Peeta prima che tutti possano avvicinarsi, così, ad essere accerchiato è il ragazzo e non lui.
Rimane comunque dietro di loro, come un falco, mentre Sophia non si sveglia nemmeno. Fortunatamente ha il sonno pesante come suo padre…
Katniss si siede accanto a me sul divano senza staccare gli occhi dal gruppo in piedi a qualche passo da noi. « È incredibile » commenta, un po’ stupita.
« Che cosa? » il suo sguardo è indecifrabile. Non sono sicura che nemmeno lei sappia esattamente come comportarsi con la bambina. L’ha presa in braccio e non si rifiuta quando le offriamo di farlo, ma quando i suoi occhi si poggiano su di lei, la guarda come se fosse un alieno e non un piccolo essere umano.
Non credo che dimenticherò mai il primo commento che fece su di lei. Su come fosse strano il fatto che quella cosa si trovasse dentro di me non molto tempo prima.
Siamo passate da quello ad un sorriso nel momento in cui gliel’abbiamo praticamente infilata fra le braccia, è decisamente un passo avanti.
« Il modo in cui Haymitch la tiene in braccio » risponde dopo poco. Effettivamente non posso darle tutti i torti… « Non hai paura che le faccia male? O la faccia cadere? »
Haymitch maneggia quella bambina come se fosse una busta della spesa – o un piccolo sacco di farina, a detta di Peeta – ma la cosa incredibile è che non sembrano affatto manovre pericolose.
Danno l’impressione di essere movimenti calcolati, e la bambina non sembra soffrirne affatto.
« Sinceramente mi sento più sicura quando la tiene lui che quando la tengo io » il mio commento mi fa guadagnare uno sguardo a dir poco incredulo da parte della ragazza, e finisco per trovarmi a ridere.
Peeta la regge in braccio con molta più cautela ed insicurezza, ma la cosa non lo ferma dal tenerla il più a lungo possibile.
Haymitch non lo ammetterà mai, ma è tremendamente geloso. « Un giorno ci sveglieremo e Katniss ci dirà che Peeta se l’è svignata nella notte portandosi dietro la bambina » mi ha detto una sera, mentre mi teneva compagnia in ospedale. L’ho presa a ridere, ma credo che lui stesse parlando sul serio…
Lo sguardo di Katniss si perde di nuovo nel nulla. Peeta sta reggendo Sophia con un solo braccio, con l’altra mano sta facendo vedere a Lavinia come lei gli stringe il mignolo nel pugno.
La ragazza non dice nulla, ma non c’è bisogno che lo faccia. Le leggo negli occhi che sta pensando a come per Peeta comportarsi in questo modo con i bambini sia del tutto naturale.
È preoccupata. « Dimmi, avresti mai immaginato me ed Haymitch con due figli? » le chiedo.
Katniss non ci pensa nemmeno un secondo prima di rispondere. « No. Anche adesso, ogni tanto è ancora strano ».
Annuisco ed è proprio questo quello che volevo sentire. Le sorrido. « Vedi? Datti tempo, magari cambierai idea ».
« E se non succede? » solleva le gambe e le incrocia sul divano.
Sa perfettamente che non voglio che lo faccia a casa mia. Batto due colpetti sul suo ginocchio e lei fa roteare gli occhi seccata, ma mette giù i piedi. « Non pensarci adesso, avete tutto il tempo che volete. È inutile continuare a preoccuparsene, ti farà solo agitare ulteriormente ».
Le mie parole sembrano calmarla, seppur in minima parte e non fa altre domande.
Mi alzo e raggiungo mia sorella, che adesso sta reggendo Sophia con un grande sorriso sulle labbra. Nonostante si sia svegliata è ancora calma, ma fra poco dovrà mangiare.
Allie la sta cullando con fare materno. « Avete lo stesso naso » dice, sollevando lo sguardo dalla bambina a me.
Menomale che qualcuno se ne è accorto. Mia madre quando avevo diciotto anni si era impuntata sul fatto che avrei dovuto farmelo rifare, perché era troppo simile a quello di mio padre e sul volto di una ragazza non stava bene. Sarebbe dovuto essere un po’ più dritto, ma a me piaceva proprio perché mi ricordava quello di papà.
« È identica a Lavinia da piccola » le faccio notare e lei è completamente d’accordo con me.
« Tranne che per la forma degli occhi, il colore ancora non l’ho visto » dice, prendendo a farle un po’ il solletico sulla pancia con un dito. « Non ha ancora aperto gli occhi ».
« Sono grigi » le dico con un sorriso, ed Allie ne sembra estasiata. Vorrebbe riuscire a vederli, ma Sophia non sembra intenzionata a concederle quest’onore.
Dopo un po’, decido che è il momento giusto per introdurre un nuovo argomento. Mi sembra abbastanza calma da parlarne senza rischiare troppo. « Perché non vuoi che Alex studi per diventare stilista? »
Allie non smette di coccolare Sophia, ma un impercettibile cambiamento nel suo sguardo lo noto lo stesso. « Sarei felice se diventasse uno stilista » risponde, lasciandomi perplessa.
« E allora qual è il problema? » le chiedo.
« Il problema è che mi ha già detto esplicitamente che se dovesse riuscire a fare carriera, non lavorerebbe nell’azienda di famiglia » adesso le cose si fanno decisamente più chiare.
Alex è sempre stato molto indipendente. Dopo la guerra ci ha messo molto a tornare quello che era un tempo, ma la sua natura deve aver vinto di nuovo. « Ed è tanto grave? »
So che la risposta è sì, ma se è in ballo la felicità di suo figlio, forse potrebbe fare uno sforzo.
« Non lo sarebbe, se il suo più grande desiderio non fosse quello di sfornare abiti per la concorrenza » l’avvilimento nella sua voce, mi fa capire che la questione per lei è un po’ più seria di quanto pensassi.
« La concorrenza? » chiedo, facendomi passare Sophia.
Il cambio di posizione la fa agitare per qualche momento, ma comincio a cullarla e si calma quasi subito.
Ci avviamo verso la cucina, dove Haymitch e Peeta stanno discutendo – per non dire litigando – sulla temperatura del latte che devo darle.
Io ed Allie interrompiamo la nostra conversazione per assistere alla scena davanti ai nostri occhi.
Ricordo poco del giorno del parto e di quello successivo. Per due giorni sono riuscita ad allattarla al seno, poi il mio corpo non ha più prodotto latte e dopo un ulteriore crollo psicologico hanno deciso di tornare momentaneamente a delle pillole per tenere sotto controllo il mio stato emotivo.
Questo non l’ho detto ad Allie, lo sanno solo Haymitch e i ragazzi, e voglio che resti così.
Avrebbero potuto farmi cominciare una cura per permettere al mio corpo di ricominciare a produrre latte, ma questo avrebbe potuto scombussolare di nuovo i miei ormoni e peggiorare la situazione già critica che si era venuta a creare nella mia testa.
Senza contare che comunque anche con una cura per produrre latte, avrei dovuto prendere lo stesso gli antidepressivi, il che mi avrebbe impedito di allattare.
Due giorni sono stati sufficienti a sorprendermi negativamente, non immaginavo che potesse fare così male.
E adesso almeno avrò l’opportunità di sbolognare ad Haymitch le alzate a notte fonda, dal momento che si tratta di latte in polvere.
« È troppo freddo » dice Peeta convinto, facendo cadere una goccia di latte sul polso di Haymitch.
Lui scuote la testa, strappandogli il biberon da mano. « Non è troppo freddo, prima era troppo caldo ».
Con uno sguardo di scuse mi separo momentaneamente da mia sorella e raggiungo i due, consegnando la bambina ad Haymitch che così si zittisce. Prendo dalle sue mani il biberon e controllo di persona la temperatura.
Non vorrei doverlo fare, ma mi rivolgo comunque a Peeta, con un sorriso appena percepibile. « È un pochino freddo. Ma solo un pochino… » aggiungo subito, tornando a guardare Haymitch, che evita il mio sguardo, imbronciato.
Faccio scorrere l’acqua del rubinetto finché non diventa bollente e ci passo sotto il biberon solo per un paio di secondi. Prima di controllare di nuovo il latte.
« Ecco, ora è perfetto » sorrido ad entrambi, facendo controllare anche a loro due, perché sembrano diventati paranoici.
« Posso farlo io, se vuoi » si offre Peeta, ma Haymitch si riprende il biberon dalle mie mani e dà le spalle ad entrambi.
Si avvia verso la porta senza dire una parola, e non posso fare a meno di sorridere intenerita. Almeno così Peeta lo spinge a dimostrare affetto alla bambina…
« Mi dispiace, » dico al ragazzo « è un po’ geloso, credo ».
Peeta annuisce, pulendosi le mani con uno strofinaccio e asciugando poi il ripiano della cucina. « Non fa niente, è normale ».
Spero con tutto il cuore che questa cosa non diventi un problema. Quando ha finito lo ringrazio e lui decide di tornare in salotto.
Io ed Allie siamo finalmente un po’ da sole e metto a fare un tè, prendendo poi posto al tavolo.
« Dicevi, riguardo alla concorrenza? » le chiedo, quando l’acqua bolle e posso versarla nella teiera.
Allie si serve da sola, soffiando via attentamente il vapore. « Ti ricordi di Lysander? »
Sollevo un sopracciglio, nascondendo la mia espressione dietro la tazza di tè. Ovvio che mi ricordo di Lysander. Avrei potuto sposarlo, è difficile dimenticare una cosa del genere… « Mh-mh » un sorso decisamente troppo caldo mi costringe a smettere di bere e devo rimettere la tazza al suo posto sul tavolo.
« Beh, anche lui ha riaperto l’attività, una paio di anni prima di me » mi spiega, portandosi una mano ai capelli e sistemandoseli nervosamente. « Il padre è morto tre anni fa e lui ha rilevato tutte le sue proprietà, che assieme a quelle che già aveva gli hanno permesso di controllare la maggior parte del mercato ».
Vedo che alla Capitale le cose vanno benissimo…
« Anche per questo all’inizio per me è stato difficile. Ma siamo riusciti a tenergli testa e tutti in famiglia sanno quanto ci è costato » sospira, chinando le spalle e poggiando la schiena alla sedia. « Nonostante questo, Alex vuole comunque lavorare per l’uomo che potrebbe mandarci in bancarotta da un momento all’altro ».
« Mi avevi detto che gli affari stavano andando bene… » le dico, e lei annuisce.
« Per ora » dice, « ma lo sai come vanno queste cose. Con l’economia che è quello che è, e i continui cambi di tendenze, una stagione possiamo quasi raggiungerlo e quell’altra ritrovarci a dover licenziare mezzo personale ».
Capisco che Allie si stenta tradita, in questo momento. Capisco anche che Alex vuole provare nuove strade e non sentirsi obbligato a lavorare nell’azienda di famiglia. Però forse l’aver scelto il diretto concorrente di sua madre è più una presa di posizione che un vero interesse lavorativo.
Preferisco non intromettermi, perché rischierei di fare solo ulteriori danni.
Continuiamo a bere il nostro tè in silenzio, parlando ogni tanto del più e del meno, senza toccare altri argomenti spinosi.
Il giorno seguente accompagno mia sorella e i miei nipoti alla stazione, salutandoli tutti calorosamente e facendomi promettere che avrebbero chiamato almeno una volta ogni tanto.

Cinque mesi dopo.
 
Più il tempo passa e più Sophia cresce. Il gioco del trovare somiglianze diventa una cosa quasi quotidiana e Pan ne sembra immensamente infastidito.
Non voglio che si senta trascurato e faccio di tutto per non farlo succedere.
In più occasioni ha espresso il suo disagio perché per ovvie ragioni lui non può essere paragonato a nessuno fra me ed Haymitch. E gli ho fatto notare come in realtà, anche se fisicamente non ci sono somiglianze, in alcuni atteggiamenti ricordi moltissimo suo padre.
Si pulisce con la manica della maglietta invece che con il tovagliolo, poggia sempre i piedi sul tavolino quando si mette a guardare la televisione sul divano, quando si arrabbia ha la stessa identica espressione dipinta sul volto, mi prende in giro se metto un vestito un po’ più stravagante del solito…
Di fatto, Pan è identico ad Haymitch in così tante cose che l’aspetto esteriore è assolutamente irrilevante.
Chiunque lo incontri riconosce in lui suo padre anche se non gli somiglia.
Per quanto mi riguarda… beh, almeno dice « grazie » quando qualcuno gli fa un favore.
Katniss e Peeta sono diventati i nostri babysitter ufficiali, Pan e Sophia passano a casa loro molto tempo.
Lei porta Pan nei boschi a fare lunghe passeggiate e certe volte stanno via ore e ore. Secondo Katniss Pan ha un talento naturale. « Potrebbe viverci per anni senza avere bisogno di alcun aiuto esterno » mi ha detto al ritorno da una delle loro camminate. Non sono sicura che l’informazione mi abbia proprio entusiasmata, ma lei sicuramente ne sembrava contenta, quindi sono stata al gioco.
Ovviamente ho rinnovato la regola del “niente caccia fino ai diciotto anni” e spero che lei abbia il buon senso di fargliela rispettare.
Peeta nel frattempo tiene un po’ Sophia, ci gioca, le dà da mangiare e le fa anche il bagno se resta fino a sera.
All’inizio avevo paura di star approfittando un po’ troppo della loro disponibilità, ma poi mi sono resa conto che venivano a prendersi i bambini anche se io non chiedevo loro di farlo.
Ogni pomeriggio, almeno per un po’.
Questo ha permesso sicuramente a me e ad Haymitch di riposarci e anche di ritrovare la nostra intimità, dal momento che io fino a due mesi fa continuavo a vedermi piuttosto fuori forma e l’ho costretto a farsi diverse docce fredde.
Ho anche smesso di prendere le pillole da qualche settimana, però mi è stato consigliato di tornare in terapia per qualche tempo, visto che ogni tanto gli incubi hanno ripreso a tenermi sveglia.
L’idea di poter perdere un membro della mia famiglia è diventata ancora più opprimente dopo la nascita di Sophia.
Ho trovato uno psicologo che lavora qui, al Distretto 12. È originario del 4, ma ha deciso di trasferirsi con sua moglie per via del nuovissimo sistema ospedaliero, dal momento che lei è un medico. Così lui ha aperto uno studio non troppo lontano dalla piazza principale.
Per il momento le cose non potrebbero andare meglio, e dopo tantissimo tempo mi sento finalmente al sicuro, a casa mia, con la mia famiglia.


A/N: Salve!
L’avete letta l’ultima frase? Sì? Bene.
Voi mi conoscete, ormai. Non aggiungo altro.~
Ce l’ho anche fatta a fare un capitolo un pochino più lungo del solito! Non troppo perché comunque ormai ho un format per Petrichor che mi piace tenere. :)
Vi piacciono i nomi scartati? XD XD XD mi sono divertita dai, tanto li ho messi da parte u.u
T’oh, Lysander ha fatto la sua apparizione anche qui (in verità veniva nominato un fantomatico fidanzato mollato nel capitolo del matrimonio, però pensavate che fosse finita lì, vero? e invece no!)
Ho pensato di fare una cosa carina, e cioè di aggiungere ad ogni capitolo una foto presa “dalla storia” con una piccola frase scritta. Proverò a farlo sempre, dove possibile. Questa volta la metto a fine capitolo, poi dal prossimo la metterò prima della nota finale. :)
Spero che vi sia piaciuto! Fatemelo sapere.
Il prossimo capitolo sarà l’inizio dell’ottavo anno e comincerà probabilmente con il primo compleanno di Sophia.
Perdonatemi ma detesto i neonati… mi mettono un’incredibile ansia e non credo farei fare una bella figura ai miei personaggi se provassi a forzarli in una situazione dove io non saprei proprio mettere le mani.
Ma non preoccupatevi, vi assicuro che non mancheranno sorprese, colpi di scena e momenti dolci.
Si può quasi dire che dal prossimo anno c’è un nuovo inizio…
A presto ;)


x Lily

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Capitolo 37
*** 8x01 Una nuova Panem ***






Petrichor
 
8x01 Una nuova Panem
 
Tutto è pronto per il primo compleanno di Sophia. Annie, Finn e Jo sono arrivati da poco e si stanno sistemando per passare un paio di giorni al Distretto 12.
Peeta e Pan stanno finendo di decorare la torta di compleanno, Katniss mi sta aiutando ad apparecchiare la tavola per il pranzo e Haymitch sta tenendo d’occhio la bambina.
Sono un po’ preoccupata a lasciarli da soli ultimamente… una settimana fa Sophia ha pronunciato quella che mi è sembrata essere la sua prima parola, ma non l’ho ancora detto a nessuno – ad Haymitch in particolare.
Non ne sono certa, ma ho sentito qualcosa di molto simile a Peeta e se lo venisse a sapere succederebbe il finimondo.
Sto provando a convincere Sophia a dire “papà” – perché almeno somiglia di più al nome del ragazzo rispetto a “mamma” ma lei non ha più detto nulla… non di sensato almeno.
Sono mesi che continua a balbettare sillabe su sillabe e sapevo che ormai era solo questione di tempo.
Può darsi che sia stata solo una mia impressione…
« EFFIE! » la voce di Haymitch tuona dal piano di sopra, chiamandomi praticamente urlando.
Sapevo che non avrei dovuto affidargliela.
Intanto di certo lui non si sarebbe messo a riordinare, o a decorare la torta… e io non l’avrei lasciato a girarsi i pollici tutto il giorno.
Scambio uno sguardo veloce e preoccupato con Katniss, poi la lascio da sola per avvicinarmi ai piedi delle scale.
In cima alla rampa c’è Haymitch con Sophia in braccio, poggiata sul fianco. Ha un’aria piuttosto seccata.
« Lo so » mi affretto a dire, ma lui non mi fa parlare.
« Se lo sai allora perché continui a chiudermi qui sopra? » sbraita, causando una serie di gridolini eccitati e una risata da parte di Sophia. « E tu che hai da dire? È colpa tua se finisco sempre per fare la figura del cretino ».
« Haymitch! » non sopporto che certe parole vengano usate in presenza dei miei figli, soprattutto con una che presto comincerà a ripetere tutto quello che sente.
Almeno adesso so che non ce l’ha con me per qualcosa che ha detto Sophia.
Decisamente sollevata lo guardo mentre con una sola mano strattona il cancelletto che ho costretto a fargli montare qualche mese fa, vicino le scale, per evitare che la bambina ruzzolasse giù da quando ha cominciato a gattonare.
« Non funziona di nuovo » si lamenta, ma sappiamo benissimo entrambi che il cancello funziona perfettamente. È lui che nove volte su dieci rimane intrappolato dietro. Eppure non dovrebbe essere troppo difficile con il pollice opponibile…
Senza riuscire a trattenere un sorriso, indietreggio lentamente, per tornare in salotto. « Pan! » alzo la voce per farmi sentire fino in cucina. « Va ad aiutare tuo padre, non riesce ad aprire il cancello ».
La risposta dall’altra stanza arriva immediata e decisamente scocciata: « Ancora? »
« Qualcuno si muove o lo devo sfondare a calci?! »
Mentre il bambino corre in soccorso di suo padre, io me ne torno a sistemare la tavola scuotendo appena la testa, divertita.

« Se ti sporgi un altro po’ la puoi infilare direttamente nella torta » la voce di Johanna sovrasta le nostre, mentre allunga una mano per impedire ai piedi di Sophia di finire nella crema con Peeta che la regge facendola molleggiare su e giù.
« Non credo che le dispiacerebbe » commenta Haymitch.
La bambina si sta ancora leccando il pugno che poco fa ha immerso nella panna.
Vado a prenderla dalle braccia di Peeta e lascio che lui tagli la torta in santa pace, mentre con lo sguardo cerco Pan e Finn – da quando si sono ritrovati sono diventati inseparabili e non hanno fatto altro che girare per tutto il Villaggio dei Vincitori.
Per fortuna hanno deciso di lasciare in pace il povero Pumpkin, l’ultima volta che Finn è stato qui il loro divertimento principale era quello di tentare di acciuffare e tirare al coda a quel povero micione.
Una volta ci hanno provato anche con Ranuncolo, ma non sono riusciti nemmeno ad avvicinarsi.
Dieci minuti più tardi siamo tutti in veranda, con i piatti pieni di torta e i regali per Sophia.
Il sole splende in cielo e si respira un’aria fresca e pulita, primaverile.
Fino a qualche settimana fa continuava a piovere, ma d’ora in poi dovrebbe fare bel tempo, generalmente.
Volevo dei vestiti carini per l’estate e i due che mi hanno portato Annie e Jo dal Distretto 4 sono stupendi.
Uno è un vestitino rosa pieno di cavallucci marini colorati, l’altro è un completino verde pastello – sulla maglietta c’è disegnata una stella marina arancione sorridente e il pantaloncino ha una fantasia ad onde.
I ragazzi le hanno preso una bambola di pezza che può mettere in bocca e mordere quanto vuole, senza rischiare che si stacchino pezzi pericolosi. Noi invece le abbiamo ripreso il suo sonaglio preferito – dopo che lei ha completamente distrutto l’originale facendogli fare un volo dalla finestra aperta della sua stanza, centrandola con una precisione impressionante.
« Che cosa sono questi? » chiede Annie, sollevando un pacchettino di cartoncini colorati.
Katniss li prende e li rigira fra le mani. « Biglietti d’auguri? » ipotizza e io annuisco allungando una mano aperta per farmeli passare.
« Uno dovrebbe essere di Allie » dico, cominciando a sfogliarli, con Sophia che cerca di prenderli. « Aspetta, te li leggo ».
Ne prendo uno, passando il resto ad Haymitch e lui prende ad osservarli incuriosito.
Chino gli occhi sul cartoncino rosso, però gli occhi non riescono a mettere bene a fuoco la scritta. Con discrezione provo ad avvicinarlo, ma serve a ben poco…
« Pan, va a prendere gli occhiali di tua madre » Haymitch è tutt’altro che serio; io non ho bisogno degli occhiali! È solo un modo per vendicarsi della storia del cancelletto.
« Pan, resta dove sei » dico, passando Sophia al padre.
« Vi decidete? » fa lui, infilandosi in bocca un'altra forchettata di torta e sporcandosi il viso.
« Non mi servono gli occhiali » dico convinta, allungandomi verso di lui e prendendo a pulirgli il mento con un fazzolettino, mentre Pan si divincola per sottrarsi a questa tortura.
« Effie, il dottore ha detto che devi metterli, o la tua vista peggiorerà » Katniss sembra preoccupata, io le sorrido amichevolmente.
Le risate di Johanna e i suoi commenti taglienti mi distraggono, ma cerco di non farci caso. Sollevo il mento con orgoglio, non mi lascerò prendere così in giro.
Haymitch mette giù Sophia e si alza in piedi. « E va bene, vado a prenderteli io. Poi non dire che non faccio niente per te, dolcezza ».
Storco le labbra in una smorfia, mentre il mio sguardo si addolcisce nel vedere la bambina che si mette in piedi, piano e goffamente.
È dispiaciuta di non essere più fra le braccia di suo padre, è evidente perché una volta in equilibrio sulle sue gambette allunga un braccio verso di lui e lo chiama, forte e chiaro: « Pa-pa! »
Il mio cuore manca un battito e per un momento penso di non averci sentito bene. « Che cos’hai detto? »
Haymitch si ferma, rivolge uno sguardo attonito prima Sophia e poi me. « Stai diventando anche sorda? »
Non riesco a guardarlo male, ma non ce n’è bisogno perché nei momenti successivi scoppia il caos.
Annie e Peeta cercano di farla parlare di nuovo, Katniss e Johanna si godono la scena in silenzio. Dopo un po’ la bambina – confusa dall’improvviso interesse che tutti hanno nei suoi confronti – rifugia il viso contro il petto di Haymitch, che nel frattempo l’aveva sollevata da terra.
Si nasconde con vergogna e si rifiuta categoricamente di esibirsi di nuovo; in fondo ha ottenuto quello che voleva: Haymitch è tornato a sedersi sul dondolo accanto a me e la tiene stretta.
Dopo un po’ smettono di farle pressione e lei torna a rilassarsi, ma quando provo a prenderla in braccio comincia a fare storie perché vuole stare con Haymitch.
Non insisto, e mi limito ad aggiustarle un po’ i vestiti che si sono sgualciti per tutte le volte che è stata passata di braccia in braccia.
In un momento di calma Pan mi si avvicina con un’espressione spavalda sul viso – la solita che fa quando vuole nascondere qualcosa che lo preoccupa. « Non possiamo sapere quale è stata la mia prima parola? » chiede.
Scuoto la testa dispiaciuta, passandogli una mano fra i capelli scuri. « Temo di no, tesoro » rispondo e nei suoi occhi leggo la delusione. « Ma non è essenziale saperlo. Nemmeno io so qual è stata la mia ».
Questa notizia sembra stupirlo molto. « Sul serio? »
Annuisco, sorridendo appena e facendogli cenno di sedersi accanto a me. « Onestamente non ho mai avuto la curiosità di chiederlo ai miei genitori e adesso non posso più farlo… »
« Mi dispiace » sembra mortificato, forse perché ha paura di avermi fatto rivivere qualcosa di doloroso. La verità è che ormai non mi crea più nessun problema parlare dei miei genitori. Mio padre è morto molto prima della guerra e nonostante volessi bene a mia madre, ho avuto molti dubbi sulla reciprocità del sentimento.
Lei voleva una figlia intelligente, bella e di successo. Secondo i suoi standard io non soddisfacevo nemmeno uno di questi requisiti.
« Non fa niente, ormai è  passato tanto tempo » gli dico, poggiandogli un bacio sulla fronte.
Lui sembra rassicurarsi e si volta verso Annie. « Zia Annie, qual è stata la prima parola di Finn? »
La donna si volta per allungare lo sguardo sul figlio – è con Johanna ed Haymitch al tavolo della cucina e stanno giocando con delle carte. Finn sta cercando di far funzionare qualche trucco di prestigio senza troppo successo. Immagino che Sophia sia assieme a Peeta; la rapisce ogni volta che può.
« Mamma » risponde semplicemente, tornando a rivolersi a Pan.
Lui ridacchia, suscitando curiosità sia in me che in Annie. « Pensavo più qualcosa tipo “acqua” o “oceano” » ci spiega, con un ghigno divertito sulle labbra che ricorda tanto quello di suo padre.
Annie ride graziosamente facendo cenno di no con la testa, però subito dopo aggiunge: « Acqua in effetti è venuta poco dopo ».
Riesco ad immaginarlo – Finn più o meno alla stessa età di Sophia, che corre a piedi nudi sulla sabbia bianchissima del Distretto 4, di fronte a casa sua, sotto lo sguardo vigile di Annie e Johanna, pronte ad intervenire nel caso ce ne sia bisogno.
La prima volta che l’ho visto di persona aveva poco più di tre anni, parlava già tantissimo, nonostante fosse piuttosto timido.
« Mamma! Zia Effie! » Finn sembra essere finalmente riuscito nel suo trucco di prestigio, che ci mostra con orgoglio e Pan ne resta estasiato, così decide di costringere l’amico ad insegnarglielo al più presto – cosa che lui è più che contento di fare.

Ad una settimana di distanza, tutto è tornato alla sua regolarità e noi abbiamo appena finito di cenare.
Io e Pan stiamo mettendo via le stoviglie da lavare mentre Haymitch sta portando Sophia a letto. Si è addormentata di nuovo sul seggiolone.
Dovrei mettermi a pulire la cucina ma non ne ho nessuna voglia adesso; lo farò domani mattina, dopo colazione.
Il telefono che squilla cattura la mia attenzione, ma ho le mani impegnate e non posso andare, quindi chiedo a Pan di farlo al posto mio.
Lui si allontana e nel frattempo Haymitch torna e si avvicina a me, passandomi una mano attorno ai fianchi e poggiandomi un bacio sulla nuca.
« Papà, » Haymitch non si allontana quando Pan lo chiama, ma volta solo la testa verso di lui « è il signor Hesenby, vuole parlare con te ».
Haymitch sembra confuso, io gli do una leggera pacca sul braccio per farlo camminare. « Sarà Plutarch… » suggerisco e Pan annuisce.
Se Heavensbee è un cognome troppo difficile da pronunciare per Pan, sarà divertente quando Sophia dovrà provare con Abernathy…
Quando lui aveva cinque anni, ha avuto qualche difficolta all’inizio – ora non dovrebbe più avere troppi problemi.
È anche vero che al contrario del mio, l’accento capitolino di Plutarch non si è affievolito. 
Quello di Pan è praticamente sparito…
Non è difficile capire male le parole quando vengono pronunciate in modo diverso, immagino. 
Me lo ha fatto notare Haymitch qualche tempo fa. Dice che il mio accento va e viene, a seconda del mio umore. Se sono arrabbiata, si sente lontano un miglio e se sono contenta, tende a sentirsi molto di meno.
Forse c’entra col fatto che sono lontana dalla Capitale da diversi anni e che per un periodo ho certato in tutti i modi di fare finta che Capitol City e la mia vecchia vita fossero solo un incubo.
Io e Pan raggiungiamo Haymitch in soggiorno e io seguo i suoi movimenti incuriosita, mentre solleva la cornetta e la porta all’orecchio.
Butto un occhio all’orologio sul muro: sono da poco passate le sette, ma in genere Plutarch quando deve telefonare lo fa nel primo pomeriggio, o in tarda mattinata…
Non so come interpretare questa chiamata improvvisa e ad un orario insolito.
Lo sguardo serio sul volto di Haymitch non preannuncia nulla di buono.
« Che succede? » gli chiede Pan, ma lui lo zittisce sollevando un braccio e facendogli cenno di aspettare.
Dopo un attimo scosta la cornetta dall’orecchio e se la poggia sul petto, rivolgendosi a me. « Accendi la televisione » dice e io faccio come mi ha detto.
Sto per chiedergli su quale canale devo sintonizzarmi, ma dopo aver fatto un po’ di zapping mi rendo conto che la domanda sarebbe assolutamente inutile: trasmettono tutti la stessa cosa.
« Pan, fa una corsa e va ad avvisare zia Katniss » la mia voce è calma, ma ferma. Il bambino non esita ad obbedire.
Nel giro di pochi minuti la telefonata con Plutarch s’interrompe e i ragazzi sono nel nostro salotto, tutti e due con la stessa espressione preoccupata sul viso.
« Ma che significa? » chiede Peeta, senza distogliere lo sguardo dalla televisione.
Incrocio le braccia al petto, cercando di trovare una spiegazione, ma non me ne viene in mente nessuna.
Lo stesso servizio sta andando in onda da quasi un quarto d’ora ormai.
Lo schermo è riempito dalla presidente Paylor e dai suoi segretari che le stanno dietro a testa china, annuendo di tanto in tanto alle sue parole.
Apparentemente, ad otto anni dalla sua elezione, Paylor potrebbe dover essere sostituita.
Questa volta dovrà essere la Nazione a scegliere fra i possibili candidati e la cosa mi terrorizza.
Molti nei distretti provano ancora risentimento verso la Capitale ed i suoi abitanti. Nuove leggi potrebbero segnare definitivamente l’economia di Capitol City.
Avevo sentito girare voci di corridoio al Palazzo di Giustizia, ora che ci penso, ma non sarei mai arrivata a questa conclusione.
So che ci sono ancora persone che condividevano il pensiero della Coin da qualche parte. È ancora troppo presto per dimenticare…
Al momento ho solo una cosa in mente.
Otto anni fa Paylor combatteva contro una possibile Settantaseiesima edizione degli Hunger Games – da qualche parte forse qualcuno conserva ancora una copia del foglio di firme che Plutarch mi fece trovare. Lo stesso foglio che contiene l’approvazione di mio marito, di Katniss, di Johanna…
Che succederebbe se le persone sbagliate salissero al potere?
C’è ancora chi ha così tanta sete di vendetta?
Sono domande a cui vorrei tanto non dover dare una risposta, ma temo che lo verremo a sapere molto presto.
Mi scoppia un improvviso e fortissimo mal di testa – come se una tenaglia mi tenesse ferma dalla nuca fino alla tempia destra.
Sono costretta a ritirarmi in camera mia e a spegnere la luce per evitare di sentirmi male.
Mi cambio e mi strucco, poi mi metto a letto, respirando lentamente e massaggiandomi le tempie.
Allungo una mano sul mio comodino e a tentoni riesco a trovare gli occhiali da vista, li inforco e me li sistemo poi per bene sul naso – magari serviranno a qualcosa.
Non rinuncio a continuare a seguire il telegiornale, però, mentre sento che dal piano di sotto arrivano un po’ attutiti i discorsi più o meno animati di Haymitch e i ragazzi.
Dubito che sarei riuscita a sostenere un confronto, con o senza mal di testa.
Spero che almeno prima abbiano avuto la decenza di mandare a letto Pan…
Dopo quelli che credo siano almeno venti o trenta minuti, la porta della stanza si apre e Haymitch entra – stanco e visibilmente alterato, non accende nemmeno la luce.
Cerca comunque di rimanere calmo mentre si spoglia e io non riesco a distogliere lo sguardo dalle sue mani mentre tenta invano di sbottonarsi la camicia. Tremano incontrollabilmente e non sono sicura se la causa sia la rabbia o la voglia di bere.
Rinuncia a cambiarsi e si infila sotto le coperte. Non parliamo, non ce n’è bisogno.
Rimaniamo in silenzio a continuare a seguire l’infinito servizio alla televisione che ci spiega cosa succederà da qui ai prossimi mesi.
Una striscia in sovraimpressione copre la parte inferiore dello schermo, a lettere capitali c’è scritto:
UNA NUOVA PANEM.
E sotto, un’altra scritta – più piccola – scorre all’infinito, ripetendo:

Il Governo annuncia libere elezioni nel mese di Novembre.

A/N: Salve!
Ci voleva una ventata d’aria fresca, no? E questa è solo l’inizio di una serie di sfortunati event- sì…
No, seriamente. Volevo rinnovare un po’ la situazione, perché altrimenti poi la cosa diventava noiosa.
Quindi, famiglia allargata e elezioni in vista.
Da qui agli anni a venire ho più o meno chiaro tutto quello che deve succedere. Alcune cose vi piaceranno, altre molto meno. Vi invito a tenere a mente che amo Effie ed Haymitch e per quanto soffriranno, voglio che siano felici :3
“Soffrirai, ma poi ne sarai felice, vedrai!”
Piccolo aggiornamento sulla mia situazione: mercoledì mattina parto e starò via fino a domenica prossima.
Dovrei riuscire a pubblicare qualcosa, non so come e non so quando. Se vedete che non aggiorno nulla state tranquilli.
Ho scritto una one shot che ho pubblicizzato su Ozone, ma la ripropongo anche qui. Riguarda un OC, mentore del Distretto 1.

Lunedì (non questo, l’altro) avrò parecchie cose da fare, ma da martedì 24 dovrebbe tornare tutto regolare.
Cercherò di aggiornare Ozone il prima possibile, ma non so se ce la faccio prima di partire e Petrichor quasi al 100% dovrei aggiornarlo mentre sono via perché sarà un po’ un capitolo scritto a quattro mani, poi capirete perché.
Penso che per quanto riguarderà le immagini a fine capitolo, per Petrichor almeno per ora riguarderanno soprattutto Effie, almeno quelle che ho per ora.

Grazie mille a tutti e fatemi sapere cosa ne pensate di questa nuova idea, dove pensate che andrò a parare e soprattutto cosa pensate che succederà?!
A presto! Grazie a tutti di cuore
 

x Lily

 

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Capitolo 38
*** 8x02 Avanti e indietro ***



 
A/N: Verso la fine di questo capitolo ci sono scene un po’ crude e violente. Non so se devo farlo presente visto che è per questo che il rating è arancione, ma preferisco comunque dirlo…
8x02 Avanti e indietro
 
L’odore pungente del detersivo s’infiltra nelle mie narici e non riesco a combattere la nausea.
I fumi profumati che evaporano dai vestiti appena lavati non sono nocivi ma mi vanno direttamente alla testa, causandomi continui capogiri.
Sto andando avanti così da quasi dieci giorni.
« Hai sentito altro a lavoro? » mi chiede Peeta, passandomi una camicia ancora un po’ gocciolante.
Scuoto appena la testa mentre la prendo e cerco un posto libero sugli stendini piazzati strategicamente accanto alle finestre.
Fuori piove da due settimane e io a maggio sono costretta a stare con i riscaldamenti accesi per asciugare il bucato.
« Plutarch ha chiamato un paio di giorni fa ma non ha detto nulla che non sapevamo già » rispondo, facendomi passare un paio di calzini.
Dietro di noi Haymitch e Pan stanno oziosamente stravaccati sul divano a guardare la televisione, con Sophia che gioca sul tappeto davanti a loro.
Fra una settimana presenteranno ufficialmente i partiti che si sono candidati alle elezioni, con i rispettivi programmi. In via ufficiosa, si vocifera che saranno in quattro ma sono riusciti a tenere il resto nascosto.
Mi porto una mano a coprire naso e bocca – non ne posso più. Piegandomi sulle ginocchia recupero la cesta con gli altri panni appena lavati e quando torno in piedi la schiena protesta.
Peeta mette giù la cesta semivuota e prende quella piena dalle mie mani, con un’espressione di compatimento. « Perché non- » comincia, ma lo interrompo.
« Perché non uso l’asciugatrice? » chiedo sollevando la voce, con il chiaro intento di farmi sentire dai due uomini di casa.
Peeta capisce che c’è sotto qualcosa e subito leggo nei suoi occhi di essersi pentito per avermi fatto questa domanda.
« Perché, » rispondo « qualcuno ha pensato bene di infilare una pigna nell’asciugatrice! » adesso lo sento, l’accento capitolino. Ho cominciato a farci caso da quando me l’hanno fatto notare. Non è un buon segno.
Peeta sposta lo sguardo su Pan – intento a colorare un disegno – e quando il bambino si sente osservato, solleva la testa e la scuote, facendo cenno di no. Allora i suoi occhi finiscono su Haymitch e lui solleva una mano in segno di saluto senza nemmeno interrompere la sua lettura.
« Perché? » chiede il ragazzo, genuinamente curioso.
Sono io a rispondere, a denti stretti. « Per vedere se l’asciugatrice l’avrebbe sputata fuori! »
La voce di Haymitch arriva dal divano, assolutamente atona. « Ha funzionato ».
Sbuffo, inviperita mentre Peeta cerca di non scoppiare a ridere e io agguanto un paio di calzini e con un lancio mirato lo colpisco dietro la nuca. Lui non si scompone nemmeno.
« Ho sposato un deficiente » sibilo a Peeta, spostandomi ad un altro termosifone.
Il ragazzo mi sorride, continuando ad aiutarmi. « Lo sapevi quando hai accettato ».
Faccio roteare gli occhi, evitando di rispondere perché purtroppo ha ragione.
Pochi minuti dopo bussano alla porta e Pan si alza per andare ad aprire.
Grazie al cielo è Flux, che ha ricevuto il mio messaggio. Scuote la testa facendo andare ovunque goccioline di pioggia e dopo essersi tolta il cappotto mi raggiunge.
« Hai detto una pigna? » mi chiede, salutando Peeta con un sorriso.
Non è la prima volta che Flux mi sistema qualcosa in casa, soprattutto quando la situazione è particolarmente grave. « Ti prego, non fare domande » le rispondo.
Lascio per un momento Peeta da solo con il bucato mentre accompagno la mia amica all’asciugatrice rotta.
Un’altra lavatrice in queste condizioni e giuro che piuttosto brucio tutti i vestiti.
Dovrei avere altre cose per la testa. Un elettrodomestico rotto dovrebbe essere l’ultimo dei miei problemi, e invece, oltre allo stress per colpa delle elezioni ci devo aggiungere anche i guai che mi combinano in casa!
Finirò per impazzire…

È una domenica mattina; Sophia sta ancora dormendo mentre noi stiamo facendo colazione.
Il silenzio che regna è assolutamente inusuale. Di solito, Pan parlerebbe a ruota degli argomenti più svariati. Racconterebbe quello che ha fatto durante le sue ultime lezioni a scuola, oppure si vanterebbe delle avventure in compagnia di Ash e Zora. Adesso, invece, è taciturno. Mangia i suoi biscotti in silenzio e ogni tanto lancia occhiate sfuggenti al padre.
Haymitch ha una tazza di caffè intatta di fronte, non ha toccato cibo. Continua a tenere d’occhio la televisione respirando lentamente.
Se mi concentrassi riuscirei a sentire i battiti del mio cuore.
La tv è muta, ma è sintonizzata sul canale dove di qui a breve dovrebbe iniziare un’edizione speciale del telegiornale nazionale che fornirà le prime notizie ufficiali sulle nuove elezioni.
Mi costringo a portare la tazza alle labbra e il liquido amaro riesce a distrarmi a sufficienza facendomi pensare che forse in questa situazione una camomilla sarebbe più indicata rispetto ad un caffè.
Sono stata male questi ultimi giorni – mal di testa improvvisi, ansia ingiustificata e un paio di volte ho avuto difficoltà respiratorie, ma nulla di serio. Nessuna crisi è durata più di un paio di secondi. « È normale » mi ha detto il farmacista di turno quando sono andata a cercare qualcosa di naturale che mi potesse aiutare a calmarmi un po’.
Immagino che avesse ragione: con l’aria che tira chiunque sarebbe nervoso.
Io ho i miei buoni motivi per essere agitata. Non riesco a non pensare a quello che potrebbe succedere.
Ho paura che torni tutto come prima. Non so se riuscirei a sopportarlo, probabilmente no.
E che cosa farei se dovesse succedere?
Il mio cervello non riesce nemmeno ad elaborare una simile possibilità; ecco che torna la nausea e io mi ritrovo a dover respirare a narici strette per non dare nell’occhio.
Forse se mi alzo adesso e torno al piano di sopra riesco ad evitare di dover guardare il telegiornale assieme ad Haymitch e Pan.
Stringo le dita della mano destra attorno alla tazza e porto indietro la sedia. Faccio per lasciare il tavolo, ma Haymitch mi agguanta un polso e mi costringe a stare ferma. Per poco non mi rovescio il caffè sul vestito che indosso, il che equivarrebbe a buttarlo, visto che Flux non è riuscita ad aggiustare la lavatrice e che quella nuova per non so quale ragione fa acqua da tutte le parti.
Per un attimo rimango interdetta, poi capisco il motivo per cui Haymitch mi ha fermata: non sono stata abbastanza veloce – il sigillo di Panem sta riempiendo lo schermo e io ricado sulla mia sedia mentre lui alza il volume.
« Perché guardiamo la tv a tavola? » chiede Pan con fare innocente. Generalmente non lo facciamo mai, tenere la televisione accesa durante i pasti.
È un flash, un attimo e vedo mia madre di fronte ai miei occhi che con un tono severo intima a me e mia sorella di spegnere la televisione. « Niente Hunger Games mentre si mangia! » diceva ogni volta e la sua voce echeggia nella mia mente, estraniandomi dalla realtà per una frazione di secondo.
Scaccio via quel pensiero e sorrido a mio figlio mentre lui si allunga per prendere una fetta di pane.
« È un programma speciale » gli rispondo, prendendo dalle sue mani il pane per imburrarglielo.
Haymitch mi versa un bicchiere d’acqua e io abbandono definitivamente il caffè.
L’acqua mi calmerà, mi dico. Comincio a bere piccolissimi sorsi, per poi fare una pausa quando il nuovo inno di Panem finisce, il sigillo si dissolve e sullo schermo appare il volto della presidentessa Paylor.
È in uno studio televisivo, in piedi, dietro un podio e sta sistemando il microfono.
Dietro di lei, quelli che immagino siano i candidati, sono seduti su grosse poltrone.
In un breve discorso di apertura parla della dittatura, della guerra e della rinascita. E mentre lo fa, le telecamere inquadrano lei, i suoi collaboratori, i suoi avversari e tutto il pubblico.
Ogni volta che lo schermo si riempie con il volto di qualcuno di rilevante, in sovraimpressione appare scritto in lettere chiare il suo nome e l’eventuale posizione politica.
Un paio di volte si sono soffermati su Plutarch, in prima fila. Alla sua destra, l’immancabile presenza di Fulvia, che dopo il loro matrimonio è apparsa sempre al suo fianco. Alla sua sinistra, invece, adesso stanno inquadrando una ragazza che non riconosco – potrà avere tra i venti e i venticinque anni. Quando il suo nome compare in sovraimpressione, il mio cuore manca un battito: Celestia Snow.
Avevo sentito dire che la nipote dell’ex-presidente di Panem aveva deciso di entrare in politica al fianco di Paylor, ma non avevo voluto crederci.
Non ha senso. Perché?
È così che vogliono mantenere il loro posto al governo? Perché non credo che questo sia un buon modo di convincere la nazione a votare per lei.
Il mio sguardo si sposta su Haymitch, non ha battuto ciglio ma ha la mascella tirata e sta stringendo i pugni.
Istintivamente bevo un altro sorso d’acqua, perché all’improvviso la mia gola è incredibilmente secca.
Il discorso della Paylor continua, incentrandosi sui temi che ha seguito la sua politica in questi otto anni. Parla dell’importanza dell’integrazione e collaborazione fra i distretti e Capitol City. Si sofferma a sottolineare come la capitale abbia molto da offrire in ricchezze e conoscenze, i distretti in risorse.
Ovviamente non esita ad elencare tutti gli enormi passi avanti che la nazione ha fatto sia in campo medico che economico da quando le precedenti barriere sono state abbattute e di come bisogna continuare su questa strada per mantenere la pace.
A questo punto parla delle elezioni e della loro importanza. Invita tutti i cittadini di Panem dai diciotto anni a votare e a farlo con saggezza, perché il futuro della nazione è nelle mani di tutti.
Dopo un lungo applauso le telecamere tornano sul pubblico.
« Il signor Hesenby è famoso? » la voce di Pan mi fa sussultare e sia io che Haymitch ci voltiamo verso di lui mentre inquadrano Plutarch e la nipote di Snow per l’ennesima volta.
Non mi piace. Mi fido di Plutarch e mi fido della Paylor, ma di lei non so niente. Non mi piace.
« Heavensbee » correggo automaticamente Pan, tornando a guardare la tv. « Sì, tesoro, è famoso. Lavora per la televisione da molti anni » gli rispondo tranquillamente anche se in petto il mio cuore è impazzito.
Paylor sta presentando gli altri candidati.
Il primo ad essere presentato è un uomo di mezza età, basso e obeso, avvolto in un elegante completo nero e con un cilindro scintillante poggiato sulla testa. Manchot Currency.
Si avvicina al podio e devono abbassare di parecchio il microfono per portarlo alla sua altezza. Con il naso lungo che si ritrova quasi non riesce ad avvicinarcisi.
Rappresenta la capitale e già con la coda dell’occhio vedo Haymitch agitarsi.
Quando comincia a parlare Pan si mette a ridacchiare – trova l’accento capitolino estremamente divertente ormai.
Vuole riportare la capitale a quello che era un tempo (meno Hunger Games, ovviamente). Ogni volta che quelle due parole vengono pronunciate sia i miei occhi che quelli di Haymitch finiscono su Pan, intento a divorare quello che io e suo padre non abbiamo avuto lo stomaco di mangiare. Sappiamo che a scuola hanno trattato l
’argomento più volte ma lui non è mai sembrato troppo interessato. Sa bene quello che la sua famiglia ha rappresentato, ma non credo ne capisca veramente il significato. È troppo piccolo ancora.
Vederlo così spensierato non può che portarmi un sorriso alle labbra e allungo una mano per fargli una carezza sui capelli. Poi la mia attenzione torna alla televisione.
Ai capitolini manca la loro vecchia vita. In fondo li capisco…
Ma non credo che riportare le cose come stavano prima basterebbe, non più ormai. Currency sembra pensarla diversamente.
È convinto quando dice che i distretti devono tornare a fornire le materie prime a Capitol City in cambio di protezione.
È una follia voler fare passi indietro invece che avanti.
Secondo lui riuscirà a risarcire tutti coloro che hanno perso tutto dopo la guerra.
Questo ovviamente includerebbe tutto quello che mia sorella – ed io – abbiamo perso, quando il governo della Paylor ci ha tolto quasi tutto per far risorgere i distretti.
Saremmo tutti costretti a pagare tasse altissime per permettere una cosa simile. E mi sorprendo a pensare che adesso mi ci metto anche io in mezzo. Non posso continuare a stare da entrambe le parti a quanto pare. Ma mi sembra di aver preso la mia decisione già da un po’, ormai.
Un applauso parte quando scende dal podio e viene presentata una donna alta, bionda e dallo sguardo risoluto. Ha un viso familiare ma non ricordo dove l’ho già vista, probabilmente in qualche intervista durante gli anni passati.
Si chiama Parker Hodge ed è originaria del Distretto 13.
Come mi aspettavo, i suoi atteggiamenti sono quasi militari. Frasi concise e dritte al punto. Non sorride mentre parla e nonostante sia piuttosto giovane, emana un’aura di professionalità e serietà che non posso fare a meno di ammirare.
Il suo piano politico è piuttosto semplice: Panem deve andare avanti. Vuole mantenere la divisione dei distretti in quanto più facili da governare, ma solo a livello politico. Non ci sarà più differenza fra questi e la capitale e – e questa non me l’aspettavo – vuole spostare la sede del  governo da Capitol City al Distretto 13.
Non sono sicura che l’idea mi piaccia, sinceramente. Anzi, sono abbastanza certa del contrario.
Mentre lei continua a parlare di come tutti debbano fare dei sacrifici per il bene della nazione, e di come il sistema delle tasse vada adeguatamente modificato in base al reddito familiare, la mia attenzione viene deviata dal bambino che a stento reprime i conati di vomito al mio fianco.
Pan ha pensato bene di bersi in un sorso mezza tazza del caffè del padre…
« Ma che ti prende? » ringhia Haymitch in uno scatto d’ira, facendo trasalire entrambi.
Pan, mortificato, sputacchia un po’ dentro un tovagliolo mentre io gli faccio bere del succo d’arancia lanciando un’occhiataccia ad Haymitch.
Capisco che è sotto pressione, ma prendersela con Pan non ha alcun senso.
Il bambino mi abbraccia, ad un passo dalle lacrime e io gli passo le braccia attorno alle spalle, poggiandogli un bacio sulla fronte. « Lo sai che non devi bere il caffè » gli dico in tono allegro, dandogli un pizzicotto sulla pancia e lui si mette a ridere, annuendo appena e scusandosi.
Lo lascio andare appena in tempo per vedere un uomo presentato come Blaze Harsh salire sul podio.
La sua faccia non mi piace.
È originario del Distretto 11 e rappresenta una coalizione di distretti. Già questo preannuncia male.
Vuole cancellare ogni traccia della dittatura, abolire i distretti e creare un distretto unico.
È una follia… un distretto unico? Che vuol dire? Sono confusa…
Sto per porre la domanda ad Haymitch, quando quello che Harsh dice mi blocca completamente.
Se salirà al potere, ha intenzione di aiutare la ricostruzione dello stato confiscando i beni e le ricchezze rimaste ai capitolini, che secondo lui l
’hanno avuta troppo facile. Vuole anche togliere a loro – no, a me – alcuni diritti come quello di voto e di candidarsi alle elezioni, perché: « Nulla impedirebbe ad un nuovo Snow di emergere ».
I suoi occhi neri sono calmi, ma la sua voce nasconde rabbia. Il suo tono incredibilmente duro mi fa rabbrividire. Va avanti, non dice nulla di irrispettoso, ma mi sento personalmente attaccata.
Continuo a pensare a mia sorella, ai miei nipoti e ai vecchi amici che ho lasciato, abbandonato, alla capitale.
Quel che è peggio è che sono sicura che molti adesso staranno pensando che lui ha ragione, perché meritiamo che ci vengano tolte le poche cose che ci avevano lasciato. Che anche quelli che erano riusciti a cavarsela vengano puniti – perché è questo quello che sta dicendo.
Lo sento, il razzismo e l’ostilità verso coloro che per anni hanno ucciso per divertimento.
Lui è esattamente quello di cui io avevo terribilmente paura. Fino ad ora era stata solo un brutto presentimento. Adesso posso dargli un nome, un volto.
Sono di nuovo al Distretto 13.
Le mie mani si stringono finché non sento un dolore pungente ma non ci faccio caso.
« Mamma! » sento appena la voce di Pan che mi chiama spaventato.
È quello che mi fa precipitare nel baratro.
La voce di mio figlio che mi chiama. Ha paura, non so perché ma lo vedo: è nell’arena. Ce lo hanno messo loro.
Ripete il mio nome all’infinito, spaventato, terrorizzato, lo grida. Cerca il mio aiuto, ma io non posso darglielo.
Sono ferma, bloccata ad un tavolo freddo di metallo. Quattro uomini mi sovrastano.
Usano il mio corpo a loro piacimento, li sento ridere e le loro risate si mischiano alle mie urla.
Dalla mia bocca non esce nulla perché mi bendano. Provo a morderli e uno di loro mi colpisce in volto con il dorso della mano guantata.
Non vedo i loro volti, coperti dai caschi dei Pacificatori.
Lui non è lì.
Ma arriva subito.
Sono da sola, nella mia cella, al buio.
Fa freddo, fa incredibilmente freddo. C’è una perdita d’acqua e io indosso solo una sottile tunica. È una tunica da ospedale.
Mi hanno curata per permettermi di sopportare altre torture.
Non so niente.
Non mi hanno mai detto niente.
Non si fidavano di me, non contavo niente per loro.
Non riesco a respirare.
Due braccia mi afferrano le spalle.
« Effie » cerco di divincolarmi, ma non riesco a liberarmi dalla presa, che si fa sempre più stretta. « Effie sei al sicuro! »
Non sono al sicuro.
Lui è qui, vuole divertirsi.
Il mio Pacificatore dagli occhi verdi.
Mi eri mancato, non mi venivi a trovare nelle allucinazioni o negli incubi da molto tempo.
Pensavo ti fossi stancato di me.
Ma tu non ti stancavi mai…

La puzza del suo alito mi fa venire voglia di vomitare.
D’istinto provo a gridare, a mordere e a scalciare ma le braccia mi stringono sempre, più forte, sempre più forte.
Alla fine ricordo – non serviva a niente supplicare di lasciarmi andare, di starmi lontana. Si divertiva solo di più.
L’unica cosa era fare finta di essere svenuta e di aspettare che lui finisse, così da essere lasciata in pace a marcire.
Mi accascio senza riuscire a restare in equilibrio sulle gambe.
Quand’è che mi ero alzata?
Un fortissimo dolore in petto sembra volermi far esplodere il cuore e i polmoni.
Non ricordo più come si fa a respirare.
La mia vista si oscura del tutto, mille lucine bianche vorticano dietro i miei occhi chiusi.
Forse sto per morire.
Sarebbe la soluzione ideale.
Ho provato più volte a smettere di mangiare.
Mi curavano sempre.
Avevano bisogno di tenermi in vita per usarmi… ma io non servivo a niente.
Mi riporteranno lì?
Mi riporteranno in prigione?
Costringeranno i miei figli ad entrare nell’arena?
No, Haymitch non glielo permetterà.
Haymitch.
« Effie, respira » la presa attorno alle mie spalle si affievolisce e io posso finalmente farlo.
Lascio che l’aria entri nei miei polmoni come se fossi appena uscita da un’apnea lunga cinque minuti.
Ansimo reggendomi il petto dolorante mentre aspetto che la vista torni.
Le gambe mi fanno male, malissimo.
È l’adrenalina che fino a poco fa scorreva nelle vene.
Quasi non mi accorgo che sto tremando come una foglia.
Vengo stretta in un abbraccio sicuro.
Il respiro si regolarizza e provo di nuovo ad aprire gli occhi.
Sono in camera mia, sul mio letto. Le braccia di Haymitch sono attorno alle mie spalle.
Ho un fazzoletto insanguinato stretto nella mano destra.
Il bicchiere…
« Pan! » cerco di liberarmi dall’abbraccio di mio marito, ma non mi lascia andare.
« Sta bene, è un po’ spaventato ma sta bene » dice, stringendomi ancora più forte. « Adesso riposati ».
Sta per alzarsi, ma io non glielo permetto. Non voglio restare da sola, ma quando apro la bocca per dirglielo, l’unico suono che esce è un brutto singhiozzo.
Non riesco più a trattenermi e le lacrime cominciano a rigarmi il viso.
Haymitch resta con me, sedendosi sul letto con la schiena poggiata alla spalliera e tirandomi a sé in modo che io possa rannicchiarmi contro di lui.
Riesco a percepire anche il suo battito cardiaco e il calore che la il suo corpo irradia e mi trasmette. È rassicurante, anche se non ha aggiunto una sola parola.
Dov’era mente io mi sentivo esattamente così, otto anni fa? Dov’era quando non vedevo altro che buio e disperazione?
Non importa, mi dico. Adesso c’è.
Non riesco a smettere di tremare mentre sono in preda a singhiozzi isterici. Però ora la mia mente c’è.
Sono qui, sono lucida.
Dopo qualche momento sento il letto infossarsi appena e registro la presenza del mio gatto accanto a noi.
Non fa rumore, si avvicina annusandomi e poi acciambellandosi accanto alle mie ginocchia, cominciando a fare le fusa.
Haymitch non lo caccia, per una volta.
Sei abituato a vedermi così, tu… vero? Mi hai fatto compagnia mentre ero in questo stato per quasi un anno.
In un certo senso mi sento molto meglio, e lascio che il pianto lavi via parte della mia rabbia e frustrazione, finché tutto non diventa troppo e un po’ per disperazione, un po
’ per sfinimento, il mio corpo esaurisce tutte le sue energie, facendomi addormentare.

A/N2: Salve!
Dopo tantissimo tempo aggiorno. Almeno è un capitolo più lungo, dai!! :D
Mi scuso, ma questo è stato molto difficile da scrivere. Per questo volevo ringraziare tantissimo la mia ragazza, FreyaDragon, che ha scritto i programmi elettorali.
Il grande ritorno di Pumpkin, anche. Gattone amore mio… e che dire, scene piuttosto intense…
Cosa ne pensate dei candidati alla presidenza e dei loro progetti?
Io so cosa fare *_*
A presto, spero!
Ci si vede su Rain, probabilmente :3
   

x Lily

 

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Capitolo 39
*** 8x03 Vecchie abitudini ***


Petrichor
8x03 Vecchie abitudini

 
È morto. Una voce nella mia testa continua a ripetere queste due parole, all’infinito. È morto, è morto.
Non potrà più farmi del male.
La notizia me l’ha data Plutarch, pochi giorni dopo il mio crollo nervoso. Non avevo chiesto niente, non volevo nemmeno sapere, ma lui ha fatto comunque le sue ricerche. Fu incarcerato subito dopo la morte di Coin, poco dopo la salita al potere di Paylor. Era morto in carcere, ucciso probabilmente – o un suicidio, per i sensi di colpa. La verità è che non mi interessa.
Non mi interessa più nulla. Il mio Pacificatore dagli occhi verdi è morto e la notizia non mi porta nulla di nuovo. Nulla cambierà quello che mi è successo alla Capitale, nulla cancellerà le cicatrici che ho nell’anima.
Centinaia di volte ho pensato di sottopormi ad un minuscolo intervento, per sistemare tutti i segni che porto sul mio corpo, che mi ricordano giornalmente della mia prigionia… ma poi mi rendo conto che quei segni sono molto più profondi di quanto sembrino.
Non cambierà mai niente, non importa chi salirà al potere, non importa chi prenderà in mano le redini di Panem. Un nuovo presidente non cancellerà i ricordi, il dolore, la disperazione.
Emicranie e malesseri mi tengono relegata al letto da un mese; dal mio angolo sicuro, in camera da letto, mi volto a guardare furi dalla finestra. Il cielo è limpido, vedo le fronde degli alberi che si muovono lente al ritmo del vento. Sembra quasi un sogno.
Lì fuori è tutto tranquillo, come se non stesse succedendo nulla. All’interno della mia camera da letto c’è un temporale.
Ho una spina nel cuore, che si muove e fa male ad ogni mio movimento. Non so che ore sono; potrei alzarmi e andare ad osservare le oche, potrei andare a trovare Katniss e Peeta, o potrei portare i bambini al mercato. Solo l’idea mi dà la nausea. No, magari un altro giorno. Sto meglio qui, a letto. Devo prima riprendermi.
Sono sempre stanca, nonostante io dorma durante la maggior parte del giorno. Più dormo, e più voglio dormire. Ci sono giorni in cui mi sveglio e prego che sia tutto un incubo, che non stia succedendo sul serio.
C’è davvero chi crede in un rinnovamento per Panem? La gente non cambia, rimane uguale. Un nuovo Snow, una nuova Coin, una nuova Paylor…
Vorrei poter addormentarmi e svegliarmi quando sarà tutto finito. Vorrei poter dormire per giorni, senza dovermi svegliare, senza dover mangiare.
Haymitch ha ripreso a bere. Cerca di tenermelo nascosto, ma quando s’infila sotto le coperte, la notte, il suo fiato puzza incredibilmente di liquore. E la cosa più strana è che a me non importa, anzi, sono quasi contenta.
Il mio Haymitch non è cambiato. È sempre lo stesso, e cerca di nascondere i danni. Mi sento un verme perché so che sta passando lo stesso anche lui, e con me a letto tutte le responsabilità ricadono su di lui. Non poteva sopportarlo, non ancora. Però, porta Pan a scuola e fa il bagno a Sophia ogni giorno. Non è stato lui a dirmelo, ma Peeta. Ogni tanto passa a trovarmi, per portarmi i suoi biscotti e si assicura che mangi qualcosa.
Sono due settimane che non vedo Katniss, se non dalla mia finestra. L’ho vista uscire di casa con arco e frecce, e dirigersi verso il bosco. Ci sono giorni in cui la vedo andare via, ma non la vedo rientrare.
Quando Haymitch è troppo ubriaco, Peeta porta i bambini a casa sua e dipinge con loro. Dice loro che anche il papà sta male, e che se resteranno qui si ammaleranno anche loro. Mi chiedo quanta sia la verità dietro queste parole.
Questa malattia terribile, che Haymitch combatte con l’alcool e io nascondendomi nel letto, è possibile trasmetterla ai nostri figli?
Non so se la mia domanda troverà mai risposta.
È una mattina di metà giugno quando sento dal piano di sotto la porta di casa aprirsi e richiudersi. Pan è già andato a scuola e Sophia oggi è con i ragazzi. Forse Haymitch è uscito per andare a comprare da bere, o semplicemente è andato a controllare le oche.
Anche oggi è una bella giornata e per una manciata di minuti considero l’idea di alzarmi dal letto, ma quando ci provo delle catene invisibili mi portano giù. Il mio corpo è debole, la mia mente è stanca.
Un’altra ora di sonno, mi dico, e poi mi alzerò.
Mi riaddormento, e quando mi sveglio è già passata l’ora di pranzo. Avverto la presenza di Haymitch accanto a me, è steso sul letto sopra le coperte, io sono protetta dal mio involucro di lenzuola. Nell’aria aleggia un leggero olezzo di whiskey, poi sento il rumore del liquido che si muove all’interno della bottiglia, e il rumore sordo che fa il vetro quando tocca piano il pavimento.
« Sei sveglia, Principessa? » mi chiede con un tono di voce abbastanza sobrio. Quella bottiglia deve essere la prima.
Non rispondo, ma mi volto fra le lenzuola, appoggiandomi sul fianco e osservandolo dal basso. Ha un aspetto dimesso, la barba è ispida, gli occhi sono stanchi e segnati da profonde occhiaie, ha un colorito malaticcio e sicuramente non si cambia da almeno tre giorni.
« L’insegnante di Pan ha chiamato a casa qualche ora fa, sono dovuto andare a prenderlo » dice, con una voce cauta. Se fosse successo qualcosa a nostro figlio non sarebbe così calmo, di sicuro non avrebbe aspettato che mi fossi svegliata per parlarmene, quindi aspetto che continui. « Ha fatto a cazzotti con un suo compagno di classe ».
Mentre elaboro la notizia, studio con attenzione i lineamenti del suo volto. È rilassato, ma probabilmente è l’alcool a renderlo così tranquillo. « Si è fatto male? » chiedo e la voce fatica ad uscire. Ultimamente non sto esercitando molto le mie corde vocali, e la mia voce risulta un po’ roca.
Haymitch scuote la testa. « No, lui ha solo qualche graffio, ma ha quasi rotto il naso all’altro ragazzino ».
Chiudo gli occhi, e la scena mi si ripresenta dietro le palpebre chiuse. Sono terribilmente stanca. « Perché lo ha fatto? »
Haymitch esita, e quel suo esitare mi manda in allarme. Raccoglie la bottiglia, la porta alle labbra e beve un altro lungo sorso. Un po’ di liquido ambrato cade dagli angoli della sua bocca e finisce direttamente sul letto. Un forte odore di liquore s’insinua nelle mie narici e gli occhi s’inumidiscono di lacrime automaticamente. Adesso dovrò lavare tutte le coperte. Odio le coperte appena lavate. Sono fredde e ruvide.
« Hanno parlato delle elezioni, oggi in classe » dice, quando si stacca dalla bottiglia. Si pulisce la bocca con la manica e si lascia andare contro la spalliera del letto. Poggia nuovamente la bottiglia sul pavimento e chiude gli occhi. « A quanto pare qualcuno ha tirato in ballo gli Hunger Games, e qualcun altro ha messo in mezzo il tuo nome. Un ragazzino ha fatto un commento e Pan l’ha ammazzato di botte ».
Un lungo e profondo respiro mi riempie d’aria i polmoni, poi espiro pesantemente. Sapevo che sarebbe successo, era solo questione di tempo. « Dov’è? »
« In camera sua, gli ho detto di non uscire » aveva la risposta pronta, ma c’è qualcos’altro che esita a dirmi. Gli serve un altro sorso di liquore per continuare. « L’insegnante vuole vederci entrambi domani mattina ».
La notizia mi colpisce come una doccia gelata. Lo stomaco mi si contrae in una dolorosa morsa e la nausea sale immediatamente. Mi porto una mano alla testa, mentre un forte capogiro comincia a infastidirmi. Se non fossi stesa sarei già caduta per terra.
« Non posso, » gli dico, mentre cerco di combattere le vertigini. « Non posso uscire, non puoi—? »
Non mi fa nemmeno finire, si è già alzato e ha già agguantato la sua bottiglia di liquore. « Maledizione, Effie! » ringhia, e io m’irrigidisco. Non voglio sentire. « Non ti ho detto nulla, non ti sto chiedendo niente e non mi sto lamentando, ma devi reagire ».
Le sue parole dovrebbero ferirmi, ma non sento più niente. Almeno è quello che continuo a ripetermi. Ho voglia di piangere, ma trattengo le lacrime. Non adesso, non mentre può ancora vedermi.
« Non farlo per me, fallo per Pan, cazzo » la rabbia nella sua voce si scioglie e lo vedo mentre chiude gli occhi e si siede sul letto, guardandomi in silenzio. Mi poggia una mano sul fianco, e un leggero formicolio mi avvisa che dentro questo guscio ferito, sono ancora viva, dopotutto. « Non ti sto chiedendo di alzarti e di tornare a comportarti come se niente fosse, » mi dice, stringendo la mano sul mio fianco in segno di conforto. « Ti sto chiedendo di fingere, solo per un giorno. Eri la migliore a fingere, Dolcezza. Le vecchie abitudini sono dure a morire, non provare a dirmi di non esserne capace ».
Rimango in silenzio, riflettendo sulle sue parole. Ha ragione… lui ha ripreso a bere, io posso riprendere a fingere.
Solo per un giorno, mi dico. Solo per un giorno, come se non fosse cambiato niente. Come se lui fosse sempre lo stesso Haymitch, ed io sempre la stessa Effie.
Domani farò finta che non sia cambiato nulla.
E così, il giorno dopo, mi alzo e riesco a trascinarmi sotto la doccia. Quando mi siedo davanti allo specchio, con i miei pochi trucchi e i pochi prodotti di bellezza, comincio a giocare come avrei fatto un tempo, trasformando quel muso triste in un bel sorriso, con un po’ di rossetto.
Aggiusto i capelli e scelgo un bel vestito.
Non m’interessa cos’avrà da dirmi l’insegnante di Pan, non gli farò una paternale per avermi difesa. So che Haymitch ha parlato con lui, e nonostante l’alcool, mi fido ancora del suo giudizio. Oggi sorriderò, e annuirò, e acconsentirò ad ogni cosa che mi verrà detta.
Sono in grado di farlo, Haymitch ha ragione. Ero la migliore a fingere e sono ancora capace di farlo. Forse starò male, e nella mia camera da letto continuerò a piangere da sola, fra le coperte, mentre Haymitch continuerà ad ubriacarsi sul divano del salotto – ma fuori dalla mia stanza, nessuno deve notare la differenza.
Non importa quanto stia male, devo continuare a sorridere finché non mi faranno male le guance. Devo continuare vivere la mia vita finché la finzione non diventerà abitudine, e tornerà ad essere la quotidianità. Devo continuare ad essere Effie Trinket-Abernathy.

A/N: salve, non so se qualcuno ancora si ricorda di questa storia, magari qualcuno c'è.
Non aggiornavo da un anno, e mi scuso tantissimo. Non sono sicura di riuscire a riprendere a scrivere, ma di sicuro ci proverò.
Sono molto impegnata in questo periodo, ma questa storia è ancora nel mio cuore, e spero che sia ancora anche nel vostro.
Spero di sentirvi presto, grazie per esserci ancora e benvenuti ai nuovi lettori.
x Lily
ps_ finalmente siamo canon!!!!

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Capitolo 40
*** 8x04 Aria estiva ***


Aria estiva – 8x04
 
L’aria estiva entrava dalla finestra del salotto, riscaldando e rallegrando l’atmosfera.
Sophia era sul tappeto, a giocare tranquillamente con i suoi giocattoli, davanti al caminetto spento. Haymitch, che stava cercando di ridurre il bere al minimo, la sorvegliava con un occhio sonnolente dal divano, con un libro aperto poggiato sullo stomaco.
Pan era fuori con degli amici, un compagno di classe lo aveva invitato a passare del tempo insieme e lui aveva accolto la richiesta con molto entusiasmo, così ho deciso di acconsentire.
Dopo l’incidente del mese scorso sono stata sempre sulla difensiva. Ogni incontro con gli altri genitori e con le insegnanti mi sembrava un processo rivolto a me e mio figlio. Con il passare dei giorni e delle settimane, la situazione è fortunatamente migliorata.
Haymitch ha spiegato a Pan che non deve reagire con violenza, che al giorno d’oggi non c’è bisogno di fare a pugni e “mettere a tappeto l’avversario” per batterlo. Avrei scelto un diverso modo di esprimermi, ma il concetto c’era. Certe volte le parole possono fare molto più male di un pugno.
Con l’estate, il caldo è diventato insopportabile e non avere un sistema di aereazione in casa mi rende le giornate sempre più complicate.
Cerco di non pensare alle elezioni che si avvicinano. Mancano solo quattro mesi a novembre, e tutti i distretti stanno cominciando a schierarsi.  Come avevo previsto, la presenza di Celestia Snow nel nuovo team di Paylor non ha avuto molto successo da parte dei distretti, ma così facendo si è guadagnata il sostegno di almeno metà della popolazione della Capitale.
L’altra metà sostiene Manchot Currency, il capitolino che intende riportare Capitol City alla vecchia ricchezza, ridando ai cittadini tutto ciò che avevano perso durante la guerra. Una veloce chiacchierata con mia sorella mi ha fatto comprendere che lei ha intenzione di sostenerlo. Vorrei poter farle capire quanto sia insensata l’idea di poter tornare alla ricchezza di un tempo, ma lei pende dalle labbra di quell’uomo – che promette ricchezza e prosperità, e ancora una volta io e Allie ci troviamo in disaccordo.
La quantità di tasse che saranno costretti a pagare i distretti, nel caso lui salisse al potere, sarebbero infinite. Io ed Haymitch, con la sua pensione a vita e le agevolazioni in quanto ex-vincitore ci permetterebbero uno stile di vita agiato, nonostante le tasse, ma moltissime persone nei distretti vivono ancora in condizioni da non potersi permettere una tale spesa mensile.
A Currency questo ovviamente non importa, e nemmeno a mia sorella.
Il Distretto 2, così come il 13, l’8, il 4, il 6 e il 12, sono in gran parte dalla parte di Parker Hodge – la militare del 13 che vuole portare uguaglianza fra tutti i distretti, e spostare la capitale al 13. Ho cominciato anch’io a pensare che le idee della Hodge non siano tanto malvage. Sicuramente meglio degli ideali politici di Currency. Per quanto vorrei che Paylor restasse al potere, se dovessi scegliere qualcun altro, sicuramente sceglierei Hodge.
Blaze Harsh ha l’appoggio dell’11, del 10, del 9 e del 7. Le sue posizioni estremiste non sono cambiate e continuo a trovare il tutto molto ridicolo. L’abolizione dei distretti vorrebbe dire creare un unico stato governato dal caos. Togliere gli ultimi diritti ai capitolini sarebbe una mossa vendicativa e inutile, facciamo parte anche noi della nuova nazione, e nel bene e nel male abbiamo avuto ciò che ci spettava.
Tutti i miei beni, quelli di mia sorella, dei miei genitori… sono passati allo stato per ricostruire i distretti, non hanno più nulla da toglierci. Se lui salisse al potere potrei essere costretta a tornare a Capitol City, e l’idea mi dà il voltastomaco.
Per quanto io provi a non pensarci, è qualcosa che ormai fa costantemente parte della nostra quotidianità. La televisione non parla d’altro, i giornali non parlano d’altro. Le strade sono piene di manifesti e volantini. E so che a breve i candidati cominceranno a fare propaganda personalmente all’interno dei distretti. Mi chiedo se chiederanno la collaborazione anche dei vecchi vincitori.
Non credo che Haymitch, Katniss e Peeta saranno contenti di partecipare. È un po’ che non vediamo Annie e Johanna, dal compleanno di Sophia. Probabilmente quest’estate riusciremo a vederci solo verso la fine di agosto, dato che Pan avrà la scuola. Sicuramente andremo a trovarli durante le vacanze estive.
I miei pensieri vengono interrotti dal campanello della porta che suona. Dal tavolo della cucina allungo il collo per vedere se Haymitch ha intenzione di andare ad aprire, ma noto che si è appisolato sul divano, quindi chiudo la mia rivista, poggio la tazza di caffè che ho fra le mani e mi appresto ad andare alla porta.
È Katniss, con il suo sacco da caccia sulle spalle. Ha la fronte imperlata di sudore e dalla sua cintura penzolano due lepri morte. La sua vista non è proprio una meraviglia, ma le sorrido comunque. « Come posso aiutarti, cara? » le chiedo, facendomi da parte per farla entrare.
Katniss resta sulla soglia, infila la mano nel suo sacco e io mi aspetto che tiri fuori un altro animale morto – invece, prende un recipiente di plastica e me lo porge. « È un pezzo di torta che Peeta ha fatto ieri per cena, mi aveva chiesto se potevo portarvelo » spiega, « poi questa mattina sono andata a caccia e me ne sono dimenticata, ma dovrebbe essere ancora buona… »
Le sorrido, accettando volentieri la torta. « Ho appena fatto del caffè, sei sicura di non volerne una tazza? » le offro, ma lei scuote al testa.
Katniss porta una mano alla cintura, battendo un colpo sulle lepri appese a testa in giù. « Devo portare questa a casa » spiega, e poi i suoi occhi cadono su qualcosa alle mie spalle, in basso.
Mi volto e vedo Sophia camminare barcollante verso la porta, allungando le braccia verso me e Katniss. « Zia ‘atniss » dice, e io la sollevo da terra. Lei si sporge verso Katniss, che la prende in braccio un po’ riluttante.
« Oh, quasi dimenticavo » aggiunge, tenendo in braccio la bambina che comincia a giocare allungando le mani verso l’arco che Katniss ha poggiato sulla spalla, « Peeta ha detto che potete lasciarci lei e Pan quando volete ».
Non c’è bisogno che me lo dica, so benissimo che se fosse per lui, si terrebbe i bambini anche tutto il giorno. Sto per declinare l’offerta con un sorriso quando arriva una voce dalle mie spalle, e mi volto per trovare Haymitch che si avvicina a noi. « Perché non ti porti a casa la marmocchia per un paio d’ore, Dolcezza? »
Con un’espressione incuriosita, lo osservo mentre incita Katniss ad andare via con Sophia.
« Okay, » dice semplicemente la ragazza, con una scrollata di spalle, e si allontana con la mia bambina fra le braccia, ancora troppo interessata a giocare con le piume delle frecce per capire cosa stesse succedendo; sono sicura che sarà felicissima di passare del tempo con Peeta, è follemente innamorata di lui.
Chiudo la porta e mi volto verso mio marito, con la stessa espressione confusa sul volto. Lui non dice nulla, si limita a prendere dalle mie mani il recipiente con la torta di Peeta, lo poggia sul mobiletto all’ingresso e poi mi poggia le mani sui fianchi, spingendomi contro la porta e poggiandomi un bacio sulle labbra – piano, sapendo che non mi sono ancora del tutto ripresa dall’attacco del mese scorso.
Quando le nostre labbra si allontanano, lui continua a tenermi premuta contro la porta d’ingresso, e le sue pupille sono dilatate dall’eccitazione. I suoi bellissimi occhi grigi brillano di malizia, quando mi rifila uno dei suoi sorrisi sghembi. « Allora, Principessa? » mi chiede, « Che ne dici? »
Con una sensazione che mi riscalda lo stomaco, gli passo una mano sul petto e una dietro la nuca, sporgendomi in avanti per dargli un altro bacio. È quella la mia risposta, e lui la prende chiaramente come un “sì”.
Ha ancora la forza di prendermi in braccio, cominciando a fare le scale verso la nostra camera da letto. Sono sicura che se ne pentirà domani, ma mentre una risata spontanea mi sfugge dalle labbra, lascio che la sua schiena faccia quello sforzo, per non intaccare il suo ego.
Le sue carezze e i suoi baci sono una delle poche cose che ancora riesce a farmi sentire viva, dopo tutto quello che ho passato.
Ogni bacio sa di qualcosa di familiare, e nonostante questo anche di qualcosa di nuovo ogni volta che le nostre labbra s’incontrano.
Fra le sue braccia mi sento al sicuro, e ignoro il caldo estivo che ci opprime. Ogni volta che la sua pelle sfiora la mia, il mio corpo è attraversato da brividi.
Sentire Haymitch che sussurra il mio nome poggiando le labbra contro la mia spalla mi fa quasi morire, e mi abbandono completamente a lui e al suo amore.
*
Sono seduta sul letto, con le ginocchia portate al petto e un sottile lenzuolo a tenermi coperta. Haymitch è dietro di me, e mi accarezza la schiena, tracciando disegni intricati con la punta delle dita.
È silenzioso, ma non c’è bisogno che dica nulla. Vorrei che tutte le giornate potessero essere così tranquille e serene. Vorrei che la mia vita potesse essere sempre così.
Non mi sembra di chiedere molto.
Ancora una volta il campanello della porta mi distrae dai miei pensieri.
« Chi diavolo è? » chiede Haymitch alle mie spalle, in tono burbero.
Gli lancio un’occhiata obliqua, mentre mi allungo a prendere la mia vestaglia e la infilo velocemente, allacciandola stretta. Mi avvicino alla finestra e cerco di guardare chi sia da lì, ma il portico mi copre la vista.
Infilo le pantofole e mi affretto a scendere le scale, per evitare che chiunque sia alla porta, non aspetti ulteriormente.
Appena mi avvicino, la apro quanto basta per infilare il naso fuori e controllare chi sia. Pan non sarebbe tornato prima di stasera, e Peeta avrebbe sicuramente tenuto Sophia il più possibile.
È un ragazzo di all’incirca vent’anni. Ha qualcosa di familiare, ma non lo riconosco subito. È quando parla e mi saluta che mi rendo conto che di fronte ho mio nipote Alexandre, e il mio cuore si riempie di gioia.
Apro del tutto la porta e lo abbraccio calorosamente, mentre lui ricambia l’abbraccio.
È così cresciuto che non l’ho nemmeno riconosciuto. Mi chiedo come stiano le sue sorelle.
Dall’alto delle scale, Haymitch nemmeno riconosce subito il ragazzo, ma lo saluta con un mezzo sorriso, quando lui si fa riconoscere.
Ha una valigia con sé, e quando gli chiedo il motivo, mi chiede se può passare qualche giorno da noi. Do il mio consenso immediatamente, senza nemmeno pensarci due volte. Haymitch sembra un po’ contrariato, ma so che è tutta scena.
Solo a cena, quando sono tornati i bambini, ci racconta cosa è successo e il motivo della sua visita. A quanto pare lui ed Allie hanno avuto un brutto litigio dovuto a motivi di politica. Lui sostiene fortemente il governo di Paylor, ottenendo un’immediata approvazione di Haymitch – mentre mia sorella, non era affatto d’accordo con le sue scelte.
Ci racconta di come il vivere sotto lo stesso tetto era diventato particolarmente stressante, finché un giorno, dopo l’ennesimo litigio – lui aveva minacciato di andarsene dove sapeva che sarebbe stato capito, e quando Allie non ha voluto credergli, lui ha fatto le valigie e ha preso il primo treno per raggiungerci.
Ancora non sa per quanto tempo potrà restare, né cosa potrà fare… l’unica cosa a cui riesco a pensare è che per l’ennesima volta, per colpa della politica, la mia famiglia è stata divisa.

A/N: volevo ringraziare tantissimo chi ha continuato a seguire la storia, e a lasciare recensioni.
Sono sempre felice di condividere le vostre impressioni, e di chiacchierare con voi.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, un abbraccio e alla prossima!

x Lily
 

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Capitolo 41
*** 8x05 Elezioni a Panem ***


Novembre è alle porte; le nuove elezioni sono imminenti. Non si sente parlare di altro. È l’unico argomento di conversazione, sembra che la vita di tutta Panem giri attorno a quest’unico argomento.
Immagino che non sia poi così falsa come cosa. Sto iniziando ad essere veramente stanca di tutto questo. I vari candidati hanno iniziato a fare varie campagne, si stanno muovendo nei diversi distretti.
Le strade del Distretto 12 sono invase dai volantini. Due giorni fa degli hovercraft hanno sorvolato i tetti del distretto rilasciando cadere una pioggia di fogli di carta. Il volto severo della Paylor ci osserva da ogni angolazione, appena mettiamo il naso fuori di casa.
Ogni programma televisivo ormai discute solo di propaganda politica. Interviste, scoop, scandali e complotti.
Non sono certamente mancate le manifestazioni contro e a favore dei vari candidati. Dal Distretto 7 è partito un gruppo di estremisti che ha ricevuto un discreto consenso da quasi tutti i distretti; avevano cartelloni, manifesti, bandiere e fumogeni.
Si sono ritrovati davanti al Palazzo di Giustizia del Distretto 7 e sono arrivati fino alle porte della Capitale, dove hanno provato a boicottare una manifestazione in favore di Currency.
Parker Hodge, silenziosa ma costante, sta ribaltando le statistiche. Secondo i dati del telegiornale di questa mattina, Paylor è in vantaggio del 2% rispetto a lei. Currency e Harsh sono indietro, e sentendo parlare Plutarch non dovrebbero rappresentare un pericolo.
Continua a ripetere la parola pericolo. I pericoli più grandi onestamente li vedo in Currency e Harsh… se i due continuano in sordina la loro lotta non mi interessa. Mi solleva il fatto che le due candidate più probabili alla presidenza siano due donne dagli ideali politici piuttosto moderati.
Paylor si è aperta ad accogliere i bisogni della Capitale annettendo al suo staff Celestia Snow, che si è dimostrata essere una valida alleata.
Più volte Plutarch ci ha chiesto di prendere attivamente parte alla campagna elettorale – non ho ancora avuto il coraggio di dirgli di non aver deciso cosa fare con il mio voto.
Alexandre è sempre così entusiasta ogni volta che a tavola si parla di politica, in particolare del programma politico di Paylor. Haymitch gli dà corda, e così, anche in casa non si parla di altro.
Un giorno, dalla Capitale arrivano dei camion e iniziano a montare un palco dove si terranno le votazioni. In due giorni hanno finito di sistemare tutto, e così le votazioni iniziano.
Abbiamo quattro giorni per andare alle urne. Dobbiamo mettere una crocetta sul nome del candidato che vogliamo eleggere come presidente e infilare poi il biglietto in una grande boccia di vetro.
Non voglio nemmeno pensare a quanto mi ricordi quella maledetta boccia in cui ho dovuto infilare il braccio ed estrarre i nomi dei tributi per più di quindici anni.
Alla fine, mi faccio convincere da Haymitch e Alex e voto anche io per Paylor. Mi sono fidata del suo governo per anni, non voglio cambiare e rischiare che vada tutto storto.
Alcuni uomini del distretto sono stati selezionati per eseguire lo spoglio dei voti, ci metteranno circa 48 ore. 48 ore in cui io, così come il resto di Panem, rimango incollata davanti alla televisione, seguendo le statistiche e i prognostici.
I bambini sono stanchi di ascoltare i nostri discorsi infiniti e le nostre lamentele.
E mi illudo che presto finirà tutto.
Una mattina mi sveglio avvertendo un braccio di Haymitch che mi cinge la vita e mi posa un bacio leggero dietro l’orecchio. Ancora assonnata, mi volto fra le sue braccia e cerco di mettere a fuoco il suo viso.
“Ce l’abbiamo fatta di nuovo, Principessa” dice, sorridendo soddisfatto e non capisco cosa voglia dire. Non del tutto sveglia, il mio volto deve tradire la mia confusione, ma il sorriso di Haymitch non sparisce. Sono rare le mattine in cui si sveglia con un tale buon umore. “Paylor resta” si limita a rispondere alla mia confusione.
D’un tratto sono sveglia, ho completamente rimosso il sogno che stavo facendo e sono seduta sul materasso, con Haymitch ancora steso e sogghignante. “Sul serio?”
“Guarda tu stessa…” si alza, e lo seguo in salotto.
La casa è ancora silenziosa, i bambini sono ancora a letto. Sono da pochissimo passate le sette del mattino.
La televisione è accesa, il volume è basso, per non svegliare Pan e Sophia. Alexandre è seduto sul divano, quando mi vede mi saluta con un largo sorriso.
Paylor è radiosa, Plutarch e Celestia Snow sono dietro di lei, sorridenti e soddisfatti.
Non riesco nemmeno a sentire una parola del suo discorso, perché mi sento talmente liberata da un peso così opprimente che non riesco a prestare attenzione.
Mi lascio cadere sul divano accanto a mio nipote e inspiro profondamente, coprendomi il viso con le mani. L’incubo è finito. Non mi illudo che non ci saranno manifestazioni contro il governo, rappresaglie e altri cortei… ma il pericolo di Currency e Harsh è stato sventato.
Una mano di Alex mi stringe la spalla, e mi sporgo verso di lui lasciando che mi abbracci.
La voce di Pan arriva da sopra le scale. “Adesso il signor Hesenby la smetterà di chiamarci tutti i giorni?” chiede, stropicciandosi gli occhi.
Con una risata spontanea che mi sfugge dalle labbra, gli faccio cenno di raggiungerci. “Sì, tesoro, adesso ci lascerà in pace.”
x
Ovviamene Plutarch non ci ha lasciati in pace. Appena si sono calmate le acque, intorno a metà dicembre, tutti i Vincitori sono stati invitati a una cena ufficiale e non potevamo rifiutare.
Era da tanto che non vedevo Annie e Johanna. La seconda si comporta in modo strano, è più evasiva e distante del solito. Credo sia per via della presenza di Celestia Snow. Non posso darle torto, nemmeno Enobaria, Haymitch e Katniss sembrano perfettamente a loro agio.
Annie e Peeta sembrano più rilassati, la presenza dei bambini aiuta decisamente a smorzare l’atmosfera tesa. Durante la cena non accade nulla di particolarmente rilevante; scambiamo tante chiacchiere e convenevoli, è chiaro che questa cena vuole essere un festeggiamento e non qualcosa di puramente formale.
Dopo la cena, riesco a fare quattro chiacchiere con Annie. Mi confida che Johanna sta passando un brutto periodo, che dopo un brutto attacco psicotico dovuto allo stress per le elezioni, è ritornata alle vecchie abitudini, e ha ripreso ad abusare di morfamina. Ha deciso di farsi ricoverare per qualche mese, per cercare di venirne fuori.
Non ne parlo direttamente con Johanna, ma sono felice che almeno lei abbia preso da sola questa decisione. La Johanna di un tempo non lo avrebbe mai fatto, ma deve occuparsi di Annie e di Finn, e non può farlo in queste condizioni.
Quando raggiungo uno degli immensi salotti del Palazzo, comincio a notare un mormorio e uno strano movimento di persone. Plutarch mi si avvicina accompagnato da una donna che tiene sotto braccio. “Effie!” mi chiama, attirando la mia attenzione. “Vorrei presentarti una persona.”
La donna mi porge la mano. È alta quanto me, ma indossa un paio di scarpe che la fanno sembrare parecchio più alta. Il viso è tirato in un sorriso che fatico a capire se sia sincero o meno, è impossibile decifrare la sua età, me credo sia più giovane di me. Una volta avrei saputo dirlo con precisione…
“Media Anderson,” si presenta e le stringo la mano. Dall’accento è chiaro che viene dalla Capitale.
“Media è una giornalista,” spiega Plutarch, “e gestisce una casa editrice piuttosto importante…”
Senza che io riesca ad accorgermene, Plutarch mi ha incastrata in una conversazione che mi sta piuttosto stretta. Media vuole pubblicare un libro… un libro che parli di me, perché fra poco più di un anno saranno esattamente dieci anni dalla fine della guerra e ci dovranno essere dei festeggiamenti. “Quindi, quale miglior modo di ricordare e andare avanti, se non la biografia della ex accompagnatrice beniamina di Capitol City?” la voce di Plutarch è entusiasta.
Il mio volto non si scompone. “Tutti gli ex vincitori hanno detto di no?”
Plutarch ride, innervosito e in suo soccorso interviene Media. “La storia dei vincitori l’abbiamo già sentita!” si sistema i capelli dorati dietro l’orecchio e mi guarda attraverso le ciglia finte. “Vogliamo qualcosa di nuovo, sappiamo solo quello che i giornali hanno fatto trapelare di quello che ti è successo… perché non rendere pubblica la tua storia? Quale momento migliore per ricordare a tutti gli orrori che hai dovuto subire, e dopo tutto… un lieto fine è sempre gradito al pubblico!”
“No…” non voglio sentire ragioni. Non voglio farlo. “Mi dispiace, non posso.”
Media sembra decisamente delusa, ma Plutarch non demorde – ovviamente. “Pensaci su. Non devi decidere adesso, parlane con Haymitch, con la tua terapista… è una buona occasione per liberarti definitivamente del passato e per riscattare il tuo nome.”
Gli prometto che ci penserò, sapendo già che la mia risposta rimarrà negativa.
Haymitch non è contrario, ma mi dice che devo essere io a decidere e che non devo farmi condizionare da nessuno.
Ne parlo anche con i ragazzi, quando torniamo al Distretto 12. Katniss e Peeta conservano ancora il loro libro, per loro è stato terapeutico, ma qui si parla di pubblicarlo e di farlo leggere a tutta Panem.
Non so se voglio farlo. La mia terapista dice che potrebbe essere una buona occasione per mettere su carta tutto quello che provo, tutto quello che mi è successo. Potrei denunciare gli abusi subiti durante la prigionia e raccontare quello che accadeva veramente durante i Giochi.
Sono stata l’accompagnatrice del Distretto 12 per quasi sedici anni; ne ho di storie da raccontare…
Mi prendo il mio tempo per decidere cosa fare, ma tre settimane dopo, prima della fine di gennaio, durante una delle tante telefonate di Plutarch gli dico che accetto, lo farò. Scriverò un libro raccontando tutto quello che mi è successo, prima e dopo la guerra.

A/N: Dopo quasi un anno, aggiorno Petrichor, e siccome finirla è uno dei buoni propositi del 2017, spero sul serio di aggiornare al più presto!
Se non vi siete dimenticati di me, io ed Effie saremo qui a braccia aperte per ascoltare le vostre opinioni.
(Media è leggermente ispirata a Media di American Gods e Anderson è un cognome assolutissimamente a caso.)
Ovviamente è ironia e io la immagino come una dei tanti amori della mia vita, Gillian Anderson...
Se siete curiosi, scrivo anche in inglese - di altri fandom - su AO3, vi lascio il link qui.

x Lily

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