Never Let Me Go

di flors99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Beginning of The End ***
Capitolo 2: *** I Hate Myself because I Love You ***
Capitolo 3: *** Hang Me Hard ***
Capitolo 4: *** The Sound of Silence ***
Capitolo 5: *** Time is Passing ***
Capitolo 6: *** Masks ***
Capitolo 7: *** Enough For Both ***
Capitolo 8: *** Choices ***
Capitolo 9: *** Mistake ***
Capitolo 10: *** Borders (First Part) ***
Capitolo 11: *** Borders (Second Part) ***
Capitolo 12: *** The First Time ***
Capitolo 13: *** Black ***
Capitolo 14: *** Fear ***
Capitolo 15: *** Monster ***
Capitolo 16: *** Responsibility ***
Capitolo 17: *** I Don't Want To Lie Anymore ***
Capitolo 18: *** Party (First Part) ***
Capitolo 19: *** Party (Second Part) ***
Capitolo 20: *** Party (Third Part) ***
Capitolo 21: *** A Part Of Me ***
Capitolo 22: *** The Hell Was Finished ***
Capitolo 23: *** Crazy. They Are All Crazy ***
Capitolo 24: *** Things Never Go As They Should ***
Capitolo 25: *** Revelation ***
Capitolo 26: *** Prove To Me I'm Wrong ***



Capitolo 1
*** The Beginning of The End ***


Hermione Granger era sempre stata una strega brillante e invidiabile, con capacità oltre il limite della norma, probabilmente la migliore di tutta Hogwarts.
Il suo coraggio, la sua intelligenza, il suo orgoglio smisurato erano le parti del suo carattere che l’avevano contraddistinta, fin dalla tenera età, da tutti i suoi coetanei.
Un coraggio da leonessa e una mente logica e pratica le permettevano di trovare una soluzione, un’alternativa a qualsiasi problema che le si parasse di fronte.
Aveva combattuto al fianco di Harry Potter, divenuto ormai leggenda a Hogwarts, si era trovava faccia a faccia con la morte ed era riuscita a vincerla, con una determinazione senza pari.
 
Ma in quell’istante Hermione si sentì più vulnerabile e indifesa che mai: il respiro a malapena usciva e rientrava tra le sue labbra, i polmoni si contraevano a fatica, il cuore pulsava dolorosamente contro la sua gabbia toracica, forse credendo di avere la possibilità di uscire dal suo petto.
Tremava, la coraggiosa Grifondoro. Tremava, come se il suo corpo fosse stato squassato e flagellato ripetutamente e Hermione fu costretta a mordersi le labbra per non gridare.
Odiava sentirsi così debole.
 
Un minuto.
 
Così vulnerabile.
 
Due minuti.
 
Il respiro sempre più veloce, più stentato.
 
Tre minuti.
 
Non fiatò, non disse una parola.
Non respirò, dimenticò come compiere quel gesto e rimase in apnea per vari secondi.
Non riusciva più neppure a muoversi, come se il tremore incontrollato del suo corpo avesse offuscato anche le sue capacità motorie.
 
Quattro minuti.
 
La ragazza percepì una nuova sensazione, che rare volte aveva provato: panico. Un panico assoluto, totale, che spazzò via qualunque traccia di lucidità e raziocinio.
 
Cinque minuti.
 
Appena il tempo necessario alla verifica fu scaduto, Hermione guardò terrorizzata quell’oggetto bianco come se fosse il suo più grande dei carnefici. Lo prese tra le dita tremanti, col viso pallido quanto quello di un cadavere. In quei giorni e in quei minuti, i più lunghi della sua vita, Hermione aveva pregato che quel dubbio non fosse fondato, che quel ritardo fosse solo per colpa dello stress, come altre volte era capitato.
Quando i suoi occhi si posero sullo stick, le sue certezze caddero a pezzi, i dubbi furono dissipati.
 
Un errore.
Doveva esserci un errore.
Doveva esserci per forza un errore.
Chiuse gli occhi, sperando di svegliarsi al più presto da quell’incubo.
 
Un orrendo e terribile incubo.
 
Ma quando li riaprì la scritta blu e evidente era ancora sullo stick.

Positivo.

Con la bocca impastata e la disperazione che si faceva strada nel suo corpo, a Hermione non rimase altro che scivolare sul muro del bagno, fino a toccare terra, mentre soffocava malamente un singhiozzo.  
Riguardò quel maledetto oggetto, sperando forse che scomparisse tra le sue mani, ma non fu così: la scritta continuò a lampeggiare, sconvolgendo ancora di più la mente della Grifondoro.
Chiuse gli occhi, appoggiando la testa contro il muro, mentre il respiro, che fino a quel momento aveva trattenuto, usciva stentato dalle sue labbra. Solo in quel momento, Hermione si concesse di piangere, di far uscire quelle lacrime disperate che presero a bruciare sul viso come lava incandescente.
 
Ma non si sentì per niente meglio.

 























Angolo Autrice
Ciao a tutti cari lettori! Sono nuova su efp e questa è la mia primissima fan fiction! Sono una fan sfegatata della coppia Draco/Hermione e appena iscritta non ho potuto fare a meno di dedicare una long a questa splendida coppia che la Row non ha voluto creare (quante imprecazioni che le ho mandato quando ha messo Hermione con Ron!)

Ok, sto divagando, tutto quello che voglio dirvi è che spero che la mia storia mi piaccia e vi strappi qualche risata o qualche sorriso. Mi piacerebbe ricevere qualche commento o critica, almeno per sapere se vale la pena o no di continuare a scrivere…
Beh, che altro dire? Ho già parlato anche troppo, buona lettura!
flors99
 

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Capitolo 2
*** I Hate Myself because I Love You ***


Hermione si asciugò violentemente le lacrime con un gesto secco.
Furiosa. Furiosa con se stessa come non mai. Non poteva neppure appigliarsi alla magra consolazione di prendersela con qualcun altro: era stata solo e unicamente colpa sua, aveva ceduto alla seducente tentazione di un sentimento malato e illusorio, era stata avventata e imprudente come mai nella sua vita, non prevedendone, stupidamente, le conseguenze. Si era sempre ritenuta giudiziosa e responsabile, ma in quel momento si sentiva la persona più stupida del mondo.

Prese un bel respiro, costringendo il suo corpo a rilassarsi, per quanto fosse possibile, e si rialzò, seppur con le gambe leggermente malferme. Uscì da quel maledetto bagno, unico testimone del suo dolore e del suo segreto, dopo aver fatto scivolare lo stick nella tasca della sua divisa.
 
Un oggetto che bruciava a contatto con la sua mano.  
 
La Grifondoro regolarizzò il respiro, mentre cercava di rimettersi in sesto e non far capire a qualunque eventuale passante quanto invece stesse male. Nessuno l’avrebbe vista piangere.
 
Il suo orgoglio sarebbe morto solo dopo di lei.
 
Riflesso in quelle due pozze scure, duro e impalpabile. Le sue dita strinsero ancora di più lo stick all’interno della sua tasca, come se desiderasse romperlo, mentre ricordi non troppo lontani tornarono a tormentarla, forti come non mai. Al solo pensiero, per poco un fiume in piena non rischiò di farla cedere, ma Hermione lo respinse via, tenendo a bada le lacrime, alzando ancora di più gli argini del suo orgoglio che cominciava a vacillare.
Fu in quel momento, debole e vulnerabile come la più ingenua delle bambine, che lo vide. Si paralizzò all’istante, sperando seriamente che si trattasse di un’allucinazione del suo cuore malato.
 
Nonostante il freddo congelante non indossava né il mantello, né la divisa: solo una camicia bianca e leggera, con la cravatta verde-argento leggermente allentata. Sotto la camicia era possibile intravedere la tenera carne del collo.
Ignaro di essere osservato con tanto interesse, il Serpeverde scosse distrattamente i capelli chiari, lunghi quel tanto che basta da consentire a qualche ciocca di velare appena sugli occhi chiari.

Volto angelico su un corpo da diavolo.

Avrebbero dovuto dichiararlo illegale.
Nessuna ragazza di Hogwarts sarebbe riuscita a distogliere lo sguardo da quell’angelo dannato. Nessuna.
 
Non ci era riuscita neanche lei.

Hermione strinse le mani in un pugno, il respiro che tornava a spezzarsi.

Il test di gravidanza che bruciava ancora di più.
Avrebbe preso fuoco, prima o poi, ne era sicura.

Non ebbe neanche il tempo di chiedersi se fosse meglio tornare indietro ed evitarlo del tutto, oppure stringere i denti e sopportare le sue cattiverie gratuite, che Draco le passò accanto, dopo averla guardata come se fosse un piatto di patate bollite.

Insignificante.

La Grifondoro represse a stento un singhiozzo, mentre lo osservava allontanarsi.

Un Cruciatus avrebbe fatto meno male.
 
Per un istante, per un misero e singolo attimo le loro spalle quasi si erano sfiorate. 
 
Così vicini, quel tanto che bastava per toccarsi…

Eppure così lontani, separati da quel muro inespugnabile, fatto di accuse e pregiudizi.
 
La giovane Grifondoro aveva serrato gli occhi a quel piccolo contatto, mentre un dolore sordo impregnava il suo cuore.
Non una parola.
Non un’offesa.

L’indifferenza fa più male di un insulto.

 - Stupida! – si disse, quando poi fu certa di essere completamente sola. – Stupida. – continuò a ripetersi come una mantra, mentre nella sua testa si riaprivano quei vecchi cassetti che si era ripromessa di lasciare sigillati.
Per quanto facesse male, per quanto quei ricordi le spezzassero il cuore, non poteva impedire alla sua mente di ritornare agli eventi di un mese prima.
Hermione non ricordava tutto quanto: nella sua testa si alternavano dei flash. Eppure le immagini erano abbastanza vivide per farle stringere i denti e per ritrovarsi a piangere disperatamente nella sua camera.

Abbastanza potenti perché la sua mente non riuscisse più a cancellarle.
 
Era arrabbiata.
No, era incazzata.
Anzi, era decisamente furiosa. Una giornata cominciata completamente per il verso sbagliato, aveva ricevuto un rimprovero da parte della professoressa McGranitt per l’infondata accusa di un compito copiato (lei, che mai avrebbe fatto una cosa simile!), un litigio con Ron che aveva fatto tremare i muri della scuola, un altro litigio con Harry che aveva fatto tremare per la seconda volta i muri di Hogwarts e per poco non aveva litigato anche con Ginny. Una frustrazione continua per un sentimento ingombrante, che sentiva crescere dentro di lei ogni giorno di più e che invece non sarebbe dovuto esistere. Così Hermione, durante una ronda notturna aveva beccato degli studenti di Serpeverde girottolare nei corridoi della scuola e li aveva seguiti con l’intento di impartirgli una bella lezione. Così Hermione, si era ritrovata davanti  quell’idiota di Zabini, che prima le aveva lanciato un incantesimo Confundus, che presa alla sprovvista non era riuscita ad evitare, e poi l’aveva trascinata all’illegalissima festa che si stava svolgendo nei sotterranei.
- Ma sei rincoglionito, Blaise? E lei che ci fa qui? – sbottò Theodore quando vide chi l’amico si fosse portato dietro. – Ti avevamo chiesto di portare ragazze, non la legge in persona!
- Senti non mettermi ansia, me la sono trovata davanti che dovevo fare?
- Zabini, ma hai steso la Granger! Che ti è saltato in mente? – chiese un altro studente.
Hermione sbattè gli occhi, con la testa che ancora le girava per l’incantesimo che Zabini le aveva lanciato poco prima.
 
Dove sono finita?
 
Le ci volle poco più di qualche minuto per capire che fosse stata imbucata alla festa dei Serpeverde. Festa che, a dir la verità, era stata organizzata per tutta la scuola, escludendo i Grifondoro.
- Ma che ci faccio qui? – chiese con la bocca impastata, mentre si rialzava ciondolante.
- E lei cosa ci fa qui? – chiese Draco, sopraggiunto in quel momento.
- Dai Draco, l’ho solo invitata alla festa, me la sono trovata davanti e avevo paura che andasse a spifferare tutto. 
- Zabini, ma quale invitato alla festa, mi hai lanciato un incantesimo! Come ti sei permesso? – strepitò Hermione iniziando ad agitarsi.
- Granger, su, non te la prendere, dovresti ringraziarmi per averti portato qui, le nostre feste sono molto ambite. – Blaise le sventolò una mano davanti quasi a voler scacciare un insetto fastidioso. – Non facciamo niente di male.
- Niente di male? Ma non è illegale? – chiese retoricamente la Grinfondoro, mentre occhieggiava quantità di Burrobirra e Superalcolici magicosi riempire i bicchieri della maggior parte dei presenti.
- Certo che è illegale Mezzosangue. – la scimmiottò Draco. – Così come è illegale che tu sia qui a rompere le scatole! Vedi di stare lontano da me e di non guastare questa festa. – concluse con una smorfia.
Rimase a fissarla per qualche secondo con astio, poi si defilò tra la massa di persone, lasciando Hermione alquanto allibita per l’assenza di ulteriori proteste nei suoi confronti; era più che sicura che l’avrebbe cacciata via.
Non che lei volesse stare lì, chiaramente. No di certo.
Avrebbe fatto dietrofront, sarebbe andata subito dalla McGranitt e avrebbe raccontato quello che aveva visto. Anche se aveva i nervi a fior di pelle, anche se quella era stata una delle giornate peggiori della sua vita, anche se tutto quel rumore ottundeva i suoi pensieri a tal punto da farle credere che non esistessero, anche se un gruppo di giovani studentesse Tassorosso che Hermione riconobbe come amiche di biblioteca, la stavano salutando da lontano, facendole cenno di avvicinarsi. No, non sarebbe rimasta certo lì, anche se l’ipotesi di dimenticare anche solo per due ore quella giornata infinita era alquanto allettante.
Scosse la testa, doveva denunciare subito questa mancanza di rispetto delle regole della scuola…
- Tieni Granger, per una volta svuota quel cervello pieno zeppo di pensieri che hai. – gli occhi di Zabini sembravano fissarla quasi in maniera derisoria, come se le avessero letto nel pensiero.
Innervosita dalla situazione, Hermione buttò giù quello che le parve essere un bicchiere d’acqua, più per frustrazione che per vera volontà. La gola iniziò a bruciarle improvvisamente, mentre un leggero intorpidimento le scorreva lungo le gambe.
 
Ok, non è acqua decisamente.
 
Irresponsabile come mai lo era stata, finì il bicchiere pensando alla litigata con Ron. Ne buttò giù un altro per colpa di Harry. E poi ancora un altro per quella giornata cominciata male e finita peggio. Per chi conosceva Hermione, tutti sapevano che la ragazza non reggeva per niente l’alcool. Era capace di ubriacarsi con un bicchiere di spumante. 

Flash.

Hermione non seppe come ci era arrivata.
Si era semplicemente ritrovata a ballare davanti a tutti, senza vergogna, senza freni. Ballava senza mai fermarsi, sentendosi per la prima volta dopo tanto tempo libera come non lo era mai stata. Libera da tutto e da tutti, perfino da se stessa.E non si era neanche accorta delle persone intorno a lei. Non si era accorta delle mani rudi, maleducate, che avevano iniziato a percorrerle la pelle.
Hermione si scostò, emettendo un verso di rabbia, fissando con astio un giovane ragazzo Corvonero che aveva avuto la spudoratezza di avvicinarla. Quello scatto d’ira fu come una miccia nei suoi sensi intorpiditi, le fece risuonare un campanello d’allarme interiore che iniziò a martellarle la testa.
Fu a quel punto che decise di andarsene, con l'alcool che le annebbiava i sensi e che la feceva traballare, ma più lucida dopo quello scatto di rabbia.
Si allontanò dalla festa, riuscì a trovare per puro caso l’uscita dai dormitori e cercò di orientarsi tra i sotterranei, mentre continuava a chiedersi che ore fossero e quanto tempo fosse passato dal suo arrivo.
Non si accorse di essere seguita, finchè una testa bionda entrò nel suo campo visivo. La Grifondoro aggrottò le sopracciglia, ricambiando lo sguardo che Draco le stava rivolgendo.
Ah, quanto lo odiava.

 
Quanto avrebbe voluto odiarlo.

 
- Cosa vuoi? – la voce leggermente strascicata per la sbronza.
- L’orgogliosa Granger che scappa da una festa. Notevole. – rispose il Serpeverde con un ghigno, incastrandola tra lui e il muro. Solo con un esame più attento la Grifondoro si accorse del suo sguardo leggermente più assopito: anche lui non sembrava essere molto lucido. - Hai dato spettacolo alla festa. – continuò il ragazzo, sibilando come un serpente, gli occhi irriverenti a deriderla.
Hermione spalancò gli occhi, incredula di essere stata tenuta d’occhio, da lui soprattutto.
- Non devo certo giustificarmi con te, Malfoy! – rispose malamente, cercando di spingerlo via con un cenno della mano, come se fosse un ammiratore fastidioso. 
Lo sguardo di Draco s'indurì.
- Cosa stai facendo, Granger? Io non sono uno di quegli idioti che ti sbavano dietro!
E Hermione a quel punto sorrise, mesta; ridacchiò poi senza alcuna logica né divertimento. I suoi occhi scuri rivelarono un segreto nascosto da tempo immemore, un segreto pericoloso, intenso, che Draco, però, non comprese.
- Già. - convenne la ragazza. - Purtroppo lo so bene.
Hermione non sa dire che cosa fu in quel momento a farla cedere, se l’alcool che aveva ingerito in quantità per lei spropositate, se la frustrazione che stava cercando di scacciare via da settimane, se quell’intera giornata che le pesava sulle spalle come un macigno. Non sa dire cosa fu a far cedere gli argini del suo autocontrollo, ma fece quello che aveva voluto fare per così tanto tempo che lei stessa aveva perso il conto.
Lo baciò.

Proprio così: Hermione Granger baciò Draco Malfoy.

Non fu un bacio dolce, per niente. Un bacio a fior di labbra, come due fidanzatini, non interessava a nessuno dei due.

La ragazza si avventò sulle sue labbra con tutta la forza che aveva in corpo, afferrandolo per la nuca.

Draco rimase immobile all’inizio, troppo sorpreso per far alcunché. Spalancò quegli occhi ghiacciati in cui Hermione avrebbe voluto annegare ogni volta.
Poi non gli importò più di niente.
Si schiacciò completamente su di lei, mentre le sue mani si insinuavano sotto i vestiti della ragazza, facendola inarcare contro di lui. Rispose a quel bacio che sapeva di rancore, di rabbia, di qualcosa che forse nessuno dei due sarebbe mai stato pronto ad ammettere.

Le assaggiò il collo, stringendola ancora di più.

Come a non volerla più far andare via.

Hermione si morse la lingua per non gemere di piacere, si aggrappò a lui, mentre sentiva l’adrenalina, il senso di libertà e tutte le emozioni del mondo scorrevano dentro di lei. 

Sapeva che era sbagliato.

Ma non poteva farne a meno.
 
Il Serpeverde le accarezzò la guancia, un gesto inaspettatamente dolce.
 
Ancora non riuscivano a capire
 
Lei gli allacciò una gamba intorno alla vita, e lui la sollevò, tenendola per le natiche, completamente incastrata tra lui e il muro. Non smisero un secondo di baciarsi.
 
Chi dei due fosse la droga dell’altro.
 
A Hermione non importava più di niente. Non  le importava che fosse sbagliato, non le importava che quella fosse la sua prima volta, non le importava che Draco non provasse neanche un briciolo di ciò che provava lei. 
 
A Hermione Granger per una volta importava solo di se stessa.


La Grifondoro scosse la testa, tentando di cacciare quei ricordi nell’angolo più recondito della sua mente. Non  riusciva a smettere di pensarci. La cosa peggiore non era ciò che aveva fatto, non era ciò che, contro ogni logica, era successo. 
No, la cosa peggiore di tutte, era che Hermione ripensando a quella sera, non riusciva a pentirsene.

Chi sei tu, eh? Chi sei tu per farmi stare così male?

Sono mesi in cui il mio pensiero fisso sei tu, senza che ci sia spazio per altro. Ma chi sei tu eh? Com’è possibile che mi basti un tuo gesto, una tua occhiata per farmi battere il cuore? Come è possibile che quella sera tu mi abbia fatto provare emozioni tanto intense da morire tra i tuoi baci e rinascere tra le tue braccia?
Ma chi sei tu, eh? Chi ti credi di essere per farmi soffrire così?
Come è potuto succedere una cosa del genere?
Come è potuto accadere che io mi innamorassi di un tale borioso, arrogante, idiota come te? Come diavolo è successo? Quando è successo?
Non riesco a dimenticare, a cancellarti: è come se tu avessi marchiato il mio cuore col tuo nome e io non riuscissi più a farlo andare via.
Ti odio, dannazione.
Ti odio.
Anzi, mi odio.
Mi odio perché ti amo.



























Angolo Autrice
Ciao a tutti!!! Sono così felice, la mia storia ha ricevuto un numero di visite inaspettato e non me lo aspettavo proprio (gioco di parole innocente xD)! Voglio ringraziare tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite/seguite/ricordate, ma soprattutto voglio ringraziare Harry Potterish, Red and Jude, hermione59, Black_Yumi, Sirius_95, Lady Crystal, snape97, blair_87, Charlene, DracoMattyMalfoy, Sasoriza98, Darleen, aranciata, Felpick93, UraniaSloanus, Slytherin_Ss, Kattiva_Kome_Poke, Alepotterhead, Ginny_, piumetta, LadyFurianera, tonks17 e Betty97 per essere state così gentili e aver speso un po’ del loro tempo per recensire la mia storia! I vostri commenti sono stati come un raggio di sole, grazie, grazie, grazie!!
Spero che questo capitolo vi piaccia e che non deluda le vostre aspettative. Non è proprio un capitolo, è più un flashback e può risultare noioso, ma mi serviva per inquadrare bene la situazione. Poi sta a voi dirmi cosa ne pensate ^_^ Qualsiasi critica è ben accetta, così posso trovare i miei punti deboli e migliorarmi :D
Buona lettura e al prossimo capitolo!
A presto fantastici lettori!!!

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Capitolo 3
*** Hang Me Hard ***


Nel chiacchiericcio generale era impossibile captare un qualsiasi discorso. Tutti gli studenti parlavano l’uno sopra l’altro o chi era eccessivamente affamato preferiva non dar aria alla bocca, ma concentrarsi sul cibo. Fu in quel chiacchiericcio che Hermione entrò nella Sala Grande, senza guardare una singola persona.
Pregò che nessuno facesse caso a lei e non notasse la sua espressione al limite della disperazione, ma che tutti si concentrassero solo su quello che avevano nel piatto.
Mentre si dirigeva verso il suo tavolo, un timido raggio di sole illuminò la figura della ragazza, carezzandole il viso dolcemente.
Era cresciuta, Hermione, in quegli anni.
I capelli, sebbene ancora crespi, non erano come il suo vecchio cespuglio, che lei stessa si divertiva a definire “pagliaio”: li aveva lasciati crescere e la lunghezza li aveva appesantiti quanto bastava per dar loro una forma quantomeno decente, anche se ogni mattina doveva intraprendere una dura lotta per tenere a bada le sue ciocche scarmigliate. Il suo viso candido era sempre accompagnato da un sorriso carico di dolcezza e serenità che rivolgeva solo a poche persone. Non era una bellezza eterea, come quella di Daphne Greengrass, e neppure una bellezza provocante, come quella di Pansy Parkinson.

Era una bellezza semplice.

Quel giorno però nessun sorriso era presente sul suo volto.
Non facendo caso agli sguardi di nessuno, Hermione si diresse verso il tavolo dei Grifondoro, con uno scatto degno di un felino.
- Ciao, Herm. – il sorriso luminoso della sua migliore amica le riscaldò il cuore congelato.
 
Un cuore sanguinante, che batteva per la persona sbagliata.
 
- Ginny, devo parlarti. – sussurrò,  senza troppi giri di parole. Diretta. Secca. Decisa. – Da sola. – aggiunse poi, scoccando un’occhiata dispiaciuta a Luna.
- Non c’è problema! Tanto io dovevo andare a cercare un Nargillo che mi ha rubato le pantofole stamattina. Stavo appunto chiedendo a Ginny se lo aveva visto. Tu lo hai visto, Hermione?
- No, Luna, mi dispiace. – rispose sorridendo alla sua stramba amica.
Soltanto Luna era capace di parlare di qualcosa di cui Hermione non fosse a conoscenza.
- Non fa niente, tanto prima o poi lo troverò. Hei, Dean! Hai visto un Nargillo? – la chioma bionda si allontanò saltellando dietro al ragazzo, che assunse un’espressione piuttosto perplessa.
- Cosa vuoi dirmi? – la richiamò Ginny, cercando di trovare nei suoi occhi la domanda che Hermione non stava ponendo a parole.
- Non qui. – senza attendere una risposta la più grande delle due ragazze si voltò dirigendosi verso i dormitori.
Alzò il mento e prese un bel respiro, avanzando verso il portone della Sala Grande col naso dritto, gli occhi fissi davanti a sé e uno sguardo quasi di arroganza.
Ginny, seguendola, osservò le sue spalle dritte, il suo portamento rigido come uno stoccafisso, al limite dell’immobilità. E Ginny lo sapeva. Sapeva che quando Hermione si comportava così, poteva significare soltanto una cosa: stava male.
 
Dolore e sofferenza nascosti dietro la maschera dell’orgoglio.
 
Come una fiera regina che osserva tutti dall’alto rinchiusa nella regalità e nella sua solitudine.
  
 


 
 
Ginny credeva di conoscere la sua migliore amica alla perfezione. Nei sei anni in cui le era stata accanto aveva imparato a capirla, meglio di chiunque altro; riusciva a intuire ogni suo pensiero prima che Hermione lo formulasse ad alta voce. Era in grado di decodificare qualunque emozione attraversasse lo sguardo di Hermione, qualunque gamma di sensazione la avvolgesse. Ma in quel momento guardando la sua migliore amica, non vide niente. Lo sguardo di Hermione, sempre pieno di vita, di emozioni, era, semplicemente, irrimediabilmente, vuoto. Non c’era niente dietro le sue iridi marroni, niente se non un blocco di freddo marmo contro il quale Ginny si scontrò, quando cercò di leggere i suoi occhi.
 
Non la riconobbe. 
Non riconobbe la sua amica nel notare quel tremolio insolito delle mani, che l’aveva colta quando erano entrati nella Sala Comune dei Grifondoro. Non riconobbe la freddezza dei suoi gesti, la rigidità del suo corpo, i suoi occhi che le sfuggivano in continuazione.
Fu la prima volta in cui le fu difficile capire cosa passasse per la testa a Hermione; e probabilmente non lo avrebbe capito da sola, non senza l’aiuto di un oggetto bianco che le fu dato dall’amica in quell’esatto momento. Abbassò gli occhi, smettendo di guardare la Caposcuola, per concentrare la sua attenzione verso una scritta blu.
 
Positivo.
 
Leggere quella scritta fu come fare un salto nel vuoto. Inizialmente, Ginny si chiese cosa fosse quell’oggetto, prima di affiorasse nella sua mente una lezione di Babbanologia nel quale era stato trattato l’argomento della gravidan…Oh.
Rimase paralizzata, con la bocca aperta e l’espressione persa e si rifiutò di accettarlo, cercando una qualsiasi altra spiegazione, tranne quello che le si palesava davanti agli occhi. Perché doveva esserci per forza un'altra spiegazione.
- Sono incinta. – specificò a quel punto Hermione, dissipando ogni suo dubbio e facendola strozzare con la sua stessa saliva.
Ginny spalancò gli occhi, incapace di credere che quello non fosse uno scherzo.
- Cos…? Come? Quando? Ma… tu… – borbottò,  pronunciando frasi sconnesse per quasi un minuto intero. – Non… non è divertente, Hermione. – disse alla fine, con la gola che bruciava per lo sforzo di parlare.
- Già. – mormorò Hermione, in un ansito di tristezza. – A chi lo dici.
- Stai… sei seria? – non poté fare a meno di chiederle, perché di nuovo quella verità a Ginny parve troppo assurda per poterla ritenere vera. Anche se era altrettanto assurdo che Hermione potesse scherzare su un argomento simile.
Al cenno impercettibile dell’amica Ginny per poco non svenne.
- Q-questo è il test? – incespicò, cercando di assimilare la notizia.
- Sì. Avevo un ritardo di due settimane e mi sono… insospettita. – rispose, come se stesse pronunciando una sentenza di morte.
- Ma… – la giovane Weasley cercò di mettere ordine nella sua testa, ancora sconcertata dalle sue parole. – Io… cioè tu… con chi…cioè… è Ron? – domandò, allucinata. – Io non sapevo neanche che vi frequentaste! Perché non mi hai detto niente?
 
Ron.
 
Le si spezzò il cuore nell’udire quel nome: Ron era stata la persona a cui Hermione aveva davvero pensato di affidare il suo cuore in un primo momento; ma poi la sua cotta adolescenziale era stata sostituita da un altro amore, più profondo e più doloroso, capace di spazzare via i vecchi sentimenti. Un amore di cui non aveva mai fatto parola con nessuno, per questo comprese la reazione di Ginny, che aveva subito ipotizzato che il suo migliore amico fosse il padre.
 
Sarebbe stato meglio, probabilmente.
 
- Ronnonèilpadre. – chiarì Hermione, pronunciando quelle parole nel modo più veloce possibile, scacciando dalla sua testa i cattivi pensieri.
- Che?
- Ronnonèilpadre! – ribadì, più in fretta di prima.
- Hermione, non capisco… cosa stai dicendo… - mormorò la giovane Weasley, non consapevole di quali parole usare, per non turbarla ulteriormente.
 
Via il dente, via il dolore.
 
- Ho detto che Ron non è il padre! – esclamò tutto d’un fiato.
 
Via il dente, via il dolore. Sì, un cavolo!
 
Non aveva idea di come avrebbe potuto reagire Ginny a quella notizia: Hermione era consapevole di quanto la sua migliore amica sperasse di vederla un giorno al fianco del fratello e sapeva quanto l'avesse delusa in quel preciso momento. E, infatti, un lampo di delusione passò attraverso gli occhi della giovane Weasley, ma fu talmente veloce che Hermione ipotizzò di esserselo solo immaginato. Aspettò la sua reazione, che non arrivava. Qualunque cosa si sarebbe aspettata, ma quello… quello non lo aveva premeditato.
 
Niente.
 
Ginny non reagì. Rimase semplicemente a fissare Hermione con uno sguardo vacuo e insondabile, che le stava lentamente scandagliando l’anima. Aprì e richiuse la bocca più volte, sempre cercando qualcosa da dire, qualcosa di giusto magari; ma non trovò niente.
 
Qualunque cosa Ginny avesse detto, sarebbe stata sbagliata.
 
Per questo la giovane Weasley preferì il silenzio alla parola, e proprio quando Hermione si sentì sull’orlo di una crisi, scatenata da quell’inquietante gioco di sguardi, Ginny si sporse avanti, stringendola con le piccole braccia.
 
Un abbraccio carico di una dolcezza infinita e di un affetto radicato nel cuore di entrambe.
 
Ginny non era poi così calma come sembrava. Aveva un milione di domande che le affollavano la mente, un milione di quesiti che desideravano trovare sbocco, pronti a interrogare il sospettato, ma sapeva che non era questo ciò di cui Hermione aveva bisogno.
Non aveva bisogno di domande.
 
Ma di certezze.

Non aveva bisogno di dubbi.
 
Ma di sicurezze.

E lei poteva infonderle quella forza di cui aveva disperatamente bisogno, mettendo a tacere la ragione e ascoltando il cuore.
- Io ci sono, Hermione. – disse semplicemente, continuando ad abbracciarla. – Non so cosa è successo, ma sono qui. – la rassicurò, la consolò, non lasciandola mai andare, finché non la sentì tirare su col naso.
- Grazie. – borbottò la riccia, piena di gratitudine.
 Ginny sorrise leggermente, mettendo a tacere i suoi pensieri pieni di domande, che non avrebbe mai posto a Hermione: sapeva che qualunque cosa avesse chiesto, la Caposcuola, nello stato di vulnerabilità nel quale si trovava, le avrebbe raccontato tutto, ma non voleva approfittare di quella debolezza. Voleva semplicemente che fosse lei a confidarsi.
- Vieni con me. – disse Ginny, sciogliendo delicatamente l’abbraccio. – In Sala Grande. – chiarì poi. – Devi mangiare, sei troppo magra.
Hermione ridacchiò, tristemente.
- Tra poco non lo sarò più.
Quell’affermazione detta ad alta voce colse entrambe impreparate e fece scendere un secondo silenzio tra loro due.
- Un bambino è la cosa più bella che ci sia, Hermione. – sussurrò la giovane Weasley, accarezzandola una guancia con affetto. – Non devi vergognartene.
 
Sarebbe ancora così comprensiva se sapesse chi è il padre del bambino?
 
 
 


 
 
- Attenta!
- Cosa….? – mormorò Hermione, disorientata.
- Attenta alle scale! Non scendere così in fretta, potresti cadere!
Hermione scosse la testa, sospirando.
- Ginny, non sono fatta di vetro!
- Questo lo so, ma adesso sei responsabile di due vite! Devi essere più diligente!
A quella affermazione scoppiarono a ridere. Tutti a Hogwarts ritenevano Hermione la persona più diligente della scuola, forse anche dell’intero mondo magico.
- Io, eh? Allora è bene che tu segua il mio esempio, Ginny! – la rossa alzò gli angoli della bocca, vedendo il sorriso che aleggiava sul viso di Hermione, felice di essere riuscita a farlo rispuntare.
Un sorriso che si spense quando udì quella voce.
- Guarda, guarda… la Piattola e la Mezzosangue.
Così come un vetro va in mille pezzi, allo stesso modo il cuore di Hermione cominciò lentamente a cadere a pezzi, frantumandosi granello dopo granello.
- Vattene, Malfoy! – la giovane Weasley scattò immediatamente, fulminandolo con due occhi che inviavano lampi.
Il Serpeverde ridacchiò, ignorando bellamente le sue parole e avvicinandosi finché non si trovò davanti a Hermione. Il ragazzo alzò una delle sue mani, sul punto di fare qualcosa, a cui poi evidentemente ripensò, riabbassandola.
 
Quelle mani che avevano sfiorato la sua pelle centimetro per centimetro.
 
Un ciuffo di crini biondi gli copriva una piccola parte del viso.
 
Hermione ricordava la loro morbidezza: soffici in modo quasi disumano.
 
La Caposcuola conficcò a forza le unghie nei palmi, per reprimere il desiderio di abbracciarlo e confessargli della sua gravidanza. Si morsicò violentemente le labbra, proibendosi anche solo di poter pensare una cosa simile.
- Che c’è, Granger? Il gatto ti ha morso la lingua? – bastò la sua voce.
 
Il cuore traditore accelerò la sua avanzata nel petto.
 
- Vattene, Malfoy. – rispose, ripetendo le parole di Ginny.
 
L’orgoglio che infuriava combattendo contro il cuore.
 
Le labbra di Draco si piegarono in una smorfia sprezzante.
- Quanto siete ripetitive. Tu e la Piattola non sapete proprio dire altro? Ma, d'altronde, cosa posso aspettarmi da esseri inferiori come voi?
- Tu non devi essere tanto più intelligente di noi, se dopo ben due volte non hai ancora compreso il significato della parola "vattene". – sibilò Ginny, riducendo gli occhi a due fessure.
Il Serpeverde le lanciò un'occhiata seccata.
- Ma io ho compreso benissimo, Weasley. – rispose, modulando la voce senza che il tono di disprezzo lo abbandonasse. – Evidentemente ti sfugge il fatto che io non prendo ordini da nessuno, né da te, né tanto meno da una Mezzosangue. – concluse la frase, rivolgendo un ultima occhiata a Hermione, rigida come una statua di sale.
- Malfoy, seriamente, lasciaci in pace. – sussurrò a quel punto la più grande delle due ragazze, sbattendo le palpebre nel patetico tentativo di nascondere i suoi occhi velati.
Draco non accennò ad andarsene, prese piuttosto a fissarla insistentemente, così a lungo da metterla in imbarazzo. E in quel momento Hermione sentì un fortissimo impulso che le veniva da dentro, da una profondità che non pensava nemmeno di possedere. Un impulso che era come la sete improvvisa nel deserto, che la fece tremare, diventare debole. Un pensiero più grosso della sua stessa mente, la sua voce limpida che chiedeva, che supplicava:
 
Stringimi.
 
- Hermione? Stai male? – neanche la voce preoccupata dell’amica riuscì a reprimere quel dolore violento che avvertiva crescere a dismisura nel cuore.
La ragazza sbatté le ciglia, rendendosi conto di avere gli occhi così lucidi che a malapena riusciva a mettere a fuoco Draco in piedi davanti a lei.
 
Stringimi, Draco. Disprezzami, insultami, litiga con me… ma poi baciami, lasciami senza fiato. E stringimi forte, fortissimo …
 
 - No. – borbottò, con la gola secca, rispondendo con un flebile sussurro.
La Caposcuola aveva gli occhi enormi e tratteneva il fiato, tanto che il Serpeverde rimase per un secondo sorpreso da quel repentino cambiamento d'umore.
- Le mie parole ti hanno ferita, mezzosangue? – le chiese, con una luce cinicamente trionfante a balenare negli occhi.
 
Mezzosangue: per lui non sarebbe mai stata nient’altro.
 
- Non chiamarmi così. – ringhiò, mentre la vista le si appannava ancora di più; non riconobbe la sua voce quando parlò.
Sembrava disperata. Hermione dovette stringersi i gomiti con le mani: le sembrava che le sarebbero cadute le braccia per terra, tanto si sentiva a pezzi.
 
Aspetto che tu mi stringa, per favore, non lasciarmi andare via...
 
- Te l'ho già detto, Granger. Non puoi dirmi cosa fare. – le rispose, quasi con tono canzonatorio. Hermione, non certo dell'umore per mettersi a litigare, non rispose aspettando che se andasse; dopo pochi secondi, infatti, Draco, rendendosi conto di aver perso anche fin troppo tempo, si allontanò silenzioso come un gatto.
Hermione non riuscì a smettere di tremare nemmeno quando scomparve completamente dalla sua visuale.
Nemmeno quando Ginny le posò una mano sulla spalla. Tra l'altro, solo in quell'istante si rese conto che per tutto il dialogo tra lei e Draco, la giovane Weasley era rimasta in silenzio. Quando Hermione la guardò vide gli occhi di Ginny ingrandirsi, pieni di sconcerto e, un istante dopo, accendersi.
 
Consapevolezza.
 
- Porco cazzo. – sussurrò la piccola Ginny alternando lo sguardo tra lei e il punto in cui era sparito Draco.
Hermione seppe che la sua migliore amica aveva capito.
 
 
 
 
 









 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
Angolo Autrice

 
Ciao a tutti!!! Sto saltellando dalla gioia, la mia storia sta piacendo e non credevo che le mie parole potessero suscitare un tale interesse in voi lettori! Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite/le ricordate/ le preferite o anche a chi ha solo dato una sbirciata! Ma un grazie veramente speciale a Harry Potterish, EmWeasly, Bellatrix3, Red and Jude, Stella94, NikOttina, Ginevra James, Black_Yumi, hermione59, elisadi80, alicecat97, tonks17, LadyCrystal, Ginny_ e blair_87 per aver recensito lo scorso capitolo!! Davvero, le vostre recensioni mi hanno fatto venire le lacrime di gioia, sono così felice che la storia vi piaccia e che abbiate speso un po’ del vostro tempo per me ^_^
Spero che questo capitolo vi piaccia, è più lungo dei precedenti, così mi faccio perdonare per il ritardo! Grazie a tutti coloro che lo leggeranno!!! Al prossimo capitolo fantastici lettori :D

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Capitolo 4
*** The Sound of Silence ***


Blaise Zabini non ebbe bisogno di alzare lo sguardo per capire che il suo migliore amico era appena entrato nella Sala Grande: gli fu sufficiente ascoltare quella sorta di sospiro adorante che si era levato alle proprie spalle, probabilmente derivante da una cospicua parte della popolazione femminile di Hogwarts. Accolse Draco con uno sbadiglio che la sua mano non riuscì a nascondere del tutto.
- Sei in ritardo, Draco! – brontolò, stiracchiandosi. – Arriveremo tardi a lezione… – farfugliò poi, parecchio assonnato.
- Come sei te ne fosse mai importato…. – fu la seccata risposta dell’amico, dopo aver lanciato un’occhiataccia a una ragazzina del terzo anno che si era avvicinata al loro tavolo. Sotto quello sguardo di ghiaccio, la bambina dapprima arrossì, per poi scappare, imbarazzata oltre ogni limite, verso il suo tavolo.
- Non dovresti trattare così le tue ammiratrici. – lo ammonì, Blaise con un sorriso sornione.
- Non so che farmene. – rispose duramente l’altro. – E chi ti dice che magari non stesse cercando te?
- Mhn. – mugugnò. – Effettivamente hai ragione: sono bello da far paura, perché non poteva essere venuta qui per me? – si domandò retoricamente, alzando gli occhi al soffitto perdendosi in un’importantissima riflessione. – In questo caso, riformulo la mia affermazione: non trattare così le mie ammiratrici.
- Porco Merlino, è tardissimo! – imprecò una terza voce, cadendo quasi addosso a Blaise per la fretta. – Cosa ci fate voi ancora qui, seduti? Dobbiamo andare a lezione, per Salazar!
- Ecco perché volevo che tu arrivassi prima, Draco. – borbottò Blaise. – Quando Daphne arriva in ritardo, diventa peggio di uno scaricatore di porto.
Draco alzò l’angolo della bocca, ben consapevole di quanto potesse essere isterica quella ragazza.
I suoi occhi grigi si soffermarono per un attimo sulla figura di Daphne Greengrass: la Serpeverde poteva essere definita leggenda a Hogwarts, per il suo aspetto molto più simile a quello di una dea greca che di un essere umano. Raramente Draco Malfoy aveva visto tanta bellezza racchiusa in una singola persona: il suo viso di porcellana sembrava essere stato scolpito dal più minuzioso degli scultori, i suoi occhi limpidi, di un incredibile verde giada e le sue labbra piene sarebbero state capaci di conquistare il più gelido dei cuori. I suoi capelli sembravano catturare tutta la luce delle centinaia di candele sospese a mezz’aria per rifletterla poi in uno scintillio di boccoli dorati, per non parlare poi del suo fisico.
Aveva solo un unico, minuscolo, piccolo problema.
- Stavi per caso parlando di me, caro? – ringhiò la ragazza, già spazientita.

Era irascibile.

- Sì, tesoro. – ripose Blaise, con un sorriso canzonatorio. – Stavo informando Draco della tua proprietà di linguaggio, molto curata e molto fine…
- Vaffanculo.
- Appunto.

E acida. Molto acida.

Draco ghignò per quella scena vista e rivista.
- Che lezione abbiamo? – la sua domanda interruppe il battibecco già intrapreso da Daphne e Blaise, che, a quanto pareva, non avevano altro da fare la mattina se non mettersi a litigare anche per le cose più irrilevanti.
- Lumacorno. – rispose prontamente la ragazza. – Con i Grifondoro. – aggiunse poi con una punta di disprezzo.
Draco sentì i muscoli irrigidirsi impercettibilmente, mentre camminavano lungo i corridoi.
- Tutto bene, Draco?
Il Serpeverde scosse le spalle, limitandosi a perforare Blaise con gli occhi più freddi che aveva.
- Certo.
 
 

 
 
Lo studio del professor Lumacorno si trovava nei sotterranei, particolarità che portava gli studenti ad esserne intimiditi, insieme ad altri motivi.
Infatti, un tempo quello era stato il covo del professor Piton (al quale recentemente era stata affidata la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure): luogo tetro e scuro, pieno di strani e disgustosi vasetti che contenevano organi e oggetti viscidi impossibili da identificare, tutti galleggianti in pozioni colorate che illuminavano con le loro tonalità sinistre l’intera stanza, costantemente in penombra.
Pur essendo stata l’aula trasformata in un grande salone pieno di drappi dai colori caldi e vivaci, e tavoli stracarichi di ogni leccornia, nessuno studente a Hogwarts aveva dimenticato la sensazione di disagio e panico che aveva provato in passato.
Draco e Blaise erano seduti abitualmente negli ultimi banchi, il moro completava in fretta gli ultimi appunti prima della lezione, accorgendosi poi di non essere capace di svolgere l’ultimo passaggio dell’esercizio.
- Pss! Daphne! – la chiamò, sapendo che la ragazza l’avrebbe ignorato. Le lanciò un pezzo di carta tra i capelli, per avere la sua attenzione. – Hei!
- Che vuoi, Zabini? – rispose la Serpeverde, con calma inquietante.
- Come va?
- Come va?! Ma cosa Merlino stai dicendo? Cosa vuoi?!
Mandando all’aria i suoi buoni propositi di essere gentile, il ragazzo decise di andare subito al nocciolo della questione.
- Passami i tuoi appunti!
- Ma sei scemo? Te lo scordi! – prevedendo la sua risposta Blaise si alzò e si sedette al banco accanto a Daphne, per rubarle la pergamena. Daphne lanciò una serie d’insulti e imprecazioni poco adatte a una ragazza, ma non potendo fare nulla contro la forza fisica del compagno di casa, alla fine fu costretta a cedere e a lasciargli i suoi appunti.
- Fottiti, Zabini! – sibilò a denti stretti.
- Sì, sì, lo so che mi ami, ma non dovresti ripetermelo così spesso, potrei montarmi la testa. – fu la sarcastica risposta.
Se Blaise era tutto un fermento, Draco era il suo esatto contrario. Completamente rilassato, nonostante non avesse con sé una parte dei compiti.
Rimase indifferente anche quando il professore entrò nell’aula, non si scompose quando Lumacorno si cimentò in una lunghissima spiegazione di una particolare erba, talmente interessante che per poco Blaise non si addormentò. Neanche l’ingresso trafelato di Harry e Ron fu degno della sua attenzione; mantenne la sua aria disinteressata per tutto il tempo che impiegarono a raggiungere i primi due banchi che trovarono liberi, astenendosi persino dal provocarli.
Nulla sembrava interessarlo.
Poi, qualcosa fece scoppiare quella bolla d’indifferenza che si era creata intorno a lui.
- Buongiorno professore, mi scusi per il ritardo.
- Non si preoccupi signorina, Granger. Non sarà certo per un ritardo che cambierò la mia opinione su di lei. – le ripose giocosamente il professore, felicissimo che la sua studentessa preferita fosse finalmente arrivata.
La Grifondoro gli lanciò un timido sorriso, prima di guardarsi in giro per cercare un posto libero. Intercettò uno sguardo di scuse da parte di Harry e Ron, che non le avevano tenuto il posto, dato che erano arrivati tardi come lei.
Poi i suoi occhi si posarono sui suoi e Draco vi lesse qualcosa di simile allo sconforto; il ragazzo ghignò, ben sapendo quanto lei sarebbe stata a disagio accanto a lui. Le sorrise, come a volerla sfidare.
Hermione cercò di distogliere lo sguardo, ma quegli occhi ghiacciati, prepotenti, glielo impedirono.
Ignorando la morsa nel petto, la Grifondoro si avvicinò a testa alta all’ultimo posto rimasto e senza dire una parola si sedette accanto al Serpeverde che non le aveva mai staccato gli occhi di dosso.
Ignorò il tremolio delle sue mani, spostandosi un ricciolo dietro l’orecchio per nascondere il disagio purtroppo ben evidente. Ignorò la pressante consapevolezza che Draco fosse lì, a pochi centimetri da lei, e di non poterlo nemmeno sfiorare, perchè sapeva che qualunque contatto lo avrebbe soltanto disgustato. Ignorò tutto quello che la sua mente le urlava, le immagini sfocate che affioravano nella sua testa.
 
Ma non riuscì a ignorare la richiesta disperata del cuore.
 
E per un attimo, per un singolo istante si azzardò a guardarlo, non potendo farne a meno.
 
Occhi plumbei come il cielo di novembre.
 
E Hermione vide ciò che non avrebbe dovuto vedere.
 
Quegli occhi che la avvolgevano con una tale intensità da fare scomparire tutto il mondo intorno a loro.
 
Il suo cuore traditore smise di battere.
 
Avrebbe dovuto distogliere lo sguardo.
 
Non permetterti di sperare, Hermione.
 
Non avrebbe dovuto guardarlo.
 
Perché per un singolo istante il suo cuore si cullò della dolcissima, quanto irrealizzabile illusione che lui, forse, le sarebbe stato accanto, se gli avesse confessato la verità.
 
- Cerca di non avvicinarti troppo, Mezzosangue, mi disgusti.
La voce sottile e da serpente di Draco fu come la puntura di una spina: inevitabile, inaspettata, dolorosa.
Non avrebbe dovuto sentire.
 
Non permetterti di sperare Hermione, non dimenticare chi hai davanti.
 
Non avrebbe dovuto aggrapparsi a quella mera illusione a cui, per un singolo istante, aveva ceduto.
 
Perché l’illusione è soltanto una bugia, usata per ingannare il cuore.
 
La Grifondoro, nonostante il dolore che dilagava nel petto, rimase immobile a quelle parole. Non si mosse di un millimetro, mantenendo intatta la sua indifferenza.
- La cosa è reciproca. – rispose, la rabbia mischiata al malessere. Non gli rivolse più la parola, né lo guardò: si limitò a voltarsi verso il professore, per seguire la lezione.
 
Non un sospiro uscì dal suo petto, testimone dei suoi reali sentimenti: la maschera era sempre al suo posto.
 
 



Draco non si era mai sentito un ragazzino.Non era mai stato un ragazzino neanche a tredici anni, quando aveva dato il suo primo bacio. Neanche a sedici, quando aveva fatto sesso per la prima volta.
 
Eppure di fronte a quello sguardo si sentì un ragazzino.
 
Per parecchi secondi non fu in grado di spostare sli occhi dalla figura esile di fronte a lui. E più perdeva tempo nell'osservarla più avvertiva una strana sensazione che lo faceva rabbrividire da capo a piedi.
Poi arrivò la morsa al petto.
 
Quasi dolorosa…
 
Quella morsa che sentiva ogni volta che la intercettava. Qualcosa di simile alla nausea, all’intolleranza, al disgusto aveva ipotizzato.
 
O, forse, qualcosa a cui non sai dare un nome.
 
Solo anni e anni di controllo gli permisero di rimanere freddo e impassibile. 
- Cerca di non avvicinarti troppo, Mezzosangue, mi disgusti.
 
Parole dure, meschine.

Dettate dalla cattiveria, dal desiderio di farla soffrire come stava soffrendo lui in quel momento, dal desiderio di farle provare quella morsa.
Draco non sapeva cosa avessero scaturito in lei quelle parole.
La Grifondoro aveva risposto con studiata indifferenza, senza battere ciglio, e si era limitata a voltarsi verso il professore. Non gli era però sfuggito il gesto che aveva compiuto un attimo dopo.
La Grifondoro aveva portato la mano sul ventre, in un gesto spontaneo.
 
Quasi protettivo.
 
Draco non intuì il motivo di quel gesto, né lo degno di considerazione, continuò a osservarla anche quando lei si chinò sulla pergamena per prendere appunti.
 
Cosa Merlino sta succedendo?
 
Per anni l'aveva insultata, e umiliata, guidato unicamente dal disprezzo per quelli come lei e, più raramente, dall'indifferenza. 
Allora perché… Cos’era quella sensazione di gelo?
 
Che cosa mi hai fatto, Mezzosangue?
 
 

 
 
Dicono che la notte sia il luogo delle parole.
Quella notte Hermione Granger capì che era vero.
Dicono che il silenzio non abbia suono.
E Hermione capì che mentivano. Il silenzio aveva un suono: era un lamento, un sussurro cupo e tenebroso. Ne aveva sempre avuto timore, fin da piccola, perché con nessun rumore a coprirlo, il silenzio le faceva ricordare.
Tutti i suoi pensieri le vorticavano in testa, tutte le parole di quei giorni sfilavano davanti a lei come una tempesta.
 
Le mie parole ti hanno ferita, Mezzosangue?
 
Cerca di non avvicinarti troppo, Mezzosangue, mi disgusti.
 
Mezzosangue. A metà tra due mondi.
 
Né strega, né umana.

Un leggero cigolio mise fine a quei pensieri che le facevano soltanto del male.
La Grifondoro afferrò la bacchetta, pronta a scacciare chiunque si fosse presentato a quell’ora di notte. Ma quando vide la luce della luna illuminare una chioma rosso fuoco, l’abbassò rincuorata.
- Ginny, io…
- Non dire niente, per favore. – un sussurro stentato uscì dalle sue labbra. Stentato come quello del giorno prima.
 

- Porco cazzo.
Non aveva trovato esclamazione migliore per esprimere la sua sorpresa, il suo sgomento, la terribile e allo stesso tempo irrazionale presa di considerazione. Non era riuscita a impedirsi di mostrare il suo sconcerto, la sua mascella per poco non aveva toccato terra e gli occhi molto probabilmente le erano usciti fuori dalle orbite.
Un’esclamazione interrotta dalla voce di Harry e Ron che le avevano raggiunte e avevano inconsciamente impedito loro di continuare la conversazione. Non c’era stato tempo per le parole, per le lacrime, per niente. Solo un sussurro flebile uscito dalle labbra di Ginny:
- Oddio…
 
 
 
- Non so cosa sia successo, Herm, e a meno che tu non voglia dirmelo, non te lo chiederò. – esordì la più piccola delle due ragazze, sedendosi sul suo letto.
- Ginny… grazie per essere qui. Tu… sei…
- Arrabbiata? Delusa? – la rossa si rese conto di aver usato un tono troppo duro, quando vide la sua migliore amica abbassare gli occhi. Sospirò. – Hermione, io non capisco. Come hai potuto essere così… così…
- Così stupida? – terminò per lei. – Me lo sto chiedendo ogni giorno, Ginny. Non lo so.
Il silenzio che ne seguì fu opprimente.
- Ti rendi conto della situazione in cui sei? – disse infine la giovane Weasley. – Ma soprattutto, ti rendi conto con chi ci sei finita in questa situazione?
 
Non dimenticarti di chi hai davanti.
 
Non permetterti di sperare, Hermione.
 
- Malfoy disprezza tutto quello in cui credi. – continuò Ginny. – Ti detesta, ci destesta, ha cercato di umiliarti più volte di quante ne riesca a ricordare, non condivide i tuoi stessi valori, se potesse farebbe terra bruciata del tuo mondo e dei tuoi affetti! – esclamò. – E questa… questa è la persona che hai scelto?
Il suo tono fu duro, ma inquietantemente vero. Disse ad alta voce tutto quello che Hermione si stava ripetendo ormai da settimane: non sapeva rispondere a quella domanda così diretta, non aveva la minima idea di come avesse potuto inguaiarsi in una situazione simile. Oltre al bambino, si ritrovava a provare qualcosa per la persona più sbagliata di questo mondo, intrappolata in quel vortice di sensazioni che la prosciugava.
- Condivido tutto, Ginny, e se devo essere sincera… non so risponderti. Non so né come, né quando ho scelto di provare qualcosa per lui, ci sono solo finita in mezzo. E… mi disprezzo per questo.
A quella confessione, Ginny ammutolì. Non aveva mai visto Hermione così in difficoltà, neanche quando aveva dovuto affrontare situazioni che avevano messo a rischio la sua incolumità.
- E Ron?
La domanda di Ginny rimase appena nell’aria per svariati secondi.
Se c’era qualcosa capace di ferire Hermione ancora di più era proprio questo: Ron. Le si congelò il cuore alla sola idea di dovergli confessare della sua gravidanza.
 
Della sua gravidanza con Malfoy.
 
Il suo rapporto con Ron era cambiato nel corso degli anni. Dalla semplice amicizia era nato qualcosa di più profondo, che le faceva venire un leggero batticuore quando si trovavano vicini. C’era stato un momento in cui Hermione era stata davvero convinta che Ron fosse la persona giusta per lei. Ma poi…
 
Poi si era ritrovata innamorata di Draco Malfoy.
 
- Ho bisogno di tempo per dirglielo, adesso non ce la faccio. – confessò.
Ginny non rispose, abbassò solo la testa, sperando che l’amica non notasse la punta di tristezza che le era apparsa negli occhi.
Il silenzio si protrasse fino a che Hermione non riuscì più a sopportarlo, sentiva che sarebbe scoppiata se la rossa non avesse detto qualcosa, qualunque cosa.
- A cosa stai pensando? – singhiozzò alla fine, disperata. Doveva saperlo. Doveva sapere cosa ne pensava di tutto, di lei in quel momento. Se la vedesse ancora come la sua migliore amica, o, forse, come una traditrice. Il solo pensiero di perderla fu semplicemente insopportabile.

Per un altro minuto Ginny non disse niente. Poi Hermione sentì la mano calda della rossa intrecciarsi saldamente alla sua: un semplice contatto che le trasmise la forza che le serviva.

Ginny: sempre pronta a sostenerla, a sorreggerla quando cadeva.
La presa si fece più salda e i loro occhi s’incontrarono.

Io ci sono.

E Hermione in quell'istante, immersa nel buio della notte, non ebbe più paura del silenzio. Non con la sua migliore amica al suo fianco.
 
Lei: madre, sorella, amica.

Ti voglio bene, sussurrarono gli occhi di Ginny.

 Anch’io, risposero quelli di Hermione.
 
 
 


















 



 





 
Angolo Autrice
 
Ciao a tutti cari lettori!!!! Mi scuso tantissimo per il ritardo con cui posto, ma sono veramente incasinata con i compiti, ho un milione di interrogazioni e io sono troppo codarda (o troppo stupida, dipende dai punti di vista xD) per offrirmi volontaria e per togliermi almeno una materia ;)
Vorrei ringraziare ogni singola persona che ha letto la mia storia, ma anche stavolta sono costretta a fare i ringraziamenti in generale,  perché non ho proprio tempo. Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite/le seguite/le ricordate, o anche a chi ha solo dato una sbirciata! Ma soprattutto ringrazio quelle sedici dolcissime ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo: Razorbladekisses, tonks17, Notteinfinita, Cherie17, Lady Crystal, blair_87, Red and Jude, MadamaBumb, Harry Potterish, Ginevra James, hermione59, Villina92, Black_Yumi, Alessia_space, britney18 e elisadi80.
Le vostre recensioni sono come un raggio di sole, è solo grazie a voi che riesco a continuare la mia storia. Grazie per i vostri commenti e per le vostre dolci critiche ^_____^
Spero che questo capitolo vi piaccia, e non deluda nessuno! In questo capitolo ho analizzato meglio il rapporto tra Herm e Ginny che io reputo veramente speciale e stavolta avremo anche una piccola parte dal punto di vista del nostro tenebroso Serpeverde, aspetto i vostri commenti per sapere se vi è piaciuta ^_^
Nel prossimo capitolo anche Harry e Ron entreranno nella storia, che finora sono rimasti un po’ in disparte.
Ok, chiacchiero troppo, me ne vado, prima che mi intimiate di ritirarmi!
Aggiornerò il prima possibile!!!!! Al prossimo capitolo!!!!!

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Capitolo 5
*** Time is Passing ***


Ciao a tutti, belli e brutti! Ma che dico, i miei lettori sono tutti belli! u.u  
Mi scuso tantissimo per il ritardo, ma mia madre mi ha sequestrato il computer per due settimane… ovviamente ho protestato, ma la mia mammina quando si arrabbia è tipo Molly Weasley, quindi è meglio lasciarla stare xD  Soltanto oggi ha messo fine alla punizione e ho postato il capitolo il prima possibile! Senza ulteriori indugi, vi lascio alla storia e metto gli altri commenti a fine capitolo! Vi aspetto giù! ^_^
 

 





 

Il tempo passa.
Anche quando fa male. Anche quando ogni cellula del nostro corpo desideri che si fermi. Nulla trattiene la sua incessante avanzata, scorre come un fiume in piena.
 
E non ritorna mai alla sua sorgente.
 
Eppure non manca chi si spazientisca per la sua lentezza, chi non desideri che quel giorno finisca presto e ne nasca uno nuovo.
Ma quello non era il caso di Hermione Granger.
 
Il tempo passa.
 
Questo era il pensiero che attraversava la mente della inquieta Grifondoro, mentre sfiorava la sua pancia, le dita che cercavano i segni della gravidanza avvenuta troppo precocemente. E sebbene fosse ancora presto per vedere il suo ventre ingrossarsi, Hermione non poteva fare a meno di pensare a come sarebbe cambiato il suo corpo nel giro di pochi mesi.
 
Il tempo passa.
 
Il tempo chiarificaraffredda.
 
Nessuna emozione può mantenersi inalterata nello scorrere delle ore.
 
Ma Hermione si sentiva sempre uguale.
 
Vuota.
 
Nessuna emozione scorreva più sul suo viso, nessun sentimento era riflesso nei suoi occhi, perennemente vacui.
- Stai bene, Herm? – ad Harry non erano sfuggiti i comportamenti anomali della ragazza, che si verificavano sempre più spesso: non poteva fare a meno di preoccuparsi per la sua migliore amica. Era sempre stato capace di carpire i segnali giusti per interpretare i suoi stati d’animo, ma da un po’ di tempo sentiva Hermione sempre più distante. Sempre più fredda.
La Grifondoro si sentì morire sotto i suoi occhi verdi, colmi di preoccupazione.
 
Sinceri.
 
Non avrebbe mai immaginato che mentire fosse tanto doloroso.
- Certo, Harry. – rispose, costringendosi a sorridere.
Ma Harry non era l’unico ad essersi accorto del suo improvviso cambiamento.
- Hermione… hai le tue cose? – le mormorò Ronald leggermente rosso. Arrossiva sempre quando doveva parlare di un argomento simile.
A Hermione fece una tenerezza incredibile.
Aumentando il passo la ragazza li superò e si posizionò davanti a loro.
- Ragazzi, sto bene. Ultimamente sono un po’ stanca. Tutto qui, davvero.
 
Mentiva con le parole.
 
Con un gesto calmo e carico di dolcezza si alzò sulle punte per dare un bacio sulla guancia ai suoi migliori amici, ai quali non avrebbe mai voluto mentire in modo così spudorato.
 
Mentiva con i gesti.
 
Hermione li guardò, finché non vide la loro preoccupazione affievolirsi.
 
Mentiva guardandoli negli occhi.
 
Harry si limitò a tacere e, malgrado la preoccupazione appena avuta, ricambiò lo sguardo dolce dell’amica. Ron invece avvampò vistosamente, assumendo la stessa tinta vermiglia della sua chioma.
- Perdonaci, Herm. A volte siamo un po’ ansiosi. – Ron ridacchiò imbarazzato, passandosi una mano tra i capelli.
 
No. Perdonatemi voi, se potete.
 
 

 
 
La lezione di Storia della Magia avrebbe fatto addormentare anche un professore.
Tutti gli studenti dell’aula avevano smesso semplicemente di provare a restare svegli, già sapevano sarebbe stata una battaglia persa in partenza: le parole del professore erano un’iniezione di gas soporifero e gli studenti sfruttavano quell’ora per recuperare un po’ del sonno perduto durante la notte.
Hermione era l’unica che riusciva a sopravvivere senza sbadigliare per tutta l’ora, ma quella mattina la Grifondoro non fu proprio in grado di seguire la lezione. Sbadigliò assonnata, mentre con la coda dell’occhio osservava Ron di fianco a lei che scribacchiava qualcosa sulla pergamena.
- No, Ron, qui c’è un errore. – lo corresse istintivamente, indicando un rigo sul suo foglio. – La Conferenza dei Maghi è stata nel 1289.
L’amico sbattè le palpebre, guardandola perplesso.
- Ma Hermione, che dici? Quell’argomento lo abbiamo fatto settimane fa, adesso siamo alla caccia alle streghe.
 
Ah.
 
Hermione si morse le labbra, confusa. Ok che aveva completamente perso la concezione del tempo e ok che in quei mesi la sua attenzione era andata allegramente a farsi benedire, ma un errore così grossolano non era da lei. Nemmeno nelle sue condizioni.
 
Sono proprio messa male se non distinguo più un argomento dall’altro.
 
Si stropicciò gli occhi, stanca. Erano notti intere che non riusciva a prendere sonno e il suo fisico conseguentemente ne risentiva: occhiaie profonde solcavano il suo viso, facendolo apparire più smunto e pallido di quanto già non fosse. Aveva completamente perso l’appetito, riducendosi a mangiare porzioni esigue di cibo che a malapena le permettevano di restare in piedi. Sapeva di non poter continuare così.
Era passato un mese.
Un mese da quando aveva rivelato a Ginny della sua gravidanza.
Un mese di segreti, di paure, di lacrime non versate.
 
Un mese che guardava negli occhi i suoi migliori amici e ancora non aveva trovato il coraggio di rivelare loro la verità.
 
- Ma lo so, Ron. Stavo solo scherzando! – rispose, ridacchiando cercando di nascondere la sua gaffe dietro una battuta.
Il rosso accennò un sorriso, se avesse o meno carpito la bugia non lo diede a vedere.
- Hermione… Perché non andiamo a Mielanda oggi? – cambiò discorso il giovane grifondoro, arrossendo leggermente. – Magari ti distrai un po’.
La riccia contrasse le labbra in una smorfia, mentre il suo cuore faceva una leggera capriola. Oh, Ron. Il suo dolce Ron.
Scrutò il volto del suo amico, quegli immensi occhi azzurri che la guardavano inermi, i capelli rossi scarmigliati che si abbinavano perfettamente al colore delle sue guance e per un singolo istante, una parte del suo corpo si chiese perché non potesse esserci Ron al posto di Draco. Sarebbe stato tutto più semplice, naturale, come doveva essere. Distolse lo sguardo, scuotendo la testa.
- Preferirei di no, Ron. – rispose, con voce bassissima. – Però ti ringrazio per il pensiero, magari un’altra volta.
- Ok, come vuoi. – il ragazzo scrollò le spalle, cercando di nascondere la delusione.
- Però… – Hermione s’interruppe e si morsicò la lingua.
- Però?
- Se vuoi possiamo studiare insieme dopo la lezione di Trasfigurazione. – gli concesse, sfiorandogli la mano, sapendo quanto poco fosse allettante quell’eventualità per lui. Sentendosi però per un attimo più leggera all’idea di non dover passare le prossime ore da sola.
Ron le sorrise, a metà tra lo sconforto e l’imbarazzo.
- Studiare?! Ma Hermione, lo sai che io e libri… – iniziò a borbottare. Tutto avrebbe voluto fare quel pomeriggio, tranne che mettersi a studiare. – Oh, e va bene. – acconsentì infine, incapace di rifiutare.
 
Miseriaccia, sono proprio messo male se mi metto a studiare pur di stare con lei.
 

 

 
 
La lezione di Trasfigurazione passò più velocemente della precedente, complice la piccola esplosione provocata da Seamus che aveva generato l’ilarità della classe e alleggerito l’ora di lezione.
- Ci vediamo la prossima settimana, ragazzi. E signor Finnigan, per la sua incolumità e per quella di tutti, cerchi di mostrare un po' più di maturità rispetto a quella di un cassetto. Il tempo per gli esperimenti è finito, è il momento di crescere. Questo vale per tutti, ragazzi, queste simili infantilità non sono ammissibili alla vostra età. - le dure parole della McGranitt gelarono il giovane Grifondoro che si strinse nelle spalle e abbassò la testa mortificato. 
Tutta la classe ammutolì, non avevano mai sentito la professoressa parlare così duramente. Minerva aveva sempre avuto un occhio di riguardo per ognuno di loro, ma erano all'ultimo anno alla fine del loro percorso di studi e il suo compito non era più solo quello di prepararli da un punto di vista scolastico, ma di educarli ad affrontare il mondo esterno, lasciando da parte simili bambinate. 
Harry, Hermione e Ron, scossi da quelle parole per motivi diversi, uscirono dalla classe silenziosamente per dirigersi verso la Sala Grande.
- Signorina Brown. - chiamò la professoressa, mentre gli studenti scappavano in fretta e furia dall'aula. 
La giovane Grifondoro scosse i lunghi capelli biondi, avvicinandosi.
- Sì, professoressa? 
- Il suo tema è stato uno dei peggiori della classe, signorina Brown. – iniziò, cercando di soppesare le parole. – Sa cosa significa? – le riconsegnò la pergamena con sguardo critico, mentre la ragazza piegava le labbra in una smorfia. 
- Significa che la Trasfigurazione non fa per me. – rispose Lavanda con arroganza, cercando di nascondere dietro quel tono così stizzito l'umiliazione che invece stava provando. Srotolò la pergamena, osservando distrattamente le correzioni che vi erano riportate. 
- Se le dico questo è perchè so che può fare molto meglio di così. 
La Grifondoro non rispose, si limitò a scrollare le spalle e a richiudere la pergamena. 
- Perchè non chiede aiuto ai suoi compagni? Alla signorina Granger, magari. – provò a suggerire la McGranitt, consapevole quanto potesse essere importante un buon compagno di studio in queste situazioni. A quel nome le spalle di Lavanda ebbero un guizzo. 
- Non ho bisogno di aiuto, professoressa! – Lavanda saltò su come se fosse stata scottata. – Ce la faccio da sola, provvederò. – chiosò, volendo chiudere quella conversazione il prima possibile. Era già abbastanza umiliante essere ripresa in quel modo dalla McGranitt, ci mancava soltanto di dovere chiedere aiuto a quella, pensò con rabbia.
- Non c'è niente di male nel farsi aiutare, signorina Brown.
La Grinfondoro borbottò qualcosa di indefinito, pronta a dileguarsi da quel posto il prima possibile, la sensazione di umiliazione che iniziava a dilagare sempre di più nel suo petto. 
- Anzi, già che siamo, può consegnare questi appunti alla signorina Granger? Così può approfittarne per parlarle magari. – le consigliò, porgendole dei fogli.
Lavanda fissò quei rotoli di pergamena tra le mani della McGranitt come se volesse bruciarli, ma, non potendosi ovviamente rifiutare, prese tutto il materiale e arricciò il naso, come se nell'aria si fosse improvvisamente diffuso un odore insopportabile. 
- Se non c'è altro, io andrei. - sbuffò a denti stretti, innervosita.
- Può andare. Pensi a quello che le ho detto. – ma Lavanda non la stava già più ascoltando.
- Arrivederci. - borbottò la Grifondoro dileguandosi e lasciandosi dietro una scia di boccoli biondi. 


 
Nel frattempo, ignari della conversazione svoltasi nell'aula di Trasfigurazione, il Trio Magico aveva raggiunto la Sala Grande, trovandola già ghermita e piena di gente.
- Avranno già mangiato tutto! – si lamentò Ron, alla disperata ricerca di cibo. Hermione si sedette accanto a Harry, che ancora non riusciva a capire come Ron riuscisse a mangiare tanto in fretta un pollo intero.
- Ragazzi avete sentito? Seamus ha fatto esplodere l’intera aula di Trasfigurazione. La McGranitt era nera. – sghignazzò un gruppo di Corvonero guardando in direzione del loro tavolo e assumendo un’aria di superiorità.
Senza troppa discrezione i giovani grifondoro si voltarono a guardare il loro compagno di casa che ormai sembrava aver acquistato un abbonamento a tempo pieno per le esplosioni.
- Non l’ho fatto apposta. – pigolò Seamus. – Ero sicuro che l’incantesimo avrebbe funzionato a dovere.
- Che fine avevate fatto? – la voce di Ginny Weasley li distrasse e un dolce sorriso nacque spontaneo sul viso di Harry. La ragazza gli si avvicinò, dandogli un bacio sulla guancia, mentre Harry arrossiva.
- Ho il primato nei ritardi, ricordi? – ridacchiò il ragazzo, ricordando quando lui e Ginny si erano messi a discutere su chi dei due accumulasse più ritardi, rispetto all’altro. Il sorriso che si scambiarono fu intenso, senza eguali.
Hermione non poteva fare a meno di osservarli, felice come non mai. Due delle persone alle quali voleva più bene si amavano e lei ogni volta sentiva il suo cuore riempirsi di felicità, vedendoli insieme.

E sotto, nascosta dalla maschera, un pizzico d’invidia.
 
Perché lui non l’avrebbe mai guardata così.
 
Un pizzico di tristezza.
 
- Ragazzi, io vado, devo ripassare. – senza toccare cibo, come faceva ultimamente del resto, salutò velocemente i suoi amici. – Ron, se vuoi sono in biblioteca.
Seamus e Dean scoppiarono a ridere all’affermazione di Hermione.
- Ron, adesso frequenti le biblioteche? – risero di gusto, lanciandogli addosso le molliche di pane.
- Ah, finiscila Dean!
Hermione non ebbe nemmeno il tempo di udire la conversazione, si era già diretta verso la porta a passo spedito. Non voleva ammetterlo, ma vedere l’amore che legava Harry e Ginny la faceva sentire ancora più in difetto, ancora più sbagliata. Un amore così diverso dal suo. Sporco, malato, tossico e autodistruttivo. 
Era appena uscita dalla Sala Grande, stava per dirigersi verso i dormitori, quando una mano la fermò poggiandosi sulla sua spalla.
- Stai bene? – riconobbe all’istante la voce preoccupata.
- No. – con Ginny poteva essere sincera. Poteva aprirsi e trovare uno spiraglio d’aria, perché lei capiva. Rimasero lì ad osservarsi, davanti alla porta.
- Vuoi che venga con te? – le chiese infine la rossa.
Hermione scosse la testa, guardando in direzione di Harry che le fissava preoccupato.
- Voglio solo riposare, ma grazie comunque.
- Non ti fa bene, Herm. – il tono serio di Ginny catturò l’attenzione di Hermione, che finse di non aver capito a cosa si stesse riferendo.
- Di cosa parli, Ginny?
- Non puoi più continuare così. Se glielo dicessi, Harry ti starebbe vicino. E anche mio fratello! Magari non subito… – le concesse Ginny. – Ma capirebbero, entrambi.
- E lui? – il sussurro di Hermione interruppe la ragazza. – E lui mi starebbe vicino, secondo te?
Fu in quell’istante che Ginny comprese cosa significava provare odio.
Un odio puro e avvelenato.
Lo odiava.
 
Perché aveva ridotto la sua migliore amica in quello stato.
 
Lo odiava.
 
Perché aveva fatto cadere tutte le sicurezze di Hermione e l’aveva resa vulnerabile.
 
Lo odiava.
 
Perché la stava uccidendo, un giorno dopo l’altro.
 
Odiava Draco Malfoy.
- Non lo so, Hermione. Dandoti un consiglio su come comportarti con Malfoy, non sarei capace di essere razionale e lo sai. – sputò quelle parole come se fossero un insulto, forse sperando di sfogare la sua rabbia in qualche modo.
Hermione sentendo quel cognome drizzò le orecchie e la guardò sorpresa. Da quando le aveva rivelato della gravidanza Ginny non aveva mai nominato Malfoy, neanche per sbaglio.
- Non voglio parlare del quel viscido schifoso perché non voglio rischiare di ferirti, ma una cosa voglio dirtela, Herm. Non puoi continuare così! Gli stai dando un potere che non si merita, gli stai permettendo di rovinarti la vita più di quanto già non l’abbia fatto. Devi reagire! – il tono leggermente più alto aveva fatto voltare parecchi studenti, che ora le fissavano scocciati per aver interrotto il loro pranzo.
Ma Hermione non si curò di tutti quegli sguardi che la perforavano.
 
Non puoi più continuare così.
 
Si stava facendo del male da sola e lo sapeva.
 
Gli stai permettendo di rovinarti la vita.
 
Certo che glielo stava permettendo e senza nemmeno troppa fatica. Gli permetteva di entrarci e di distruggerla.
 
Devi reagire.
 
- Non trovo le forze, Ginny. – ammise, distrutta da quella consapevolezza. Si era sempre ritenuta una persona forte, ma quella situazione l'aveva resa debole come una fragile foglia secca d’autunno.
- Hermione. – la richiamò la rossa, mettendole le mani sulle spalle. – Tu sei la persona più forte che io abbia mai conosciuto! Non lasciare che la paura di perdere ti impedisca di tentare. – sussurrò. – Me lo dicevi sempre tu quando stavo male per Harry, ricordi?
La Caposcuola rimase per un attimo senza parole.

Non lasciare che la paura di perdere ti impedisca di tentare.

- Sì, che mi ricordo. – rispose dopo qualche secondo.
 
Ma Harry non è Draco Malfoy.
 
Harry non ti farebbe mai del male.
 
- Lo so che Harry non è Draco Malfoy. – disse Ginny, come se avesse letto nei suoi pensieri. – Grazie al cielo per me. Ma tu sei Hermione Granger, se l’hai scelto, per quanto inconsapevolmente, ci sarà stato un motivo. Non posso pensare che tu ti sia innamorata di lui sulla base del nulla, devi aver visto qualcosa. Per la persona che io credo che tu sia Hermione, devi aver visto qualcosa in lui.
Un lampo velocissimo attraversò le iridi di Hermione, un ricordo nascosto custodito nell’angolo più buio della sua mente riaffiorò, ma le labbra della Grifondoro rimasero chiuse e non fece parola. Il cuore iniziò a batterle più velocemente, ben consapevole del momento a cui stava ripensando.
Ginny si avvicinò, le circondò le spalle con le sue piccole mani.
- Quando ti sembra di non poter andare avanti perché lui è Draco Malfoy, pensa che tu sei Hermione Granger. E Hermione Granger è più di questo. Non voglio che te ne dimentichi.  
 
Hermione Granger è più di questo.
 
La Grifondoro boccheggiò, mentre quelle parole le si conficcavano nel petto con una potenza che la lasciò per un attimo senza respiro.
 
Io sono più di questo.
 
Certo che lo era, era più della scatola vuota che era diventata, di quell’involucro bianco privo di sostanza e colori. Era più di quell'ombra, un tempo appartenente a una ragazza coraggiosa, che ora vagava per i corridoi di Hogwarts senza il controllo della propria vita. Fu come uno squarcio: percepì qualcosa all'interno del suo corpo strapparsi, come se un coltello vi si stesse conficcando in mezzo con violenza: quella sensazione di torpore che l'aveva avvolta come una calda coperta fino a pochi secondi prima le scivolò di dosso, lasciandola tremante e infreddolita. Si sentì improvvisamente più lucida mentre davanti agli occhi le si frappose la sua stessa immagine e frammenti di quelle settimane trascorse la investirono come schegge di vetro: il suo corpo sempre più deperito, i suoi occhi sempre meno vivaci, la sua persona sempre più evanescente. Fu come se qualcuno le avesse bruscamente tirato una secchiata d'acqua gelida per farla svegliare, nel rendersi conto di quello che si era permessa di diventare.

Io sono più di questo.

Aveva permesso alle spire della paura di prendersi ogni più piccola parte di lei, facendola scomparire ogni giorno di più.
 
Io sono più di questo.
 
Aveva permesso che gli eventi si susseguissero, senza esserne protagonista, ma solo una mera spettatrice.
 
Io sono più di questo.

Era stata debole. Debole e codarda quanto bastava da non aver neppure il coraggio di parlarne con Harry e Ron. Come aveva potuto? Come aveva potuto fare questo a se stessa e agli altri? Come aveva potuto annullarsi in questo modo?
 
Devi reagire.
 
Ginny si morse le labbra, forse pensando di aver detto la cosa sbagliata o di essere stata troppo dura. Stava per rimangiarsi quello che aveva appena pronunciato, ma poi la guardò negli occhi.
 
E la riconobbe.
 
Eccola sua sorella, la sua migliore amica.
Il suo sguardo deciso, determinato, i pugni stretti, la schiena raddrizzata all’istante.
La luce antica dei suoi occhi, che per troppo tempo ne erano rimasti privi.
 
Una rinascita.
 
Hermione le stava dicendo grazie. Per averle dato la forza che le serviva.
Fu con quella forza che Hermione tornò di nuovo nella Sala Grande. Fu con quella forza che non si curò di tutti quegli sguardi rivolti verso di lei.
 
Quando ti sembra di non riuscire ad andare avanti perché lui è Draco Malfoy
 
Fu con il suo orgoglio che Hermione avanzò a passo deciso verso il tavolo dei Serpeverde, senza far caso alle occhiate di tutti.
 
Pensa che tu sei Hermione Granger
 
Fu con quegli occhi che Hermione affrontò Draco Malfoy.
 
 
 
 









 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
Angolo Autrice
Secondo voi cosa verrà fuori da questo faccia a faccia? Non lo so neanche io! Faranno tutto i personaggi e io non posso prevedere che cosa passerà nella testa di quei due polli xD
Mi dispiace se il capitolo è così breve, ma volevo postarlo, perché vi ho già fatto aspettare troppo e se avessi dovuto allungarlo, vi avrei fatto aspettare ancora e non mi sembrava giusto ù.ù Spero comunque che vi piaccia e che lascerete un piccolo commento; mi accontento anche di un “ritirati” XD! Voglio ringraziare tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite/le seguite/le ricordate, il primo capitolo ha sorpassato le 1000 visite, non avete idea della faccia che ho fatto quando me ne sono accorta! XD anzi, più che altro di che cosa ho fatto, ho più o meno ballato la samba davanti al computer ^___^
Ma soprattutto ringrazio quelle dolci meraviglie che recensiscono la mia storia, e in particolare Harry Potterish (non so come farei senza di te), Black_Yumi, Ginevra James (la piccola parte su Harry e Ginny è dedicata a te!!), Angiegabs, MadamaBumb (con tutti i tuoi complimenti mi hai fatto arrossire), Stella 94, hoping_, elisadi80, tonks17, Lady Crystal e blair_87 che hanno recensito lo scorso capitolo. Scrivere per voi è un onore!
Ok, adesso prima che mi tiriate i pomodori, mi ritiro silenziosamente!
A presto cari lettori!!!!!

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Capitolo 6
*** Masks ***


Ciao a tutti!! Non credevo che sarei riuscita ad aggiornare entro oggi, ma invece ce l’ho fatta! ^_^ Prima di lasciarvi al capitolo devo fare alcune precisazioni importanti:questo capitolo parte da un falshback. Le parti in corsivo descrivono degli eventi successi in passato, le parti non scritte in corsivo rappresentano la situazione attuale. Lo dico, perché la narrazione può risultare confusa e mi scuso subito se accadrà una cosa simile.
Seconda cosa: Voldemort è stato già sconfitto, nel quinto libro da Silente al Ministero. I Mangiamorte sono tutti ad Azkaban, e…..e…..mi sono dimenticata quello che volevo scrivere! O.o Se avete qualche dubbio chiedete, non sia mai che non mi venga in mente quello che dovevo dirvi! xD
 Lascio il resto dei commenti a fine capitolo, vi aspetto giù!
 




 
Un pendolo rintoccava l’arrivo della mezzanotte.
Il rumore attraversò i corridoi totalmente vuoti, così stranamente silenziosi rispetto al giorno, gremiti di studenti. Tutta Hogwarts dormiva in quel momento, lasciando alle nude pareti in pietra il compito di ascoltare la melodia del pendolo. Ma il dodicesimo rintocco non fu soltanto inghiottito dal silenzio e disperso nell’oscurità, giunse invece alle orecchie di una figura che camminava frettolosamente nei corridoi, circondata dal buio.
Normalmente Hermione era sempre stata abbastanza rispettosa delle regole ed assai ligia ai propri doveri di Caposcuola, doveri come non ritrovarsi a girottolare per il castello di Hogwarts durante la notte.
Quella sera i suoi doveri erano venuti a mancare, si era attardata in biblioteca per terminare una ricerca su un compito di Trasfigurazioni, assegnato quel giorno dalla professoressa McGranitt e che sarebbe dovuto esser consegnato entro due settimane. Inutile dire che la Grifondoro spinta dalla curiosità e dal desiderio si sapere, aveva letto libri su libri dell’argomento richiesto e aveva già finito la ricerca, motivo per cui ancora si attardava per i corridoi a quell’ora di notte.
Stava tornando verso la torre a passo di marcia, era intenzionata a dormire almeno un minimo di sei ore prima di iniziare il secondo ripasso per la lezione di Aritmanzia del giorno successivo, e avrebbe continuato imperterrita per la sua strada, se qualcosa non l’avesse immediatamente bloccata.
 
Un suono.
 
Si fermò all’istante, quasi inciampando, guardandosi intorno alla ricerca della fonte di quel rumore.
- Lumos.
Dalla sua bacchetta si irradiò una luce leggera che puntò verso il basso per non rischiare di farsi vedere. Si guardò intorno e alla sua sinistra distinse una stanza, che riconobbe come il bagno dei prefetti. Si avvicinò lentamente, facendo il meno rumore possibile. Il suono che aveva sentito poco prima s’intensificò.
Si avvicinò alla porta, sempre in punta di piedi e sbirciò all’interno.
 
Spalancò gli occhi, scioccata per la scena che le si presentò di fronte.
 
Quello che vide la lasciò a bocca aperta: dovette far violenza su se stessa per non muoversi e non fare il minimo rumore. Mai Hermione avrebbe creduto di poter assistere a qualcosa di simile fino a quel momento; mai avrebbe immaginato di essere testimone di un tale evento. Completamente sbigottita e incredula non poteva fare a meno di stupirsi sempre di più, mentre osservava le lacrime che scorrevano sul volto pallido del ragazzo.
 
E quel suono che aveva sentito prima lo riconobbe per quello che era in realtà: un singhiozzo.
 
Lui non era il tipo che avrebbe mai potuto trovare in quella condizione.
 
Lui era quello che si pensava non provasse sentimenti.
 
Eppure era lì, seduto, con la testa tra le mani e le spalle scosse leggermente dal pianto.


Draco Malfoy.


Il freddo, cinico, spietato, arrogante Draco Malfoy, come un qualsiasi essere umano, stava piangendo in religioso silenzio.
 
Solo.
 
Aveva sempre avuto uno stuolo di scagnozzi al seguito, perché adesso era nella totale solitudine? Perché con tutte le persone che lo guardavano come un dio sceso in terra, lui tra tutti aveva scelto il silenzio come compagno?
 
Solo.
 
Le spalle di Malfoy sussultarono e Hermione trattenne il respiro, spaventata all’idea che potesse aver percepito la sua presenza. Solo dopo pochi secondi si rese conto che il Serpeverde aveva ripreso a piangere in modo più forte di prima, le braccia percorse da spasmi e un lamento straziante a uscire dalla sua gola.
Talmente straziante che Hermione provò pena per Malfoy.Nonostante tutti gli insulti, le offese, le cattiverie che lui le aveva rivolto e che l’avevano portata a versare molte più lacrime di quelle che lui stava rilasciando in quel momento, provò una sincera tristezza per lui. Il suo cuore da Grifondoro, alle volte, era scomodo. Perché uno come Malfoy non si meritava niente, men che meno il suo dispiacere, non dopo tutto quello che le aveva fatto passare.
Hermione si chiese perché, uno come Draco Malfoy, avesse motivo di piangere. Era ricco, rispettato da tutti quelli della sua casa, di bell’aspetto, non c’era niente che gli mancasse. Prima che potesse pensare altro il movimento del ragazzo la spaventò. Draco allontanò le mani dal viso, scoprendo il suo volto che era devastato, stanco, sciupato.Si asciugò con le dita gli occhi lucidi e rossi, poi si mise a fissare un punto davanti a sé, immobile, tormentato da chissà quali pensieri. Hermione continuava ad osservarlo attentamente, curiosa, aveva scoperto un lato di Malfoy che probabilmente nessun altro conosceva. Sembrava strano il suo viso senza ghigni o arie di superiorità: i suoi lineamenti erano più rilassati, gli davano un aspetto meno spigoloso, meno rigido. La sua espressione sembrava un misto di rabbia e malinconia. Ma i suoi occhi… i suoi occhi cambiarono tutto.
Hermione non li aveva mai visti.
 
 
- Malfoy. – Hermione non credeva che pronunciare il suo cognome fosse tanto difficile. Quel cognome sputato da molte persone come un insulto, quella semplice parola che lei stessa in passato aveva nominato con spregio e disprezzo. – Malfoy. – ripeté la Grifondoro. – Devo parlarti.
La sua sicurezza non vacillò quando tutti i Serpeverde si voltarono a fissarla sorpresi e indignati dalla sua presenza al loro tavolo. La sua sicurezza vacillò soltanto quando due lame d’argento la trafissero come pugnali.
 
 
Quante volte Hermione aveva osservato quegli occhi e si era stupita per la loro innaturale freddezza? Quante volte Hermione si era meravigliata della cattiveria che aveva visto aleggiare sul fondo di quel grigio così intenso?
Tante.
Troppe.
 
Eppure fu in quel momento che la ragazza vide il vero Draco.
 
Non il furetto, non un Purosangue, non il borioso, arrogante, insopportabile Serpeverde che le faceva ribollire il sangue nelle vene non appena apriva bocca riempiendosi di insulti e cattiverie nei suoi confronti.
Niente di tutto questo.
Vide solo un ragazzo.
 
Draco. Non Malfoy.
 
E vide quegli occhi, impregnati di una sofferenza così profonda da farle credere di poterla toccare. Non credeva che Malfoy potesse avere uno sguardo tanto espressivo, tormentato, disperato. Hermione percepì un brivido percorrerle la spina dorsale, la mente improvvisamente svuotata da qualsiasi pensiero. Sapeva di non dover essere lì, aveva la chiara percezione di quanto la sua presenza fosse inopportuna in quel momento, stava violando la sua sfera personale senza averne il diritto. Eppure non riusciva a distogliere lo sguardo da quel ragazzo che le sembrava di non aver mai conosciuto, celato chissà dove.
 
Dietro una maschera.
 
Draco. Non Malfoy.
 
Si accostò ancora di più alla porta del bagno, nello spasmodico bisogno di vederlo di più, conoscerlo di più. Emise un singulto quando avvertì il piede sinistro perdere l’equilibrio e il suo naso andare a sbattere contro il paravento. Cercò di aggrapparsi alla maniglia per non cadere, senza riuscirci. In quei cinque secondi che intercorsero tra il colpo al naso e la sua caduta a terra ebbe la chiara percezione di quello che sarebbe successo di lì a poco.
Cadde a terra in un tonfo sordo e deglutì pesantemente, mentre il cuore prendeva a batterle furiosamente nel petto. Quando rialzò gli occhi vide lo sguardo di Malfoy fisso su di sè.
 
- Cos’hai detto, Mezzosangue?
Le lame d’argento, più affilate che mai, la lacerarono da dentro. Malfoy la fissò disgustato e con un disprezzo palpabile nell’aria.
 
Malfoy. Non Draco.
 
- Non chiamarmi così. – ringhiò, cercando poi di darsi una calmata per non mettersi a litigare. – Devo parlarti, Malfoy. – probabilmente se gli sguardi avessero potuto uccidere, Hermione sarebbe rimasta incenerita da quello sguardo rovente che il ragazzo le stava rivolgendo.
- Non m’importa di ciò che ti passa per la testa, non sono qui per assecondare le tue disfunzioni cerebrali. Ora vattene!
- Non credo proprio, Malfoy! E, comunque, nessuna disfunzione cerebrale, ho ancora un cervello che funziona, almeno io.
Qualche studente seduto ai tavoli vicini ridacchiò, mentre i loro sguardi si fronteggiavano. Hermione cercò di oltrepassare invano quel muro innalzato sui suoi occhi, ma le due lame d’argento rimanevano fredde e inespressive; non c’era assolutamente niente in quel grigio, non c’era nessuna di quelle emozioni che li avevano attraversati quella notte.
 
Malfoy. Non Draco.
 
- Te lo ripeto l’ultima volta. Granger, sparisci!
- E io ti ripeto che ho bisogno di parlarti, subito. Non ho intenzione di andarmene, finché non mi avrai ascoltato! – Hermione concluse l’ultima parola con il tono leggermente più alto. Improvvisamente si sentì stanchissima, colta da un giramento di testa impressionante: un insolito brivido si diffuse lungo tutta la schiena, facendola tremare completamente.
Il Serpeverde s’irritò, di fronte alla sua ostinazione, mentre uno strano mormorio si faceva strada lungo il tavolo dei Serpeverde. Probabilmente si stavano chiedendo perché una come la Granger dovesse aver bisogno di Draco Malfoy.
Non volendo dare adito a chissà quale pettegolezzo, il Serpeverde si alzò raggiungendola.
- Dimmi allora.
- Non qui. – La Grifondoro non fu sicura di aver davvero pronunciato quelle parole. La sua stessa voce le giunse lontana e Hermione sentì qualcosa crescere alla bocca dello stomaco.
Malfoy assunse l’espressione più stronza del suo repertorio.
- Cos’hai, Sanguesporco? – piegò le labbra in un ghigno, cogliendo il suo improvviso disagio. – Io non ho alcun problema a parlarne qui, davanti a tutti. – la stava provocando, non era una novità. Ma Hermione in quel momento si sentiva talmente intontita, da non riuscire a cogliere la provocazione; gli occhi le divennero lucidi, senza che neanche lei sapesse il perché.
- Malfoy smettila. – sbottò Hermione, prima che una violenta stretta allo stomaco la cogliesse impreparata. – Non sto giocando, è importante. Pensi che sarei qui davanti a tutti a litigare con te se non fosse così?
- Draco… credo che stia male. – gli sussurrò a quel punto Daphne, leggermente preoccupata e incuriosita dal comportamento della Grifondoro.
- Non so cosa potrei avere di importante da doverne parlare con una come te. Quindi per me questa discussione non esiste. – la gelò il Serpeverde, ignorando il tremolio delle mani di Hermione.
Il tono pieno di odio che fu la goccia che fece traboccare il vaso.
La ragazza senza rispondere corse via dalla Sala Grande, sotto gli sguardi increduli di quasi tutti gli studenti, mentre un moto di disgusto per quello che era appena successo le risaliva in gola. Hermione si portò una mano davanti alla bocca, precipitandosi il più velocemente possibile verso i dormitori.
Sentiva la nausea crescere ogni secondo di più.
Quando finalmente raggiunse il bagno, vomitò l’anima. Sentì le gambe cederle e si ritrovò seduta sul pavimento freddo. Il tremore non accennava ad andarsene, Hermione si portò una mano alla fronte madida di sudore. Cercò di regolarizzare il respiro, inutilmente.
E per la prima volta Hermione provò rimpianto per quello che aveva visto quella sera di un anno fa. Si pentì di quell’istante.
 
 
Bastò un singolo istante. Un singolo attimo in cui gli occhi di Malfoy incontrarono quelli di Hermione, trafiggendola come la più impietosa delle lame: spalancati, enormi, increduli di vedere lei lì. Ancora vulnerabili, ancora aperti in una muta richiesta di aiuto, un singolo attimo prima che Draco recuperasse la sua maschera di freddezza e arroganza e quegli occhi tornassero inespressivi come non mai.
Ma fu troppo tardi.
 
Perché ormai Hermione lo aveva visto.
 
Lo aveva visto in quell’istante il vero Draco, la persona celata dietro quel cognome altezzoso, arrogante, crudele. La ragazza provò qualcosa di simile all’affetto, senza sapere neanche lei da cosa fosse scaturito. Distratta però da questa nuovo sentimento che sentiva crescere nel cuore, non riuscì ad accorgersi dello scatto del Serpeverde e in un attimo si ritrovò sbattuta contro il muro, mentre le mani di Draco stringevano con violenza i suoi polsi.
Hermione non poté fare a meno di sussultare di paura sotto i suoi occhi di ghiaccio, che la fissavano con un odio smisurato.
 
Malfoy. Non Draco.
 
Il suo cuore sembrava volerle uscire dal petto, tanto correva veloce.
- Mi spiavi, Mezzosangue? – sibilò con odio a due spanne dal suo viso. Hermione ingoiò saliva, o quello che ne rimaneva, aveva la bocca completamente asciutta.
Poiché la Grifondoro non rispondeva Draco le serrò i polsi in una sola mano con una presa ferrea e con l’altra mano libera le afferrò il mento violentemente.
- Prova solo a farne parola con qualcuno… prova solo a raccontare a qualcuno quello che hai visto e, giuro su Salazar, che ti uccido, sudicia Sanguesporco. – si allontanò lentamente e gli lanciò un’ultima occhiata, come per assicurarsi che avesse capito.
 
Un‘occhiata così gelida che il ghiaccio sarebbe sembrato caldo al confronto.
 
Hermione si massaggiò i polsi, segnati di rosso e lo guardò andare via, spaventata. Se ne andò semplicemente così, confondendosi col buio e portando via i suoi occhi crudeli.
 
Gli occhi di Malfoy. Non di Draco.
 
Fu da quel giorno che anche Hermione cominciò a portare una maschera.
Quella maschera che era portatrice di quel segreto pericoloso, quella maschera sotto la quale, inconsapevolmente a tutto e a tutti, quel moto di affetto che aveva provato guardando Draco, si alimentava ogni giorno di più.
 
Quella maschera che gelosamente racchiudeva quell’istante.
 
 
L’istante occupa uno spazio stretto tra speranza e rimpianto: è lo spazio della vita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 









 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
Volete uccidermi vero? Probabilmente ho deluso tantissime persone con questo capitolo orribile, mi dispiace tanto! In questo capitolo tecnicamente Hermione avrebbe dovuto rivelare la sua gravidanza, ma ho come sentito il bisogno di narrare perché lei si sia innamorata di Draco, da cosa fosse nato questo amore, quando invece prima lo odiava. Sapevo che non avevo ancora chiarito alla perfezione il fatto di come si fosse innamorata di lui e non so perché mi è venuto da metterlo in questo capitolo! E' stato "necessario" per me, necessario da scrivere, necessario far sapere anche a voi come erano andate le cose.....
Lo so che invece volevate che Hermione dicesse la verità, però…..
Hei! Posate quei forconi! No, no, no, sono troppo giovane per morireeeeeee!!!!! Aiuto!
Lo so: Ho deluso molte persone con questo cap, sono già pronta alle bandiere arancionissime che invaderanno il mio account ù.ù
A mia discolpa posso dire però che sono reduce di una settimana infernale: tra greco, latino e tutte le altre materie non so più dove sbattere la testa. Ho avuto tre compiti scritti, più una decina di interrogazioni, questo per dirvi di non meravigliarvi se troverete qualche Orrore grammaticale in questo capitolo, sono talmente fusa che non me ne sono accorta rileggendolo. Ultimamente sono anche perseguitata dagli incubi! Avete presente in Harry Potter e l’ordine della Fenice, la scena in cui si affrontano Silente e Voldemort? Ecco, io ho sognato più o meno una cosa del genere, soltanto che stavolta i due combattenti erano Silente e Cicerone (devo smetterla di studiare latino di sera). Silente attaccava con la magia e Cicerone si difendeva con le sue orazioni e le sue famose frasi: “io mi oppongo”… -.-” Indovinate un po’ chi ha vinto?
Cicerone ovviamente, è il mio incubo personale da tre anni… lasciamo perdere i miei problemi mentali, non voglio contagiarvi xD
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite/le preferite/le ricordate o anche a chi ha solo dato una sbirciata! Ma soprattutto ringrazio le dolci meraviglie che hanno recensito lo scorso capitolo: elisadi80, Harry Potterish, la_marty, MadamaBumb, Lady Johanna, sophia5, EmWeasley, jenny95k, Black_Yumi, sunbliss, mikilily, Ginevra James. 12! È il numero massimo di recensioni che abbia mai raggiunto! Siete state gentilissime a recensire, davvero ho le lacrime agli occhi per la gioia ^^ Spero di aggiornare il prima possibile, ho un mucchio di idee che mi frullano in testa, e vi avviso subito che da questo capitolo in poi, le cose si vivacizzeranno! Presto, mooooltoo presto, ci sarà una bella sorpresa! xD
Ok, ora smetto di delirare e mi ritiro!
Al prossimo capitolo fantastici lettori!
La vostra pazza,
flors99
 

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Capitolo 7
*** Enough For Both ***


 

Hermione si raggomitolò su se stessa, tremando e respirando irregolarmente. Si strinse le ginocchia tra le braccia, seppellendovi poi la testa e aspettando che quella sensazione nauseante si esaurisse.
 
Il disgusto negli occhi di lui.
 
Qualcosa dentro di lei andò in pezzi, come una bolla di vetro scagliata senza la minima cura contro una parete di ruvida pietra.
 
Il disgusto per lei.
 
Per un attimo il fiato le mancò e sentì l'aspro e disgustoso sapore della bile premerle in fondo alla gola facendola sussultare e trattenere a stento un altro conato di vomito. Si chiuse a riccio ancora di più, tentando di proteggersi da quel dolore straziante.
 
È inutile piccola Grifona…
 
Si passò le mani sugli occhi, chiudendoli, serrandoli per non vedere più niente. Per cancellare definitivamente la visione di quelle lame affilate che la ferivano, che la distruggevano.
 
Puoi impedire agli occhi di vedere… chiudendoli.
 
Hermione strinse le labbra, mordendosele violentemente per impedire a ulteriori singhiozzi di uscire; rinchiuse i suoi lamenti e il suo pianto nell’angolo più oscuro di sé, nella sua maschera.
 
Puoi impedire alla bocca di parlare… con la mente.
 
Poggiò la testa contro il muro, lo sguardo assorto e perso nelle pieghe del soffitto.
 
Ma non puoi assolutamente impedire al cuore di amare. E chi vuole lui.
 
Le faceva male, un male terribile, atroce, non aveva mai pensato di potersi sentire così: il petto le bruciava e aveva l'orrenda impressione di aver appena perduto qualcosa di veramente importante, di vitale. Boccheggiò in cerca di aria, rendendosi conto di non riuscire a respirare. Tutto intorno a lei cominciò a ruotare, una successione di volti, alcuni conosciuti, altri indefiniti, le sfrecciò dinnanzi come una veloce ruota. Si rese conto che erano solo frutto della sua immaginazione quando sbatté gli occhi lucidi e davanti a sé non trovò nessuno.
 
Sola.
 
Sola in quel silenzio di cui lei aveva sempre avuto paura. Quel silenzio che aveva il suono di un lamento, un lamento che si amalgamava così bene con il suo dolore, da provarlo sulla sua stessa pelle.
 
Il suo lamento.

Chiuse nuovamente gli occhi, abbandonandosi a quel vortice che la risucchiava.

Era così stanca.

Era così dannatamente stanca.

In meno di un secondo sprofondò nel buio più fitto.  

 


 
Un timido raggio di sole rischiarò il volto della ragazza, che dormiva beatamente avvolta nelle lenzuola bianche. Il respiro era tornato regolare e Ginny sospirò di sollievo, vedendo le sue guance cadaveriche assumere una tonalità più umana.
Sembrava un fiore.
 
Caduto, appassito, ma pur sempre bellissimo.
 
Quando notò il tremolio delle palpebre di Hermione, capì che si stava risvegliando. Non ci pensò un secondo di più e non appena i suoi occhi impastati di sonno si aprirono, si fiondò su di lei, stringendola in un abbraccio serrato.
- Merlino, Herm! – imprecò Ginny, quasi con un ringhio soffocato.
La più grande delle due ragazze impiegò qualche secondo per riprendersi da quello stritolamento. Boccheggiò confusa dalla situazione e dalla stanza in cui si trovava.
Era… in Infermeria!
- G-ginny…. – con la pochissima forza che le era rimasta, tentò di allontanarla, senza troppo successo. La rossa però, intuendo i suoi maldestri tentativi di distanziarsi, la lasciò andare non senza prima averle mandato un’occhiata accusatoria.
- Sei così debole Herm… – lo sguardo di Ginny si assottigliò sui polsi ossuti di Hermione che non avevano neppure la forza di sottrarsi ad un abbraccio.

Per colpa sua.

Lo sguardo della giovane Weasley si assottigliò ancora di più, non riuscendo a contenere l’ira generata dalla paura da cui era stata colta.
- Che è successo? Che ore sono? Devo… devo studiare oggi pomeriggio! Io… – borbottò confusamente Hermione, mentre scuoteva la matassa di riccioli guardandosi intorno freneticamente.
- Tu non vai da nessuna parte! – proferì Ginny con un tono che non ammetteva repliche. Incrociò le braccia al petto e la squadrò con sguardo critico e autoritario. – Sei in infermeria. – spiegò poi, modulando il tono di voce. – Ti abbiamo trovato svenuta, svenuta nel bagno!
Con la stessa velocità di un fulmine, una tempesta di immagini sconvolse Hermione, dopo aver udito le parole di Ginny, e ricordò tutto quanto.

ll suo volto, il suo sguardo, i suoi occhi e tutto quel dolore…

- Sto bene, Ginny… Ho avuto solo un piccolo mancamento, non devi preoccupart…
- Non una parola, Hermione. – la interruppe, con tono secco l’amica. Un tornado si agitava all’interno dei suoi occhi e non dava cenno di volersi placare. – Non mangi. – iniziò la rossa, stringendo i denti. – Non dormi. Stai male, Hermione, male! – ringhiò, con voce rabbiosa, mischiata al timore. 
- Non devi preoccuparti così tanto, Ginny. – mormorò Hermione, cercando di calmarla. – Non è poi così raro svenire quando…
- Non mi riferisco alla tua gravidanza e lo sai! – esclamò a quel punto. – Sappiamo tutte e due che non è questo il motivo perché sei così distrutta! – le urlò praticamente in faccia, incurante dell’ombra scura che attraversò gli occhi di Hermione.
- Ginny, ascolta…
- Tu non hai idea di cosa ho provato! Non hai idea di che effetto mi abbia fatto vederti lì, totalmente inerme, sul pavimento!
- …..mi….
- Mi hai fatto venire un infarto, per Merlino!
- …dispiace. – prima che Ginny potesse aggiungere qualcos’altro, Hermione si gettò su di lei e la abbracciò con tutta la forza possibile. Uno scusa flebile le uscì dalle labbra, mentre si aggrappava a lei.
- Non volevo farvi preoccupare, dico sul serio.
Ginny la osservò, una volta sciolto l’abbraccio, con uno sguardo indecifrabile; sembrava volesse dirle qualcosa, ma all’ultimo momento ci ripensò, abbassando lo sguardo e annuendo impercettibilmente.
- Harry e Ron? – chiese a quel punto Hermione.
Ginny si sforzò di sorridere.
- Si sono preoccupati da morire. – rispose. – Non hanno molto sangue freddo. – cercò di sdrammatizzare, nonostante non ci trovasse nulla di divertente.
- Allora, signorina Granger, come sta? – una voce chiara e concisa sopraggiunse alle loro orecchie.
Hermione sorrise calorosamente a Madama Chips.
- Molto meglio grazie. Ho avuto solo un capogiro, nulla di gr…
- Signorina Granger, io so della sua situazione. – rispose l’anziana signora stringendole la mano, in un gesto affettuoso e comprensivo. – Quando i suoi amici l’hanno portata qui, l’ho visitata e ho subito capito che qualcosa non andava.
Un guizzo di panico attraversò gli occhi scuri della strega, temendo che avesse potuto dire qualcosa di troppo in giro, ma Madama Chips la rassicurò.
- Ovviamente sono vincolata alla riservatezza, signorina Granger. – la rassicurò l’infermiera, mentre agitava la bacchetta e una garza bagnata si andava posizionare sulla fronte e sui polsi di Hermione. – Avrà tutta la mia discrezione, non si preoccupi di questo, è una scelta sua decidere quando e se divulgare la notizia.
Hermione esalò un sospiro di sollievo.
- Tuttavia, se posso suggerire, questo è un percorso difficile da affrontare in solitudine, consiglio di coinvolgere il più possibile il proprio partner. – A questa affermazione Madama Chips capì di aver detto qualcosa di sbagliato perché la ragazza, pur non distogliendo lo sguardo, si irrigidì come un blocco di marmo. – Non so quali problemi ci siano, ma chiunque sia il padre, merita di essere coinvolto, è un suo diritto. – detto questo l’infermiera si alzò per prendere altri unguenti medicamentosi, lasciandole sole.
- Ma quale diritto. – esplose Ginny. – Non se lo merita, è solo uno stronzo! Ho visto come ti ha trattato in Sala Grande. – ringhiò, lanciando un’altra occhiata al corpo deperito di Hermione.
- Ginny, ti prego… Non…
- D’accordo, non dirò niente se questo ti fa sentire meglio. – la interruppe, con tono secco. Non era nelle intenzioni di Ginny mettersi a litigare, ma vedere la sua migliore amica soffrire in quel modo per una persona cattiva come Draco Malfoy, le faceva ribollire il sangue nelle vene.
- Allora, qui c’è tutto quello che le serve. – le interruppe nuovamente l’anziana signora ricomparsa all'improvviso.
- Cosa sono? – chiese Hermione, vedendo i tre fascicoli che Madama Chips le porgeva.
- Le sue possibilità. Intanto deve decidere se dare alla luce il bambino o no. Inoltre se decidesse di partorire deve scegliere tra la possibilità di tenerlo o darlo in adozione.
- Grazie, davvero. – sussurrò Hermione. Non aveva mai avuto tutta questa confidenza con Madama Chips, ma l’idea di un’altra figura a cui poter fare affidamento che potesse guidarla in questo percorso a lei sconosciuto la rincuorava e non poco.
- E prima che mi dimentichi… venga al più presto per fare un’ecografia magica. È meglio per la sua salute e quella del bambino, dobbiamo cominciare a seguire la sua crescita e prendere i dovuti farmaci, nel caso ce ne sia bisogno.
- Grazie, io…
- E mangi qualcosa, per Merlino! È magra come uno stecco, lei deve nutrire due vite! – la rimbrottò, come una vecchia nonna.
- Sì, ma…
- E cerchi anche di dormire! Ha due occhiaie talmente profonde che ci potrebbero scavare una fossa!
Decisamente Madama Chips era in vena di complimenti quel pomeriggio. Ginny ridacchiò accondiscendente, ma era una risata forzata, priva di ogni ironia: non le faceva affatto piacere vedere la sua migliore amica ridotta in quello stato.
- Quando posso venire per l’ecografia? – domandò alla fine Hermione, consapevole quanto fosse inutile protestare.
- Il prima possibile. – rispose frettolosamente, mettendo a posto i vari fascicoli. – Ad esempio… domani? – propose, soppesando le sue parole.
- Sì, sì domani va bene.
- Ora su, sciò! Ho un mucchio di lavoro da fare e mi state rallentando!
Quasi le sospinse verso la porta, ed entrambe le ragazze, una volta fuori, scoppiarono a ridere allegramente per l’espressione estremamente buffa di Madama Chips. Risero in modo spontaneo, naturale, come non facevano da tempo.
 
Risero, come ben presto, non avrebbero riso più.
 
 

 
 
- Da.
Daphne Greengrass odiava Blaise Zabini. Non c’era anima viva a Hogwarts che non fosse a conoscenza di questo fatto. Lo trovava fastidioso come una puntura in un occhio, detestabile come una secchiata di acqua ghiacciata a gennaio, irritante come un facocero seduto sul proprio stomaco, insopportabile come una mosca che non si riesce a scacciare, idiota come… beh, il senso era quello.
Ma se c’era una cosa che odiava veramente, era quando Zabini usava quello stupido nomignolo per attirare la sua attenzione.
Da.
- Non. Chiamarmi. Così. – sibilò a denti stretti.
- Il tuo nome è troppo lungo! È un diminutivo! – spiegò, per nulla preoccupato dell’occhiata al limite di una pazza omicida che Daphne gli stava rivolgendo.

Idiota, stupido, facocero!

La Serpeverde digrignò i denti. Come poteva storpiare il suo bellissimo nome, con quell’orrendo Da?!
- Il mio nome è composto da sei lettere Zabini, sei! Capisco che per il tuo cervello effettivamente sei lettere siano troppe da ricordare, ma se devi usare quell’orrendo soprannome, stai zitto, così mi fai un favore! – ringhiò, mandando all’aria la poca pazienza che aveva.
- Quando ti arrabbi sei più brutta. – mormorò per tutta risposta Blaise, facendola innervosire ancora di più.
Una terza persona, intanto, spettatore della loro civile discussione, scribacchiava distrattamente. La sua mano guidava la piuma in modo armonioso e leggero sulla pergamena, con una precisione e una correttezza al limite dell’irreale.
 

Distillato della Morte Vivente
 
Alcuni degli ingredienti necessari alla sua preparazione sono le radici di valeriana e il succo di Fagiolo Sopoforoso. Allo stadio intermedio diventa di color ribes nero, ed in seguito passa al lilla chiaro; mescolandola in senso antiorario, infine, diventa definitivamente limpido come l'acqua.
 
 
- Hei, Da! Come faceva quella canzone babbana che ci ha fatto sentire Theo?
- Zabini, stai zitto! – si lamentò la ragazza, cercando qualcosa che la aiutasse a farlo tacere una volta per tutte.
- Ah! Lo so! Oh, sale mio…. – cominciò a intonare, più stonato di cento cornacchie messe insieme.
- Non è sale, ma sole, ignorante! – replicò a quel punto Daphne, tappandosi le orecchie per sfuggire a quella tortura.
 
 
Pozione della Caverna
 
E' un liquido color smeraldo che emana una luce fluorescente; non può essere penetrata da una mano, né Svanita, né separata, né raccolta o risucchiata, né Trasfigurata, né tantomeno Incantata: può essere solo bevuta. La persona che la assume cade in uno stato di estremo tormento mentale e dolore fisico, come se venisse torturata.
  
 
- Lo so benissimo che sarebbe sole, ma io gli ho dato il mio tocco personale! Quindi adesso zitta e ascoltami, tesoro…Oh, sale mio… mi condisci tu…
 
 
Pozione Restringente
 
Ingredienti: Bruchi, radici di margherita, succo di sanguisuga, milza di ratto, sale...

 
 
 
Draco allontanò immediatamente la piuma dalla pergamena. Sale? Sale?!
Volse uno sguardo omicida all’indirizzo del suo migliore amico, con l’intento di cruciarlo seduta stante, se non avesse smesso di cantare a squarciagola quella stupida canzone.
- Blaise…
Oh sale mio… – aveva riattaccato a cantare il ritornello.
- Blaise…
Mi condisci tu…
- Blaise…
E poi ti mangio insieme all’olioooo… – prolungò la “o” in un acuto straziante, che portò Daphne a recuperare un cuscino e a coprirsi le orecchie per riuscire a sopravvivere.
- BLAISE ZABINI, STO CERCANDO DI STUDIARE!
Come se l’avesse sentito solo in quel momento l’amico si voltò verso Draco, inclinando la testa di lato.
- Tranquillo Draco, non mi disturbi!
 
 


 
Nella Sala Comune dei Grifondoro, una criniera di riccioli biondi si diresse a passo di marcia verso la stanza di Hermione.
- Granger, la McGranitt mi ha dato delle cose per… - Lavanda spalancò la porta della camera senza alcuna grazia o educazione e si fermò di colpo quando si accorse che era vuota. Sbuffò, inarcando un sopracciglio, seccata come non mai da quell’inconveniente. Già che si era ritrovata a fare da facchino alla Granger, quando poi si rese conto che quel viaggio era stato praticamente inutile, si irritò ancora di più. Gettò di malagrazia le pergamene sulla scrivania vicina alla finestra, senza domandarsi se quello fosse o meno il posto giusto.
 
Ho già fatto anche troppo, si disse.
 
Piegò le labbra in una smorfia, mentre soffermava lo sguardo sull’arredamento della stanza. Non ricordava di aver visto la stanza della Granger prima di allora, ma era esattamente come se la immaginava. Innaturalmente e irreprensibilmente… perfetta.
 
Come lei.
 
I libri di ogni materia erano perfettamente ordinati addirittura secondo gradazione cromatica, partendo dal più chiaro fino ad arrivare al più scuro, tutti perfettamente foderati e in ottimo stato. Sugli scaffali più alti in ordine di grandezza vi erano posizionati altri oggetti che Lavanda ipotizzò essere cose babbane, dato che non le aveva mai viste prima di allora. La scrivania sembrava essere stata scolpita per la simmetricità incredibile in cui ulteriori libri e piume vi erano stati sistemati.
 
A parte per le pergamene che ci aveva lanciato sopra poco prima.
 
Lavanda sorrise impercettibilmente, fiera di essere riuscita a rovinare in qualche modo tutta quella perfezione che le faceva venire il voltastomaco. Stava per andarsene quando i suoi occhi si poggiarono su un punto ben definito. Al di sotto del cumulo di pergamene, posizionata sulla scrivania c’era una foto che ritraeva Hermione, Ron e Harry abbracciati. Lavanda l’afferrò di scatto, osservando l’immagine che si muoveva al di sotto delle sue dita: il Bambino Sopravvissuto era l’unico a guardare verso l’obbiettivo, Hermione era invece scoppiata in una risata fragorosa e nascondeva il viso dietro la sua grossa sciarpa. E Ron…
Ron guardava Hermione.
 
Ron aveva sempre guardato Hermione.
 
Lavanda digrignò i denti, mentre un moto di disgusto le risaliva in gola. Riposizionò la foto al suo posto e afferrò uno dei rotoli di pergamena da lei lanciati poco prima e lo scagliò contro la parte opposta della stanza.
- Ti odio, Granger! – gridò improvvisamente al vuoto, mentre i suoi occhi si facevano lucidi. – Ti odio, tu e la tua perfezione! – continuò, la sua voce accompagnata dal fracasso degli oggetti che aveva fatto rovesciare.
La Grifondoro strinse le labbra, pentendosi di quello sfogo e guardando velocemente al di fuori della stanza che nessuno l’avesse udita. Si affrettò a risistemare il casino che aveva combinato, raccolse il beauty case che aveva fatto cadere e prese uno ad uno gli oggetti che si stavano disseminando per la stanza.
 
Spazzolino, dentifricio, cotone, creme e… oh e questo cos’è? Ah, “cotton fioc” si chiama. Cerotti, garze, spazzola… e questo?
 
Per poco a Lavanda non cadde l’oggetto di mano. Soffocò un gridolino di sorpresa, sbattendo gli occhi incredula, mentre tutta quella perfezione che aleggiava nella stanza e che tanto la nauseava sembrò improvvisamente sparire.
 
Piegò le labbra in un ghigno.
 


 
Dopo aver passato l’intera mattina a tranquillizzare i suoi migliori amici – Sì, Harry, sto bene. No,  Ron, non ho le mie cose. No, non ho nessuna malattia infettiva. Sì, mangio abbastanza. – Hermione nel pomeriggio si diresse verso l’infermeria, accompagnata da Ginny. La rossa aveva tentennato un po’, incerta se potesse venire o meno, ma alla fine aveva ceduto allo sguardo supplicante di Hermione.
- Ha fatto bene a portare qualcuno. – l’accolse Madama Chips, sorridendole. – Questi momenti non si dimenticano.
Ed era vero.
Perché Hermione non dimenticò mai quel momento. Conservò ogni più piccolo dettaglio nella mente, ogni singolo gesto o emozione: la mano di Ginny stretta nella sua, lo sguardo concentrato e un po’ commosso di Madama Chips, i colori e i suoni intorno a lei.
- È bellissimo. – sussurrò poi Hermione fissando lo schermo, con la voce rotta dall’emozione, nonostante non si capisse quasi nulla da quelle macchie nere e bianche.
Ma tra quelle macchie c’era suo figlio. Il suo bambino.
 
- Lo vuoi tenere?
- Sì.
 
Hermione non aveva avuto esitazioni a rispondere alla domanda di Ginny. Non ne avrebbe avute neanche adesso.
 
- Perché?
- Non sono una codarda Ginny. Non scapperò.
- Vuoi dirmi che lo fai solo per orgoglio?
 
No. L’orgoglio non c’entrava niente e lo sapevano entrambe.
E soprattutto in quel momento Hermione fu più che sicura che non avrebbe mai, mai potuto sbarazzarsi di quella piccola creatura che cresceva con lei. In lei.
 
Dentro di lei.
 
Il suo cuore esplose in una serie di emozioni indefinite, così forti che la ragazza non avrebbe saputo descriverle.
 
Madre.
 
Nonostante ci avesse pensato ogni giorno nelle settimane precedenti, non si era considerata una madre. Non si sentiva pronta.
 
E forse, non lo sarebbe mai stata, come tutte le altre madri.
 
Non era pronta per un passo del genere. Non era pronta a rinunciare alla sua giovinezza.
 
Ma era pronta ad amare.
 
E avrebbe amato, come già stava facendo, suo figlio nel modo più assoluto possibile. Si sarebbe aggrappata a lui.
 
Hermione gli avrebbe dato la vita e suo figlio l’avrebbe fatta rinascere.
 
Ma quel momento perfetto era oscurato da una sofferenza che costantemente continuava a bussare nella mente di Hermione. Perché per quanto tenesse a Ginny lei agognava ad un’altra mano stretta nella sua, agognava a un altro tipo di calore, a un altro paio di occhi.
Anche se in quell’istante, con gli occhi puntati sullo schermo, scoprì che non le importava.
Non le importava che Draco non l’amasse, non provasse niente di ciò che provava lei.

Non le importava.

Se lui non poteva amarla, allora non avrebbe dovuto.
Ci avrebbe pensato lei.
 
Lei lo avrebbe amato abbastanza per entrambi.
 
 
 
























 
 
 
 


 
Angolo Autrice
Ben arrivati a tutti!!! mi ri-scuso per il mio ritardo con cui ho postato il capitolo, ma vi assicuro che appena ho recuperato l’uso delle dita ho scritto il capitolo di getto. Il problema è che non ero molto sicura di postarlo, ogni volta ricancellavo e riscrivevo più volte una stessa frase. Questo spiega il mio ritardo.
In ogni caso, passiamo al capitolo!
Spero che vi sia piaciuto e ringrazio tantissimo tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite/le preferite/le ricordate, davvero siete in moltissimi a seguire la mia storia e io non trovo parola migliore per esprimervi la mia gratitudine.
Ma un GRAZIE veramente speciale va a quei dolcissimi raggi di sole, che mi hanno illuminato la giornata con le loro recensioni: LUNAPOP, Black_Yumi, Harry Potterish, MouMollelingua, Reb and Jude, MadamaBumb, sophia5, jenny95k, Ginevra James, EmWeasley, katekate01, Stella94 e elisadi80. Leggere le vostre recensioni è un onore per me, ogni vostra singola parola mi riempie. Leggere i vostri commenti, le vostre impressioni è la cosa più bella di tutte!! :D
Detto questo passo e chiudo. Vi ho già annoiato abbastanza ^_____^
Al prossimo capitolo, fantastici lettori!!!!!!!!!!

flors99

 

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Capitolo 8
*** Choices ***


Ecco arrivato il coniglio pasquale, con un capitolo come regalo!!! ^^ Metto tutti i commenti in fondo, a parte una dedica particolare che ho deciso di inserire in cima.
 
A Betti,
perché avrei voluto vederla un’ultima volta,
prima che se ne andasse
e per la quale avrei voluto fare di più.
Ti voglio bene. Spero non sia troppo tardi per dirlo.
 
 
 
 


Novembre arrivò rapido e glaciale insieme al gelo: il freddo allungava le sue mani sui giardini ormai secchi di Hogwarts e sulle piante spoglie delle loro meravigliose foglie. Tra i corridoi andava espandendosi l’alito del vento ghiacciato, annunciatore della fine definitiva del caldo e dell’estate. Se già ottobre si era dimostrato ostile e alquanto impervio, l’entrata in scena di suo fratello non fu certo da meno. Mancavano ancora due settimane all’inizio di dicembre ma, incredibilmente, candidi fiocchi di un bianco accecante stavano già cadendo dal cielo plumbeo posandosi soffici sui terreni aridi e ghiacciati della scuola. In lontananza si udiva, di quando in quando, lo sciabordio delle acque del Lago Nero e persino il Platano Picchiatore, implacabile sterminatore di piccoli passerotti e insetti, se ne stava pigramente immobile a proteggere quella che pochi sapevano essere l’entrata segreta della Stamberga Strillante.
Osservando quel tetro quanto patetico paesaggio, Draco Malfoy provò uno strano senso di malinconia, mischiata a tristezza.
- Tutto bene?
Fosse stata un’altra persona, il ragazzo l’avrebbe scacciata in malo modo, ma al tono dolce dell’amica costrinse le labbra a incresparsi in una specie di sorriso.
- Sì, Daphne. – il suo tono non l’aveva per niente convinta, non a giudicare dalla smorfia contrariata labbra della ragazza, che però non aggiunse altro.
Conosceva Draco abbastanza bene da capire quando non avesse voglia di parlare o intrattenere una conversazione: quello era decisamente uno di quei momenti. Sapeva che le aveva mentito e che qualcosa lo turbava, ma era altrettanto consapevole che se lo avesse tartassato di domande avrebbe solo peggiorato la situazione. Con Draco era importante riuscire sempre a calibrare ciò che chiedeva e soprattutto, il modo in cui lo chiedeva: un solo passo falso ed è pronto a chiudere fuori chiunque.
Per questo Daphne rimase in silenzio a fissarlo, aspettando che fosse lui a confidarsi, senza forzarlo troppo.
- Sono solo stanco. – rispose infine il ragazzo più seccato di quanto avesse voluto. – Tutta colpa di Blaise e delle sue canzoni, ha passato tutta la notte a cantare squarciagola.
La risata di Daphne ebbe il potere di scacciare un po’ il suo malumore.
- E cosa ti aspettavi da Blaise? – gli chiese la ragazza sempre ridendo e prendendo la sua borsa di libri.
Draco emise una flebile risata.
- La verità… è che sono un po’ pensieroso in questo periodo. – confessò, dopo qualche secondo. – Però non sono sicuro di volerne parlare adesso.
- Quando vorrai. – fu la semplice risposta di Daphne. Non aggiunse altro, non fece altre domande inopportune, sapeva che non avrebbe potuto ottenere altro da lui quel giorno. Le interessava semplicemente che stesse bene.
Draco scrutò i suoi occhi verdi e rilassò le spalle impercettibilmente, come se fino a quel momento avesse trattenuto il respiro.
Daphne lo precedette per andare in Sala Grande, fermandosi poi in mezzo al corridoio, quando notò che Draco non la seguiva.
- Andiamo?
Il ragazzo annuì nella sua direzione e le andò incontro.
Era strano il loro rapporto.
Draco non poteva certo negare che fosse una bellissima ragazza e che in passato non ci avesse fatto un pensiero, ma tra loro non c’era mai stato niente, sennonché una fragile amicizia che pian piano si era rafforzata. Daphne Greengrass era, per Draco, ciò che Hermione Granger era per Harry Potter. Molto meno inclini a gesti d’affetto – erano pur sempre Serpeverde e avevano una reputazione da difendere – ma non per questo meno legati. Semplicemente si volevano bene, di un affetto sincero e disinteressato.
Draco la superò e le scompigliò i capelli dorati. Aveva strani modi di dimostrare il suo affetto; scompigliarle i capelli e farla incazzare per quel gesto, beh… era uno di quelli.
Chissà se qualcuno, a parte Daphne e Blaise, avrebbe mai visto Draco per quello che era veramente.
 
Le maschere sono pericolose: è difficile staccarsele di dosso.
 
Troppi anni passati a fingere, troppi anni impiegati a nascondere le sue emozioni, a esternarle da se stesso, come se non lo riguardassero.
 
Forse nessuno avrebbe visto sotto la sua maschera.
 
Lui, per tutti sarebbe sempre stato solo e soltanto il freddo, insensibile Draco Malfoy.
 
Freddo e gelido, proprio come quell’inverno.
 
 


 
- Studenti e studentesse di Hogwarts! Un attimo di silenzio, per favore. – nella Sala Grande il brusio di voci si acquietò all’annuncio della McGranitt, che si spostò per far spazio al preside.
- Volevo darvi una buona notizia, ragazzi! – il tono serio, ma allo stesso tempo dolce di Albus Silente catturò l’attenzione di tutti i presenti, persino i più chiacchieroni che smisero di far rumore e prestarono ascolto alle parole del vecchio mago.
- Abbiamo deciso di organizzare una festa per Natale! So che molti di voi probabilmente vorranno tornare a casa per le vacanze, per questo abbiamo pensato di festeggiare leggermente in anticipo, per la Vigilia. Ovviamente se non siete interessati, noi annulleremo tutto e... – prima che il preside finisse di parlare, gli studenti applaudirono felici per quella notizia inaspettata. Tutti rumoreggiavano, soprattutto le ragazze parlottavano tra loro sul fatto di dover andare il prima possibile a Hogsmeade per comprare un nuovo vestito.
- Sì… direi che sono d’accordo. – sussurrò la McGranitt ad Albus, sorridendo teneramente a tutti gli studenti. Il preside le sorrise di rimando, prima di parlare ancora per calmare quei ragazzini impazziti.
- Silenzio! La festa comincerà alle nove e voglio che tutti gli studenti che del primo anno fino al quarto, siano nei loro dormitori entro mezzanotte. Per i più grandi faremo uno strappo alla regola e vi concederemo di restare fino all’una e mezza, ovviamente sempre sotto la supervisione dei doventi.
A questo annuncio si levò sia un urlo di approvazione, sia uno di lamento. I più piccoli non erano contenti di essere esclusi dall’ultima parte della festa, che, sapevano, sarebbe stata la più trasgressiva.
- Oddio! Mancano meno di due mesi! Non ho niente da mettermi!
- Ma se hai un armadio pieno di vestiti! – Pansy spalancò gli occhi all’affermazione di Daphne.
- Co… Merlino, vuoi dire che io dovrei mettermi un vestito che ho già usato? – esclamò sconcertata, guardando la bionda Serpeverde come se avesse detto chissà quale bestemmia.
- Beh sai… non è che per ogni volta che esci, tu devi comprar…
- Certo che sì! Io non indosso mai gli stessi abiti due volte!
Daphne la guardò inarcando un sopracciglio, constatando quanto fosse realmente frivola l’amica.
- Lasciala perdere, Da. Lo sai com’è fatta Pansy, no? – borbottò Blaise, affondando i denti in un morbido pezzo di dolce.
L’unica cosa che Daphne condivideva con Blaise era l’intolleranza per la leggerezza di Pansy. Eppure entrambi sopportavano di buon grado la sua presenza, perché Pansy, nonostante la sua superficialità, sapeva essere molto sensibile, cosa che non si sarebbe mai detta a prima vista: contrariamente alle aspettative, la mora molto spesso si era rivelata essere davvero una buona amica.
La Serpeverde in questione, che non amava che si parlasse di lei come se non ci fosse, guardò irritata Blaise.
- No. Dimmelo un po’, come sono fatta?
- Oddio, no. – borbottò Daphne, memore della litigata di due ore e mezza che avevano intrapreso Pansy e Blaise poco prima.
- Blaise, Pansy, se vi azzardate a discutere un’altra volta vi cavo gli occhi. Non scherzo. – fu la non tanto velata minaccia di Draco, anche lui memore dell’emicrania che gli avevano fatto venire i suoi compagni di casa.
Blaise rispose con un annoiato d’accordo, nello stesso momento in cui Pansy disse:
- Certo, Draco!
- Mhm. – il biondino rispose con una smorfia. Non aveva mai sopportato granché gli occhi adoranti e le occhiate languide di Pansy; da parte sua, le aveva fin da subito fatto capire che quelle attenzioni non erano – e non sarebbero state – corrisposte, ma la Serpeverde non era rimasta troppo male per il suo rifiuto. Sperava solo che prima o poi Draco si accorgesse di lei: lo stesso desiderio di gran parte delle studentesse di Hogwarts.
- Dimmi un po’ Draco… – mormorò Blaise ad un certo punto, incuriosito. – ...perché guardi così male il tavolo dei Grifondoro?
 
 


  
Ci sono vari modi in cui una persona può reagire durante la gravidanza: l'unico modo che Ginny conosceva era il peggioramento della futura neo-mamma. Non che avesse avuto molte esperienze in merito, anzi, Hermione era la sua unica esperienza in merito, però credeva di aver visto ormai tutto il possibile, visto il periodo difficilissimo e assolutamente non piacevole che aveva attraversato. Aveva visto il corpo di Hermione affaticarsi sempre di più, aveva perso il conto delle volte che le aveva sorretto la testa mentre vomitava in preda alla nausea o di quante volte le avesse dovuto applicare garze e creme medicamentose quando le comparivano dolori alle articolazioni e alle ossa. Per non parlare poi del suo umore completamente schiavo della tempesta ormonale che la stava attraversando.
In quel momento però la piccola di casa Weasley dovette ritrattare tutto quello che pensava sulla gravidanza: si rese conto di non aver mai visto Hermione tanto bella. Da quel giorno in cui aveva fatto l’ecografia era cambiata radicalmente.
Era passato un altro mese. Quante cose possono cambiare in un così breve periodo? In un mese Hermione si era annullata.
 
E in un mese era rinata.
 
Era ormai al terzo mese e la gravidanza sembrava averle giovato come non mai, contrariamente a quello che Ginny aveva sempre pensato. A Hermione, infatti, sembrava essere accaduto un miracolo: i suoi occhi erano tornati quelli di un tempo, pieni di energia e determinazione, aveva ripreso peso e colore, le sue gote prive scavate e smunte erano ora rosee e piene, i suoi capelli, per quanto scarmigliati e indomabili, erano più folti e lucidi e la sua pelle più luminosa. Tutto in lei emanava una luce nuova, una luce che si era accesa nell'esatto momento in cui aveva visto il suo bambino all'interno dello schermo. Sprizzava una gioia incontrollata da tutti i pori e il suo sorriso non avrebbe potuto essere più radioso. Aveva riacquistato la sua vecchia vitalità, anzi, forse più di prima.
Eppure Ginny di tanto in tanto riusciva a vedere ancora quel senso di tristezza, che perpetrava negli occhi di Hermione: qualcosa che non se ne andava mai, ma restava lì, imperturbato, sospeso nei suoi occhi e nel suo cuore, che la tormentava continuamente con la sua presenza. Ogni giorno e ogni notte, non se ne andava mai. Per quanto lei cercasse di nasconderlo, per quanto la felicità superasse il dolore, quell’ombra scura era sempre presente.
Ginny spostò gli occhi in direzione del tavolo dei Serpeverde e intercettò lo sguardo di Draco Malfoy.

Mostro, sibilò con le labbra.
 
Mostro.
 
Continuò a ripetere questa parola nella sua mente: per Ginny, Draco Malfoy era, e sarebbe rimasto, un mostro.
 
Aveva fatto a pezzi una delle persone più importanti della sua vita. E neanche se ne era reso conto.
 
Per quanto si sforzasse, Ginny non riusciva proprio a capire cosa Hermione avesse visto in lui. Cosa fosse riuscita a scorgere dietro quelle lame affilate, pronte a ferire chiunque.
 
Cosa fosse riuscita a vedere sotto la maschera.
 
- È solo una maschera, lui non è così. – Hermione le sussurrava sempre quelle parole, ogni volta che inequivocabilmente il discorso verteva sul Serpeverde. Tutte le volte che le pronunciava la Caposcuola non sembrava rendersi conto di ciò che diceva; erano parole confuse, perse dietro a un ricordo ormai passato.
Inizialmente Ginny non aveva capito a cosa si riferisse e aveva provato a chiederglielo. Più di una volta a dir la verità. E ogni volta non aveva capito. Quando poneva quella domanda, Hermione la guardava con gli occhi colmi da qualcosa d’indefinito, troppo profondo per poter essere sradicato.
Bisogna stare attenti a chi fingiamo di essere. Possiamo dimenticarci chi siamo veramente. – rispondeva sempre così, senza dare altre spiegazioni.
Dopo un po’ di tempo Ginny aveva rinunciato a comprendere.
 
 


 
Draco aggrottò le sopracciglia, chiedendosi perché Ginny Weasley l'avesse guardato come se avesse voluto squartarlo vivo. Che diamine voleva quella stupida Piattola?
- Devo avere un motivo per guardare male quei plebei? – rispose alla domanda di Blaise, saettando gli occhi verso di lui.
- No... immagino di no. – concesse l'amico, continuando a mangiare il suo dolce. – Eri semplicemente inquietante. La Piovra Gigante non reggerebbe il confronto. – spiegò, scrollando le spalle.
Eh, sì... Blaise Zabini era particolarmente famoso per la sua brutale sincerità e – ovviamente – per la sua totale mancanza di tatto.
- Mi stai paragonando alla Piovra Gigante? – chiese Draco, indeciso se arrabbiarsi per quell'offesa, più o meno, velata.
- Certo che no! Non ti ho paragonato alla Piovra Gigante. – si giustificò l’amico, noncurante del suo nervosismo. – Ho detto che tu sei molto peggio. – chiarì, con espressione solenne.
A giudicare dall'occhiataccia di Draco, Blaise ritenne decisamente più saggio cambiare discorso. Si schiarì la voce, facendo finta di nulla.
- Avete visto Hermione, ragazzi? – chiese, passando a tutt'altro argomento, e guardando il tavolo dei Grifondoro. – Sembra così… colorata!
- Colorata? Ma che aggettivo è? – domandò Daphne storcendo il naso, non sapendo bene se essere più insospettita dal fatto che Blaise avesse chiamato la Mezzosangue per nome o dal fatto che l'avesse presa in considerazione, una Mezzosangue.
- Merlino, Daphne, era un modo per dire che era più… colorata! Insomma… perché devo sempre spiegarti tutto? – il Serpeverde alzò gli occhi al soffitto, come se avesse avuto a che fare con un caso perso, al che Daphne lo fulminò con uno sguardo assassino.
- Da quando la chiami per nome, Blaise? – intervenne Pansy, alla quale non era sfuggito quel particolare.
- Qualche settimana fa l’ho incontrata in biblioteca. – cominciò a spiegare, ignorando palesemente l'istinto omicida che Daphne stava covando nei suoi confronti. – Avevamo bisogno dello stesso libro e abbiamo finito per usarlo insieme. Ci ho parlato un po’ e non è antipatica. – concluse, scrollando le spalle.
- Per Salazar, Blaise… – lo criticò Pansy. – ... Certo che davvero a te basta che respirino per piacerti, eh! –  commentò aspramente.
- Oh, ma che vuoi? Sarò libero di esprimere il mio parere? – replicò indispettito.
- Hai dimenticato tutte le volte che la Granger ha tolto punti alla nostra casa?! – saltò su Pansy. Aveva perso il conto delle volte in cui per una piccola, illegale e non-tanto-innocente festicciola erano stati puniti da Miss Perfettina.
- Ragazzi, finitela di discutere su una cosa così inutile. – li bloccò Daphne, mentre in quel momento un pensiero l’attraversava. Si avvicinò a Draco, stranamente rigiro quanto un blocco di marmo e gli sfiorò la mano.
- Draco ehi… Mi ricordo che l’ultima volta non sembrava stesse tanto bene. – rifletté la ragazza. – Ma poi che voleva da te? – domandò, ricordandosi che la Granger gli aveva detto di voler parlare con lui, per poi scappare dalla Sala Grande sotto lo sguardo di tutti.
La domanda di Daphne cadde nel vuoto e non trovò risposta. Strinse le labbra confusa quando vide l’espressione furente del ragazzo. Gli occhi erano più freddi che mai, le mani contratte in un pugno, il corpo e i muscoli completamente tesi.
- Tutto bene, Draco? – lo richiamò Blaise, che non aveva tardato ad accorgersi del suo stato d’animo.
Solo dopo un tempo indefinito il biondo Serpeverde si decise a spostare lo sguardo su di loro. Sembrava aver riacquistato il controllo, ma a nessuno erano sfuggite le sue emozioni.
- Non nominatela mai più. – con uno scatto Draco si alzò per dirigersi fuori dalla Sala Grande, sotto gli sguardi sbigottiti di Blaise e Pansy e quello dubbioso di Daphne.
 
 


  
Una mano gentile si posò sulla spalla della rossa, che, spaventata da quel contatto, emise un verso stridulo non riuscendo a trattenersi.
- Oh, scusami.
Il cuore di Ginny, già frenetico per la paura, galoppò ancora di più quando vide Harry davanti a lei. Arrossì, come una bambina, mentre si dava mentalmente della stupida per la sua reazione esagerata.
Ma d’altronde sapeva sarebbero potuti passare cento, mille anni.
 
Il suo cuore avrebbe battuto per lui, ogni volta come se fosse la prima.
 
- Stai bene? – le chiese apprensivo Harry, vedendo che non rispondeva.
- Sì, sì… mi hai spaventata. – abbozzò un sorriso a cui il ragazzo sembrò credere. Si sedette accanto a lei, cercando con lo sguardo qualcosa da mangiare, mentre Ginny ridacchiava.
- Di nuovo in ritardo, eh?
- Già. – bofonchiò Harry, mettendosi in bocca un pezzo di pane. – Mi hanno trattenuto per parlare di schemi di Quidditch.
- Lo immaginavo. – rispose la ragazza, sorridendogli, mentre una sensazione ormai familiare di malessere tornava ad avvolgerla.
- Volevo chiederti una cosa Ginny. – mormorò dopo qualche minuto il Grifondoro.
- Cosa? – il suo sguardo saettò in quello dell’altro, temendo più che mai la domanda che le avrebbe posto.
- Che cos’ha Hermione? – chiese a quel punto Harry, una volta ingoiato il boccone.
Quella domanda la spiazzò completamente: non tanto perché non se l’aspettasse, quanto perché non aveva davvero la minima idea di come rispondere. E la sensazione di malessere, intanto, si acuì talmente tanto da trasformarsi in vero e proprio dolore.

Gli stava mentendo.

Da tre mesi.

Volse uno sguardo all’amica che in quel momento stava sgridando Ron, per come si abbuffava. Lo sguardo di Hermione era materno, dolce nei confronti del fratello e un lampo di tristezza attraversò gli occhi di Ginny, sapendo quanto Ron avrebbe sofferto quando avrebbe scoperto della gravidanza di Hermione. Sapeva da tempo che suo fratello provava dei sentimenti verso di lei, anche se non aveva mai avuto il coraggio di confessarglieli.
- Allora? – il richiamo paziente di Harry, distrasse Ginny dai suoi pensieri.
- Uhm…cosa intendi? – tentò di tergiversare, per recuperare qualche secondo e inventarsi una scusa, cosa che aveva fatto in tutto quel tempo.

Gli stava mentendo.

Da tre mesi.

- Credo che tu lo sappia. – fu la pacata risposta di Harry, che la guardò dritta negli occhi.
Per la seconda volta della giornata Ginny si paralizzò.
- Insomma Ginny… – esclamò frustato Harry, passandosi una mano tra i capelli corvini. – …almeno tu devi saperne qualcosa! Hermione è cambiata, l’hanno notato tutti!
- È normale cambiare quando… – si affronta una gravidanza. – … si c-cresce. – borbottò, correggendosi all’ultimo minuto.
Odiava mentire a qualcuno, soprattutto a Harry.
- Ginny, anche noi stiamo crescendo! Ma non è a questo che mi riferisco e lo sai!
- Harry io… non lo so. – sbottò a quel punto, incapace di reggere la sua bugia. – Non è meglio che ne parli con lei?
- L’ho già fatto, Ginny…ma ha detto che sta bene e che non devo preoccuparmi. – rispose il moro, aggiustandosi gli occhiali sul naso, senza che la preoccupazione se ne andasse dal suo sguardo.
- E allora… perché non ti f-fidi? – Ginny faticò parecchio nel pronunciare quelle parole. Le sembrò per un attimo che la lingua le fosse stata strappata via e che l’aria intorno a lei non esistesse più, impedendole di parlare in qualunque modo.

Gli stava mentendo.

Da tre mesi.

- Sì…ma…. – il ragazzo sbuffò di nuovo. – Ginny, ti prego guardami.
Le alzò il mento con due dita, in modo che gli occhi azzurri della ragazza si allacciassero ai suoi verdi.
 
Sono fottuta.
 
Questo fu il pensiero che attraversò la mente della Grifondoro, quando sprofondò nelle sue iridi color smeraldo. Se fino a quel momento era riuscita a mentire, o perlomeno a sviare il discorso, era stato solo perché non lo aveva guardato negli occhi.
- Ho bisogno che tu mi dica la verità. Per favore, sei la persona di cui mi fido di più al mondo. Io sento che la sto… perdendo. – confessò. – E voglio sapere se posso fare qualcosa per… per impedire tutto questo. Ti prego dimmi la verità: c’è qualcosa che dovrei sapere?
Arrivano quei momenti nella vita in cui dobbiamo scegliere.
Scegliere significa crescere, significa rinunciare.
Ginny si sentì strattonata da due lati. Da una parte c’era Hermione, la sua migliore amica, sua sorella, la persona che si era fidata di lei e che aveva pregato con tutta se stessa di non dire niente a nessuno.
Dall’altra parte c’era Harry, il ragazzo che amava da quando aveva poco più di undici anni, che riusciva a renderla felice anche un gesto insignificante, con un semplice sguardo.
Entrambi indispensabili. Entrambi persone che amava più di se stessa.
- No. – sussurrò infine con un filo di voce. – Non so niente. Ma penso che non ci sia motivo di preoccuparsi, Hermione sta bene. – sussurrò, le parole che uscivano sempre con più fatica. – Fidati di me. – non seppe neanche lei dove trovò la forza e il coraggio per concludere quel discorso.

Gli stava mentendo.

Da tre mesi.

Le faceva male: era un dolore sordo, straziante.
Mentire in modo così spudorato, mentre lo guardava negli occhi.
Harry sembrò rilassarsi, anche se nei suoi occhi rimase la preoccupazione.
 
Fidati di me.
 
Si sentì morire. Si sentì morire, in un modo che non avrebbe mai creduto possibile, sotto quegli occhi pieni di sincerità e che non avevano dubitato mai, neppure per un attimo, che lei stesse mentendo.
 
Fidati di me.
 
Cosa le avrebbe detto quando avrebbe scoperto la verità? L’avrebbe guardata ancora con gli stessi occhi?
In quell’istante Ginny comprese come doveva sentirsi Hermione, cosa dovesse significare, per lei, sopportare gli occhi di tutti e mentire in continuazione. E ripensando alla sua decisione, Ginny si convinse di aver fatto la scelta giusta nel non dire nulla a Harry. O almeno tentò di convincersi.
Ma quando Harry l’abbracciò e quando lei poggiò la sua testa sul suo petto caldo e confortante, Ginny si sentì veramente male.

Gli stava mentendo.

Da tre mesi.

Harry non le avrebbe mai perdonato quella bugia. Lo capì dai suoi occhi, che si erano schiariti alle sue parole, ma erano comunque rimasti colmi di una sincera preoccupazione. Lo capì dalle sue braccia, che la strinsero come qualcosa di prezioso e unico, di cui ciecamente si fidava. Lo capì dal suo respiro, calmo e profondo in contrasto a quello nervoso e affannato che aveva qualche secondo prima.

Si era rasserenato alle sue parole.

E lei gli aveva mentito e gli stava mentendo.

Da tre mesi.

No, Harry non le avrebbe mai perdonato quella bugia.

Fu proprio quando lo capì, che calde lacrime solcarono il suo viso.
 
Aveva preso la decisione sbagliata.
 
  
 
 
 
 
 









 









 
 
 
 
 




Angolo Autrice
Ciao a tutti!!!
Innanzitutto buone feste cari lettori! Le vacanze sono cominciate e almeno per qualche giorno (anche se troppo pochi a mio parere xD), la scuola non ci assillerà! ^^ Niente interrogazioni, niente professori, tante uova di cioccolato e pranzi in famiglia ^_^
Però, ho delle scuse da fare a tutti quanti.
Dapprima a Harry Potterish. Un’autrice fenomenale che ha scritto “la vita è quello che ti succede mentre stai progettando altro” e io non ho ancora trovato il tempo di leggere l’ultimo capitolo (se avete tempo fateci un salto, perché è veramente una storia bellissima!). Scusa, scusa, scusa sono imperdonabile, mi dispiace tanto :(
Poi anche a quelle dolcissime ragazze che hanno recensito e a cui non ho ancora risposto, ma a cui risponderò quanto prima. Ho avuto problemi in famiglia e non sono riuscita a concludere quello che mi ero prefissata, mi dispiace.
Comunque ora passiamo alla storia! Spero che questo capitoletto via sia piaciuto, non succede poi granché, ma ne avevo bisogno per far capire meglio il rapporto che c’è tra i vari personaggi. Sotto alcuni punti di vista è un capitolo importante perché è proprio a causa di questi legami che succederà ciò che… non posso dirvi! xD
Spero che lascerete una piccola recensione, anche negativa. I vostri commenti e le vostre dolci critiche sono importanti per me, mi illuminano la giornata.
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite/le preferite/ le ricordate, o anche a chi ha solo dato una sbirciata! Ma un grazie veramente enorme a tutte quelle dolci meraviglia che hanno recensito lo scorso capitolo: Harry Potterish, MouMollelingua, elisadi80, Black_Yumi, arianna_malfoy, Felpick93, MadamaBumb, Stella94, EmWeasley e LUNAPOP. 
Aggiornerò il prima possibile, se tutto va bene in una settimana dovrei riuscire a postare il nuovo capitolo ^^ o almeno spero!
A presto!!!
La vostra pazza,
flors99

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Capitolo 9
*** Mistake ***


Hermione Granger non avrebbe saputo descrivere ciò che provava realmente.
Le sembrava di essere strattonata da due lati: da una parte sentiva la gioia incontrollata fluire nel suo corpo a ogni giorno che passava, un sentimento travolgente e bellissimo che la rendeva più viva che mai; dall’altra un dolore sordo, penetrante, avvolgente, di un’intensità pazzesca. Il suo dolore era come un serpente che strisciava sulla sua pelle, impregnandola col suo veleno, pronto a colpirla alla sua minima distrazione.
Alcune persone dicono che la gioia è superiore al dolore.
Altre affermano il contrario. Il dolore non conosce avversari.
 
Ma la realtà è che sono inseparabili.
 
Gioia e dolore giungono insieme e quando uno siede con noi alla nostra mensa, bisogna sempre ricordare che l’altro giace addormentato nel nostro letto.
 
Siamo continuamente sospesi tra gioia e dolore come bilance. Soltanto quando siamo vuoti, privi di tutto, siamo immobili ed equilibrati.
 
La gioia è il nostro dispiacere mascherato, aveva letto Hermione in un libro babbano, anni prima. Capì che era vero. E come poteva essere altrimenti?
  
Non è forse vero che lo stesso pozzo dal quale si leva il nostro riso, è stato sovente colmato delle nostre lacrime?
 
Non è forse vero che quanto più dolore incide in profondità del nostro essere, tanta più gioia siamo in grado di accogliere dentro di noi?
 
Era così: gioia e dolore erano due emozioni che si bilanciavano e si annullavano a vicenda. E Hermione questo l’aveva capito.
 
L’aveva capito perché la sua gioia e il suo dolore erano legati da un filo indistruttibile.
 
La sua gioia era legata a soffrire ancora.
Perché quando Hermione finalmente avrebbe stretto tra le braccia il suo bambino, il suo piccolo cucciolo – così lo aveva apostrofato Ginny – la verità sarebbe venuta a galla. Anzi, la verità sarebbe stata scoperta molto prima del parto. Entro poco tempo il suo ventre avrebbe cominciato a ingrossarsi: era ormai al terzo mese e la sua pancia iniziava a sformarsi e ad assumere le forme per custodire il meglio possibile il suo bambino. Se da una parte impazziva di gioia, dall’altra era completamente terrorizzata e atterrita dalle conseguenze a cui avrebbe portato quella verità non confessata.
I pensieri di Hermione furono interrotti da un pezzo di carne che volò letteralmente davanti ai suoi occhi, e per poco non finì tra i suoi capelli.
- Ron! Ma sei… un animale!
Rimproverò dolcemente il suo migliore amico, che, ne era certa, era l’unica persona al mondo capace di riuscire a mangiare carne, pesce e dolce insieme, anche se poi qualche pezzo di cibo ovviamente sfuggiva alla sua bocca vorace e volava sulla tavola.
- Fimmi Femmione, fe c’è?
- Non parlare a bocca piena! – scoppiò a ridere di fronte alla confusione che leggeva in quegli occhi azzurri.
Hermione amava gli occhi di Ron, ne amava il colore, ne amava la semplicità, la purezza. Li amava perché rappresentavano lui, perché erano così suoi e così sinceri che nel suo caso erano veramente delle finestre sull’anima. Bastava guardarlo negli occhi per capire cosa provasse realmente e Hermione aveva sempre adorato la loro limpidezza.
- Perché mi guardi così, Herm? – chiese finalmente Ron, quando riuscì a inghiottire il boccone che gli si era bloccato in mezzo alla gola.
La ragazza non rispose subito.
Si limitò a guardarlo in modo materno, come si fa come un bambino, come lei un giorno avrebbe fatto con il suo bambino, poi appoggiò la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi.
- Perché ti voglio bene.
Il ragazzo arrossì come un pomodoro, imbarazzato. Con una dolcezza infinita le passò tremante una mano sulle spalle, stringendola a sé.
- A-anch’io ti voglio b-bene. – riuscì a malapena a borbottare, mentre il suo cuore faceva le capriole.
Quello che Hermione non aveva di certo previsto erano i suoi costanti cambiamenti di umore. Per questo a volte si esibiva in effusioni o in gesti d’affetto verso le persone a cui più voleva bene, per poi scivolare in meno di un secondo in una crisi depressiva, e un secondo ancora più tardi scoppiare a piangere per ragioni che nessuno, neanche lei, sarebbe mai riuscito a comprendere.
In quel momento aveva sentito l’impulso di dire a Ron quanto teneva a lui, e così aveva fatto; gli aveva esposto sinceramente il suo affetto.
 
Inconsapevole che così sarebbe stato ancora più difficile lasciarlo andare.
 
Un rumore alle sue spalle la fece sussultare.
Non voleva, non doveva, non poteva guardare verso quella direzione eppure il suo cuore ancora una volta fece di testa sua e Hermione si ritrovò a voltare lo sguardo sul ragazzo che si stava alzando dalla sedia, con un’espressione furente sul volto.
Il Serpeverde si diresse verso la porta, sotto lo sguardo sbigottito di tutta la sua Casa e soprattutto dei suoi amici più stretti.
 
Hermione capì che se la porta non fosse stata più alta di lui di almeno dieci metri, se la sarebbe sbattuta alle spalle.
 
Non seppe mai il perché di quello che fece dopo.
Lo fece e basta, senza pensare alle conseguenze.
Si alzò dalla sedia, e lasciando tutti attoniti, lo seguì fuori dalla Sala Grande.
 
 

 
 
I passi cadenzati rimbombavano per i corridoi. Non uno studente osava incrociare il suo cammino e le poche anime vive che si aggiravano per i corridoi provvedevano immediatamente a scansarsi o a cambiare direttamente direzione.
Perché quando dentro a quegli occhi ghiacciati si agitava la tempesta, significava solo una cosa.
 
Pericolo.
 
Draco inspirò, fermando la sua avanzata e appoggiandosi a una colonna.
 
La rabbia è come il fuoco: può essere spenta facilmente quando è piccola, ma diventa difficile da spegnere quando è radicata in profondità.
 
E tutta quella rabbia era penetrata in lui con una tale intensità da raggiungere parti di lui che nemmeno sapeva di avere. Così radicata, così violenta, così corrosiva e logorante…
 
Lei che scherza con lo Sfregiato e la Piattola.
 
I pugni stretti, le nocche bianche.

Quanto la odiava…
 
Lei che sorride a tutti quei poveri straccioni che le stanno intorno.
 
La bocca serrata, i muscoli completamente irrigiditi.

Salazar, quanto la odiava!
 
Lei che abbraccia Lenticchia.
 
Gli occhi assottigliati, il corpo che cominciava a fremere dalla rabbia.

La odiava.
 
E di nuovo quel malessere a tormentarlo, quella sensazione pungente che lo scuote, percorrendo tutto il corpo.
 
Perso nelle sue riflessioni, non si accorse di una coraggiosa presenza che si azzardava a disturbarlo e si avvicinava sempre di più. Forse, se fosse riuscito a scorgerla prima, se ne sarebbe andato. Ma fu troppo tardi quando vide quella persona, che al solo sentirla nominare, sentiva qualcosa nascere dentro il petto.

Il disgusto, probabilmente.

Perché quando la vedeva qualcosa dentro di lui nasceva, qualcosa che sapeva di rabbia, rancore… eppure… eppure, allo stesso tempo, non poteva essere niente di tutto questo, perché...

Perchè fa male.

 

 
 
Era stata costretta a correre pur di non perderlo di vista.
In quel mese Hermione aveva tentato un’infinità di volte di parlare con lui, ma bastava un suo sguardo a farla minimamente vacillare, era sufficiente solo la sua voce sprezzante a farla ricadere nel vortice nero di dolore, in cui rischiava di essere risucchiata ogniqualvolta che i suoi pensieri vagavano liberi e si posavano su Draco. La sua maschera la proteggeva fino a un certo punto, poteva nascondere tutto agli altri o a se stessa, ma non poteva neanche minimamente sperare di ingannare il suo cuore. Aveva comunque cercato di parlare con lui della questione, ma non solo il ragazzo sembrava evitarla, anche più del solito, il problema principale era che lei voleva parlare con lui sola.
E quando mai un ragazzo come Draco Malfoy poteva essere trovato solo? Quando non era seguito dai suoi migliori amici, aveva dietro di sé quasi tutto il popolo femminile che lo fissava adorante, ragazze che Hermione avrebbe schiantato volentieri dopo un’accurata maledizione Cruciatus.
- Mezzosangue…
Hermione trasalì alla sua voce.
 
Dannato, stupido cuore!
 
- …Cosa diavolo vuoi? Mi hai seguito?!
Finalmente dopo quasi un mese si presentava l’occasione che la ragazza aveva desiderato per tanto tempo: parlare con lui, faccia a faccia, senza visi curiosi a fissarli. Bene, proprio in quel momento le parole dovevano venir meno e l’aria doveva venire a mancarle.


Tempismo perfetto, non c’è che dire.


Aprì e richiuse la bocca più volte, sentendosi una perfetta idiota, mentre il
Serpeverde si spazientiva.
 
Dì qualcosa, stupida!
 
- Ho bisogno di parlarti Malfoy. – recuperò l’uso della parola dopo qualche secondo, ripetendo le stesse parole di qualche mese prima.
 
Ah, che originalità.
 
- Granger, ma tutta questa voglia di parlare con me esattamente da dove ti esce? – le lame perforatrici la trapassarono lentamente, come a voler prolungare quell’atto di crudeltà. – Non ho nulla da spartire con una come te.
- E invece ce l’hai, Malfoy. – sbottò lei, mentre il cuore iniziava a batterle all’impazzata.
 
Neanche immagini cosa, chi, hai da spartire con me.
 
Rimasero a fissarsi per minuti che parvero interminabili, in cui Hermione rischiò di collassare. Fuoco e ghiaccio lottavano, si bruciavano e congelavano uno nel calore o nella freddezza dell’altro.
- Parla, allora. Basta che tu faccia in fretta. – acconsentì infine il ragazzo dopo quello che sembrò un’infinità di tempo.Il suo tono sembrava quasi stanco, sconfitto e per un attimo Hermione vide la maschera di Malfoy cedere per lasciar spazio a Draco. Fu solo un secondo, un miserabile attimo, un semplice istante.
- Dobbiamo parlare di quello che è successo tre mesi fa, Malfoy.
 
Quanto avrebbe voluto chiamarlo per nome, quanto avrebbe voluto non dover usare quel cognome cattivo, quel cognome che era portatore della sua maschera.
 
Il ragazzo alzò le sopracciglia, incuriosito, ma da una parte per niente sorpreso.
- E di cosa vuoi parlare, Granger? Non mi sembra ci sia molto da aggiungere.
Hermione deglutì pesantemente.
- Lo sai. – rispose invece, odiandosi per il tremolio che aveva avuto la sua voce. Se contenere il dolore era difficile, ripensare alla felicità di un ricordo così bello e intenso le spezzava il cuore.
- Come ho già detto, non mi sembra ci sia nulla da dire. – ripetè Draco, con inquietante calma.
- Ah no? – scoppiò alla fine la ragazza. – Credi che si faccia così, Malfoy? Fare l’amore e basta e poi non parlarsi per tutta la vita? Beh, mi dispiace, ma non è un comportamento corretto!
Un guizzo di incredulità passò attraverso gli occhi di Draco e stavolta non fu un lampo: il ragazzo ci mise qualche secondo per recuperare il controllo e ritornare impassibile. Hermione non capì inizialmente.
Solo dopo attimi di riflessione si accorse di ciò che aveva detto, di ciò che aveva ammesso. Del suo errore.
Amore? Mezzosangue, che stai blaterando? – ridacchiò quasi, con un ghigno al limite del disprezzo.
 
Fare l’amore e basta e poi non parlarsi per tutta la vita?
 
La ragazza cominciò a tremare convulsamente. Gli occhi si appannarono.
No. Non poteva averlo detto davvero.
- Mi sono sbagliata. – ringraziò tutti i maghi del mondo che la sua voce fosse uscita quasi sicura.
- Non so proprio come ti sia venuta in mente una cosa simile. – esclamò il ragazzo con scherno e cattiveria, non dando segno di aver sentito le sue ultime parole. Poi con il suo solito ghigno si avvicinò alla ragazza finché non furono a mezzo metro di distanza. Hermione, paralizzata, non riuscì a muoversi. – Vediamo se riesco a chiarire questa situazione in modo che il tuo piccolo cervellino lo capisca: il nostro non è stato amore, Mezzosangue, noi abbiamo solo scopato, niente di più, niente di meno. È stato ovviamente un errore.
Quelle parole furono la sua maledizione.
 
È stato un errore.
 
Tutte le lacrime, tutte le torture, tutti i pianti, tutta quella vitalità che aveva perso.
 
Un errore.
 
Le bugie, i momenti persi, gli sguardi mancati, il sentimento puro e sbagliato che lei, costantemente, nutriva.
 
Un errore.
 
Il suo cucciolo. Il suo piccolo cucciolo che cresceva dentro di lei, che si prendeva parte della sua vita, dandone altrettanto in cambio.
 
Un errore.
 
Il nostro non è stato amore, noi abbiamo solo… solo…
 
Si morsicò le labbra a sangue, non riusciva nemmeno a pensarle quelle parole da quanto le facevano male.
- Ti odio. – sputò Hermione con un tale disprezzo che non riconobbe la sua voce. Per un attimo lo credette davvero.
 
Un errore.
 
E forse, rifletté, un errore lo era davvero.
 
Ma come può un errore renderti così felice?
 
- Mi odi, Granger? – il ragazzo si avvicinò ancora, fino a che non ci furono meno di pochi centimetri a separarli. La costrinse a guardarlo negli occhi, afferrandole il mento con forza e senza premura.
Hermione sussultò, cercando di liberarsi dalla sua presa.
- Allora? Rispondi alla domanda: mi odi, Granger? – con un ghigno diabolico il ragazzo fece scorrere il pollice sulla sua guancia.
Il respiro di Hermione accelerò, mentre una mortificante sensazione di umiliazione si irradiò lungo il corpo.
- Sei disgustoso, Malfoy! – quasi urlò, schiaffeggiando via la sua mano.
Era solo un gioco per lui e lei lo sapeva.
 
Era soltanto l’ennesima tortura, l’ennesimo colpo al suo cuore malandato.
 
Mantenne il suo sguardo incollato a quello di Draco, non permettendosi di abbassarlo. Ignorando le sue parole, le dita del Serpeverde scivolarono sul suo collo candido, per valutarne le reazioni.
 
Calcolatore fino all’anima.
 
Hermione fece violenza su se stessa, per non reclinare il capo in direzione della sua mano, e sentire ancora quella carezza, anche se falsa, sulla sua pelle.
Era solo un dannato e stupido gioco. Hermione sapeva di doversi ritrarre se non voleva infliggersi ulteriore dolore. Ma l’orgoglio le fece piantare i piedi per terra e fissare con ancora più rabbia il ragazzo, la cui sicurezza non era vacillata neanche per un attimo.
 
Orgoglio e cuore lottavano, infuriavano l’uno contro l’altro.
 
Una sfida continua che non portava né vincitori, né vinti.
 
Chi avrebbe ceduto per primo sotto lo sguardo dell’altro?
Chi per primo avrebbe mostrato un sintomo di debolezza?
- Malfoy!
Hermione ci mise qualche secondo per capire che quella voce non apparteneva a lei, ma ad una terza persona. Quando se ne rese conto si voltò in direzione del suono e vide la faccia rabbiosa di Harry.
Il Grifondoro vedendo l’espressione dell’amica, si innervosì ancora di più.
- Malfoy, che cosa le stai facendo? – sibilò contro Draco, che intanto si era discostato da lei, quel tanto che bastava per permettere a uno sconosciuto di non fraintendere la situazione.
- Quello che faccio non sono cazzi tuoi. – gli rispose, con molta gentilezza.
- Se di mezzo c’è Hermione sì! Stai lontano da lei!
Hermione rimase a guardarli spaventata, dato che sembravano pronti a uccidersi seduta stante. O almeno, Harry sembrava arrabbiato più che altro, anzi – a guardarlo bene – era proprio incazzato nero. Solo quando sentì la sua mano calda e confortante posarsi sulla spalla si accorse che Harry l’aveva raggiunta e la guardava seriamente preoccupato.
- Hermione, stai bene?
La ragazza annuì, ma non parlò. Non si fidava della sua voce.
- Ne sei sicura? – domandò, la preoccupazione al limite dell’esasperazione.
- Sì. – si costrinse allora a dire la Grifondoro. – Perché me lo chiedi?
Harry non le rispose, ma le lanciò un’occhiata piuttosto eloquente. Hermione immaginò quanto dovesse apparire distrutta e si passò una mano sul viso, cercando forse di nasconderlo. Quello che trovò la sconvolse.
- È stato Malfoy a farti piangere? – ringhiò Harry, con rabbia.
- N-no. – balbettò, sperando di calmarlo. Per Merlino, quando… quando avevano cominciato a farsi lucidi i suoi occhi?
Non fece in tempo a dire nient’altro perché Harry brandì la bacchetta e la puntò contro il Serpeverde.
- Stalle lontano, Malfoy. – mormorò, con sguardo impenetrabile. – Non ti azzardare mai più a…
Draco ghignò.
- Vediamo che sai fare, Potty. – lo interruppe, prendendo a sua volta la bacchetta.
Hermione vide una figura in lontananza che si avvicinava e, preoccupata dall’eventualità di un possibile scontro in mezzo al corridoio, fu tentata di urlare per chiedere aiuto, ma la voce di Harry la distrasse.
Expelliarmus!
Protego!
Hermione spalancò gli occhi, capendo che facevano sul serio e quanto la situazione fosse grave. E si paralizzò ancora di più quando si accorse che la figura che veniva verso di loro era nientemeno che il Professor Piton.

Merda.

- Harry, basta! Per favore, smettetela!
Afferrò Harry per un braccio e lo costrinse a guardarla.
- Non ne vale la pena. – gli sussurrò. – Davvero, non ne vale la pena. – ripeté con tono pacato.
Harry esitò per un attimo, ma poi vedendo lo sguardo implorante della ragazza, abbassò la guardia e, insieme, la bacchetta.
- Stupeficium! – il colpo partì dalla bacchetta di Draco e Harry lo evitò per il rotto della cuffia, scansandosi all’ultimo secondo. Purtroppo, Hermione non fu abbastanza veloce e non riuscì a proteggersi da quell’attacco improvviso. L’incantesimo la colpì in pieno e la fece sbattere contro il muro.
Harry non fece neanche in tempo a voltarsi verso di lei, che fu bloccato dal Professor Piton sopraggiunto nel luogo dello scontro. Non era certo una novità il suo odio nei confronti del Grifondoro.
- Potter! – lo agguantò il professore. – Duelli nei corridoi? Bene, venti punti in meno a Grifondoro!
- Ma… – Harry cercò di protestare, ma non gli fu dato il tempo.
- Ho visto benissimo che hai attaccato per primo il signor Malfoy, mi credi così stupido? Altri venti punti in meno a Grifondoro!
- Verament…
- Osi ancora protestare? Vieni subito con me! Meriti una punizione! – sentenziò, con trionfante cinismo.
- Hermione si è fatta male! Almeno mi dia il permesso di portarla in Infermeria! – riuscì finalmente a dire, quando Piton gli lasciò libertà di parlare.
- Assolutamente no, Potter! – rispose malamente il professore, che non voleva perdersi la possibilità di punire il suo più odiato allievo. – Ci penserà il signor Malfoy.
- Cosa? No, aspetti!
Le parole di Harry furono completamente inutili, poiché il professore lo afferrò per un braccio, illustrandogli come avrebbe dovuto scontare la punizione. L’ultima cosa che Hermione vide furono i suoi occhi colmi di preoccupazione.
Draco, evidentemente scocciato dalla situazione, sbuffò.
- Andiamo, Granger. Non dirmi che ti ho fatto male.
Ma Hermione non lo ascoltava. Rimaneva lì, per terra, raggomitolata su se stessa con lo sguardo terrorizzato e la paura che la divorava. Si era subito impossessata di lei, quella maledetta paura, quando aveva visto quella macchia scura. E la sua mente era ritornata in un attimo alle parole di Madama Chips.
 

- Non deve sforzare il suo fisico. Limiti le fatiche il più possibile e si conceda magari qualche ora di riposo, di tanto in tanto.
- D’accordo.
- E soprattutto deve mangiare di più. Insomma, ha due vite da sostenere, lasci perdere la dieta!
- Io non sono a…
- Sì, sì dite tutte così… comunque, riassumendo il tutto, si ricordi di mangiare, dormire e soprattutto di non affaticarsi.
- Glielo prometto. – rispose Hermione. Con un sorriso caloroso, la ragazza la salutò, ma l’anziana signora la fermò prima che potesse andarsene.
- Stia molto, molto attenta: finché non sono passati almeno tre mesi, rischia di perdere il bambino, anche solo per una banale questione di stress. Si prenda cura di se stessa, più di quanto abbia mai fatto e in questo modo assicurerà al suo bambino una nascita sana e priva di rischi. – mormorò la donna, con occhi severi. – Purtroppo gli aborti naturali sono sempre più frequenti al giorno d’oggi e, a quel punto, i danni saranno irreparabili.


L’incantesimo l’aveva colpita al ventre con una forza inaudita.
 
Aborto naturale.
 
Hermione tremò violentemente quando vide una grossa macchia rossastra sul pavimento.
 
La pancia. La pancia aveva ricevuto un colpo così forte che l’aveva sbalzata contro il muro.  
 
La testa cominciò a vorticare incontrollata e il suo corpo, in preda alle convulsioni, sembrava essere su una sedia elettrica. Una mano tremante andò a coprire il ventre, laddove l’incantesimo l’aveva colpita, laddove sentiva un dolore lancinante, come se qualcosa si fosse strappato.
 
I danni saranno irreparabili.
 
Il suo cucciolo. Il suo cucciolo stava morendo. Quella piccola creatura innocente stava per morire perché lei non aveva evitato un incantesimo.
- No. – la voce flebile, spezzata, uscì dalle sue labbra.
- Granger, ma che cazzo… – sibilò il Serpeverde che si erano chinato su di lei per controllare che stesse bene. Il suo sguardo corse subito alla macchia di sangue e optò per l’ipotesi che avesse sbattuto la testa. Si avvicinò esitante. – Su, alzati, così ti accompagno in Infermeria.
Hermione si voltò di scattò verso di lui, con gli occhi pieni di lacrime. Il Serpeverde ammutolì di fronte alla sua espressione così atterrita e a quelle lacrime che mai, mai, la Grifondoro gli aveva dato la soddisfazione di vedere.
- Dra… Draco! Il…
 
Il suo bambino stava morendo.
 
Draco spalancò le sue iridi ghiacciate e la fissò sconvolto.
- Granger, ma…
- Presto, non c’è tempo! – singhiozzò disperata.
Strinse la presa sul suo ventre, come se in qualche modo potesse proteggersi da quel dolore.
- No! No…
Le parole le uscivano in modo sconclusionato, privo di logica e Draco per un attimo si preoccupò davvero.
- Forse è meglio che vada a chiamare … – mormorò sovrappensiero.
- NO! – l’urlo le si bloccò in gola. – Non chiamare nessuno… Infermeria… Ginny… – il corpo teso, il tremore accentuato, la macchia di sangue indelebile sul pavimento che sembrava aumentare.
Le lacrime cominciarono a scendere copiose, inarrestabili.
Non poteva perderlo.
Non poteva perdere l’unica sua ragione di vita.
 
Non poteva perdere l’unica parte di Draco che avrebbe mai potuto tenere con sé.
 
- No…
Fu l’ultimo sussurro che pronunciò prima di scivolare in un vortice nero, senza fine. Due parole crudeli presero forma nella sua mente, quasi a volerle ricordare che lei avrebbe sofferto, che quella era una maledizione e non vi sarebbe di certo sfuggita.
Due parole che la uccidevano per il tutto il dolore che causavano.
 
Aborto naturale.
 
 
 
 
 










 
 
 
 

 
 
 
 





Angolo Autrice

…ehm…quante persone sono rimaste a bocca aperta, sconvolte dal finale?
Tirate su le mani. 1, 2, 3 ….Hei! ho detto tirate su le mani, non le armi! No, no appoggiate quella mazza, non sapete che è reato uccidere qualcuno?!?
Ok, vi do la possibilità di tirarmi in testa tutto quello che volete, (a parte le uova marce), se proprio ne sentite il bisogno posso anche sopportare una maledizione Cruciatus, ma niente Avada Kedavra, sono troppo giovane per morire! ._______.
Sono già pronta alle bandierine arancionissime che invaderanno il mio account, ma vi prego non lanciatemi troppi improperi o maledizioni. Sono molto permalosa ù.ù
Ovviamente sto scherzando, insultatemi quanto volete, effettivamente me lo merito ^_^
Comunque non disperate per la fine del capitolo, non è detta l’ultima parola!
Il prossimo capitolo è quasi pronto, tenterò di non farvi aspettare troppo.
Comunque…spero che il capitolo non vi abbia deluso e sia stato all’altezza delle vostre aspettative. (almeno per quanto riguarda la parte prima della fine xD) È quasi del tutto incentrato su Draco e Hermione, in questo capitolo ho voluto dare più spazio a loro, essendo i protagonisti della storia. ^____^
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite/preferite/ricordate, e grazie anche a chi ha solo dato una sbirciata.
Ma in particolar modo ringrazio quelle meravigliose 10 ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo: blair_87, MouMollelingua, EmWeasly, Harry Potterish, Black_Yumi, MadamaBumb, Felpick93, Luna Ginny Jackson, la_marty e LUNAPOP. Non solo vi ringrazio per le vostre recensione, ma per il vostro sostegno: questo è stato un periodo difficile per me e io vi ringrazio per avermi aiutato. Le vostre parole mi sono servite, davvero! Grazie, grazie, grazie! =D
E prima di andarmene vorrei fare un ringraziamento enorme a DracoMattyMalfoy, che ha segnalato la mia storia all’amministrazione per le scelte. Probabilmente non finirà mai tra quelle storie fantastiche, perché so di non avere tutto quel talento, ma ti ringrazio tantissimo per il pensiero. Mi hai commossa :) Grazie di cuore ^____^
Al prossimo capitolo miei adorati lettori!
La vostra pazza ritardatrice,
flors99

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Capitolo 10
*** Borders (First Part) ***


Porte che sbattono, voci concitate, mormorii crescenti, rumori così assordanti da non sembrare reali.
Movimenti frenetici, grida penetranti, singhiozzi malcelati, urla agghiaccianti. Parole continue, deboli rassicurazioni, sangue.

Buio.
 
Il corpo bruciava, nonostante la temperatura bassa e i brividi di freddo, le membra erano scosse da fremiti, forti come convulsioni.
I denti battevano tra loro, mordevano la lingua nel tentativo di frenarla per non urlare di dolore, le guance incavate, le labbra strette fino a far male.
L’orrore del ricordo nella sua mente, nei suoi occhi, in ogni parte del corpo che era stata colpita da quella maledizione. Sangue.

Buio.
 
Carezze dolci, fresche, eppure così dolorose e brucianti su tutto il corpo che fremeva agonizzato. Qualcosa di bagnato, una spugna strizzata che faceva tintinnare le gocce in una bacinella.
Acqua che scioglieva, che rinfrescava, che lavava via lo sporco, il sudore, il sangue.

Buio.
 
Garze, bende, fasce, qualcosa che si stringe intorno alla sua testa, una mano forte e calda che tiene la sua. La delicatezza delle mani nel cambiare il cotone, cercando di fare il minor rumore possibile.
Il corpo pulito, lavato, sanato. Una tiepida freschezza diffusa sulla pelle, centimetro per centimetro.

Luce.
 
Hermione sollevò le palpebre dei suoi occhi con lentezza, per permettere alle sue iridi di abituarsi alla luce che filtrava dalle vetrate della finestra, in una dolce e tenera carezza al suo viso.
Un viso appassito, stanco, sciupato, devastato.
Le pupille disabituate al sole le imposero il buio, serrandosi in una morsa, impedendo ai quegli occhi di poter godere di quel calore avvolgente che le serviva.
Con un lento movimento contro il cuscino, la ragazza si accorse di avere una fascia intorno alla testa; tentò di alzare la mano per confermare la sua ipotesi, ma si rese conto di non esserne in grado. Il suo corpo non rispondeva ai comandi, le sue mani rimanevano inermi sul letto, invece di alzarsi secondo gli ordini della corteccia cerebrale. Tentò allora di procedere a piccoli passi e cominciò a stirare le dita, che cominciarono a muoversi lentamente sul tessuto bianco, che sembrava essere un lenzuolo. Ne saggiò la consistenza, la morbidezza e si rese conto che non era lo stesso tessuto delle coperte del suo dormitorio.
Aprì nuovamente gli occhi scuri, che si schiarirono leggermente, trafitti dalla luce del sole e li tenne semichiusi per studiare il luogo in cui si trovava. Una semplice stanza, familiare e rassicurante, la teneva al sicuro, illuminata dalla luce proveniente da un’ampia finestra. Accanto al letto su cui era sdraiata c’era una sedia, dove qualcuno probabilmente si era seduto per accudirla con i vasi di creme medicamentose che erano poste su un comodino lì a fianco. Si rese conto di essere in Infermeria pochi minuti dopo, quando gli ingranaggi del suo cervello di misero in moto.
Totalmente confusa e preoccupata tentò di alzarsi facendo leva sulle braccia, ma la sua testa prese a vorticare pericolosamente e la ragazza trattenne a stento un conato di vomito. Tastò allora quella garza che le avvolgeva il capo, chiedendosi come si fosse procurata una simile ferita. Sbatté gli occhi, totalmente immemore di quanto accaduto, e cercò di togliersi quella fascia che cominciava a farle pizzicare la pelle, infastidendola. Srotolò il cotone pian piano, quasi timorosa di fare movimenti bruschi: ogni gesto le costava fatica, si sentiva stanca e provata, come se avesse corso una maratona. Quando ebbe finito la sua opera, con un timido sorriso soddisfatto riabbassò la mano per gettare via quel pezzo di cotone.
Ma ciò che vide la lasciò agghiacciata.
Sangue. Una grossa scia di sangue impregnava il cotone con una macchia indelebile.
 
Sangue.
 
E ricordò. Tutto.
 
La pozza di sangue.
 
Lo scontro contro il muro.
 
La pozza di sangue.
 
Il ventre colpito.
 
La pozza di sangue.
 
Suo figlio.
 
Le sue urla giunsero alle orecchie di Madama Chips, che accorse concitata nella stanza. La sua voce disperata e singhiozzante risuonò per tutte le pareti della stanza, riuscendo persino a penetrare oltre quei muri che fungevano da barriera con il mondo esterno.
- Ferma! Non si muova! – esclamò la vecchia donna, tentando di tranquillizzarla.
Ma Hermione, inconsapevole dei suoi stessi movimenti, non udì nemmeno la voce di Madama Chips e respinse le sue mani che tentavano di rassicurarla, con le ultime forze che le dava l’angoscia, sentendosi vuota, incompleta.
- Ferma! – ripeté l’infermiera bloccandola e vincendo la debole forza di lei, sfinita, esausta di quel dolore penetrante. – Così si fa solo del male! – la rimproverò, riferendosi ai movimenti scoordinati che stava compiendo con la forza della disperazione.
Lacrime amare cominciarono a scendere dagli occhi di Hermione, che non riuscì a frenarle. Non sapeva cosa le facesse più male: il dolore del suo corpo, che sembrava esser stato fatto a pezzi o il dolore psicologico di quella perdita che aveva subito.
- La prego… – Un gemito, una supplica. La sofferenza celata dietro una preghiera: la disperata preghiera di negare il suo timore, di assicurarle che tutto fosse andato bene, che la maledizione che si aleggiava nella sua mente fosse soltanto un incubo. Un orrendo e terribile incubo. – La prego…  – ripeté.
La sua voce provata fu seguita da un ultimo tentativo di ribellione da parte della ragazza, ma l’infermiera tenace, continuò a tenerla ferma, sussurrandole parole che non riusciva a udire, che non voleva udire, non ne aveva la forza.
I contorni cominciarono a sfumare nuovamente e stavolta la ragazza usò maggiore pressione, ignorando il dolore di quello sforzo.
- No! – la disperazione dettava quelle parole, il tormento di scivolare di nuovo nel buio, senza avere la certezza che suo figlio, il suo cucciolo, fosse al sicuro con lei, in lei, dentro di lei. – Per favore… – Le tenebre cominciarono a espandersi, il buio dilagò in lei, cominciando ad annebbiarle la mente, costringendo i suoi occhi a chiudersi nonostante la sua volontà. – Il…il…bam… – il suo sussurro fu interrotto dall’improvviso capogiro che la colse impreparata, approfittando della sua distrazione per colpirla.
- Shh… Va tutto bene… – La carezza calda di Madama Chips le chiuse lentamente gli occhi, stendendola sul letto per farla riposare e riprendere da quel dolore straziante che ormai si era preso ogni parte di lei.
 
 

 
 
- Da quanto tempo è in Infermeria?
Harry aveva un’espressione adirata sul volto. Raramente il Grifondoro arrivava ad arrabbiarsi fino a tal punto, ma nel caso in cui persone a cui teneva fossero state coinvolte in cose tanto spiacevoli, non c’era possibilità di riuscire a contenere la sua irritazione.
- Da due giorni. – mormorò Ginny, osservando preoccupata la smorfia che gli deturpava il viso.
- E per quanto tempo ancora deve restarci? – ringhiò quasi, mentre pensava a tutti i modi possibili con cui avrebbe torturato Malfoy.
- Madama Chips non ha detto nulla di sicuro. – rispose la giovane Weasley, con tono pacato. – Soltanto che deve riposare e non fare sforzi. Non credo che il colpo alla testa sia così grave, probabilmente vuole solo assicurarsi che Hermione si riprenda. – concluse, con un’espressione esasperata sul viso.

L’ennesimo inganno, l’ennesima bugia.

Ginny si massaggiò le tempie per tentare di calmare il loro ritmo impazzito, che le stava facendo scoppiare la testa. In quei giorni la situazione le era decisamente sfuggita di mano. Aveva rischiato di uccidere Malfoy, quando il ragazzo era venuto a cercarla per informarla del piccolo incidente nel corridoio. L’unica cosa che le aveva permesso di non affatturarlo era stata la preoccupazione che si era impadronita del suo corpo, quando il Serpeverde le aveva parlato della pozza di sangue, ai piedi della Grifondoro.
- A cosa pensi, Ginny? – le domandò Harry, vedendola così assorta e sedendosi vicino a lei sul divano della Sala Comune dei Grifondoro.
- Mmm. – rispose con un mugolio, mentre si accoccolava addosso a lui, ripensando a quanto si era arrabbiato quando gli aveva riferito che Hermione era in Infermeria per colpa di Malfoy. Lo aveva dovuto trattenere, insieme a Ron, sia perché Hermione non glielo avrebbe perdonato, sia perché, se proprio qualcuno doveva picchiare Malfoy, voleva essere lei a spaccare la faccia a quell’arrogante. – Niente d’importante. – borbottò, abbracciandolo più forte.

Bugiarda.

Ovviamente, se Harry avesse saputo la verità, non ci sarebbe stato verso di impedirgli uno spargimento di sangue. Avrebbe ucciso Malfoy seduta stante e Ginny fu felice per un momento di avergli mentito. Aveva raccontato a lui e Ron che Hermione aveva sbattuto violentemente la testa e aveva perso coscienza poco dopo, e che il sangue presente nel corridoio era frutto della botta ricevuta. Ma a dir la verità, neanche Ginny sapeva con esattezza cosa fosse successo: era corsa in Infermeria, ma Madama Chips l’aveva scacciata, pretendendo silenzio assoluto. Aveva negato le visite a tutti quanti, dicendo che l’avrebbe chiamata lei, quando Hermione si fosse ristabilita. Le uniche parole che era riuscita a captare erano state bambino sangue e Ginny, tutt’altro che stupida, quando il Serpeverde le aveva detto che forse l’aveva colpita alla pancia, aveva ricollegato i pezzi e aveva capito.
Doveva ammettere, seppur a malincuore, che una piccola parte di lei, era poi rimasta sorpresa del fatto che uno come Draco Malfoy fosse venuto a cercarla per portare aiuto alla sua migliore amica; con la bassa considerazione che aveva di lui, Ginny non si sarebbe affatto stupita se il Serpeverde se ne fosse altamente fregato di quello che era successo e avesse lasciato lì Hermione, agonizzante, per terra. Invece, l’aveva cercata. Ma sicuramente non sarebbe stato un singolo episodio d’irrisoria importanza a farle cambiare idea sul suo conto.
Sospirò pesantemente, mentre Harry le passava una mano tra i capelli, sperando di calmarsi con quel gesto.
- Sono preoccupata. – disse infine, non riuscendo a evitarlo. Era mortalmente preoccupata per Hermione e per quello che sarebbe successo di lì a poco.
- Anch’io. Lo siamo tutti. – mormorò Harry, mentre la rabbia cominciava a scemare, sostituita dalla preoccupazione.
Se Harry era stato preso dalla rabbia, Ron, in quel frangente, aveva assunto un’espressione così seria da non sembrare reale. Era ovviamente preoccupato per Hermione e la sorella aveva intuito la sua ansia attraverso i gesti che compiva ogni tre secondi: si sfregava le mani ripetutamente, sospirava in continuazione e, cosa più importante, aveva saltato il pranzo.
Ronald Weasley che spontaneamente decideva di non mangiare era qualcosa di veramente preoccupante.
 
 

 
 
Era ormai notte fonda quando Hermione si risvegliò per la seconda volta.
Stavolta Madama Chips era lì ad attenderla, con fasce e garze, pronte all’utilizzo. Le teneva la mano in una stretta calda e soffice, come se fosse una bambina.
- Come si sente?
Hermione, leggermente confusa, impiegò qualche minuto a rispondere. Poi, come se si fosse risvegliata, la sua mano lasciò quella di Madama Chips e corse alla pancia, per sentire, per poterlo sentire.
La Grifondoro, ancora oggi, non saprebbe definire cosa provò in quel momento.
Fu un fulmine a ciel sereno.
 
Fu una colata di lava bruciante che s’irradiava nella sua pelle.
 
Fu la risata spensierata di un bambino.
 
Fu un fiore che schiude i suoi petali per mostrare la propria bellezza al mondo.
 
Fu qualcosa che fiumi d’inchiostro non riuscirebbero mai descrivere.
La ragazza cominciò a piangere, senza neanche sapere perché. Guardò Madama Chips tra le sue lacrime ridenti, felici, e l’abbracciò di slancio, con tutta la forza che aveva.
- Grazie, grazie, grazie… – sussurrò.
Nessun grazie sarebbe bastato. Nessuna parola sarebbe mai stata abbastanza per esprimere quella gratitudine immensa che impregnava la sua pelle e risplendeva nei suoi occhi. Lacrime di gioia, e, per una volta, non di dolore, lacrime piene di qualcosa di così forte e potente che si poteva identificare con una sola parola.
 
Amore.
 
- Grazie. – Le lacrime scesero su tutto il camice dell’anziana signora, che non poté fare a meno di commuoversi di fronte a quella manifestazione d’affetto. Strinse la ragazza, senza farle male e tentando di non farle compiere movimenti bruschi.
- Grazie, grazie, grazie… – continuò a ripetere, come una mantra. Parole semplici, ma che acquistavano un valore inestimabile se dette con sincerità.
 
Con la stessa gioia e l’amore con cui una madre guarda il suo bambino.
 
Il suo bambino.
 
Il suo cucciolo stava bene.
 
Lo aveva percepito con la sua mano, che suo figlio era ancora con lei, in lei, dentro di lei.
- Herm. – la Grifondoro, sentendosi chiamare, alzò la testa e sciolse l’abbraccio con Madama Chips, vedendo la figura di Ginny, che probabilmente era arrivata in quello stesso istante.
La vista della sua migliore amica le provocò altre lacrime.
 
Ma quelle lacrime non bruciavano sulla pelle per il dolore, lacrime rinfrescavano il viso ed erano più leggere di un petalo di rosa.
 
- Ginny! – esclamò.
La rossa, accostatasi al letto, non aveva fatto in tempo ad aprire le braccia, che Hermione ci si era buttata dentro.
Era un abbraccio diverso da quelli che si erano scambiate negli ultimi mesi.
 
Stavolta, era un abbraccio di gioia.
 
- E’ stata molto fortunata. – mormorò a quel punto Madama Chips, recuperando il suo cipiglio severo. – Ha rischiato tanto, troppo. Non le avevo forse detto di stare attenta? – il suo tono grave allarmò Hermione che si portò una mano al ventre, non più piatto, ma dove si cominciava a intravedere una piccola protuberanza, lieve, ma era il segno che il suo bambino stava crescendo. Che era vivo.
- Non aveva previsto che potesse accadere… una cosa del genere. – mormorò Hermione, con fatica, rievocando l’incontro tra Harry e Draco. – Ho visto il sangue. – aggiunse poi. – Ero così spaventata…
- Parte del sangue era dovuto alla ferita alla testa, ma non tutto. Ha rischiato sul serio di perdere il bambino, signorina Granger, e se il signor Malfoy non l’avesse portata qui immediatamente, non so se avrei potuto fare qualcosa.
- Cosa ha detto? – la reazione di Hermione alle parole di Madama Chips fece rabbuiare Ginny, ma non se ne rese conto.
- Ho detto che non so se avrei potuto fare…
- Draco mi ha portato qui? È stato lui? – se il suo interesse insospettì Madama Chips, lei non lo diede a vedere. La donna si limitò ad alzare un sopracciglio, senza porle alcuna domanda.
- Sì. – rispose semplicemente, alzandosi dalla sedia. – Signorina Weasley, le concedo dieci minuti. Dopodiché dovrà tornare al suo dormitorio, credo che abbia bisogno di riposo. – l’avvisò l’infermiera, attenta alla salute dei suoi studenti.
Soltanto dopo le parole di Madama Chips, Hermione si accorse delle grosse occhiaie che circondavano gli occhi di Ginny e dell’aspetto bianco e cadaverico che aveva assunto il suo viso: sembrava che non avesse dormito per alcune notti.
- Che ore sono? – chiese Hermione per poter fare chiarezza nella sua mente.
- Le tre del mattino. – rispose atona l’amica.
- Cosa? Ginny, ma che ci fai qui? Dovresti dormire! Non puoi…
- Herm, ti prego... – sussurrò, flebilmente.
La sua voce risuonò stanca e lontana.
 
Ti prego.
 
Fu quella piccola parola che fece acquietare Hermione, che rivolse uno sguardo strano alla giovane Weasley, non capendo il motivo del suo sussurro.
- Ho chiesto io a Madama Chips di avvisarmi quando tu ti saresti svegliata, indipendentemente dall’orario. – spiegò poi.
- Ginny. – la richiamò Hermione. – Credo che dovresti andare a dormire. – le sussurrò, dolcemente, sapendo quanto dovesse essere stanca.
- Ero così preoccupata per te. – continuò invece la rossa, senza dar segno di averla sentita. – Harry, Ron, Luna, Neville, persino Dean, tutti sono preoccupati per te! – esclamò poi, come se si fosse ripresa in quel momento. – E non puoi dirmi di andare a dormire, perché non lo farò!
- Non volevo farvi preoccupare. Mi disp…  – era già pronta a scusarsi in tutte le lingue che conosceva, ma Ginny la interruppe con tono fermo.
- Non devi chiedermi scusa, Herm! Tu non hai nessun motivo per cui scusarti! – sbottò, stringendo le mani in un pugno. – Quello che io non capisco è come… – si passò una mano sugli occhi come se le fosse diventato improvvisamente difficile parlare. – …tu possa provare ancora affetto per…per…
Non terminò la frase, ma non ci voleva poi molto per indovinare di chi stesse parlando.
- Per Merlino! Per colpa sua, hai quasi perso il bambino! – esclamò stavolta Ginny, con un rancore nel tono di voce impressionante.
Hermione boccheggiò, ferita dalle sue parole.
Ma… per quanto facesse male… aveva ragione.
Allora perché non riusciva a vederla in quel modo?
La risposta era così semplice e chiara da intimorirla per la sua intensità.
 
Perché lo amava. Lo amava nonostante il dolore, nonostante la sofferenza, nonostante tutto.
 
Era un amore che non si poteva spiegare, un amore per cui non servivano spiegazioni.
 
L’amore ha le sue ragioni, che la ragione non è in grado di comprendere.*
 
- È stato un incidente. – sbottò a quel punto la più grande delle due ragazze.
- Un incidente… – ripeté allora la piccola Weasley, con uno sbuffo tutto fuorché divertito. – Poteva essere fatale questo incidente.
La Caposcuola non replicò, mordendosi l’interno della guancia, consapevole di quanto Ginny avesse ragione. Perché se per un triste caso della sorte, un brutto e malevolo scherzo del destino, Hermione avesse seriamente perso il bambino, era certa che non sarebbe riuscita a perdonare Draco.
 
Neanche se fosse stato un incidente.  
 
- Dobbiamo parlare di Ron. – mormorò poi Ginny, dopo un minuto che parve infinito.
- Di Ron? – domandò Hermione, totalmente spiazzata dal cambio di argomento repentino e dall’espressione triste di Ginny.
- Sì, proprio di lui. – rispose. Aspetto un po’ di tempo prima di parlare ancora, tanto che Hermione si sentì in dovere di chiedere, in modo incerto:
- Gli è… successo qualcosa?
- No, niente del genere, anche se sarebbe stato meglio. – sussurrò, con gli occhi velati di lacrime. – Possibile che tu non te ne sia ancora accorta, Hermione?
- Di cosa?
- Vi ho visti in Sala Grande. – chiarì allora Ginny. – Vi hanno visti tutti.
Quando Hermione capì a cosa si stesse riferendo, spalancò gli occhi non credendo alle sue orecchie.
- Ma… era solo un abbraccio, Ginny! Tra me e Ron…
 
Non c’è niente.
 
- Forse era solo un abbraccio per te. – la corresse, interrompendola. – Ma di certo non per mio fratello.
- Ginny, ti stai sbagliando. – rispose ostinatamente la Caposcuola, convinta delle sue parole. – Ron è il mio migliore amico, sono cresciuta insieme a lui, gli voglio un bene immenso! L’ho abbracciato perché gli voglio bene! Non… non ci sono mai stati confini netti tra noi. Abbiamo sempre espresso il nostro affetto l’uno per l’altra e…
- Non capisci, Hermione… - sussurrò Ginny, senza energia. – …quello che lui prova per te?
L’immagine di Ron attraversò la mente di Hermione e la ragazza per un istante vide quel ragazzino impacciato, con gli occhi che ricordavano un oceano, sempre pronto ad arrossire per tutto e che mangiava più di un intero esercito. Un sorriso spontaneo nacque sulle sue labbra, senza che potesse impedirlo.

Tra me e Ron non c’è niente.

Se lo era ripetuto tante volte nella sua mente, eppure anche Hermione si rendeva conto che quella con Ron era molto più di un’amicizia, era un sentimento ancora più puro, qualcosa che si avvicinava all’amore, ma che non si poteva definire tale. Erano fratelli, uniti dalla sorte e dalle avversità che avevano affrontato, forgiati dalle incomprensioni superate e dalle vicende passate. Per lei era questo: un fratello.
- Ginny, io…
- Herm, lo so che tra voi non ci sono mai stati confini, ma forse… – faticò, nel trovare le giuste parole. – … forse è il caso di metterli prima che qualcuno si faccia del male.
Appena terminò la frase, Ginny si alzò, stanca e combattuta tra il desiderio di restare lì e quello di dormire, ma quando poi sentì Madama Chips tornare, decise che era meglio andarsene e non farla arrabbiare.
- Buonanotte. – salutò la sua migliore amica con quella semplice parola, come se non le avesse appena messo in testa dei grandissimi dubbi.
- Buonanotte. – rispose Hermione, completamente assente.
 
Forse è il caso di metterli prima che qualcuno si faccia del male.
 
 
 
 
 







 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
Angolo ritardatrice
 
* Citazione di Pascal
 
Salve!!!!! Sono in ritardo vero?
*Che domande fai Flors? Certo che sei in ritardo!*
Ma io…ho tanto da studiare, ho circa quattordici compiti e…
*Non hai scuse per il tuo comportamento! Smettila di giustificarti!*
 
Perdono!!!!! Mi dispiace tanto, mi maledico, anzi mi frusto! Non sono riuscita ad aggiornare prima, avevo detto che al massimo avrei postato tra dieci giorni e invece sono passate due settimane….potrete mai perdonare questa piccola pazza? :( Vi giuro che se avessi più tempo, posterei un capitolo alla settimana, anche due! Purtroppo credo che dovrò aspettare l’estate per questo, lì almeno il tempo non mi mancherà! ^_^
Beh…sperando che possiate perdonarmi, passiamo alla storia.
 
Punto uno: Innanzitutto se la fine di questo capitolo può risultarvi spezzata o in sospeso è perché ho diviso il capitolo in due parti. All’inizio doveva essere un capitolo unico, ma poi veniva troppo lungo, così ho deciso di dividerlo.
Il prossimo è già interamente scritto, dato che inizialmente doveva essere un intero capitolo, quindi non credo che ci saranno ritardi. Stavolta dovrei farcela ad aggiornare in orario! ^_^
 
Punto due: Ero molto indecisa sulla sorte del bambino, poi però ho letto le vostre recensioni e ho capito che non potevo deludere le vostre speranze, e soprattutto non potevo far morire il cucciolo, a cui mi sono affezionata anch’io, come voi :D Quindi ho deciso di farlo vivere, ma non solo per questo. Se il bambino fosse morto non credo che Hermione sarebbe mai riuscita a perdonare Draco. In fondo è colpa del ragazzo se è successo quello che è successo, e se davvero ci fosse stato un aborto naturale, dubito che anche con l’affetto più immenso che possa esistere, si possa perdonare una cosa del genere. Inoltre non volevo che mi lanciasse troppe maledizioni, come la volta scorsa xD
 
Punto tre:Mi sono dimenticata cosa volevo dirvi…Boh…mi verrà in mente.
 
Punto quattro: Ma…ma voi volete farmi morire….Lo scorso capitolo ha ricevuto 20 recensioni + un commento breve, quindi 21!
Io sono svenuta per davvero! Insomma, mi è venuto un infarto! (Per la gioia ovviamente) Non me l’aspettavo, io…..io non so proprio cosa dire se non….Grazie, grazie, grazie, grazie! Non avevo mai ricevuto così tante recensioni, io non ho parole davvero, mi sento così felice che potrei persino dare un bacio a mio fratello! (Il che è tutto da dire…)
Quindi il minimo che posso fare è ringraziare tutte quelle dolcissime ragazze (Ci sono per caso dei maschietti? Se è così, vi chiedo scusa, non voglio offendervi), che mi hanno lasciato una recensione o un commento breve: Yumi_Love_Zexy, Shaunee Black, Anjhela91, MouMollelingua, Black_Yumi, LUNAPOP, la_marty, Stella94, Felpick93, UraniaSloanus, Missboxer, K a t n i s s, elisadi80, blair_87, Puffa92, elygil91, aladoni, cranium, DracoMattyMalfoy e infine EmmaTom.
Un altro ringraziamento va a Harry Potterish, perché mi sostiene sempre e mi sopporta nonostante i miei scleri.
E infine voglio tanto ringraziare Yumi_Love_Zexy e di nuovo DracoMattyMalfoy per aver segnalato la mia storia all’amministrazione per l’inserimento della storia tra le scelte. Non finirò mai tra quelle storie fantastiche, ma vi ringrazio tantissimo per il pensiero. Mi avete commossa :)
Un grazie va anche a tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite/le preferite/le ricordate o anche a chi ha solo dato una sbirciata.
Ooook ho fatto un milione di ringraziamenti, ma ogni singola persona che ho ringraziato, se lo meritava quindi sono felice di averlo fatto ^^
Aggiornerò presto, e stavolta cercherò di farlo sul serio, perché come ho già detto prima il capitolo è pronto, devo solo revisionarlo e correggerlo da eventuali errori.
Detto questo, passo e chiudo, sperando che il capitolo vi piaccia e che lascerete una piccola recensione, anche negativa :D
La vostra pazza,
flors99

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Capitolo 11
*** Borders (Second Part) ***


Il vento gelido le sferzò il viso. Pansy Parkinson, costretta ad alzarsi per non morire assiderata, con uno sbuffo abbandonò il suo letto caldo e comodo e si apprestò a chiudere la finestra che quella pazza della sua ormai-quasi-ex amica aveva osato aprire.
Imprecando e grugnendo sbatté le ante della finestra, con violenza, completamente e totalmente incazzata. Alzarsi alle tre di notte per l’ennesima volta e dover chiudere quella maledetta finestra per l’ennesima volta a causa del vento gelido non era proprio il suo passatempo preferito. Per sicurezza andò anche nella Sala Comune e controllò che nessuno spiraglio d’aria avesse la possibilità di trapelare nel dormitorio, e soprattutto che tutte le finestre fosse chiuse, casomai a quella pazza fosse venuto in mente di aprire anche quelle. Con i capelli scompigliati e gli occhi assonnati, la Serpeverde imprecò quando per poco non cadde per terra, inciampando, e per non far uscire più di un improperio dalla sua bocca, fu costretta a mordersi la mano.
- Pansy, perché hai chiuso? – mormorò assonnata una voce che era entrata in quell’istante nella Sala Comune.
- Scusa se non sono un orso polare come te, Daphne. – il tono arrivò leggermente acido e seccato alle orecchie di Daphne.
- Come siamo nervose, eh?
- Come osi fare dell’ironia? – ringhiò la mora, arrabbiata nera. – Se sei ancora viva è perché sono troppo stanca, dato che TU mi hai fatto alzare alle TRE del mattino, perché TU hai sempre caldo e apri la finestra a dicembre!
- Shhh! Abbassa la voce, stupida! Ti sentiranno tutti! – la reguardì l’altra, che non comprendeva come potesse Pansy avere così tanto freddo a dicembre.
- Non m’interessa se ci sentono tutti! È bene che sappiano anche loro cosa hai fatto!
- Sei di malumore, Pansy? – osservò Daphne, accigliandosi.
- No! – sbraitò l’amica, stendendosi sul divano, con una smorfia imbronciata. Non rispose altro, finché non percepì l’abbassamento del divano sotto la pressione esercitata dal corpo di Daphne.
- Cosa hai, Pansy? – la bionda si stropicciò gli occhi, stanca, cercando di mettere a fuoco il volto dell’amica.
- Uhm. – borbottò la mora, imbronciandosi ancora di più.
- Sembri di cattivo umore. – la riprese Daphne, cercando di capire il perché di quella faccia, che la faceva assomigliare veramente a un carlino.
- Uhm. – ripeté nuovamente Pansy, fissando un punto indefinito.
- Beh? La smetti di uhmmare, grazie? – la pazienza, per Daphne, non era decisamente di casa. Per questo dopo l’ennesimo uhm dell’amica afferrò un cuscino e glielo tirò addosso, a tradimento.
Mai colpire Pansy con un cuscino. Mai colpire Pansy con un cuscino dopo che si è alzata per chiudere la finestra. Mai colpire Pansy con un cuscino dopo che si è alzata per chiudere la finestra, alle tre di notte.

Mai.

- DAPHNE!
Pansy si alzò di scatto con uno sguardo omicida, lanciando fulmini e saette. Digrignò i denti, completamente infuriata, come un drago che si prepara alla battaglia, o, nel suo caso, si preparava a uccidere la ragazza seduta di fronte a lei.
- Come osi colpirmi con un cuscino?! – ringhiò.
- Suvvia… È soltanto un cusc… – Daphne non finì di parlare, perché il viso dell’amica subì una metamorfosi.  
L’espressione di Pansy si ammorbidì e la ragazza assunse un sorriso angelico, che la faceva sembrare una bambina dolce e gentile. Ma per chi la conosceva, sapeva alla perfezione che quello non era affatto un sorriso dolce o gentile, era semplicemente l’annunciatore di una fine imminente per il destinatario di quello sguardo. Era qualcosa di estremamente inquietante vedere Pansy assumere quell’espressione angelica e fintamente innocente, tanto che Daphne indietreggiò appena, per poi ricomporsi per non mostrare il suo timore.
- Daphne, carissima…  – esordì Pansy, prendendo di nascosto la bacchetta, dalla quale non si separava mai. – Ti ho mai detto quanto siano splendenti i tuoi capelli?
La bionda, leggermente spiazzata, aggrottò le sopracciglia nello stesso istante in cui Pansy agitava la bacchetta e pronunciava un incantesimo non verbale.
- Pansy, cosa avresti intenzione di… – Daphne, non terminò il discorso perché si ritrovò una gallina sopra la sua testa, con tanto di nido. Inizialmente la ragazza non se ne rese neanche conto, ma quando si toccò la testa, per capire il motivo del suo appesantimento e si ritrovò a stringere un’ala, un’ala?, rimase impietrita. Il suddetto animale emise un verso di dolore e Daphne ritirò la mano, ancora immobile come una statua.
- Pansy…  – la richiamò con calma innaturale. – Perché la mia testa fa coccodè?
Vedendo che non accennava a rispondere, si azzardò a guardarla e capì il motivo della sua mancata risposta: Pansy cercava in tutti i modi di non scoppiare a ridere, anche se il ghigno serpentesco era ben visibile sul suo viso.
- PANSY! – gridò, lanciando un urlo, in parte pieno di rabbia, in parte di preoccupazione.
- Chi è che non doveva urlare?
Con un ringhio rabbioso Daphne afferrò l’animale e lo scagliò più lontano che poté. Quando vide di cosa si trattava represse un conato di vomito.
- Pansy Parkinson, sei morta.
La risata che ebbe in risposta la fece infuriare ancora di più.
Si tolse ciò che rimaneva del nido sulla sua testa, constatando con orrore, che i suoi capelli erano pieni di piume.
- Che schifo! Oddio! – Daphne, disgustata, cominciò a togliersi le piume, gettandole sul pavimento. Se c’era una cosa che Daphne odiava quella erano proprio le piume, oltre che a Blaise Zabini ovviamente.
- Da… stai sporcando tutto il pavimento! – il ragazzo appena citato, entrò in quell’istante nella Sala Comune, svegliato da quel gran baccano. Il moro si ritrovò una gallina tra le gambe, poiché la povera creatura tentava di ripararsi dalla furia di Daphne.
Blaise, troppo assonnato per capire alcunché, si limitò a guardare quel pennuto rifugiatosi dietro di lui e a scrollare le spalle, ritornando a guardare le sue compagne di casa.
- Da, ma che stai facendo?
La bionda stava per rispondergli a tono, ma quando alzò lo sguardo su di lui, perse l’uso della parola. Se Pansy appena sveglia era una cosa inquietante, Blaise assomigliava a un bambino. I suoi occhi blu erano l’unica cosa che spiccava nella penombra della Sala, ma sembravano così intensi e così enormi che Daphne riabbassò lo sguardo, con una strana sensazione.
- Pansy, dì a Blaise di non chiamarmi così. – si limitò a borbottare.
La ragazza si voltò sorniona verso il Serpeverde, ben felice di fare da interprete tra i due.
- Blaise, Daphne ha detto di non chiamarla così.
- Dì a Daphne che non è colpa mia se lei non apprezza le mie idee artistiche sul suo nome.
Pansy si rivolse all’amica, che continuare a togliersi quelle stupide piume che aveva in testa, e cominciò a riferire:
- Daphne, Blaise dice che…
- Dì a quel cretino che le sue non sono idee artistiche! Sono idiozie! – la bionda si accalorò immediatamente. Quelle piume avrebbero fatto perdere la pazienza a chiunque e lei ne aveva ben poca.
Pansy ridacchiò e riferì il tutto a Blaise.
- I geni sono sempre incompresi… – mormorò per tutta risposta Blaise, con tono melodrammatico.
- Daphne, Blaise dice che i geni…
- Ho sentito! – esclamò la bionda, rossa in viso per lo sforzo di districare i suoi capelli, da quelle penne disgustose.
- Blaise, Daphne ha detto che prova un’irresistibile attrazione per te e...
- Co… Non è assolutamente vero! – urlò isterica la bionda Serpeverde.
Blaise e Pansy scoppiarono a ridere come matti alla sua espressione scandalizzata e completamente rossa.
- Tranquilla, Da. So cosa provi per me, ma che sei troppo timida per ammetterlo.
- Stai zitto! – sbottò malamente la ragazza. – Pansy, aiutami con queste dannate piume!
Con un’ultima risata, la mora si alzò dal divano e cominciò a sfilare una a una le piume dai soffici crini dorati, che le aveva sempre invidiato. Era un po’ pentita del suo piccolo scherzetto, tuttavia in questo modo almeno era sicura che Daphne non avrebbe mai più aperto le finestre a dicembre per qualche tempo.
- Sai, Da... sei un orrore. – constatò il ragazzo, dopo un’attenta riflessione.
- Blaise, hai la minima idea di cosa sia il tatto?
- Ragazzi, su, smettetela! Daphne, stai ferma! Non riesco a toglierle! – li rimbrottò Pansy, dopo l’ennesimo tentativo di districare i capelli. Capendo che in quel modo non avrebbe ottenuto nulla, scocciata, tirò fuori la bacchetta, pronunciando un incantesimo che fece scomparire le piume in un attimo e sistemare il pollaio che si era venuto a creare sulla testa di Daphne.
- Fatto!
Se Daphne sorrise felice, Blaise non sembrò per niente contento del risultato. Con un’espressione corrucciata fissò la bionda, con sguardo assolutamente critico.
- Stavi meglio prima. – borbottò.
Daphne lo ignorò bellamente e diresse la sua attenzione verso Pansy, che era tornata alla sua precedente occupazione. Ovvero: il divano. Si limitò a fissarla insistentemente, aspettando che fosse lei a parlare; non si era dimenticata del malumore dell’amica ed era ben più che decisa a conoscerne la ragione. Pansy, capendo che non sarebbe riuscita a scrollarsela di dosso, finché non le avesse rivelato il motivo del suo cruccio, sbuffò sonoramente, bisbigliando imprecazioni.
- Potresti essere più chiara? – la rimbeccò Daphne.
- E va bene! – sbottò infine la ragazza. – Ieri, dovevamo consegnare la ricerca per Trasfigurazione, no? – si decise finalmente a parlare.
- Sì, e allora?
- Ed era l’ultimo giorno, no?
- Sì… e allora? – ripeté Daphne, che davvero non riusciva a immaginare cosa fosse potuto succedere per far irritare a tal punto Pansy; non che la Serpeverde vantasse chissà quale pazienza, comunque.
- E allora non l’ho consegnata, ok? – sbottò spazientita l’amica, mentre si accigliava nuovamente.
- Ma non l’avevi fatta? – chiese stranita l’amica, che ricordava perfettamente di aver visto la pergamena scritta e il compito finito.
- Sì, ma non era conclusa, l’ho finita ieri sera, ma era troppo tardi per poterla consegnare!
- E da quando ti interessa qualcosa dei tuoi voti? – domandò a quel punto Blaise, piuttosto scettico.
- Da quando ho preso due Troll e una D, ecco da quando!
Daphne scosse la testa.
- Ma come si fa a prendere T a trasfigurazione? È semplicissima! – constatò, assumendo un cipiglio particolarmente saccente, che assomigliava, in modo inquietante, a quello di Hermione Granger.
- Daphne, tappati quella bocca.
- Io non credo sia un problema, Pansy. – la voce tranquilla e serena di Blaise la sorprese. Lo guardò con un sopracciglio interrogativo, chiedendosi cosa intendesse dire. Daphne finse di guardarsi le unghie, anche se in realtà era interessata, per una volta, a quello che stava dicendo il Serpeverde.
- Quando ieri la McGranitt ha ritirato le ricerche, a fine lezione non le ha portate con sé, anche se non so il perché. Penso proprio che le abbia lasciate all’interno dell’aula e dato che oggi non abbiamo avuto lezione di Trasfigurazione… – lasciò la frase in sospeso, aspettando che Pansy comprendesse la logica del discorso.
- Blaise, cosa vorresti dire? – gli chiese Daphne, guardinga.
- Voglio dire che se qualcuno andasse nell’aula di Trasfigurazione, potrebbe aggiungere la tua ricerca a quella degli altri e far finta di nulla! – concluse, soddisfatto della sua idea.
- Co… Ma sei impazzito? Sono le tre di notte! E poi… Blaise Zabini, stai dicendo che vorresti entrare nell’ufficio della McGranitt per una cavolo di ricerca?! E se se ne accorgesse?! Ho già avuto abbastanza richiami quest’anno e poi… sono le tre di notte! – ripeté Pansy, con gli occhi fuori dalle orbite.  
- Appunto, chi vuoi che ci sia alle tre di notte nell’aula? – chiese retoricamente.
- No, no, no, no e ancora no! Tu sei pazzo! Ma come ti è venuto in mente? E se qualcuno mi scoprisse? No, non farò una cosa simile, no!
- Devi solo mettere la ricerca insieme a quelle degli altri, non ci vorrà neanche un minuto! – replicò Blaise, convinto del suo geniale piano.
- No! No, non me la sento. Assolutamente no! E nessuno di voi la farà, chiaro, Blaise? Chiaro, Daphne?
- … -
- Daphne? – Pansy la richiamò, stranamente preoccupata. E quando la osservò bene, si preoccupò ancora di più.
Daphne stava sorridendo. Ma non era uno di quei sorrisi dolci che facevano sembrare il suo viso tenero e spensierato. No…
Improvvisamente Pansy ebbe una chiara visione di chi fosse la sua amica. E con questo non si intende dire che Daphne Greengrass fosse una delle ragazze più belle della scuola, capace di far cadere ai suoi piedi tutti gli studenti di Hogwarts, di ogni casa o età che fossero. Non si parla neppure della Daphne sempre pronta a lanciare insulti e improperi decisamente poco adatti ad una ragazza.
La ragazza con corna, forcone, e un sorriso che andava da orecchio a orecchio e che avrebbe fatto impallidire una manticora, altri non era che un piccolo demonio biondo con un sorriso tanto sadico da far indietreggiare Pansy.
- D-daphne?
Senza dire una parola la Serpeverde si alzò dal divano e si diresse verso la stanza che divideva con Pansy e altre due studentesse. Ritornò dopo pochissimo tempo, con la pergamena che racchiudeva la ricerca di Pansy.
- No! No, Daphne assolutamente, no! – esclamò a quel punto Pansy, intuendo quello che voleva fare.
Inutile dire che le sue parole furono vane. Perché se c’era una cosa che Daphne amava, quelle erano le sfide. Nessuno aveva mai avuto il coraggio di entrare nel cuore della notte nell’ufficio della McGranitt e lei voleva assolutamente aggiudicarsi quel primato: era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare.
- Daphne, cerca di ragionare. Non puoi davvero prendere in considerazione un simile ide…
- Avanti, Pansy! Andiamo. – la interruppe la bionda.
- Assolutamente no! Non verrò con te, no, no, no! Anzi, non andrai neanche tu! – la ragazza cercò di afferrare la sua ricerca, ma Daphne glielo impedì.
- Ho detto di no! Dammi la ricerca o mi metto a urlare e sveglio tutto il dormitorio! – la minacciò.
Silencio.
La voce di Pansy si affievolì pian piano, fino a scomparire e Daphne, vittoriosa, la fissò mentre lanciava insulti non udibili, con un ghigno decisamente poco rassicurante. Una piccola rivincita per lo scherzetto delle piume.
- Blaise, vieni con me.
- Oh no, te lo scordi! – il ragazzo preso alla sprovvista cominciò a dondolarsi sui talloni, accorgendosi della gallina che si rifugiava dietro di lui e con tutta la delicatezza possibile la scostò da sé e la allontanò, facendola girovagare per il dormitorio.
- Blaise…
- No, Daphne, non riuscirai a convincermi, no! – scosse la testa con convinzione, gesticolando.
- Blaise…
- Quando l’ho proposto a Pansy, non volevo certo andarci di mezzo io, quindi no!
- Blaise…
- No, no, no, no, io non cambio mai idea! Quando dico di no è NO!
 
 

 
 
Era inutile tentare di addormentarsi nuovamente. Il torpore che l’avvolgeva fino a poco prima era del tutto scomparso, spazzato via da altri pensieri, travolto dalle parole di Ginny.
Hermione non aveva mai pensato alla possibilità che Ron potesse rappresentare più di un semplice amico per lei. O meglio, aveva nutrito un sentimento per lui in passato e per un certo periodo aveva anche creduto di amarlo, ma poi le era semplicemente passata, era un'emozione scemata velocemente, che non si era mai realizzata.
Possibile che non avesse pensato all’eventualità che forse Ron non la pensava così?
Con uno sbuffo infastidito, la ragazza scosse la testa.
Doveva risolvere al più presto le cose e non aveva la minima idea di come fare. Tutto ciò che aveva sempre progettato per la sua vita era stato spazzato via in un istante: aveva troppi problemi da risolvere, troppe bugie da smentire, troppi ostacoli da superare, semplicemente… troppo. Non poteva continuare così. Le bugie raccontate la stavano distruggendo lentamente: lei, che era sempre stata sostenitrice della lealtà, soprattutto con i suoi migliori amici, con le persone a cui teneva di più al mondo, si era ritrovata sommersa da una vera e propria valanga di eventi, cominciati con una bugia e poi sfociati in qualcosa di troppo grande per poterlo controllare. Con un gemito si prese la testa tra le mani, completamente indecisa, totalmente confusa e distrutta. Avrebbe tanto voluto alzarsi dal letto, ma Madama Chips le aveva ordinato di restare in Infermeria e di non azzardarsi a sgattaiolare via, durante la notte. Non le rimaneva altro da fare che restare così, con gli occhi rivolti a fissare il soffitto avvolto dal buio, tormentata dalle sue insicurezze e dai suoi pensieri.
Il soffio del vento la infreddolì. Il suo sguardo saettò verso la finestra, che vide stranamente chiusa. Eppure era sicura di aver sentito un fruscio, come qualcosa che si spostava o forse come… qualcuno che entrava di soppiatto.
Si alzò a sedere e le coperte le scivolarono di dosso.
- Ginny? – chiese al buio di fronte a sé, cercando di capire chi si fosse intrufolato nella stanza. – Harry?… Ron? – provò nuovamente, quando come risposta ricevette il rumore di qualcuno che si spostava.
La ragazza cominciò ad agitarsi, ma il suo autocontrollo le permise di rimanere ferma e immobile con lo sguardo fisso davanti a sé. Cercò la sua bacchetta per poter far luce, ma non la trovò, ricordandosi che Madama Chips gliel’aveva tolta per evitare che lei facesse pazzie, a detta sua. Probabilmente voleva costringerla a rimanere in Infermeria, ben sapendo che Hermione non sarebbe tornata al suo dormitorio senza la bacchetta.
La Grifondoro si morse un labbro, leggermente nervosa. Nessuno degli studenti presenti a Hogwarts avrebbe avuto motivo di intrufolarsi in Infermeria nel cuore della notte per farle del male, ma sapere di non avere neanche la bacchetta e, quindi di non avere alcuna possibilità di difesa, la faceva sentire troppo esposta e vulnerabile.
- Madama Chips? – fece un ultimo tentativo chiamando l’infermiera, anche se sapeva che l’anziana signora in quel momento probabilmente stava dormendo profondamente, al contrario di lei, sveglia e vigile.
L’ombra si mosse e Hermione cominciò a sudare freddo.
Con gli occhi più aguzzati che mai seguì il movimento e capì che chiunque fosse entrato stava per premere l’interruttore della luce.
- Chi sei, per Godric? – scoppiò la ragazza, frustata da quell’attesa.
L’interruttore fu alzato e la luce si diffuse in tutta la stanza.
- Uhm… – mugolò Hermione in segno di protesta a quella luce inaspettata. Si stropicciò gli occhi, che, abituati al buio, si erano serrati prima che potesse impedirlo. Li aprì lentamente e per un attimo non vide niente. Strisce gialle e arancioni intervallarono la sua vista, ancora accecata dalla lampada al centro della stanza. Dopo pochi secondi riuscì a mettere a fuoco la persona davanti a lei.
 
Forse, sarebbe stato meglio tenere gli occhi chiusi.
 
Draco Malfoy la stava fissando con uno sguardo che Hermione non gli aveva mai visto.
 
 

 
 
Ginny ebbe non poche difficoltà a tornare al suo dormitorio. Faticò nel trovare la strada giusta, intontita e assonnata com'era, fu inoltre fermata dall'antipatico quadro, che, a quanto pareva, non aveva nulla di meglio da fare che mettersi ad attaccar bottone con gli studenti nel cuore della notte.
- Ma le sembra questa l’ora di andare a dormire? – la Signora Grassa difficilmente si faceva gli affari suoi e non si risparmiò di farle una bella ramanzina per l’ora tarda a cui la Grifondoro stava rientrando. – Io alla sua età non facevo certo baldoria fino alle tre di notte!
La rossa fissò il ritratto come se volesse incenerirlo, ma non trovando la minima forza per farlo. Era stanchissima.
- Dovreste vergognarvi, voi giovani! Sempre a combinar…
- Le ho mai detto che ha una splendida voce? – Ginny fece il sorriso più dolce che riuscì a trovare e sebbene la sua voce fosse la più falsa che si fosse mai sentita, la Signora Grassa sembrò apprezzare quel finto complimento e la lasciò passare di buon grado, cessando immediatamente le sue lamentele e lasciando passare la ragazza dopo che ebbe sussurrato la parola d’ordine.
Con uno sbadiglio che non riuscì del tutto a nascondere, Ginny si diresse verso la sua camera, quando ad un tratto la luce della Sala Comune si accese.
- Hei… – un sussurro la risvegliò all’istante e la ragazza si voltò.
- Ron! – esclamò, sorpresa di trovarsi davanti il fratello. – Ma… che fai sveglio? Dovresti dormire!
- Potrei farti la stessa domanda, Ginny. – la interruppe, con tono atono. – E anche tu dovresti dormire. – mormorò, passandosi una mano tra i capelli.
Ginny si dondolò sui talloni, incerta su cosa dire e leggermente stranita dal fatto che il fratello fosse ancora sveglio.
- Come sta? – la domanda di Ron rimase sospesa nel silenzio.
La giovane Weasley spalancò per un attimo gli occhi, non riuscendo a capire come avesse fatto Ron a scoprire che era andata da Hermione, ma poi si ricompose e non fece domande. Effettivamente dove, da chi, sarebbe potuta andare a quell’ora di notte?
- Sta bene. Domani potrà uscire. – borbottò, nascondendo il viso con i capelli e ignorando l’ormai familiare groppo alla gola che tornava a farle visita, ogniqualvolta si ritrovava a mentire o ad omettere una parte della verità – Ron, ma perché sei ancora sveglio? Dovresti…
- Ti ha detto qualcosa, Ginny? – le sussurrò allora il fratello, fissandola negli occhi. – Ha chiesto di… noi?
 
Ha chiesto di me?

L’espressione di Ron era dolorosa da vedere.
Dai suoi occhi traspariva una tale preoccupazione da far vibrare l’aria intorno a loro; il suo viso era pallido e smunto e profonde occhiaie contornavano i suoi occhi.
Per Ginny fu un pugno nello stomaco vederlo in quello stato.
- Era stanca e… non ha detto molto.
- Capisco. – il suo umore si fece ancora più cupo.
Ginny tentò di sorridergli, come a volergli far capire che sarebbe andato tutto bene: ma fu un sorriso malinconico, triste, indicatore del dolore che avrebbe colpito il fratello, una volta scoperta tutta la verità. Fu un sorriso falso, perché non vi era alcuna gioia al suo interno, solo dolore.

Bugiarda.

Fu in quel momento che Ginny ebbe una chiara percezione di quali fossero i reali sentimento del giovane Weasley. Ron amava dormire. Era di una pigrizia assoluta, capace di dormire per molte ore senza neppure accennare il più piccolo movimento. Ron amava mangiare. Fosse stato per lui si sarebbe rimpinzato tutto il tempo di cibo e dolci, se poi non gli avesse fatto male lo stomaco, colpito da un attacco di nausea.
Evidentemente amava di più Hermione, tanto da rinunciare a dormire e a mangiare. Poteva sembrare una cosa stupida, ma a Ginny sembrò la più grande dimostrazione d’affetto.
Gli occhi le s’inumidirono perché aveva compreso quanto fosse profondo il sentimento di Ron e soprattutto quanto sarebbe stata profonda la ferita che Hermione gli avrebbe inferto di lì a poco, rivelandogli della gravidanza.
 
Profonda e incancellabile.
 
Non sapendo cosa altro fare per lui e tentando di non scoppiare a piangere, gli si avvicinò e gli passò una mano tra i capelli rossi, proprio come faceva la loro mamma quando erano piccoli. Proprio come se volesse consolarlo, proteggerlo, da qualcosa che gli avrebbe fatto del male.
- Buonanotte, fratello. – sussurrò.
- Buonanotte, sorella. – rispose Ron divertito, dandole un buffetto sulla guancia e sorridendo, suo malgrado.
 
 


 
Lame.
 
Quante volte Hermione si era stupita di quanto potessero essere taglienti i suoi occhi?
 
Pugnali.
 
Quante volte si era stupita nel vedere che avevano il potere di far star male?
 
Armi.
 
Quante volte Hermione aveva capito che il vero potere di Malfoy non era racchiuso solo nel suo cognome, nel suo modo di fare o nella sua ricchezza, ma nei suoi occhi, nelle sue armi?
 
Corrosivo.
 
Era un potere che corrodeva, quello che Draco esercitava sulle persone: era un veleno che infettava il sangue e si propagava nelle vene lentamente, innocuo per i primi attimi, ma distruttivo e letale nel giro di poco tempo. Era agghiacciante la sensazione di panico che si provava quando Draco decideva di mettere in soggezione qualcuno, quando decideva di fargli del male. Guardare Malfoy negli occhi, senza mai abbassare lo sguardo, era un’impresa che nessuno aveva mai neanche provato a intraprendere. Erano semplicemente troppo freddi, troppo oscuri, troppo gelidi, quei maledetti occhi.
 
Assorbivano tutto e non rivelavano nulla.
 
Captavano ogni minima informazione e dettaglio, nonostante rimanessero sempre così perennemente ghiacciati, come se fossero soltanto pietre incastonate, senza alcuna fonte di luce al loro interno.
La ragazza si sentì letteralmente sotto esame, percepì quelle due pozze argentate scrutarla senza imbarazzo, né pudore, con calma inquietante e controllata e qualcosa d’indefinito al loro interno. 
 
E ferivano, lacerando il suo cuore con la punta affilata della lama.
 
Non un’emozione sembrava trasparire da quei pugnali che continuavano a fissarla, con insistenza, con violenza forse. Non una parola fuoriusciva dalle labbra del ragazzo, che le teneva ben serrate in una linea rigida e tesa.
Hermione si schiarì la voce, mentre gli occhi schizzavano impazziti da una parte all’altra della stanza, cercando di sfuggire alle sue armi pericolose e indagatrici. Dopo pochi minuti, lo scontro con le iridi di Draco fu inevitabile e le parve quasi di ricevere una frustata, tanto che trattenne a stento un singhiozzo.
 
Gli occhi di Malfoy. Non di Draco.
 
- C-come hai fatto a entrare? – Hermione chiese la prima cosa che le venne in mente, anche se i suoi pensieri vagavano in tutt’altra dimensione. Vedendo che il ragazzo non rispondeva, con una punta di esitazione, mischiata a curiosità, aggiunse. – Madama Chips ha detto che nessuno può…
- Non m’importa nulla di cosa ha detto quella vecchia fuori di testa. – la interruppe il Serpeverde, con tono affilato.
- Non offenderla! – la difese Hermione. – Cosa ci fai qui, piuttosto? – chiese, recuperando il suo cipiglio severo e il tono ostinato. – Eri preoccupato, Malfoy? – ironizzò, ignorando la stretta al cuore che desiderava ardentemente in una sincera risposta affermativa.
- Sì, Mezzosangue. – rispose Draco, con altrettanto sferzante sarcasmo. – Ero preoccupato per me. Quando la McGranitt ha saputo del nostro scontro, ha ben pensato di darmi la colpa, per il tuo incidente e mi ha assicurato una punizione se le tue condizioni di salute non fossero state ottimali. – spiegò, con impressionante ipocrisia. – Ma vedo che sei ancora viva e in grado di parlare. Per fortuna, o per sfortuna, dipende dai punti di vista.
La sincerità delle sue parole la ferirono, ancora una volta, ed Hermione incassò il colpo, con il cuore che singhiozzava disperatamente nella sua cassa toracica.
- Allora vattene. – si ritrovò a sibilare.
 
Parole difficili, anche se così brevi.
 
- Hai controllato che tutto fosse a posto, no? – esclamò Hermione, ringhiando quasi. – Hai ottenuto quello che volevi, giusto? Allora, vattene via. – ripeté.
 
Parole che servivano per mettere un confine.
 
Fu solo dopo che quelle sillabe fuoriuscirono dalla bocca della Grifondoro con rancorosa violenza, che gli occhi di Malfoy scivolarono via e lasciarono il posto a quelli di Draco. Era qualcosa di estremamente raro, avere questa occasione e, per Hermione, fu impossibile non ricordare la notte di circa un anno fa, quando per la prima volta, lo aveva visto davvero. Quando aveva capito che sotto tutta quella barriera c’era un cuore, pieno di pregiudizi, di schegge di vetro pronte a tagliare, ma pur sempre un cuore.
 
Assorbivano tutto e davano altrettanto in cambio.
 
E al posto del gelo stavolta c’era una ben chiara e definita emozione: rabbia. Una rabbia cieca trasfigurava il viso del ragazzo, rendendolo più inquietante del solito; ma non era un’ira dettata dai pregiudizi, dall’arroganza o dalla cattiveria.
 
Era una rabbia generata da una ferita lasciata aperta.
 
- E’ questo che vuoi, Mezzosangue?
Hermione strinse le lenzuola con gli occhi rivolti verso il muro, fino a farsi male alle mani per la stretta eccessiva, fino a farsi del male per il confine che stava ergendo. Ma lui non le permise di semplificare in quel modo le cose.
Con un movimento che lei non fu in grado di vedere, il ragazzo le afferrò la mano che lei aveva usato per passarsela sulla fronte, col tentativo mal celato di nascondere la sua stanchezza. Strinse il polso, una presa salda e fin troppo forte che la fece voltare verso il suo viso che ormai si trovava a una spanna dal suo.
 
La costringeva allo sguardo, a mentire davanti a suoi occhi, ad una sfida che avrebbe logorato entrambi.
 
- Vuoi che me ne vada? – era troppo vicino al suo viso, il suo respiro era troppo a ridosso del suo, i suoi occhi troppo confinanti.
 
Non avrebbe dovuto guardarla così.
 
Non avrebbe dovuto guardarla senza confini.
 
Ma quali erano, tra loro, i confini?
 
Come potevano esserci barriere dopo quello che era successo, con quella creatura che stava crescendo con lei, in lei, dentro di lei? E dove poteva mettere un confine sapendo che lui le aveva inferto il più grande dolore e donato la più grande gioia del mondo?
- Allora, Granger? Vuoi che me ne vada?
La voce assottigliata, le labbra strette in una linea rigida, la presa sul polso che si faceva più forte.
 
Un ordine.
 
Hermione si accigliò, contrariata per il suo tono perentorio e per quella stretta che le stava provocando dolore.
Era una domanda crudele quella di Draco: poteva sembrare un gioco, ma era molto di più: le chiedeva di esporsi, di scoprirsi, di cedere.
- Se l’unico motivo per cui sei venuto qui è per insultarmi, . Voglio che tu te ne vada. – mormorò allora Hermione. – Se l’unica cosa che ti interessa è che io sia viva, e per tua sfortuna lo sono, te ne puoi andare.
 
Non ti voglio così.
 
- Dammi un altro motivo per cui dovrei essere qui, Granger. – sibilò il ragazzo, lasciandole poi di scatto il polso e allontanandosi da lei, come se si fosse scottato.
- Magari un minimo di umanità! – gridò lei per tutta risposta, prima di tapparsi la bocca per il tono che aveva usato. Ci mancava solo che svegliasse qualcuno. – Visto che per colpa tua sono qui. – aggiunse poi, abbassando il più possibile la voce.
Draco sbattè le palpebre e la fissò per quello che le parve un tempo interminabile. Qualcosa di indefinito attraversò il suo sguardo, che fosse… un lampo di dispiacere?
- Ecco, parliamo di questo. – esordì a quel punto il ragazzo. – Parliamo del perché sei qui, Granger?
Hermione non comprese la sua domanda, inizialmente. Lo guardò aggrottando le sopracciglia, chiedendosi cosa intendesse dire: casomai, lei doveva chiedere a lui cosa ci facesse lì.
- Cosa?
- Ti ho chiesto perché sei in Infermeria, Mezzosangue.
E lei capì. Capì perché quando l’aveva fissata non aveva usato un tono cattivo o disprezzante. No, era stato ancora peggio. La sua voce era un misto di risentimento, di sospetto, dubbio, accusa. Capì perché appena pronunciate quelle parole, Draco si era irrigidito, come se cercasse qualcosa, ma allo stesso tempo sperasse di non trovarla. Capì semplicemente perché doveva capire.
- Perchè sei rimasta qui due giorni? – continuò Draco, come se Hermione non avesse capito cosa lui intendesse, quando invece aveva compreso fin troppo bene.
- Ho… ho battuto la testa. – bisbigliò.
- Cazzate! – ringhiò il Serpeverde. Il tono era salito e l’emozione che Draco tentava di nascondere fuoriusciva ormai da quella barriera, da quella difesa, che lui aveva posto tra sé e il mondo esterno. La rabbia traspariva da tutti i pori della sua pelle, come se fosse un torrente in piena. – Credi che sia così stupido? È questo che pensi? Beh, scusami tanto, Mezzosangue, se non sono come quegli straccioni dei tuoi amici!
 
Insulti e cattiverie, era quello che aveva sempre fatto.
 
Dettate dal dubbio, dal sospetto, dall’accusa.
 
- Non azzardarti a parlare di loro così!
 
Risposte determinate, occhi feroci, era quello che aveva sempre fatto.
 
Una difesa dettata dall’affetto, dal cuore.
 
- Senti, Granger, la pazienza ha un limite, ma non nel mio caso perché io, la pazienza, non so neanche cosa sia! Io parlo come mi pare e piace, ma non è questo il punto! – si corresse, cercando di arrivare al nocciolo della questione. – Voglio sapere da te che cosa è successo esattamente due giorni fa! Non ti ho colpito così forte, Mezzosangue! Era un incantesimo abbastanza debole e anche se non lo fosse stato, dubito fortemente che tutto quel sangue potesse provenire completamente dalla testa! Anche perché sennò in questo momento saresti in coma!
La mente di Hermione vorticò impazzita a quelle parole.
 
Quanto ha capito?
 
Hermione non rispose, ma con un movimento involontario la sua mano andò a ricoprire il ventre.
 
Quante volte aveva compiuto quel gesto senza rendersene conto?
 
Le sue dita si poggiarono sulla pancia e la ragazza si rilassò all’istante.
 
Quante volte quel gesto le aveva dato sicurezza?
 
Soltanto dopo che aveva compiuto lo spostamento, Hermione si rese conto che lo sguardo di Draco avevano seguito la traiettoria della sua mano. Ed ora era lì, immobile come una statua, con gli occhi sbarrati dallo stupore e dalla sorpresa, e la fissava allucinato, con terrificante sconcerto.
Hermione spalancò gli occhi a sua volta, accorgendosi del suo errore. Si coprì la pancia con il lenzuolo, come se potesse servire a qualcosa, ma la sua reazione peggiorò soltanto le cose.
 
Fu la conferma.
 
Riusciva quasi a vedere tutte le rotelle in movimento nel cervello di Draco, che probabilmente tentava di mettere insieme tutti i pezzi.
Avrebbe capito presto, senza che Hermione gli dicesse nulla.
Eppure non riuscì a tacere. Quelle parole nascoste dentro di sé, nel suo cuore, nei suoi occhi, radicate così in profondità da non riuscire più a scacciarle, uscirono dalle sue labbra.
Rotolarono via, come pietre, senza che lei riuscisse a frenarle.
- Sono incinta.
 
 
 







 
 
Angolino autrice
 
Un grosso bentornato a tutti coloro che continuano a leggere la mia storia e un grosso benvenuto a quelli che la leggono per la prima volta!
Ciao carissimi lettori!!!!!
Ho scoperto che gli elenchi a punti sono molto utili, almeno mi ricordo tutto quello che devo dirvi, anche se, come sapete, io sono un caso disperato e sono capace di dimenticarmi le cose anche in questo modo.
Punto 1:Comincerei con lo scusarmi per il ritardo, ma non voglio che con tutte queste scuse vi sentiate insultati nella vostra intelligenza (cosa che non mi permetterei mai di fare), ma è giusto farlo, anche se a voi sembrerà una presa in giro. Non prendetevela se anche stavolta rinnovo le solite patetiche giustificazioni, ma davvero, non lo faccio con cattiveria, è un periodo brutto, sia a casa, sia a scuola e questa settimana sono riuscita a stare al computer non più di cinque minuti.
Avevo detto che questo capitolo sarebbe arrivato prima e invece è arrivato dopo. Il fatto è che inizialmente il dialogo tra Draco e Hermione era molto meno sviluppato, quasi tirato via, e non potevo certo deludervi così! Ho riscritto l’ultima parte e questo spiega in parte il mio ritardo, per cui vi chiedo di nuovo scusa.Vi è piaciuta la parte con Draco e Hermione? Spero tanto di sì!
Maaaaa…..Tra venti giorni finisce la scuola! Finisce! Termina! Cessa! In poche parole…va a quel paese! E tanto saluti a tutti i professori e quei cavolo di voti! Vi prometto che da allora sarò molto più regolare ^____^
È solo il mese di maggio che è un po’ così….i professori all’ultimo minuto dicono: “Non ho voti”, come il nostro prof di matematica che il 17 maggio si è accorto che deve ancora fare un compito scritto e interrogare 25 poveri ragazzi, sfiniti da un anno scolastico. Ma insomma! A maggio gli alunni sono stanchi! Stanchi! Un po’ di pietà!
Punto 2:Questo capitolo non mi convince…Non so. Se non l’avessi diviso in due parti e se non dovesse essere la continuazione di quello che avevo già postato, probabilmente lo avrei già cancellato…. È che mi sembra che… non so, è come se ci fosse qualcosa che non va…Comunque aspetto i vostri pareri per sapere se vi è piaciuto! Se vedrò bandierine arancioni, capirò, non preoccupatevi.
Punto 3:Ed eccoci arrivati al capitolo della rivelazione! Ve lo aspettavate? Sì? No? Siete per caso arrabbiate con me, perché vi ho lasciato così? Lo so, sono perfida. Muhahaha! *Me malefica*  Secondo voi come la prenderà il nostro Draco? Per il momento è una statua immobile, ma nel prossimo capitolo si risveglierà, oh se si risveglierà! Ho già una mezza idea su come impostare la scena…
Punto 4:Secondo voi cosa combineranno Daphne e Blaise alla fine? Ho già in mente tutta la scena e vi assicuro che ci sarà una GROSSA sorpresa….ma non vi dirò quale!
Però potreste sempre tirare a indovinare….anche se…no, non penso che capirete quello che ho in mente! ^^^^^
Punto 5: Chi è il vostro personaggio preferito? C’è qualcuno che vorreste vedere più presente nella storia? O qualcuno che vorreste trucidare? Sono curiosa di scoprirlo!!! :D 
Punto 6: Questo è il punto dei ringraziamenti! Un punto essenziale. Dico davvero, non riuscirei a continuare a scrivere se non avessi voi lettori a sostenermi e a sopportarmi nonostante le mie pazzie.
Ringrazio tutti colori che hanno messo la mia storia tra  le seguite/preferite/ricordate, ma un GRAZIE enorme va a quelle dolcissime ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo: Harry Potterish, MadamaBumb, EmWeasley, Black_Yumi, la_marty, Stella94, Felpick93, aladoni, cranium, kirymagica, Simi462, sasoriza98, blair_87, elygil91, Just_debb e elisadi80. Mi fate così felice, grazie, grazie, grazie!!!!
Ma un grazie speciale va anche a quelle tre ragazze (Tre! Ancora non ci credo, è tantissimo per me!!!!) che hanno segnalato la mia storia per l’inserimento tra le scelte: DracoMattyMalfoy, Yumi_Love_Zexye Darleen. Grazie per aver anche solo pensato che meritassi un posto simile, mi avete reso la persona più felice della terra :)
Punto 7: Questo punto non c’entra nulla con la storia.
Stanotte ho sognato che usciva “Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo, il mare dei mostri” in film. (Lo so, faccio sogni strani) Insomma, mi chiedevo se qualcuna di voi sapeva se faranno il film o no, dato che il primo film è già uscito da un paio d’anni e da allora non hanno più dato alcuna notizia… 
Oooook dopo un’infinità di punti, credo che sia giusto lasciarvi in pace, con la speranza di aggiornare presto, anche se, siccome MI conosco, vi dico di non affidarvi alle mie parole, anche se forse stavolta potrei riuscire ad essere regolare perché in questi giorni la scuola è chiusa per tre giorni a causa del ballottaggio! Grazie elezioni del comune! Grazie…
A presto carissimi lettori,
flors99

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Capitolo 12
*** The First Time ***


 
Puff….Pant, uff…... arrivo!!!!!! Ciao a tutti!!!!
Metto un paio di note qui, il resto lo lascio in fondo al capitolo.
 
1. Sono veramente in un grosso ritardo e mi scuso tantissimo, per essere riuscita ad aggiornare solo ora. Fortunatamente tra una settimana la scuola finisce * Flors emette versi di gioia * e io non rischierò più di morire di stanchezza
2. Le parti in corsivo sono flashback. Penso che si capisca, ma per evitare errori, ho messo questa nota a inizio capitolo :) 
3. Ultima nota prima di lasciarvi in pace e farvi leggere il capitolo.
Vi ho fatto una Sorpresona! Anzi….due! Quasi tutto il capitolo è dal punto di vista di Draco, così per una buona volta si capiranno i suoi pensieri! E per quanto riguarda l’altra sopresa….
In tante di voi avevano espresso il desiderio di vedere più parti tra Draco e Hermione ed è per questo che….Questo capitolo è TUTTO incentrato su di loro! Volevo mettere anche la scena tra Daphne e Blaise, ma alla fine ho preferito dedicare il capitolo ai due protagonisti che ci stanno facendo ammattire ;)
Spero non vi dispiaccia ^__^
Il resto dei commenti li metto in fondo, vi aspetto giù!!! Buona lettura :D
 
 
 
 
 


 
Le parole sono fragili e potenti al tempo stesso. Tutti noi le possediamo, ma sono pochi coloro che ne sfruttano appieno il potenziale; le parole hanno l’immensa e straordinaria capacità di esaltare la verità, di liberarla dalla morsa apprensiva di poteri oscuri, di renderla comprensibile a tutti, semplicemente riescono a fare emergere la realtà davanti ai nostri occhi e la offrono a chi ne ha bisogno.
 
Eppure, la realtà non è meglio della finzione.
 
E, a volte, le parole feriscono.
 
Feriscono e lasciano il segno.
 
Questo Hermione lo sapeva. Perché lei, di quei segni, delle sue parole più dolorose della lama di un coltello, ne portava le cicatrici.

Ma non aveva mai creduto che anche la verità potesse fare ancora più male.

Lo aveva capito solo in quel momento: le parole hanno forza, potere e possono ferire, ma se si ha la volontà di imbrigliarle possono essere tenute sotto controllo. La verità non si può imbrigliare, scioglie la ragnatela delle nostre convinzioni, l’intreccio delle nostre bugie, sbriciola con semplicità disarmante tutte le incertezze e i dubbi.
 
E non è meglio della finzione.
 
La verità fa male. E, in quel momento, probabilmente stava facendo star male lui, quella maledetta verità, che non si era mosso di un millimetro dalla sua posizione, irrigiditosi come una statua di marmo.
Hermione aveva desiderato intensamente rimangiarsi le sue parole un attimo dopo averle pronunciate: si era portata una mano sulle labbra, come se non fosse certa di essere stata lei a parlare. Quando si era resa conto di quello che aveva fatto, una morsa attanagliante le aveva circondato lo stomaco, bloccandole il respiro e facendola deglutire.
E poi…
 
Lo aveva guardato.
 
 
 


 
 
Sono tante le cose che lasciano il segno. Possono essere i gesti, le parole, le azioni, ma spesso questo non basta. A volte le persone hanno bisogno di un vero e proprio avvenimento per poter finalmente aprire gli occhi e comprendere.
 
Come aveva fatto a non capire?
 
I segni c’erano, c’erano tutti.
Semplicemente non aveva voluto vederli.
I pezzi del puzzle erano sempre stati lì, sparsi nella sua mente, solo Draco non aveva voluto metterli insieme.
 
Dobbiamo parlare, Malfoy, di quello che è successo tre mesi fa.
E di cosa, Mezzosangue?
Lo sai.
 
Due parole, cinque lettere, una verità talmente grande che forse neanche lei pensava potesse essere tale, mentre la pronunciava.
Lo sai. E come poteva non saperlo?
Non aveva neanche bisogno di pensarci.
Gli veniva in mente anche se non si sforzava di ricordare.
 
 
Suoni, confusione, voci esaltate, rumori in ogni parte della stanza, corpi che saltavano a ritmo di musica. Queste erano le tipiche feste Serpeverde.
Erano state soprannominate dai Grifondoro come “bordello”, ma non avevano capito in realtà che le feste dei Serpeverde non erano mai solo un bordello. Tutta la scuola era presente, tranne gli alunni dalla divisa rosso-oro che Draco aveva ben pensato di escludere grazie anche all’appoggio dei suoi compagni di casa.
Per questo si era meravigliato quando aveva visto lei lì.
Avrebbe più che volentieri affatturato Blaise per averla portata, ma date le circostanze non poteva certo cacciarla via, dato che probabilmente per ripicca la Mezzosangue poi sarebbe andata a spifferare il tutto alla McGranitt.
- Granger, su, non te la prendere, dovresti ringraziarmi per averti portato qui, le nostre feste sono molto ambite. Non facciamo niente di male. - disse Blaise ridacchiando.
- Niente di male? Ma non è illegale? – chiese la Grifondoro con voce stridula.
- Certo che è illegale, Mezzosangue. – la scimmiottò Draco. – Così come è illegale che tu sia qui a rompere le scatole! Vedi di stare lontano da me e di non guastare questa festa. – si beò dell’espressione incredula che lei gli rivolse di fronte alla sua maleducazione. Sapere di riuscire a farle perdere le staffe lo divertiva più del dovuto.
“Farò come se non ci fosse” – questo era stato il pensiero di Draco a inizio serata.
Un pensiero dimenticato, quando dopo una o due ore, seduto su un divanetto svuotava il bicchiere e lei era nuovamente entrata nella sua visuale.
Stava… danzando.
Era la prima volta che Draco la vedeva così.
 
Leggera come una ninfa, ad ogni movimento sembrava sul punto di librarsi in aria.
 
Muoveva i fianchi con innocenza, ignara di quanto riuscisse a provocare con quel semplice gesto. Il suo corpo si muoveva con una sensualità innaturale davanti a lui, il bacino seguiva il ritmo della musica, il busto, la schiena si muovevano con una flessibilità allucinante, calda… ipnotica.
 
Abbandono totale, disinibizione, sensualità innocente, eppure manifesta, presente, vissuta.
 
Il collo esile, fine, sosteneva un volto dai lineamenti dolci, ma tuttavia marcati, le labbra sottili, come i petali di un fiore, gli zigomi alti e il naso leggermente all’insù…
I capelli, legati in una coda alta, sfuggivano alla presa e qualche ciocca ricadeva sul suo viso, vorticandogli intorno, come boccoli di pura seta che s’intrecciavano tra loro ad ogni suo movimento.
 
Leggeri, freschi, liberi come farfalle.
  
Gli occhi e le labbra socchiuse come in attesa di un bacio, le guance rosse per la danza, e l’espressione giocosa rappresentavano tutta la sua spensieratezza e la sua libertà.
 
Finta innocenza, più provocante di qualsiasi malizia.
 
Draco si mosse sul divano dal quale era seduto, confuso e…sconvolto.
 
Fu la prima volta.
 
La prima volta che andò oltre l’apparenza, oltre il suo sangue sporco, oltre la sua inferiorità.
 
La prima volta che la vide come una donna.
 
Una donna, con la forza e il coraggio di un fiore che sboccia e mostra al mondo tutta la sua bellezza.
La ragazza continuava a volteggiare, come se non fosse cosciente delle persone intorno a lei e degli sguardi che parte dei partecipanti le stavano lanciando.
Lentamente aprì gli occhi.
 
Quelle iridi lucide, passionali, espressive come mai Draco prima d’ora le aveva viste.
 
Sembravano pozze traboccanti di un’emozione intensa, impregnate di un sentimento che sembrava urlare: libertà.
La stessa cosa che anche Draco avrebbe voluto provare.
 
Era bella, quella libertà.
 
Era bella la sua spensieratezza, i suoi occhi giocosi e innocenti, che dimostravano la passione che stava mettendo in quella danza.
Tutto in lei sembrava urlare quella parola.  


Poi, d’un tratto, qualcosa cambiò.


Il suo collo da cigno divenne rigido, il viso assunse una smorfia infastidita e gli occhi si fecero duri, rabbiosi, impudenti.
 
Non c’era più alcuna traccia di libertà.
 
I boccoli non ondeggiavano più... le labbra non erano più socchiuse, pronte per un bacio invisibile, aperte e calde... erano chiuse, ermeticamente... in una linea dura e impassibile. Non respirava più con quell’abbandono, era… fredda.
Solo dopo aver aguzzato lo sguardo Draco si rese conto del perché di quel cambiamento improvviso.
Mani rudi, maleducate avevano tentato di afferrare la ragazza per la vita e trascinarla verso di loro.
Gli occhi di Hermione si assottigliarono ancora di più. Pregni di quell’orgoglio che soltanto lei poteva avere e mantenere nonostante tutte le avversità. Quella fierezza che soltanto in lei ci poteva essere, nonostante l’alcool irradiato nelle sue vene.
La vide discostarsi con rabbia da quel ragazzo impudente, puntandogli addosso quegli occhi rabbiosi e disgustati che tante volte aveva riservato a lui.
 
L’incanto spezzato.
 
La Grifondoro ruotò il busto, probabilmente decisa ad andarsene, e Draco si alzò in piedi per non perdere di vista la sua figura tra la massa di persone.
 
Il quel momento risuonò il primo rintocco della mezzanotte.
 
 
Li sentiva, anche in quel momento, i rintocchi.
Non sapeva se fossero reali o più probabilmente frutto della sua mente, come già altre volte gli era capitato; sapeva soltanto che avrebbe voluto che quel suono martellante tacesse perché non voleva ricordare.
- Malfoy, hai sentito quello che ti ho detto?
E come Merlino poteva aver sentito, se quei ricordi affioravano nella sua mente, prepotenti?
 
Perché mi fai questo effetto, Mezzosangue?
 
Perché doveva guardarlo con quegli occhi, che, proprio come quella sera, proprio come la prima volta, sembravano essere impregnate di quella libertà?
 
La stessa cosa che Draco avrebbe voluto provare.
 
Perché quello sguardo doveva essere così intenso e sicuro, mentre lei rivolgeva le iridi verso di lui?
 
Sguardo fiero, forte e coraggioso.
 
Proprio come quella sera.
 
Quella forza, quella determinazione che la Grifondoro non aveva mai perso, neanche quando lui l’aveva costretta contro il muro.
 
Neanche quando lei lo aveva baciato, come se lui fosse il predatore e non la preda.
 
 
Erano poche le volte in cui Draco si era stupito davvero, ancor meno quelle in cui il suo autocontrollo vacillava fino a rompere gli argini della sua maschera e si lasciava andare.
Eppure lei sembrava avere una predisposizione naturale per farlo andare oltre i limiti che lui s’ imponeva. Lo faceva andare al di là delle sue barriere di autocontrollo, quando con quella lingua velenosa rispondeva ai suoi insulti con orgoglio e fierezza, mentre avrebbe dovuto abbassare il capo e sentirsi umiliata, come una Mezzosangue doveva sentirsi. Lo faceva andare oltre, quando si accorgeva che lei, nonostante tutte le offese, reagiva sempre, sempre e comunque. Si rialzava dopo una caduta, senza mai lasciarsi andare o senza mai permettersi di farlo. Lo faceva infuriare perché si rendeva conto che lei non si sarebbe piegata, come altri facevano, di fronte a lui. 
Quella sera, invece, Hermione lo aveva stupito in un altro modo.
 
L’aveva vista, per la prima volta.
 
Come donna, non come Sanguesporco.
E l’aveva stupito ancora di più quando lei l’aveva baciato con coraggio, con una forza che non le avrebbe mai attribuito.
 
Non doveva baciarla.
Era la Granger.
 
La studentessa più brillante di tutta Hogwarts, la migliore amica dello Sfregiato, la Grifondoro per eccellenza, schifosamente leale e giusta con tutti, l’arrogante sapientona che alzava continuamente la mano a tutte le lezioni.
 
Era la Granger.
 
La ragazza che adesso quasi con disperazione aveva poggiato le labbra sulle sue, un gesto che non sapeva se dettato dalla consapevolezza o dall’alcool.
 
Ed era stato allora che forse aveva capito.
 
La Mezzosangue non era debole.
Non lo era mai stata. 
Il suo corpo esile poteva farla apparire fragile, ma sotto quella patina apparente c’era una potenza che scalciava per uscire, una forza micidiale e intensa che andava al di là della sua abilità con la bacchetta. Non era per la sua bravura a scuola.
Ciò che lo aveva colpito era più in profondità.
Ed era per questo, e anche per l’alcool che gli intorpidiva i sensi, che dopo una breve esitazione aveva ricambiato quel bacio disperato, spingendo la lingua nella sua bocca, dentro di lei, sempre più in profondità.
La tenne stretta il più possibile come se in qualche modo potesse percepirla anche lui su di sé, quella forza, quella potenza, quell’audacia.
Voleva estorcerle con quel contatto, con quel primo vero contatto, ciò che a lui mancava, ciò che lui forse non avrebbe mai potuto avere, qualcosa che non poteva comprare con la sua ricchezza o con il timore che il cognome della sua famiglia incuteva.
La strinse contro di sé, temendo che avrebbe potuto sfuggire da lui, da ciò che era. Le accarezzò una guancia, forse anche lui ignaro di quello che stava facendo.
Un gesto dolce.
 
Lui non era dolce, non lo era mai stato.
 
Quella sera, o meglio, quella notte fu veramente la sua prima volta; la prima volta che si concesse di ammettere che tutte le sue cattiverie, gli insulti, le offese rivolte contro di lei erano soltanto basate su pregiudizi e che quella ragazza non era un abominio come invece si era sempre sentito ripetere in quegli anni; la prima volta che permise ad un'inaspettata dolcezza di colmargli il cuore; la prima volta che forse comprese veramente di avercelo, il cuore.
La prima e l’ultima volta in cui chiuse il mondo all’esterno si concesse, soltanto per quella volta, di far scivolare via quel muro impregnato di accuse e pregiudizi.
 
La prima e l’ultima volta in cui si concesse di essere completamente Draco e non Malfoy.
 
 
Perché?
 
Era questa la disperata e martellante domande che pressava e occupava nella sua totalità la mente di Draco, senza pietà, né premura. Perché quelle dannate parole erano in grado di ferire, anzi di ferirlo, più di quanto non fosse mai successo?
Doveva proprio essere masochista in quel momento, perché ruotò il viso, contro la sua volontà e scontrò le sue iridi grigie con quelle scure di Hermione, che lo fissava con trepidante e temuta attesa.
I suoi occhi non poterono non seguire la linea della sua mano, che stringeva convulsamente il lenzuolo, come a volerlo fondere con se stessa, per coprirsi, per coprirlo.
Il ventre. Il bambino.
 
Sono incinta.
 
Ci sono momenti che lasciano il segno.
Erano pochi i segni che Draco aveva sulla pelle. Uno glielo aveva lasciato lei, quella sera. Gliene avrebbe lasciato un altro?
Mentre osservava in modo quasi inquietante quel lenzuolo stretto nella mano della Grifondoro, delle emozioni, forti come non le aveva mai sentite, infuriarono dentro di lui, susseguendosi in modo irrefrenabile, senza alcuna possibilità di controllarle. Un turbine di sensazioni lo avvinse talmente forte da fargli girare la testa e Draco ebbe quasi la percezione che quell’impatto inaspettato con le sue emozioni, rare in lui, lo stesse spaccando da dentro.
 
Stravolgendolo, sconvolgendolo da dentro.
 
Il respiro sembrava non bastare, l’aria era diminuita e Draco aveva la netta sensazione di star affogando in un mare di acqua ghiacciata, senza però riuscire a risalire.
 
Sono incinta.
 
Era quasi affannato, si contorceva mentalmente per sbrigliare quella matassa che gli stringeva lo stomaco in una morsa fortissima, ma non riusciva a controllarsi. Aveva sempre vissuto trattenendo le emozioni e aveva sempre cercato di rinchiuderle e nasconderle per sembrare equilibrato, costante, forte.
 
Devi essere forte, figlio mio.

Glielo diceva sempre sua madre, sempre. E lui aveva cercato di essere il più forte possibile, respingendo tutto ciò che avrebbe potuto renderlo vulnerabile.
Possibile che la Granger lo avesse destabilizzato, con solo due parole, distruggendo anni e anni di difese, di muri innalzati contro gli altri e il mondo esterno? Cosa diavolo era quella sensazione di panico che lo stava assalendo?
 
Chi era lei per sbriciolare così la sua maschera?
 
Draco strinse i pugni, tentando di controllare quel vortice impazzito di emozioni, tentando di combatterle, di addomesticarle.
 
Come, del resto, aveva sempre fatto.
 
Eppure quella volta Draco Malfoy non ci riuscì.
Non fu in grado di essere, fino in fondo, Malfoy. Non riuscì a esserne padrone, di quella valanga di sensazioni fortissime, che lo rendevano tanto debole, quanto vulnerabile. E probabilmente fu proprio per questo, per quelle emozioni che lo colpivano in ogni parte della sua mente, dove ogni senso ne risentiva, che non appena aprì bocca le sue parole furono acide e sprezzanti, in un vano tentativo di proteggersi.
- E’ inutile che ti copri col lenzuolo, Mezzosangue. Non serve a niente, ormai l’ho visto.
Gli occhi scuri della Grifondoro si adombrarono e la luce che prima li aveva animati, anche se leggermente, scomparve del tutto, lasciando quelle iridi vuote e vacue. 
- Io…
- Non ne voglio sapere nulla. – la interruppe.
 
Era facile prendersela con lei.
Era facile perché era la cosa che sapeva far meglio.
 
- No! Tu non capisci, io…
- Capisco, Granger! – la interruppe di nuovo. – Sei incinta, e allora? Cosa diavolo vuoi che ti dica?
Hermione boccheggiò, mentre Draco per la prima volta vide i suoi occhi lucidi.
 
Lei non piange.
Mai.
 
- Tu... – sussurrò con voce strozzata.
- Perché dovrebbe importarmene? - sibilò, il tono tagliente che cozzava tra i denti.
Per Salazar, fu costretto a stringere le mani in un pugno per non prendersi a schiaffi da solo, consapevole di non essere in grado di contenere le sensazioni che lo avvolgevano.
 
Niente emozioni, Draco. Saranno la tua debolezza.
 
Sono incinta.
 
Chi si era avvicinato a lei? In un attimo di pazzia fu tentato di chiederglielo, ma poi si diede dello stupido e tentò di chiudere la discussione. Doveva, altrimenti non era sicuro di uscirne indenne.
- È tutto quello che hai da dire? – scoppiò alla fine Hermione, con uno sguardo infuocato. – Sono incinta, probabilmente hai anche capito che con il tuo stupido incantesimo hai rischiato di farmi perdere il bambino e non hai niente da dire?!
Draco assottigliò lo sguardo, con una smorfia disegnata sul viso.
- No, non ho niente da dire. Non ti chiederò scusa, perché non era te che volevo colpire, ma quell’idiota di Potter e non è certo colpa mia se si è spostato all’ultimo secondo. Per quanto riguarda la tua… – deglutì, per un secondo, strizzando gli occhi. – …la tua gravidanza, cosa dovrei dirti? Se cerchi delle congratulazioni, parla con la Piattola, con Lenticchia, che cazzo c’entro io in tutto questo?
 
Parole che appena fuoriuscite dalle sue labbra gli bruciarono come lava sulla lingua.
 
Draco vide la Grifondoro assumere un’espressione totalmente confusa e un lampo di comprensione passare poi attraverso i suoi occhi. Contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, Hermione emise un verso, una risata a metà tra l’incredulità, la tristezza, qualcosa che di divertente non aveva proprio nulla. Si asciugò gli occhi, con una manica del pigiama e infine lo guardò con uno sguardo tanto mesto che Draco si chiese da cosa fosse scaturito tutto quel malessere.
 
Senza neanche intuire di essere proprio lui stesso, la causa del suo malessere.
 
- Non hai capito? – gli chiese, in un sussurro. – Davvero non hai capito, Malfoy?
 
Se solo Draco si fosse sforzato, se solo quelle emozioni dentro di lui non si fossero manifestate con così tanta forza da confonderlo, se solo lui in quel momento fosse più concentrato sui fatti piuttosto che sul mantenere la sua maschera di freddezza, forse si sarebbe reso conto del significato che si nascondeva nelle parole della Grifondoro.
 
- Cosa stai dicendo? – fu la sua fredda domanda.
Una domanda totalmente inutile.
 
Perché lui, la risposta, già la conosceva.
Forse, si rifiutava solo di comprenderla, di interpretarla.
  
Hermione si portò una mano alla fronte, sommergendo il viso tra le mani.
- Per Godric, credevo di averne conosciute di persone poco perspicaci, ma tu… – sussurrò. – Non posso credere che tu, davvero, non abbia capito.
 - Cosa dovrei capire, Mezzosangue? – ringhiò, scattando come una molla, appellandola con quel denominativo che lei tanto odiava e per cui lui si guadagnò un’occhiataccia. – Cosa, Salazar, dovrei capire?! – ripetè, con più veemenza. – Che il padre del bambino ti ha lasciato qui da sola e ti ha fatto disperare così tanto da farti addirittura confidare con me?
 
Parole che feriscono, che l’avrebbero distrutta, se solo Hermione non avesse saputo che quello che avrebbe rivelato da lì a poco forse sarebbe stato peggio.
 
La ragazza scosse la testa e stavolta lo guardò con più convinzione, una nuova determinazione nello sguardo.
 
Perché Hermione non era debole.
 
Poteva bruciarsi in quegli occhi duri e freddi come il marmo, soffrire molto più di quanto non stesse già facendo. Aveva tuttavia alzato lo sguardo, consapevole che stavolta, forse, non si sarebbe rialzata.
 
Hermione era coraggiosa.
 
Il calore dei suoi occhi scuri sfidava il ghiaccio che circondava la stanza e che soprattutto circondava lui, come una bolla. Poteva congelare anche solo sfiorando quella bolla, lo sapeva, ma il proprio orgoglio le impediva di non tentare.
 
Hermione era forte.
 
E mentre il suo sguardo dolce si posava su di lui, una speranza innaturale, semplice e giusta al tempo stesso, si stava formando nella sua testa, nel suo cuore, in lei, con lei, dentro di lei.
 
Hermione sperava.
 
Inutilmente.
Era una speranza delicata, un fiore a fine estate pronto ad essere spazzato via dall’ingombrante vento d’autunno.
Hermione sapeva tutte queste cose eppure sperava.
Sperava perché lei non era debole e non aveva paura di soffrire ancora.
Sperava perché era coraggiosa e smettere di amarlo era troppo semplice.
Sperava perché era forte e aveva deciso di rischiare.
Rischiava per lei, per Draco, per il proprio futuro e il proprio presente. E soprattutto sperava per quella piccola creatura che portava dentro di sé da qualche mese ormai.
Lo affrontò così, con gli occhi traboccanti della verità che lei stessa aveva rivelato, pieni di quella speranza che poteva essere spezzata in un attimo nel modo più crudele… lo affrontò così. Con una forza immensa nell’animo.
Con un amore infinito negli occhi.
- Il padre del bambino è qui con me, Draco.
 
 
 
 
 















 
Angolo Autrice (alias – “ritardatrice”)
 
Salve!
Bentornati cari lettori! So di avervi fatto un po’ patire con questo capitolo e mi dispiace. Mi scuso di nuovo con tutti voi (anzi, mi frusto), ma perché non riesco mai ad essere in orario? Accidenti a me! >.<
 
Punto 1: Questo capitolo è stato un parto! Per me è stato molto difficile scriverlo, non so bene il perché, ma esprimere le emozioni dal punto di vista di Draco non è stato per niente facile e spero di non aver combinato un casino :(
Alla fine ho deciso di raccontare come erano andate le cose dal suo punto di vista, poiché, se per quanto riguarda Hermione il motivo era chiaro, per Draco non avevo ancora chiarito la situazione e ho voluto raccontarvela. Vi è piaciuto il flashback?
Spero tanto di sì, non avete idea della fatica con cui l’ho scritto. Draco proprio non ne voleva sapere di far scoprire anche a voi il suo lato tenero..xD Tenero per modo di dire…
 
Punto 2: Questo capitolo forse mi piace. Non so, mi convince più del precedente. Non è per vantarmi, ma per una volta sono soddisfatta di quello che ho scritto! Spero che piaccia anche a voi!!!
 
Punto 3: Voglio rinnovare gli auguri per il matrimonio a elisadi80, sposarsi è la cosa più coraggiosa che esista e significa che hai veramente trovato qualcuno di importante per te. Ti auguro tutta la felicità del mondo :) Hai visto che il tuo regalo è arrivato? Un po’ in ritardo, ma non mi sarei mai perdonata se non fossi riuscita a scrivere il capitolo prima del 2 giugno.
 
Punto 4: Devo davvero commentare questo capitolo? Beh…diciamo che insieme al prossimo sarà uno dei capitoli più importanti della storia. Mi serviva per descrivere bene la psicologia del nostro Serpeverde e, come ho detto prima, se ho combinato un casino mi dispiace :(
 
Punto 5: Secondo voi il bambino di Herm è maschio o femmina? Ho le idee abbastanza chiare, ma vorrei sentire anche i vostri pareri! ^___^
 
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite/le preferite/le ricordate e a tutti gli 822 lettori che hanno letto l’ultimo capitolo :) Davvero non avete idea di quanto mi facciate felice!
Ma un grazie speciale va a quelle meravigliose persone (18!!!!!! *_____* Non ci credo, non ci credo, potrei collassare dalla gioia!) che hanno recensito lo scorso capitolo: Harry Potterish, Black_Yumi, MadamaBumb, Felpick93, suckerforlove, elisadi80, elygil91, Sasoriza98, Stella94, kirymagica, Missboxer, UraniaSloanus, cranium, blair_87, MooneyDora, Angelique Bouchard, Tiziana Rivera e Just_debb.
Io…grazie, grazie, grazie! Questa parola mi sembra così poco per esprimervi tutta la mia gratitudine, ma non ne trovo di migliori!
Un altro grazie enorme va anche a quelle 5 ragazze che hanno segnalato la mia storia all’amministrazione: Felpick93, aranciata, Darleen, DracoMattyMalfoy e Sasoriza98. Non trovo le parole, davvero. Come posso ringraziarvi per essere così meravigliose con me? *___* Non finirò mai tra le scelte, ma grazie anche solo per averci pensato! :)
Detto questo passo e chiudo, vi ho torturato abbastanza …
Mi metto subito all’opera per il prossimo capitolo, sempre se ci sarà qualcuno disposto a seguire questa pazza.
A presto,
flors99

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Capitolo 13
*** Black ***


 
Aspettare.

E' la prima lezione che si apprende sull’amore. O, almeno, che tutti dovrebbero provare ad imparare. Aspettare che il giorno si trascini, che i secondi passino incuranti di te e dei progetti che stai costruendo, attendere che le ore si susseguano e proseguano il loro corso per lasciar spazio a un nuovo giorno e a una nuova luna.
 
Ma, aspettare, è la cosa più difficile del mondo.
 
Le ore di attesa si trasformano in tensione e la tensione in paura.
 
Una paura che ci costringe a vergognarci di mostrare il nostro affetto.
 
E Hermione non ne poteva più di aspettare, di avere paura. Anche se in quel momento sembrava Draco, tra i due, ad averla, la paura.
Hermione non credeva di avergli mai visto uno sguardo del genere. Così… vuoto. Merlino, non c’era assolutamente niente nel suo sguardo e la ragazza si chiese come fosse possibile, interrogandosi sull’eventualità che il Serpeverde per la seconda volta non avesse capito un emerito paiolo. Per Godric, gli aveva appena rivelato di aspettare suo figlio e lui non spiccicava parola?
- Non dire cazzate, Granger. – sibilò Draco alla fine, dopo attimi di silenzio, con voce bassa e leggermente roca. – Non è per niente divertente.
Hermione sentì il sangue fluire sulle sue guance.
 
Non è divertente.
 
Anche Ginny aveva detto le stesse parole, qualche mese prima, ricordò Hermione in un lampo di lucidità. Merlino, ma come si poteva anche solo pensare che tutto quello fosse un misero scherzo?
 
Uno scherzo non avrebbe mai portato tutto quel dolore.
 
- Lo so. Non era mia intenzione quella di farti divertire. – mormorò la Grifondoro con un tono così basso e cupo che non riconobbe la sua voce.
Vide Draco stringere le mani in un pugno e strizzare gli occhi più volte come se non si rendesse conto di quello che stava succedendo, come se non avesse ancora realizzato che la ragazza si stesse rivolgendo proprio a lui, non capacitandosi della gravità del fatto. O, più semplicemente, rifiutandosi di accettare le sue parole.

Parole che feriscono e lasciano il segno.

Perché la verità non è meglio della finzione.

Il rumore di una pesante porta sbattuta fece voltare entrambi di scatto, facendo loro capire, in poco meno di mezzo secondo, che far svegliare Madama Chips alle quattro di notte non era stata proprio una buona idea.
- Lei che cosa ci fa qui, signor Malfoy? – brontolò l’infermeria, osservando il suo interlocutore con uno sguardo piuttosto severo. Il suo tono strascicato fece intendere a Hermione che doveva essersi appena svegliata: questo contribuiva a peggiorare l’umore dell’anziana signora, che era già facilmente irritabile di giorno, figuriamoci a notte fonda.
Draco alzò le spalle, senza degnarla della minima attenzione, come se quella domanda non fosse stata rivolta a lui.
- Non può entrare in Infermeria a quest’ora! – si accalorò Madama Chips, indignata per la mancata risposta e, di conseguenza, per il mancato rispetto nei suoi confronti. – Le costerà una bella punizione, signor Malfoy! Non può entrare qui di nascosto, senza preoccuparsi di modulare la voce, ma, anzi, azzardandosi a disturbare i pazienti! – aggiunse, lanciando un’occhiata a Hermione, pallida come un cencio.
Draco si limitò al silenzio e la Grifondoro non capì perché stesse rimanendo zitto, senza neanche provare a difendersi. Che poi, da difendersi aveva ben poco, perché tutto quello che aveva detto Madama Chips era assolutamente vero, ma il Serpeverde non era certo una persona docile e tranquilla, disposta a farsi malamente rimproverare. Anche se Draco fosse stato dalla parte del torto, Hermione era sicura che, a cose normali, il ragazzo avrebbe risposto per le rime, riuscendo a giustificarsi e a far valere le sue ragioni.
Quindi, il motivo del suo ostinato silenzio le rimase oscuro, finché non lo guardò nuovamente dritto negli occhi.

Vuoto.

E, di nuovo, non c’era niente.
Eppure Hermione sapeva che non poteva essere così. Per forza.
Perché quello che Draco provava era più in profondità: e lei doveva semplicemente imparare a osservare, a scavare e, infine, a comprendere quello che nascondeva. Aveva già tentato in quei mesi a leggere i suoi occhi, nonostante non mostrassero niente a prima vista: aveva imparato a scorgere ogni sua minima luce, ogni piccolo cambiamento di sfumatura che attraversava quelle iridi plumbee; si era più volte scontrata contro il suo freddo muro, sentendosi respinta, imparando però a non desistere e a riprovare, ancora, finché quella barriera non fosse caduta. E soprattutto aveva imparato che quando si tratta di Draco Malfoy niente, niente è quello che sembra.
- Esca di qui, subito! – sbraitò Madama Chips, con tono maggiormente alterato. Evidentemente la mancanza di reazione da parte di Draco l’aveva fatta infuriare ancora di più.
Poiché il Serpeverde, oltre che imbambolato, sembrava incapace di muoversi, l’infermiera quasi lo sospinse verso la porta e Hermione per un attimo credette che avrebbe dovuto seriamente trascinarlo, perché il ragazzo non dava segni di vita. – Domattina parlerò con il professore della sua casa, non deve mai più permettersi di infrangere le mie regole, sono stata chiara? – esclamò, con gli occhi che mandavano lampi. Draco, ancora una volta, non rispose e Madama Chips, sempre più furiosa, gli puntò un dito contro, cominciando a sbraitare e a Hermione ricordò tanto sua madre quando, da bambina, la sgridava, sfoderando l’indice accusatore per farla sentire in soggezione.
Mentre Hermione si perdeva nelle sue riflessioni l’infermeria, evidentemente non abituata a discutere con persone che non la degnavano della benché minima risposta, sembrava sul punto di avere un esaurimento nervoso.
- Almeno chieda scusa! Le sembra forse una cosa normale? Cosa aveva intenzione di… – e fu proprio in quell’istante, mentre l’anziana signora continuava con i suoi rimproveri, quando tutto era in un equilibrio precario e avrebbe potuto spezzarsi in qualunque momento, con una parola, con un gesto, che Draco si decise, finalmente a guardarla davvero.
 
Il suo sguardo si riempì.
 
Hermione non sentì più niente.
Non sentì più il ronzio della notte nelle orecchie, non sentì più la consistenza del lenzuolo che ancora stringeva convulsamente tra le dita, non sentì più la voce di Madama Chips che pian piano si affievoliva fino a scomparire del tutto. Non percepì più neanche il tempo che scorreva incessantemente, i secondi e i minuti cristallizzati in quell’esatto istante. 

 
Il tempo si fermò.
 
Come se gli occhi grigi del ragazzo fossero diventati un vero e proprio mare in tempesta e avessero travolto anch’esso con le sue onde.
 
E lei, tra quelle onde, annegava.
 
Annaspava nell’oceano del suo sguardo, in quella tempesta che faceva paura solo a guardarla, annegava, senza riuscire a prendere fiato, né a muoversi. A Hermione non rimase altro che attendere di poter toccare il fondo e non opporre resistenza: decise semplicemente di lasciarsi trascinare dove lui volesse, fluttuando nel mare delle sue emozioni che mai erano state così vive e così avvolgenti.
 
Ma prima di poter toccare il fondo, quegli occhi diventarono neri.
 
Così neri da provare l'acre e amaro sapore della paura, da farle perdere il respiro, addirittura dimenticando la procedura di quel semplice gesto.
Così neri da farle attorcigliare lo stomaco, stringere il cuore, ridurla in un misero stato, sentendosi peggio di chiunque altro.
Così neri da farle desiderare di svanire senza lasciare alcuna traccia, dissolversi attraverso l’aria, scomparendo il più in fretta possibile.
 
Neri e arrabbiati, molto, forse troppo.
 
- Quando avevi intenzione di dirmelo?! – fu tutto ciò che disse Draco, con una voce che Hermione non aveva mai udito; le sue parole rimasero appese nell’aria per un tempo che parve infinito.
Parole talmente piene di odio che persino Madama Chips si allontanò di scatto da lui, forse spaventata.
Perché sì, quel nero nei suoi occhi non era altro che odio.
Un odio che le bruciò l’anima in un modo che non avrebbe mai creduto possibile, che le fece desiderare di urlare e dimenarsi, per proteggersi da quei tizzoni ardenti e spaventosi. Era un odio che la spogliava con gli occhi, lentamente e senza premura, come a voler prolungare la sua agonizzante tortura; era talmente forte e pressante, quell’odio nello sguardo di Draco, che sembrava che, al posto degli occhi, stesse usando le mani. La faceva sentire totalmente nuda, come se non avesse uno straccio di vestito addosso.
 
E l’odio bruciava ancora di più a contatto con la sua pelle.
 
- C-cosa? – la voce di Hermione sembrò priva di forze. Assomigliava a una foglia secca d’autunno, pronta a cadere al primo tenero soffio di vento.
- Tu… una Mezzosangue. Come ho potuto… – s’interruppe, lo sguardo che la oltrepassava, come a perdersi nei meandri dei suoi pensieri. – E tu come hai potuto nascondermi una cosa simile?! – esclamò poi nuovamente, al limite del consentito. Un tono ancora più duro, ancora più ghiacciato, ma stavolta non aveva nulla a che fare con il suo muro, con la sua maschera.
Stavolta la rabbia, l’odio, che Draco le stava rivolgendo era vero. E questo faceva ancora più male.
E le sue parole erano, insopportabilmente, vere.
 
La stava accusando per l’unica cosa con cui non aveva ancora fatto i conti.
 
Fu Madama Chips a salvare la situazione. Alternò lo sguardo tra i due ragazzi e trovò nei loro occhi la conferma dei suoi dubbi, anche se avrebbe preferito non aver ragione.
- Questo non è certo il luogo e, sicuramente, non l’orario per mettersi a litigare! – brontolò. – Quindi, rimanderete questa discussione a domani! E lei, signor Malfoy, vada immediatamente nel suo dormitorio, prima che chiami qualcuno a trascinarla di peso! Che non accadano più cose simili nella mia infermeria, sono stata sufficientemente chiara? – concluse, con un tono di voce sicuro e deciso.
Draco digrignò i denti, sul punto di lanciarle una fattura Orcovolante, ma riuscì a trattenersi. Per un attimo gli occhi dei due ragazzi si incontrarono ancora, o meglio si scontrarono, e Hermione vi lesse talmente tanto disprezzo che le venne da vomitare. Ma non voleva essere distrutta un’altra volta: perché lei non avrebbe sopportato un’altra caduta, non era abbastanza forte.
 
E l’orgoglio reagì.
Affinché non fosse distrutta, di nuovo.
 
Allora gli occhi di Hermione, ripensando a tutti quei mesi d’inferno, si caricarono di una rabbia assoluta, la stessa rabbia che disegnava lo sguardo di Draco, e fu a quel punto che la ragazza vide i suoi occhi cambiare.
Un vero e proprio muro si eresse attorno allo sguardo di Draco, un muro spesso e forte si costruì intorno alla rabbia che fino a pochi secondi prima aveva impregnato tutta la stanza con la sua consistenza e al suo posto si fece strada una profonda, vuota e congelata indifferenza. Senza dire più una parola e senza rivolgere più lo sguardo né a lei né all’infermiera, Draco se ne andò, silenzioso come era arrivato, confondendosi con la notte.
Quando dopo parecchi secondi Madama Chips chiuse la porta, Hermione si accorse di tremare; solo quando l’infermiera le sciolse delicatamente le mani chiuse in un pugno si accorse che la sua stretta era stata così forte che le unghie si erano conficcate nel palmo della mano, dalla quale sgorgavano piccole gocce di sangue.
- Non ha preso bene la notizia, vero? – le chiese dolcemente l’anziana signora.
La Grifondoro alzò gli occhi di scattò, come se fosse stata fulminata, chiedendosi quanto l’infermiera avesse compreso di tutta la situazione.
- Mi odia. – sussurrò, senza rispondere alla sua domanda, lasciandosi scappare tutto il dolore che quella piccola frase poteva racchiudere.
- Shh… – bisbigliò. – Non è il momento per certi pensieri, signorina Granger. Le cose si sistemano sempre, anche quando sembra impossibile. – Le fece una lieve carezza al viso, mentre i suoi lineamenti spigolosi si piegavano in un dolce sorriso. – Adesso le ordino di dormire, altrimenti domattina non la farò uscire dall’infermeria. Chiaro? – il suo sguardo tornò rigido e autoritario in meno di un secondo, ma la ragazza scorse una sfumatura affettuosa nella sua voce.
Hermione sorrise, o almeno ci provò, dato che le venne fuori una specie di smorfia. Quando Madama Chips la lasciò da sola, spegnendo la luce, la Grifondoro si rannicchiò nel letto in posizione fetale, sperando di riuscire a proteggersi, sperando che quell’odio corrosivo non venisse a tormentarla anche durante i suoi sogni.
 
Sperando con tutta se stessa di non rivedere mai più quel nero negli occhi di Draco.
 
 


  
- Smettila di fare quella faccia! Ci scopriranno per colpa tua! – lo rimproverò la Serpeverde, camminando, al suo fianco, disinvolta e tranquilla.
- Ti odio, Daphne. – borbottò Blaise.
- La cosa è reciproca, tranquillo. – replicò la bionda senza scomporsi.
In realtà anche lei percepiva una leggerissima agitazione, cosa che, ovviamente, non avrebbe mai rivelato neanche in punto di morte. Blaise invece non si faceva alcun problema a manifestare la sua paura e il terrore di essere scoperti, e, probabilmente, se avessero incontrato qualcuno nei corridoi, non sarebbe stato in grado di mentire, confessando dove in realtà stavano andando.
- Blaise, avanti! Un po’ di coraggio! – lo rimproverò Daphne, quasi con gentilezza.
- Sono un Serpeverde. – sbottò malamente l’amico. – Se cerchi il coraggio vallo a chiedere ai Grifondoro! – sibilò il moro, agitandosi ancora di più. Daphne emise un lieve sbuffo, ma non replicò, limitandosi a proseguire in silenzio il suo cammino, lanciando di tanto in tanto un’occhiata al ragazzo, per essere sicura che non se la svignasse da un momento all’altro.
Giunti davanti all’ufficio della McGranitt, Daphne ingoiò la leggera inquietudine che persisteva nel suo petto, da fiera Serpeverde qual era, e facendosi coraggio puntò la bacchetta contro la serratura della porta, dopo aver assottigliato lo sguardo.
- Alohmora.
Lo scatto della serratura provocò un piccolo rumore, per colpa del quale Blaise sobbalzò.
- Bene, Daphne, adesso non hai più bisogno di me. Ci vediamo doma… – prima che pronunciassi qualcos’altro e, di conseguenza, riuscisse a scappare, la ragazza lo afferrò per il maglione e lo scrollò, rabbiosa.
- Se mi lasci qui, Zabini, giuro che domani racconterò a tutti il tuo grandioso coraggio da leone e di come sei scappato con la coda tra le gambe! – lo minacciò, con gli occhi a due centimetri dai suoi.
Blaise si liberò della sua stretta con facilità, scattando indietro come una molla.
- Ti odio, Daphne. – ripeté, lanciandole un’occhiataccia.
La ragazza alzò un sopracciglio, consapevole di aver vinto e sfoderando un ghigno degno di una vera serpe. Non rispose, ma si limitò a girarsi per aprire la porta con lentezza e intrufolarsi dentro l’aula con l’agilità di un felino.
Lumos. – la bacchetta produsse una lieve luce, quel che bastava per permettere ai suoi occhi di scrutare l’ambiente intorno a sé. – Cosa fai ancora fuori dalla stanza, Blaise? Dai, muoviti! – sbottò poi, neanche tanto gentilmente, ma il Serpeverde rimase fermo nella sua posizione, inquieto.
- Se non rimango di guardia, come faccio ad avvertirti se arriva qualcuno? – rispose, ironicamente.
Daphne si accigliò, convenendo con la logica del suo ragionamento e cominciò la sua ricerca.
Il gruppo di pergamene, rifletté, sarebbe dovuto essere sulla scrivania, ma non vi trovò niente: infatti, la scrivania era quasi del tutto sgombra se non per un paio di piume e una pergamena nuova, non ancora utilizzata.
- Qui non c’è niente! – esclamò, rivolgendosi a Blaise.
- Guarda meglio!
Daphne, frustata, controllò anche nei cassetti dei mobili lì accanto, sfogliò i numerosi fogli con impazienza e piuttosto frettolosamente, sentendo una strana inquietudine che le attorcigliava lo stomaco. Quando anche l’ultimo cassetto fu controllato emise un sonoro sbuffo, incrociando le braccia la petto.
- Fai silenzio! – l’ammonì Blaise. – Vuoi che qualcuno ci senta, maledizione? – erano rare le volte in cui aveva sentito Blaise imprecare e in quel momento Daphne si accorse di quanto terrore ci fosse nei suoi occhi e se ne chiese il motivo.
- Cos’hai, Blaise? Perché sei così agitato? Non è da te. – osservò giustamente. Il ragazzo si accigliò ed evitò di fissarla negli occhi, ma rivolse invece il suo sguardo oltre la porta.
Dopo aver osservato che non ci fosse nessuno entrò nell’ufficio anche lui, con gli occhi pieni di rabbia.
- Io non voglio finire sospeso, chiaro? Se mi scoprono è un disastro! Non solo mi sospenderanno, anzi, potrebbero anche espellermi!
- Espellerti? Ma cosa stai dicendo? Perché dovrebbero espellerti? – esclamò Daphne, guardandolo stralunata. Un vago senso di colpa s’insinuò dentro di lei, facendo poi di tutto per scacciarlo via. – Che cosa vuoi dire, Zabini? – ripeté, alzando la voce e strattonando il ragazzo che sembrava aver perso l’uso della parola.
- Niente, niente, sono solo in ansia e tu mi stai mettendo pressione! – la liquidò.
- Io?! – sibilò la ragazza a denti stretti. – Ascolta, smettila di lamentarti e aiutami, piuttosto, a trovare quelle Merlino di pergamene! – ordinò, cambiando discorso.
Con un tacito silenzio da parte di entrambi la conversazione s’interruppe, per lasciar posto a una frenetica ricerca.
- Ecco! – esclamò Blaise dopo qualche minuto. Accucciato sotto la scrivania, estrasse una borsa piena di pergamene, facendone cadere qualcuna; allungò la mano verso la ragazza per farsi dare la ricerca di Pansy e Daphne gliela passò, senza parlare, leggermente infastidita per non essere stata la prima ad aver scovato il luogo in cui erano stati riposti i rotoli.
- Adesso possiamo andare. – mormorò il ragazzo, sfregandosi le mani e correndo già verso la porta, felice che tutto fosse finito; ma appena la aprì la richiuse di scatto, allontanandosi dalla maniglia.
- Che c’è? – sussurrò la ragazza, affiancandolo.
- Porco paiolo! – sbottò, arretrando ancora di più. Era già la seconda imprecazione che Daphne sentiva uscire dalla sua bocca, nel giro di un’ora, e non sapeva se preoccuparsi per lui o no.
- Sta arrivando Gazza. – rivelò a quel punto Blaise.
- Cosa?! – esclamò, tappandosi poi la bocca con la mano e ricevendo un’occhiataccia da parte del Serpeverde.
- Ma certo, mettiamoci anche a urlare, tanto per essere sorpresi prima… – ironizzò il ragazzo, in un sussurro.
Daphne deglutì e, dopo qualche secondo, afferrò la mano di Blaise, dirigendosi verso la porta.
- Andiamo prima che arrivi! Muoviti!
- Ma sei matta? – Blaise si liberò dalla sua presa. – Gazza veniva proprio verso l’ufficio, se usciamo ci vedrà di sicuro!
- E allora cosa facciamo? – sibilò frustata, sentendo l’agitazione e il panico crescere in lei.
Per altri secondi non si udì niente, solo i passi di Gazza che si avvicinavano sempre di più, di più, di più, finché non divenne un suono talmente nitido che entrambi i ragazzi smisero di respirare.
- E’ colpa tua, Zabini!
- Mia? – il ragazzo la guardò come se volesse ucciderla.
- L’idea è stata tua! – si giustificò la ragazza, convincendosi di aver ragione.
- Ah, lasciamo perdere! – borbottò, a limite dell’esasperazione. – Troviamo una soluzione, invece!
La voce di Blaise si spense, quando i passi rimbombarono ancora più forte, fino ad arrestarsi: probabilmente il custode si era fermato giusto davanti alla porta. Il cuore di Daphne prese a battere all’impazzata e strinse la presa sulla mano di Blaise, che, non si era accorta essere ancora stretta nella sua. Il ragazzo parve riscuotersi a quel gesto e, dopo aver osservato per circa due secondi le loro mani intrecciate, ebbe l’illuminazione.
Intanto, al di là della porta, si udì la voce di Gazza che richiamava Mrs. Purr, sentendo i suoi passi allontanarsi per recuperarla; magra consolazione, perché sia Daphne che Blaise sapevano che il custode sarebbe tornato da un momento all’altro.
Il moro, però, sembrava più tranquillo e dopo averle lanciato una breve occhiata la sospinse con delicatezza contro la scrivania. La ragazza sollevò le sopracciglia, confusa, già in procinto di protestare, ma Blaise la interruppe senza darle possibilità di replica.
- Stai al gioco. – mormorò, sciogliendo con dolcezza la presa della sua mano.
- Gioco? Quale gioco? – sbottò, non comprendendo le sue intenzioni. Il ragazzo non le rispose, ignorando palesemente le sue domande, ma continuò a sospingerla indietro fino a quando le gambe di Daphne non si scontrarono contro il mobile della scrivania.
- B-blaise… Che stai facendo, per Salazar? – balbettò Daphne, vedendo gli occhi blu di Blaise troppo vicini ai suoi e avvertendo una strana sensazione.
- Shh… Stai al gioco. – le ripeté a voce più bassa, quando avvertì Gazza tornare e rimproverare la sua gatta di non allontanarsi più da lui.
- Che… – tentò nuovamente di chiedere la ragazza, ma non riuscì a terminare la frase, perché il respiro le si mozzò in gola per la sorpresa, quando le mani di Blaise le strinsero i fianchi, con forza e delicatezza insieme, sollevando e appoggiandola sulla cattedra, come se pesasse cinque chili. Percepì lo stomaco attorcigliarsi quando si accorse del corpo di Blaise, tra le sue gambe, in una posizione eccessivamente intima, e quando vide la bocca del ragazzo, a un millimetro dalla sua. Trattenne il fiato, cercando di protestare, ma il suo sguardo la tenne incollata sulla scrivania, senza più essere in grado di muoversi. Fece appena in tempo a scorgere il sorrisetto disegnato sulle labbra di Blaise, prima che lui si piegasse di lato con un sospiro impercettibile e poggiasse le labbra sul suo collo. Daphne spalancò gli occhi in un primo momento, completamente scossa da quel blocco che sentiva nella pancia, dalle gambe che sentiva molli come gelatina.
- C-cosa… – provò a domandare, più o meno per la terza volta. Il ragazzo le morse una porzione di pelle per tutta risposta, intimandola al silenzio, e Daphne trattenne a stento un mugolio a quel gesto. E, a quel punto, le venne quasi naturale chiudere gli occhi, mentre i baci di Blaise, che sembravano adattarsi perfettamente alla sua pelle, le mandavano scariche elettriche lungo tutta la schiena, facendola rabbrividire.
Contro ogni logica si ritrovò a sperare che le sue mani forti stringessero i suoi fianchi ancora di più…
- Cosa sta succedendo? – strepitò una voce rauca che gli alunni di Hogwarts avevano imparato a conoscere in quegli anni.
Blaise si staccò da lei senza alcuna esitazione e con uno sguardo impassibile, mentre Daphne lasciò cadere stralunata le mani dalle braccia di Blaise, che neanche lei sapeva come ci fossero arrivate.
Il ragazzo si voltò verso il custode, assumendo un’aria vagamente imbarazzata.
- E lei cosa ci fa qui? – chiese ingenuamente a Gazza, prendendo la mano di Daphne per farla scendere dalla scrivania.
La ragazza, a mente quasi lucida, una volta riemersa dal limbo nel quale era scivolata, si rese conto del piano che aveva architettato Blaise in meno di cinque secondi e ne rimase piuttosto scossa. Non tanto per l’astuzia di Blaise, quanto per la maniera in cui aveva reagito il suo corpo. Cercando di non farsi notare si portò una mano all’altezza del petto: il cuore batteva ancora all’impazzata.
 
Per Salazar, cosa è appena successo?
 
- Cosa ci fate voi qui, semmai! – replicò Gazza piuttosto arrabbiato.
- Uhm… – mormorò Blaise. –  …Ecco, vede… Sa com’è… – si grattò la testa, assumendo un’espressione fintamente imbarazzata.
Allorché Gazza, dopo aver socchiuso gli occhi, fece una cosa che la ragazza non si sarebbe mai aspettata: ridacchiò e poi posò una mano sulla spalla di Blaise, quasi come se fossero amici, gracchiando:
- E’ carina.
Daphne sentì le guance in fiamme e con un ringhio afferrò Blaise per una mano, incerta o no se uccidere Gazza, oppure lasciargli quei pochi anni che aveva ancora da vivere.
- Andiamo, Blaise? – sottolineò il suo nome con voce estremamente gelata e il ragazzo, dopo aver lanciato un’occhiata complice al custode, seguì docilmente la Serpeverde che si era diretta fuori dall’ufficio della McGranitt, come una furia, procedendo lungo il corridoio a passo di marcia.
- Che cos’era quella scena? Perché Gazza ci ha lasciato andare così? – sbraitò poi, stranamente furiosa con Blaise.
- A cosa ti riferisci?
- Sembravate quasi… amici! – replicò, chiedendosi anche lei il motivo di tanta frustrazione e nervosismo. Per la seconda volta, si portò una mano all’altezza del petto: il cuore ancora batteva all’impazzata.
 
Per Salazar, cosa è appena successo?
 
Il moro la guardò, stavolta veramente imbarazzato, e alzò le spalle, distogliendo gli occhi dai suoi.
- Non è la prima volta che… – s’interruppe, guardandola di sottecchi. – …insomma, che…capita. – disse poi, ritornando a fissarla apertamente. Il rossore gli imporporava leggermente le guance e se, da una parte, questo a Daphne fece tenerezza, dall’altra percepì una folle rabbia omicida che avrebbe volentieri scagliato su qualcuno.
- Cosa vorresti dire che non è la prima volta che ti trova in una situazione del genere, eh? – esclamò, arrabbiata, mentre Blaise la perforava con lo sguardo. – Ti ha trovato con qualche altra ragazza? – continuò imperterrita Daphne, con uno sguardo sempre più spaventoso.
- E a te cosa importa? – replicò, giustamente, Blaise.
Niente! Assolutamente niente! – rispose la Serpeverde, sul punto di una crisi isterica. Incrociò le braccia al petto con uno sguardo di fuoco e cominciò a camminare più velocemente per allontanarsi da lui; improvvisamente la presenza di Blaise accanto a lei le parve intollerabile.
- Da. – Blaise le corse dietro e le afferrò un braccio, costringendola a guardarlo negli occhi. – Cosa ti è preso?
Daphne si scrollò di dosso la sua mano con violenza, lanciandogli uno sguardo accusatore.
- Sei un idiota, Zabini.
Senza dire altro si diresse a passo di marcia nei sotterranei e Blaise non tentò più di fermala, né di raggiungerla. La sua chioma bionda fu inghiottita dal buio fitto, lasciandosi dietro il ragazzo confuso e, soprattutto, molto perplesso da quell’incomprensibile reazione.
 
Senza rendersi conto che il cuore di Daphne, intanto, batteva ancora all'impazzata.

 


 
- Cosa le avevo detto riguardo alla dieta? – la rimproverò Madama Chips, con uno sbuffo esasperato.
- Io non sono a dieta! – rettificò Hermione, più o meno per la quinta volta.
- Sì, sì… – annuì distrattamente l’infermiera, fingendo di crederci. – Le preparerò un integratore allora, mangia troppo poco. Lei passi la prossima settimana a ritirarlo e mi consegni questo foglio che le sto dando. – ordinò.
Hermione prese il pezzo di carta sul quale spiccava una grafia tutt’altro che ordinata, molto somigliante a quella di Ron. Evidentemente, Madama Chips aveva fretta.
- E, mi raccomando, faccia attenzione! – si raccomandò ancora una volta l’infermiera, con sguardo serio.
- Starò attenta. – promise la ragazza con un sorriso.
Dopo averla salutata e aver assicurato per l’ennesima volta di smettere di fare la dieta, uscì velocemente dall’infermeria, felice di poter nuovamente frequentare le lezioni e incontrare i suoi compagni.
S’incamminò verso la torre, trotterellando con calma, sorridendo dolcemente quando un tenero raggio di sole le accarezzò il volto. Poi, come risvegliatasi, capì che se avesse perso ancora tempo, sarebbe arrivata tardi a lezione e non voleva mancare più di quanto non fosse già stata assente.
Stava quasi per salire le scale che avrebbero portato alla torre, ma un turbine rosso proveniente dall’alto, la investì prima che se ne accorgesse e la stritolò nel suo abbraccio. Hermione ricambiò la stretta, anche se con meno forza di quella che ci stava mettendo Ginny.
- Hermione! – esclamò la rossa quando si fu staccata dalla sua migliore amica, con uno sguardo sorpreso e felice. – Come stai? Ti senti meglio? Madama Chips cos’ha detto? È tutto a posto?
La raffica di domande s’interruppe solo quando Ginny si accorse dello sguardo un po' distratto della Caposcuola.
- Herm! Non starai già pensando alle lezioni, vero? – le chiese scherzosamente, sapendo quanto fosse scrupolosa e fiscale la sua migliore amica in fatto di studio.
- Beh… - borbottò. – Sì… Cioè, no… Non è quello a cui pensavo adesso, a dir la verità. Io… Devo dirti una cosa, Ginny. – concluse con un sussurro bassissimo.
- Hei… – sussurrò la giovane Weasley, prendendole le dita tra le sue e scrutandola, preoccupata. – Il…il bambino…
La più grande delle due ragazze scosse la testa, tenendo lo sguardo fisso sui suoi piedi.
- Non si tratta di questo. – chiarì. – Lo sa. Gliel’ho detto. – rivelò, infine.
Passarono istanti in cui nessuna delle due ebbe il coraggio di dire niente, perché sapevano che qualunque parola avessero pronunciato avrebbe peggiorato le cose.
 
Passarono istanti in cui entrambe desiderarono che qualcosa, qualunque cosa, spezzasse quell’inquinante silenzio.
 
- E…? – domandò alla fine Ginny, incitandola a sfogarsi, anche se non le sembrava proprio una buona idea. La Caposcuola non rispose, ma il suo sguardo si oscurò e tanto bastò a troncare sul nascere la conversazione.
- Hermione, mi dispiace. – mormorò Ginny, non sapendo cosa dirle in quel momento.
L’amica la fissò per un istante e un lampo di tristezza le attraversò gli occhi, ma fece finta di niente. Sorrise debolmente e cambiò discorso alla svelta.
- Il bambino sta bene, però! – disse invece sorridendo.
Lo sguardo di Ginny s’illuminò a quelle semplici parole e sorrise in modo così raggiante da far impallidire il sorriso di Hermione.
- E’ tutto a posto, quindi? – domandò, con gioia.
- Sì, Madama Chips ha detto che d’ora in poi devo fare più attenzione, ma il piccolo sta bene.
E, in quel momento, Ginny fece la cosa più tenera del mondo.
Si abbassò fino ad essere con gli occhi all’altezza della pancia di Hermione e la accarezzò dolcemente con una mano.
- Hai visto, cucciolotto? La mamma ha detto che stai bene, non devi più preoccuparti! Cerca solo di non farle venire troppe nausee, la fai star male, sai? – parlò, rivolta alla sua pancia come se parlasse con una persona vera, con un tono di voce così dolce e spensierato che Hermione scoppiò a ridere. – Sarà un bel maschietto! – proferì poi Ginny, sicura, balzando in piedi come una rana.
- Maschio? – domandò la Caposcuola, alzando lo sguardo e portandosi un dito all’altezza del mento. – Perché?
- Non so, credo che sarà un maschio, tutto qui. – rispose la giovane Weasley, alzando le spalle. – È una sensazione!
- Non ho mai pensato a questo. – confessò Hermione. – Potrebbe essere anche femmina. – mormorò poi a mezza voce, sfiorandosi la pancia in un gesto materno.
Quando entrambe distolsero lo sguardo dalla sua pancia e si fissarono di nuovo negli occhi, rimasero agghiacciate. L’aria si cristallizzò in quel preciso istante, il tempo si fermò e nessuna delle due percepì più niente.
Hermione e Ginny, una davanti all’altra, fissavano entrambe un punto dietro di loro, per l’esattezza la figura di due ragazzi che probabilmente avevano assistito a tutta la scena.
Gli occhi di Hermione erano fissi su Draco.
Gli occhi di Ginny erano fissi su Ron.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
 
Heiiiiiii!!!!!!!!!! Salve a tutti! Bentornati lettori e lettrici, scrittori e scrittrici! Sono tornata!!!!!!
Ennesimo ritardo…Ormai non so neanche più in che modo scusarmi, sono imperdonabile :(
Spero lo stesso che qualcuno sia sempre disposto a seguirmi ^_^
 
Punto 1: Ho una brutta notizia da darvi. Ho litigato con mia madre, a dir la verità non ho ben capito cosa le ho fatto, ma lei mi ha sequestrato il computer a vita: ha cambiato tutte le password e mi ha bloccato tutti i siti. Se in questo momento sono al computer è perché lei non c’è e sono riuscita a scoprire la password del computer di mio padre, dove per fortuna non ci sono cesure e limitazioni. Non so bene quando potrò ri-usare il computer, sono tre giorni che non ci rivolgiamo la parola se non per il minimo indispensabile e dubito che la mia punizione finirà tanto presto. Non potrò aggiornare molto spesso come avevo promesso, mi dispiace :(
Cerco di fare il possibile, appena mia madre esce di casa scrivo quello che posso, ma non so quanto ci vorrà per l’arrivo del prossimo capitolo! Non uccidetemi vi prego!
Massimo massimo tenterò di fare arrivare il capitolo tra due settimane, ok? (Spero).
 
Punto 2: Avevo in mente tutt’altro modo di svolgere il capitolo, ma poi le mie dita hanno cominciato a scrivere, come dotate di vita proprio ed ecco il risultato. Mi starete odiando di sicuro per aver rimandato ancora la reazione di Draco, ma almeno in questo capitolo un piccolo assaggio lo avete…Mi dispiace, è che mi sento bloccata, il fatto che possa usare il computer solo quando mia madre è via mi mette fretta e ansia e non riesco a dare il meglio di me quando scrivo velocemente. Inoltre ero anche in un grosso ritardo con l’aggiornamento, quindi ho deciso di postare il capitolo così com’è anche se è venuto fuori un vero schifo.
Il prossimo cercherò di farlo meglio :)
 
Punto 3: La scena tra Daphne e Blaise è arrivata!!!!! Vi è piaciuta? Ve l’aspettavate? Daphne era un tantino nervosa, chissà perché…xD
 
Punto 4: Un grazie enorme a quelle 22 dolcissime ragazze (Ci sono maschietti nel pubblico? Non voglio offendere nessuno) che hanno recensito lo scorso capitolo: Harry PotterishBlack_YumiDracoMattyMalfoysuckerforloveJimmyB_Simi462MadamaBumbSasoriza98Helen StylescraniumStella94chiaramFedePluck93blair_87Shaunee Blackladyathenabritney18Felpik93Angelique BouchardTizianaRivera, Missboxer
e EmmaTom.
22, 22, 22!!!!! Io sto collassando per la gioia! Non avevo mai ricevuto così tante recensioni, grazie grazie grazie. Un grazie va anche a Charlene che ha recensito il primo capitolo ^_^
Probabilmente ripeto le stesse cose ad ogni capitolo, ma lo faccio perché la mia gratitudine nei vostri confronti è immensa, non vi ringrazierò mai abbastanza.
Ci tengo a ringraziarvi perché io amo scrivere…E se continuo a scrivere di questi di Draco e Hermione è solo GRAZIE a voi che avete un ruolo fondamentale in tutto questo. Siete voi che mi rendete orgogliosa di ciò che scrivo, siete voi che mi sostenete e mi date sempre il vostro appoggio. Alla fine non sono solo io a scrivere, ma siete anche voi e il merito è mio quanto vostro.
Quindi grazie anche a chi legge silenziosamente: vedere quanti sono i preferiti/seguiti/ricordati è motivo di grandissimo orgoglio per me e tira un po’ su la mia stima sempre abbastanza bassa XD
Un grazie gigantesco va sempre a quelle 5 ragazze che hanno segnalato la mia storia: Felpik93, 
aranciataDarleenSasoriza98 e DracoMattyMalfoy. Credo che finirò al reparto psichiatrico per commozione (dovuta alla gioia ovviamente).
Detto questo passo e chiudo e mi metto al lavoro per scrivere i prossimi capitoli! Stavolta ho già in mente tutta la scena e dovrei metterci meno tempo, ma tutto dipende da quanto mia madre sarà presente in casa xD
Al prossimo capitolo,
flors99

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Capitolo 14
*** Fear ***


E finalmente, finalmente, FINALMENTE, ho postato il nuovo capitolo. Mi dispiace, mi dispiace tantissimo. Vi devo una montagna, una valanga, un mondo di scuse, ma ora vi lascio al capitolo, sperando che non lo abbiate già messo al rogo prima :(
 
 
 




 
- R-ron… – esalò Ginny in un soffio.
Fu solo quell’impercettibile suono che fece riscuotere Hermione dallo stato di shock in cui era temporaneamente scivolata. Normalmente niente, niente, sarebbe riuscito a far scollegare gli occhi di Hermione da quelli di Draco, ma quella parola, quella piccola, semplice, insignificante parola, ruppe l’incanto e la bolla di silenzio creatasi intorno a loro.
 
Ron.
 
Come un automa la più grande delle due ragazze si voltò, per poter focalizzare la figura alle sue spalle. Gli occhi spalancati di terrore puro e le labbra in procinto di tremare, Hermione sembrava un piccolo cerbiatto ferito e spaventato a morte da qualcosa. O da qualcuno.
 
Ron.
 
Si sorprese di sentire l’aria nei suoi polmoni. Non ricordava come avesse potuto compiere quel gesto, da tanto che si sentiva paralizzata e immobile. La gola secca e le labbra contratte in una smorfia dolorosa, tenute ferme a forza dai denti per impedirsi di parlare, perché sapeva che se avesse emesso un suono, qualunque suono, avrebbe cominciato a gridare.
 
Ron.
 
Quel nome aleggiava nella sua mente con forza, prepotenza e invadeva il suo corpo con una pienezza, con una completezza così forte che la destabilizzò.
 
Ron, ron, ron, ron, ron.
 
I suoi occhi incontrarono quelli del ragazzo, dove vi lesse sorpresa e confusione, contrariamente a quanto si aspettava. Hermione si sarebbe immaginata di vedere nei suoi occhi un’intera gamma di emozioni, dalla più terrificante alla più inquietante. Eppure Ron non confermò nessuna delle sue possibili ipotesi, anzi abbozzò un sorriso che sembrava essere di… scuse?
Quando poi il suo migliore amico si avvicinò e l’abbracciò dolcemente, Hermione ci capì sempre meno. Anche se in quell’istante capire era l’ultima cosa che sarebbe stata in grado di fare. Sentiva soltanto il calore avvolgente di quell’abbraccio, che tanto le era mancato, e desiderava non doversi mai più allontanare da quel rifugio sicuro e protetto. Affondò ancora di più la testa nel petto di Ron, non poi così sorpresa di come lui riuscisse a calmarla e di come un senso di torpore intenso si fosse impadronito di lei con la sua presenza accanto. Piuttosto si scoprì ancora più sorpresa quando le mani calde di Ron accarezzarono le sue guance bollenti e inaspettatamente le rinfrescarono il viso grazie a quella dolcezza e delicatezza nei gesti.
Un piccolo tremore si propagò su tutto il suo corpo, a partire dal suo viso, e Hermione aggrottò le sopracciglia, confusa.
- E’ bello vedere che stai bene! – esclamò il giovane Weasley felice come una pasqua, sorridendo nel modo più disarmante che ci potesse essere.
Hermione aprì e richiuse la bocca più volte, non ricordando più come si facesse ad articolare le parole.
- Ron… cosa hai sentito di quello che abbiamo detto? – la voce di Ginny fece sobbalzare Hermione. Si era completamente dimenticata della sua presenza, come se tutto quello che la circondava fosse scomparso quando Ron l’aveva avvolta nel suo abbraccio protettivo. Sbatté le ciglia ripetutamente e guardò la sua amica come se non la riconoscesse.
- Io? Niente a dir la verità, ero appena arrivato. – ammise Ron, grattandosi la testa per ricordare. – Poi però ho visto il tuo sguardo terrorizzato e credevo fosse successo qualcosa. – aggiunse rivolto a Hermione. – Come mai mi hai fissato in quel modo? Sembrava che tu avessi visto un basilisco… – Hermione boccheggiò, ancora incapace di parlare. Lui non aveva… Non aveva sentito nulla? – Anche se tecnicamente non avresti potuto vedere un basilisco, perché se tu avessi visto un basilisco… insomma non avresti potuto vederlo perché… – riprese il Grifondoro, ragionando ad alta voce.
- Ron! – lo richiamò la sorella. – Hermione credeva che fosse un professore, era preoccupata di un possibile rimprovero per il ritardo alla lezione. – spiegò Ginny, assumendo un’espressione innocente e concludendo il discorso con un’alzata di spalle.
Hermione mosse appena la linea delle labbra: aveva sempre saputo che Ginny sarebbe stata un’ottima Serpeverde in fatto di bugie.
- Sempre a pensare allo studio, vero, Herm? – ironizzò Ron.
- G-già. – balbettò la ragazza. – Penso sempre allo studio.
Il pesante silenzio sceso tra loro durò non più di pochi secondi, poiché fu interrotto da una voce dura e fredda.
- Granger, devo parlarti.
Tutti i presenti ebbero una reazione diversa.
Hermione deglutì, con la salivazione a mille, ricordandosi solo in quel momento della presenza del Serpeverde. In quei pochi minuti di pace aveva cercato di eclissare il ricordo di lui, ma adesso era ritornato a forzare la sua mente, più potente e crudele che mai. Ginny digrignò i denti e affondò le unghie nei palmi della mano per impedirsi di compiere alcun gesto di cui avrebbe poi potuto pentirsi. Era piuttosto sicura che non si sarebbe mai pentita se avesse picchiato a sangue Malfoy, ma era altrettanto certa che non solo avrebbe creato scalpore e, quindi, attirato attenzioni indesiderate, ma avrebbe anche ferito Hermione. Per questo fece di tutto per rimanere ferma, anche se la sua mente stava già passando in rassegna tutti i modi possibili per torturare e far patire le pene dell’inferno a una certa persona. Ron assunse un’espressione minacciosa e si spostò, mettendosi davanti a Hermione, quasi come una guardia del corpo. Fissò il Serpeverde come se stesse per lanciargli una fattura Orcovolante, o qualcosa di simile.
Hermione, preoccupata, poggiò la sua mano su quella di Ron, per impedirgli di compiere sciocchezze. Quel gesto non sfuggì né a Ginny, né a Draco. La rossa distolse lo sguardo velocemente, la sua mente che già elaborava e interpretava quello che aveva visto, mentre Draco fissò le loro mani intrecciate per quel che parve un’eternità. I suoi occhi, se possibile, s’indurirono ancora di più, mentre un profondo gelo li ricopriva, rendendoli ancora più spaventosi.
- Fuori dai coglioni, Weasley. – proferì con un tono che non ammetteva repliche, alzando lo sguardo e fissando Ron nel modo più terrificante che potesse esistere.
 
Se gli sguardi potessero uccidere…
 
- Vattene tu, piuttosto. – sbottò il Grifondoro, mentre Ginny strizzava gli occhi e ancorava per bene i piedi al pavimento, per evitare di muoversi. – La tua presenza non è gradita.
- Mezzosangue, devo parlarti. – ripeté Draco, non dando segno di aver udito le parole dell’altro ragazzo, ignorandolo palesemente.
Hermione aprì bocca per parlare, ma Ron la precedette.
- Non ti azzardare a chiamarl… – iniziò il giovane Weasley, per poi essere brutalmente interrotto. 
- Io mi azzardo come, dove e quanto voglio, lenticchia. L’ho detto e lo ripeto: levatevi di mezzo, devo parlare con la Mezzosangue.
Ron cominciò a fremere di rabbia, pronto a esplodere. Era tentato di slanciarsi contro quell'arrogante Serpeverde, ma fu bloccato da Hermione che strinse la sua mano in una presa ferrea e poggiò l’altra sul suo petto, mettendosi davanti a lui, trovandosi così in mezzo ai due ragazzi.
- Ron, no. – mormorò, guardandolo negli occhi. – Lascia stare, non voglio… non voglio che nessuno si metta a litigare. Lascia perdere, davvero. – sussurrò, con convinzione.
Sotto le sue dita, Hermione sentì il cuore di Ron battere all’impazzata.
- Tu sei un grandissimo… – esclamò Ginny nello stesso momento.
- Per Salazar, cosa non vi è chiaro a voi due nell’espressione devo parlare con la Mezzosangue? Sono a conoscenza della vostra immane stupidità, ma qui mi pare che stiamo andando parecchio oltre. – sibilò con cattiveria, interrompendola e facendola infuriare ancora di più.
- Stai zitto, Malfoy. – gridò, gettandosi addosso a lui e dandogli uno spintone. Col senno di poi, si era anche trattenuta: avrebbe voluto urlargli cose molto peggiori e colpirlo più forte.
- Ginny! – esclamò Hermione, prima che su i presenti si riversasse un silenzio che non poteva essere definito tale.
Un silenzio fatto di parole.
 
Assordante.
 
Ron e Hermione, immobili, non mossero un muscolo, non sapendo cosa aspettare come possibile reazione da parte del Serpeverde. Sicuramente, non sarebbe stato qualcosa di piacevole.
Infatti, l’occhiata che Draco lanciò alla giovane Weasley fu qualcosa di talmente sprezzante che non si sarebbe potuto descrivere.
- Brutta schifosa… – sputò, pronto a prendere in mano la bacchetta. Draco non finì la frase perché Ron in un secondo affiancò la sorella, ponendosi davanti a lui.
- Non ti azzardare a sfiorare mia sorella, Malfoy, neanche con un dito.
Rimasero a fronteggiarsi per parecchi secondi, Draco con un’espressione furiosa e Ron con gli occhi assottigliati, che sembravano più duri e freddi del solito.
 
Ghiaccio contro ghiaccio.
 
- Ora basta. – sentenziò Hermione, dopo averli raggiunti ed essersi frapposta tra i due, lanciando una strana occhiata a Ginny. – Smettetela, entrambi. Ron, dubito che tu voglia finire in punizione come Harry, no? E per quanto riguarda te, Malfoy… – aggiunse, con le labbra piegate in una smorfia. – …mi pare che tu abbia combinato abbastanza guai l’ultima volta.
Strinse le labbra, nel triste ricordo di qualche giorno prima.
- Colpa di quel cretino di Potter, non capisco perché tutti abbiano la malsana idea di prendersela con me. – sbottò.
Ginny alzò gli occhi al soffitto, con uno sbuffo degno di un rinoceronte.
- Che ipocrita. – biascicò.
Ron, che non aveva compreso completamente lo scambio di battute, rimase in silenzio, per poi sbuffare a sua volta, seccato.
- Lasciaci in pace, Malfoy, per una volta. – mormorò, leggermente acquietato alle parole di Hermione.
- Merlino, lenticchia, quante volte devo ancora ripeterlo che voglio parlare con la Mezzosangue? – sputò il Serpeverde, guardando Hermione come se fosse un oggetto.
Una vena sul collo di Ron cominciò a pulsare impazzita.
- Dovevi tirarglielo più forte lo spintone, Ginny. – sbottò malamente, facendoci ancora più vicino al Serpeverde, col chiaro intento di rimediare all’errore della sorella. 
- Ron, lascia stare. – ripeté Hermione, parlando con voce bassa e modulata, cercando di evitare un possibile scontro in mezzo al corridoio, ma il giovane Weasley sembrava ben più che disposto per un duello. D’altronde, erano tre le cose che assolutamente non dovevano essere toccate, o, in qualche modo, ferite: i suoi dolci, Ginny e Hermione. Ovviamente anche Harry era importante per lui, ma, come diceva Ron, era un ragazzo e sapeva cavarsela da solo.
Il giovane Weasley allontanò con delicatezza la Grifondoro e si pose di nuovo davanti al Serpeverde. Si mosse come a colpire la serpe che aveva di fronte a lui, ma due braccia lo strinsero da dietro. Non fu la forza, a dire il vero parecchio scarsa, della stretta a fermarlo, ma l’affetto con cui fu circondato: era una stretta dolcissima, che trasmetteva tutto la bellezza del mondo, che imbrigliò la sua rabbia e la fece scemare.
- Vuole solo parlarmi. Lascia stare, per favore, so cavarmela da sola. – borbottò Hermione, temendo seriamente che potesse verificarsi un duello. Dopo ciò che era successo qualche giorno prima, la Caposcuola non aveva intenzione di sentir pronunciare un incantesimo d’attacco almeno per i prossimi due anni.
Ron ruotò con tutto il busto e ricambiò velocemente l’abbraccio di Hermione, con un lieve rossore che gli imporporava le guance.
- Se per colpa sua finisci di nuovo in infermeria, io…
- Non ci finirò. – lo interruppe Hermione, posandogli un dito sulle labbra e facendolo diventare paonazzo.
- D’accordo. – bisbigliò più a se stesso che agli altri, indietreggiando di un passo. – Uhm… bene, dunque, allora… io e Ginny… – guardò la sorella, che gli fece un segno con la testa, acconsentendo a lasciare soli gli altri due ragazzi. – Comunque, Malfoy, prova a farle del male e te la vedrai con me, chiaro?
- Cristallino, lenticchia. – replicò il Serpeverde per nulla toccato da quelle parole.
- Andiamo, Ginny. – concluse Ron, tendendo una mano verso la sorella. La giovane Weasley la prese più che volentieri, ma non prima di aver lanciato uno sguardo truce e a Draco.
- Tu non la meriti. – sibilò a voce bassa in modo che soltanto Malfoy potesse udirla, con tono gelido. Dopo aver sussurrato quelle parole, Ginny se ne andò, lasciandoli soli, e seguendo il fratello.
Quando Hermione li vide lontani, sentì uno strano vuoto al petto, ma quello che la sconvolse di più fu ripensare a quella strana sensazione, percepita lungo la spina dorsale, quando aveva abbracciato Ron.
 

 

 
- Perché Harry non ci ha aspettato?
- Alcuni ragazzi lo hanno trasportato in Sala Grande per discutere degli schemi di Quidditch… – rispose distratto Ron. – Lo cercano in continuazione, ultimamente.
- Già. – convenne Ginny. Come capitano, Harry aveva molti più impegni e doveri, rispetto agli anni precedenti.
- Ginny… Posso… posso dirti una cosa? – chiese Ron, con voce bassissima, cambiando completamente discorso.
- Sì. – rispose prontamente la sorella, un po’ stupita dalla sua domanda. – Puoi dirmi tutto, lo sai.
Era raro, a dir la verità, che Ron si confidasse con lei e ciò non poteva che farle piacere. Erano molto uniti, ma sul piano confidenziale evitavano di raccontarsi gran parte delle cose, soprattutto per l’imbarazzo che si veniva a creare quando affrontavano particolari argomenti.
- Ecco, io… – Ron si passò una mano tra i capelli, improvvisamente imbarazzato e a disagio. La sorella, accorgendosi del suo nervosismo, cominciò a sentire una strana inquietudine risalirle nelle ossa.
- Va tutto bene?
- Sì, sì, no, sto bene, ma… è che… – blaterò, senza dare un filo logico alle sue parole. – …Insomma io… Ne ho già parlato con Harry, a dir la verità, ma lui ha detto che ne capisce meno di me e io non so a chi dirlo e…
- Ron… – lo richiamò la sorella, preoccupata. Avvertiva una terribile ansia dentro di sé, forse già inconsciamente consapevole di quello che il fratello volesse dirle. Il suo tono non le piaceva per nulla e neppure quegli occhi azzurri confusi e smarriti: temeva quello che gli avrebbe confessato da lì a poco e sperava sul serio di sbagliare le sue previsioni.

No.

- Io… io sto impazzendo, Ginny! – mormorò il giovane Weasley. - Non ne posso più di… di tenermelo dentro, se non lo dico a qualcuno… miseriaccia, sono già impazzito! – sospirò, passandosi una mano tra i capelli rossi.
Ginny era ormai quasi certa di quale fosse l’argomento che Ron voleva affrontare e pregò tutti i maghi del mondo, persino Salazar Serpeverde, che in realtà non fosse così, che suo fratello non volesse davvero pronunciare ciò che lei temeva più di tutto. E che lei non fosse costretta a dover indossare un sorriso di plastica e mentire, ancora una volta.

No, Ron, non dire niente.

- Io… credo… credo… – sussurrò, fissandola negli occhi azzurri, identici ai suoi. – … di essermi innamorato di Hermione. – concluse tutto d’un fiato.
Ripensando a quel momento, Ginny non saprebbe dire per quanto tempo non fu in grado di aprire bocca, per quanto tempo quell’affermazione restò sospesa nell’aria, quasi a creare un muro tra loro due. Ripensando a quel momento Ginny non saprebbe dire quando davvero percepì su di sé tutti i timori di Ron, ma anche un pizzico di speranza, che presto, molto presto, sarebbe stata distrutta. Ripensando a quel momento, neppure Ginny riesce a spiegarsi come fece a non cadere a terra, a non scoppiare a piangere per quelle belle e terrificanti parole.
- E’… b-bellissimo, Ron. – mormorò la sorella sull’orlo delle lacrime, le mani che avevano preso a tremarle.

Non è bellissimo. È orribile, Ron, orribile.

A quel punto, Harry spuntò alle sue spalle, facendola sobbalzare.
- Hei. – lo salutò Ron, accennando un sorriso.
Harry ricambiò, facendo poi un cenno con la testa dietro di sé.
- Mi hanno detto di mandarti da loro. Vogliono assicurarsi sul tuo ruolo di portiere per la prossima partita. – chiarì.
- Ah. – borbottò Ron, sconsolato: il Quidditch era l’ultima cosa a cui pensava, in quei giorni. – A dopo, ragazzi. – li salutò con un gesto della mano, per poi defilarsi in fretta e mischiarsi tra gli studenti nella Sala Grande.
Ginny rimase a fissare il punto in cui il fratello era sparito per istanti interminabili. Eppure lo sapeva. Dannazione, lo sapeva.
Aveva sempre saputo cosa Ron provasse per Hermione, lo aveva capito già da tantissimo tempo. Come poteva continuare a mentirgli?
Ripensando a quel momento Ginny non saprebbe dire quando le lacrime cominciarono a scendere dai suoi occhi, ormai troppo pieni per poterle trattenere.
- Ginny! – esclamò Harry, alzandole il mento. – Perché stai piangendo? – mormorò, abbassando la voce. Non aveva quasi mai visto la giovane Weasley piangere, essendo una ragazza poco incline alle lacrime, motivo per cui si preoccupò immediatamente, consapevole che dovesse essere successo qualcosa di grave per ridurla in quello stato.
La Grifondoro alzò lo sguardo su di lui, non vedendolo neanche tanto bene, a causa della vista appannata dalle lacrime.
- Stringimi. – mormorò a malapena. – Stringimi, per favore. – ripeté, mentre il suo viso si bagnava sempre di più e poggiava la fronte sul petto del ragazzo. Strinse gli occhi, mordendosi le labbra, iniziando a singhiozzare, senza essere in grado di fermarsi.
 
Credo di essermi innamorato di Hermione.
 
Senza dire una parola, Harry la circondò con le braccia, accarezzandole dolcemente i lunghi capelli rossi e regalandole pigre carezze sulla schiena, scossa dai singhiozzi. Ginny gli fu profondamente grata per non aver fatto domande.
- Stringimi, Harry… – ripeté nuovamente, affondando ancora di più nel suo abbraccio, sperando di scomparire.
 
Io… io sto impazzendo, Ginny!
 
No. Era lei che stava impazzendo. Stava impazzendo, ne era più che sicura. Non riusciva più a vivere in quella situazione.
 
Per Hermione.
 
Lo faceva per Hermione. Sua amica, sua sorella. Solo per Hermione.
Strinse tra le dita la stoffa del maglione di Harry e continuò a versare lacrime come mai prima d’ora. Il Grifondoro si limitò a stringerla di più, mentre la sua testa si arrovellava, nel tentativo di capire cosa avesse turbato in quel modo Ginny. La giovane Weasley continuò a singhiozzare, incapace di fermarsi, mentre il cuore martellava impazzito nella sua cassa toracica, a intervalli irregolari. Non riusciva a calmarsi, nonostante la dolcezza e il calore dell’abbraccio di Harry.
 
Ron.
 
Adesso era a lei che quel nome faceva sanguinare il cuore.
 
Credo di essermi innamorato di Hermione.
 
Il suo corpo cominciò a tremare, immaginando quegli occhi azzurri, sempre allegri, che da un momento all’altro avrebbero ricevuto il colpo più duro della loro vita.
 
Ron non è il padre.
 
Si sentì male. Stava così male che avvertì il sapore della bile in gola.
Harry continuò ad accarezzarle i capelli rossi, senza accennare a lasciarla.
- Non piangere, Ginny. – sussurrò, nonostante non fosse a conoscenza del motivo per cui lei stesse così male. Non si azzardò ancora a fare nessuna domanda, stringendola semplicemente come se fosse una bambina di proteggere. Ginny non era mai stata una bambina. In quel momento, però, si sentì come tale. Una bambina schiacciata dalle bugie e da una verità che premeva per venir fuori.
Dopo vari minuti, il respiro di Ginny cominciò a ritornare regolare, gli occhi iniziarono a seccarsi, ormai vuoti, ma non prima di aver bagnato quasi completamente la maglia di Harry con le sue lacrime. La Grifondoro, una volta certa di essere in grado di respirare normalmente, alzò la testa, finché non fece incontrare le sue labbra con quelle di Harry. Lo baciò con talmente tanta forza e violenza, che Harry emise un borbottio soffocato, pieno di sconcerto. Lo baciò, nel tentativo di fondersi con lui, di separarsi dalla realtà troppo difficile da affrontare. Spinse le proprie labbra sulle sue con irruenza, prendendogli il viso tra le mani, tentando di annullarsi, di cancellarsi.

Voglio scomparire.

Harry, rimasto un attimo sorpreso di quella reazione, dopo qualche secondo di smarrimento, sciolse dolcemente la presa ferrea delle mani di Ginny sul suo viso e le intrecciò con le sue.
- Hei. – sussurrò, allontanandosi per un secondo dalle sue labbra. – Sono qui, Ginny, non scappo via. – mormorò, mentre asciugava le ultime lacrime presenti sul suo volto.
- Me lo prometti? – non riuscì a trattenersi dal domandare la giovane Weasley, con la voce rotta dal pianto, atterrita dall’eventualità di perdere anche lui, la sua fiducia.
Harry sorrise e, stavolta, fu lui a baciarla, con meno forza e prepotenza, ma con un’intensità disarmante. Sì, le rispose, in silenzio, tra le loro labbra. E Ginny non sapeva se scoppiare a piangere di nuovo per la sua fiducia incontrollata, che lei stava tradendo, o se scoppiare a ridere per quella gioia spontanea che Harry era in grado di generarle. Quando il ragazzo passò la lingua sulle sue labbra, chiedendone l’accesso, Ginny dimenticò tutto ciò che non erano le proprie mani intrecciate, tutto ciò che non era la sua bocca sulla propria, tutto ciò che non erano loro, uniti, insieme.
La ragazza percepì la sensazione di malessere scivolare via dalle sue ossa, scorrere via lungo la pelle, mentre veniva sostituita da un languore che si propagava sempre più rapidamente per tutto il corpo. Harry sciolse le loro dita intrecciate e le prese il viso tra le mani, facendola indietreggiare, mentre quel contatto si faceva più intenso. Ginny avvertì remotamente il dolore della sua schiena che cozzava contro il muro alle sue spalle, ma non se ne curò, intrecciando le sue dita tra i capelli scuri di Harry.
 
Grazie.
 
Fu questo il pensiero di Ginny, mentre il ragazzo le stava facendo perdere lucidità, lasciandole dolci baci su tutto il viso.
 
Grazie, Harry.
 
Avrebbe voluto dirglielo. Forse lui non si rendeva conto di quanto la stesse aiutando, essendo semplicemente se stesso, e forse non si rendeva nemmeno conto di quanto fosse importante, essenziale, per lei. Ma non era il momento: aveva ritrovato la pace, non voleva romperla immediatamente con le parole.
- Mi dispiace, Ginny. Non so cosa tu abbia, ma qualunque cosa ti abbia fatto star male, mi dispiace. – sussurrò al suo orecchio, prima di baciarla di nuovo.
La Grifondoro percepì le lacrime, che credeva esaurite, riempirle nuovamente gli occhi. Harry era una persona troppo buona, non meritava di essere preso in giro in quel modo.

Gli aveva mentito e gli stava mentendo.

Da più di tre mesi.

La giovane Weasley non ebbe la forza di rispondere, si limitò ad avvicinarsi ancora di più a lui, schiacciando il corpo di Harry contro il suo. E per quei pochi minuti dimenticò tutto quanto. Si sentì quasi felice.
Eppure, le ferite sulla sua pelle si vedevano.
I segni delle unghie conficcate a forza nel palmo della mano spiccavano sulla pelle candida.
 

 
 
 
- Pansy, torna subito qui!
- Daphne… avanti, cerca di ragionare… – borbottò la Serpeverde, imbronciandosi.
- Vieni qui, immediatamente, oppure faccio scoppiare il dormitorio! – gridò Daphne con uno sguardo allucinato e spaventoso, segno che avrebbe sicuramente messo in atto la sua minaccia. Pansy sgusciò fuori dal suo nascondiglio con riluttanza, trascinandosi dietro la povera gallina che non aveva smesso un attimo di tremare.
- Spostati. – ordinò la bionda con voce seccata, mentre puntava la bacchetta sull’animale terrorizzato.
- Uhm… Daphne, in fondo non ha fatto nulla di male… – mormorò Pansy, alzando le sopracciglia. 
- SPOSTATI! – gridò l’amica, persa completamente la pazienza. – ORA!
Se qualcuno si sta chiedendo perché Daphne fosse così intenzionata a far fuori quel povero pennuto, la risposta è presto data: la suddetta gallina aveva sviluppato un particolare interesse per la folta chioma bionda di Daphne, forse perché le ricordava il colore giallo della paglia. Qualunque fosse il motivo, la testa della Serpeverde era diventata il suo nido preferito e quella notte le si era appollaiata addosso, dormendo comodamente sul suo capo, o meglio, dormendo comodamente finché Daphne non aveva urlato e l’aveva scaraventata dall’altra parte della stanza. Se non fosse stato per l’intervento di Pansy, dietro la quale la gallina si era rifugiata, il piccolo animale sarebbe già stato morto stecchito.
- Daphne, calmati, per Salazar! È da quando sei tornata ieri sera che sei nervosa, oltre ogni limite! Stamattina hai trattato Blaise malissimo! Se non ti conoscessi bene, giurerei che ieri sera è successo qualcosa quando siet…
- NON NOMINARE QUELL’IDIOTA!
- Ecco, vedi? – riprese Pansy, per nulla preoccupata del suo tono. – Appena pronuncio il suo nome, tu cominci a urlare! – aggiunse, sempre più ostinata e testarda.
- Sto perdendo la pazienza. – l’avvertì Daphne. – Spostati e lasciami uccidere quell’inutile pollo! – la tempia destra pulsava pericolosamente, e nonostante Pansy sapesse che quello era il segno che avrebbe dovuto fermarsi, continuò imperterrita nelle sue insinuazioni, che non sapeva quanto davvero si avvicinassero alla verità.
- Perché stai cambiando argomento, Daphne? – Poi, avvicinandosi coraggiosamente e allontanando la gallina dai suoi piedi, le puntò un dito contro. – Mi stai nascondendo qualcosa? Qualcosa che riguarda Blaise?
Fosse stato per Daphne avrebbe volentieri lanciato una fattura Orcovolante per zittire, una volta per tutte, la sua petulante compagna di stanza, ma la prima cosa che si apprendeva su Pansy, non appena la si conosceva, era che non le si poteva nascondere niente, assolutamente niente. Se poi si aggiunge il fatto che Daphne era sua amica da più di sei anni e che, in tutto quel tempo passato insieme, Pansy aveva imparato a conoscerla, le possibilità che la bionda riuscisse a mantenere un segreto con lei, erano all’incirca pari a zero.
Con un gesto di stizza la Serpeverde ritirò la bacchetta, decidendo di uccidere il pennuto più tardi, e fissò Pansy negli occhi.
- Ho fame. – disse soltanto, per poi voltarsi e dirigersi verso la Sala Grande.
- Cosa? Hai cambiato di nuovo discorso! – esclamò la mora seguendola. – Visto? Questo conferma la mia ipotesi! È successo qualcosa e tu…
- Zitta, tu! Altrimenti non ti dirò niente.
Queste furono le parole Pansy, che la accompagnò di buon grado nella Sala Grande, tenendo sempre la bocca chiusa, fino a quando Daphne non le raccontò tutto quanto.
 

 


Perché?
 
Questa era la domanda che aleggiava nelle loro menti, senza che nessuno avesse il coraggio di porla. Draco teneva le labbra serrate in una linea rigida e Hermione sapeva bene che non avrebbe indugiato ancora per molto a non parlare, per cui lo anticipò.
- Senti, Draco…
- Non chiamarmi per nome! – la interruppe immediatamente il Serpeverde. – Per te, io sono Malfoy.
 
Malfoy.
 
Stava marcando i confini. Non importava ciò che era successo tra loro, la barriera era sempre lì, non si era scalfita minimamente.
 
Malfoy.
 
Metteva le distanze. Un ulteriore segno del fatto che tra loro esisteva un solco, un vero e proprio burrone, che entrambi avevano contribuito ad erigere.
- Come puoi dirmi questo? – ringhiò Hermione. – Tu sei il padre!
Quelle parole erano fuoriuscite dalle sue labbra senza che lei ci riflettesse sopra, erano state nascoste dentro di lei a lungo, pronte ad esplodere alla prima occasione. La ragazza strinse i pugni, improvvisamente in collera, e probabilmente non si accorse del trasalimento che aveva avuto il Serpeverde quando lei aveva pronunciato la parola padre.
- Ne sei sicura? – domandò Draco dopo qualche secondo, con voce roca.
- Sicura? A cosa ti riferisci?
- Che io sia il padre! – sbottò con stizza, per tutta risposta, ormai al limite della sopportazione.
Gli occhi di Hermione divennero un involucro vuoto.
- C-cosa?
- Come Merlino faccio a sapere che tu non sia stata con qualcun altro e stia tentando di incastrarmi? – sibilò, facendola strozzare con la sua saliva. Sputò quelle parole con tono sprezzante, gli occhi ancora impregnati di quel nero che sprigionava una rabbia senza pari.
Quando Hermione rialzò su di lui gli occhi che aveva abbassato e lo guardò Draco non la riconobbe.
Sembrava… spirata.
- Come puoi pensare una cosa del genere? – boccheggiò, incredula di aver sentito parole così cattive e malfidate. – Come… come… – l’attimo dello sbigottimento durò solo pochi attimi, prima che una profonda indignazione e una rabbia senza pari si facessero strada nelle sue viscere e impregnassero i suoi occhi di umiliazione. - Come ti permetti? – mormorò, per poi alzare il tono di voce. – Credi che io sarei capace di…? – s’interruppe, incapace di continuare. – Davvero pensi che io sia quel genere di persona? È questo che pensi di me? – esclamò poi, con gli occhi che cominciavano a inumidirsi. Era la prima volta che alzava così tanto la voce con lui, ma sapere che era davvero questa l’opinione che Draco aveva di lei la faceva uscire fuori di testa.
- Non alzare la voce, per Salazar! – ribatté il Serpeverde, intollerante al suo tono più alto di due ottave. Si avvicinò quel tanto che bastava da costringere Hermione a ritrarsi.
 
Stavolta era lei a voler star lontana da lui.
 
Paradossalmente, la situazione parve a Hermione talmente simile a quella di pochi mesi prima che, per un attimo, si perse attraverso il limbo dei propri ricordi. Il viso di Draco era talmente vicino al suo che quasi gli sfiorava il naso. Ma, stavolta, non c’era l’alcool nella loro mente o nel loro corpo, non c’era quel sentimento che li aveva colti all’improvviso e di cui ora ne pagavano le conseguenze. In quel momento, tra loro c’era soltanto un dannato odio e una rabbia che si faceva sempre più consistente e di cui nessuno dei due conosceva la parola magica per farli dissolvere.
- Credo di averne tutto il diritto! – sbottò Hermione.
- Tu non hai nessun diritto, sei solo una stupida Mezzosangue che non accetta neanche una domanda legittima!
- Legittima? Legittima?! – ringhiò, con una smorfia sul viso. – Hai insinuato che io avrei potuto mentirti su una cosa simile! Sei un idiota, Malfoy! Un grandissimo idiota!
Si spostò di lato, per riuscire ad allontanarsi e togliersi da davanti quei maledetti occhi grigi, che la mandavano in confusione e le facevano battere il cuore all’impazzata.
 
Stavolta era lei a voler restare lontana da lui.
 
- Cosa dovrei pensare, eh? – fu la fredda risposta di Draco.
- Non m’interessa quello che pensi. Io ho detto la verità, se non ti fidi è un problema tuo! – sbottò, malamente. Di nuovo, la consapevolezza di essere stata paragonata a una poco di buono, una persona che tentava di incastrarlo, come lui l’aveva definita, le fece ribollire il sangue nelle vene.
- Ma davvero? – ironizzò il Serpeverde, con profondo sarcasmo. – E, allora, perché non me lo hai detto subito? Ma, soprattutto, me lo avresti mai detto, se non fossi finita in infermeria? – chiese, furioso.
Hermione strinse le labbra in una linea rigida.
- So di aver sbagliato a non avertelo detto subito. – fu costretta a convenire, mentre metteva a tacere il suo orgoglio, per risolvere quella discussione senza spargimento di sangue. – Ma io…
- Tu un bel niente! Perché non me lo hai detto, per Salazar?! – urlò il ragazzo, a quel punto, esasperato oltre ogni limite. Merlino, non credeva che avrebbe mai potuto ritrovarsi in una situazione del genere. Venire a sapere, dopo ben tre mesi, che la Granger aspettava suo figlio era qualcosa di talmente scioccante che non sapeva neanche come comportarsi. Sicuramente non sapeva come mantenere il controllo e non andare su tutte le furie.
- Sei ingiusto. – sussurrò lei, cercando di non tremare. – Perché non provi a guardare la situazione dal mio punto di vista? Cosa… avrei dovuto dirti? Pensi che se ti avessi detto sai, Malfoy, ti ricordi la festa di tre mesi fa, quella in cui siamo stati insieme? Beh, mi hai messa incinta!, sarebbe stato meglio? – sputò, lo sguardo assottigliato e la voce che le tremava.
- Sicuramente non avrei voluto saperlo dopo tre mesi! – rispose dopo qualche minuto, neanche tanto convinto delle sue parole, ma semplicemente per l’orgoglio di avere l’ultima parola.
- Avevo paura, Malfoy. – si ritrovò Hermione a confessare, con voce bassissima.
Era la prima volta che lo diceva ad alta voce.
Era la prima volta che dalle sue labbra usciva quella parola.
 
La stessa parola che era la causa dei suoi danni.
 
Perché era stata proprio quella stessa paura che ogni volta che fissava i suoi due migliori amici, la costringeva a serrare le labbra e a non emettere alcun suono. Era stata proprio quella paura che la schiacciava ad impedirle di dirgli la verità per tutto questo tempo.
 
Paura.
 
Sembrava una parola così priva di senso e così innocua adesso che la pronunciava, eppure Hermione sapeva benissimo che la paura tutto poteva essere, ma sicuramente non innocua. La paura era un mostro nero che si avventava sulla pelle, sul corpo, fino a che non arrivava alla gola, pronta a stringere per farle mancare l’aria.
 
La paura di essere disprezzata da lui, ancora una volta.
 
La paura di sbagliare, di aver sbagliato.
Con gli occhi ormai prossimi al pianto lo fissò, sperando di poter trovare qualcosa che non avesse nulla a che fare con la cattiveria.
- Avevo paura. – ripeté. Più ripeteva quella parola, più sentiva un peso sullo stomaco che diminuiva e le permetteva di respirare. – A te non è mai capitato?
Draco, rimasto immobile alla sua affermazione, non si preoccupò neanche di non sembrare spiazzato. Si limitò a poggiare un mano al muro alle spalle di Hermione, come se fosse improvvisamente stanco e bisognoso di reggersi.
 
Avevo paura.
 
Perché piangevi quella notte?
 
Avevo paura.
 
Lui però non era riuscito ad ammetterlo. Neanche a se stesso.
- Ho cercato di parlarti più volte della gravidanza, ma non sono mai riuscita a trovare le parole giuste. Forse… – borbottò. – Forse hai ragione tu: se non fossi finita in infermeria non te lo avrei detto. – il ragazzo allacciò gli occhi ai suoi a quelle parole. – Ma io… – continuò imperterrita la ragazza. – …non ti ho mai mentito.

Tu sei il padre.

Il Serpeverde strinse i pugni, pronto a ribattere, ma la ragazza parlò prima di lui.
- Non ho avuto rapporti con nessun altro dopo di te, su questo devi credermi sulla parola. – bisbigliò, con fermezza nella voce, nonostante parlare le costasse uno sforzo immenso. – Quanto al prima, d-dovresti saperlo. – ingoiò un groppo di saliva, ripensando a quello che aveva cercato a tutti i costi di dimenticare.
Aveva cercato di dimenticarlo perché era un ricordo bello. E faceva ancora più male.
Draco non comprese immediatamente a cosa la Grifondoro si stesse riferendo; poi, un pensiero si fece strada nella sua mente e si srotolò nei suoi occhi. Sgranò gli occhi mentre ricordava ciò che aveva seppellito nella sua testa e sotto la sua barriera.
 
 
- I-io volevo dirtelo, ma… non ero sicura che… che avresti capito. – mormorò Hermione, mentre riacquistava un pizzico di lucidità. Lo aveva lasciato fare e basta, trasportata dal piacere, troppo avvinta dalla paura di farlo smettere o fermare.
Non appena aveva udito quel gemito di dolore, Draco si era distanziato da lei, come se fosse stato pungolato. La spinta non era stata eccessivamente forte, eppure l’odore di sangue era inconfondibile. Con le sue parole, Hermione, non aveva fatto altro che confermagli ciò che già sospettava. Contrariamente a quanto aveva temuto la ragazza, Draco non disse niente al riguardo, semplicemente la osservò con occhi curiosi e, forse, leggermente confusi. L’alcool, evidentemente, non aveva ancora terminato i suoi effetti, ancora in circolo nel sangue.
Poi Draco sorrise, socchiudendo appena le palpebre. Non sembrava il solito ghigno. Hermione abbassò gli occhi, un po’ in imbarazzo, almeno finché Draco non le afferrò il mento, e poggiò di nuovo le labbra sulle sue per riprendere ciò che aveva iniziato.
- T-ti sporcherai. – mormorò la ragazza, a malapena.
- Non c’è niente di sporco in te, Hermione.
 
 
La prima e l’ultima volta che l’aveva chiamata per nome.

La prima e l’ultima volta in cui lei si era sentita veramente felice.

La prima e l’ultima volta.

Draco abbassò il braccio, rigido come una statua.
- Te lo ricordi? – Hermione lo richiamò alla realtà. La Grifondoro emise un verso, qualcosa a metà tra una risata e un lamento. – Che strana la vita, vero? – tentò di sdrammatizzare. – Un sacco di ragazze hanno… rapporti con i loro ragazzi per più della metà del loro tempo, e io… – sospirò, non in grado di tacere. – …io ho fatto l’amore solo una volta e sono rimasta incinta.
Il ragazzo non rispose, sentendo la lingua impastata, la gola secca, il corpo fermo. Non riuscì neanche a muoversi.
Come se l’intensità del ricordo lo avesse bloccato, nel momento stesso in cui era tornato alla sua mente. O almeno non si mosse finché non sentì un rumore proveniente vicino a loro.
Il rumore di qualcosa che cade, che produce un suono secco contro il freddo pavimento, fatto di dura pietra.
Hermione si girò automaticamente verso la fonte di quel suono penetrante e i suoi occhi si ritrovarono a fissare una borsa piena di fogli, riversa sul pavimento, e due piedi accanto ad essa, immobili e fermi, rigidi come una statua.
- La ricerca…  – mormorò Ron, sconvolto, con la voce piena di panico. Poggiò una mano al muro accanto a lui, non più in grado di reggersi da solo. – M-mi ero dimenticato la r-ricerca.
 
   
 
 

 
















Angolo Autrice

Quanto mi odiate da 1 a 10?
Penso che la risposta giusta sia…2000.
Mi sono fatta attendere troppo, sarà…un mese che non aggiorno! Mi sento una….melma (meglio non dire parolacce qui xD).
Purtroppo la punizione è ancora attiva: una settimana fa però sono riuscita a contrattare con mia madre e mi ha concesso una mezz’oretta al computer al giorno, ma chi scrive sa bene che in mezz’ora può venir fuori tutto, ma può anche non uscire nulla. Diciamo che avevo perso un po’ l’ispirazione, anche se ora ho un sacco di idee e posso dire di essermi rimessa in riga.
SO che questo capitolo è un disastro e chiedo scusa in anticipo, ma proprio non voleva venire fuori. L’ho riletto più volte e sono stata tentata di cancellare tutto, ma poi mi sarebbe dispiaciuto farvi attendere ancora per cui ho deciso di postarlo, anche se probabilmente mi arriveranno un sacco di bandierine arancioni per la sua mediocrità.
Inoltre chiedo scusa anche a quelle ragazze che hanno recensito il capitolo 12 e a cui non ho ancora risposto, davvero non avete idea di quanto mi vergogni. Voi avete speso del tempo per me e io…..Mi sento uno schifo.
Mi dispiace :( Recupererò al più presto con le recensioni, promesso!
Moooooolto bene. Ora che ho chiesto scusa a tutti, passo a commentare il capitolo.
Ve l’aspettavate che Ron non avesse capito nulla all’inizio? Beh…per chi ci è rimasto male, poiché non ha potuto leggere la sua reazione, sappia che la leggerà nel prossimo capitolo!!!
Non saprei commentare invece la reazione di Draco: avrei voluto darle un giusto equilibrio, ma ho combinato uno schifo come mio solito e mi scuso ancora per questo.
Avete notato che in questo capitolo ci sono parti su quasi tutti i personaggi? Io non me ne resa conto! Me ne sono accorta solo quando l’ho riletto!
Ultima cosa: so che non dovrei avere pretese, ma…..spero che il capitolo vi piaccia, l’ho fatto bello lungo, magari mi perdonerete un po’ ;)
Il prossimo capitolo in parte è già scritto, quindi non dovrei farvi attendere più di tanto.
Ringrazio quelle 16 raggi di sole che hanno recensito lo scorso capitolo e che continuano a sostenermi, nonostante tutto: Black_Yumi, Angelique Bouchard, Stella94, Virus14, EmmaTom, Elisetta Slitherin, suckerforlove, UraniaSloanus, Harmony Knight, cranium, JimmyB_, MadamaBumb, cocis, Sasoriza98 e TizianaRivera.
Ma un GRAZIE enorme anche a quelle 7 (7, 7,7!!!!!!!!) ragazze che mi hanno segnalato tra le scelte: UraniaSloanus, Slitherin_Ss, Felpik93,
aranciata, Darleen, Sasoriza98 e DracoMattyMalfoy. Grazie anche per aver solo pensato che meritassi un posto tra quelle storie tanto fantastiche.
Detto questo vi saluto miei cari lettori, con la speranza di aggiornare presto!
Alla prossima!!!!!!!!!!!!!
flors99

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Capitolo 15
*** Monster ***


 
- Ti piace! Ti piace, ti piace, ti piace! Lo sapevo, ne ero sicura, d’altronde io sono un genio ed era ovvio che andasse così e non potevo certo sbagliarmi su una cosa simile! Io lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo!!! – esclamò, per la diecimillesima volta, con tono stridulo.
Da circa tutta la mattina Pansy ripeteva quelle adorabili parole che Daphne amava ascoltare. Neanche l’arrivo della professoressa riuscì a fermare la sua lingua irrefrenabile, che continuò a ripetere quelle parole sottovoce per tutta la durata dello svolgimento delle lezioni. Neppure la comparsa di Blaise sul banco accanto al suo, le fece pensare che se avesse continuato, avrebbe sia messo in imbarazzo Daphne, sia fatto sospettare qualcosa all’amico. Fu per questo che ad un certo punto la bionda perse definitivamente la pazienza.
- BASTA! – esclamò. La voce risuonò forte e chiara, per sua sfortuna.
Il leggero brusio nell’aula cessò immediatamente e decine di paia di occhi furono tutte puntate su di lei, mentre Pansy, nel banco dietro al suo, sfoderava un ghigno serpentesco che avrebbe fatto concorrenza a Draco.
- La lezione non è di suo gradimento, signorina Greengrass? – gli occhi della McGranitt la trapassarono da parte a parte.
Pansy non riuscì a reprimere il ghigno formatosi sulla sua faccia, che, anzi, si accentuò ancora di più.
- Pansy, dopo ti uccido. – le sibilò la bionda in modo glaciale, voltandosi nella sua direzione, per poi rivolgersi alla professoressa. – Mi scusi, non volevo disturbare.
- Se mi facesse il piacere di zittirsi, io potrei continuare la mia lezione. – proseguì la McGranitt, alla quale non era sfuggito lo scambio di battute tra lei e Pansy.

Brutta stronza.

Questo fu il pensiero di Daphne, anche se non era sicura se indirizzarlo a Pansy o al docente di fronte a lei.
D’un tratto tutti i presenti nell’aula strizzarono gli occhi, stranamente interessati alla parete dietro di lei. La McGranitt, sbigottita, la fissava come se fosse un alieno.
- C-come? – borbottò la professoressa, improvvisamente sbiancata.
- L’ho detto ad… alta voce? – chiese Daphne, sperando che qualcuno negasse le sue parole. Cosa che nessuno fece. – Porco paiolo… – mormorò la bionda.
La McGranitt, il cui viso era passato dalla tonalità più cerea a una rosso cremisi, la fissò come un cane randagio fissa un pezzo di carne fresca. Era uno sguardo quasi benevolo. Cosa ancora più spaventosa.
- Credo che sia meglio per lei e per noi, se esce dalla mia aula, adesso!
Con uno scricchiolio proveniente dal banco, la Serpeverde si alzò con eleganza, per nulla scalfita dalle sue parole.
- E 50 punti in meno a Serpeverde! – concluse il docente, prima che la ragazza uscisse dall’aula, borbottando qualcosa sulla maleducazione degli adolescenti.
- Daphne ti vuole parlare, Blaise. – sussurrò Pansy all’orecchio del moro.
Gli occhi blu del ragazzo si drizzarono all’istante, fissando la ragazza, sorpreso.
- Non so cosa voglia dirti, però. – aggiunse la Serpeverde, alzando le spalle, dichiarando così la sua assoluta e innegabile innocenza. Il ragazzo non sembrava molto convinto delle sue parole, ma dopo qualche attimo, alzò la mano.
- Sì, signor Zabini?
- Potrei andare in Infermeria, professoressa? Non mi sento molto bene…
- D’accordo. – acconsentì la McGranitt. – Hai bisogno di qualcuno? – aggiunse poi, lievemente preoccupata.
- No, grazie.
Una volta uscito anche lui dall’aula, Pansy si accomodò meglio sulla sedia, sorridendo.
 
Piccola serpe.
 
 

 
Quando Daphne era uscita dalla classe, non aveva ben compreso il perché del comportamento di Pansy. Sembrava essere stata molto decisa a portarla all’esasperazione, cosa facile a dire il vero, e non riusciva a spiegarsene il motivo. O almeno non lo comprese, finché non si ritrovo davanti Blaise, appoggiato al muro, come se la stesse aspettando.
 
Piccola serpe.
 
L’aggettivo migliore che si potesse trovare per Pansy.
Sentì le mani formicolarle pericolosamente, ma s’impose di non mostrare alcuna emozione. Con un cipiglio innervosito scrutò l’amico nel modo peggiore che ci potesse essere. Blaise da parte sua, si limitò a fissarla come si osserva il nulla, con sguardo impassibile e indifferente.
- Beh? – proruppe alla fine la ragazza, stufa di quello scambio di sguardi. – Cosa vuoi?
- Parlarti. – rispose lui, con calma.
- Come sapevi che sarei venuta qui? – cambiò discorso, più innervosita di prima.
Blaise si guardò un po’ intorno, soffermando sull’aula al suo fianco, chiusa a chiave, ma facilmente apribile con un incantesimo elementare.
- Ti conosco. – proferì, ancora più calmo, sapendo che Daphne soleva rifugiarsi all’interno di quell’aula al terzo piano, quando desiderava stare da sola.
- Bene, se mi conosci, saprai anche che non ti voglio tra piedi. Vattene!
- No. – rispose Blaise, infilando le mani nelle tasche della divisa e squadrandola da capo a piedi.
- No?
- No.
- Credo di aver capito male. – sbottò allora Daphne, che non si spiegava per quale motivo il ragazzo fosse lì e, soprattutto, di cosa volesse parlare.
- Hai capito benissimo invece, Da. – rispose lui, scostandosi dal muro e facendosi più vicino.
- Cosa vuoi, Zabini? – chiese, innervosita dal suo progressivo avvicinamento.
- Perché mi chiami per cognome?
- Perché non dovrei farlo? – replicò, spiazzata da quella domanda.
- Mi chiami in quel modo solo quando sei arrabbiata.
- Infatti lo sono! – replicò la ragazza stizzita. Si accorse troppo tardi che aveva ammesso più di quanto avrebbe dovuto.
- Con me? – indagò Blaise, confuso.
- Esattamente!
- E perché?
- Perché… Perché, sì, no, cioè… Io non sono arrabbiata! Io sono calmissima, chiaro? – blaterò, incrociando le braccia e fissandolo con il nasetto per aria, in modo arrogante.
- No, non lo sei. – la contraddisse Blaise.
- Sì, lo sono.
- Sei arrabbiata.
- No.
- Sì.
- No!
- Hai detto di essere arrabbiata con me un secondo fa.
- Mi sono sbagliata!
- No, non credo tu ti sia sbagliata.
- Invece sì!
- No.
- Ho detto di sì, porca puttana!
- E io ho detto di no. – le rispose Blaise fissandola, con quegli strani occhi che rimanevano sempre imperturbabili di fronte a tutto. – Sei arrabbiata con me e non capisco perché. È da ieri sera che hai cominciato a comportarti in modo strano e adesso mi spiegherai il perché. – alle parole di Blaise, un innaturale rossore si fece strada sulle guance di Daphne, che piuttosto che arrossire davanti a lui, avrebbe preferito morire assiderata.
- Io non devo spiegarti nulla! – replicò con veemenza, cercando di nascondere il suo rosa colorito. Invano.
- Perché sei arrossita?
- Io non sono arrossita!
- Sì.
- No!
- Sì!
- NO!
- Se non ti conoscessi bene, direi che il tuo rossore è dovuto al fatto che hai ripensato a quello che è successo ie…
- Sono rossa per rabbia, non per imbarazzo! – mentì, tentando di salvare il salvabile.
- Allora è vero.
- Vero, cosa?
- Che sei arrabbiata.
A questo punto della conversazione, ritengo necessaria una piccola parentesi.
Esistono tanti tipi di pazienza e ognuno era stato attribuito ad una precisa casa di Hogwarts. C’era quella dei Tassorosso. Una pazienza ingenua e innocente, che derivava dalla speranza di vedere i frutti della loro fatica. Non era il tipo di pazienza che poteva essere attribuita a Daphne. C’era quella dei Corvonero, meno ingenua, ma sempre molto controllata: aspettavano con calma il risultato del loro studio e della loro meditazione. Neanche questa poteva essere attribuita alla ragazza. C’era quella dei Serpeverde. Una pazienza dettata dai loro subdoli scopi, persone in grado di attendere anche una vita per una vendetta ben congegnata. Eppure neanche con questo tipo di pazienza si poteva descrivere Daphne. La ragazza non lo avrebbe mai ammesso, ma la sua pazienza era in tutto e per tutto uguale a quella dei Grifondoro, che vantava un’unica, ineguagliabile caratteristica.
La sua assoluta, innegabile, totale… inesistenza.
- SI PUO’ SAPERE CHE CAZZO VUOI, ZABINI?!? TU E LE DANNATE DOMANDE MI STATE FACENDO IMPAZZIRE! SE QUESTO ERA IL TUO SCOPO, COMPLIMENTI, CI SEI RIUSCITO!
Il fiume di parole sarebbe continuato imperterrito per ancora un bel po’ se Blaise, non si fosse avvicinato quel tanto che bastava per farla indietreggiare. L’aria le morì in gola, quando vide la distanza tra lei e lui diminuire sempre di più.
- Volevi sapere se ero arrabbiata? Bene! Sì, ora grazie a te, sono incazzata nera, Zabini! – continuò Daphne, anche se con un tono meno alto rispetto a prima.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, come a voler capire qualcosa, continuando ad avvicinarsi. Daphne da parte sua indietreggiò ancora, decisa più che mai a mantenere distanza tra loro due.
- Perché?
- Beh?! Ricominciamo?! – esclamò, con il sangue che le ribolliva nelle vene e con agitazione crescente nel petto, dovuta sia al viso del ragazzo, ormai vicino al suo e allo sfioramento che c’era stato tra le loro braccia e che lei poi, di scatto, aveva allontanato per non venire a contatto con la sua pelle. – Vattene via, lasciami in pace! Non sono dell’umore per mettermi a litigare. – concluse Daphne, incrociando le braccia al petto, mettendo una specie di barriera tra loro.
- No.
- No?
- No.
- Aaaaargh! Io ti schianto, Zabini! Se non la finisci subito…
- Io non me ne vado… – replicò il ragazzo con decisione, incastrandola tra lui e il muro, interrompendo le sue minacce. – …finché non mi spieghi il motivo per cui sei così arrabbiata con me.
La vicinanza improvvisa la destabilizzò: le sue scarpe erano premute contro quelle di Blaise e i loro corpi aderivano per la troppa poca vicinanza. Cercò di schiacciarsi sempre di più contro il muro, desiderando con tutte le sue forze che si aprisse un varco, che la inghiottisse, ma non successe. Anzi, servì solo per avvicinarli di più.
- Finalmente ti sei zittita. – nonostante Blaise Zabini fosse noto per la sua stranissima calma, adesso il comportamento dell’amica lo irritava parecchio. Non gli piaceva che qualcuno ce l’avesse con lui per un motivo ignoto ed era ben più che propenso a scoprirlo. – Dimmi cos’hai, Da. – le tirò su il viso prendendole il mento, dato che la ragazza si ostinava a negargli lo sguardo.
- Niente. – mormorò in risposta, mantenendo gli occhi verdi incollati ai suoi.
Frustato, perché aveva capito che non avrebbe ottenuto altro, il ragazzo per poco non tirò un pugno al muro di fronte a lui.
- Non prendermi in giro! Lo capisco benissimo che ce l’hai con me, credi che sia così stupido?
- Perché, non lo sei? – chiese la bionda, con ritrovata ironia.
- Non sto scherzando, Daphne. – rispose il Serpeverde con rabbia appena trapelata, ma che stava progressivamente aumentando.
- Neanche io. – sibilò la ragazza, puntando i piedi.
- Ti comporti come una bambina.
Quelle parole rimasero appese tra loro per dei lunghi istanti, finché il rumore di uno schiaffo non risuonò forte e chiaro, propagandosi tra i muri del corridoio. Blaise si toccò la guancia arrossata, con una strana luce negli occhi.
- Non sono una bambina.
Il sibilo di Daphne fu appena udito dal ragazzo e lei approfittò della sua distrazione per sgusciare fuori dalla sua presa e incamminarsi nella direzione opposta.
 
 
 
  
Quando quella mattina Ginny uscì dall’aula si sentì più distrutta di quando era entrata. Il che era tutto da dire. Il mal di testa non l’aveva abbandonata neanche un secondo e aveva seguito la lezione con il braccio costantemente a sorreggere la testa, mentre il professore la richiamava e la rimproverava per la sua scarsa attenzione, facendo perdere preziosi punti alla sua casa.
- Tutto a posto, Ginny? – una sua compagna di casa al suo stesso anno, la guardò preoccupata, avendo notato lo stato in cui era ridotta quella mattina.
- Sì. – mormorò la giovane Weasley flebilmente, lo sguardo basso.
Poi, fece la cosa più coraggiosa del mondo.
 
Sorrise.
 
Sorrise semplicemente, muovendo appena le labbra e alzando gli occhi.
 
Un sorriso che annaspava agli angoli della bocca e che non arrivava agli occhi.
 
- Tutto a posto, Miriam.
La moretta davanti a lei sorrise a quella risposta, in modo molto più sincero rispetto al suo.
Ginny scrollò i capelli rossi e raccolse tutti i suoi libri, per dirigersi alla lezione successiva, stendo ben attenta a dove metteva i piedi: nello stato di confusione in cui si trovava avrebbe potuto benissimo sbattere contro qualcuno.
E, infatti, fu quello che successe.
Ricevette una forte spallata appena fuori dall’aula, troppo potente per poter essere stata casuale. Si guardò intorno con lo sguardo, pronta a incenerire con gli occhi lo spiritoso che aveva scelto decisamente il giorno sbagliato per fare questo tipo di scherzi.  L’unica persona che riconobbe come familiare tra gli studenti fu Neville, che stava attraversando il corridoio in quel momento, ma conoscendo il carattere pacifico e gentile dell’amico dubitava fortemente che potesse essere stato lui a compiere un simile gesto. Solo dopo un esame più approfondito si accorse della chioma fulva appoggiata alla colonna, che la osservava malevola. Ginny la fissò con gli occhi assottigliati, indecisa se lanciarsi in una lunga discussione o se lasciar perdere fin dal principio. Proprio quando stava per andarsene, avendo scelto la seconda opzione, la sua voce la fermò.
- Sembri distrutta, Ginny. Come mai?
- Non è giornata, Brown. – sbottò, consapevole di quanto poco importasse a quella stupida oca bionda del suo stato di salute. Detto questo fece per voltarsi nuovamente, ma Lavanda le bloccò il passo prima che Ginny fuggisse.
- Come siamo scontrose, eh? Non è che mi nascondi qualcosa? – insinuò con voce dolce. Finta.
- Cosa vuoi, Brown? Non è giornata, te l’ho detto. – ripeté, sistemandosi la borsa sulla spalla e lanciandole un’occhiata poco interessata. Comprendendo che la rossa era restia a qualunque tipo di conversazione, Lavanda andò subito al nocciolo della questione.
- Sai, la tua amica non era a lezione nemmeno oggi. – disse, avvicinandosi alla giovane Weasley, che era rimasta a fissarla a braccia conserte.
- Non so di chi parli. – replicò Ginny con sguardo impassibile, combattendo contro la voglia di andarsene e voltarle le spalle.
- Ma come? Parlo di Hermione! – rispose con tono ancora più dolce. Ancora più finto.
Ginny assottigliò lo sguardo, sentendo la rabbia crescere dentro di lei. Cosa Merlino voleva da Hermione la Brown? La sua migliore amica aveva già abbastanza problemi per conto suo, senza bisogno che ci si mettesse anche quella bionda ossigenata con i suoi capricci. La sua voglia di fuggire si era trasformata in desiderio di insultarla, istinto a dir la verità che aveva quasi sempre, non appena la incrociava nei corridoi. – Sono così preoccupata per lei… –  aggiunse Lavanda con tono così smielato che Ginny storse il naso, con una smorfia disgustata.
- Te lo ripeto per l’ultima volta, Brown: che vuoi? – il tono della rossa ero freddo, impenetrabile, ma non fu sufficiente a far tacere la Grifondoro più grande di lei di un anno.
- Non è strano che la nostra famosa so-tutto-io perda così tante lezioni, soprattutto quando tutti sanno che verrebbe in aula anche con la febbre a 40°? – insinuò, con una punta di malizia nello sguardo.
Ginny non rispose, continuando a fissarla malamente e chiedendosi intanto dove volesse andare a colpire con quelle sue stupide insinuazioni.
- E non è strano che ultimamente sia sempre così stanca, come se stesse male? – Ginny ancora una volta non rispose. Strinse i pugni, mentre le unghie si conficcavano nella carne già segnata dei suoi palmi, facendo riaprire quelle ferite che sanguinavano copiose. – Ma non è ancora più strano che in questi mesi l’abbia vista spesso andare in bagno, a vomitare? – continuò Lavanda, imperterrita, mentre a Ginny stava per venire un esaurimento nervoso, o più probabilmente una crisi isterica.  – Come se avesse la nausea… – concluse la dolce Grifondoro, con un’occhiata così perfida da far raggelare Ginny.
- Piantala con i giochetti, Brown. – rispose, cercando di rimanere impassibile e di non mostrare niente del tumulto che si agitava dentro di lei.
- Non sto giocando, rossa. – il tono era cambiato.
 
La finta dolcezza era sparita.
 
E quella finzione, mescolata alla perfidia, aveva sul suo viso l’effetto desiderato.
 
Era spaventosa.
 
Ginny non si mosse quando la ragazza si avvicinò a lei, tanto quanto bastava perché si fronteggiassero occhi negli occhi.
Lealtà contro perfidia.
Sincerità contro slealtà.
Fiducia contro cattiveria.
- So che sei abbastanza tarda quando si tratta di capire, ma non credevo così tanto, Brown. Cosa. Cavolo. Vuoi?
 
Lingua velenosa.
 
Ginny sarebbe stata un’ottima Serpeverde.
 
- Da te niente, rossa. Ma stai attenta. – rispose semplicemente la Brown, sorridendo in modo così finto da far venire la nausea.
- Attenta a cosa? A te? – Ginny sputò il pronome finale come se fosse un insulto, intollerante alla sua presenza più che mai. Voleva semplicemente andarsene e mandarla a quel paiolo, in modo da poter riordinare le idee e cercare di capire quanto Lavanda fosse riuscita a comprendere della gravidanza di Hermione. Merlino, la Brown aveva sempre avuto il cervello grosso quanto una nocciolina, come cavolo aveva fatto a cogliere tutti quei segnali?
- No. – si spiegò. – Dì a Hermione, di stare attenta.
Il respiro le si mozzò, quando con la coda dell’occhio lo vide.
- Sai, Hermione a volte è disordinata… – sussurrò Lavanda. Ginny corrugò la fronte, cercando di mantenersi impassibile, mentre pregava di aver visto male. – Lascia in giro le cose… – quell’ultimo mormorio di Lavanda fu accompagnato dalla mano che le porgeva un piccolo oggetto bianco.
Ginny sentì le viscere contrarsi.
Con sguardo tremante osservò la natura del suo malessere.
La Brown le fece dare solo uno sguardo a ciò che teneva in mano, prima di rimetterselo in tasca. Ma quell’occhiata fu più che sufficiente e Ginny si chiese come fosse possibile che il test di gravidanza di Hermione fosse finito nelle mani di quella stupida oca.
- Ridammelo! – sbottò, cercando di agguantarlo, senza riuscirci.
- Ah, no, no, Weasley… Questo piccolo oggetto mi serve.
La Brown scoppiò a ridere per qualcosa che evidentemente trovava divertente, mentre Ginny percepì l’ansia salirle alla gola, quando si rese conto dell’impossibilità di recuperare lo stick.
- Quell’oggetto non ti appartiene. – sibilò, sperando di convincerla a restituirglielo.
- Certo che no! – convenne la Brown. – Non sono mica io quella che è incinta e che verrà definita come una ragazza facile quando si saprà, in tutta la scuola.
- Hermione è una persona cento volte migliore di quello che potrai mai essere tu. – sputò Ginny, anche se la voce le tremava.
Lavanda sorrise, senza scomporsi minimamente.
- Può darsi. – convenne di nuovo, senza alcuna vergogna.
- Mi chiedo come tu possa appartenere alla casa dei Grifondoro. Hai minacciato anche il Cappello Parlante, per caso? – ironizzò, con pesante sarcasmo. – Non meriti quella divisa. – sentenziò Ginny, con voce dura. – E se tu valessi anche solo la metà di Hermione, capiresti quanto quello che stai facendo sia meschino e assurdo.
Alle sue parole, Lavanda assottigliò lo sguardo.
- Oh, certo. Hermione è sempre quella buona, giusta e leale con tutti, vero? Lei è quella popolare, lei ha sconfitto Tu-sai-chi insieme a Harry, è lei e sempre lei che tutti adorano! – urlò la bionda, improvvisamente imbufalita. – Lei è quella che preferiscono. – sibilò, con voce irriconoscibile. – Persino… persino… – la Brown s’interruppe, quando si rese effettivamente conto di chi avesse davanti.
Ginny sbatté le palpebre, sorpresa di quello sfogo probabilmente involontario, e aggrottò lo sguardo. Si schiarì la voce, riflettendo bene su ciò che stava per dire. Forse, se avesse trovato le giuste parole, la Brown le avrebbe restituito quel dannato stick e l’avrebbe lasciata in pace.
- Se sei gelosa di Hermione, per ciò che è e per ciò che rappresenta, non dovresti darti tanto da fare per riuscire a umiliarla, quanto piuttosto per cercare di migliorarti. Non dovresti vederla come una rivale, ma come un esempio. – replicò, modulando il tono di voce.
- Stai zitta, Weasley.
- Puoi essere migliore di così, Lavanda. – sbottò Ginny, innervosendosi. – E potresti cominciare a renderti tale, restituendomi il test di gravidanza.
La Brown la fissò a lungo, con un’espressione corrucciata.
- Potrei. – rispose semplicemente. Si avvicinò alla rossa, arrivando a meno di un palmo da lei. Proprio quando Ginny credeva che le avrebbe dato lo stick e se ne sarebbe andata, potendo così sospirare di sollievo, avvertì un sibilo al suo orecchio. – Salutami la mammina. – fu tutto quello che le rispose Lavanda, prima di volatilizzarsi, mentre Ginny s’impietrì.
Ripensando a quel momento Ginny non sa dire dove trovò la forza, la volontà, di ordinare ai suoi piedi di camminare, alla sua mente di concentrarsi, al suo corpo di reagire. Sa solo cosa fu quell’istinto che le permise di muoversi.
 
Affetto.
 
Cominciò a correre, incurante delle lezioni a cui doveva presentarsi, degli sguardi che nei corridoi le lanciavano, incurante di tutto, perfino di lei stessa.
 
 

 
Draco Malfoy non era mai stato un ragazzo che si sarebbe potuto definire gentile. C’erano mille aggettivi che potevano essere accostati a lui, ma quello era uno dei pochi che insieme al suo nome non andava per niente d’accordo, per la semplice spiegazione che erano incompatibili. Draco Malfoy non era neanche un ragazzo che si sarebbe potuto definire comprensivo, non molto ecco. Eppure quella volta, quella sola e unica volta, si sforzò di essere tale.
Umiliare ancora di più Weasley era una tentazione davvero grande, ma le sue parole cattive rimasero incollate in quel ghigno disegnato sulla sua faccia, senza permettersi di lasciarle andare. Si allontanò dalla ragazza, rimasta immobile e rigida, e nonostante tutte le emozioni che affollavano nella sua mente in quel momento, si tirò indietro.
- Non gli hai detto niente? – gli occhi erano chiarissimi, pieni di qualcosa che la ragazza non riuscì a comprendere. Sorpresa?
- No. – sussurrò.
Un sussurro che faceva male.
- Ne riparliamo dopo, Granger.
Furono queste le uniche parole che pronunciò prima di andarsene, per poterli far chiarire.
Furono queste le parole che sorpresero Hermione così tanto da farle spalancare gli occhi, mentre osservava il suo passo che si allontanava con la silenziosità di un gatto. Si era allontanato pur di farla chiarire con Ron. Avrebbe potuto umiliare, disprezzare entrambi, aveva non uno, ma più di cento coltelli dalla parte del manico e Draco aveva deciso di non utilizzarli.
 
Perché? Perché devi essere così, Draco?
 
Perché mi ferisci, mi disprezzi, m’insulti e poi... poi fai qualcosa che mi fa perdere la scommessa con me stessa e mi fa capire che tu sei molto di più di ciò che fai credere a tutti?
 
- C-cos’è? U-uno scherzo? È uno scherzo, vero? D-dai tu e Harry avete voluto farmi uno scherzo e… e Harry ha ingoiato la pozione Polisucco e…. – continuava a mormorare Ron, da ormai parecchi minuti, mentre scivolava a terra contro il muro e sentiva le forze che lo abbandonavano. Hermione gli rivolse la sua più totale attenzione, non appena il Serpeverde sparì dalla sua vista, e avvertì il suo cuore stringersi in una morsa.
 
Incredibile quante cose inventa la nostra mente per non vedere la realtà.
 
La Grifondoro si avvicinò a lui con cautela, come ad aver paura di arrecargli ulteriore dolore. Gli si posizionò accanto, scivolando a terra a sua volta, ma lasciando tra loro la distanza che impediva lo sfioramento, temendo che il contatto tra loro potesse disgustarlo.
Avrebbe voluto abbracciarlo, ne aveva bisogno. Un bisogno impellente, vitale quasi.
 
Ma aveva paura di essere respinta.
 
Paura. Una fottutissima, gigantesca, maledetta paura.
 
La paura era la causa dei suoi danni.
 
Quella stessa paura che ora le toglieva il respiro e la costringeva a tenere lo sguardo basso, non osando osare.
Il suo orgoglio era stato seppellito da qualche parte dentro di sé, troppo debole di fronte ai sentimenti di Ron e dei suoi. Quanto faceva male osservare silenziosa quegli occhi sbarrati pieni di dolore, quanto faceva male sentire quel grosso squarcio aprirsi nel suo petto e inghiottire il poco che era rimasto di bello dentro di lei. Quanto era orribile pensare che tutto questo era causa sua.
Non tentò neppure di giustificarsi, di inventare una qualche scusa.
Non aveva il diritto di mentirgli ancora. Sapeva che avrebbe dovuto semplicemente provare a raccontare, per una volta, la verità, ma le parole non uscivano, non volevano formare i suoni e l’aria continuava a mancare.
Voltò lentamente lo sguardo verso Ron, tentando di incrociare i suoi occhi senza successo, poiché il Grifondoro li teneva bassi, fissando il pavimento come un cucciolo di cane che ha appena perso il suo padrone. Hermione ci mise un po’ per accorgersene.
 
Un tremore.
 
Un tremore incontrollato scuoteva il ragazzo, come se fosse in preda alle convulsioni.
 
Tremava.
 
- R-ron… – il nome pronunciato dalle sue labbra, sembrò scottare nella sua stessa bocca. Le faceva quasi male chiamarlo così: Ron era una delle poche persone buone, che conosceva al mondo. Lei no. Lei si sentiva… cattiva… un mostro. E non meritava di sporcare la sua bontà con quella crudeltà che lei stava esercitando su di lui, in modo così codardo.
 
Non aveva ancora avuto il coraggio di guardarlo negli occhi.
 
Non avrebbe dovuto violare così la purezza del suo nome, con la sporcizia che sentiva su di sé. Però voleva anche porre fine a quell’agonia che vedeva percorrere il corpo del suo migliore amico.
 
Un’agonia che lo torturava a fuoco lento, crudele e letale.
 
-  Non… non è possibile. – bisbigliò Ron, con voce bassissima, forse più a se stesso che a lei.
A Hermione si spezzò il cuore per la seconda volta e quando capì che dalla sua bocca non sarebbe uscito un bel niente, gli sfiorò una mano con le dita. Il Grifondoro sussultò.
La fissò come un cucciolo di cerbiatto guarda un cacciatore con un fucile in mano. Con trepida attesa, paura, ma con una piccola scaglia di speranza, che a volte viene distrutta, ma a volte è efficace.
 
Aspettava come se fosse un’esecuzione.
 
La sua esecuzione.
 
Con coraggio e forza di volontà la ragazza strinse la mano di Ron e con delicatezza la condusse vicino a lei, finché non gli fece sfiorare il ventre. Appoggiò la mano del ragazzo su di lei, in modo da fargli percepire ciò che portava dentro e la verità di quel segreto ormai troppo ingombrante per rimanere tale. Era ormai a più di tre mesi della sua gravidanza e la protuberanza della pancia si poteva già avvertire a contatto con le dita, anche se con i vestiti addosso non si scorgeva nulla.
- Aspetto un bambino. O forse una bambina. N-non lo so. Credo che sarà una bambina, ma può benissimo darsi che non lo sarà, perché non ci azzecco m-mai in queste c-cose. – parlare a macchinetta era la sua autodifesa. I suoi ragionamenti apparvero talmente privi di logica a Ron e a Hermione stessa, che se non fosse stato per la situazione avrebbero sorriso entrambi.
Le dita di Ron si contrassero e Hermione lo avvertì sulla sua pelle, chiedendosi quando quella ferita che sentiva nel petto avrebbe smesso di sanguinare. Ma fu quando Ronald ritirò la mano, deglutendo rumorosamente, che Hermione si sentì male. Ma fu soltanto quando lui, di scatto, alzò gli occhi su di lei, che Hermione provò il dolore vero, quello totale.
Gli occhi di Ron erano come un oceano. Così li aveva sempre definiti Hermione; quegli occhi erano casa. Erano sicurezza, protezione, un luogo in cui rifugiarsi durante una tempesta. Quando voleva vedere il mare, le bastava guardare quegli occhi, il suo oceano personale. E adesso quell’oceano le sembrava sul punto di straripare. 
- No. – sussurrò, in una disperata preghiera. – No, non è vero.
Hermione si morse le labbra, disperata, pregando che terminasse presto quel dolore immenso dentro di sé.
- Mi dispiace. – singhiozzò la Grifondoro, la voce rotta da lacrime che non scesero.
- No! – ripeté Ron, scuotendo la testa.
- Ron, ascolta, io…
Hermione s’interruppe.
Spalancò gli occhi, avvertendo uno squarcio dentro di sé. Ron aveva rialzato gli occhi su di lei e una lacrima, una singola e timida lacrima era scesa dai suoi occhi azzurri, percorrendo poi tutto il suo viso. Una piccola perla salata che scivolò via in modo velocissimo e alla quale non ne seguirono altre.
 
Una sola. Una sola lacrima uscì.
 
La fitta al petto che Hermione percepì fu così brutale, che per poco non svenne.
 
No, Ron.
 
Quella goccia salata, caduta sul pavimento, era una goccia di sangue che pulsava dal suo cuore e che scivolava via da lei.
 
No, Ron. Ti prego…
 
Quanto può soffrire un essere umano prima di morire?
 
Tanto, forse troppo. Più di quanto dovrebbero permettere.
 
Vedere Ron piangere, fosse stata anche solo una singola lacrima, era qualcosa che non aveva mai premeditato. Non aveva mai pensato di poterlo vedere.
 
Era il colpo più duro che il suo cuore, ormai già rotto, potesse ricevere.
 
- Ron… – non riuscì a fare a meno di ripetere quel nome, come se potesse diventare  innocente lei stessa nel pronunciarlo. – Ti prego…
Lo pregò di reagire. Di non soffrire per colpa sua.
 
Perché lei non si meritava niente, neanche il suo dolore.
 
Lo pregò, perché nonostante le lacrime e gli occhi appannati, quelle iridi rimanevano sempre le più pure e innocenti che Hermione avesse mai incontrato.
 
E la sua purezza lei non se la meritava, perché la faceva sentire sporca.
 
Non si era mai sentita così sporca in vita sua.
Sentiva che le barriere che aveva imposto ai suoi occhi stavano cedendo.
- Ron dì qualcosa! – singhiozzò, con voce rotta per le lacrime trattenute, il tono più alto e acuto per la disperazione. La disperazione di averlo perso e rovinato.
Guardandolo ancora allungò la mano verso di lui, tentando almeno di curare quella distanza che la feriva, che la distruggeva e che, sapeva, distruggeva anche lui.
Quando toccò la sua pelle percepì che scottava.
Scottava come il fuoco, il dolore che feriva.
 
 
 
 
Nonostante i suoi sforzi, nonostante i suoi ripetuti tentativi di costringere le bolle d’aria a contrarsi e a formare un suono, Ron non riusciva a spiccicare parola, si sentiva talmente vuoto da non avere niente, niente da tirare fuori. Strinse la mano, quella stessa mano testimone della verità, per impedire, almeno a quella piccola parte del corpo, di tremare, ma dopo pochi secondi rinunciò all’impresa, aprendo le dita, sentendo il tremore, il dolore, diffondersi per tutto il suo petto.
 
Tremava.
 
Tremava alle sue parole. Tremava perché aveva capito. E nonostante tutto questo, cercava un’alternativa, qualunque altra soluzione, piuttosto che la verità.
 
Perché la verità fa male.

Più male di una bugia.
 
Quel tremore incontrollato che era la sua unica forma di difesa contro quel dolore.
 
Il dolore letale e viscido di un’emozione strappata via.
 
- R-ron… 
Non credeva che udire il suo nome da lei, facesse tanto male.
La sua voce dolce, tentennante, piena di un’insicurezza che non la caratterizzava, lo stava chiamando. Quella voce che lo aveva chiamato tante volte in passato, che lo aveva rimproverato, sgridato, ma che nonostante tutto lui aveva imparato ad amare. E gli bastò alzare lo sguardo. Si meravigliò di come guardando la sua migliore amica, le emozioni ricominciarono a impazzire nel petto, neanche fossero state dentro una centrifuga.
Si meravigliò di quanto la odiasse in quel momento.
 
E si meravigliò di tutto l’amore che provò per lei.
 
Capì di avere perso.
D’altronde, lui aveva sempre perso con lei.
 
Aveva sempre vinto lei.
 
Aveva vinto lei quando ogni volta che aveva provato rabbia nei suoi confronti, lei gli aveva sorriso con il suo sorriso speciale, il sorriso luminoso che riservava solo a lui, e lui l’aveva perdonata all’istante.
 
Aveva sempre vinto lei.
 
Aveva vinto lei quando lo fissava con quelle pozze scure, che gli sondavano l’anima e dentro alle quali ogni volta sprofondava dentro.
 
Aveva sempre vinto lei.
 
Aveva vinto anche in quel momento, perché era bastato un istante.
Era bastato guardare i suoi occhi marroni, per capire che qualunque cosa le avesse detto di cattivo o di crudele, sarebbero state parole false.
 
Aveva vinto lei che non gli lasciava neanche il sapore dell’odio.

Perché lui non avrebbe mai potuto odiarla.
 
- Ron, dì qualcosa!
Non si meravigliò di udire la voce della ragazza, che lo pregava di parlare. Sapeva quanto Hermione temesse il silenzio, quel sibilo che adesso si aleggiava intorno a loro, avvolgendoli.
 
Lui, invece, aveva sempre avuto paura del suono del dolore.
 
La sofferenza, a dir la verità, non aveva un suono, eraa solo una voce silenziosa.
 
Silenziosa, ma più forte di qualunque rumore, che risuonava 
immobile, senza fiato né battito né suono .

 
Il dolore lo spaventava perché aveva un inizio, ma spesso non una fine.
Il suono del dolore era pericoloso, perché rimaneva in statica attesa, per colpire la preda al momento meno opportuno e per farla precipitare nell’abisso più buio.
 
Grida di silenzio
che non arrivavano e restavano racchiuse
lasciando il suo corpo soffocato, senza respiro.
 
Neanche si accorse, Ron, della lacrima che percorse il suo viso.
Quando se ne rese conto, lui la lasciò scorrere senza provare a nasconderla; non gli importava che quella lacrima potesse mettere in dubbio la sua virilità.
Una goccia che se ne andò in punta di piedi…
 
…per non disturbare.
 
Una lacrima incurante dell’orgoglio, dell’educazione e di qualunque altra cosa che non fosse il cuore dolorante, imperterrita proseguì la sua avanzata, raggiungendo finalmente la sua agognata meta.
 
Un luogo in cui morire.
 
Quando lei gli prese la mano la sua pelle scottò contro la sua. No.
Non era abbastanza forte per sopportare anche quello. Si ritrasse ed ebbe la chiara percezione del suono di un cuore che cadeva a pezzi. Non avrebbe saputo dire di chi dei due fosse, il cuore.
Non seppe neppure con quale forza trovò le parole.
- Hermione… – la sua voce era stentata, il suo respiro era spezzato, e lui… si sentiva… vuoto. Vuoto e devastato allo stesso tempo. La propria disperazione lo stava soffocando, la percepiva nell’aria e non era altro che un’ulteriore fonte di affanno. - Non m’importa di cosa mi dirai. – bisbigliò, ad occhi bassi. – Ti chiedo solo questo: dimmi che non è vero. – sussurrò Ron. – D-dammi una spiegazione. Dimmi una bugia, qualunque cosa mi dirai i-io ti crederò, ma ti prego… – i suoi occhi azzurri furono oscurati ancora una volta dal tormento. – …dimmi che non è… vero. Non… non Malfoy.
- Ron. – il sussurro della ragazza si perse tra le lacrime. – Ron, mi dispiace… – i singhiozzi aumentarono.
- Qualunque cosa dirai io ti crederò. – ripeté Ron, non volendo affrontare la realtà. – Ti crederò, Hermione, qualunque cosa dirai.
 
Dimmi una bugia.
 
La pregò di mentire.
La pregò di mentire perché la verità faceva male. Faceva troppo male. E non gli era importato niente che lei gli avesse mentito per tutto questo tempo, lui l’aveva già perdonata.
 
Qualunque cosa dirai, io ti crederò.
 
Le donava la sua fiducia, una fiducia incontrollata che non sarebbe mai stata spazzata via da niente. L’unica cosa che le chiedeva in cambio era che quella non fosse la verità.
 
Dimmi una bugia.
 
Una bugia a cui lui avrebbe creduto perché l’amava. L’amava così tanto da annullarsi per lei, da rinunciare addirittura alla sua innocenza e da farsi macchiare dall’inganno. L’unica cosa che chiedeva in cambio, però, era ciò che Hermione non avrebbe mai potuto dargli.
- Io… mi dispiace. – un singhiozzo disperato, che lo portò davanti alla situazione dei fatti.
La ragazza gli si avvicinò e lo strinse con tutta la forza che aveva; seppellì la testa nel suo petto e si aggrappò alla sua maglia.
 
Aveva bisogno di lui.
 
- Ron… Merlino, Ron, scusami. – il suo nome si perse tra le lacrime, che ormai avevano superato l’argine che Hermione si era imposta ed erano fuoriuscite come un fiume in piena.
 
Mostro.
 
Un mostro
 
Perché non voleva lasciarlo andare.
 
Un mostro
 
Perché se avesse potuto lo avrebbe voluto accanto a lei.
 
Si sentiva un mostro
 
Per il solo desiderio malsano, malato, che anche lui la stringesse.
 
Aveva bisogno delle sue parole scherzose, della sua voce giocosa e rassicurante.
 
Egoista.
 
Era egoista perché non riusciva a rinunciare a lui.
 
Lui avrebbe rinunciato a tutto per lei, per il suo bene. Avrebbe rinunciato anche alla verità, sarebbe stato disposto anche a quello.
 
E lei, lei, sciocca ragazzina viziata, non riusciva a lasciarlo andare, perché aveva bisogno di lui.
 
Mostro.
 
Ma nonostante la ragione le urlasse di staccarsi dal suo petto, il suo cuore sanguinante la costrinse a tenersi stretta, in una presa ferrea. Con la testa nell’incavo della sua spalla pianse tutte le lacrime che poteva, aspettando di essere respinta e guardata con disgusto.
Si sarebbe tenuta stretta per l’ultima volta.
 
Per ricordarsi e imprimere dentro di sé, il calore di quell’abbraccio, anche se finto.
 
Se solo nei mesi precedenti non gli fosse stata così vicina, se solo avesse avuto la forza di lasciarlo andare per evitare di arrecargli ulteriore dolore, forse… sarebbe stato più facile.
 
Mostro.
 
Non ne era stata capace, aveva preso tutto quello che poteva, finché poteva.
 
Mostro.
 
Solo un mostro può sperare di ottenere tanto dalla vita.
 
Mostro, mostro, mostro!
 
- Hermione… io… – sentì le sue braccia far forza per allontanarla da lui, e Hermione avvertì quel distacco come una vera e propria definitiva separazione. Ma, contrariamente a quanto aveva ritenuto, le mani di Ron non la spinsero via con brutalità, bensì con delicatezza, mentre lui fissava un punto indefinito dietro di lei, con uno sguardo così perso e vuoto, da farle venire la nausea.
 
E, nonostante ciò, i suoi occhi erano sempre i più puri che avesse mai visto.
 
Continuando a fissare qualcosa di indefinito, sempre con sguardo incolore e smarrito come un cucciolo abbandonato, pronunciò quelle parole, che erano rimaste sepolte dentro di lui per tanto tempo.
- Quando mi sono innamorato di te, Hermione…
 
Un colpo al cuore, forte come un pugnale.
 
- …io ho cominciato a vedere il mondo a colori…
 
Un colpo ancora più forte, affilato, veloce come una spada.
 
- … e non… non voglio più tornare nel grigio.
L’ultima sillaba si perse nel rumore di un ansito mal trattenuto e nascosto dietro un colpo di tosse.
Una vera e propria uccisione.
 
Un’esecuzione.
 
Stavolta, però, era quella di Hermione.
Quel lontano giorno d’inverno, durante quella conversazione, tra quei mormorii, in mezzo a tutti quei sospiri e quelle lacrime limpide come il cielo azzurro, due giovani ragazzi avevano appena perso una parte fondamentale di loro stessi.
 
Un pezzo del loro cuore.
 
In quell’istante, dentro quegli occhi gonfi e ormai troppo deboli, tra quelle parole sussurrate, troppo stanche per poter trasmettere qualcosa, vi era celato un sentimento troppo profondo per essere descritto. Quel giorno, i muri di Hogwarts furono testimoni di un dolore troppo grande da poter essere sopportato.
 
Erano morti entrambi.
 
 

 
 
 


















Angolo Autrice
Salve a tutti!!!
Sono in orario! Cioè…è una cosa spettacolare, non era mai capitata prima d’ora! Caspita…Mi sento potente! XD Sarà che sabato scorso sono andata al concerto dei Duran Duran, e le loro bellissime canzoni mi hanno dato la carica giusta per finire in tempo il capitolo!!! Comunque, passiamo a commentare questo capitoletto.
1. Forse non ci crederete, ma questo capitolo mi piace. Vi sembrerà strano, perché io per prima non sono mai convinta di quello che scrivo, ma la parte finale, quella tra Ron e Hermione è una scena a cui tengo particolarmente e che ho amato scrivere e la amo tutt’ora. Per questo spero che questo capitolo lo recensiate, perché è uno di quelli che preferisco, anche se ce ne sono anche altri….:)
2. Finalmente si è scoperto chi ha trovato il test! Non ve ne eravate mica dimenticate? ;) Non credo di avervi sorpreso più di tanto dato che molte di voi avevano avanzato l’ipotesi che fosse Lavanda…
3. Non ho ancora finito di rispondere a tutte le recensioni e mi dispiace, il problema è che volevo aggiornare entro oggi perché domani vado al mare e rimango lì per 15 giorni. Non ho idea di che tipo di connessione ci sia, quindi per evitare di lasciarvi a bocca asciutta per troppo tempo ho postato oggi il capitolo.
4. Ringraziamenti: Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite/seguite/ricordate o anche a chi ha solo letto il capitolo e basta! Vedere il numero delle visite che aumenta è sempre un motivo di gioia per me, anche perché aumenta la mia autostima sempre perennemente bassa! XD
Ma un GRAZIE speciale a quelle 13 dolcissime ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e alle 2 ragazze che hanno recensito il primo: Black_Yumi, Harry Potterish, blair_87, suckerforlove, chiaram, cocis, Virus14, MadamaBumb, Slytherin_Ss, cranium, Simi462, Stella94, elisa80, Alepotterhead e Kattiva_Kome_poke. Grazie ragazze, grazie davvero. Queste parole mi sembrano così misere per esprimere la mia gratitudine, ma sono sincere.
E ringrazio anche di cuore quelle splendide creature che hanno segnalato la mia storia all’amministrazione per le scelte: Uraniasloanus, Slytherin_Ss, Felpick93, Darleen, Draco_Matty_Malfoy, Sasoriza98 e  aranciata. Grazie per aver anche solo pensato che potessi meritare un posto simile :D
Detto questo passo e chiudo, mie lettrici, premettendovi che nel prossimo capitolo o forse tra due, ci sarà una scena PARTICOLARE tra Draco e Hermione. Avete compreso? Se sì, acqua in bocca, se no…lo scoprirete! xD
Al prossimo capitolo,
flors99

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Capitolo 16
*** Responsibility ***


Passarono secondi. Minuti. Ore. Forse anche molto di più.
Hermione rimase lì seduta per terra, fin tanto che quello strappo insopportabile dentro di sé non le concesse di aprire bocca e respirare a pieni polmoni. Gli occhi vacui e velati erano concentrati sul muro di fronte a lei, ma non riusciva a vederlo: l’immagine dei suoi pensieri era più vivida e quanto mai più forte rispetto a quella parete fredda e scarna.

Ron.

I suoi occhi… Merlino, i suoi occhi.

Così grandi ed enormi in un primo momento, quando si erano spalancati dalla sorpresa e dallo sconcerto, così piccoli dopo quando si erano assottigliati e stretti in due fessure, per trattenere quel dolore insopportabile, e così delusi, feriti, pieni di angoscia e confusione infine.

Dio, i suoi occhi.

Hermione deglutì, poggiando la testa al muro, chiedendosi in un lontano angolo della sua mente cosa avrebbe pensato chiunque l’avesse trovata in quel misero quanto patetico stato. Non aveva certo bisogno di uno specchio o di una fotografia, per figurarsi lì, seduta scompostamente per terra, i vestiti sgualciti, sui quali si erano adagiati piccoli granelli di polvere e le mani lasciate cadere inermi contro il pavimento. Non aveva bisogno di sforzarsi per immaginare quanto fossero gonfie le sue labbra, dalle quali si scorgevano piccole stille di sangue a causa dei violenti morsi dei suoi denti, che avevano martoriato la carne fino a romperla; quanto fossero bagnate le sue ciglia, che stavano trattenendo lacrime che non avrebbe versato; quanto fossero vuoti i suoi occhi, semplici sassi incastonati in quel piccolo spazio, buio e senza luce.
Ron se ne era andato molto tempo prima.
 
Ho bisogno di andarmene.
 
Le sue parole erano state un violento martello che aveva colpito con forza inaudita il suo cuore malandato.
 
Non… non mi cercare.
 
Cercherò di non farlo, Ron.
 
Avrebbe voluto rispondergli. Merlino, avrebbe sul serio aver trovato la forza per rassicurarlo, per rispondergli che sì, gli avrebbe dato tempo, non lo avrebbe cercato, almeno fino a che lui non fosse stato pronto e che sarebbe riuscita ad andare avanti, anche senza la sua rassicurante presenza al suo fianco, ma quello che aveva letto nei suoi occhi azzurri le aveva fatto serrare le labbra ermeticamente e non pronunciare neanche una singola sillaba. Aveva preferito tacere, perché le sue parole non sarebbero state del tutto sincere e Ron non si meritava altre bugie, né lei voleva raccontargliele.

Perché Hermione non sarebbe riuscita ad andare avanti anche senza di lui.
 
La Grifondoro, nel più totale dei silenzi, era rimasta lì, troppo stanca per alzarsi o poter anche solo fare un tentativo. In quel modo, in quel penoso stato l’aveva trovata Ginny, quando l’aveva raggiunta, trafelata per la corsa. Per poco non aveva urlato di spavento.
Le si era avvicinata, inginocchiata di fronte e le aveva parlato. Erano parole veloci, frettolose, di un sapore tanto amaro quanto aspro, crudele. Inizialmente, Hermione non ne aveva udita neppure una. Dopo qualche minuto, la voce di Ginny si era affievolita, lasciando spazio a un silenzio veritiero e meschino che già a lungo si era imposto.
In quel momento, dopo più di mezz’ora, l’amica la stava ancora guardando, aspettando che parlasse, che le rivelasse il motivo di quella distruzione. Ma Hermione non aveva parlato e non sembrava intenzionata a farlo.
Ginny capì lo stesso.
- Ci sono solo due persone che possono farti stare tanto male, Herm. – sussurrò. – Oltre a Malfoy, intendo. – un sospiro. – E dato che lungo il corridoio ho incrociato Harry insieme a Seamus… – un secondo sospiro. – … credo che tu abbia appena discusso con Ron. – un ultimo sospiro, più forte dei precedenti, in cui si palesò tutta la sua incertezza e il suo timore. – G-gliel’hai… gliel’hai detto? – riuscì a domandare, con voce appena udibile.
- E’ tutto così complicato… – rispose Hermione. – E’ tutto sbagliato, tutto completamente… – un singhiozzo l’aveva scossa, ma le lacrime non erano scese. – Non doveva… andare… così.
Percepì una carezza leggera sul suo viso e poi sul mento, che Ginny sollevò per guardarla dritta negli occhi.
- Ha sofferto? – le chiese, con un’inquietante ombra nera a balenare nel suo sguardo.
- Sì. – sussurrò.
La Caposcuola abbassò lo sguardo, appena la presa sul suo viso si fece più debole, per poi rialzarlo qualche secondo dopo: si specchiò nelle iridi azzurre della sua migliore amica e se da una parte vi lesse tanto affetto e forza d’animo – ciò che le aveva permesso di non distruggersi in quei mesi –, dall’altra scorse nuovamente quell’ombra scura, un misto di delusione e rancore.
 
Come hai potuto fare questo a Ron?
 
Era questo che stavano urlando i suoi occhi. E se lo chiedeva anche Hermione stessa come avesse potuto, perché non avesse avuto il buonsenso di allontanarsi da lui quando poteva, perché non avesse mai riflettuto abbastanza a lungo sulle conseguenze del suo voler nascondere la gravidanza ad ogni costo.
- Lo sai perché cadiamo, Hermione? – chiese infine Ginny, dopo un lungo silenzio, stringendo le mani dell’amica nelle proprie. La più grande delle due ragazze la guardò, confusa, notando che i suoi occhi erano cambiati: erano tornati azzurri, come il mare più limpido, anche se un leggero strato di tristezza vi era steso sopra. – Per imparare a rimetterci in piedi. – rispose al suo posto, mentre si alzava, trasportando Hermione con sé. La Caposcuola si gettò direttamente tra le sue braccia senza risponderle alla ricerca di un calore che potesse spazzare via tutto quel freddo che sentiva addosso, mormorando sconnessamente parole di scuse e di profonda gratitudine.
Ginny si limitò a stringerla di più, una sofferenza persistente a incendiarle il cuore.
Fu proprio da quel momento in poi che entrambe smisero di sorridere.
 

 
 
 
Devo parlarti, Hermione.
 
Quelle parole erano rimaste sospese nell’aria, nella mente di Hermione, tormentandola. Ginny era riuscita a malapena a pronunciarle, che immediatamente la Grifondoro aveva capito che era successo qualcosa di grave o comunque non trascurabile. Quando poi le era stato spiegato cosa era accaduto il suo dubbio si era tramutato in certezza e aveva sentito nuovamente la paura avventarsi su di lei. Si era freneticamente chiesta come fosse possibile che Lavanda avesse il suo test di gravidanza, dato che l’ultima volta che lo aveva tenuto in mano era al sicuro tra le pareti della sua camera.
 
Non importa.
 
Era stata la sua risposta, alla fine, una volta messo a tacere il cervello. Ginny aveva strabuzzato gli occhi, ma Hermione, si era resa conto, che non le importava davvero. Quell’oca della Brown era l’ultimo dei suoi pensieri.
 
Non m’importa di cosa farà, se vorrà dirlo a tutti. Le opinioni degli altri non m’interessano e, per quello che vale, se ne accorgeranno tutti lo stesso tra poco.
 
L’unica altra persona a cui prima doveva dirlo era Harry.
 
Lo dirò a Harry, il prima possibile.
 
Questo Hermione aveva risposto alla muta domanda che si celava dietro gli occhi di Ginny, aveva avuto il potere di illuminarla.
 
Mi fido di te, Hermione.
 
La luce negli occhi di Ginny non si era spenta finché la Caposcuola non le aveva detto che doveva cercare Malfoy, per poter chiarire la situazione con lui. Di nuovo si palesò quel terrificante sguardo pieno di delusione nei suoi occhi azzurri, ma fu talmente veloce che Hermione non fu neanche tanto sicura di averla visto. O forse preferì far finta di non averlo notato.
In quel momento doveva chiarire con Draco e basta. Doveva finire.
- Ci vediamo più tardi a cena. – la congedò con un sorriso dolcissimo, mettendoci dentro tutto l’affetto e la gratitudine che provava nei suoi confronti, ben sapendo che non avrebbe mai potuto ripagare tutto quello che Ginny aveva fatto e stava facendo per lei.
La giovane Weasley le sorrise di rimando e, soltanto quando fu ben lontana dalla visuale di Hermione, lasciò andare un sospiro colmo di tristezza, mentre si asciugava gli occhi lucidi con la manica del maglione.
 
 

 
 
Hermione cercò Draco a lungo e in svariati luoghi: in Biblioteca, in Sala Grande, in varie aule in disuso del terzo piano, il tutto ignorando le occhiate di vari alunni, che la guardavano in modo strano, forse perché si stavano chiedendo il motivo per cui lei non fosse a lezione. Prese in considerazione l’idea di provare a cercarlo nei Sotterranei e successivamente nel suo dormitorio, ma dubitava seriamente che avrebbe trovato qualche anima pia, disposta a rivelarle la parola d’ordine per accedere alla Sala comune dei Serpeverde; né lei era poi così convinta di essere in grado di sopportare gli sguardi sprezzanti e le battutine sarcastiche che sicuramente le sarebbero state lanciate, non appena l’avessero vista.
Poi capì. Non aveva idea di dove si trovasse Draco, ma un impulso, un istinto accesosi improvvisamente dentro di lei, la guidò senza alcuno indugio, né dubbio. Si lasciò condurre docilmente da quella sensazione e quando arrivò di fronte alla porta seppe con certezza che Draco fosse lì dentro.
La porta del bagno, quel bagno. Dove tutto era iniziato e dove tutto sarebbe finito, perché ormai anche quella debole speranza che Draco potesse corrispondere i suoi sentimenti si era dissolta in una nuvola di vapore.
Hermione abbassò la maniglia ed entrò.
Fu come fare un tuffo nel passato.
Fu come immergersi nell’acqua fredda e gelida di quel ricordo che non si sarebbe mai cancellato dalla sua mente neanche se avesse voluto; annegò nelle spire di quel segreto che portava con sé e che aveva taciuto a tutti, persino a Ginny e, a volte, persino a se stessa. Vide Draco nella stessa posizione, le mani appoggiate al lavandino, nello stesso silenzio, nello stesso luogo che aveva scelto quella notte di un anno fa per far sgorgare fuori dalla maschera le sue emozioni. Perfino i colori erano gli stessi, i dettagli completamenti identici, ogni minimo angolo di quel bagno era un ricordo, che pian piano tornava a riaffiorare nella mente della ragazza. Ma stavolta non c’erano lacrime sul volto del Serpeverde, nei suoi occhi, non c’era il suo viso distrutto da una sofferenza che finalmente aveva rotto gli argini della maschera, tenuti alzati troppo a lungo.
C’era lui. C’era lui e basta.
 
Draco.
 
- La situazione si è invertita, Mezzosangue.
La sorprese con la sua voce, era sicura che lui si fosse accorto della sua presenza, ma era altrettanto sicura che non le avrebbe rivolto la parola. Impiegò parecchio tempo prima di comprendere a cosa si riferisse: lo capì soltanto quando entrò del tutto nel bagno, avanzando di qualche passo, osservando il suo viso in uno specchio lì vicino.
Vide il proprio volto stanco, devastato, sciupato; gli occhi lucidi e rossi, proprio come quelli di Draco un anno prima, la pelle cadaverica, resa ancora più evidente dalle pesanti occhiaie che si stagliavano sotto i suoi occhi.
- Sono rimasto stupito dal fatto che tu non abbia detto niente a nessuno della tua gravidanza, Granger, neanche a Potty e Lenticchia. – confessò il ragazzo dopo un breve momento di esitazione, la curiosità ben celata dietro al suo tono tanto arrogante, quanto sprezzante. – Perché? Non ti fidavi neanche di loro?
- Ti interessa? – rispose Hermione, aggrottando lo sguardo. Sapeva di aver sbagliato, lo sapeva benissimo e quello che era appena successo con Ron ne era la chiara e palese dimostrazione, non aveva certo bisogno che Draco le ricordasse quanto fosse stata stupida e codarda in quel periodo.
Il Serpeverde la fulminò.
- Onestamente? No. – mentì. – Ma voi Grifondoro non professate tanto di essere leali e sinceri con tutti fino al midollo? – ironizzò, cominciando a perdere la pochissima pazienza che madre natura gli aveva donato. – Anzi, fino alla nausea. – si corresse con una smorfia.
- Questo non è affar tuo. – ringhiò Hermione, sulla difensiva, la tristezza mischiata alla malinconia a pervaderla, non appena aveva sentito nominare i suoi due migliori amici.
- Certo, non è affar mio! Come non era affar mio sapere che tu eri incinta, vero?! – scoppiò Draco a quel punto, una vena che pericolosamente pulsava sul suo collo. La incenerì letteralmente con lo sguardo, stringendo i pugni per la rabbia e la frustrazione.
- Non… non volevo dire questo. – borbottò la ragazza, cercando le parole per scusarsi. – Ho sbagliato, ho fatto un disastro enorme e mi… uhm… dispiace, ecco.
- Non me ne faccio niente delle tue stupide scuse. – la gelò lui, per tutta risposta. – E non se ne faranno nulla neanche i tuoi cari amichetti, che ti abbandoneranno lasciandoti sola come un cane. – aggiunse con disprezzo, sperando di vederla vacillare.
Hermione strinse le labbra, costringendosi a non cadere per terra come un burattino, le gambe avevano preso a tremarle quando Draco aveva parlato. Non era forse per questo che aveva costruito quell’enorme bugia? Non era forse per questo che aveva preferito tacere a quasi tutti della sua gravidanza? Per non essere abbandonata o ripudiata, ma per continuare ad essere accettata. Sapeva che queste bugie non l’avrebbero portata lontano e che nel suo piano c’era qualcosa di vagamente crudele nei suoi confronti e verso gli altri, ma credeva che sarebbe riuscita a trovare una soluzione in breve tempo.
Improvvisamente un sospetto le pungolò la mente.
- Hai intenzione di dirglielo? – chiese, desiderando un secondo dopo potersi rimangiare la sua domanda.
Quello che Draco le rispose la fece raggelare.
- Ascoltami bene, Mezzosangue, perché te lo dirò una volta sola: non m’importa niente dei problemi che hai con Potty o con chiunque altro, a dir la verità non mi importa niente neanche di te! – esclamò, come se la cosa non potesse assolutamente essere messa in dubbio. – E comunque è questo il leggendario coraggio Grifondoro? – sibilò sprezzante, con l’intento di ferirla.
Ci riuscì. Lo fece così bene che Hermione ebbe voglia di scappare.
- Non è questione di coraggio. – bisbigliò a malapena.
- No, eh?
Hermione sentì il sangue ribollirle nelle vene.
- Non capisco dove tu voglia arrivare, Malfoy! Non è accanendoti su di me o sugli errori che so di aver commesso, che cambierai i fatti! Prenditi le tue responsabilità! Sono incinta, tu sei il padre: questa è la verità! È inutile girarci intorno! Se vuoi farmi star male o farmi sentire in colpa, puoi anche smetterla, perché ci penso già da sola! – concluse con voce acuta. Le lacrime fecero capolino ai lati dei suoi occhi, mentre una sensazione di malessere si diffondeva nel suo corpo; ricacciò indietro quelle perle salate che volevano uscire a tutti i costi, promettendosi di non cedervi.
Gli occhi di Draco divennero metalli, freddi e calcolatori come quelli di un serpente di fronte alla sua prossima vittima. 
E Hermione capì che stava per colpire.
Aspettò la ferita, imponendosi di mantenersi rigida e indifferente a qualunque cattiveria stesse per pronunciare. Strizzò gli occhi, mentre Draco le si avvicinava con passo felpato e leggero, come se volesse confidarle chissà quale segreto.
- Tu parli di verità, Mezzosangue?
 
Tu sei il padre, questa è la verità.
 
- Sì.
- E parli di responsabilità?
 
Prenditi le tue responsabilità!
 
La ragazza deglutì, bisbigliando di nuovo un leggero “sì”.
Sentì lo stomaco contrarsi e le viscere attorcigliarsi, provocandole una fitta di dolore.
- Io dovrei prendermi le mie responsabilità, Mezzosangue?
Si avvicinò ancora, fino a rendere minima la distanza tra i loro corpi: per Hermione reggere ancora lo sguardo fu impossibile e abbassò la testa.
 
Ma non glielo permise.
 
Draco la strattonò, afferrandole rudemente il mento.
- E tu allora? Tu non dovresti prenderti le tue responsabilità, Granger? O forse il tuo discorso vale solo per me?
- A cosa stai alludendo? – soffiò, mentre tentava di liberarsi dalla sua stretta, ma con scarso successo. Ottenne solo il risultato di avvicinarsi di più.
- Dico solo che anche tu dovresti imparare ad affrontare quello che è successo e non addossare le tue bugie su altre persone. – le sibilò maligno, non accennando a sciogliere la presa.
- A cosa ti riferisci, Malfoy?
- Tu non hai detto a nessuno che sei incinta, Mezzosangue. Questo non è un modo per cercare di sfuggire alla realtà e per non prendersi le proprie responsabilità?
Hermione deglutì. Cosa diavolo ne sapeva lui?
- Anche questi non sono affari tuoi.
Questo poteva anche non essere propriamente vero, perché, in effetti, sì, erano anche affari suoi, ma in minima parte.
- Anzi, mi correggo. A qualcuno, alla Piattola, lo hai detto. – continuò Draco, come se non l’avesse  minimamente sentita.
Al nome della sua migliore amica, Hermione si liberò dalla sua presa con uno strattone violento, fissandolo con astio e sconcerto, chiedendosi nuovamente come lui potesse essere a conoscenza di queste informazioni e perché ne stesse parlando proprio in quel momento.
- Cosa vorresti dire, Malfoy? – sentiva l’agitazione crescere e non sapeva bene a cosa attribuirla.
E Draco colpì.

Proprio nel punto dove sapeva che le avrebbe fatto più male.

- Davvero non capisci, Granger? Non ti rendi conto del male che le hai fatto?
La mente di Hermione vorticò impazzita a quelle parole.
Non capiva.
- Di che cosa parli? – esclamò, al limite dell’esasperazione, non comprendendo dove quell’argomento li avrebbe portati e soprattutto cosa gli interessasse a Malfoy delle sue confessioni con Ginny.
- L’hai messa in una posizione orribile. – sibilò Draco, incurante della sua agitazione, soffiando quelle parole sul suo viso e facendola irrigidire più che mai. – Ha dovuto mentire a Lenticchia, allo Sfregiato e ha dovuto farlo per te, per una bugia che non è sua. L’hai costretta a scegliere tra te e la sua famiglia… Hai idea di quello che deve aver provato a mantenere un segreto così grande, a pagare le conseguenze di un tuo errore?
 
Draco non sapeva perché stesse pronunciando quelle parole.
 
Forse voleva ferirla, forse voleva semplicemente lasciarle un segno, profondo come quello che lei aveva inferto a lui.
- Non m’importa niente della Piattola, intendiamoci. Voglio solo farti presente la realtà dei fatti, che credo che tu in questi mesi abbia dato per scontato.
 
Draco non sapeva perché stesse pronunciando quelle parole.
 
Più parlava, meno capiva il motivo che lo spingesse a colpirla in quel modo, si rendeva conto soltanto che le sue parole erano lava bollente nel cuore della ragazza e più avrebbe premuto su quel tasto, più l’avrebbe distrutta.
- Ginny è la migliore amica, lei… lei me lo avrebbe detto se… Io non l’ho costretta a… –  bisbigliò Hermione, inconsciamente, momentaneamente dimentica di chi aveva davanti.
- Lei in questi mesi ti ha protetto e sostenuto. – la interruppe il Serpeverde, senza pietà. – Ho notato come ti è stata appiccicata tutto il tempo e penso che lo abbia fatto per infonderti coraggio, aspettando che tu fossi pronta per rivelare tutto, cosa che tu non hai fatto! Hai preso il tuo fardello di bugie e lo hai affidato a qualcun altro e vuoi sapere qual è la cosa peggiore? – domandò in tono mellifluo. Non aspettò la risposta della Grifondoro, per mormorare: – Non te ne sei resa conto. L’hai fatta a pezzi e neanche te ne sei accorta. Quindi, Granger, non osare provare a parlarmi di responsabilità, quando tu sei la prima a non affrontare le tue.
 
Draco non sapeva perché stesse pronunciando quelle parole.
 
Per lui la Piattola sarebbe potuta morire anche in quell’esatto momento, non gliene sarebbe importato niente, anzi probabilmente avrebbe ringraziato il fato per aver tolto di mezzo almeno un Weasley dalla circolazione; non accettava semplicemente il fatto che Hermione lo attaccasse in quel modo e con quell’aria arrogante che la seguiva come un’ombra.
Ma fece bene.
 
Le fece un gran bene.
 
Forse il suo discorso, più lungo del solito, fu uno dei più buoni e giusti che pronunciò.
Hermione cominciò a tremare, spalancando i suoi occhi marroni. Una stretta al cuore la fece sussultare quando si rese conto di quanto crudelmente fossero vere le parole di Draco e quanto brutalmente le fossero state sbattute in faccia.
Aveva commesso un errore a non dire niente ai suoi migliori amici e ne aveva commesso uno di portata di gran lunga maggiore chiedendo a Ginny di mentire con lei, per lei.
Non si era mai chiesta cosa dovesse essere per la sua migliore amica portare un simile fardello.
 
Mostro.
 
Non si era neanche data la pena di preoccuparsene, credendo forse che le cose le stessero bene così, pensando che Ginny gliene avrebbe parlato, se davvero quella bugia la stesse distruggendo.
 
Egoista.
 
Era sempre stata Ginny a sorreggerla quando cadeva. Sempre.
 
Non puoi continuare così! Non puoi permettere a uno stronzo di rovinarti la vita! Devi reagire!
 
Era sempre stata lei ad assisterla per tutto quel tempo. Sempre.
 
Non mangi, non dormi, stai male, Herm! Male!
 
Era sempre stata lei a darle fiducia, lealtà, cuore. Sempre.
 
Un bambino è la cosa più bella che ci sia, non devi vergognartene.
 
Era sempre stata la sua migliore amica a darle sostegno e bontà.
 
Vuoi che venga con te?
 
Le aveva dato tutto. Sempre.
 
Lo sai perché cadiamo, Herm? Per imparare a rimetterci in piedi.
 
Era sempre stata lei a farla sorridere quando credeva che non lo avrebbe fatto mai più. Ed Hermione aveva sempre, sempre, dato la sua presenza per scontato.
 
Voglio solo farti presente la realtà dei fatti, che credo che tu in questi mesi abbia dato per scontato.
 
Mostro.
 
Egoista.
 
Davvero aveva avuto bisogno delle parole di Draco, per comprendere la verità che si celava dietro gli occhi azzurri di Ginny e capire il dolore che nascondevano? Davvero non era riuscita a capirlo da sola? Era stata un mostro fino a quel punto?
La ragazza scosse la testa, scacciando quei pensieri e promettendosi di parlare con la sua migliore amica al più presto.
- Te lo ripeto, Malfoy. – mormorò, con voce malferma. – Non sono affari che ti riguardano.
Il ragazzo alzò le spalle, indifferente, ben consapevole di quanti dubbi in realtà le avesse fatto nascere e quanto fosse rimasta turbata dalle sue parole.
Hermione lo fissò, cercando di capire quali fossero le sue intenzioni ora che sapeva la verità. D'un tratto le sembrò di vedere qualcosa di stanco nei suoi occhi, come se non avesse più voglia di continuare quella discussione e fosse arrivato al limite della sopportazione.
- Ad ogni modo, non mi tirerò indietro. – sbottò. – Mi prenderò le mie responsabilità, Granger. – Non ho idea di cosa tu abbia bisogno in questo momento, ma…insomma…se… cioè… puoi… io… – s’interruppe da solo, probabilmente rendendosi conto dell’illogicità del suo discorso. – Beh, hai capito, no?
Quella fu la prima volta probabilmente che Hermione lo vide a disagio. Nonostante Draco avesse pronunciato parole per lo più sconclusionate, la Grifondoro capì al volo quell’offerta d’aiuto che le stava lanciando; la colpì in modo così profondo che avrebbe voluto abbracciarlo in quel preciso istante.
Di fronte all’espressione completamente meravigliata della Grifondoro, Draco fece una smorfia.
- Sono uno stronzo, Granger, lo ammetto e non me vergogno in alcun modo. – sputò, malamente. – Ma non sono cattivo. – ammise, infine.
- Lo so.
Lo sorprese la risposta immediata di Hermione. Una risposta sincera, senza fronzoli, autentica.
Draco la trapassò con lo sguardo, come se fosse sul punto di dire qualcosa, qualcosa che probabilmente lo stava tormentando già da prima, quando ancora stavano parlando e Ron non era ancora arrivato, non era ancora stato distrutto. Ma quel qualcosa rimase rinchiuso nelle sue labbra e non emise parola.
Come un tacito accordo nessuno dei due disse più niente e, dopo qualche secondo, Draco se ne andò, lasciando Hermione da sola.
Un sorriso le spuntò a malapena sulle labbra.
 
 

 
 
- Draco?
Solo Blaise Zabini poteva pensare che chiamare Draco Malfoy nel cuore della notte potesse essere un’idea da essere presa anche solo in considerazione. Come risposta ottenne soltanto un borbottio indistinto, accompagnato da un lieve movimento delle coperte, segno che il povero malcapitato del suo compagno di stanza non era ancora riemerso dal mondo dei sogni.
- Draco, mi senti? – sussurrò Blaise, voltandosi verso di lui.
Continuò a chiamarlo insistentemente per svariati minuti, invano. Il biondo, infatti, aggrottò per un attimo le sopracciglia, borbottando qualcosa di indefinito su un certo rumore che lo stava infastidendo, per poi tornare quieto, il respiro profondo e regolare.
- Draco! – esclamò infine, balzando in piedi e lanciandogli il suo cuscino addosso.
- Porca puttana, Blaise! – imprecò Draco, svegliato bruscamente. - Ma che cavolo vuoi?! – sibilò, guardandolo glacialmente e già pronto a prendere la sua bacchetta per affatturare quell’idiota del suo migliore amico.
- Oh… Stavi dormendo? In realtà volevo solo sapere se eri sveglio…
Erano momenti come questo che Draco si chiedeva cosa diavolo avesse avuto nella testa quel giorno di tanti anni prima, quando gli era passata per la testa la malsana idea di stringere amicizia con un soggetto del genere. 
- Blaise, sei un cretino.
Si risistemò compostamente nel letto, deciso più che mai a porre fine a quella brutta giornata, anche se la voce di Blaise lo disturbò nuovamente.
- Stai bene, Draco?
- Alla grande. – sbottò, senza neanche guardarlo. – Anche se adesso preferirei dormire, senza la tua voce che mi tortura, grazie.
- Lo so che hai qualcosa che non vuoi dirmi! – replicò Blaise, totalmente incurante delle sue parole e dei suoi ripetuti sbuffi.
Draco assottigliò lo sguardo, chiedendosi cosa stesse aspettando per affatturarlo.
- Anche se così fosse, non mi sembra il momento di parlarne. – chiosò.
- Per tutta la sera ho cercato di parlarti, ma non hai rivolto la parola a nessuno!
- Blaise, seriamente, lasciami in pace e fatti gli affari tuoi.
- No!
- No?
- Assolutamente no! Non pretenderai davvero che faccia finta di non aver notato il tuo viso a metà tra l’incazzato e il distrutto di oggi pomeriggio? Come anche solo puoi pensare che io ti permetta di crogiolarti nella tua miseria, quando hai me, splendido e meraviglioso Serpeverde, sempre pronto a…
Draco, ormai stufo, avendo capito che probabilmente quella notte non avrebbe dormito se non avesse accontentato il suo compagno di stanza, si tolse le coperte di dosso e si voltò a guardarlo.
- Dopo mi lascerai dormire? – lo interruppe, stancamente.
Blaise annuì, un sorrisetto sarcastico e divertito a disegnargli le labbra.
- Un disastro, questo è successo. – mormorò semplicemente.

 


 
- Insomma Daphne, mi vuoi dire che cos’hai?! Sto perdendo la pazienza, su!
La mora saltò sul letto dell’amica, con l’intento di scuoterla. Dopo la sua piccola bravata, Daphne non le aveva più rivolto la parola, neanche a cena, quindi le sembrava una buona idea cercare di chiarire con lei alle tre di notte.
- Per Salazar, Pansy! Tralasciando il fatto che sono le tre di notte e che io vorrei dormire, dato che domattina ho il compito di Storia della Magia, anzi abbiamo il compito, ma a quanto pare a te non interessa, tralasciando anche il fatto che non ho nessuna voglia di parlare con te e tralasciando anche il fatto che hai chiuso le mie finestre perché tu hai sempre freddo, non mi interessa un fico secco se stai perdendo la pazienza.
- Innanzitutto, le finestre non sono tue. – specificò Pansy, incrociando le braccia. – E poi dimmi almeno se hai parlato con Blaise!
- Sì, ci ho parlato, ok? – sbottò Daphne infine. – Purtroppo, ci ho parlato… – mugugnò poi, inconsapevole che Pansy l’avesse sentita.
- Oh, per Salazar! – esclamò la mora, all’improvviso.
Daphne inarcò un sopracciglio.
- Tu… e... Blaise… – mormorò, leggermente più pallida rispetto a prima.
- Non c’è nulla tra e me e Blaise e mai ci sarà. Smettila con questa storia! – la aggredì l’amica, infervorandosi immediatamente.
Pansy ghignò.
- Ma io lo so cos’hai! – trillò contenta.
- Pansy, voglio dormire.
Con quelle parole non fece altro che aumentare l’euforia della sua compagna di stanza.
- Ti sei presa una bella cotta! – esclamò Pansy, con un sorriso larghissimo.

  


 
- Draco, ma stai scherzando?
- Merlino, ma secondo te potrei scherzare su una cosa simile? – ringhiò.
- Oh… – mormorò, con uno strano tono, fissando la parete dietro di lui. Si distese sul letto, senza tornare a guardarlo, perso nei suoi pensieri, litigando per un secondo con il cuscino che non voleva saperne di adattarsi alla sua testa.
Non disse più nulla per almeno dieci minuti, cosa che impressionò sia Draco, che se stesso. Non che non avesse cose da dire, o da chiedere – ne aveva fin troppe – ma non aveva la minima idea di come dirle, o chiederle; aveva paura di indisporre o spaventare Draco più di quanto già non fosse, perché sì, anche se il suo migliore amico non lo aveva ammesso a parole, e mai lo avrebbe fatto, Blaise aveva capito che era paura quella che albergava nel suo sguardo, rendendolo più cupo e tetro. Per questo gli parve davvero un’idea geniale tentare di sdrammatizzare un po’.
 - Sai che Theo una volta mi ha parlato di una strana disciplina che s’insegna tra i babbani? Mi sembra si chiami matematica o qualcosa di simile. Dicono che la matematica sia come il sesso: aggiungi un letto, togli i vestiti, dividi le gambe e non moltiplicare… Tu invece hai moltiplicato, Draco!
- …. –
Quando Blaise si rese conto che aveva davvero detto ad alta voce quello che stava pensando, si chiese da dove Merlino gli fosse uscita quella frase. Certo che sapeva essere davvero cretino, quando si impegnava… Beh, poteva sempre sperare sull’elevatissimo senso dell’umorismo di Draco, che, dal canto suo, era fin troppo scioccato anche solo per rispondere.
- Sei andato contro le leggi della matematica! – affermò Blaise, più convinto.

Oh, Salazar, adesso mi mangia.

- Blaise Zabini. – scandì Draco lentamente. – Io ti dico che ho messo incinta la Granger e tu mi vieni a parlare della MATRATICA?!

Ok, forse non è stata proprio un’idea geniale.

- Si dice matematica… – preciso, con un filo di voce.

 …    

- Blaise, sei un cretino.
 
 


 
- Pansy, smettila di pronunciare stupidaggini come tuo solito, voglio dormire!
- Io dico stupidaggini? Tu semmai!
Il sopracciglio di Daphne tremò pericolosamente.
- Se non vuoi ritrovarti schiantata dall’altra parte della stanza, ti consiglio di chiudere la brutta boccaccia che ti ritrovi!
Pansy fece una smorfia, delusa, rimettendosi a letto.
Daphne piantò l’orecchio contro il cuscino, decisa più che mai a non dare ascolto alle chiacchiere dell’amica.
- Tanto lo so che non stai dicendo la verità, è inutile che tenti di sviare il discorso!
- Pansy, io detesto Blaise Zabini! Te lo vuoi mettere in testa?! – sbraitò Daphne, in collera.
- Ah, l’amore…riesce ad agitare anche il più quieto degli animi… – rifletté la mora, con tono talmente da dolce, da farle venire il diabete. – Lo sai che l’odio è solo una delle facce del cubo dell’amore? – continuò, ghignando maliziosamente. Al che, la bionda, persa completamente la pazienza, le lanciò contro il cuscino. Ebbe la sfortuna di sbagliare mira e colpire accidentalmente la gallina, che dormiva ai piedi del letto di Pansy. Il povero pennuto era ancora vivo solo grazie alla mora e al fatto che gli fosse stato insegnato a non dormire assolutamente sulla testa di Daphne, altrimenti sarebbe già stato morto stecchito. La gallina cominciò a starnazzare impazzita, volando fuori dalla stanza delle ragazze e facendosi un giretto in Sala Comune.
- Maledizione, Daphne! Perché hai lasciato la porta di camera aperta? – chiese Pansy, nello stesso momento in cui la bionda inveiva contro l’animale.
- Io uccido quel pollo se non la smette!

  


 
- Non è che potrei parlarti un secondo anch'io? – chiese il moro, dopo un po’ di tempo.
Draco alzò le spalle, apparentemente disinteressato. Per Blaise fu sufficiente per esporre il suo problema.
- Sono preoccupato per Daphne…
Draco assottigliò lo sguardo, indeciso se rimettersi a dormire o ascoltarlo. L’accenno però all’amica lo incuriosì, per cui decise di concedergli la sua preziosissima attenzione, per quanto l’orario fosse improponibile.
- Perché? – chiese infine.
- E’ strana! – esplose Blaise.
- Sai che novità.
- No, è strana… strana! Da qualche tempo non riesco più a capirla, io…
- Ah…perché tu prima riuscivi a capirla? – domandò Draco, alzando un sopracciglio, ricordando i loro numerosi diverbi.
- Oh…insomma, sai cosa intendo!
In tutta onestà Draco non aveva la minima idea di cosa stesse parlando, ma Blaise sembrava piuttosto agitato, per cui decise di non rispondere.
- E’ che… Non so, a volte mi sembra così…
- Così?
- Strana.
- Ok, Blaise, abbiamo appurato che Daphne è più strana del solito. Adesso spiegami un’altra cosa: per quale assurdo motivo a te dovrebbe importare?
- E’ questo il problema! – esclamò infervorato. – Perché me ne importa? – chiese più a se stesso che a Draco.
- Se non lo sai tu…
- E poi quando mi ha tirato lo schiaffo, insomma è stata un po’ esagerata, non tr…
- Ti ha tirato uno schiaffo? – lo interruppe Draco, incuriosito.
- Sì.
- Perché?
- Stavamo litigando e le ho detto che si stava comportando come una bambina.
Draco lo fissò con una nota d’incredulità nello sguardo.
- Le hai detto che è una bambina…e sei ancora vivo?
- Uff… non mi sei per nulla d’aiuto! – si lamentò, imbronciandosi.
- Sai com’è… sono le tre di notte…
- Ma tu devi sapere cos’ha! Sei il suo migliore amico!
- Ma che devo dirti, Blaise? Avrà le sue cose! – sbottò infine, rimettendosi sotto le coperte, di umore di gran lunga peggiore di quanto già non fosse.
- Oh… Tu dici?
- Sì, Blaise, dico. Adesso lasciami dormire, per Salazar!
Merlino voleva solo dormire qualche ora, non gli sembrava di chiedere tanto!
L’amico non disse più niente, limitandosi a borbottare frasi spezzettate per qualche minuto, senza disturbarlo come prima.
Draco aveva appena cominciato ad abbassare le palpebre e a sperare veramente di riuscire a riprendere il suo tanto agognato sonno, anche solo per qualche ora, quando nella Sala Comune risuonò lo starnazzare impazzito di un animale non ben identificato.
Strinse il cuscino, con la voglia pazzesca di rompere qualcosa.
No. Decisamente quella notte non avrebbe dormito.

 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Angolo Autrice 
 
Uhm…..Allora….Come va?
….Ok….PERDONO!!!!!!!!
*Singhiozza disperatamente*
Non uccidetemi! *Lacrime di coccodrillo per rendere veritiera la scena*
 
Dopo varie esitazione l’autrice decide di ricomporsi.
Ok, è inutile girarci intorno, sono di nuovo in ritardo, maaaa….Ho una bella notizia! Il prossimo capitolo è già scritto! Non tutto, ma quasi, quindi non dovrei ritardare troppo…Diciamo che al massimo potrebbe arrivare in due settimane…
Volete sapere cosa è successo per la seconda volta?
IL CAPITOLO E’ SPARITO!!!!!! Ma perché capitano tutte a me?!? Volevo postare il capitolo il 18 agosto, dato che era il mio compleanno, ma mi si è cancellato! Mi sarei mangiata le mani se non mi fossero servite per scrivere!
Va beh, ormai è fatta e io sono di nuovo in ritardo. Mi dispiace tanto :(
Passando a parlare del suddetto capitolo non succede granché a dir la verità, ma dopo varie esitazioni l’ho postato lo stesso. Ho voluto mettere la parte finale (quella con Draco, Blaise, Pansy e Daphne), principalmente per risollevare la malinconia che si era venuta a creare leggendo tra le righe, quindi spero che non vi sia sembrata di troppo :)
Non ho molto altro da dire, aspetto i vostri commenti per sapere cosa ne pensate.
Ah proposito! Ho una novità!
Ho un’idea per una nuova Dramione! Eheh…Credevate che dopo aver finito questa, avrei smesso di tormentarvi? XD
Coomunque, bando alle ciance, scrittori e scrittrici, lettori e lettrici!
E’ giunto per me il momento di ritirarmi in branda, perché il nemico (mia madre) si sta muovendo…
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate, ma grazie anche a chi ha solo dato una sbirciata.
Ma un GRAZIE speciale a quelle 13 meraviglie che hanno commentato lo scorso capitolo: Harry Potterish, Black_Yumi, Stella94, Slytherin_Ss, Notteinfinita, CChanel, chiaram, Ginny_, cranium, Lierin_, Virus14, elisadi80 e tonks17
Grazie ragazze, grazie davvero! ^____^
Al prossimo capitolo, carissime!!!!!!!!!!
flors99
 
 
 

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Capitolo 17
*** I Don't Want To Lie Anymore ***


I giorni volavano via, così velocemente che Hermione, quando si svegliava, non capiva se stesse vivendo la stessa alzata del giorno addietro o se effettivamente fossero passate 24 ore. I minuti sull’orologio andavano avanti senza sosta e i secondi si susseguivano secondo la loro regolare natura; la sabbia di una clessidra immaginaria giungeva sempre più spesso alla fine per poi essere rovesciata di nuovo.
 
Ron la evitava.
 
Era strano come i giorni passassero ugualmente anche senza la presenza di quel viso dolce al suo fianco: Hermione non sapeva se ritenere la cosa più inquietante o confortante. Ogni volta che entrava in Sala Comune, in Sala Grande o addirittura in aula, poteva chiaramente notare Ron irrigidirsi e dopo qualche minuto, accampata una qualsiasi scusa con dei borbottii appena udibili, volatilizzarsi in fretta e furia.
 
Il più lontano possibile da lei.
 
E quelle parole, quelle bellissime e allo stesso tempo dolorose parole, erano come fuoco nella sua mente.
 
Quando ho capito di essere innamorato di te,
 
Per quanto tempo aveva voluto sentire quelle parole uscire dalle labbra di Ron? Quanto tempo aveva aspettato che lui si accorgesse dei suoi sentimenti? Perché soltanto ora aveva udito quella frase, ora che non aveva più senso, ora che le sue emozioni erano cambiate?
 
Ho cominciato a vedere il mondo a colori,
 
E non aveva forse anche lei cominciato a vedere tutto il mondo più colorato, tutte le cose più luminose, quando aveva compreso finalmente con chiarezza la bellezza di quella piccola creatura che cresceva con lei, in lei, dentro di lei?
 
Non voglio più tornare nel grigio.
 
E non aveva forse anche lei visto tutto più grigio, più nero, come il più infinito degli oblii, quando aveva creduto di aver perso quella vita che cresceva lentamente dentro di lei, quando aveva temuto che la cosa più bella le fosse stata tolta, ingiustamente?
Comprendere il suo dolore peggiorava solo le cose.
 
Le parole di Ron erano un orribile macigno.
 
E quel macigno Hermione lo sentiva nel petto in tutta la sua pesantezza, ingombrante e terribile: non si spostava mai, non si muoveva di un millimetro. Ed ogni volta che per sbaglio i suoi occhi incrociavano quelli azzurri dell’amico, il macigno si trasformava in lava incandescente che la bruciava da dentro.
I giorni passavano in fretta, volavano via.
Ma il macigno restava sempre lì.
La ragazza sembrava aver perso la ritrovata vitalità, le sue parole erano sempre più rare da sentire, a tal punto che molte sarebbero state le persone che avrebbero potuto tranquillamente affermare di non ricordare neanche più quale fosse il suo timbro di voce.
Hermione stava risparmiando le forze.
 
Per portare nel cuore il dolore di quel macigno.
 
Neanche dai suoi amati libri, dai quali aveva sempre attinto una serena pace per poter affrontare la giornata, riusciva a ricavare ciò che davvero le serviva. La Biblioteca non era più un luogo protetto, sicuro, le sembrava semplicemente un’altra stanza, impregnata di troppo silenzio e solitudine.
 
Anche se lei, in realtà, non era mai sola.
 
Più passava il tempo, più sentiva il suo corpo cambiare, il suo piccolo cucciolo crescere, l’unica persona che in quel frangente le dava la forza per poter resistere e andare avanti, nonostante tutto.
Era anche un’altra, a dir la verità, la cosa che la consolava leggermente e cioè il fatto di non dover più avere a che fare con le occhiate piene di disprezzo e cattiveria negli occhi di Draco: non che i loro rapporti fossero migliorati di molto, ma adesso, quando i suoi occhi incontravano quelli grigi, non vi leggeva nulla che la facesse soffrire come prima. Guardava gli occhi di Draco e non vedeva altro che uno sguardo profondo, nel quale lei galleggiava, senza più annegare. Ogni qualvolta che s’incontravano nei corridoi, gli insulti sparivano, le loro labbra sembravano improvvisamente prive di parole, la barriera dei pregiudizi in apparenza sembrava essersi dissolta, anche se in profondità nessuno osava andare a verificare. Le loro schermaglie erano solo un ricordo, anche se talvolta qualche battuta di scherno fuoriusciva dalla bocca di Hermione o da quella di Draco, per mantenere le apparenze più che altro, piuttosto che per ferire il loro interlocutore.
Sembrava che ci fosse un tacito accordo tra il Serpeverde e la Grifondoro.
 
Mantenere le apparenze, come se non fosse successo nulla.
 
Anche se era successo tutto.
 
Dopo quella conversazione nel bagno non si erano più davvero parlati, a parte qualche parola rubata in Biblioteca o in un posto dove non ci fossero orecchie indiscrete.
 
Non si erano promessi niente, se non il tacito accordo di non promettersi niente.
 
Per il momento, si ripeteva continuamente Hermione, per il momento era tutto ciò che poteva ricevere da lui.
La Caposcuola continuò a far scorrere la piuma sulla sua pergamena, nonostante avesse ormai superato il massimo della scrittura già da un bel po’. La Grifondoro, infatti, era lanciata nello studio, nonostante ormai le lezioni stessero terminando e i compiti assegnati fossero per le vacanze natalizie; pur sapendo questo, Hermione non aveva esitato un attimo ad immergersi nei compiti, perché aveva bisogno di tenere la sua testa occupata, di concentrarsi su qualcosa, perché a mente libera, con i pensieri svincolati da ogni obbligo e con la possibilità di andare dove volessero, credeva che sarebbe impazzita. Ecco perché, quasi come una forsennata, dopo essersi isolata in biblioteca, per ore e ore si era dedicata solo allo studio, col vano tentativo di non pensare a niente, nemmeno a se stessa.Fu proprio quando era totalmente immersa nello studio di una particolare pozione, proprio quando finalmente nella sua testa non c’era spazio né per Draco, per Ron e nessun altro, che la sua bolla d’isolamento si ruppe al suono di una voce.
Hermione sobbalzò spaventata: nello scatto rovesciò tutto l’inchiostro e la piuma rovinò a terra, disperdendosi nella Biblioteca. Per puro miracolo riuscì a salvare i libri e le pergamene dal macchiarsi di nero indelebile.
- Scusa, non… non volevo spaventarti. – mormorò Ron di fronte a lei.
Hermione tentò di calmare il battito cardiaco, senza troppo successo. Ad occhi spalancati, come se stesse guardando un film horror, osservava il suo migliore amico, senza muovere un singolo muscolo. Dire che fosse sorpresa era un eufemismo: nei sette anni che aveva passato lì ad Hogwarts, non aveva mai, ma proprio mai, visto Ron che andava in Biblioteca. Anzi, era più che sicura che il rosso non sapesse neanche dove si trovava quella parte del Castello. Se inoltre si aggiungeva anche il fatto che da quel fatidico giorno non si erano più rivolti la parola, a parte qualche monosillabo, e che Ronald la evitava sistematicamente, facendo in modo di non rimanere solo con lei neanche per sbaglio, la sua presenza in Biblioteca era qualcosa di talmente inverosimile da lasciare la ragazza senza parole. Per questo, in quel momento, osservando l’amico, Hermione credette di star sognando o più probabilmente che fosse un’allucinazione dovuta al troppo stress o allo studio prolungato.
- Ehm… Ciao. – mormorò Ron, vedendo la sua espressione scioccata.
 
Che strana allucinazione, pensò la ragazza. Parla!
 
- Tutto… bene, Hermione? – quando la voce del rosso attraversò di nuovo le sue orecchie, la Grifondoro si riscosse come da un sogno. Le sembrava impossibile che Ron potesse essere davvero lì, davanti a lei, con un’espressione a metà tra il tranquillo e il preoccupato, con i suoi occhi azzurri aperti e più puri che mai, che la fissavano con lo sguardo dell’oceano.
 
Era un sogno così bello…
 
- S-sì. – soffiò, flebilmente, a voce così bassa che non fu neanche tanto sicura che Ron l’avesse sentita.
Il rosso abbassò lo sguardo, improvvisamente imbarazzato, poi dopo qualche esitazione si sedette sulla sedia di fronte alla ragazza, poggiando le mani sul tavolo di lavoro, torturandosele.
- Sì, ehm…ciao? – ripeté il ragazzo, a corto di parole.
- Ciao. – sfiatò Hermione, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia, continuando a fissare Ron come se fosse un miraggio, o chissà quale miracolo.
- Uhm…bene.
- Bene.
La piega ridicola della loro conversazione fece increspare le labbra della giovane Grifondoro in un debole sorriso, che sparì completamente non appena notò qualcosa mutare nell’espressione del suo migliore amico.
- Senti, io… – Ron si passò una mano tra i capelli imbarazzato. – Non so bene cosa voglio dirti, a dir la verità. So… di…averti evitato, anche se… avevi bisogno di aiuto… Ti chiedo scusa, davvero.
Prima che la ragazza potesse interromperlo, per dirgli che non aveva proprio niente di cui scusarsi e che capiva il suo bisogno di prendersi del tempo, Ron parlò di nuovo.
- Il fatto è che… non riuscivo a …a starti accanto! Ogni volta che…che ti vedo, non riesco a non… – il giovane Weasley s’interruppe, chiudendo la mano destra in un pugno, cercando di trattenersi dal morderselo.
La mente di Hermione a quelle parole s’inondò di una commozione tale, da non farla neanche ragionare. Di nuovo quelle tre maledette frasi vorticavano impazzite nella sua testa, facendole perdere la ragione e la razionalità.
 
Quando mi sono innamorato di te
 
Non si meritava una persona così buona come Ron, non si meritava di averlo lì accanto, dopo quello che aveva fatto.
 
Ho cominciato a vedere il mondo a colori
 
Non doveva scusarsi, era lei che gli aveva fatto del male, era lei che aveva taciuto la verità, era lei e soltanto lei che lo aveva macchiato con l’inganno e la bugia.
 
E non voglio più tornare nel grigio
 
- So di non essermi comportato bene, Hermione, ma…
 
Basta, Ron, basta.
 
- No, Ron, smettila! – gridò improvvisamente la ragazza alzandosi dalla sedia, ignorando la regola di “non alzare la voce in Biblioteca”. Se Ron fu sorpreso della sua reazione non lo diede a vedere, ma si limitò a fissarla con gli stessi occhi, senza che nessuna emozione li attraversasse.
- Non… scusarti, Ron! Non farlo, per favore!
L’espressione di Hermione era mutata all’improvviso. Se prima era qualcosa a metà tra l’imbambolato e la placidità, adesso era piena di fervore e di commozione.
- Non devi chiedermi scusa, Ron, capito? Capito?
 
Non poteva accettare che lui chiedesse scusa dopo quello che lei gli aveva fatto.
 
- Hermione, ma… – l’amico tentò di ribattere qualcosa, confuso dal repentino cambiamento d’umore della ragazza.
- No! No, dannazione, no! Io ti ho fatto del male, io…
 
Dopo la ferita che lei gli aveva inferto.
 
- … sono… sono una persona orribile, tu…
 
Mostro. Sei un mostro, Hermione.
 
- Hermione, no! Tu non sei…
- Smettila, Ron! – esclamò con le lacrime agli occhi e la voce intrisa di una disperazione così grande che il rosso si spaventò, non poco. – Io non… non merito le tue scuse, ok? Sono un mostro, ti ho fatto solo soffrire!
 
Sei solo un mostro, Hermione.
 
Ron si alzò dalla sedia, fino a ritrovarsi di fronte a lei. A quello sfogo improvviso, cominciò seriamente a preoccuparsi, quando capì che la ragazza non accennava a calmarsi.
- Non devi starmi vicino… – continuò la ragazza, senza che neanche lei sapesse più cosa stesse dicendo. Poggiò le mani sul petto di Ron, come per allontanarlo, ma non lo mosse di un millimetro. – Io ti faccio del male, se mi stai vicino, ti… faccio…male! – farfugliò, singhiozzando. Stavolta le sue mani fecero più pressione e con la forza della disperazione riuscì a smuovere Ron e a farlo indietreggiare leggermente.
Il rosso le afferrò le mani per bloccarla, esitando appena.
- Hermione, calmati! – esclamò, scombussolato da quella disperazione intrisa negli occhi della Grifondoro.
- No, no, no. – ripeté come una mantra ininterrottamente. – No, non dire niente, niente, Ron, niente!
- Hermione!
- No! – le lacrime cominciarono a fuoriuscire, senza sosta. – Dovresti odiarmi. Devi odiarmi, per il tuo bene. – un singhiozzo la scosse, senza che riuscisse a serrarlo tra le sue labbra. La ragazza cercò di districare le mani da quelle di Ron, ma dopo qualche vano tentativo ci rinunciò, tentando di allontanarlo facendo forza con le braccia.
- Hermione, smettila! Non…
- Va via, Ron. Ti farò soltanto soffrire, proprio come…

Proprio come Ginny.

Davvero non capisci, Granger? Non ti rendi conto del male che le hai fatto? L’hai fatta a pezzi e non te ne sei neanche accorta.

S’interruppe, ingoiando il groppo che le si era formato in gola e che la fece tremare da capo a piedi, mentre quelle orribili parole le rimbombavano in testa. Non aveva ancora affrontato l’argomento con Ginny, ma si ripromise di farlo al più presto, sperando seriamente che la realtà non fosse così terrificante e che avesse ancora la possibilità di rimediare.
- Ti farò solo soffrire. – ripetè Hermione in un soffio. – Sono orribile, sono…sono…
- Basta, Hermione! Basta! – La interruppe alla fine il ragazzo prendendole il viso tra le mani. – Non sei un mostro, ok? Non dirlo neanche per scherzo, chiaro?
Ron soffocò le deboli proteste di Hermione asciugandole le lacrime e guardandola dritta negli occhi. Strinse di più le sue mani, per impedire che lo spingessero via, nonostante sapesse che lei non ne avrebbe avuto più la forza, né fisica, né mentale.
- Sono io, Hermione, sono qui! Io ci sono, Hermione… sono qui con te, se... se vuoi. – mormorò infine, mentre la ragazza, ormai in preda alle lacrime, faceva uscire a fiotti quelle tenere perle, limpide come l’acqua. I suoi singhiozzi risuonarono nel silenzio della Biblioteca e dopo qualche indugio, Ron l’abbracciò, infondendole calore.
- Sono, qui, Herm. Sono qui… – ripeté, nel suo orecchio, accarezzandole i capelli, mentre Hermione si aggrappava a lui, come se fosse l’unica boa in mezzo al mare durante una tempesta.
- Scusa, Ron, scusami ti prego, non volevo ferirti, ti giuro che…
- Shhh… – il ragazzo interruppe il suo discorso sconnesso, tenendola stretta a sé, nel calore e nell’affetto di quell’abbraccio che Hermione aveva creduto di non ricevere più.
Continuò ad abbracciarla anche quando ormai le lacrime della Grifondoro, si esaurirono, bagnandogli completamente il maglione, di cui non si curò minimamente.
La tenne stretta, stringendola forte, fortissimo, come se fosse una bambina da proteggere.
Continuò a stringerla finché una lacrima, quella maledetta lacrima, imprigionata nelle sue ciglia, non scese anche dai suoi occhi azzurri.
 

 
             
  
I candidi fiocchi che scendevano, ghiacciando i giardini di Hogwarts, erano uno dei più begli spettacoli a cui si avesse la fortuna di assistere. Non c’era occhio che non si soffermasse almeno per un istante nella contemplazione di quella meraviglia, sbirciando di tanto in tanto dalle grandi vetrate della scuola. Era invece più raro che qualcuno avesse il coraggio di addentrarsi in quel freddo che ghiacciava le vene, perlomeno non senza tre o quattro maglie, sciarpa, cappello e guanti.
Per questo quando Daphne intravide da lontano una figura familiare, sbuffò sonoramente, chiedendosi cosa Merlino ci facesse lui lì: era più che sicura che sarebbe potuta rimanere in pace fuori da Hogwarts, con il vento che soffiava e la neve che cadeva facendo congelare tutti quanti. Tranne lei, ovviamente.
Invece a quanto pare avrebbe dovuto ricredersi.
Continuò a tenere gli occhi fissi su di lui e soltanto quando il ragazzo le si sedette accanto, distolse lo sguardo, puntandolo sotto di lei.
- Non ti ho visto oggi in Sala Grande. E neanche ieri. – le disse, pacatamente. – Anzi, sono giorni che non mangi niente.
Daphne alzò le spalle, senza guardarlo.
- Pansy dice che ti sei messa a dieta per il ballo di Natale.
- Mmh. – Daphne scrollò di nuovo le spalle, cominciando a disegnare cerchi con le dita sulla neve.
- Astoria dice che semplicemente hai voglia di stare un po’ da sola.
- Mmh. – la Serpeverde increspò lievemente le labbra in un sorriso, sentendo nominare sua sorella.
- Blaise è convinto che tu abbia una qualche forma rara di malattia che colpisce lo stomaco e t’impedisce di mangiare qualsiasi cosa.
- Mmh. – il sorriso si contrasse in una smorfia, mentre la ragazza si chiedeva come la mente di Blaise potesse partorire idiozie simili.
- Ma se ti conosco bene, credo di sapere cosa ti stia succedendo, specialmente dopo quello che mi ha raccontato Blaise. – concluse Draco, fissandola con i suoi occhi grigi.
- Cosa ti ha raccontato quell’idiota di Zabini? – chiese improvvisamente guardinga.
- Riguardo a quello che è successo nell’ufficio della McGrani…
- COSA?
Draco non fu per niente sorpreso dalla sua reazione; aveva immaginato il suo scatto d’ira, per cui non batté ciglio e non mosse un muscolo di fronte alla profonda indignazione dipinta sul volto della bionda.
- Sì, me lo ha raccontato. – prima che la Serpeverde potesse replicare, continuò a parlare. – Soprattutto di quello che è successo per non farvi scoprire da Gazza.
Quelle ultime parole ebbero l’incredibile effetto di colorare le gote di Daphne di rosso scarlatto, dandole un’espressione dolcissima. La Serpeverde si strinse le ginocchia con le braccia, pregando in tutte le lingue del mondo che quell’innaturale rossore si diradasse e scomparisse.
- E allora? – chiese Daphne, tentando di sviare il discorso. – Che ci fai qui? Volevi dirmi qualcosa? – la sua tattica aggressiva di solito funzionava egregiamente con tutti quanti. Le era utilissima per allontanare le persone da sé, che, conoscendo la sua irritabilità, al primo cenno di rabbia si allontanavano spaventati.
Funzionava sempre. Con tutti.
 
Tranne che con Draco.
 
Con lui perdeva completamente senso. Non serviva a niente mettersi temporaneamente una maschera, per non far vedere le proprie emozioni.
 
Perché lui, tra le maschere, vi era nato.
 
Daphne continuò a fissarlo dritto negli occhi, la rabbia mischiata a un malcelato rancore che non sapeva bene come giustificare. Ma anche la guerra tra gli sguardi la vinceva lui.
 
Sempre.
 
- No. – rispose infine Draco, senza distogliere lo sguardo da lei. – Io non devo dirti niente, Daphne. Sei tu che devi parlare, io sono solo qui per ascoltarti.
Se quelle parole la colpirono, non lo diede a vedere: provò a sostenere il suo sguardo ancora per qualche secondo, ma poi ci rinunciò, guardando da un’altra parte. Gli occhi di Draco, quando erano privi di maschere, erano insostenibili. Neanche Daphne, la Serpeverde per eccellenza, la più fiera e orgogliosa della sua casa, era in grado di tener testa a quello sguardo plumbeo così chiaro e intenso da farle vorticare la mente. Nonostante questo, Daphne non cedette: serrò le labbra, decisa a non raccontargli ciò che gli frullava per la testa in quel periodo, e incrociò le braccia, sapendo che prima o poi sarebbe stato Draco a cedere, perché avrebbe perso la pazienza di fronte al suo silenzio ostinato.
La voce del suo migliore amico la sorprese nuovamente.
- Prenditi il tempo che vuoi. Io ti aspetto. – mormorò Draco stendendosi sulla neve, incrociando le braccia dietro le testa e chiudendo gli occhi, con la serenità che Daphne aveva visto soltanto nei bambini.
Per la prima volta nella sua vita, Draco Malfoy le parve davvero un bambino. Si perse nell’osservare i tratti spigolosi del suo viso, mentre si chiedeva come potesse non percepire neanche un briciolo di freddo, con la schiena a contatto con la neve gelida.
Sembrava così a suo agio tra quei fiocchi ghiacciati, le palpebre socchiuse e le ciglia che vibravano leggermente; osservò con un sorriso il suo bel viso, la curva dritta del naso, le labbra che teneramente si piegavano in una smorfia, ogniqualvolta che un candido fiocco di neve si posava su di esse. Forse fu quella visione onirica a farla cedere.
O forse aveva ceduto molto prima. Probabilmente quando le aveva parlato. Draco Malfoy non era un ragazzo che sproloquiava più di tanto, perdendosi in chissà quali discorsi complicati; era chiaro, coinciso, le parole che pronunciava erano stilettate al cuore.
 
Io non devo dirti niente, Daphne. Sei tu che devi parlare, io sono qui solo per ascoltarti.
 
Probabilmente era stata la fiducia che le aveva dato con quel semplice gesto.
 
Prenditi il tempo che vuoi.
 
Non aveva minimamente sospettato che lei avrebbe potuto lasciarlo lì solo, andandosene via.
 
Io ti aspetto.
 
Ma se Daphne volesse essere fino in fondo sincera si ritroverebbe a confessare che le sue difese erano state completamente distrutte quando Draco aveva chiuso gli occhi, lasciandosi tra la neve. L’assoluta spontaneità e la fiducia con cui si era abbandonato, per lei, l’avevano fatta capitolare del tutto.
Con un sospiro, strinse la presa sulle ginocchia, appoggiandovi sopra il mento.
- Non so cosa mi sia preso in questi giorni. – confessò infine Daphne con sincerità, dopo parecchio tempo, trascorso nel silenzio più totale.
Draco non si mosse, ma il guizzo che ebbero le sue palpebre le fecero intendere che la stava ascoltando. Con lo sguardo perso in chissà quali pensieri, Daphne schiuse le labbra, lasciando che l’aria fredda le ghiacciasse il palato, prima che tutto ciò che si era tenuta dentro in quel periodo fosse rovesciato fuori come una cascata.
- E’ successo così all’improvviso, quella sera! – esclamò, decisa a sfogarsi una volta per tutte. – Prima era tutto tranquillo, avevo tutto sotto controllo e poi… e poi tutto è cambiato, ogni cosa non era più al suo posto… Non…sapevo… non sapevo cosa fare e poi Blaise… Io non lo so, cavolo! Mi sembra così assurdo, non ho davvero mai pensato di poter provare qualcosa per quello stupido babbuino! Ero seriamente convinta di odiarlo, ma… ma… non so cosa mi sia successo, io…
Mentre tentava di articolare un discorso logico, si voltò verso il suo migliore amico e con sorpresa si accorse che aveva aperto gli occhi, fissando un punto indefinito, perso in qualche oblio, nero e profondo.
- Ma poi capisci che hai sbagliato tutto quanto. – concluse Draco per lei, mormorando quelle parole con uno strano suono di voce.
Daphne lo fissò, con uno sguardo confuso sul volto, senza però proferire parola.
- Non è giusto, però! – riprese la Serpeverde dopo qualche secondo, decidendo di lasciar perdere quella strana sfumatura di voce nel tono di Draco, per affrontare l’argomento in un momento successivo. – Non è giusto che quell’insensibile babbuino mi entri nella testa e me la scombini, in qualunque modo voglia! – il babbuino, altri non era che Blaise. Daphne gli aveva affibbiato quel soprannome tanto tempo prima, quando aveva capito che la parola sensibilità non esisteva nel suo vocabolario.
A quel punto Draco si rialzò dalla posizione supina, sistemandosi placidamente vicino a lei. Aveva i capelli pieni di neve, ma non provò a scrollarseli di dosso: la visione dell’amico così trasandato la fece sorridere inconsapevolmente, prima che i suoi occhi tornassero seri.
- Ah, tanto per essere chiari, se provi a riferire a quel cretino qualcosa di questa nostra conversazione, giuro su Salazar che ti cavo gli occhi. – lo avvertì minacciosamente.
- Come se non lo sapessi. – le rispose, alzando gli occhi al cielo. – Pensi di tornare a rivolgergli la parola prima o poi?
- Certo che no! Non se prima non mi chiede scusa!
- Per cosa, esattamente?
- Per… per… farmi sentire … così!
- Daphne… – la richiamò Draco, roteando gli occhi. – … è di Blaise che stiamo parlando. Non è in grado di distinguere la rabbia dalla tristezza, figuriamoci comprendere le tue disfunzionalità ormonali.
- Già. – mugugnò la ragazza qualche secondo dopo. – Quello stupido insensibile.
Improvvisamente il pensiero che Blaise non avesse minimamente compreso cosa le stesse succedendo le fece quasi venire le lacrime agli occhi, per la frustrazione. Sapeva quanto Blaise fosse più un’ameba che un essere umano quando si parlava di sentimenti, ma probabilmente era anche vero che lui non si sforzava neanche di riuscire a comprenderla, per il semplice motivo che non gli importava.
Draco dovette percepire il suo cambiamento d’umore, perché le si accostò maggiormente, sfiorandole con delicatezza il braccio.
- Perché devo sentirmi così? – mormorò. – Non è giusto. – ripeté.  
- È vero, non è giusto. – convenne lui. – Pensi di avere tutto sotto controllo, finché non arriva qualcuno che ti toglie ogni sicurezza.
Di nuovo quel tono, quella sfumatura inquietante a colorargli la voce, mischiata ad uno sguardo terribile.
Per la seconda volta, Daphne lo guardò confusa: non sembrava che stesse parlando davvero con lei, ma che stesse tirando fuori quelle parole dalla parte più interna di sé, quella che nessuno aveva la possibilità di vedere.
- Draco, cosa…
- Ne vale la pena, Daphne? Saresti disposta a rimettere tutto in gioco, per Blaise? – la conversazione si stava dirigendo su strade pericolose, e nonostante Draco sembrasse essersene accorto, non cedette un millimetro dalla sua posizione.
L’amica lo fissò accigliata per qualche secondo, senza aprire bocca.
- Stai cercando di dirmi qualcosa, Draco? – chiese, sospettosa. – Stai parlando di me o di te? – ribatté puntando i suoi occhi verdi in quelli del ragazzo.
Lo vide stringere i pugni e serrare le labbra per un istante.
- Cos’è successo? Mi nascondi qualcosa? – continuò.
Il ragazzo imitò la sua posizione, portandosi le ginocchia al petto.
Daphne vide di nuovo le sue mani tremare.
- Sarò padre.
La ragazza strabuzzò gli occhi, credendo di aver capito male o che quella frase mormorata a malapena fosse soltanto il frutto della sua fervida immaginazione. Scartò a priori l’ipotesi dello scherzo, senza neanche prenderla in considerazione: Draco non avrebbe mai e poi mai scherzato su un argomento simile, meno che mai con un tale tono.
- Co-cosa? – si trovò ad ansimare inconsapevolmente.
- Sarò padre. – ripeté. Il tono cupo aveva lasciato il posto a un timbro più forte, aspro e quasi terrificante. – Ma non sono pronto. – confessò, un attimo dopo, abbassando improvvisamente lo sguardo. – Non sarò mai pronto per…
Daphne, dopo i primi attimi di smarrimento, scosse la testa, improvvisamente in preda al panico.
- Draco… – lo interruppe esitando, incapace di impedire ai suoi occhi di spalancarsi. - …ma com’è possibile? – chiese, sapendo quando potesse risultare stupida la sua domanda.
- Merlino, Daphne, ma cosa vuoi, un disegno?! Come dovrebbe essere possibile?
- Ma non in quel senso! – replicò la Serpeverde con veemenza, non potendo impedirsi, suo malgrado, di arrossire. – Nel senso che tu… sei sempre così… meticoloso, ecco… e attento.
- Non lo sono stato. – borbottò. – E ora ne pago le conseguenze, ma… non sono pronto per affrontarle!
 
Per un attimo lo vide fragile come una farfalla d'inverno.
 
In quei pochi attimi, in quegli istanti rubati, Draco Malfoy, sotto gli occhi di Daphne, diventò più vulnerabile che mai, pieno di una fragilità che non aveva mai mostrato neanche durante la tenera età.
- Draco. – lo richiamò la ragazza, ancora smarrita, poggiandogli una mano sulla spalla.  – Ma… quando…
- Quasi quattro mesi… – disse più a se stesso che a lei. – Quasi quattro mesi e io… io ancora non riesco a rendermene conto, per Salazar!
La ragazza tentò di ripercorrere quel tempo passato cercando un possibile indizio, e l’unico che trovò le sembrò il più plausibile di tutti e allo stesso tempo il più improbabile. Era qualcosa di talmente impossibile che si rifiutò di accettarlo in un primo istante, ma poi fu costretta a capitolare di fronte ai fatti.
 
Devo parlarti, Malfoy. 
 
Io non ho niente da dirti.
 
Draco… credo che stia male.
 
L’ultima volta non sembrava stesse tanto bene. Tu ne sai qualcosa, Draco?
 
Non nominatela mai più.
 
 
- La… la Granger! E-ecco perché era venuta a cercarti quel giorno! Lei…tu…porco Salazar! Ma… lei… stava male, ecco perché… lei…
- Come… fai a saperlo?
- Lei! O santissimo Merlino, Salazar e…e Silente! Ma…porco paiolo… tu… lei… ma...
L’unica cosa che riuscì a interrompere quella raffica d’imprecazioni, fu la voce di Draco, leggermente più alta.
- Daphne, smettila!
La ragazza, come se si fosse risvegliata all’improvviso, lo fissò a occhi spalancati.
- Tu… tu… Sei… Oh. – il turbine di parole cessò con quella singola sillaba, anche se la bionda continuò a fissarlo per quello che parve un’infinità.
Draco sospirò.
- Lascia perdere. Non mi va di parlarne.
- Ma…Quando l’hai saputo? – non riuscì a trattenersi dal chiedergli.
- Due settimane fa, giorno più, giorno meno… – concluse alzando le spalle, come se fosse indifferente.
- E…
- Non ne voglio parlare, Daphne, non adesso!
La sua reazione la spaventò leggermente: gli occhi erano ridotti a due fessure, le mani ancora tremavano convulsamente, il corpo teso fino allo spasmo e quella dannata maschera che adesso stava costruendo anche con lei.
 
No, Draco.
 
Lei non accettava di vedere la sua maschera.
 
Malfoy.
 
Lei non accettava di avere Malfoy davanti a sé. Non lo aveva accettato in passato e non lo avrebbe accettato neanche adesso. E quindi colpì. Nel punto in cui sapeva che la maschera avrebbe ceduto.
- Provi qualcosa per la Granger?
Draco saettò gli occhi verso di lei, colto di sorpresa.
- Lei è una di quelle persone per cui vale la pena rischiare? – insistette, riprendendo la domanda che lui le aveva fatto poco prima.
Il ragazzo assottigliò lo sguardo, ma prima che potesse rispondere Daphne lo precedette.
- Deve valerne la pena per te! E per nessun altro.
 
Per te. Non per Malfoy.
 
- No, credo di no. – rispose infine il ragazzo, con sincerità. – Ma ti pare? Io e… ma no. – scosse la testa, facendo una smorfia disgustata. – Come se potessimo anche solo provare ad andare d’accordo, poi. Ogni volta che parliamo finiamo per insultarci e io…riesco sempre a ferirla, in un modo o nell’altro. Non facciamo altro che… attaccarci a vicenda.
- Beh… – borbottò Daphne. – …mi sa che fate anche altro, visto che la Granger è incinta…
- E poi, per Salazar, è insopportabile! Non tiene mai a freno quella dannata lingua: non vuole essere giudicata, ma sputa un sacco di sentenze su cose che non conosce e che non può conoscere!
- Anche tu lo fai, Draco.
- È la persona più irritante di questo mondo! Non sta mai zitta, s’immischia in tutto quanto e vuole sempre avere l’ultima parola!
- Mi sembra che tu la conosca bene.
- E’ una psicopatica! Crede di poter tenere testa a me! È orgogliosa, testarda e non ammette mai di aver sbagliato!
- E’ come te, in pratica.
- Mi fa venire voglia di strozzarla! – concluse Draco, con uno sbuffo dopo essersi sfogato come mai prima d’ora.
- Draco, Draco… Sai quante volte io ho avuto voglia di strozzarti?
- Mmh. – mugugnò il ragazzo, con una smorfia. – Tu perché difendi la Granger? – chiese qualche minuto dopo.
- Ma figurati. – sbottò Daphne. – Non la sto affatto difendendo e non lo farei mai. – precisò, con uno sguardo obliquo. – Penso semplicemente che anche tu sia così, dal fuori almeno, con questo carattere di merda. Ma… – si affrettò da aggiungere, vedendolo accigliarsi. – … dentro sei molto di più. Forse anche lei ha qualcosa di speciale da mostrarti, non pensi? – concluse, alzandosi e scrollandosi di dosso la neve. Non lo guardò negli occhi dopo la sua ultima frase, non era affatto abituata a questo genere di conversazioni, meno che mai a fargli un complimento.
Il ragazzo la seguì, ma al contrario di Daphne non tentò nemmeno di darsi una sistemata, sembrava completamente a suo agio, pieno di quei piccoli granelli bianchi. Le sue labbra erano contratte in un piccolo broncio pensieroso, ma quando Draco tornò a posare lo sguardo su di lei, si distesero in un sorriso che raramente aveva avuto la fortuna di comparire.
 
Grazie.
 
Non glielo disse a parole, non sarebbe stato da lui, usò semplicemente gli occhi e sapeva che in ogni caso Daphne avrebbe capito.
La ragazza alzò le sopracciglia, soddisfatta della sua gratitudine e lo prese sotto braccio, sia per averlo più vicino, sia per ripararsi un po’ da quel freddo pungente.
 - Non hai nient’altro da dirmi, Daphne? – sussurrò Draco al suo orecchio, con voce roca.
- Su cosa?
- Su questo. Su di me, sul fatto che ho sbagliato, che ho combinato una grandissima cazzata…
Daphne ridacchiò, prendendosi qualche secondo prima di rispondere.
- Sicuramente sarai un padre molto figo! 
 
 

 
 
- Non so cosa mettermi per la festa!
- Non so come truccarmi!
- Non so come trovare un accompagnatore!
- Non so come intrufolare bottiglie di Whisky Incendiario!
- Non so se sia meglio…
Per un motivo o per un altro, tutti per lo più futili, l’argomento di discussione più gettonato nel dormitorio dei Grifondoro era, appunto, il ballo.
Ginny roteò gli occhi, non sopportando più il chiacchiericcio delle sue compagne di stanza e si diresse verso la Sala Comune, sperando di trovare qualche compagnia più piacevole. Si sedette placidamente sul divano, aspettando che Hermione ritornasse da quell’angolo della Biblioteca nella quale si era rintanata per rimanere da sola, per poterle chiedere se avesse intenzione di partecipare alla festa o meno.
Un Harry completamente zuppo fece il suo ingresso nel dormitorio, con la divisa da Quidditch ormai irrimediabilmente fradicia e gran parte dei capelli scuri appiccicati alla fronte. Ginny fu tentata di scoppiare a ridere vedendo il suo aspetto trasandato, ma riuscì a trattenersi. Notò con sorpresa e con piacere che Hermione lo stava seguendo e non poté che sorridere, vedendo che il viso della riccia non era più smunto come quello dei giorni precedenti. Quando poi si accorse di Ron, l’ultimo entrante, si chiese se la freschezza sul viso di Hermione, non fosse dovuta al fratello. Erano giorni che non li vedeva tutti e tre insieme, come ai vecchi tempi; se da una parte la cosa le fece davvero piacere, dall’altra la confuse.
- Ciao, Ginny! – la salutò Harry, raggiungendola e schioccandole un dolce bacio sulla guancia.
La giovane Weasley arrossì, facendo finta di volerlo tenere lontano.
- Sei tutto bagnato, Harry!
- Appunto, mi sto asciugando.
Si strofinò giocosamente contro il suo braccio, facendola scoppiare a ridere. Ginny adorava quando Harry si comportava in quel modo, spensierato come un bambino. Dopo tutto quello che aveva passato, vederlo sorridere così spontaneamente poteva soltanto renderla felice.
- È meglio che vi sbrighiate, ragazzi, è già tardi per la cena. – comunicò Hermione, prendendo la parola, come non faceva da tanto.
 - Sì, giusto, vado a sistemarmi. – convenne Harry, che, dopo queste parole sparì nella sua stanza
- Vado ad asciugarmi anch’io, aspettatemi per andare a cena! – chiarì Ron, prima di seguire Harry. Lo sguardo del fratello la lasciò Ginny a bocca aperta: non aveva mai visto il suo sguardo così luminoso, ma non pronunciò neanche una singola sillaba, smettendo di respirare per svariati secondi.
- Hermione, finalmente sei riemersa dallo studio! – esclamò invece, voltandosi verso la Caposcuola.
L’amica, constatò Ginny con confusione, arrossì come un pomodoro.
- Ehm…già.
La giovane Weasley aggrottò le sopracciglia, senza aggiungere altro.
- Tu ci vai alla festa? – chiese, cambiando argomento.
La più grande delle due ragazze, sempre con confusione da parte di Ginny, arrossì ancora di più.
- Ehm… perché me lo chiedi? – chiese improvvisamente insicura.
- Silente qualche giorno fa ha detto che probabilmente sarà un ballo, quindi… insomma… volevo sapere se… Tu puoi ballare nelle tue condizioni? – domandò con un’aria talmente ingenua che Hermione scoppiò a ridere.
- Sì, certo che posso, Ginny! E comunque… penso… che…
- No, aspetta, prima che tu dica di no, esamina tutte le opzioni!
- Ma…
- E’ l’ultima festa che puoi fare, insomma… prima… va beh, dai, hai capito e poi…
- Ginny…
- Hai bisogno di divertirti e di…
- Io…
- Di staccare la testa e…
- Si dice staccare la spina.
- Sì, quello che è… Però, Hermione non puoi non venire, noi…
- Penso… che verrò, Ginny. – borbottò, interrompendo il suo sproloquiare.
- Ah! – esclamò la rossa, presa alla sprovvista. – Davvero?
- Sì. – le labbra di Hermione si aprirono in un leggero sorriso e se già quello era sufficiente per confondere Ginny, la colpì ancora di più il fatto che fosse vero. Si chiese cosa potesse essere successo alla sua amica che, da un giorno all’altro, aveva abbandonato l’aria stanca che la seguiva sempre come un’ombra per lasciare il posto a un’espressione serena e tranquilla.
- Meno male. – le rispose, lasciando perdere i suoi dubbi. – Ho  già ordinato i vestiti. – ammise la rossa.
- I… vestiti?
- Sì! – rispose, eccitata. – Vieni con me!
Non appena giunsero nella camera di Ginny (fortunatamente le sue compagne di stanza erano già scese per la cena), Hermione alzò gli occhi al cielo per il disordine, mentre l’altra tirava fuori un baule o lo apriva.
- Li ho presi a Hogsmeade la settimana scorsa. Se non ti piace puoi sempre cambiarlo…
Hermione aggrottò le sopracciglia.
- Ma… come facevi a sapere che mi serviva un vestito?
Ginny la fissò strabuzzando gli occhi.
- Mi è bastato guardare il tuo baule. – chiarì, come se avesse detto una sciocchezza.
Beh, in effetti, Hermione non poteva vantare chissà quale capo di vestiario all’interno del suo armadio.
- E come facevi a sapere che sarei venuta?
- Sapevo che sarei riuscita convincerti. – rispose semplicemente Ginny, alzando le spalle. – detto questo, tirò fuori dal suo prezioso baule un abito molto semplice, nero, col taglio alla greca, lungo fino al ginocchio. Sapeva che Hermione non avrebbe mai indossato nulla di troppo vistoso o elegante, per cui aveva scelto qualcosa che fosse il più semplice possibile, sperando le piacesse.
Hermione, come imbambolata, lo fissò per istanti interminabili.
Ginny aveva azzeccato alla perfezione i suoi gusti!
- Ti piace?
- E’ stupendo, grazie! – l’abbracciò di slancio, rischiando di farle perdere l’equilibrio.
- Uh…Eh…prego.
- E il tuo? – chiese Hermione qualche istante dopo.
- Il mio sarà una sorpresa!
- Dai, voglio vederlo!
- Scordatelo, sarà una sorpresa ho detto!
Hermione ridacchiò, sinceramente divertita. Era bello avere una conversazione di tal genere con Ginny. Non che i vestiti o la moda le fossero mai interessate più di tanto, non aveva mai avuto il tempo né la voglia di perdersi in simili frivolezze, ma la sua adolescenza non vantava certo di momenti spensierati e leggeri come questo; la minaccia di Voldemort, finché non si era estinta, aveva monopolizzato gran parte della sua vita, rubandole gli anni che sarebbero dovuti essere i più belli. La gravidanza, poi, aveva fatto il resto, mettendo la parola fine a una giovinezza che a malapena era cominciata. Era bello sentirsi normale, di tanto in tanto, come una ragazzina di diciassette anni.
- Posso chiederti una cosa? – la voce di Ginny la fece riemergere dalle sue riflessioni.
- Certo che puoi.
- Che ti è successo oggi? Hai incontrato Malfoy e lui ti ha rivolto una parola gentile? – chiese, leggermente sarcastica, ma neanche più di tanto, dato che sapeva che a Hermione bastava davvero una parola gentile da parte di quel deficiente per illuminarsi.
La riccia parve incupirsi.
- No. Però…
La rossa la guardò, chiaramente sorpresa dalla sua esitazione, chiedendosene il perché.
- Ho parlato con Ron e ci siamo chiariti.
Ginny si voltò di scatto verso di lei. Era per questo che Hermione era più serena? Era per questo motivo che i suoi occhi sempre cupi e terribilmente vuoti erano dolci e sorridenti? Per Ron?
- Inoltre… beh, lui ha detto che ne aveva già parlato con Harry, quindi… per non insospettirlo… e perché… uhm…
- Hermione. – la richiamò Ginny con il chiaro intento di farla arrivare al sodo.
- Ron mi ha chiesto di andare al ballo con lui e gli ho detto di sì.
Hermione non sapeva come avrebbe potuto prendere Ginny quella notizia: le aveva chiesto di stare lontano da Ron, di mettere dei confini, e, accettando l’invito, era sicura di non averlo fatto. Se avesse anche solo immaginato la reazione della giovane Weasley forse avrebbe rifiutato l’invito di Ron.
Il vestito che la ragazza teneva tra le mani le scivolò dalle dita, improvvisamente irrigidite, ricadendo poi inerme nel baule. La luce che aveva illuminato i suoi occhi azzurri fino a pochi secondi prima si spense come una lampadina e il sorriso scomparve completamente dal suo volto.
Hermione si odiò quando vide l’effetto che aveva avuto su di lei quella semplice frase.
Arrivò a detestarsi ancora di più quando ricordò le parole di Draco.
 
Davvero non capisci, mezzosangue? Non ti rendi conto del male che le hai fatto?
 
Vide Ginny stringere le nocche, mentre chiudeva il baule e vi appoggiava sopra le mani per sorreggersi.
 
Le mani le tremavano.
 
- Ginny…
Appena la chiamò, la giovane Weasley scosse la testa, voltandola poi nella direzione opposta alla sua, senza più guardarla.
Quando riportò gli occhi su di lei, Hermione stentò a riconoscerla.
- Vai al ballo con Ron? – chiese con voce incolore.
- Sì. – confermò, avvertendo il malessere farsi strada nel suo cuore. – Ma… come amici, lui è come un fratello, lo sai… – si affrettò ad aggiungere.
L’espressione di Ginny mutò nuovamente.
- Cazzate! Dimmi tutto quello che vuoi, Hermione, ma per favore non venirmi a raccontare cazzate! – esclamò improvvisamente con gli occhi lucidi.
- Ginny, aspetta, fammi spiegare. Io…
- No, Hermione. – la interruppe immediatamente. – Non dirmi che Ron è come un fratello per te! Non. Farlo! – prima che la Caposcuola potesse ribattere, Ginny continuò. – Oggi, dopo settimane ti ho visto sorridere, Herm! Sorridere! Se Ron è solo un amico per te, com’è possibile che ti faccia illuminare lo sguardo con un solo gesto? Com’è possibile che sia l’unica persona capace di farti ridere, quando in realtà vorresti solo piangere?
La riccia, confusa, si accigliò.
- Forse tu non te ne rendi conto, Herm, ma io sì! Tu provi qualcosa per Ron! O forse no, ma sicuramente non è un amico per te! E se tu non riesci a riconoscere i tuoi sentimenti per mio fratello, allora… allora lascialo… lascialo stare. – concluse in un sussurro, per poi schiarirsi la voce e riprendere la parola. – Erano mesi, mesi, che Ron voleva chiederti di andare con lui alla festa e sai perché? Perché è innamorato di te!
Dai suoi occhi azzurri cominciarono a spuntare lacrime salate.
- Per favore, non…
 
Non dirmi queste cose, ti prego.
 
- Non andrò al ballo con Ron, ma per favore, non dire che… – Hermione tentò di calmarla e di calmarsi, mentre una groppo alla gola le impediva di continuare.
Ginny la guardò come se avesse detto una stupidaggine.
- Non capisci, Hermione? Io non mi riferisco al ballo! Io… – si passò una mano sul viso, cercando di nascondere le lacrime. – …Mi riferisco al fatto che lui non ti vede come una semplice amica o come una sorella! Quello che cerco di dirti è che più stai vicino a lui, più gli fai male!
Male…Quanti significati poteva assumere quella parola?
Hermione per la prima volta nella sua vita vide Ginny piangere.
Quelle lacrime, facevano ancora più male del solito. Perché erano lacrime nate da due occhi così determinati, che piuttosto che farle sgorgare, avrebbero preferito bruciare di dolore.
 
Erano rare quelle lacrime.
 
E bruciavano ancora di più.
- Per favore, Hermione… – sussurrò, mentre ormai le lacrime scendevano sul suo viso candido come un torrente in piena. – Dopo questo ballo, lascialo stare. Lascialo andare. Forse è come dici tu, non provi per Ron quello che provi per Malfoy, ma questo non ti autorizza a illuderlo.
- Ginny, io non voglio illuderlo! Credimi, non ho mai avuto l’intenzione di…
- Lo fai, Hermione. – la interruppe bruscamente. – Forse non vuoi, ma lo fai. Talmente bene che non te ne accorgi neanche. – le lacrime le bloccarono il respiro e scivolarono a terra, mentre la presa sul baule si faceva più salda. – Non… non voglio più scegliere, Hermione! Non voglio più scegliere... Non….Non costringermi ancora a farlo. Perché… non so se avrei ancora la forza per scegliere te. – concluse, mentre i singhiozzi le scuotevano il petto.
 
L’hai costretta a scegliere tra te e la sua famiglia. Hai idea di quello che deve aver provato a mantenere un segreto così grande, a pagare le conseguenze di un tuo errore?
 
- Lo so che sto dicendo delle cose orribili, Hermione. – sussurrò, con voce spezzata. – Lo so, e vorrei non dovertele dire, perché tu sei come una sorella per me e ti voglio un bene dell’anima! Ma… Ron è mio fratello. Ron… lui… Quando è venuto a cercarmi, dopo che aveva scoperto della tua gravidanza, stava piangendo! Io non avevo mai visto Ron piangere, Herm! Mai! Era… distrutto, io…tu non sai cos’ho provato a vederlo in quello stato, sapendo che gli avevo mentito per tutto questo tempo!
 
L’hai messa in una posizione orribile. Ha dovuto mentire a Lenticchia, allo Sfregiato, e ha dovuto farlo per te, per una bugia che non è sua.
 
Davvero non capisci, mezzosangue? Non ti rendi conto del male che le hai fatto?
 
- Non l’ho mai visto felice come stasera, Hermione! Sono contenta che abbia capito, che ti abbia perdonato, come credo abbia fatto, visto che ti ha chiesto di andare al ballo con lui, sono contenta, sul serio. Ma credo…credo che…lui lo sa che sei innamorata di Malfoy? – la freddò, con uno sguardo furente di rabbia e allo stesso tempo pieno di debolezza.
- Non… non abbiamo parlato di Malfoy. – riuscì a malapena a bisbigliare la Caposcuola.
- Ron continua a sperare, Hermione, e tu gli permetti di farlo. Lui non… – Ginny sospirò, a un passo dallo scoppiare a piangere nuovamente. – Non lo distruggere, Hermione, non… non di nuovo. Non voglio che soffra ancora…
Solo quando Ginny scivolò a terra, contro il muro della sua stanza, Hermione riuscì a guardarla negli occhi.
 
Hai preso il tuo fardello di bugie e lo hai affidato a qualcun altro, e vuoi sapere qual è la cosa peggiore? Non te ne sei accorta.

L’hai fatta a pezzi e neanche te ne sei resa conto. 
 
Possibile che non si fosse accorta di come la sua bugia stesse distruggendo la sua migliore amica?
 
Ma che razza di persona sono?
 
Voglio solo farti presente la realtà dei fatti, che credo che tu in tutti questi mesi abbia dato per scontato.
 
- Non ce la faccio più, Herm, mi dispiace. Non voglio più mentire a nessuno… a Harry… – Ginny mormorò quelle parole a voce bassissima, passandosi nuovamente una mano sul viso, cercando di non mostrare troppo la sua debolezza. Finalmente dopo mesi, tutto quello che provava era stato rigettato fuori come un vulcano, e se da una parte questo la fece sentire debole, dall’altra la fece sentire leggera come mai prima d’ora.
- Scusa. – udì. – So che non serviranno a niente le mie parole, ma ti chiedo scusa. – ripeté Hermione. – Perdonami, se puoi.
Hermione s’inginocchiò accanto a lei, sentendosi una persona di gran lunga più orribile di quanto avesse mai immaginato. Non si sentì meglio quando con gesti impacciati tentò di abbracciarla, né quando le asciugò le lacrime dal viso con delle carezze. Si sentì meglio solo quando Ginny la guardò negli occhi e oltre al dolore e alla delusione vi lesse qualcosa di simile al perdono, che anche stavolta non si meritava.
 
Non voglio più mentire neanch'io, Ginny.
 
- Lo sai perché cadiamo, Ginny? – chiese con le lacrime che minacciavano di uscire anche dai suoi occhi. – Per imparare a rimetterci in piedi.
La fissò dritta negli occhi, in quell’oceano sempre calmo e piatto che ora era attraversato da una vera e propria tempesta. La terribile e cupa ombra nera che aveva intravisto nel suo sguardo qualche giorno prima si era nuovamente palesata nel suo sguardo e sembrava scrutarle l’anima, con minuziosa attenzione.
- Questa bugia è durata anche troppo, Ginny. – sussurrò. La giovane Weasley, notando il suo repentino cambiamento di tono, si chiese cosa avesse in mente, dando poi voce ai suoi pensieri.
- Cosa vuoi fare? – bisbigliò.
- Vieni, alzati.
Hermione strinse forte la sua mano e non la lasciò andare neanche quando attraversarono le scale che portavano alla Sala Comune.
 
Non ti lascerò andare mai più, te lo prometto.
 
Hermione scorse la chioma corvina di Harry, seduto di fronte al fuocherello, i capelli ancora leggermente umidi. Alzò gli angoli della bocca, il cuore che le batteva nel petto pieno di timore e speranza, mentre continuava a camminare; lanciò un’occhiata a Ginny, che, avendo capito le sue intenzioni, aveva accennato un sorriso sul viso pallido.
Quando riportò lo sguardo su Harry però, gli occhi scuri di Hermione si adombrarono, così come quelli di Ginny. Con orrore si accorsero che Harry non era solo. Per niente.
Una Lavanda Brown con un’aria innocente e fintamente sorpresa gli stava parlando, mentre il viso di Harry si contraeva in una strana espressione.
Prima che entrambe potessero anche solo pensare a quello che stava succedendo, Lavanda sorrise al ragazzo, salutandolo successivamente con un’espressione dispiaciuta.
Non ebbe bisogno Hermione di ragionare più di tanto per immaginarsi di che cosa avesse parlato con Harry, soprattutto dopo quello che le aveva riferito Ginny. La mano della rossa nella sua divenne fredda come il ghiaccio, entrambi i loro corpo si irrigidirono come statue di sale.
Lavanda, intanto, probabilmente accorgendosi di essere osservata, alzò lo sguardo su Hermione, paralizzata dalla paura e dalla rabbia. La Brown le sorrise, un ghigno quanto mai perfido e crudele, prima di raggiungerla e arrivarle davanti; non le disse niente, neanche una parola. Si limitò a sorriderle di nuovo, quel sorriso che Hermione avrebbe voluto cancellare dalla sua faccia a forza d'incantesimi.
- Sei una persona disgustosa, Brown. – soffiò la riccia, a un soffio dal suo viso.
- Cosa posso farci? Ognuno ha i suoi difetti. – convenne, senza alcuna vergogna.
- Sei sola, Brown, e tale resterai, se continui a comportarti in questo modo.
La bionda scoppiò a ridere alle sue parole, come se avesse detto qualcosa di profondamente divertente.
- Anche tu, Granger, presto lo sarai anche tu. – le sussurrò all’orecchio, facendole venire i brividi. Lavanda non le diede il tempo di rispondere, perché si allontanò, superandola e dirigendosi dalla parte opposta.
- Hermione. – sussurrò Ginny, tremando. – Lo sa. Harry non…
- Tranquilla. – la interruppe. – T-tranquilla. – ripeté, balbettando, mentre il terrore la intontiva per la sua intensità. – Andiamo da lui.
I piedi sembravano sempre più pesanti, man mano che si avvicinavano, i passi più rumorosi, il macigno sempre più insostenibile. Quando arrivarono davanti a lui, Hermione fu la prima che ebbe il coraggio di prender parola.
- Harry, devo parlarti di una cosa importante.
La mano di Ginny tremò nuovamente, stretta in quella di Hermione.
Il Grifondoro alzò lo sguardo su di loro, con le sopracciglia aggrottate e un’espressione accigliata. Quando parlò entrambe le ragazze trasalirono.
- Del fatto che sei incinta?

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice

Eccomi qui!
Stavolta sono puntuale! Sono fiera di me, spero solo che poi non ritarderò troppo come è successo l’ultima volta! Forse vi chiederete perché io sia così puntuale, e perché ho postato il capitolo così presto…ebbene perché…Sono felice! Davvero sono contenta e sapete perché?
Perché la mia storia ha raggiunto i 99 preferiti! 99!!!!!!! Non è che mi dareste una mano ad arrivare a 100? Vi prego, ditemi di sì…XD
Adesso passiamo a cose più importanti, come commentare il capitolo!
…Vi ho lasciato col fiato sospeso? No, via… Chi vuoi che sia rimasto a bocca aperta leggendo il finale? Nessuno! XD
D’accordo lanciatemi tutto quello che volete: pomodori, uova, insalata, carne. Suvvia, dai, ci vuole un po’ di suspance nella vita no? Hei! Mi fischiano le orecchie…qualcuno mi sta maledicendo?
Comunque andiamo per punti!
1. Lo so che rimando sempre questa benedetta festa, ma…..che devo dire? I miei personaggi fanno tutto da soli! Ad esempio la parte con Draco e Daphne non era prevista, così come nemmeno la parte finale tra Hermione e Ginny, però….Mi è uscita così! I personaggi non sono i miei burattini, sembra che prendano vita sotto le mie mani e io mi lascio condurre, perché mi sembra la scelta più giusta.
2. Ron e Hermione si sono chiariti (più o meno) e come aveva detto qualcuno tra i recensori, Ron è una persona buona e se davvero era innamorato di Hermione non poteva non perdonarla…
3. Sapete una cosa? Questo capitolo mi piacerebbe anche, ma… Il fatto che io non ci abbia mai messo Draco e Hermione insieme, non so…me lo fa piacere di meno…(lo so, è un discorso strano XD) Più che altro in questo capitolo vengono messi in evidenza i rapporti d’amicizia tra i vari personaggi, ho voluto approfondirli, perché non voglio che vengano dati per scontato…
4. Per quanto riguarda la parte finale (per cui spero che non mi ucciderete) ci tengo a precisare che NON volevo che succedesse una cosa simile, quindi prendetevela con i personaggi ù.ù
5. Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la mia storia tra i preferiti/le seguite/le ricordate e chi legge in silenzio.
Ma un GRAZIE enorme, gigantesco, a tutte quelle persone che hanno recensito almeno una volta questa storia, e quelle 13 splendide ragazze che hanno commentato lo scorso capitolo: Harry Potterish, Stella94, Black_Yumi, Slitherin_Ss, UraniaSloanus, MadamaBumb, Draco the best, Notteinfinita, cranium, Virus14, Lierin_, Amore_al_cuore e tonks17 E grazie anche a LadyFuraniera per aver recensito il primo capitolo. Grazie, ragazze.
Grazie perché chiunque abbia lasciato almeno una recensione a questa storia mi ha reso felice.
Al prossimo capitolo carissimi lettori!
flors99

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Capitolo 18
*** Party (First Part) ***


Ehm… Ehm… Eh… Uhm…Cominciamo dai convenevoli… ciao! Come va? Ah! Ok, no, uhm .questo approccio non va bene, sento già l’eco dell’orda inferocita… Eheh… Ebbene… comincerei col dirvi che… che… se mi uccidete non potrete leggere il seguito! Sono furba io, eh? xD
Mi dispiace così tanto! Mi sento uno schifo, questo è stato senz’altro il ritardo più lungo che io abbia mai fatto, non…non trovo le parole per insultarmi! Se avrete ancora voglia di leggere questo capitolo e di ascoltare le mie patetiche giustificazioni, mi trovate giù :(

 
 



 
 
 
Hermione aveva immaginato tante volte come dire a Harry o a Ron la verità.
 
Ci aveva pensato così tanto che era rimasta sveglia intere notti, in preda all’insonnia, riflettendo su quelle parole che non sembravano mai essere giuste o adatte da dire. Ci aveva riflettuto così costantemente che spesso Ginny l’aveva sorpresa con gli occhi sospesi nel vuoto, fissi su una qualsiasi nuda parete all’interno del castello, talmente concentrati da non vedere niente, neppure ciò che veniva posto loro davanti.
 
Hermione aveva immaginato tante volte come dire a Harry e a Ron la verità.
 
Mille ipotesi e possibili soluzioni si erano srotolate nella sua testa in quel lungo periodo, ma mai nessuna sembrava essere adeguata alla situazione; aveva provato più e più volte a creare discorsi, ma tutto quello che era venuto fuori erano una serie di frasi sconnesse, che prevedevano per lo più borbottii e mugugni.
 
Hermione aveva immaginato tante volte come dire a Harry e a Ron la verità.
 
Ma mai aveva immaginato questo.
Mai avrebbe potuto prevedere la comparsa di Ron durante la sua discussione con Draco, il suo viso stravolto e confuso, gli occhi pieni di delusione. Non avrebbe neppure potuto mai pensare che Harry lo venisse a sapere da qualcun altro.
 
Mai.
 
Eppure, per quanto la sua mente non fosse stata in grado di vedere così lontano, quelle situazioni assurde si erano avverate e lo sguardo che in quell’istante Harry le stava lanciando era la prova di come le cose fossero precipitate, scivolandole di mano, senza che avesse avuto la forza di frenarle.
- Harry, ascolta… – mormorò Ginny.
- Ah già. – la interruppe il Grifondoro, socchiudendo gli occhi. – Lavanda ha anche detto che tu eri a conoscenza di tutto quanto.
Un terrificante gelo impregnò le ossa di Ginny, dandole la spiacevole e dolorosa impressione di essere immersa in una vasca di acqua ghiacciata.
- I-io... – borbottò la rossa.
- N-noi… – borbottò nello stesso istante la riccia.
Quei balbettii s’interruppero all’istante quando l’espressione di Harry mutò: le labbra si serrarono con forza, curvandosi poi in modo impercettibile in un sorriso divertito, che, le due ragazze, troppo scosse, non intravidero neanche.
- Voi?
- Harry, non voglio che tu pensi che…
Quello che Hermione voleva dire, non lo pronunciò mai. In quell’esatto istante il Grifondoro scoppiò in una fragorosa risata, sotto lo sguardo sconcertato delle due ragazze. Rise in modo così sincero e spontaneo che se Hermione s’impietrì di fronte alla sua reazione incomprensibile, Ginny non riuscì a non sciogliersi di fronte al suo sorriso, nonostante sapesse quanto fosse delicata la situazione.
- Per Merlino! Dovreste vedere le vostre facce! – esclamò Harry, continuando a ridere. La Caposcuola inarcò le sopracciglia, chiedendosi se il suo migliore amico stesse bene, quasi tentata di poggiargli una mano sulla fronte per accettarsi delle sue condizioni di salute.
- Harry?
- Dovreste vedervi! Le… le vostre espressioni quando ti ho chiesto se eri incinta! – riprese a ridere, colto dall’ilarità della sua logica che ancora nessuna delle due ragazze era riuscita ad afferrare.
Quando Harry si accorse che sia Hermione, sia Ginny, lo guardavano come se fosse impazzito, si ricompose, schiarendosi la voce e riaggiustandosi gli occhiali sul naso.
- Perché mi guardate in quel modo? – chiese, confuso.
- Harry, esattamente, cosa ti ha detto Lavanda?
- Uh?
- La Brown cosa ti ha detto?
- Mi ha detto che Hermione era incinta già da qualche mese e che tu… – indicò Ginny. – …eri a conoscenza del suo segreto, ma non hai detto niente a nessuno. – chiarì con naturalezza.
- Uhm…ah, e tu…
- Io non le ho creduto, è ovvio! Ma ti pare, Hermione? Come potrei credere a una cosa del genere? So bene che la Brown è invidiosa di te e farebbe di tutto per screditarti.
Hermione spalancò gli occhi e smise di respirare, il pesante macigno che diventava sempre più pressante.
Harry si alzò dal divano.
- Andiamo, Herm! – ridacchiò. – Non crederei mai a una diceria del genere.
- Harry… – sussurrò la ragazza.
- Non so come una cosa simile sia venuta in mente alla Brown, ma so che sta mentendo, non devi preoccuparti.
- Ah…
- E poi insomma… So che tu e Ron non avete mai… mai… mai… insomma su… hai capito, no? – Harry si grattò la nuca, in imbarazzo, arrossendo per il timore di essere stato eccessivamente invadente. Hermione lo fissò ancora con uno sguardo immensamente triste: anche Harry, come Ginny prima di lui, aveva subito ipotizzato che Ron sarebbe stato il padre, se lei fosse stata in dolce attesa.
- Quando ti ho chiesto se eri incinta, non intendevo sul serio! Non ho creduto alla Brown neanche per un secondo, stavo solo scherzando. – le rassicurò. – Le vostre facce erano così buffe!
- Stavi… stavi solo scherzando. – sussurrò Ginny, mentre il gelo dentro di sé si trasformava in lava bollente.
L’espressione di Harry si addolcì.
- Siete le donne più importanti della mia vita, non dubiterei mai di voi. – concluse, accarezzando teneramente la guancia della giovane Weasley. – Dai, andiamo a chiamare Ron, ho una fame. – propose infine, già pronto ad andarsene.
Se non fosse stato per la mano di Ginny che stringeva la sua fino a bloccarle la circolazione, Hermione non sarebbe mai riemersa da quella sorta di limbo dentro cui annaspava; se non fosse stato per il suo sguardo implorante, probabilmente non sarebbe neppure riuscita a prender fiato; se non fosse stato per necessità, per quella bugia ormai protratta per troppo tempo, per quella verità che premeva per venir fuori, non una parola sarebbe fuoriuscita dalle labbra di Hermione, neppure il più fragile sospiro.
- Aspetta! – la sua stessa voce le parve irriconoscibile, così lontana da provenire da un’altra stanza.
Se non fosse stato per lo sguardo di Harry, neanche allora avrebbe parlato. Se non fosse stato per i suoi occhi che l’aveva guardata con affetto, fiducia e amore fraterno, il richiamo le sarebbe morto in gola e non avrebbe neanche tentato di forzare le proprie corde vocali.
 
Hermione aveva immaginato tante volte di come dire a Harry o Ron la verità.
 
Ma mai avrebbe immaginato di dover pronunciare quelle parole.
- Quello che ti ha detto Lavanda non era una bugia.
 
 

 
 
- Pss, Daphne!
- Mh?
- Daphne!
- Mh?
- E guardami, per Salazar! – Pansy tentò di strappare il libro dalle mani della bionda, guadagnandosi soltanto un’occhiata assassina e una fattura Orcovolante che riuscì a schivare per mezzo secondo. Daphne si risistemò meglio contro il tronco dell’albero al quale era appoggiata, rituffando la testa e i pensieri nel libro che aveva tra le mani, non curandosi della ragazza di fronte a lei che aveva assunto un’espressione omicida, profondamente offesa per il suo incantesimo d’attacco.
- Come osi?! – sbraitò per l’appunto la Serpeverde.
- Sto cercando di studiare, Pansy. – mormorò, senza prendersi il disturbo di giustificarsi ulteriormente.
- Sei proprio antipatica. – borbottò Pansy, imbronciata, controllandosi intanto che i capelli fossero tutti al loro posto. Se per caso Daphne, con la sua fattura, glieli avesse rovinati, fosse solo stato anche in minima parte, l’avrebbe schiantata contro quel maledetto albero sotto al quale si era sistemata da parecchie ore.
- Pansy, non disturbarmi, devo studiare. – ripeté la bionda, mentre sfogliava distrattamente un paio di pagine del libro.
- Ma è la vigilia di Natale! Stasera c’è anche il ballo! Come puoi anche solo pensare di studiare in un giorno simile?
- Pansy, io non ci vengo al ballo. – borbottò, aspettandosi tutta la sequela di prediche, che, ne era certa, si sarebbe scaturita da quella semplice affermazione.
- Eh? – chiese la mora dopo qualche secondo.
- Io non vengo alla festa. – ripeté a voce più alta.
Pansy la fissò stralunata.
- Eh?
- Pansy, maledizione! Quale parte di “io non vengo alla festa” non ti è chiara?
- TU NON VIENI? – scoppiò alla fine l’amica, capendo di aver sentito bene.
Daphne sospirò, alzando gli occhi al cielo. Sapeva che quella pazza psicopatica di Pansy avrebbe reagito in quel modo, si era quindi premunita per l’evenienza e aveva stilato una lista di giustificazioni e scuse per non doversi recare alla festa, con le quali sarebbe riuscita a convincerla.
- No, non mi è possibile, mi dispiace. – girò un’altra pagina del libro, sistemandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio.
- Ma… perché? Non puoi non venire!
- Ho detto di no, mi dispiace.
- No, Daphne! Non puoi fare così! Chiuderti in te stessa e lasciare tutto il mondo fuori, chiaro?
Daphne la fissò, alzando finalmente lo sguardo da quel libro che Pansy avrebbe tanto voluto bruciare.
- Non ho un vestito. – mentì.
Questa era una grandissima calderonata. Aveva l’armadio e il baule pieno di vestiti della stoffa più pregiata che si potesse trovare, dal più elegante al più informale, tutti comprati e fatti fare su misura da sua madre; nessuno di questi aveva mai visto la luce del sole, ovviamente.  
- Ah. – borbottò Pansy, leggermente scettica. Aveva certamente notato la particolare avversione di Daphne per i vestiti, ma non era così stupida da credere a una simile scusa. – Non importa, te lo presto io! – dichiarò.
A queste parole Daphne saettò gli occhi verso di lei, guardandola stralunata. Se c’era una cosa che si apprendeva non appena si conosceva Pansy, a parte la sua indole leggermente subdola, era il fatto che mai, mai, avrebbe fatto anche solo sfiorare i propri vestiti a qualcuno.
- Uhm. – tentennò, presa alla sprovvista. – …in questo periodo sono ingrassata, non mi starebbe mai un tuo vestito.
- Ma se sei più magra di me! – replicò Pansy, ostinata.
- Appunto! Sono troppo magra, quindi il tuo vestito non mi va di sicuro.
- Ma hai appena detto che sei ingrassata!
- Sì, infatti! Sono ingrassata, ma sono comunque troppo magra per mettermi un tuo vestito. – chiarì Daphne con una logica che a lei parve assolutamente impeccabile.
- Non è un problema, lo aggiusterò alle tue misure entro stasera.
Non sapendo più come ribattere, Daphne ripassò mentalmente la lista che si era preparata proprio per evitare una situazione di tal genere. 
- Pansy, non ce n’è bisogno, e poi devo fare le valigie per tornare a casa e non ho proprio tempo…
- Ti aiuterò io!
- …inoltre non mi sento neanche tanto bene, ho un forte mal di testa e se stasera uscissi potrebbe venirmi la febbre, che poi attaccherei anche a te e…
- Conosco un incantesimo per il mal di testa!
- …oltretutto devo prendere anche un mucchio di libri dalla biblioteca, che non sono sicura di trovare e sarebbe davvero un problema se non li trovassi…
- Li prenderai dopo le vacanze, cosa ti cambia?
- …e poi… e poi… B-blaise! – esclamò Daphne, paralizzandosi.
L’amica inclinò la testa di lato.
- Non vieni alla festa per Blaise?
- Ma no! – sbottò, scontrosa. – Blaise sta venendo qui!
Pansy si voltò con calma, facendo un piccolo ghigno non appena scorse l’amico dirigersi verso la loro direzione.
- Lo so. – confessò, una volta riportato lo sguardo su Daphne.
- Io me ne vado. – proferì la bionda, chiudendo il libro di scatto e alzandosi in piedi, troppo agitata anche solo per inveire contro Pansy.
- No! E’ venuto per te! È tutta la settimana che tenta di avvicinarti, non vanificare i suoi sforzi!
- Pansy, non…
- Magari vuol chiederti di andare alla festa con lui!
Le guance di Daphne arrossirono come bucce di mele mature.
- Ma certo, come se non sapessi che…
- Oh-oh è arrivato. – la interruppe. – Bene, vi lascio un po’ di privacy. A dopo! – la mora si defilò in modo fulmineo, più velocemente di quanto avesse mai fatto in vita sua.
Daphne, dopo aver scoccato un’occhiataccia alla figura di Pansy che si allontanava, fece finta (per quanto possibile) di non aver visto il compagno di casa e si risedette contro il tronco, immergendo completamente la testa nel libro. Evidentemente il suo piano non doveva essere molto ben costruito perché, qualche secondo dopo, l’ombra del ragazzo entrò nella sua visuale: Daphne non ebbe certo bisogno di alzare lo sguardo per capire a chi appartenesse. Nonostante tutto non staccò mai gli occhi da quelle righe, delle quali non ne aveva letta neanche mezza. Pregò che la terra si aprisse in quell’esatto momento e la inghiottisse, desiderando scomparire e dissolversi come una nuvola di vapore.
- Da, lo so che mi hai visto.
Sentire il soprannome che le era stato affibbiato non la infastidì come al solito, anzi le fece quasi piacere.
Lentamente, come se si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza, abbassò il pesante tomo, fissando il Serpeverde negli occhi. Averlo così vicino la sconvolse non poco, anche se non lo diede a vedere: erano settimane che non si parlavano più; a parte per qualche monosillabo di circostanza non si erano mai più avvicinati da quando Daphne gli aveva tirato lo schiaffo. Non lo avrebbe mai ammesso, ma in fondo il suo amico le era mancato ed ora che si presentava lì, davanti a lei, con il solito sguardo di sempre, non riuscì a reprimere un sorriso sincero.
- Ciao. – sussurrò Blaise.
- Mh. – borbottò Daphne, ritirando le labbra in una linea rigida, testarda a mantenere un’espressione neutra per tutto il tempo.
- Come stai?
- Ok.
Blaise sospirò sedendosi vicino a Daphne e guardandola mentre lei immergeva nuovamente la testa nel gigantesco librone. Con uno sbuffo si allungò e glielo prese dalle mani, senza che la ragazza opponesse resistenza. Fin troppo docilmente la Serpeverde lasciò che il testo le scivolasse via dalle dita, spostando poi gli occhi ovunque ce ne fosse la possibilità.
- Ascolta, Da, io… C’è qualcosa che non va? – borbottò impacciato, non sapendo neanche lui cosa chiedere in realtà. – Hai…qualche problema con me? Sono giorni che mi eviti, se ho fatto qualcosa di sbagliato, io…
- No.
- No, non hai nessun problema, o no, non ho fatto nulla di sbagliato?
Daphne tornò a fissarlo e alzando semplicemente le spalle, rispose:
- No. – l’ennesimo monosillabo.
- Daphne, smettila di rispondere a monosillabi! È irritante!
- E allora perché non te ne vai?
Il lampo di delusione che vide passare negli occhi di Blaise a quelle parole, non lo avrebbe mai più dimenticato.
- Perché volevo chiederti una cosa.
 
Magari vuol chiederti di andare alla festa con lui!
 
Le parole di Pansy furono sufficienti a farle attorcigliare lo stomaco.
- Una cosa?
- Beh… Forse tu dirai di no, ma io… – il cuore della ragazza cominciò a battere furiosamente e quando incontrò gli occhi blu di Blaise, galoppò in modo ancor più frenetico.
- Allora? – lo incitò.
- Sai, è da un po’ che ci penso e…
Il respiro di Daphne si fece leggermente più veloce, carico di aspettativa e speranza, ma si impose di restare calma e non far vedere quanto in realtà fosse agitata.
- Il fatto è che… Voglio chiedertelo ora, altrimenti me ne pentirò di sicuro!
Gli occhi di Daphne, che non stavano neanche più fissando Blaise, si persero nella loro stessa immaginazione, a come Pansy l’avrebbe presa in giro quando avrebbe saputo che sarebbe andata alla festa con Blaise, a come Draco forse le avrebbe sorriso con lo sguardo, a come tutti li avrebbero fissati, cosa che lei non sopportava, ma che avrebbe potuto tollerare con Blaise accanto a lei…
- Per caso…
- Sì? – chiese infine impaziente.
- Hai qualche malattia?
Il cuore perse un battito, il fragile barlume di speranza appena nato cadde a terra frantumandosi in mille pezzi, le mani smisero di torturare le proprie dita; fissò Blaise con uno sguardo stralunato. Il film, che si accorse essere solo mentale, sfumò e si sfracellò come un fragile castello di carte.
- Eh?
- No, sai, hanno notato tutti che ultimamente sei di cattivo umore e gli studenti parlottano un po’ e… Appunto l’altro giorno ho sentito dire da Eleanor che avevi una qualche malattia complessa e particolare che…
Tutti i pensieri buoni che aveva avuto nei confronti di Blaise morirono in quell’esatto istante e negli occhi di Daphne al posto della confusione subentrò la furia.
- Chi Salazar sarebbe Eleanor? – sbottò irritata e furiosa del fatto che la gente parlasse alle sue spalle e soprattutto per quella domanda davvero orribile che il ragazzo aveva osato porle.
- Eleanor Branstone, una ragazza di Corvonero. Lei dice che sei sempre di malumore perché…
- E tu credi alle stronzate che racconta quella stupida?
Blaise arricciò il naso.
- Non è stupida, anzi è molto intelligente, non per nulla è finita a Corvonero. – ci tenne a specificare. – E poi non le ho creduto, infatti sono qui per chiederti conferma.
- E tu come fai a conoscerla?
- Ci sono uscito qualche volta l’anno scorso, ma…
- Tu hai fatto COSA? – sbraitò Daphne alzandosi in piedi. Sapeva bene di star facendo una scenata e di non averne nessun diritto, eppure sentiva anche la rabbia crescere e lei non era mai stata brava a contenerla o a nasconderla.
- Daphne, ma si può sapere cos’hai? Qualsiasi cosa io dica ti arrabbi! – sbottò l’amico. – Non so più cosa fare con te! Ogni volta che provo ad avvicinarmi, mi spingi via! Sei una bambina!
- Tu sei un idiota, Blaise.
Il Serpeverde a quel punto scoppiò. I suoi occhi divennero duri, il volto assunse un’espressione piena di rabbia, un’espressione irata che stonava sul suo viso, sempre contraddistinto da un sorriso dolce e genuino.
- Basta, Daphne, basta! Qui tra noi due, l’idiota non sono io.
Se la Serpeverde aveva l’intenzione di rispondergli, non riuscì a farlo; Blaise si alzò a sua volta, sovrastandola in altezza e costringendola a inclinare la testa per poterlo guardare negli occhi.
- Non scaricare i tuoi problemi su di me! Ero venuto qui per parlarti, per chiarire, ma mi sembra che sia impossibile!
- Te lo ripeto, allora, dato che tu non sei mai stato un granché nel comprendere le cose al primo colpo. – sibilò la ragazza, rivestendosi di una corazza spessa e dura quanto quella di un serpente. – Perché non te ne vai?
Lo sguardo di Blaise s’impregnò di un misto di delusione e rancore.
- Non so cosa tu abbia, Daphne e non m’interessa neanche saperlo. So soltanto che non ti riconosco più.
Quelle parole crudeli s’insinuarono tra i pensieri di Daphne, costringendo la sua mente a concentrarsi su ciò che aveva detto, senza via di scampo. Le fecero paura. Tanta paura da farle perdere un battito del cuore, abbassare lo sguardo non riuscendo a sostenere quello di Blaise, da pentirsi di come lo aveva trattato.
Allo stesso tempo le fecero rabbia.
 
Ma chi sei tu, eh?
 
Chi sei tu per farmi stare tanto male? Per ferirmi così in profondità?
 
- Vai via, Blaise. – bisbigliò.
- Lo farò, Daphne. Tranquilla. – replicò duramente. – Forse è meglio se torniamo ai discorsi monosillabi. – aggiunse poi, già pronto per andarsene.
- Giusto. – rispose lei.
Il ragazzo la fissò, a metà tra il deluso e l’amareggiato.
- Scusa, erano due sillabe. Ho sbagliato. – con quelle ultime parole, Daphne riprese il suo libro e si allontanò più in fretta possibile dal suo ormai ex-amico.
 
Lontana da lui, lontana dal cuore.
 
Se solo si fosse voltata indietro avrebbe visto gli occhi di Blaise riempirsi di tristezza; forse se avesse scorto quell’amarezza tanto profonda, sarebbe tornata sui suoi passi. Ma non la vide.
Fu proprio questo il problema.
 


 
- Scusa Hermione! Scusami, davvero, non volevo! – continuò a ripetere Luna, anche se la Grifondoro non la stava minimamente ascoltando.
- Io volevo catturare un Nargillo, ma ho sbagliato incantesimo, mi dispiace!
Hermione si strizzò i riccioli bagnati, increspati e scarmigliati dall’acqua.
- Non importa, Luna. – dove trovò la forse di risponderle non lo seppe neppure lei.
Prendendo la bacchetta pronunciò un incantesimo che asciugò i suoi abiti in un attimo. I suoi capelli si gonfiarono come un grosso palloncino, assomigliando più ad una matassa di qualcosa di non-ben-identificato, piuttosto che a una regolare chioma castana.
- Mi dispiace così tanto! Il Nargillo era sopra la tua testa, volevo scacciarlo e invece ti ho bagnata, scusami!
- Davvero, Luna… Non… importa.
 

- Non importa, Harry.
- Non importa? Non importa?! Io ti ho chiesto chi è il padre e tu mi dici che non importa?
- Non è questa la cosa più importante! – rispose Hermione con voce disperata.
 

- Stai bene, Hermione? Ti vedo un po’ sciupata.
- Certo. – rispose, sforzando le labbra in un sorriso finto fino all’inverosimile, ma che la Corvonero parve gradire lo stesso. – Ho solo… avuto un litigio con un amico. – bisbigliò.
- Tranquilla Hermione, se è un vero amico, ti perdonerà. – rispose Luna con scattante ovvietà e una genuinità senza pari.
La testa della Grifondoro si mosse in avanti per annuire, ma le sue labbra pronunciarono qualcosa che la sua mente rifiutava e che il suo cuore temeva.
- No, non credo.
 

- Stai scherzando, Hermione?
Possibile che tutti pensassero ad uno scherzo? Perché le cose dovevano essere rese ancor più complicate di quanto non fossero già?
- No, Harry.
Quante volte aveva immaginato la sua reazione, quante volte la sua mente aveva vorticato sulla possibile espressione che avrebbe assunto il suo viso, sulla possibile tonalità ci cui si sarebbero tinti i suoi occhi verdi, su ciò che avrebbe detto, fatto. Tantissime volte si era abbandonata a quei pensieri riflessivi e dolorosi e solo allora Hermione si rese conto di quanto avesse sbagliato. Tutto quel tempo sprecato a pensare a come confessare il suo segreto, avrebbe dovuto impiegarlo per racimolare il suo coraggio, sparito chissà dove, e guardare i suoi amici in faccia fin da subito, rivelando loro la verità.
Neanche lontanamente i suoi pensieri si erano avvicinati a quello che da lì a poco sarebbe accaduto.
 

- Cos’è accaduto Hermione?
La Grifondoro le lanciò uno sguardo dispiaciuto, per poi distogliere gli occhi.
- Scusa, Luna, ma non voglio parlarne. – lo mormorò a voce tanto bassa, che la Corvonero non sentì.
- Ho notato che negli ultimi tempi sei stata un po’ distante da tutti, soprattutto da Ron. Però ho anche notato che qualche giorno fa vi siete riavvicinati!
- No, non si tratta di Ron.
 

- Non è Ron il padre, non si tratta di lui. – mormorò dopo poco, cercando di cogliere mutamenti nella sua espressione. Non ve ne trovò. Harry aveva già intuito che non potesse essere Ron il padre, sia perché se tra l’amico e Hermione fosse successo qualcosa, l’avrebbe sicuramente saputo, sia perché aveva notato l’espressione restia della sua migliore amica a parlare di quell’argomento delicato. No. Non poteva essere Ron, nonostante fosse l’ipotesi più plausibile.
Harry si passò una mano sulla fronte, mentre Hermione analizzava tutti i suoi movimenti, le dita ancora strettamente legate a quelle di Ginny, in una presa ferrea, eccessiva quasi, ma che le permetteva di continuare a parlare.
- È Malfoy. – rispose la ragazza, anticipando la sua domanda.
 

- Allora hai litigato con Malfoy! – Luna continuò ad andare avanti con le sue supposizioni, mentre Hermione trovava a malapena la forza per rispondere. Normalmente non avrebbe permesso a qualcuno di immischiarsi in quel modo dei suoi problemi personali, ma Luna era una persona buona e nel suo sguardo leggeva soltanto il desiderio di aiutarla, capirla e questo la fece stare un po’ meglio. Man mano che rispondeva, anche se spesso erano monosillabi piuttosto che frasi intere, sentiva un peso andare via dal petto, diminuire d’intensità. Anche se il macigno non si spostava.
- Non devi dare ascolto alle cattiverie di Malfoy, Hermione, il sangue non conta. Tu resterai sempre la strega più abile e intelligente di tutta la scuola.
Hermione apprezzò il gesto che Luna stava facendo, tentando di rassicurarla con le parole, ma non la confortò.
Harry. Soltanto Harry avrebbe potuto far andare via quel peso che premeva sul cuore, lo sapeva. Così come sapeva che lui non era ancora pronto a salvarla.
La ragazza fissò la parete che si estendeva al di là della chioma bionda di Luna e ne esaminò tutte le sfaccettature, come in quei giorni aveva fatto sempre più spesso. I muri della scuola sembravano di un colore più vivace del solito o forse erano semplicemente gli addobbi natalizi che conferivano loro un colorito meno tetro. Per un attimo rifletté su come fosse stata decorata la Sala Grande in vista della festa di Natale, che si sarebbe tenuta quella sera stessa. Non un’emozione scalfì il suo petto al pensiero del ballo imminente, tanto atteso da tutti gli studenti di Hogwarts. Non un battito smuoveva il suo cuore, perennemente fermo nella sua posizione, tanto che a volte la ragazza si preoccupava di non sentirlo rimbombare nel petto come prima. Non una luce illuminava la sua figura, stanca e sciupata, ormai divenuta un’ombra di ciò che era in precedenza.
 
Hermione non provava più niente.
 
Non da quella sera almeno.
Non da quando aveva perso il migliore amico che la vita avesse mai saputo donarle.

 
- Harry io…
- No, Hermione no! Non dirmi altro per favore, non ce la faccio ad assimilare tutto insieme! – prima che la ragazza potesse ribattere, il Grifondoro aggiunse, con una punta di disprezzo. – Malfoy, Hermione? La stessa persona che per anni ti ha umiliata e insultata, come se fossi spazzatura? Voi due vi detestate!
- Io non lo odio, Harry, non più. – rispose la ragazza con voce più sicura di prima. Se c’era una cosa di cui era certa, era che non odiava Draco, non avrebbe mai potuto. E come poteva, se ogni volta che lo guardava il sentimento che predominava sempre sugli altri era l’amore incontrollato che non riusciva mai a reprimere? E come poteva quando vedeva le due facce di lui, quando riusciva a vedere l’altro Malfoy?
- Dopo tutto quello che ti ha fatto, che ci ha fatto… non avresti neanche dovuto permettergli di avvicinarsi a te! – esclamò, incollerito, chiedendosi cosa Merlino fosse passato per la testa alla sua migliore amica. – Mi spieghi cosa è successo, Hermione, per Godric?!
Non le avevano mai posto quella domanda, né Ron, probabilmente troppo scosso e amareggiato per doversi sorbire ulteriori particolari, né Ginny, che temeva di poterla ferire in qualche modo, ma alla quale alla fine aveva raccontato tutto ugualmente, sapendo di potersi fidare di lei come di nessun altro.
Con Harry sapeva che non sarebbe stato tutto così facile,  che non avrebbe potuto accantonare quella domanda e passare oltre. Harry la costringeva a rimettere in gioco le sue scelte, la obbligava a farla parlare, anche solo guardandola, perché i suoi occhi verdi erano pieni di affetto e fiducia e Hermione non aveva il diritto di infrangerla, di sporcare quella sincerità. E l’unico modo per dimostrare a se stessa di essere in grado di fidarsi e di dare altrettanto affetto in cambio, era semplicemente quello di raccontare quella parte di sé che aveva sempre celato fino a reprimerla.
Harry era la sua esecuzione, era l’ultimo tassello di un puzzle da ricomporre prima di poter finalmente uscire allo scoperto. Senza di lui, tutto sarebbe crollato sfracellandosi in mille pezzi, impossibili da ricomporre. Lui rappresentava la strada contorta che doveva attraversare prima di raggiungere il perdono per le colpe del suo cuore, per le bugie protratte troppo a lungo. Per questo in quel momento parlò. Come non aveva fatto con nessun altro, come non aveva fatto con Ron, come non aveva fatto neanche con Ginny. Parlò finalmente senza remore, senza freni: le parole uscivano, mentre altre velocemente prendevano il loro posto, per formare frasi e frasi intere, alcune senza senso, altre con significati addirittura troppo profondi.
Hermione non ricorda esattamente cosa successe in quel momento. Sa solo che ogni cosa nel suo cuore – la paura, il senso di colpa, la tristezza, la malinconia, il dolore – scivolarono via lasciando solo una scatola vuota. Sa solo che la scatola vuota che era divenuta il suo corpo, lasciò andare anche l’ultima parte di lucidità che le era rimasta, raccontando anche cose che forse avrebbe fatto meglio a tacere, non più in grado di fermarsi. Non era più Hermione a parlare, era solo una spettatrice di quel corpo vuoto che metteva insieme parole, fino a formare frasi e periodi. Le sembrò di vivere la situazione dall’esterno, si vide mentre raccontava tutto ciò che poteva a Harry, mentre forniva le spiegazioni e allo stesso tempo compiva la sua assoluzione.
 
Allo stesso tempo Hermione si stava perdonando.
 
Un perdono a cui agognava per poter finalmente riportare la serenità nel suo cuore e tutto ciò che le era mancato fino a quel momento. Quando il discorso finì, quando le parole cominciarono a mancare, ad affievolirsi, l’aria si fece più densa, così densa da poterla tagliare con un coltello. Magicamente Hermione ritornò in possesso delle proprie facoltà mentali, si rese conto di ciò che aveva confessato, anche di quei dettagli intimi probabilmente non richiesti, anche di tutto quel tormento che aveva giurato di non rivelare mai per non far preoccupare nessuno, persino del modo in cui Ron aveva scoperto della sua gravidanza e delle parole che si erano scambiati. Fortunatamente non aveva raccontato della visione di Draco che piangeva un anno fa, mantenendo così quella promessa che aveva fatto a se stessa, di non rivelare mai a nessuno l’esistenza dell’altra parte di lui, dell’altro Malfoy.
 
Draco.
 
Alzò lo sguardo, cercò Harry, lo vide immobile nella stessa identica posizione di quando aveva cominciato a parlare: non sembrava neanche più lui, ma una statua di granito, con lo sguardo freddo, inespressivo, o forse semplicemente ancora troppo incredulo e sorpreso per mostrare una qualsiasi espressione.
Ginny non chiese niente. Non ebbe neanche lei il coraggio di aprire bocca, vedendo il viso di Harry pieno di sconcerto. Entrambe le ragazze aspettavano che parlasse, Hermione attendeva la sua condanna, Ginny temeva la sua reazione. Il ragazzo non disse nulla di ciò che le due Grifondoro si sarebbero aspettate: si limitò a porre un'unica domanda.
- Da quanto tempo?
Nessuna risposta sarebbe stata corretta. Hermione avrebbe potuto rispondere che era incinta da tre mesi, ma sapeva che Harry voleva sapere da quanto tempo tutto era cambiato. Da quanto tempo era cominciata quella piccola bugia, poi sfociata in qualcosa di troppo grande per poter essere ancora nascosta.
- Da un anno, più o meno. Provo qualcosa per lui da… un anno.
Harry deglutì, distogliendo improvvisamente lo sguardo.
- Sono incinta da più di tre mesi.
Se prima Hermione non ricorda bene cosa sia successo, sa invece benissimo cosa vide in quell’istante, ricorda tutto. Tutto quanto, anche quello che non vorrebbe rivivere mai.
Lo sguardo curioso e attento di Ginny, alle sue parole contorte mai rivelate prima a nessuno, lo sguardo spaesato di Ron, appena giunto lì con loro, che cercava di comprendere quel discorso sconclusionato, lo sguardo di Harry… Merlino, lo sguardo di Harry.
Ciò che di più brutto da vedere ci possa essere al mondo era impresso nei suoi occhi, era intriso nel suo sguardo.
 
Delusione.
 
- Sei incinta da più di tre mesi… e non mi avevi mai detto niente?
Una delusione così forte, così lacerante che sembrava sconvolgere persino lui; i suoi occhi erano talmente stupiti di quel fatto, talmente increduli che Hermione avesse compiuto un gesto del genere, che riuscivano a ferirla come un’arma letale, senza che Harry sussurrasse la minima parola.
 
Delusione.
 
Quando Hermione scosse la testa, nello sguardo di Harry un lampo di puro dolore, che non ebbe la forza di nascondere, offuscò le sue iridi chiare.
- Harry, io… posso spiegare. – borbottò, dicendo la prima cosa che le venne in mente.
- Ma davvero? – replicò il Grifondoro, acidamente. – Sentiamo cosa hai da dirmi allora.
Hermione aprì e richiuse la bocca più volte. Non aveva la minima idea di cosa fare, i discorsi che si era preparata per prevenire quel momento erano scomparsi dalla sua testa, o, più probabilmente, non erano mai stati neanche presente. Sospirò pesantemente, chiedendosi come fosse possibile che non riuscisse a pronunciare una singola parola. Cosa si dice in casi del genere? Che le dispiaceva, che non avrebbe mai voluto farlo soffrire? Che gli voleva bene, che per lei era come un fratello e aveva sbagliato a non dirgli niente, a non fidarsi di lui?
- Tu lo sapevi?
Hermione trasalì, prima di accorgersi che Harry non si stava rivolgendo a lei. Parlava con Ginny. La mano della rossa la stritolò nella sua presa, il respiro della sua migliore amica si fece più veloce, Hermione percepì il suo cuore battere più forte.
- Sì.
Lo mormorò tanto flebilmente, che a malapena la Caposcuola lo sentì; ma Harry doveva aver udito perché l’ennesimo colpo di sofferenza sembrò trapassarlo da parte a parte, colpito proprio nel punto in cui avrebbe fatto più male. Quella semplice sillaba, comprese Hermione, fu una vera e propria tossina per lui. Fu un veleno terribilmente urticante iniettato dal morso del più crudele dei serpenti.
- Come hai potuto, Hermione? – chiese, Harry, afflosciando le spalle, sentendosi improvvisamente a pezzi. – Come hai potuto nascondermelo?
 
Non lo so, Harry. Non lo so.
 
- Io ti voglio bene, Harry. Tu per me sei mio fratello, non volevo farti soffrire. – non seppe perché pronunciò quelle parole, seppe solo che doveva farlo. Forse sbagliò, forse no. L’unica cosa che aveva importanza in quel momento era non vedere più la sofferenza che riempiva i suoi occhi verdi.
- Allora perché non ti sei fidata di me, Hermione, perché?
- Io mi fido di te, Harry! Ma…
- Ma cosa, Hermione? Più di tre mesi! Tre mesi!
- Avevo paura che mi giudicassi. – rispose, abbassando gli occhi, non riuscendo più a sostenere il suo sguardo. – E che… mi allontanassi.
- Come hai potuto pensare una cosa simile? Davvero hai creduto che potessi farti una cosa del genere?
- No, ma…
- Sei la mia migliore amica, Hermione! Io…io ti sarei stato accanto! Come hai potuto anche solo pensare che ti avrei abbandonata? Ma che razza di persona credi che io sia?! – il tono aumentava, il timbro cresceva, le parole erano più forti, la rabbia era più grande.
 
Delusione.
 
- Ho sbagliato, lo so.
- Sono il tuo migliore amico, Hermione! O almeno… credevo di esserlo.
- Lo sei, Harry! Lo sei! Ti voglio un bene dell’anima e…
- Ed è così che lo dimostri, Hermione? Da Lavanda Brown! Ho dovuto sapere che eri incinta da Lavanda Brown, dopo più di tre mesi!
 
Delusione.
 
A quelle parole Hermione non seppe più ribattere. Cosa poteva dire, d’altronde, sennonché era a conoscenza del suo errore, sennonché in quel momento rimpiangeva tutte le volte che lo aveva guardato e gli aveva mentito, che avrebbe fatto di tutto per tornare indietro e non arrivare a quel punto di non ritorno?
Poi quelle parole. Quelle parole che aveva sempre temuto sentir pronunciare da Ginny, da Ron, da Draco o da chiunque altro.
- Mi hai deluso.
 
Mostro.
 
- Harry, forse sei un po’ troppo duro… – mormorò Ron.
- Non dire nulla, Ron. So che lo pensi anche tu. – replicò interrompendolo, ma rispondendo senza cattiveria, dicendo semplicemente la verità.
Rivolse di nuovo lo sguardo verso le due ragazze e di nuovo sentì quel malessere, quell’ondata di delusione, scaturito da tutte le parole che Hermione aveva rivelato. Di tutte quelle parole dette e non dette, di tutte quelle verità appena pronunciate, era stata una, che lo aveva praticamente affondato. Era stata una piccola sillaba a dargli la stoccata finale, a spingerlo definitivamente contro il burrone che lo stava inghiottendo, a dargli il colpo di grazia.
 
- Tu lo sapevi?
- Sì.
 
Guardare Ginny gli parve quasi doloroso.
 
Volevo chiederti una cosa, Ginny. Che cos’ha Hermione?
Non c’è motivo di preoccuparsi, Hermione sta bene.
 
Perché, Ginny? Perché anche tu?
 
Fidati di me.
 
Si era fidato. Gli aveva creduto ciecamente, senza dubitare neppure per un attimo di lei, senza riflettere se quella fosse la verità o meno.
 
Fidati di me.
 
Si era stupidamente fidato. Adesso ne pagava le conseguenze. Di nuovo quel veleno corrosivo gli inquinò il cuore, stritolandolo e frantumandolo senza alcun riguardo. Vedere gli occhi di Ginny prossimi alle lacrime, se da una parte gli fece desiderare di abbracciarla, dall’altra gli fece provare un moto di repulsione, impregnato della più cieca delusione.
- Mi hai deluso, Hermione. – ripeté con sguardo vacuo. – Ma tu, Ginny, ancora di più.
 
La stoccata finale.
 
L’esecuzione.
 
La presa delle loro mani intrecciate divenne debole, si sciolse, mentre entrambe le ragazze vedevano Harry andarsene velocemente. La mano della rossa tremò, mentre guardava l’amica. Quando Hermione notò l’espressione di Ginny ebbe un tuffo al cuore e pregò affinché non la rivedesse mai più. Perché gli occhi di Ginny erano identici a quelli di Ron, quando aveva scoperto che era incinta.
Furono la cosa più dolorosa che potesse mai vedere.
 
Il colpo di grazia.
 
 
- Sì! Gli ho dato il colpo di grazia!
Hermione si voltò di scatto verso una Luna sorridente.
- C-colpo di grazia?
- Ho eliminato il Nargillo che ti gironzolava in testa.
- Ah…
Fu a quel punto che gli occhi di Hermione colsero un dettaglio che prima le era sfuggito, troppo presa da quei ricordi che la tormentavano. Frettolosamente qualcuno stava camminando nella loro direzione e dopo qualche secondo riuscì a scorgere la figura di Daphne Greengrass, che procedeva con occhi circospetti che saettavano da ogni parte, come se stessero cercando qualcuno. Proprio quando credeva che le avrebbe oltrepassate, la sentì parlare.
- Granger. – una voce così fredda, Hermione, non ricordava di averla mai sentita, forse soltanto con Draco. – Cercavo proprio te.
- Greengrass. – mormorò stupita sia del fatto che le rivolgesse la parola, sia che non l’avesse apostrofata con qualche aggettivo poco carino.
- Devo parlarti, adesso. – chiarì la Serpeverde in tono pretenzioso e duro. – Magari senza Lunatica Lovegood e i suoi discorsi strampalati su creature che non esistono.
- I Nargilli esistono. – replicò Luna, troppo occupata a individuare le magiche creature per offendersi. Salutò Hermione, zampettando poi allegramente alle spalle di Daphne per lasciarle sole. Quando la Serpeverde fu del tutto certa che la bionda fosse sparita dal loro campo visivo, riportò il suo sguardo duro come la roccia, verso la Grifondoro. Quello che si apprestava a fare, o a dire, andava contro tutti i suoi principi morali; senza contare il fatto che se Draco l’avesse scoperto l’avrebbe uccisa con le sue stesse mani, prospettiva a dir poco non allettante.
- Volevi parlarmi, Greengrass?
- Cos’è quella faccia stupita? Non posso fare due chiacchiere con te? Devo avere il permesso, dovrei…
- No, no! Ma… Non ci siamo mai rivolte la parola, quindi sai…
Non che Daphne volesse davvero trattare male Hermione, semplicemente la sua pazienza si era esaurita durante la conversazione con Blaise, per cui la Grifondoro in quel momento era il suo perfetto capro espiatorio.
- Sarò breve, Granger, quindi ascoltami. – ribatté, non dando segno di averla sentita e appoggiandosi ad una colonna, lì vicino.
Hermione la scrutò incuriosita: non aveva mai avuto particolari scontri verbali o non con la Serpeverde, l’aveva notata, questo sì, era impossibile non accorgersi di lei. Quando era nei dintorni era capace di ammaliare tutto il genere maschile anche con un unico e semplice gesto, ed era altrettanto capace di raggelare chiunque con una sola, terrificante, occhiata. Persino in quel momento, osservandola Hermione sentì freddo. La sua figura, appoggiata alla colonna, assomigliava più ad una divinità greca, piuttosto che ad una persona in carne ed ossa: una bellezza eterea, ammaliante, ma fredda, quasi triste.
- Devi farmi un favore, Granger. – mormorò la bionda quasi sovrappensiero un attimo dopo.
- Io?
Daphne Greengrass, l’algida Serpeverde e fiera Purosangue, le aveva davvero detto che aveva bisogno di un favore?
Hermione la vide armeggiare con la tasca della gonna della divisa scolastica, per poi tirare fuori una busta bianca, del tutto spiegazzata. Daphne guardò l’altra ragazza negli occhi, con una punta d’indecisione; aveva bisogno di una conferma.
- Provi qualcosa per Draco, Granger? – chiese, ben sapendo di trovarla impreparata. Fu talmente spontanea quella domanda che Hermione non si prese neanche la briga di provare a non sembrare scossa. Il significato stesso della domanda poi, la scombussolò ancora di più.
- C-che?
- Uff, mi tocca pure ripetere. Ho chiesto “provi qualcosa per Draco, Granger?”
Perché Daphne le rivolse quella domanda, Hermione non lo capì mai. Sa solo che riuscì a risponderle dopo un lieve boccheggiare e un tremito incontrollato alle mani.
- Ma che domanda è?! No! Assolutamente, no! – rispose, veementemente, pregando Godric di non essere arrossita.
- Mh. – borbottò la bionda, guardandola benevola. – Ok, mi hai convinto.
A quelle parole le fece cenno di posizionarsi al suo fianco e quando Hermione fu abbastanza vicina, le porse la lettera che aveva rigirato tra le dita fino a quel momento.
- Lo sai che Draco frequenta babbanologia?
Se Hermione fu sorpresa di quella domanda, non lo diede a vedere, probabilmente perché era ancora scossa da quella precedente.
- Beh… è una materia obbligatoria e…
- Adesso è una materia obbligatoria, prima non lo era.
- E cosa vorresti dire?
- Niente, Granger, niente. Voglio solo che tu legga la busta.
Sempre più confusa da suo comportamento, esaminò quel pezzo di carta, chiedendosi se non nascondesse una qualche possibile insidia; era sempre meglio non fidarsi dei Serpeverde.
Dopo varie esitazioni si decise ad aprirla e a leggerne il contenuto.
 
“Dati i risultati ottenuti nella prima metà del semestre, e nel corso del precedente anno scolastico, la professoressa Charity Burbage invita il signor Malfoy a prendere seri provvedimenti, per risollevare i suoi voti in tale materia. Se ciò non dovesse succedere sarà costretto a ripetere l’anno e…”
 
- Ok, hai letto abbastanza. – sbottò Daphne, strappandole la missiva di mano, senza che Hermione avesse il tempo di finire.
- Ma… – la Grifondoro a quel punto s’irritò. – Insomma, Greengrass, cosa vuoi? Perché mi hai fatto leggere quella lettera? Cosa c’entra Dr…Malfoy?
- E’ molto semplice. – chiarì, come se spiegasse a un bambino che non bisogna rubare le caramelle. – Giorni fa la professoressa di Babbanologia mi ha detto di consegnare la busta a Draco, non appena avessi avuto l’occasione di incontrarlo… come hai potuto leggere anche tu, i suoi voti non sono dei migliori, d’altronde non è colpa sua, non riesce a distinguere tutti quei cosi che voi babbani usate e…
- Greengrass!
- Non interrompermi, odio quando qualcuno lo fa! – la gelò con un’occhiata che ebbe il potere di farle sentire freddo una seconda volta.
- Comunque, io non gli ho dato la busta.
- E io cosa c’entro?
- Smettila, Granger! Fammi finire di parlare!
Quando fu sicura che Hermione non avrebbe più detto nulla, riprese a sproloquiare.
- Ebbene, ora tu non devi credere che io sia propensa a stringere un qualsiasi tipo di amicizia con te, dato che, anche se la guerra è finita, ci sarebbero troppe radici da sradicare, quindi mi dispiace, ma non sono pronta e probabilmente non lo sarò mai, a essere tua amica, anche perché, per Salazar, Granger, seriamente, ma tu sei un soggetto davvero strano! Non sono neanche sicura che tu sia totalmente normal…
- Greengrass, cosa stai dicendo?
Daphne la fulminò con lo sguardo, per averla interrotta nuovamente, anche se comprese che effettivamente stava andando completamente fuori strada con le sue parole senza senso. Il suo modo di prendere il discorso alla “larga” probabilmente non funzionava più di tanto, dato che si stava dirigendo da tutt’altra parte rispetto al suo percorso iniziale.
- Uhm… Insomma, Granger…Voglio che tu chieda a Draco di venire con te per le vacanze di Natale. – sbottò tutto d’un fiato. – Non fare quella faccia, lo convincerai, anche perché quando verrà a casa tua avrà la possibilità di imparare i vari oggetti babbani e le vostre ridicole tradizioni, e in questo modo potrà recuperare il brutto voto in Babbanologia. Se userai quest’arma, non avrà molta scelta, Draco non ha la minima intenzione di ripetere l’anno, per cui…
- Stai scherzando, Greengrass? – fu tutto quello che Hermione riuscì a mormorare, più debolmente di quanto avrebbe voluto. – No, perché…
- Punto primo: ti ho detto di non interrompermi. Punto secondo: ti sembra che io stia scherzando?
Daphne, dovette constatare Hermione, effettivamente non aveva proprio la faccia di una persona che stesse scherzando, anzi sembrava maledettamente seria. Anche se questo non cambiava in alcun modo lo stato delle cose: non avrebbe mai potuto chiedere a Draco di venire con lei per le vacanze. Con quali occhi lo avrebbe guardato? Sempre tralasciando il fatto che se anche avesse avuto il coraggio di avanzare quella proposta, lui non avrebbe mai accettato e l’avrebbe schernita in tutti i modi possibili.
- No, non mi sembra che tu stia scherzando. – ammise la Grifondoro. – Ma io…
- Tu chiederai a Draco di venire con te, punto.
- Sei uscita di senno, Greengrass? Hai la minima idea di quello che mi stai chiedendo? Malfoy non accetterà mai e… e poi cosa ti fa credere che io voglia che venga con me?! – strillò quasi, la voce resa più acuta dal nervosismo.
- Granger, Granger, Granger… Certe cose non hai bisogno di dirle….
- Quali cose? – esclamò Hermione esasperata.
- Datti una calmata, Granger. Non ti fa bene agitarti nel tuo stato.
- Nel mio stato? Ma quale stat…Ah. Tu… – la mente logica e pratica della Grifondoro si attivò immediatamente, portandola davanti all’unica spiegazione plausibile. – Tu… sai?
- Sì… – ammise Daphne, con aria indifferente. – Draco è il mio migliore amico dopotutto.
Hermione schiuse le labbra dalla sorpresa. Non che non li avesse mai notati insieme, ma era convinta che tra i due ci fosse un rapporto completamente diverso, non certamente un’amicizia. Improvvisamente tutta quella situazione assurda la imbarazzò; divenne paonazza, le sue gote si tinsero di un colore più rosso delle bucce di mela.
- Ah… – rispose laconica.
- Non devi preoccuparti sul fatto che Draco potrebbe non accettare: basterà metterlo davanti alla situazione dei fatti e fargli presente che rischia di essere bocciato…
- No. – la interruppe Hermione, con tono categorico. – Non lo farò, Greengrass.
Non avrebbe costretto Draco a seguirla con uno stupido ricatto scolastico; non gli avrebbe dato un ulteriore motivo per odiarla. Inoltre, averlo in giro per casa, durante le vacanze natalizie, non avrebbe giovato per niente alla sua salute, anzi le avrebbe scombussolato la mente in modo a dir poco sconvolgente. Faceva fatica ad addormentarsi la notte, sapendolo a dormire nei sotterranei, figuriamoci sapendolo a dormire… dall’altra parte del muro. No, decisamente la cosa non era fattibile.
- Ascoltami bene, Granger. Tu devi farlo, per il suo bene e per quello di vostro figlio.
Hermione trasalì. Mai si sarebbe aspettata di sostenere una simile conversazione con l’algida Serpeverde di cui mormorava tutta la scuola. Si chiese perché stesse facendo tutto questo, dato la sua ormai nota indifferenza verso tutti coloro che non fossero del suo stesso sangue puro e del perché fosse arrivata a mentire a Draco, pur di consegnarle quella lettera. Infine si domandò anche perché si stesse comportando in quel modo, come se volesse aiutarla. Perché avrebbe dovuto farlo?
- Perché lo fai? – si riscoprì a chiedere, dando voce ai suoi pensieri.
L’espressione di Daphne s’indurì. Gli occhi divennero due lame trasparenti, pronte a colpire ovunque fosse riuscita a scorgere un segno di debolezza.
- Non credo siano problemi tuoi, Granger.
- Invece sì. – ribatté Hermione, caparbia. – Lo sono, visto che sarebbe casa mia quella in cui dovrei ospitarlo, visto che sarebbero i miei genitori quelli a cui lo dovrei presentare e in qualche modo dovrei anche dire loro che è il padre di mio figlio, di cui non sanno ancora assolutamente nulla! Quindi , sono anche affari miei.
- Ci sono cose che non puoi sapere, Granger. Non adesso.
Detto questo si voltò, decisa a non dire più neanche una parola.
- Come posso credere che la tua non è tutta una bugia? – esclamò Hermione.
Lo sguardo che Daphne le lanciò, la fece sentire sporca.
- Se anche io avessi mentito, Granger… In questa conversazione non sarei certo stata l’unica.
 
- Provi qualcosa per Draco, Granger?
- No! Assolutamente no!      
 

 
 
 
Quel giorno le ore si susseguirono velocemente, il sole calò per lasciare il posto alla luna contornata da un meraviglioso cielo stellato. Il tempo passò così in fretta che Hermione perse completamente il senso del tempo: aveva ripensato tutto il giorno alla conversazione con la Serpeverde, che definire inverosimile sarebbe stato un eufemismo, e più rifletteva più si convinceva del fatto che si fosse immaginata tutto quanto perché nella vita reale, la fiera e fredda algida serpe per eccellenza non le avrebbe mai chiesto – anzi, più che chiesto, ordinato – di invitare a casa sua Draco Malfoy, altra serpe per eccellenza, come se non fosse a conoscenza del suo odio profondo nei confronti di tutti i babbani.
Solo quando nella sua stanza entrò Ginny, si riscosse dai suoi pensieri che vorticavano impazziti, per concentrarsi sul vestito che si era messa praticamente per metà. Saltellò un po’ per la stanza, nel tentativo di chiudere la cerniera dell’abito, mentre l’amica ridacchiava. Finì di prepararsi abbastanza in fretta e sorrise leggermente notando come il vestito nero rispecchiasse perfettamente l’immagine che voleva dare di se stessa e le calzasse a pennello: non era eccessivamente elegante o vistoso, ma comunque adatto ad una festa.
Ginny si sedette sul suo letto esaminando come l’abito cadesse dolcemente lungo il suo corpo, nascondendo il grembo leggermente rotondo, sorridendo poi a sua volta, fiera della sua scelta.
Quel sorriso scomparve subito dopo, la lava bruciante che sentiva nel cuore aveva improvvisamente ripreso fuoco, facendole quasi desiderare di potersi strappare la pelle.
Hermione la guardò, con un’espressione interrogativa, nel suo sguardo scuro era impressa una muta domanda; Ginny scosse la testa, in segno di diniego. Non avevano bisogno di parlarsi, per capire a cosa la Caposcuola si stesse riferendo.  La più grande delle due ragazze sospirò affranta da tutta quella serie di eventi che stavano andando per il verso completamente sbagliato; si sedette al fianco di Ginny, accarezzandole dolcemente le lunghissime ciocche color del sangue, sentendola rabbrividire sotto le sue mani.
- Non volevo che si arrabbiasse con te, Ginny. Mi dispiace tanto. – Hermione pronunciò quelle parole a voce bassissima, mentre continuava ad accarezzarla sperando di farla stare meglio.
La piccola di casa Weasley si lasciò andare contro la sua spalla, mentre lo sguardo come sempre diventava lucido e pieno di dolore. Entrambe sapevano fin troppo bene quello che era successo. Da quella sera, da quando il tempo si era fermato, almeno nella loro testa, era cambiato tutto.
Hermione non credeva che la perdita di un amico potesse fare tanto male; aveva già sperimentato quel dolore quando temeva di aver perso Ron, ma era stato diverso. Con Ron si era convinta del fatto che più gli sarebbe stata lontano meglio sarebbe stato per lui e questa scelta, per quanto fosse dolorosamente insopportabile, era pur sempre giusta, molto più giusta di tutte le sue spudorate bugie.
Con Harry era diverso. Completamente.
Il suo migliore amico le mancava in modo terribile, così tanto da chiudere gli occhi e ritrovarsi a sperare che non fosse mai esistito, per permettere a quella sofferenza di dissolversi. Era atroce sperare di non aver mai conosciuto Harry, a causa del male che sentiva adesso che si era allontanato da lei. Era una cosa più che atroce eppure Hermione non poteva farci niente.
Ciò che più la feriva, era il fatto di essere fin troppo consapevole che, a causa sua, il rapporto tra Harry e Ginny si fosse sfracellato, frantumandosi in tanti piccoli cocci forse non più in grado di appaiarsi. La giovane Weasley non aveva mai fatto parola con lei di questo, né l’aveva mai incolpata di niente, ma Hermione, pur essendosi rifiutata di guardare negli occhi la realtà per molto tempo, non era né stupida, né tantomeno cieca. Ufficialmente, Harry e Ginny stavano ancora insieme, ma se qualcuno, per curiosità o interesse che fosse, avesse scavato più a fondo, sotto quella patina di finta serenità, non avrebbe trovato altro che due cuori sanguinanti, che si erano spezzati a vicenda. La tensione tra i due era così densa e forte, da soffocare sia loro stessi che gli altri, cosa che li portava a non parlarsi per molti giorni di seguito, proprio loro che non avevano mai potuto sopportare di stare lontano l’uno dall’altro per troppo tempo.
Vedere lo sguardo di Ginny, sempre dolce e luminoso, spento e distrutto, vederla accanto a Harry, una vicinanza dettata più dalle circostanze che dal desiderio, vedere la sua migliore amica desiderosa di far scivolare la sua mano in quella di Harry, ma un secondo dopo ritrarsi, per paura della sua reazione, tutto questo uccideva Hermione ogni volta come se fosse la prima.
Tuttavia, Harry e Ginny stavano ancora insieme. La crepa tra loro c’era, ma per quanto gigantesca e profonda che fosse, Hermione pregava affinché si sanasse il più in fretta possibile e che i suoi amici smettessero di discutere ogni giorno, per ritrovare un nuovo equilibrio. Se, per un crudele scherzo del destino, la loro storia fosse naufragata nella tempesta che stavano attraversando, Hermione non se lo sarebbe mai perdonato.
- Scusami, Ginny. Sono stata una codarda. – sussurrò abbracciandola, cercando di far cessare il tremore che le percorreva la spina dorsale. La situazione si era ribaltata: se in quei mesi era sempre stata Ginny a calmarla ed aiutarla, adesso era Hermione che si prendeva cura di lei come se fosse una bambina, non lasciandola sola neppure per un attimo. Specialmente in momenti come questo, quando le discussioni con Harry diventavano quanto mai aspre e feroci, quando neanche piangere serviva più a niente, neppure a consolarsi, quando il vuoto nel petto si allargava a dismisura, logorando e distruggendo ogni cosa, inghiottendo anche il più piccolo barlume di speranza, lasciando Ginny irrimediabilmente vuota e crudelmente distrutta.
 
Hermione era sempre lì, a sorreggerla quando cadeva.
 
Aveva pensato fin troppo a se stessa e si era ripromessa di non commetter mai più un simile errore, di far di tutto per veder rispuntare il sorriso sulle labbra di Ginny, impiegando tutto il tempo che era necessario.
- Dai, avanti. Preparati o faremo tardi.
Ginny sciolse di malavoglia l’abbraccio, soffermandosi per un attimo sui suoi occhi, prima di abbassare lo sguardo.
- Devo proprio venire?
- Ginny, sei stata tu a convincermi! Non puoi tirarti indietro adesso!
Hermione che doveva convincere Ginny ad andare al ballo. Oh, se si era invertita la situazione.
La giovane Weasley le lanciò un’ultima occhiata, un sorriso malinconico e nostalgico disegnato sulle labbra fini.
- Il vestito ti sta benissimo, Hermione.
 

 

 
- No.
- Dai!
- No.
- Dai!
- No.
- Ok, perfetto.
- Pansy, non ho voglia di venire, vacci da sola alla festa.
- Ascoltami bene, Daphne Greengrass, se tu osi non venire con me in questo preciso istante, tralasciando il fatto che tutti mormoreranno ancora di più se tu non verrai alla festa, rivelerò a tutti quanti che hai una cotta stratosferica per Blaise.
Daphne si limitò a lanciarle un’occhiata obliqua.
- Se ti conosco almeno un po’, so che non lo farai.
Era stronza, Pansy, questo sì. Era una Serpeverde fatta e finita, incredibilmente astuta e capace di elaborare piani geniali in pochissimo tempo, ma era sua amica e, in quanto tale, era più che sicura che non si sarebbe mai azzardata a mettere in atto la sua minaccia.
La mora s’imbronciò, constatando che effettivamente non avrebbe mai osato farle una cosa simile.
- Ma poi, per Salazar, ci sarà tutta la scuola! Chi vuoi che si accorga che io non ci sono?!
- Vuoi scherzare, Daphne? – replicò, Pansy, mettendosi le mani sui fianchi. – Lo sai che a questo ballo buona parte degli alunni viene soltanto per avere una scusa plausibile per ballare con te?! Oh, andiamo, sei la ragazza, per quanto mi costi ammetterlo, più bella di tutta Hogwarts, come puoi pensare che…
- Mhm. – mugugnò la bionda, interrompendola. Scosse leggermente la testa, lasciando che le lunghe ciocche color grano le ricadessero sulle gote, sperando così che il leggero rossore che l’aveva colta non si intravedesse. Merlino, i complimenti non le sortivano alcun effetto se a farglieli era un estraneo, ma quelli che provenivano da amici, parenti, o comunque qualcuno che conosceva, la mettevano profondamente a disagio e avevano il potere di farla arrossire come la più pudica delle bambine. Daphne si rendeva perfettamente conto di quanto tutto ciò fosse illogico e insensato, ma non poteva farci niente. – Ok. – borbottò, con una smorfia. – Forse se ne accorgeranno, ma non è questo il punto. Io non ho una cotta per Blaise, chiaro?
Anche questa era una grandissima calderonata, come quella di non avere neanche un vestito da mettersi. Sapeva bene Daphne che quel batticuore innaturale che la coglieva ogni volta che Blaise le era accanto e quell’ansia persistente che l’avvolgeva come un’ombra almeno nell’ultimo periodo potessero significare soltanto una cosa. Aveva già ammesso i suoi sentimenti con Draco, ma non si sentiva pronta ad ammetterli anche con qualcun altro.
- Allora perché non vieni?
- Perché… perché… no!
- Che motivazione profonda… – ironizzò Pansy, inclinando la testa di lato.
- Smettila!
- No, Daphne! – sbottò l’amica. – Sei tu che devi smetterla! Dov’è finita la persona indifferente a tutto e a tutti, che camminava sempre a testa alta?
La bionda contrasse le dita sulla coperta del letto. Pansy, volontariamente o meno, aveva toccato un tasto parecchio dolente. Dov’era finita quella ragazza orgogliosa che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno e che, soprattutto, non si sarebbe mai rifiutata di andare a una festa, a causa di uno stupido babbuino insensibile? Se lo chiedeva anche lei, a volte.
 
È sparita insieme al mio cuore, con cui Blaise si sta divertendo a giocare.
 
- Com’è possibile che tu ti sia ridotta a non andare a una festa solo perché non vuoi incontrare Blaise? – continuò Pansy, strappandola alle sue riflessioni.
- Io non ci vado per non incontrare quell’idiota. – replicò Daphne, mentendo nuovamente. – Non mi piacciono le feste!
Pansy rimase in silenzio per qualche secondo, sistemandosi poi vicino a lei.
- Hai paura, Daphne?
Paura? Ma quale paura? Quello che Daphne sentiva era un vero e proprio terrore, una terribile sensazione che le risaliva lungo le ossa e la soffocava in una stretta micidiale. Ma, ovviamente, questo non poteva certo ammetterlo.
- Cosa? – rispose, lanciandole un’occhiata assassina.
- Hai paura. – affermò stavolta Pansy, guardandosi le unghie.
- Io non ho paura di nulla! – sostenne.
- Allora dimostralo e vieni alla festa.
Daphne la fissò, arrabbiata con se stessa per aver fatto trapelare quanto fosse spaventata all’idea di dover rincontrare Blaise. Sospirò pesantemente, sapendo alla perfezione quale sarebbe stato l’unico modo per togliersi Pansy di torno; in fondo, rifletté, cosa mai poteva accadere di tanto orribile se avesse accettato? Aveva paura, certo, ma era una Serpeverde, sarebbe riuscita a cavarsela e uscirne indenne, come sempre.
- Ok, verrò.
 

 
 
 
Dei migliaia di aggettivi usati dagli alunni per descrivere la propria sorpresa e ammirazione nei confronti della festa, uno era il più calzante di tutti: meravigliosa.
O almeno fu quello che pensò Hermione, stretta saldamente al braccio di Ron, con gli occhi che luccicavano di meraviglia e di sorpresa per quella visione celestiale della bellezza sconfinata che il palazzo di Hogwarts aveva assunto. Il castello in occasione del Natale si era riempito di mille colori: drappi rossi e verdi, argento e blu, oro e bianco, e altre centinaia di brillanti sfumature che conferivano all’ambiente vivacità e allegria. I festoni cambiavano colore a intermittenza, suscitando l’ilarità dei più piccoli e l’ammirazione dei più grandi; ovunque spostasse lo sguardo, Hermione poteva scorgere incantevoli ghirlande e aghi di pino sapientemente intrecciati, calze e cestini natalizi che intonavano melodie di Natale, dolci e rassicuranti. Sopra le loro teste, milioni di candele incantate volteggiavano da una parte all’altra, intorno a qualche vischio appeso qua e là, che molti ragazzi evitavano accuratamente, arrossendo.
Con un’occhiata veloce la Grifondoro scorse Ginny al fianco di Harry. Quella dolorosa crepa era sempre lì, nelle gote pallide e incavate di Ginny, negli occhi terribilmente spenti di Harry, ma nonostante tutto questo, Hermione non poté fare a meno di pensare quanto fossero perfetti insieme, complementari; non riuscì a non notare quanto fosse bella la sua sorellina acquisita quella sera, nel suo vestito blu come la notte, che le ricadeva morbido lungo il corpo; quanto fosse bello il suo viso, incorniciato da riccioli rossi come il fuoco, dai quali spuntavano qua e là dei piccoli puntini d’argento, che assomigliavano a tanti fiori bianchi. L’unica pecca era il suo sguardo, sempre un po’ troppo triste, la linea della sua bocca, sempre un po’ troppo seria. 
Il sorriso non c’era.
Hermione sperò che ritornasse il più presto possibile, perché il mondo non poteva continuare ad esistere senza il sorriso di Ginny, senza la sua dolcezza e la sua esuberanza.
 
Perché Hermione non poteva continuare ad esistere senza di lei.
 
- Miseriaccia! – l’esclamazione di Ron la strappò dalle sue riflessioni, facendola sorridere. Anche se non vide la sua espressione, Hermione fu sicura che sulle sue labbra si stesse dipingendo un dolcissimo sorriso, probabilmente anche lui rimasto vittima dell’incanto della magia del Natale.
- Benvenuti studenti e studentesse! – salutò il vecchio preside. Silente iniziò un lungo discorso, che ammaliò ancora di più i giovani studenti, grazie al timbro di voce profondo ed espressivo. Con malinconica dolcezza toccò il cuore di ogni alunno, soprattutto di coloro che nell’anno successivo non avrebbe più avuto l’occasione di frequentare quella meravigliosa quanto unica scuola. Con triste nostalgia, osservò uno ad uno tutti i suoi studenti, soffermandosi in particolar modo sui più grandi trasmettendo loro affetto e serenità. Quando Silente finì di parlare, negli occhi di ognuno vi era un miscuglio di emozioni diverse. – Vi auguriamo di nuovo Buon Natale e spero che riceviate tutto l’affetto che ognuno di voi merita! – concluse il vecchio preside.
Ci fu un grande applauso, durante il quale molti cercarono maldestramente di nascondere i propri occhi lucidi. La McGranitt subentrò al posto di Silente, per dare un unico annuncio.
- Che la festa abbia inizio! – un secondo dopo un’orchestra magica aveva già cominciato a suonare le più svariate canzoni natalizie.
Gli studenti non attesero oltre e ognuno col proprio compagno presero a volteggiare sotto le mille candele appese sopra le loro teste. Hermione strinse il braccio di Ron ancora di più, non potendo fare a meno di sentirsi eccitata e felice, colta dall’euforia della festa.
- Uhm, Hermione, io non so ballare tanto bene. – borbottò il giovane Weasley con le guance in fiamme.
Hermione rise spontaneamente come non faceva da tantissimo tempo; non rispose, si limitò a sorridergli, prendendolo per mano e conducendolo verso la pista da ballo. Alla prima piroetta, ovviamente, Hermione inciampò e cadde tra le braccia di Ron. Risero entrambi, coscienti di quanto potessero sembrare goffi in quel momento, dato che nessuno dei due era mai stato un gran ballerino.
La musica cambiava continuamente, ogni canzone si susseguiva e, per quelle poche ore, Hermione si permise di dimenticare tutto quanto per qualche secondo: dimenticò il litigio con Harry, il suo dolore, il difficile rapporto con Draco, la tristezza e la malinconia che l’avevano avvolta in quei giorni e in quei mesi. Dimenticò tutto ciò che non era il sorriso dolce di Ron, le sue guance vermiglie, i suoi grossi piedi impacciati che avevano pestato i propri già due o tre volte. Di tanto in tanto gettava uno sguardo al resto della sala per cercare Ginny e, più segretamente, Draco. Si era accorta di lui, certo che lo aveva fatto. Sarebbe stato impossibile non notarlo: dubitava fortemente che una qualunque ragazza sarebbe stata in grado di non rimanere abbagliata almeno per qualche istante da lui quella sera, avvolto in un completo scuro che creava un irresistibile contrasto con la sua pelle marmorea. Aveva distolto lo sguardo il prima possibile, ma non abbastanza in fretta da impedire ai loro occhi di incontrarsi. Non si erano più guardati e forse per Hermione era stato meglio così, perché già un’occhiata era stata più che sufficiente per ripensare a tutto quello che avevano passato, al bambino, e soprattutto alle parole di Daphne quel pomeriggio.
 
Voglio che tu chieda a Draco di venire con te per le vacanze di Natale.
 
Parole che, la Grifondoro era sempre più fermamente convinta di essersi immaginata.
- Hermione? …bene? – la confusione le impedì di sentire una parte della frase di Ron, al quale sorrise, riportando la sua attenzione su di lui.
- Sì. – sussurrò, fermandosi per riprendere fiato. Non avevano saltato nessuna canzone e Hermione cominciava a sentirsi stanca; aveva il fiatone, gli occhi lucidi dall’emozione e, ne era sicura, le sue guance erano di un rosso vermiglio per l’impegno che aveva messo nella danza, anche perché evitare che ogni volta Ron le pestasse i piedi era stata davvero un’impresa. Eppure Hermione non si era mai sentita così felice, così viva.
- E’…bellissimo. – mormorò, senza fiato, continuando a guardare Ron, spostando contemporaneamente anche gli occhi sul resto della sala. – Tutto questo è meraviglioso! – esclamò come una bambina felice. Ron sorrise, gli occhi luminosi e brillanti.
- Tu sei bellissima, Hermione.
Il sorriso della ragazza si spense, mentre il suo cuore perdeva un battito.
- Io… – mormorò, abbassando gli occhi. – Io non mi sento bella, Ron.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, l’audacia di quel complimento era sparita un attimo dopo che l’aveva pronunciato: non gli rimase altro che guardarsi le punte delle scarpe, dondolandosi.
- Grazie. – riprese Hermione, per cercare di strappare via quel silenzio imbarazzante.
- Di cosa?
- Di esserci, anche se non me lo merito. – la ragazza appoggiò la testa sulla sua spalla, cullandosi nell’abbraccio tenero che ne seguì. Lasciò scappare via i pensieri, mise a tacere il cervello e quando anche l’ennesima canzone terminò le venne spontaneo stringere ancora di più Ron, come se lui potesse proteggerla da tutto quel male che fuori da quella stanza li attendeva.
Per questo, quando successe, non riuscì a rendersene pienamente conto.
Avvertì soltanto il movimento di dita leggere e gentili che le accarezzavano il viso, e con delicatezza lo sollevavano, fino a farle portare il volto all’altezza di quello di Ron. Sentì solo il proprio cuore battere sempre più forte e il respiro affannarsi leggermente, prima che delle labbra esitanti si poggiassero sulle sue, dolcemente.
Ebbe a malapena il tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo, prima che il suo cuore intraprendesse una maratona con più di 300 ostacoli. Spalancò gli occhi, attonita dalla sorpresa di quel contatto, non sapendo cosa fare, cosa fosse giusto e non, e neanche cosa volesse lei in quel momento. Per il bene di Ron, sarebbe stato meglio allontanarsi, ma allora perché esitava? Perché il suo corpo non lo respingeva, ma anzi sembrava accogliere quel contatto? Perché sentiva una carezza sul suo viso e desiderava sentirla ancora una volta, ancora di più? Non fece in tempo a rispondersi perché per impulso, quasi dettato da un istinto naturale, schiuse timidamente le labbra, mentre le palpebre si socchiudevano lasciandosi andare. Chiudendo fuori il mondo e permettendosi di scoprirsi.
Si baciarono con dolcezza, con la tenerezza nei gesti e l’esitazione nelle mani, il cuore nello stomaco e le emozioni che il primo amore porta sempre. Si baciarono con affetto, quell’affetto incontrollato che li travolgeva sempre e li portava a non separarsi mai, anche nelle situazioni più avverse. Si baciarono con amore, perché sì, capì Hermione, era davvero amore quello che provava. Un amore diverso, completamente differente da quello che sentiva per Draco, ma non per questo meno sincero o intenso. Lei e Ron avevano condiviso tutto, tutto quanto, sempre. L’amore per Ron era qualcosa cresciuto pian piano e senza fretta, qualcosa che l’avrebbe sempre protetta e fatta sentire al sicuro. L’amore per Draco era qualcosa di travolgente, che la costringeva a rimettere in gioco tutte le sue carte, era un amore per cui bisognava rischiare.
 
Quanto sei disposta a rischiare, Hermione?
 
Si baciarono con sincerità, entrambi pienamente consapevoli dei propri sentimenti, di quanto fossero devastanti, e di quanto fosse assolutamente sbagliato quel momento. Entrambi desiderandolo. Si baciarono con tristezza, sapendo che quell’attimo era soltanto un istante rubato al tempo, un piccolo ritaglio della loro vita che non si sarebbe ripetuto mai più, ma che avrebbero sempre portato nel loro cuore, come il più caro dei ricordi. Si baciarono con un addio, uno struggente e malinconico addio. In fondo, quello era il bacio che non si erano mai dati, quello che i loro cuori avevano reclamato per tanto tempo, quel bacio che entrambi avevano desiderato in momenti diversi, ma che, sapevano, adesso era troppo tardi per farlo diventare qualcosa di più.
Quando le loro labbra si separarono, Ron rimase per un secondo con la fronte appoggiata sulla sua. Si allontanò poi lentamente, lasciandole una dolce carezza sulla guancia. La prima cosa che la ragazza notò fu la scintilla nel suo sguardo: fu qualcosa di triste, rassegnato e consapevole, ma allo stesso tempo felice, caldo.
 
Fu il più bel regalo di Natale e allo stesso tempo il più brutto.
 
Fu qualcosa che avrebbe sempre portato con sé.
- Ti amo, Hermione.
La ragazza sorrise, per quel che le riuscì, passandogli una mano sulla guancia, sfiorando il piccolo accenno di barba, la punta del naso. Gli sfiorò le labbra che aveva appena baciato, che per quell’attimo erano state solo sue e di nessun altro.
 
Devo lasciarti andare.
 
Lo memorizzò così come lo vedeva in quell’istante. Memorizzò le sue dolci parole, gli occhi che splendevano per lei, ma che avrebbero dovuto imparare a splendere per qualcun'altra. Memorizzò la figura di Ron che le confessava di amarla, consapevole che, anche col passare degli anni, il ricordo di quel momento le avrebbe fatto battere il cuore.
- Ti voglio bene, Ron.
Come se si fossero messi d’accordo, sciolsero la presa delle loro mani intrecciate e il mezzo abbraccio dei loro corpi.
- Sarai sempre la mia migliore amica.
- Sarai sempre mio fratello. – rispose la ragazza, con sguardo lucido. Una piccola parte del suo cuore che forsennatamente batteva nel petto cominciò a sanguinare dolorosamente, mentre il macigno cominciava pian piano ad alleggerirsi.
Sorrisero entrambi silenziosamente.
- Io vado, uhm, in bagno. – mormorò Hermione, dopo qualche secondo, cercando una qualunque scusa per allontanarsi.
- Io vado da Ginny. – bisbigliò Ron, abbassando lo sguardo. – Voglio parlarle, sapere come sta e soprattutto… sapere dov’è dato che non la vedo più. – aggiunse poi, cercando la sorella con lo sguardo senza trovarla. – Non vorrei che qualcuno... – Hermione sorrise teneramente, notando come la gelosia di Ron nei confronti della sorellina, venisse sempre fuori, indifferentemente dalle situazioni.
Quando la Grifondoro si voltò avvertì nuovamente il proprio cuore riempirsi di tristezza, ma per  ogni passo che metteva tra lei e Ron, il macigno si dissolveva sempre di più.
Riuscì a stento a farsi strada tra la miriade di persone senza rimanere schiacciata come una tartina. Uscì dalla Sala, sentendo finalmente la musica affievolirsi e il rumore scomparire pian piano, mentre si dirigeva verso il bagno lì vicino.
Hermione la maniglia della porta non fece in tempo neanche a sfiorarla. Ebbe soltanto pochi secondi per allungare le dita, prima di sentirsi afferrare, bruscamente. La paura la immobilizzò, cominciò a scalciare e ad agitarsi, ricordandosi con rammarico di aver lasciato la bacchetta nella sua camera; fu presa dal panico più totale quando capì che il suo aggressore era molto più forte di lei e non aveva la minima intenzione di lasciarla andare. Si maledisse per essersi allontanata dalla festa o per non essersi fatta accompagnare da qualcuno, ma giusto un attimo prima che potesse mettersi a urlare o qualunque altra cosa, riconobbe quella sensazione bruciante che aveva provato mesi prima, e sognato tante e tante volte, sempre più spesso. Smise di dimenarsi, a metà tra l’incredulo e la certezza che stesse sognando, soffocando a malapena un sospiro di sollievo.
Per la seconda volta della serata Hermione non capì più niente.
Fu solo in grado di voltarsi, vedere quel paio di occhi grigi a un millimetro dai suoi; quegli occhi per cui si era dannata l’anima e il cuore, occhi che ingannavano e punivano, che la facevano scivolare nell’oblio più fitto e nella disperazione più totale, quegli occhi che erano stati capaci di farle raggiungere il paradiso un attimo prima e buttarla nell’inferno un secondo dopo.
Ma prima che Hermione potesse anche solo formulare una domanda coerente, Draco le tappò la bocca, nel modo più semplice che esista al mondo.
 
Quanto sei disposta a rischiare, Hermione?
 

 
 
 





 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Angolo Autrice
 
Io credo che riceverò un basilisco in casa, ma forse è solo una mia impressione. Ok, da cosa parto prima? Dal finale (assolutamente perfido) lasciato in sospeso, oppure dalle scuse? Sono più propensa per la seconda, quindi….Le scuse!
Allora… Che posso dire… Ehm… La scuola è ricominciata! E quindi… I professori ci tartassano di nuovo (quest’anno abbiamo una materia in più), tra l’altro domani ho giusto un compito di fisica, per il quale non ho studiato un accidente, perché volevo finire di scrivere questo capitolo che proprio non voleva saperne di venir fuori. Mi dispiace tantissimo per il ritardo, dico davvero. So che sono imperdonabile, ma non ho davvero mai tempo, soprattutto questo è un capitolo molto importante, non potevo buttarlo via, avevo bisogno di tanto tempo per scriverlo, anche se questo so che non giustifica la mia lunga assenza.
Andiamo per punti, altrimenti mi perdo i pezzi per strada.
1. Com’è stato il vostro primo giorno di scuola? So che è un po’ tardi per chiederlo, ma spero che sia stato più piacevole del mio. (Io sono rimasta traumatizzata…-.-”) A proposito! Se volete una descrizione dettagliata sul primo giorno di scuola, passate a leggere la fan fiction di Slytherin_Ss dal titolo "Diciassette anni disastrati", la sua descrizione è particolarmente calzante.
2. Mi scuso ancora infinitamente, mi prostro ai vostri piedi, implorando perdono! Un altro dei motivi per cui ho ritardato così tardo è che… ho avuto la geniale idea di andarmi a incartare letteralmente nei contest. Ebbene sì…ho scoperto il mondo dei contest, terribile sciagura per tutti voi.
3. Uhm…Uhm…ammetto che il finale potrebbe essere stato un tantino perfido….anzi molto….anzi, forse un bel po’ ora che ci penso….probabilmente quasi tutti i lettori aspettavano questo momento da sempre e io l’ho interrotto proprio sul più bello….non so perché ho fatto questa bastardata in effetti…Sono sadica, eh? xD
Insomma che vi posso dire? Stella94 mi ha contagiato! E se la persona a cui mi riferisco, sta leggendo queste note, deve prendersela con se stessa ù.ù Io ho imparato da lei xD
Quindi… niente pomodori, chiaro?
4. Questo capitolo è molto denso! Succedono parecchie cose, per questo ho dovuto spezzarlo a metà: mi sembra che sia fin troppo lungo, sono quasi indecisa se dividerlo ulteriormente in 3 parti, ma d’altronde vi avevo promesso il capitolo della festa e almeno un pochino ce la dovevo mettere :) Comunque la festa non è finita, continuerà nel prossimo capitolo!
5. Vi è piaciuta la reazione di Harry? Ve l’aspettavate? Io me la sono sempre immaginata così, non so perché ma da quando ho cominciato la storia, ho sempre pensato che Harry avrebbe reagito in quel modo e non potevo certo cambiarlo u.u Le cose non sono molto semplici per il momento, ma presto si sbriglieranno vedrete ^___^
6. Ehm…per quanto riguarda la scena tra Ron e Hermione….Uhm…Vi prego, sostenitrici delle Draco/Hermione non linciatemi! Anche io sono pro Draco/Hermione, però….Che dire? La mano ha scritto da sola sul computer ._______.
7. Ringrazio quelle 3 ragazze che mi hanno dato tramite messaggio la spinta necessaria per terminare il capitolo: tonks, Slytherin_Ss e FedePluck93 ;)
8. Ringraziamenti: ringrazio quelle 19 dolcissime ragazze (19,19,19!!!!!! Ma siete impazzite?!? Ho avuto un collasso di gioia!) che hanno recensito lo scorso capitolo: Harry Potterish, Black_Yumi, cranium, Gio98, V e r v, tonks17, Slytherin_Ss, LadyFurianera, Felpick93, MadamaBumb, ladyathena, Nala_, Virus14, Alepotterhead, Draco the best, piumetta, Stella94, Notteinfinita e chiaram.
Grazie a tutti coloro che hanno recensito anche una sola volta questa storia, perché mi avete reso la persona più felice della terra.
9. Grazie anche a quelle dolcissime 7 ragazze che mi hanno segnalato all’amministrazione per le scelte: DracoMattyMalfoy, Felpick93, Slytherin_Ss, UraniaSloanus, aranciata, Darleen e Sasoriza98.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e non mi mandiate troppe maledizioni *occhi a cucciolo*
Vi mando un abbraccio stritolatore!
flors99

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Capitolo 19
*** Party (Second Part) ***



Daphne si addentrò tra la massa di persone, cercando di comprendere l’astruso motivo che aveva portato Pansy a rifugiarsi in un angolo della Sala Grande, nascosto alla vista di molti studenti e in particolar modo dei professori. Un campanello d’allarme risuonò nella sua mente: se avesse trovato la sua amica in qualche particolare attività, sarebbe stato un incontro a dir poco imbarazzante, per cui prima di scostare il festone che la separava dal punto in cui Pansy si era nascosta, vi accostò l’orecchio alla ricerca di qualche particolare suono che l’avrebbe fatta tornare indietro. Dopo qualche secondo, in cui il principale rumore dall’altra parte della tenda era stato il ronzio e lo smuovere di qualche oggetto, si convinse di poter entrare. Spostò gli occhi per essere sicura che nessuno l’avesse seguita e alzò il drappo che in quel momento aveva cambiato tonalità di colore, passando dall’argento al rosso.
- Ciao, Daphne! – la salutò Pansy, con un sorriso larghissimo, mentre prendeva da una boccetta un particolare liquido e ne metteva una punta in una provetta; ripose poi l’oggetto, che sembrava contenere chissà quale pericolosa pozione, su un ripiano più in alto accanto a un tavolo.
Daphne stava per chiederle cosa stesse facendo, ricordandosi poi di un Corvonero del settimo anno che qualche giorno fa aveva chiesto a Pansy di preparargli una pozione e la ragazza aveva risposto che gliel’avrebbe consegnata alla festa, ovviamente non prima di aver ottenuto qualcosa in cambio. Perché la mora avesse scelto proprio quel giorno, rimaneva un mistero, nonostante Daphne glielo avesse chiesto più volte.
- Ciao. – mormorò, avvicinandosi.
- Ho finito la pozione, gliela darò stasera. – annunciò Pansy, soddisfatta.
- Perché proprio stasera? Ti stai perdendo la festa. – constatò Daphne.
- Dovevo soltanto terminarla, ci ho messo pochi minuti. – la corresse. – Inoltre questa è la prima notte del mese in cui c’è la luna piena: la pozione non funziona se viene preparata in altri giorni.
- Perché non gli consegni tutta la boccetta, invece che solo una goccia in provetta?
- Se gli consegnassi tutta la pozione, sarebbe un disastro! – ridacchiò Pansy, prendendo con sé la provetta.
- E perc…? – quello che Daphne voleva chiedere non uscì mai dalle sue labbra. Sfortuna volle che in quel momento i suoi piedi reclamassero pietà e avessero deciso di cedere: infatti, la bionda calzava dei tacchi altamente vertiginosi (era stata costretta a metterli per cause di forza maggiore), motivo per cui, non abituata affatto a quella scomodità, barcollava in cerca di equilibrio, molto spesso precario. La Serpeverde inciampò in un oggetto non-ben-identificato, o più probabilmente nei suoi stessi piedi e per non spiaccicare la faccia per terra, si aggrappò proprio al ripiano sopra il quale Pansy aveva riposto tutta la pozione. Il suddetto ripiano, ben poco abituato a pesi del genere, crollò. Non che Daphne pesasse chissà quanto, ma non si poteva certo dire che quel pezzo di legno, vecchio e antico come l’intero castello, avesse chissà quale resistenza. La boccetta si ruppe sulla sua testa causandole un dolore lancinante, mentre i vetri si sparsero sul suolo e il liquido le cadeva lungo il corpo.
Accadde tutto in meno di un secondo, tanto che per un istante entrambe le ragazze rimasero immobili, sconcertate.
- Per Salazar! – esclamò poi Pansy, spaventata. Daphne non riuscì a muovere un muscolo, sia per la fitta di dolore alla testa, sia leggermente scossa dal colpo che aveva appena ricevuto. – Daphne, ti sei fatta male? – con estrema praticità, Pansy recuperò la bacchetta che si era premunita di portare e rimosse tutti i cocci, controllando che non ce ne fossero nei suoi capelli; le curò una piccola ferita che aveva sulla guancia destra, probabilmente causata da un pezzetto di vetro penetrato nella carne. Mormorò un ferula e due piccole garze le fasciarono un dito e un cerotto si pose sulla sua gota.
- Ahia. – borbottò infine Daphne.
- Porco Salazar, Daphne! Fai attenzione, Merlino! Per un attimo ho creduto tu avessi un trauma cranico!
- Ahia. – ripeté la bionda, massaggiandosi la chioma. – Fa male.
Pansy sbuffò, mentre la scrutava per accertarsi delle sue condizioni di salute, poi il suo viso improvvisamente sbiancò.
- D-Daphne, dimmi che non hai b-bevuto la pozione.
- Eh?
- Avevi la bocca chiusa, vero? Non è che per sbaglio hai ingerito un po’ di p-pozione? – chiese, con una strana sensazione ad annodarle la gola.
Il sapore che la bionda sentiva nella sua bocca e che prima aveva già mandato giù sapeva bene non appartenere alla sua saliva. Eppure in quel momento si chiese cosa ci fosse di tanto terribile nel fatto che un po’, anzi un bel po’, di quel liquido fosse finito nel suo stomaco.
- Forse… qualche goccia. – bisbigliò.
- Qualche goccia?! – Pansy prese a girare intorno ad un unico punto. Anche dalla distanza a cui si trovava, Daphne riuscì lo stesso a udire le sue imprecazioni.
- Pansy, cosa c’era nella pozione? Mi verranno i brufoli? Mi si cospargerà la faccia di qualche strano…
- No! – la interruppe la mora. – No, niente di tutto questo, ma… insomma… è una pozione che su ognuno di noi ha un effetto diverso e… tu… come ti senti, stai bene?
Daphne rifletté per un attimo: tranne che il mal di testa causato dalla botta e il liquido che avvertiva bruciare in fondo alla sua gola, non riscontrava nessuna strana sensazione nel suo corpo. Probabilmente Pansy si preoccupava troppo, lei non avvertiva nessun cambiamento e anche se lo avesse percepito probabilmente non sarebbe stato nulla di particolarmente grave, se la sua immagine sarebbe rimasta la stessa e non avrebbe subito danni.
- Mi sento bene, abbastanza bene, sì.
Pansy arricciò le labbra, per niente convinta, mentre con la bacchetta le asciugava i capelli bagnati e ripuliva il vestito dell’amica (che tra l’altro era suo!), dalle piccole gocce di sangue e dal liquido della pozione.
- Oh, insomma, cosa c’era in quella maledetta pozione? – sbottò infine Daphne, accorgendosi dell’espressione della mora.
- È, anzi era, una pozione che… risveglia gli istinti… o qualcosa di simile, ma… tutti hanno sensazioni e bisogni diversi, per cui non so esattamente cosa potrebbe succederti; la pozione varia a seconda di chi la ingerisce.
- Ah. – rispose Daphne laconica.
- Forse sarebbe meglio che tornassi al dormitorio, se vuoi ti accompagno…
- Io tornare al dormitorio? Giammai! – esclamò, infervorata. Un attimo dopo aver pronunciato quelle parole si stupì di se stessa; Pansy la guardò in modo strano.
- Uhm… allora… torniamo di là. – propose la mora insicura.
- Mhm. – acconsentì l’amica mugugnando, non sapendo che avrebbe fatto molto meglio ad ascoltarla.
 

 
 

Era rabbia.
Era malessere.
Era qualcosa che auto lesionava.
 
No, probabilmente erano tutte queste cose messe insieme.
 
Non riusciva a definire ciò che provava, ma non era certo una novità che lui non fosse in grado di dare un nome alle proprie emozioni. D’altronde non c’era mai riuscito.
L’unica cosa che percepiva e che poteva contraddistinguere bene era quella rabbia gigantesca che lo stava travolgendo, avvolgendolo con le sue spire. Stringeva tra le mani un bicchiere, ma non abbastanza affinché la pressione lo rompesse e si frantumasse in mille pezzi. Percepì a malapena una presenza accanto a lui, probabilmente un Serpeverde, ma non vi badò, troppo concentrato sulla scena da cui non aveva ancora distolto lo sguardo.
Theodore Nott osservò il biondo, seguì i suoi occhi fino a notare ciò a cui probabilmente stava prestando attenzione; fece una smorfia di disgusto vedendo la Mezzosangue baciarsi con Lenticchia in mezzo agli altri alunni, ma sorrise poi beffardo vedendo l’espressione di Draco. Nonostante fossero compagni di casa, gli studenti dalla divisa verde–argento erano pur sempre persone subdole e fin troppo meschine; mai nessun Serpeverde che si rispetti avrebbe perso l’occasione di schernire qualcuno o di peggiorare ancora di più il suo malumore. Se Theodore fosse stata una persona più comprensiva, gli avrebbe messo una mano sulla spalla e avrebbe mormorato qualcosa per distrarlo dalla scena che sembrava dargli, inspiegabilmente, fastidio. Ma era un Serpeverde. E i Serpeverde approfittano di qualunque frattura per allargare la crepa, con chiunque capiti loro a tiro. Per questo, quando Theodore si accorse della presa sul bicchiere di Draco, facendo un cenno verso la Grifondoro, sussurrò malignamente:
- Ti piacerebbe, eh?
Un secondo dopo il bicchiere si frantumò tra le dita del ragazzo. In mille pezzi.
Lo sguardo s’indurì, affilandosi come la lama di una spada.
Theodore si rese conto forse di aver detto qualcosa di sbagliato ed eccessivamente invadente, perché provvide subito a fuggire in fretta e furia, non allettato dalla prospettiva di doversi sorbire la rabbia del biondo Serpeverde.
Un secondo prima Draco li aveva visti baciarsi. Un secondo dopo erano spariti. Prima che la sua mente partisse per la tangente e realizzasse le ipotesi più assurde, notò che la Granger si stava dirigendo fuori dalla Sala Grande. Si guardò per un attimo la mano con cui aveva rotto il bicchiere, come se si fosse accorto solo in quel momento del danno che aveva causato; rialzò gli occhi, leggermente confuso, individuando la Grifondoro che ormai era fuori dalla stanza. Non avrebbe dovuto seguirla. Proprio come non avrebbe dovuto seguirla qualche mese fa, quando lei se ne stava andando via, traballante, dalla festa.
Non avrebbe dovuto farlo, eppure l’aveva seguita lo stesso.
Non avrebbe dovuto neanche in quel momento, eppure ancora una volta, lo fece lo stesso.
Perché lui stava diventando pazzo. Perché lui non poteva più convivere con tutte quelle emozioni che lei faceva fluire dentro di lui, ogni volta che la incrociava; chi si credeva di essere per maneggiarlo così?
 
Non avrebbe dovuto seguirla.
 
Ma lui aveva bisogno di ritrovare se stesso.
 
Sono incinta.  Il padre del bambino è qui con me, Draco.
 
Perché non me lo hai detto? Perché avevo paura!
 
Stava impazzendo.
 
Non avrebbe dovuto seguirla.
 
Non avrebbe dovuto ma lui, comprese, era già pazzo.
Pazzo ad annullare in quel modo e soprattutto per una come lei anni di difese, protezioni e muri innalzati contro gli altri e contro se stesso. Pazzo a voler assecondare le sue sensazioni.
Ma quella volta decise di seguire il suo corpo e non appena la razionalità fu messa a tacere, gli fu facile andarle dietro, con l’illusione che quel gesto fosse dettato dall’istinto e non dal suo stesso cuore dolorante.
 
Può un cuore sanguinare silenzioso?
 
Proprio come la volta precedente in quell’istante risuonò il primo rintocco della mezzanotte.
 

 
         
 
Se Daphne fosse stata una ragazza meno orgogliosa, probabilmente avrebbe fatto marcia indietro e seguito il consiglio di Pansy tornando nel dormitorio, non appena aveva cominciato ad avvertire strani sintomi. Probabilmente se fosse stata meno testarda, sarebbe schizzata via dalla festa non appena la testa aveva cominciato a girarle e l’aveva colta l’improvviso desiderio di mettersi a saltare davanti a tutti; dopo un piccolo attimo di smarrimento aveva però deciso che quella sensazione strana fosse stata soltanto un raro momento, che non si sarebbe ripetuto. Aveva capito quanto in realtà si stesse sbagliando, non appena aveva scorto Blaise tra tutti gli studenti e il suo primo istinto, invece che insultarlo come suo solito, era stato quello di corrergli incontro e abbracciarlo come se fosse un orsacchiotto. Aveva capito che forse aveva un problemino quando per poco non aveva estratto la bacchetta per avadakevrizzare una ragazza che si era avvicinata a Blaise per chiedergli di ballare con lei. Aveva compreso che probabilmente la situazione era completamente degenerata mentre pronunciava l’incantesimo e Pansy l’aveva bloccata giusto in tempo per evitare commettesse una pazzia.
Se fosse stata meno orgogliosa se ne sarebbe andata.
 
Ma non lo era.
 
Per questo, in quel momento, mentre declinava l’ennesimo invito per il ballo, cercò di riordinare i suoi pensieri scombinati.
Non riuscendoci affatto.
Il suo intento di fare mente locale si era trasformato in un ragionamento dettagliato su tutti i modi possibili con cui avrebbe potuto uccidere la piovra avvinghiata al braccio di Blaise. Si stupì di come la cosa le desse fastidio, ancora più del solito; si massaggiò le tempie, chiedendosi cosa le prendesse.
- Come stai, Daphne?
- Male, Pansy.
- Ehm…Forse faresti meglio a…
- Cosa? – sbottò, nervosa, senza smettere di tenere d’occhio la biondina che ancora osava ballare con Blaise.
- Ecco, stai uccidendo Blaise con lo sguardo. Non so, è un po’ inquietante come cosa…
- Io NON sono minimamente interessata a quello stupido babbuino con il cervello più piccolo di un boccino, solo non riesco a capire come faccia a sopportare quella piovra che gli sta attaccata come un koala e se qualcuno osa pensare che IO possa essere gelosa di lui, allora si è ingoiato almeno un litro di puffole puzzolenti, dato che IO non provo assolutamente niente e anzi, sono perfettamente a mio agio e…e…e…brutto…brutto stronzo! – Pansy, scioccata dallo sproloquio dell’amica, volse a malapena lo sguardo verso il ragazzo, per scoprire che stava baciando “la piovra”, che Daphne per qualche oscura ragione odiava tanto.
- Ecco, vedi? VEDI? Lo fa apposta! Sa che la mia SENSIBILITA’ verrà urtata vedendo una scena così macabra e oscena e lui fa di tutto per mettermi a disagio, ma non ci riuscirà, perché IO sono superiore a queste cose e, come ho già detto, ma che riaffermo fortemente per evitare eventuali equivoci, sto benissimo e quell’inutile essere non può neanche minimamente sperare di condizionare il MIO umore! Tutto chiaro, Pansy?
La mora sbatté gli occhi, prima di riprendersi.
- Ehhhh sì, Daphne. Certo, hai ragione…
- E’ abbastanza OVVIO che ho ragione, non essendoci alcun motivo per dubitare delle mie innocenti parole, dato che…
- Daphne, se davvero non t’interessa quello che fa Blaise, perché stai pronunciando un incantesimo non verbale contro la piovra?
La bionda bloccò a mezz’aria la bacchetta puntata davanti a sé, chiedendosi quando l’avesse tirata fuori. Appena se ne accorse, la nascose dietro la schiena, come se potesse farla scomparire.
- Ehm… è stata una triste piega degli eventi! Ebbene io… – disse con enfasi la bionda Serpeverde. – …volevo mettere alla prova la tua fedeltà! Capire se eri disposta a vedere il sacrificio di un babbuino pigmeo idiota o se saresti stata capace di resistere fino alla morte!
- La… mia… fedeltà? – domandò Pansy, stralunata. – M-morte?!
Daphne si massaggiò le tempie sentendo un improvviso dolore alla testa; chiuse gli occhi per un secondo, giusto il tempo di un battito di ciglia. Quando li riaprì il suo sguardo era leggermente diverso: guardò Pansy in modo curioso, per poi assumere un aria solenne e fiera.
- Ah, bei tempi, quelli! Io ho dimostrato la mia fedeltà più e più volte durante il mio ciclo vitale! Tu avevi ancora il pannolino e io già combattevo mostri e Dissennatori, insieme a Fierobecco e ai Thestral, in nome della più alta giustizia!
- Daphne…
- Ma io no! Non ho mai ceduto di fronte al pericolo, bensì ho sempre resistito, mantenendo la mia dignità e il mio orgoglio immacolati in tutti i secoli a venire!
- Porco Merlino. – imprecò Pansy, rendendosi conto dell’effetto collaterale della pozione. Avrebbe potuto farle un incantesimo per farla stare zitta, ma non voleva che cominciasse ad agitarsi e fare scenate di fronte a tutti, attirando ancora di più l’attenzione di quanto già non lo facesse per conto suo.
- Oh, ma quali cattive parole odono sentir le mie orecchie da gentil donzella? Fanciulla mia, il tuo linguaggio inappropriato è decisamente poco consono…
La mora smise di ascoltarla definitivamente, cercando un modo per portala via; avrebbe potuto chiedere a Draco, ma era sparito chissà dove; l’unica soluzione per trascinarla via definitivamente era… Blaise.
- Ascoltami bene, Daphne. Tu resta qui, ok? – la fece sedere in un punto qualsiasi della sala, un luogo in cui i professori che erano rimasti di guardia non notassero il suo stato a dir poco strambo o più semplicemente non udissero i suoi discorsi privi di logica.
- No! Non puoi andartene, sto cercando di aiutarti ad affinare le tecniche del tuo linguaggio…
- Ok, ho capito. Torno subito, promesso.
Sparì tra la folla velocemente e agguantò Blaise per un braccio, strattonandolo in malo modo. La biondina-piovra la fulminò con poca grazia, ma Pansy non vi badò neppure.
- Blaise, vieni con me.
- Ma…
- Adesso! – esclamò con tono perentorio, non ammettendo repliche.
Il ragazzo si lasciò trasportare, piuttosto contrariato e a dire il vero anche un po’ maldisposto, non capendo quale fosse il motivo di tutta quella fretta e maleducazione.
Lo capì quando, raggiunto il luogo in cui Daphne sarebbe dovuta rimanere, la trovarono intenta a nominare “cavaliere” un gufo, trovatosi nel luogo sbagliato al momento decisamente sbagliato. Cosa ci facesse lì un gufo poi, era un mistero. Ci avrebbero pensato dopo.
Con la gamba di una sedia in mano, Daphne cominciò a parlare.
- Per i poteri a me conferitemi da… beh, effettivamente da nessuno, ma possiamo anche dire da me stessa, non fare quella faccia! – puntò minacciosa un dito contro il povero gufo confuso. – IO sono perfettamente in grado di nominare cavaliere qualcuno, vai pure a controllare tutte le schede su di me e troverai che ho sempre servito con onore il mio paese e la mia nobiltà e generosità non conoscono confini! Ebbene, io per tutti questi esaurienti motivi, ti nomino mio cavaliere personale, addetto alla mia difesa e per il bene del popolo…
Pansy e Blaise si guardarono allucinati.
- Ha bevuto una pozione, più o meno, anzi… le è cascata in testa e… forse… ha avuto qualche effetto collaterale.
- Forse? – ironizzò Blaise. Lanciò un’occhiata a Daphne, cercando di sopprimere la rabbia che provava nei suoi confronti e tentando di dimenticare, almeno per il momento, il disprezzo che gli era stato riservato quel pomeriggio, come se fosse il più misero degli essere umani. Mise a tacere l’orgoglio, nonostante la tentazione di lasciare la bionda in quelle condizioni fosse davvero forte.
- La riporto al dormitorio, è meglio che non rimanga qui. Se qualche professore dovesse vederla, la sospenderebbero per aver assunto sostanze proibite. – decise.
Sebbene l’intento di Blaise fosse quello di fare una battuta, nel suo tono di voce comparve una nota di serietà e di preoccupazione che inquietò Pansy non poco.
- Vengo con te.
- Non credo sia una buona idea. Se usciamo in troppi se ne accorgeranno. – disse Blaise, pratico, notando già come la McGranitt li stesse guardando severamente con un’espressione che non prometteva nulla di buono.
- Già, non ci avevo pensato. – convenne Pansy, anche se preoccupata.
- Daphne? Daphne, senti, devi andare via… Mi senti? – la mora scrollò la sua amica, anche se quest’ultima non sembrava aver recepito il messaggio.
- Nossignore! Io non vado da nessuna parte, sarebbe un affronto privare questa festa della mia cotanta nobile presenza!
- Sì, sì…
- E tu… – Daphne puntò un dito contro Blaise. – …chi saresti? Un cavaliere errante venuto in mio soccorso? Sei arrivato tardi, perché ho già trovato un fido valletto, che…
- Non… non ci riconosce neanche? – chiese il Serpeverde, un po’ stranito.
- La pozione non dovrebbe avere questi effetti. Probabilmente il fatto che le sia caduta in testa ha attivato più facilmente un possibile effetto collaterale. Ma… non lo so, non sono sicura. Sembra che… che… – Pansy, esitò a parlare.
- Che? – sbottò il ragazzo.
- Che… vada a momenti. Prima mi sembrava che non stesse bene, ma… era lucida, insomma… mi riconosceva, sapeva dov’era… adesso… adesso no! Forse tra qualche minuto le passerà e…
- E assumerà qualche altro comportamento. – completò per lei Blaise.
- Già. – assentì Pansy. – Blaise, sai dov’è Draco? Magari lui può farla ragionare, diciamo. – aggiunse poi.
- In questo stato Daphne non ascolterebbe nessuno. Comunque no, l’ho intravisto prima con Nott, ma adesso sembra essere sparito.
- Draco, Draco… – mormorò a quel punto Daphne. Inclinò la testa di lato e riabbassò le braccia lungo i fianchi, assumendo un’espressione triste. – Draco, mi ucciderà… – sussurrò in un soffio leggerissimo, mentre nei suoi occhi si accendeva un barlume di lucidità. – L’ho fatto per lui… – mormorò in un sussurro ancora più tenue, gli occhi vacui e colmi di così tanto dolore, da poterci immergere un cuore spezzato. – Non… non volevo che si sentisse… solo… non di nuovo.
- Cosa sta dicendo? – chiese Pansy, confusa.
Blaise, aggrottò le sopracciglia, uno strano luccichio a balenare nel suo sguardo.
Il secondo dopo, tutto tornò come prima, cioè prima che Pansy pronunciasse il nome del Serpeverde: Daphne perse lo sprizzo di lucidità appena ritrovato e si voltò verso il gufo, con espressione solenne.
- Ebbene, adesso, mio prode valletto dovrai servirmi per il bene dello… – Daphne non concluse la frase perché venne bruscamente strattonata dal ragazzo che le afferrò un braccio, senza gentilezza. La Serpeverde si dibatté, blaterando qualcosa sul fatto che le stava facendo male con la sua stretta e che le dava profondamente fastidio la sua maleducazione, ma Blaise riuscì a trascinarla via nonostante le sue lamentele e proteste.
- Torno subito, Pansy. – l’avvisò il ragazzo, voltando per un attimo lo sguardo.
Pansy annuì confusa, seguendoli con lo sguardo mentre si allontanavano, con un’espressione corrucciata disegnata sul volto.
Qualcosa non le tornava, c’era un dettaglio che le era sfuggito; provò a non pensarci, prendendo la mano di un ragazzo che l’aveva appena invitata a ballare. Nonostante tutto qualcosa di quello che era appena caduto l’aveva lasciata profondamente perplessa; solo dopo l’ennesima piroetta se ne rese conto.
 
La pozione risveglia gli istinti.
 
Non aveva considerato questo aspetto. Aveva dato per scontato che la pozione avesse avuto solo degli effetti collaterali su Daphne, ma non aveva assolutamente pensato al fatto che, prima o poi, il vero effetto del suo intruglio sarebbe potuto venir fuori da un momento all’altro. Con il viso improvvisamente pallido, si chiese se non avesse commesso l’errore più madornale della sua vita, nell’aver lasciato Blaise e Daphne da soli.
 
 

 
 
Era smania.
Era desiderio.
Era ustione.
 
No, probabilmente erano tutte queste cose messe insieme.
 
Era qualcosa di così forte, di così grande che Hermione si sentì sbalzare fuori dal suo stesso corpo e dalla sua stessa mente, per tutto quello che stava provando e che sentiva arrovellarsi senza freni dentro di sé. Qualcosa di così intenso che non credeva potesse mai arrivare a percepire, neanche con l’immaginazione. Qualcosa che soltanto nel buio della notte, con nessuno che ascoltava i suoi pensieri, lei aveva desiderato tanto da star male, da non dormire, da sacrificare il suo sonno salutare per quella smania, per quell’intensità che avrebbe voluto sentire su di sé, ma che aveva sempre giudicato impossibile da provare. Qualcosa che poteva sembrare sbagliato per lei, per ciò che era successo, per le conseguenze che avrebbe portato e che forse non sarebbero state giuste, ma anzi dolorose; eppure quel momento era così giusto da far male.
 
Come può una cosa tanto sbagliata renderti così felice?
 
La prima cosa che pensò fu che quella fosse solo una fantasia. Una bellissima fantasia, fin troppo reale, ma del resto i suoi genitori le avevano sempre ripetuto fin dall’infanzia che lei aveva una grandissima immaginazione. La seconda ipotesi che avanzò fu che quello fosse soltanto uno stupido e crudele sogno. Un sogno illusorio, nato per tormentala. Sì, perché solo nei suoi sogni più nascosti e proibiti Draco Malfoy la stringeva forte, in una presa a dire poco ferrea, mentre la baciava sempre di più, sempre più a fondo. La terza cosa e ultima cosa che pensò fu un'unica parola.
 
Merda.
 
- Malf-f… – riuscì a malapena a mormorare prima che il ragazzo la zittisse.
Immaginazione, sogno o realtà che fosse, Hermione pensò che fosse una dei più bei momenti che le fossero mai capitati. Probabilmente fu per questo motivo che, di nuovo, non pensò alle conseguenze, ma lasciò semplicemente che l’istinto prendesse le redini di quel momento e la conducesse lungo la strada che il suo cuore stava srotolando sotto i suoi piedi. Forse perché non ne aveva la forza o forse perché aveva talmente desiderato baciarlo ancora un’ultima volta, che in quel momento l’idea di allontanarlo la faceva star male. Forse fu soltanto per puro e semplice egoismo.
 
Per avere e portare sempre nei suoi ricordi quel piccolo e singolo attimo d’illusione.
 
Non aveva mai dimenticato davvero il sapore delle labbra di Draco, quello che le avevano fatto provare. Non aveva mai dimenticato la bruciante sensazione delle sue mani sul proprio corpo, la scarica di brividi appuntiti come aghi di pino che le perforavano la pelle, dandole l’impressione di essere immersa in una vasca di acqua contemporaneamente ghiacciata e bollente.
Per un attimo non poté fare a meno di confrontare quel bacio con quello che aveva dato a Ron. Baciare Ron era stato qualcosa dettato dalla situazione, spontaneo e semplice, di cui non si era pentita, di cui mai si sarebbe fatta un rammarico. Era stato un bacio dolce, le sue labbra esitanti, non c’era stata fretta, soltanto tranquillità, sicurezza. Baciare Draco andava al di là di ogni sua immaginazione: era un bacio violento, un bacio che pretendeva, fatto di morsi e di scontri, un bacio che provocava ustione, smania e desiderio, un bacio per cui bisognava saper rischiare.
 
Quanto sei disposta a rischiare, Hermione?
 
Baciare Draco le faceva perdere completamente il lume della ragione, smarriva del tutto ogni più piccola traccia di razionalità, cedendo soltanto al puro e semplice istinto. Draco non chiedeva, pretendeva. L’aveva quasi costretta, nel primo attimo di sbigottimento iniziale, a schiudere le labbra e a muovere la lingua insieme alla sua, e adesso non le lasciava neanche riprendere aria.
- Ch… c…  – venne nuovamente interrotta e il suo cervello si spense definitivamente sotto la sua bocca vorace. Draco lambiva ogni parte di lei, dappertutto: il palato, la lingua, le labbra. Non si fermava neppure per riprendere fiato e Hermione iniziava a sentirsi piacevolmente svenire.  
Si dimenticò di tutto. Tutto tranne il calore secco delle loro labbra, dei polmoni che si distendevano e si contraevano alla ricerca di ossigeno, della pelle che si accendeva e si scaldava, del calore che man mano crepitava e saliva nel petto. Se ne avesse avuto la forza o la minima volontà, Hermione lo avrebbe allontanato per chiedergli spiegazioni, per sapere cosa Merlino gli fosse preso, ma sinceramente in quell’istante non le importava più di tanto, per questo si limitò a stringersi di più a Draco, appigliandosi sempre alla certezza che non avrebbe mai avuto una simile possibilità. 
Percepì il proprio corpo avvolto dalle braccia del ragazzo, stringerla come aveva sempre voluto, come a non volerla più far andare via.
 
Come a voler abbattere i loro confini.
 
Si lasciò semplicemente condurre dall’istinto, chiuse gli occhi, affidandosi a lui. Avvertì le sue labbra allontanarsi dalle proprie in cerca di ossigeno; Hermione, per quell’attimo, detestò quanto mai il bisogno fisico di prendere aria dato che l’aveva separata da Draco; ma un secondo più tardi la sua bocca era stata nuovamente presa d’assalto e il ragazzo le aveva strattonato bruscamente la nuca per poterla avvicinare ancora di più.
Quando il Serpeverde si spostò per baciarle la guancia e tracciare una linea immaginaria dalla sua mandibola al collo, Hermione credette davvero di rimanerci secca. Le nocche del Serpeverde le sfiorarono la pancia e la ragazza dovette serrare le labbra per non gemere; si morse il labbro inferiore, lo martoriò finché non sentì sul palato l’acre sapore del sangue. Forse se si fosse concentrata su quel piccolo dolore non avrebbe perso completamente il senno, ma Draco non le concesse neanche quella piccola via di fuga. Abbandonando il suo collo, le labbra del ragazzo liberarono le sue dalla presa dei denti, leccandone poi il contorno, come se avesse l’intenzione di curarla dalla ferite.
Hermione era più che certa di stare impazzendo.
Poi, in un attimo, la sua mente svanì.
Svanì all’interno del ricordo di mesi prima. E Hermione si rese conto di aver già provato quelle sensazioni, di essere già impazzita. Ricordò come si era lasciata andare, tanto da portare a qualcosa di catastrofico e allo stesso tempo stupendo. Probabilmente se avesse lasciato ancora una volta che gli eventi si susseguissero, vi sarebbero state conseguenze inimmaginabili. Ma mentre la mente lavorava, il cuore di Hermione diventava pian piano un bocciolo di fiore: si apriva, si schiudeva, splendeva. Era lui a baciarla. Stavolta non c’era l’alcool nelle loro vene, non c’era l’acre sapore che di un sogno che sarebbe finito presto; c’era solo quel fuoco rovente da cui si sentiva assorbire e quella felicità incontrollata che si espandeva pian piano dentro di lei. Eppure, stavolta, tra cuore e ragione vinse la seconda.
 
Si era già bruciata una volta, non poteva rischiare ancora.
 
Quanto sei disposta a rischiare, Hermione?
 
Facendo appello a tutta la sua forza di volontà, costrinse le sue mani ad abbandonare i capelli di Draco e a poggiarsi sul suo petto, per spingerlo via.
Era sbagliato. Per lei e per lui. Soprattutto per lei. Perché Draco non provava ciò che invece lei sentiva crescere ogni giorno di più, Draco non aveva la benché minima idea di cosa fosse capace di provocarle con semplici gesti o parole. Ed Hermione, col fuoco, non voleva giocarci più.
 
Mi sono già bruciata una volta.
 
Per questo con la forza della disperazione, aprì i palmi sul suo petto duro come roccia e fece forza per allontanarlo. Ci riuscì, probabilmente per merito di Draco, lei sola non sarebbe mai riuscita a spostarlo neppure di un millimetro.
Il cuore le andò in gola, quando vide il viso di Draco vicino al suo, i capelli biondi scombinati dalle dita che vi aveva immerso, le gote leggermente più colorite del solito e le labbra gonfie per i baci; riuscì a trattenere a malapena il feroce impulso che le gridava di baciarlo di nuovo.
- È sbagliato… – mormorò, il corpo scosso ancora dai tremiti e il respiro ansante. – Noi non… – si bloccò improvvisamente, spalancando gli occhi. Le mani cominciarono a tremarle, gli occhi le s’inumidirono e guardò Draco come se non lo avesse mai visto prima. I sensi si amplificarono, percepirono improvvisamente l’aria calda sulla pelle, quasi compatta, corporea, come un panno steso. I rumori che percepiva, scricchiolii, soffi e sussurri si sovrapposero e si confusero l’uno con l’altro, senza più possibilità di distinguerli. Tutti, tranne uno. Tranne un leggero movimento che faceva più rumore di qualsiasi altra cosa. Lo sentì. Lo sentì chiaramente. Sotto le sue dita, sotto la pressione del suo palmo, percepì chiaramente il cuore di Draco…
 
battere.
 
Forte, fortissimo, come il suo.
 
Allora ce l’hai un cuore.
 
Un cuore bellissimo che batteva sotto il suo palmo e Hermione potrebbe giurare di non aver mai provato sensazione tattile più meravigliosa.
 
Tum, tum, tum.
 
Un cuore che ricordava quello di un uccellino impazzito, un battito d’ali leggero, frizzante e dolcissimo, di una dolcezza unica.
 
Tum, tum, tum.
 
Allora ce l’hai un cuore, Draco.
 
Il primo suono dell’uomo, il primo rumore, la prima musica.
 
Allora ce l’hai un cuore.
 
Tum, tum, tum.
 
Un cuore che batte, che vive. Un cuore che può provare emozioni, che qualcuno un giorno potrebbe ferire, che potrebbe sanguinare, proprio come il mio.
 
Tum, tum, tum.
 
Hermione strinse le dita sulla sua maglia, credendo che da un momento all’altro l’emozione di assurda e incontrollata felicità sarebbe riuscita a sopraffarla. Guardando Draco, i suoi occhi grigi, così intensi e pieni, il suo viso, così privo di maschere, non riuscì a non mormorare.
- Draco…
Avvertì il cuore che tanto l’aveva incantata perdere quattro o cinque battiti, mentre il corpo si irrigidiva, tanto che a Hermione che aveva la propria mano appoggiata sul suo petto parve di toccare una pietra. Draco continuò a guardarla, ma non era più davvero lì, non con lei per lo meno. Respirò profondamente, socchiuse gli occhi grigi, momentaneamente attraversati dalla confusione, vulnerabili come mai lo erano stati.
 
Poi scomparve.
 
Il Serpeverde chiuse le palpebre per un attimo e un secondo dopo le riaprì.
Quello che Hermione vide la terrorizzò.
 
Malfoy.
 
- Lenticchia non bacia poi così bene se poi ti sei fatta consolare da me.
Un freddo ghiacciato risalì sulla sua spina dorsale, percorse la sua schiena, facendola tremare.
 
Il fiore che era divenuto il cuore di Hermione appassì e cadde sul terreno.
 
- Che hai, Granger? Sorpresa che io me ne sia accorto?
Il suo cuore, ormai irrimediabilmente crepato, cadde a pezzi a quelle parole crudeli e a quella cattiveria espressa; attese il dolore che, sapeva, sarebbe arrivato, che non avrebbe sicuramente avuto la pietà di risparmiarla.  Fu una scossa, una percussione, come un colpo di frusta che flagella un corpo senza alcun riguardo.
 
Una frustata.
 
- A dire il vero sì. – rispose Hermione, con le labbra in procinto di riversare fuori tutta quell’amarezza che sentiva e gli occhi pronti a cedere di nuovo. – Sono sorpresa che tu mi abbia tenuto d’occhio. E poi quello che facciamo i-io e Ron non… sono affari tuoi.
 
Tempo prima nel buio della notte, Hermione aveva espresso un desiderio.
 
Non che il suo tormento finisse, non che non dovesse più soffrire, non che le sue paure, i suoi dubbi e le sue incertezze cessassero di colpo di esistere.
 
Tempo prima nel buio della notte, Hermione aveva espresso un desiderio.
 
Non la felicità. La felicità può essere tolta in qualsiasi momento, infrangersi nel più breve dei secondi, senza che quasi si abbia il tempo di rendersene conto.
 
Tempo prima nel buio della notte, Hermione aveva espresso un desiderio.
 
Quello di non vedere mai più il nero negli occhi di Draco, di non dover mai più sopportare quell’enorme e tremendo supplizio.
 
Così neri da farle provare l’acre e amaro sapore della paura, da farle perdere il respiro, addirittura dimenticando la procedura di quel semplice gesto.
Così neri da farle attorcigliare lo stomaco, stringere il cuore, ridurla in un misero stato, sentendosi peggio di chiunque altro.
Così neri da farle desiderare di svanire senza lasciare alcuna traccia, di dissolversi attraverso l’aria, scomparendo il più in fretta possibile.
 
- Sai, non è facile non notare due piovre avvinghiate l’uno all’altra in procinto di accoppiarsi. Quello che mi sorprende è che non abbiate deciso di farlo lì, davanti a tutti.
Le guance di Hermione assunsero una graziosa tonalità di rosso accesso. Gli lanciò un’occhiata di puro disprezzo, pregna unicamente di umiliazione e amarezza.                 
- Questo non è vero. – ringhiò.
- Ah no, Mezzosangue? – replicò, inarcando le sopracciglia. – Dimmi, cos’hai provato, Granger? Cos’hai sentito per lui? – insinuò con tono dolce e mellifluo, da cui trapelava una buona dose di velenoso sarcasmo.
- Malfoy…
La ragazza indietreggiò, sempre più soggetta e spaventata da quegli occhi freddi e gelidi, talmente diversi da quelli che aveva visto prima, caldi e luminosi.
- Allora, Granger? Voglio una risposta. – Con una mossa veloce, così veloce che Hermione non se ne era neanche accorta, Draco la intrappolò contro il muro: le afferrò i polsi e senza stringere troppo li riunì in una mano sola, per poi alzarle il viso con l’altra.
- Malfoy, lasciami! – esclamò, in preda al panico. Non che temesse che lui le facesse del male, almeno non fisicamente, ma guardare quegli occhi così diversi da prima le provocava troppo dolore.
 
Quegli occhi neri, così neri da farla sentire sporca.
 
- Hai provato per lui, quello che hai provato per me? – le soffiò in un orecchio. – Rispondimi, Mezzosangue.
- Malfoy, cosa… cosa vuoi?! – Hermione arretrò ancora, toccando il muro con la schiena. – Cosa t’importa?
La Grifondoro deglutì non potendo fare a meno di chiedersi come potesse Draco essere in grado di interscambiare così le sue due facce e come potesse lei sentirsi in paradiso un attimo prima e all’inferno un attimo dopo.
- Hai provato per lui, ciò che provi quando sei con me?
Hermione tentò di liberarsi, ma non ci riuscì.
- Cosa ti fa credere che io abbia provato qualcosa per te? – esclamò, il tono inacidito dalla consapevolezza di non essere riuscita a nascondere cosa la sua vicinanza le provocasse. Non che ci avesse provato, comunque.
- Io lo sento, Granger. – bisbigliò il Serpeverde a voce ancora più sottile, ancora più sibilante. Ancora più Malfoy. – Ti sento rabbrividire sotto le mie mani, ti sento tremare quando mi avvicino… – la incastrò completamente tra il suo corpo e il muro, lasciandole i polsi, ma bloccandola in modo che non potesse sfuggirgli. – Io sento come il tuo corpo reagisce vicino al mio… – portò il suo viso all’altezza del suo, sfidandola con gli occhi, sfidandola con l’intero corpo, sfidandola a osare.
 
Malfoy.
 
Hermione tremò e fece di tutto perché le sue mani non corressero alle sue spalle, perché il suo palmo non si posasse ancora una volta sul petto di Draco per sentire il suo cuore. Il bacio precedente sembrava solo un sogno, una visione lontana e impossibile da raggiungere; vedendo lo stato delle cose, Hermione si chiese se non se lo fosse immaginato. Si schiacciò il più possibile contro il muro, conscia che più gli stava vicino, più si faceva del male; mantenere le distanze da lui, dopo aver riassaporato quel bacio rovente, era un dolore tanto fisico quanto mentale.
- Percepisco i segnali del tuo corpo. – ripeté, con un tono di voce dolcissimo, l’ennesima tentazione del serpente prima di affondare i denti sulla sua vittima, iniettandola del più tossico dei veleni.
Draco le sfiorò il naso col proprio, sfidandola ancora, sfidandola sempre, sfidandola a cedere. Proprio come prima, la baciò prendendola completamente alla sprovvista. Ma stavolta fu incredibilmente diverso: era un bacio che esigeva e non dava niente in cambio, che Hermione non voleva, ma in cui si ritrovò avvolta ancor prima che riuscisse a sfuggirgli. Era un bacio prepotente, forte e feroce.
 
Era la puntura di una spina contro un fiore delicato.
 
Cercò di liberarsi, di sfuggire a quell’assalto, ma la sua forza fisica non poteva neanche sperare di sopraffare quella di Draco.
 
Lo sai che è sbagliato, Hermione.
 
La ragazza strinse le labbra, decisa a non rispondere a quel contatto che, sapeva, era stato fatto solo per umiliare, denigrare, ferire. Si divincolò con forza, cercando di sgusciare via dalla sua presa ferrea, agitò le gambe, provando ad allontanarsi, mugolò di dissenso, ma neanche allora Draco la lasciò andare. Il ragazzo la costrinse a schiudere le labbra con forza, baciandola con rancore, rabbia e altro che non era pronto ad ammettere; come un incendio quel fuoco insostenibile divampò nuovamente in ogni parte della Grifondoro che si ritrovò a rispondere a quel bacio sbagliato.
 
Eppure, ancora una volta, il tuo cuore non può farne a meno.
 
Pochi secondi dopo, il ragazzo la lasciò andare, troppo tardi o forse troppo presto.
- Hai visto, Granger? – la sfidò nuovamente con un ghigno disegnato sulle sue labbra.
Quando Hermione si rese conto di cosa era successo, di cosa aveva fatto e delle sue parole, i suoi occhi si riempirono di vergogna. Vergogna per se stessa.
Era stato un gioco. Un gioco per farla cedere, per dimostrare come il suo corpo avrebbe reagito vicino a lui, come lei avrebbe perso razionalità di fronte alla sua irruenza.
Era stato un misero e schifoso gioco.
 
Un gioco crudele.
 
D’istinto la sua mano si alzò per colpirlo. Uno schiaffo che non andò mai a segno, perché Draco la fermò a mezz’aria.
- Non provarci neppure. – sibilò.
- È solo un gioco per te? – gridò allora Hermione, tentando di liberarsi. – È tutto… un maledetto gioco?! Io sono questo per te? Un giocattolo? – gridò rabbiosamente, il tono pregno di disperazione e umiliazione.
- Ti è dispiaciuto così tanto, Granger? – replicò annoiato, come se fosse indifferente. – E allora perché non ti sei tirata indietro?
 
Solo un gioco.
 
- Volevi umiliarmi, Malfoy? – sussurrò lei qualche attimo dopo. – Volevi umiliarmi? Ci sei riuscito, ci sei riuscito alla perfezione. – esalò con un rantolo.
 
Un rantolo così sofferente da ricordare un animale ferito.
 
Se Draco provò stupore dinnanzi alla sua confessione, non lo mostrò. Una maschera di puro gelo lo divideva dalla Grifondoro, anche se sotto tutto quel muro, sotto tutta quella protezione il sangue scorreva senza fretta.
 
Può un cuore sanguinare silenziosamente?
 
- Stammi lontano, Malfoy.
Forse fu il tono, la rabbia, i suoi occhi pieni di qualcosa di simile all’odio, forse fu tutto questo insieme, ma Draco la lasciò andare, liberandola dalla sua stressa, senza mai staccarle lo sguardo di dosso.
- Non darmi ordini, Mezzosangue. – sbottò, offendendola come molte altre volte in quegli anni.
- Forse io sono solo una Mezzosangue, Malfoy. – ammise la ragazza, a voce bassa. – Ma tra noi due non sono io quella che dovrebbe vergognarsi di essere ciò che è.
- Attenta a come parli, Granger.
Il Serpeverde indurì la mascella, mentre i suoi occhi lanciavano lampi.
- Tu sei solo, Malfoy, proprio come quella notte di un anno fa! - gridò. - E sai qual è il motivo? Perché nessuno potrebbe mai tenere a qualcuno come te!
Quelle parole gliele urlò con crudeltà, dritte in faccia. Gliele urlò con lo scopo di ferirlo, con il fine di fargli del male, così come lui la umiliava continuamente. Fu solo cattiveria quella che la spinse a pronunciare parole tanto spregevoli e sprezzanti, perché quel dolore che sentiva non riusciva a tenerlo tutto per sé; aveva bisogno di passare il fardello anche a qualcun altro.
Riuscì nel suo intento, anche se poi il senso di colpa la fece pentire di ciò che aveva detto.
 
Quelle parole ferirono. Tanto.
 
Forse troppo.
- Vattene, Granger.
 
Una voce così gelida che avrebbe raffreddato anche l’inferno.
 
La ragazza sussultò spaventata da ciò che aveva visto passare nei suoi occhi e dalla sua espressione minacciosa.
- Io… – si chiese per un attimo se fosse il caso di scusarsi, ricordandosi poi di tutti gli insulti e le cattiverie che lui non aveva certo evitato di elargirle in quei lunghi anni.
- Vattene, adesso. Lo dico per il tuo bene.
 
Minaccia.
 
- Ma…
- Ho detto “Vattene” – Draco scandì bene le parole, sibilandole in modo tanto glaciale da abbassare la temperatura del corridoio.
Mentre lo fissava con gli occhi in cui cominciava a farsi strada il terrore, la ragazza si rese conto di come ancora una volta fossero riusciti a rovinare tutto quanto, di come quel bacio che a lei era sembrato un bellissimo sogno si fosse trasformato in un incubo. Di come fossero sempre pronti a farsi del male e a ferirsi a vicenda; di come il rischio significasse annullarsi.
 
Quanto sei disposta a rischiare, Hermione?
 
Lo aveva visto senza maschere, ma al primo segno di cedimento il muro si era innalzato nuovamente, più duro che mai. Quello che aveva visto prima l’aveva resa felice, il resto l’aveva terrorizzata. Perché doveva essere tutto così difficile?
 
Perché doveva rischiare così tanto?
 
- Vai via e dimentica tutto, Granger, dimentica tutto.
Se quelle parole fossero state pronunciate con la stessa cattiveria delle altre, probabilmente Hermione avrebbe avvertito una nuova ondata di dolore, ma la voce del Serpeverde non era più sibilante, né minacciosa, soltanto incredibilmente stanca.
 
Draco.
 
E anche con tutta la volontà del mondo, Hermione sapeva che non sarebbe riuscita a dimenticare proprio nulla e, forse, neanche lui.
 
Quanto sei disposta a rischiare, Hermione?
 
Mentre la Grifondoro indietreggiava, i suoi occhi fissi sulla schiena di Draco, voltatosi nella posizione opposta rispetto alla sua, percepì quel tremendo strappo al cuore.
 
Perché fa così male?
 
Abbassò gli occhi appoggiandosi al muro del corridoio, con le lacrime in procinto di uscire, ma che furono frenate al loro primo tentativo di scappare. Fece scivolare una mano sulla sua pancia, fissò ciò che racchiudeva il frutto di quell’amore sbagliato, il frutto di quell’errore. Ripensò in un attimo ai due incontri che aveva avuto: Draco e Malfoy.
Forse avrebbe dovuto davvero riuscire a dimenticare, avrebbe dovuto provare a lasciar andare quell’amore tossico e distruggente e vivere la sua vita, lasciando che fluisse il suo corso. Forse sarebbe stato meglio ignorare i suoi sentimenti.
Sarebbe stato più facile.
 
Ma avrebbe anche significato rinnegare se stessa.
 
Accarezzò il proprio grembo, immaginando di cullare il suo cucciolo, che tra pochi mesi avrebbe stretto tra le braccia. Si morse le labbra con forza, strizzando gli occhi ed esalando un ansito di tristezza. Si appoggiò al muro nuovamente, scivolando giù, con gli occhi ancora fissi sulla parete di fronte a sé. L’immagine di Draco sfrecciò davanti a lei, in un ricordo che non sapeva neanche più se reale o finto: il suo respiro accelerato, le guance rosse, un sorriso sereno ad aleggiargli sul volto.
- Io ti amo. – sussurrò al muro, come se quelle parole potessero risolvere tutto quanto, come se potessero avere il potere di spazzare via tutto il dolore.
Era la prima volta che pronunciava quella frase.
Ed era una cosa davvero triste sapere che ad ascoltarla c’era soltanto il silenzio opprimente, che inghiottiva tutto quanto.
- Ma fa male… Fa troppo male. – sussurrò, chiudendosi a riccio, come se potesse proteggersi.
 

Quanto sono disposta a rischiare?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
 
 
*Restituisco tutti i pomodori, le uova e tutti le maledizioni che mentalmente mi avete mandato durante lo scorso capitolo*   Sono una persona educata io. ù.ù
Salve a tutti lettori e lettrici, scrittori e scrittrici! Non posso dire di essere propriamente puntuale, ma sono ugualmente soddisfatta di non aver superato il ritardo di un mese come per il capitolo scorso ;)
Vi avviso subito che il prossimo capitolo NON arriverà prima di due settimane, perché mia madre mi ha semi-sequestrato il computer e non posso utilizzarlo più di 10 minuti a giornata. Bah….queste mamme isteriche! -.-”
Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, anche perché….è uno dei miei preferiti! *w*
Punto numero 1: Avete visto? Il bacio tra Draco e Hermione c’è stato! Sarei stata davvero troppo cattiva a far finta che non fosse successo niente, per cui ho deciso di esaudire le vostre richieste. Beh…siceramente la scena che ho descritto tra loro due mi piace davvero tanto. Non per vantarmi, ma per una volta sono soddisfatta di quello che ho scritto.
Punto numero 2: Per i sostenitori della coppia Daphne e Blaise….eheh…avete visto? Cosa succederà? Cosa combinerà Daphne? Si accettano scommesse! ^_^
Punto numero 3: So che la fine del capitolo può sembrarvi triste, ma vi assicuro che nel prossimo migliorerà decisamente. La scena tra Draco e Hermione non è ancora finita, quindi aspettate a mandarmi improperi :)
Punto 4: Il capitolo, come forse avrete già capito, non è ancora finito. Manca ancora la TERZA e ULTIMA parte della festa, che, diciamo, sarà quella che chiuderà la serata.
Punto 5: Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite/seguite/ricordate o anche a chi legge in silenzio. Ringrazio anche quelle persone che hanno me come autrice preferita! Non avete idea di quanto mi riempiate di gioia. Infine un GRAZIE gigantesco a quelle dolcissime 16 ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo: Black_Yumi, tonks17, Betty97, Rowan936, Rospetta89, Ezrebet, MadamaBumb, Felpick93, Virus14, Draco the best, Lierin_, piumetta, Notteinfinita, Stella94, FedePluck93 e elisadi80.
Grazie anche a quelle dolcissime 7 ragazze che mi hanno segnalato all’amministrazione per le scelte: DracoMattyMalfoy, Felpick93, Slytherin_Ss, UraniaSloanus, aranciata, Darleen e Sasoriza98.
Nella speranza che la storia continui a piacervi e che qualcuno sia ancora disposto a seguire questa pazza, vi mando un abbraccio stritolatore!
flors99

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Capitolo 20
*** Party (Third Part) ***


 
- Lasciami immediatamente, insulso essere di non so quale specie! – la ragazza si divincolò dalla presa di Blaise, il viso rosso di rabbia. – Tu non sei un cavaliere errante! Mi hai mentito!
Il Serpeverde si schiaffò una mano sul viso, combattuto tra il desiderio di strozzarla e quello di farla arrivare illesa al suo dormitorio.
- Perché hai mentito? – continuò Daphne, ignara dei piani omicidi che Blaise stava elaborando per metterla a tacere per sempre. – Non sai che raccontare bugie è sbagliato? Si ruba la verità agli altri, è un atto sacrilego, pieno d’infamia e di sdegno! Per nessun motivo, e ripeto, nessuno, bisogna mentire! Anche se ammetto che talvolta una piccola menzogna può scappare tra le parole, purché sia di veramente minima portata, cosa che non si può assolutamente dire di te! Mi hai fatto credere che tu fossi un cavaliere errante, mi hai sottratto il fido valletto che avevo appena trovato e mi hai trascinato via in malo modo dalla festa onerosa alla quale ero stata invitata! Tralasciando la tua maleducazione e la tua rozzezza, non posso credere che tu mi abbia anche mentito sulla tua identità!
- Non costringermi a farti un incantesimo Silencio. – mormorò Blaise, pur sapendo che la minaccia sarebbe caduta a vuoto dato che non aveva la bacchetta con sé. Maledizione.
- Un incantesimo? Di quale stramberie stai mai parlando, cavaliere a quanto pare non errante, ma nemmeno cavaliere, perché se tu lo fossi stato, non avresti avuto un carattere tanto scontroso? I cavalieri sono persone di nobile animo e spirito e tu decisamente non rispetti codesti canoni. Ma io mi ero accorta subito della tua menzogna! Solo che… ho voluto darti fiducia! Ebbene sì, la mia fiducia incontrollata nelle persone, ancora una volta, mi ha portato alla rovina, facendomi credere nelle tue buone intenzioni, quando invece volevi solo rapirmi e chiedere riscatto! Ah!
 
Non strangolarla, Blaise. È colpa di una pozione, finirà presto.
 
Il ragazzo sospirò.
- Ma non credere di riuscire a scamparla molto facilmente, sai? Io sono una persona molto potente, ho una grande influenza in campo politico! Ti farò arrestare dalle mie guardie e dal mio valletto!
- Tremo di paura all’idea di un gufo che mi arresta… – ironizzò Blaise alzando gli occhi al soffitto e imponendosi di non sbuffare.
La ragazza rimase un attimo disorientata.
- Gufo? Ma di cosa stai parlando? Cosa c’entra il mio fedele valletto con quell’uccellaccio tutto piume e niente cervello?
- A dir la verità… – Blaise fu interrotto.
- Ah! Ma io so cosa intendi! Stai cercando di imbrogliarmi! Di nuovo! Proprio come mi hai imbrogliato sulla tua identità, adesso stai tentando di farmi credere alle tue menzogne! Ma non ci riuscirai, sai? Adesso ho capito che genere di persona sei e non mi farò abbindolare dalle tue parole tutt’altro che sincere e oneste! Dovresti vergognarti! Dopo tutto quello che hai fatto, provi ancora ad ingannarmi? Non hai proprio un briciolo di onore? Mi chiedo come tu possa guardarti la mattina allo specchio e non provare disgusto per ciò che sei! Non credevo che esistessero persone come t…
- Certo, Daphne, certo. – Blaise lasciò andare un sospiro pieno di frustrazione, mentre si avvicinavano ai sotterranei.
 
Non strangolarla, Blaise. Non è certo colpa sua.
 
E poi è tua amica. Più o meno.
 
Grazie al cielo erano quasi arrivati.
La ragazza rimase zitta per qualche secondo, colta di sorpresa, per poi puntare i piedi e bloccarsi in mezzo al corridoio, costringendo così Blaise a fermarsi.
- Co-cosa? – mormorò, quasi sconvolta.
Il Serpeverde, ringraziando mentalmente Salazar, Merlino, Tosca, Priscilla e sì, stavolta anche Godric, che avesse finalmente chiuso la bocca, sperò seriamente che l’effetto della pozione fosse svanito. Un secondo più tardi, però, si dovette ricredere.
 - Esigo delle spiegazioni! – urlò la Serpeverde, facendo risuonare la sua voce acuta su tutte le pareti. – Come fai conoscere il mio nome, a meno che io non te lo abbia mai rivelato?!
- Oh, Merlino… – sbuffò il ragazzo, mentre con poca grazia riprese a sospingerla verso i sotterranei.
- Merlino? Quale Merlino? Adesso vuoi farmi credere di essere il famosissimo mago Merlino?! – strillò Daphne, con un’espressione a metà tra lo sconcerto e lo scandalizzato. –Per rendere credibile una simile messinscena ti saresti almeno dovuto travestire decentemente! Non assomigli certo a un mago vestito così! Come puoi anche solo pensare che io sia così stupida da crederti?
- E certo, come posso anche solo lontanamente assomigliare a un mago vestito così? – borbottò. – Per Salazar, Daphne, non ti sopporto più, per favore stai zitta.
La ragazza spalancò gli occhi.
- La smetti?! – gridò un attimo dopo, assordando il povero ragazzo. – Non chiamarmi per nome! Io non ti conosco!
- Certo che mi conosci! – sbottò malamente il Serpeverde, mentre le tempie gli pulsavano violentemente, causandogli un mal di testa allucinante. – Sono Blaise, tuo compagno di casa da sette anni! Ci conosciamo da quando eravamo bambini, per Salazar!
- Blaise?
Daphne smise nuovamente di camminare, riflettendo su quel nome con espressione assorta e pensierosa. Per un attimo il ragazzo sperò nuovamente che la Serpeverde avesse riacquistato un po’ di cervello, ma quando lei lo guardò, lanciandogli uno sguardo tutt’altro che lucido, capì che, purtroppo, non era affatto così.
- Hai davvero uno strano nome! – esclamò Daphne, con una nuova espressione in viso. – Insomma… che strano, ma davvero strano, nome che hai… Comincia per B e finisce per E… – rifletté, dimenticandosi completamente del fatto che Blaise le avesse mentito sulla propria identità.
- Daphne, per favore…
- Anche il mio nome finisce per E! – esclamò all’improvviso con un sorriso felice, da bambina.
- Eh, già…
- Il mio comincia per D, però! Il tuo no! Comincia per B! – protestò con un’espressione corrucciata, guardandolo malissimo come se le avesse fatto il peggiore dei torti.
- Questi sono i problemi della vita…
- Ci sono tante cose che cominciano per B! – riprese Daphne, senza curarsi più della delusione che le era stata procurata dalla scoperta che i loro nomi non cominciassero con la stessa lettera dell’alfabeto.
- Sì, ma…
- Bicchiere, borsa, bagno, bestia, buono…
- Daphne…
- Bocca, bambino, o eventualmente anche bambina, barba, binario, barca…
- Daphne…
- Bacinella, bevanda, bambola, bacca, buffo…
- Daphne!
- Bomba, battuta, baratro, b… b… Non me ne vengono in mente altre! – si lamentò la ragazza come una bambina.
- Daphne, basta!
- Perché non me ne vengono in mente altre? Non mi riesce! – protestò con occhi lucidi, a tanto così dallo scoppiare a piangere. – Uffa, uffa, uffa! Perché hai un nome che comincia per B? Cattivo!
Il Serpeverde, arrivato ormai al limite massimo di sopportazione, la afferrò bruscamente per le spalle dandole un forte scossone.
- Smettila! – esclamò duramente. – Non sei in te, Daphne! Per Merlino, smettila di parlare!
La ragazza sussultò, sorpresa dalla sua veemenza, mentre un’ombra di puro terrore si faceva strada nei suoi occhi verdi. La sua parlantina si esaurì in quel preciso istante, lasciandole la gola secca e poco fiato. Si perse in quegli occhi così blu e così pieni di rabbia e frustrazione che, se da una parte la stordivano per la loro indubbia bellezza, dall’altra la terrorizzavano a morte. Spaventata da quel senso di familiarità che avvertiva e di cui non riusciva a spiegarsene il motivo, Daphne si divincolò, impaurita, tentando di allontanarsi.
Blaise allentò la presa, accorgendosi del suo sguardo quasi disperato.
- Hai paura di me? – sussurrò, in modo più gentile di quanto prima non fosse stato, scorgendo nuovamente quel lampo di terrore balenare negli occhi chiari della ragazza. – Non voglio farti male, Daphne, io… – prima che potesse anche solo finire la frase, la Serpeverde chiuse gli occhi, svenendo tra le sue braccia.
 

 

 
 
 
Prima di tornare alla festa o anche solo provare ad alzarsi, Hermione impiegò parecchio tempo per rimettere insieme i piccoli frammenti in cui era stato brutalmente spezzato il suo cuore. Era ormai consuetudine cucire e ricucire le svariate ferite che erano state crudelmente inferte a quel piccolo organo vitale e a quel punto Hermione avrebbe già dovuto essere preparata a guarire il suo cuore e a raccogliere ciò che ne era rimasto. Eppure ogni volta Draco riusciva a farle così male da credere di non essere più in grado di rialzarsi ancora, di andare avanti, di sanare e risanare più volte tutte le cicatrici che le aveva lasciato. Così male da non sapere quanto ancora dovesse sopportare, distruggersi, prima di riuscire ad aprire uno spiraglio in quella corazza dentro cui il Serpeverde si rinchiudeva.
 
Quanto sei disposta a rischiare, Hermione?
 
La ragazza sospirò pesantemente, decidendo di ingoiare l’ennesima umiliazione, l’ennesimo colpo che le era stato brutalmente inflitto, l’ennesima dolorosa e spiacevole sensazione di solitudine e tristezza che la avvolse come una coperta. Si alzò in piedi, guardando attentamente che non vi fosse nessuno per i corridoi, onde evitare qualche incontro spiacevole, per poi dirigersi verso la Sala Grande quando appurò che fortunatamente non c’era proprio anima viva in quel luogo. Solo ripensare a quello che era appena successo le faceva salire la nausea e il dolore che le corrodeva il cuore non sembrava intenzionato a lasciarla andare. Detestava la sua debolezza e la sua vulnerabilità, due sensazioni che puntualmente si presentavano ogniqualvolta che Draco era nei paraggi. In quel momento arrivò a detestare persino se stessa per essere così insopportabilmente innamorata di lui, tanto da averne bisogno come l’aria, alla stregua di una necessità fisica, perché sapeva di non contare assolutamente niente per lui, di essere soltanto un giocattolo da prendere, usare e poi buttare via a proprio piacimento.
 
Sono così stupida.
 
Aveva addirittura sperato, per un secondo, che Draco ritornasse sui suoi passi, la raggiungesse e le chiedesse scusa per il comportamento alquanto stronzo e crudele che le aveva malignamente riservato. Ma sperare che Draco Malfoy potesse provare qualcosa di simile alla pietà o alla compassione era un’utopia vera e propria e Hermione avrebbe voluto prendersi a schiaffi da sola per essersi permessa di sperare in una cosa del genere. La verità, per quanto amara e terrificante che fosse, era che il ragazzo di cui si era tanto innamorata era quanto mai più lontano dall’essere il principe azzurro delle favole che aveva sognato da bambina.
Si passò una mano sul viso, deglutendo aria.
 
Passerà, Hermione.
 
Passerà anche questo.
 
La Grifondoro non aveva certo voglia di tornare alla festa di Natale, in mezzo a tutta quell’allegria e spensieratezza, voleva soltanto trovare Ginny o Ron e dire loro che sarebbe tornata al suo dormitorio a causa della stanchezza. Desiderava soltanto che quella serata finisse il più velocemente possibile, per poter piangere in silenzio nel buio della sua camera.
 
Le spine al posto del cuore.
 
Quando fu ormai prossima all’entrata, scorse una figura in lontananza, riconoscendo la figura di Ginny che si asciugava maldestramente gli occhi; Hermione si chiese come potesse lo strappo nel suo cuore essere in grado di allargarsi ancora, ancora di più, ancora più in fretta. Le si avvicinò, percorrendo gli ultimi passi, finché anche l’amica non si accorse della sua presenza. La giovane Weasley distolse immediatamente lo sguardo dal suo, come se fosse stata scottata. Cercò di nascondere in fretta le lacrime con un gesto piuttosto impacciato, per poi rivolgerle un sorriso quanto mai finto e sofferente. Eppure, nello sguardo di Ginny, sotto lo strato di apparente serenità, Hermione fu in grado di scorgere quell’inquietante e familiare ombra nera che si trascinava dietro un dolore così immenso e bruciante, che per poco non la fece spaventare.
 
Vuoi sapere qual è la cosa peggiore? Non te ne sei resa conto. L’hai fatta a pezzi e neanche te ne sei accorta.
 
La voce di Draco pulsò dolorosamente nella sua mente, pronta a ricordarle il suo terribile errore e a farla sentire peggio che mai.
- Ciao, Hermione. – la salutò Ginny, fingendo che andasse tutto bene e ostentando un piccolo sorriso.
Hermione certo non si sarebbe più fatta ingannare da quel finto e forzato movimento muscolare, nato da labbra che, ne era certa, fino a pochi secondi prima stavano trattenendo dei rumorosi singhiozzi. Era talmente ovvio quello che doveva essere successo che la più grande delle due Grifondoro non ebbe neanche bisogno di chiederselo.
 
Aveva litigato con Harry. Di nuovo.
 
Non le fece alcuna domanda, si limitò a lanciarle uno sguardo triste e malinconico, per poi abbracciarla, non curante dei suoi problemi; aveva pensato a se stessa per troppo tempo, era giusto curarsi anche degli altri.
- Mi dispiace. – sussurrò stringendola di più, sperando che tutta quell’immensa tristezza nel suo sguardo la abbandonasse, almeno per un po’.
- Grazie. – mormorò semplicemente Ginny che, dopo qualche minuto, le raccontò. – Gli ho chiesto… cosa avrebbe fatto al mio posto, Hermione. Ho chiesto ad Harry… – la voce della giovane strega s’incrinò. – …e… mi ha guardata in un modo, come se… gli avessi fatto male. Mi guarda come se non si fidasse più.
La giovane Weasley riuscì a formare una frase coerente soltanto dopo vari minuti.
- Ho paura. – confessò infine.
- Anch’io, Ginny.
Hermione ingoiò un groppo che si era formato nella sua gola, pesante come un sasso.
- Fa male questa paura, Ginny? – chiese, triste.
- Cosa vuoi dire?
- Fa male ciò che provi?
Ginny la guardò a lungo, chiedendosi perché Hermione le stesse ponendo una domanda simile; intuì poi, dal suo sguardo vuoto e dalle spalle leggermente tremanti, che doveva esserle appena successo qualcosa. Non le domandò niente, si limitò ad analizzare gli impercettibili e inconsapevoli segnali che lanciava il suo corpo, che sembrava essere stato percosso innumerevoli volte, tanto era scosso dai tremori.
- Sì. – sussurrò.
Hermione la fissò di rimando, sbattendo le palpebre velocemente.
- Allora perché nonostante faccia male, continui a rischiare? – domandò, con tono mesto.
Ginny increspò le labbra in un debolissimo sorriso; si passò una mano tra le ciocche rosse e rispose nel modo più delicato possibile.
- Perché sono innamorata di Harry e l’amore è anche questo: saper rischiare. – mormorò dolcemente.
- Anche quando rischiare fa male?
Ginny le accarezzò una spalla.
- Soprattutto quando fa male. – la corresse. – Lo ami, Hermione, vero? – chiese prendendola in contropiede; le pose quella domanda con la voce più flebile di un sussurro. La più grande delle due ragazze riuscì a malapena ad annuire, non trovandola forza di dirlo nuovamente ad alta voce.
- Ma fa male. – ripeté Hermione. – Fa così male che mi uccide, così male che non so se vale la pena rischiare. – confessò. – Non… non so cosa fare.
Ginny emise una risata che di allegro non aveva proprio nulla.
- Tu sai già cosa fare, Hermione. – le rispose, sorridendo in modo triste. – Hai già scelto senza che tu te ne rendessi conto.
- Cosa? – la Caposcuola sussultò.
- Hai già scelto di rischiare. Hai già scelto Malfoy.
- Cosa stai dicendo, Ginny?
Sapeva lei a malapena cosa provava, come poteva qualcun altro essere a conoscenza dei suoi pensieri?
- Sto dicendo che tu hai scelto di rischiare, nel momento in cui hai scelto tra Malfoy e Ron.
Hermione non disse niente, limitandosi a fissarla con ancora più insistenza, al sentir pronunciare il nome del giovane Weasley. Una piccola parte del suo cuore perse qualche stilla di sangue ripensando al dolce bacio che si era scambiata con Ron, ma la parte più grande, intossicata dalla presenza di Draco, la mise rapidamente a tacere.
- Quando… – Ginny prese un bel respiro. – …Quando ho capito che eri innamorata di Draco, io avrei voluto… strangolarti. – confesso, socchiudendo un attimo gli occhi. – Avrei voluto scuoterti per capire cosa ti passasse per la testa, non riuscivo a comprendere cosa ti avesse spinta da lui… perché provassi per Malfoy emozioni così forti quando avresti dovuto solo odiarlo per tutto quello che ti aveva fatto. – s’interruppe, fissando Hermione negli occhi. – Avevi Ron, Hermione. Ron ti avrebbe sempre amato, sempre. Ti avrebbe dato tutto, senza chiedere niente in cambio e so che insieme sareste stati felici.
La riccia distolse lo sguardo.
 
Mi stai uccidendo, Ginny.
 
- Non… non ti seguo. Perché mi dici queste cose? – chiese la Caposcuola, con un sospiro tremante, le parole della giovane Weasley a ferirla quanto la lama di un coltello.
Ginny non sembrò udirla. Si perse nelle note della sua stessa voce che si abbassò come se stesse sussurrando un segreto. Un segreto di cui solo lei era a conoscenza.
- Tu faresti qualunque cosa per Malfoy, Hermione. L’ho capito, ormai. Faresti di tutto, anche ferire te stessa, anche prenderti colpe che non hai. Ma lui non farebbe la stessa cosa. – sussurrò. – So che faresti di tutto anche per Ron. Ti prenderesti colpe che non hai per farlo stare meglio. Lo so, l’ho visto. Rischieresti la vita per lui, l’hai dimostrato. Faresti molto di più di ciò che un’amica farebbe, e… Ron farebbe la stessa cosa. – mormorò. – Con Ron avresti avuto la sicurezza della felicità, con Malfoy hai soltanto davanti a te un burrone nel quale puoi decidere di buttarti, ma dove non sai se arriverai mai a toccare il fondo. Il sentimento che provi per Ron è puro. Me ne sono accorta, Hermione. Vedo come il sorriso ti nasce spontaneo dalle labbra in sua presenza, come i tuoi occhi brillano nell’incrociare i suoi. – continuò Ginny, continuando a sussurrare, come se stesse intonando una ninna nanna. – L’amore per Ron è qualcosa che ti fa sentire protetta e ti rende forte. – la voce di Ginny s’incupì, gli occhi si oscurarono. – Quello che provi per Draco è qualcosa di tossico, Hermione, t’indebolisce, ma allo stesso tempo ti fa sentire viva. Per te può essere la cosa migliore… o la peggiore.
Un’altra pausa, un altro silenzio, un secondo di sospiro.
- Hai scelto Malfoy. Hai scelto di gettarti nel baratro, adesso tocca a te scoprire quanto è profondo, quanto sei disposta a cadere prima di toccare terra. Non importa quanto tu debba rischiare Hermione, se è quello che vuoi devi fare di tutto per prenderlo. – concluse.
- Mi… mi sento uno schifo, Ginny. – fu tutto quello che rispose Hermione, dopo vari secondi di silenzio.
- Perché ho capito tutto prima di te? – la giovane Weasley accennò quello che doveva avere la parvenza di una battuta sincera.
- No. – chiarì Hermione. – Mi sento uno schifo per quello che ho fatto a te e a Ron.
 
Perché tu mi sei sempre stata accanto e tuttavia hai perso più di tutti.
 
- Le cose si sistemeranno. – mormorò Ginny. – Harry… Harry capirà. So che lo farà, deve farlo. – continuò a bisbigliare.
- Grazie, Ginny. Davvero. – mormorò Hermione, sinceramente grata per il suo appoggio. Per averla vicina, anche se non lo meritava.
La rossa mosse gli angoli della bocca, per poi voltare la testa in direzione della Sala Grande, dalla quale proveniva uno strano silenzio. Per un attimo entrambe le ragazze si chiesero, interrogative, il perché dell’assenza di rumore.
- Possiamo rientrare un attimo? – propose Ginny, dopo qualche secondo, sospettosa. – Hermione annuì, più animata rispetto a prima, e precedette Ginny nella Sala Grande. Poco prima di oltrepassare la soglia, però, Ginny sussurrò, ignara che Hermione la stesse ascoltando, quelle parole che sarebbero rimaste per sempre impresse a fuoco nella sua mente.
- Con Malfoy girerai tutto il mondo, prima di poter trovare un posto che possa essere chiamato casa. Con Ron, saresti sempre stata lì.
La Caposcuola fece finta di nulla: non si soffermò su quelle tristi parole, perché se lo avesse fatto sicuramente avrebbe sentito anche quell’ultima parte del suo cuore crepato, ridursi in mille pezzi.
 
Fu più semplice far finta di non aver sentito.
 
Ancora una volta la finzione vinse sulla realtà.
 
 
La festa era leggermente degenerata.
Si accorsero tutti di questo piccolo dettaglio quando Seamus Finnigan, mezzo traballante, salì su due o tre tavolini impilati per gridare a tutti coloro che erano ancora presenti di passare buone vacanze natalizie. A parte il gesto teatrale dei tavolini, le sue parole non provocarono chissà quale scalpore tra studenti e professori, almeno fino a quando, con un risata quanto mai isterica e ubriaca, non cominciò a urlare “I Grifondoro ce l’hanno d’oro” o qualcosa di simile. I Serpeverde – giustamente – oltraggiati da una tale affermazione avevano ben pensato di ribattere con qualche battuta poco consona che giunse alle orecchie dei professori rimasti a controllare la situazione.
Avendo notato il rumoreggiare sempre crescente, la professoressa McGranitt, prima di dover ascoltare altre stupidaggini, zittì tutti immediatamente con un’ammonizione e ordinò a Seamus di scendere dai tavolini.
Hermione e Ginny, entrate in quell’istante, s’interrogarono entrambe sullo stato di salute del loro compagno di casa e sulla necessità di portarlo in Infermeria.
- Avanti, signor Finnigan, scenda immediatamente.
- Ohhh, la professoressa McGranitt! – ululò il Grifondoro per tutta risposta, scoppiando a ridere senza un motivo ben preciso.
La professoressa sospirò, già pronta a metter mano alla bacchetta a costo di tirarlo giù da lì.
- La mia pazienza ha un limite. – sibilò. – A meno che non voglia che alla sua casa vengano sottratti punti anche a la sera di Natale, si affretti a fare come le ho detto.
Seamus, che non era ubriaco a tal punto da non cogliere la velata minaccia, deglutì pesantemente e abbandonò la sua postazione, con un’espressione triste per essere stato spodestato dal suo “trono”. Mentre la professoressa scuoteva la testa, chiedendosi quanto mai avesse bevuto quel povero ragazzo, Lavanda, col suo vestito svolazzante, prese il posto di Seamus, avanzando la scusa di voler fare un ultimo saluto speciale per tutti gli studenti.
- Tanti auguri a tutti! – trillò con un sorriso che fece storcere la bocca sia a Ginny che a Hermione. – Per alcuni di noi questa è l’ultima festa di Natale che avremo la possibilità di passare insieme. – disse la bionda, assumendo un’espressione commossa che Hermione non seppe giudicare se vera o se falsa. Un terribile presentimento si fece strada dentro di lei, mentre osservava quel sorriso finto che le faceva rivoltare lo stomaco; prima che potesse anche solo aprir bocca e parlare con Ginny del dubbio che le era balenato in testa, Lavanda parlò di nuovo. – Quindi facciamo in modo che sia indimenticabile! – esclamò, sorridendo ancora.
La sua proposta fu accolta con piuttosto entusiasmo dagli studenti che si ammassarono intorno allo schieramento dei tavoli e, accompagnati dal motivetto intonato dalle ghirlande magiche, cominciarono a intonare canzoni natalizie.
Hermione e Ginny si ritrovarono incastrate in mezzo alla massa di persone, venendo poi involontariamente sospinte di lato.
- Buon Natale a tut… Hei, hei! – gridò Lavanda, con tono sperezzante. – Un po’ di delicatezza nello spingere le persone, Hermione è incinta! Ragazzi, fate attenzione! Ooops, l’ho detto ad alta voce? Scusa, Hermy cara, spero solo che tu non ti sia fatta niente!
Le parole di Lavanda terminarono nello stesso esatto momento in cui il cuore di Hermione cominciò a palpitare furiosamente nel petto e le guance presero a scottarle per l’imbarazzo e l’umiliazione.
Una miccia che scoppia non avrebbe fatto così scalpore. Un boato che risuona non avrebbe mai ottenuto quel silenzio inquinante. Piccoli gruppetti di persone che non avevano probabilmente udito le parole di Lavanda continuarono a canticchiare allegramente per poi zittirsi, occhieggiandosi intorno e domandandosi il motivo di quel silenzio. Ragazze e ragazzi cominciarono a sussurrarsi chissà cosa, darsi di gomito, indicare la figura ferma di Hermione come se avesse appena compiuto il più grande degli atti blasfemi.
In Sala Grande piombò il silenzio più totale. Neanche i professori mossero un muscolo, come se tutti fossero stati sospesi nel tempo e nessuno si fosse ricordato di farlo andare avanti.
 
Quindi facciamo in modo che sia indimenticabile.
 
Quel Natale fu indimenticabile.
Rimase indelebile nel cuore di Hermione, una ferita così profonda che non sarebbe via neppure ricucendola. Fecero male gli occhi curiosi che si posarono su di lei, avidi di pettegolezzi e di qualcosa su cui poter sparlare; fecero strano gli occhi degli amici che le rivolsero un'unica domanda, che le chiedevano un’unica conferma, che con lo sguardo cercavano in lei una smentita, qualcosa per non dover credere a quell’assurda verità, a quella situazione difficile, di cui mai nessuno l’avrebbe immaginata protagonista.
 
Quel momento Hermione non lo scordò mai più.
 
La Grifondoro avvertì le proprie guance sul punto di esplodere da tanto che erano rosse, le mani più che mai tremanti e allo stesso tempo inerti lungo i fianchi.
Si sentì persa l’istante successivo. Ebbe l’inquietante sensazione di essere immersa in una vasca di acqua ghiacciata e piena di squali, pronti ad azzannarla e a squartarla nel più brutale dei modi. Alzò coraggiosamente lo sguardo cercando un appiglio in mezzo a quel mare in cui stava annaspando e una boccata d’aria a cui poter anelare, per recuperare il respiro. Quello che incontrò le fece paura. Lo sconcerto, l’incredulità di tutti e in alcuni volti amici Hermione riconobbe una nota di comprensione che sembrava dire: non preoccuparti, non le crediamo.
Proprio come Harry.
 
Io non le ho creduto, è ovvio!
 
Ed era finita nel peggiore dei modi.
L’aria cominciò a mancare, tutto intorno a lei si fece soffocante, la vista sbiadì; ma prima che cadesse nel burrone nero che la inghiottiva, avvertì un piccolo tocco familiare sulla sua mano. Una stretta dolce e tranquillizzante. Cercò Ginny con lo sguardo, non staccando neppure per un attimo la mano intrecciata alla sua.
 
Gli occhi azzurri della ragazza le restituirono l’aria.
 
Spostò lo sguardo ancora.
Incontrò gli occhi di Ron.
 
Gli occhi azzurri di Ron le restituirono il respiro.
 
E infine compì l’ultimo passo.
Il pezzo mancante.
Incontrò gli occhi di Harry, riconoscendolo e riconoscendosi. Sapeva di non essere ancora arrivata a qualcosa che assomigliasse al perdono, ma guardando l’amico di un tempo non si sentì esclusa, né tagliata fuori dal suo sguardo. E capì che forse una possibilità per ritrovarlo, per ritrovarsi, c’era.
 
Gli occhi verdi di Harry le restituirono la forza.
 
E infine il ricordo degli occhi di Draco – non Malfoy – le restituì se stessa.
 
Li guardò tutti, poi. Affrontò tutte quelle paia d’occhi che la scandagliavano brutalmente con un accenno di imbarazzo, ma senza l’umiliazione cocente che l’aveva attraversata fino a un attimo prima.
 
Non c’era vergogna nel suo sguardo.
 
Solo se stessa.
 
D’altronde a Hermione non importava granché delle chiacchiere comuni, se non dei suoi amici. In quell’istante non le importò neanche di quello.
 
Che mi guardino, che mi guardino tutti.
 
Capì in quel momento quanto fosse immensamente semplice farsi scivolare addosso tutte quelle cattiverie bisbigliate e di quanto poco effettivamente le importasse della possibile opinione che i professori avrebbero potuto avere di lei.
 
Hai già scelto tra rischio e protezione. Hai già scelto Malfoy.
 
Hai già scelto di rischiare.
 
Fissò Lavanda con rabbia cocente, impedendo a se stessa di provare qualcosa di diverso nei suoi confronti o di farle intuire quanto profondamente l’avesse ferita.
 
Perché Lavanda non si meritava niente, nemmeno le sue lacrime.
 
La raggiunse con passo calmo, finché non si fronteggiarono occhi negli occhi. Poiché la riccia non sembrava intenzionata a dire alcunché, la bionda Grifondoro l’anticipò:
- Tutto bene, Granger? – domandò attorcigliandosi una ciocca di capelli intorno al dito.
- Come se t’interessasse. – rispose a denti stretti.
- Oh, giusto. Dovrebbe interessarmi, perché… ? – borbottò per tutta risposta, assumendo un’espressione pensierosa. – In effetti, non m’importa affatto. E da adesso in poi, non importerà a nessuno di te, Granger. – concluse con una risata sprezzante.
- A noi sì.
Non si aspettava certo Hermione che qualcuno si sarebbe fatto avanti per difenderla e meno che mai si sarebbe aspettata che a ricorrere in suo aiuto sarebbe stato il dolce e timido Neville.
- Anche a me importa di Hermione. – confermò Luna, stretta al braccio di Neville, annuendo ripetutamente con le ciocche che le ballonzolavano davanti al viso.
- A tante persone importa di Hermione. – concluse infine Ginny, affiancando l’amica. – E tu, Brown? Tu puoi dire lo stesso?
Hermione vide la bionda davanti a lei fremere di rabbia e trucidare il povero Neville che aveva osato contraddirla.
- Io non mi vergogno di ciò che sono, Brown. Cercando di umiliare me non hai fatto altro che umiliare te stessa, mostrando che genere di persona tu sia. – disse seccamente la Caposcuola. – Come persona e come amica sei soltanto un fallimento.
Lavanda spalancò gli occhi e Hermione fu sicura di vedervi scorgere un lampo di dolore che le rese gli occhi lucidi.
- Io sono migliore di te. – sussurrò infine, lasciandola lì a bocca aperta, mentre ancora cercava qualcosa d’intelligente da ribattere.
Incontrò per un attimo lo sguardo di Ginny, che le sorrise in modo strano.
 
Hai già scelto di rischiare, Hermione. Hai già scelto Malfoy.
 
Lo capì in quell’istante: quando si rese conto che non le importava niente di tutti quegli sguardi curiosi che la fissavano, quando si accorse che tutto quello di cui aveva bisogno, tutto ciò che le bastava per avere l’aria, il respiro, le forze, erano quelle uniche persone che le erano state accanto per gran parte della sua vita. Si accorse che per lei, per il suo futuro – suo figlio – tutto ciò che serviva erano quei tre sguardi sinceri e pieni d’affetto. Mancava solo l’ultimo pezzo del puzzle, l’ultimo tassello.
 
Se stessa.
 
Guardò nuovamente Ginny, le parve di leggere un messaggio tra le sue labbra: “Vai”.
 
Vai.
 
Hai scelto di gettarti nel baratro, adesso tocca a te scoprire quanto è profondo, quanto sei disposta a cadere prima di toccare terra.
 
Vai.
 
Con un mezzo sorriso, non facendo caso agli sguardi di nessuno, scappò via, lasciando dietro di sé quel silenzio inquinante di cui lei non voleva più far parte.
 
Non importa quanto tu debba rischiare, Hermione, se è quello che vuoi, devi fare di tutto per prenderlo.
 
Vai.
 
Su una cosa però Ginny si era sbagliata.
 
Hai già scelto Malfoy, Hermione.
 
No, lei non aveva scelto Malfoy. Non l’aveva mai fatto.
 
Io ho scelto l’altro Malfoy.
 
Draco.
 
Con un fruscio la ragazza sparì oltre la Sala Grande.
 
Vai, Hermione. Vai da lui.
 
Finalmente hai capito, quanto sei disposta a rischiare.
 
Tutto, anche te stessa.
 

 


 
 
Daphne percepiva uno strano sapore in gola: qualcosa di piccante, fin troppo saporito per i suoi gusti. Sentiva gorgogliare quella strana sostanza in fondo al palato e nonostante se ne fosse chiesta l’origine più di una volta, non riusciva proprio a identificarne la consistenza. Deglutì la saliva o quel che ne era rimasta: aveva la gola stranamente secca.
Socchiuse leggermente le palpebre ed esaminò il luogo in cui si trovava, assumendo un’espressione confusa quando comprese di trovarsi nel corridoio che conduceva ai sotterranei. La testa prese a pulsare dolorosamente, mentre, non senza sconcerto, si rendeva conto di essere a sedere per terra. Prima di potersi anche solo chiedere cosa fosse successo una mano calda si appoggiò sulla sua guancia destra. Sollevò lo sguardo lentamente, sinceramente confusa e non tanto sicura di essere nel pieno delle sue facoltà mentali, trovandosi davanti il viso di Blaise. Si perse nell’osservare l’increspatura che gli solcava la fronte, testimone della preoccupazione che doveva aver provato.
- Blaise… – sussurrò, inclinando la testa di lato, come se lo stesse studiando. 
 
- Per Merlino, Daphne, mi hai fatto preoccupare, credevo che…
Le parole del Serpeverde si persero nel corridoio e ad ascoltarle rimasero soltanto le nude pareti della scuola. La mente di Daphne, intanto, girovagava altrove e si soffermava su particolari a cui prima non aveva mai prestato attenzione. Osservò con cura minuziosa i lineamenti del viso di Blaise, la fronte corrugata, la punta del naso, le labbra piegate in una sorta di smorfia, desiderando più che mai poter tracciare quel percorso non solo con gli occhi, ma anche con le mani. Avvertì la guancia scottare, laddove la mano di Blaise vi era poggiata sopra e quando lui le regalò una leggera carezza, il suo stomaco rimbalzò tre o quattro volte.
- …ma tu stai bene? – concluse il ragazzo, non senza una nota di preoccupazione nella sua voce.
Daphne, che non aveva udito un emerito paiolo del suo discorso, sbattè leggermente le palpebre per metterlo bene a fuoco.
 
Blaise.
 
Blaise a un centimetro dalla sua faccia.
 
La Serpeverde rischiò di fare una capriola all’indietro quando si rese effettivamente conto di chi diavolo aveva davanti. Balzò in piedi come una rana, rischiando malamente di inciampare.
- Daphne! – esclamò Blaise, sorpreso, con la mano ancora protesa a mezz’aria.
- B-b-blaise?! – strillò isterica. La ragazza deglutì pesantemente, inconsapevole di quello che le stava succedendo. Non sapeva proprio come spiegarsi quello strano torpore che l’aveva avvolta fino a un secondo prima e le aveva impedito di rendersi pienamente conto che, per Merlino, Blaise era lì, a un centimetro dalla sua faccia. E le stava facendo una carezza.
- Hei, hei, non ti agitare. – si affrettò a dire Blaise, mettendo le mani avanti, senza sapere cosa aspettarsi da lei.
- Non sono agitata! – esclamò Daphne con tono petulante, al limite dell’isteria.
Il Serpeverde sospirò, avvicinandosi di nuovo e per tutta risposta la ragazza indietreggiò con il respiro corto. Ma cosa Merlino le prendeva? Cos’era quell’assurda sensazione di… di… saltargli addosso?! Inoltre, l’enorme buco nero che aveva in testa e che le impediva di ricordare cosa fosse successo e del perché lei non si trovasse alla festa contribuiva a farla agitare e innervosire più di quanto già non fosse. L’ultima cosa che poteva affermare con sicurezza di ricordare era quella sensazione nauseante che l’aveva assalita quando aveva scorto Blaise e quella piovra bionda baciarsi.
- Perché siamo qui? – riuscì a chiedere alla fine, imponendosi di non arretrare più.
 
Per Salazar, è soltanto Blaise, datti una calmata! 
 
Il ragazzo non rispose, palesemente confuso dai suoi atteggiamenti e assunse un’espressione pensierosa, esaminandola scrupolosamente. Separò poi con una falcata lo spazio che li divideva, poggiandole una mano sulla fronte.
Fu talmente brusco lo scatto che Daphne fece per sottrarsi a quel contatto che la sua schiena cozzò brutalmente contro il muro.
- Hai… paura di me, Da? – le domandò il ragazzo, registrando le sue reazioni.
- Eh?! – rispose la Serpeverde con una smorfia, palesemente indignata.
Ma che domanda stupida era? Lei non aveva paura di niente! Di Blaise meno che mai! Il fatto che il suo corpo le stesse lanciando degli strani segnali e fremesse dalla voglia di buttarsi di peso addosso a lui, era soltanto un piccolo e imbarazzante problema che avrebbe risolto il prima possibile.
- Hai… paura di me? – ripetè allora Blaise.
- No! – rispose con fermezza, mentre ancora tentava di capire perché mai loro due si trovassero lì. – P-perché siamo qui? – domandò maledicendosi per quel balbettio. – E poi che vuol dire se ho paura? Perché dovrei averne?
- Non ricordi niente?
- No! – esclamò esasperata. – Ho un enorme buco in testa, non ricordo assolutamente nulla di nulla! E se tu magari ti degnassi di spiegarmi cos’è successo, senza perdere tempo a farmi domande idiote…
- Vedo che non hai perso la tua isteria, però… – rifletté Blaise, tremando già all’idea che ricominciasse a parlare come prima.
- Cosa?! Io non sono isterica, chiaro?!
- Mah…
- Per Salazar, Blaise, potresti darmi una spiegazione decente?
- Hai avuto un piccolo incidente. – rispose con calma il ragazzo, analizzando nuovamente il suo viso cercando di capire se l’effetto della sostanza ingerita fosse svanito o meno. – Non so spiegarti di preciso come o perchè, ma hai bevuto una pozione, o almeno questo è quello che mi ha detto Pansy, che … ti faceva straparlare, più o meno. – fece una smorfia, prima di continuare. – Tralasciando i dettagli, io e Pansy abbiamo ritenuto che fosse meglio portarti via. Lei è rimasta alla festa per non dare nell’occhio, mentre io ti stavo accompagnando. – concluse, eliminando una buona dose di dettagli.
- Chissà come ti è dispiaciuto lasciare quell’oca bionda con cui ti stavi intrattenendo… – fu la sarcastica e tagliente risposta di Daphne.
Blaise spalancò i suoi occhi blu.
- Ti ho appena detto che hai bevuto una pozione che ti ha fatto assumere comportamenti irrazionali e l’unica cosa che ti viene in mente di rispondermi è questo? Il fatto che io stessi ballando con una ragazza?
La Serpeverde si morse la lingua, chiedendosi perché avesse aperto bocca. Sollevò le spalle il secondo successivo e assunse un’espressione spavalda.
- Beh? È l’ultimo ricordo che ho della festa, che posso farci? Mi sarà rimasto impresso a causa del disgusto probabilmente. – ironizzò, con pesante sarcasmo. – Sono tutte interscambiabili per te, eh Blaise?
Gli occhi del Serpeverde si strinsero in due fessure, non appena udì le sue parole più affilate di una lama.
- Anche se fosse… – sibilò. – …non vedo come la cosa possa riguardarti, Daphne. Non hai alcun diritto di giudicarmi e, soprattutto, non sei la mia ragazza.
Forse una secchiata d’acqua gelida l’avrebbe colta meno alla sprovvista. Sapeva che Blaise non provava niente nei suoi confronti, ma sentirselo sbattere così brutalmente in faccia era stato peggio che ricevere uno schiaffo.
Merlino, quando avrebbe imparato a tenere a freno la lingua? Gli occhi improvvisamente le si fecero lucidi, senza un motivo preciso. Non erano certo una novità le parole di Blaise, se le ripeteva anche lei continuamente. Non era la sua ragazza e non era autorizzata a fargli alcuna scenata di gelosia, doveva soltanto farsene una ragione e imparare ad accettarlo.
- Per fortuna. – rispose ironica, nascondendo tutte le crepe che increspavano il suo cuore. Incrociò le braccia al petto, cercando di calmare quelle strane ondate di calore che avvertiva da quando si era svegliata e che ancora non accennavano ad andarsene. Merlino, non sapeva su cosa concentrarsi, se su quelle strane sensazioni che la stavano attraversando, o se sulla delusione che covava nel profondo dell’animo.
- Comunque… – riprese Blaise dopo qualche secondo, cercando di non far trapelare la rabbia. – Mentre borbottavi qualcosa sul fatto che il mio nome comincia per B sei svenuta improvvisamente. Poi ti sei risvegliata e… beh, il resto lo sai.
- Sono svenuta?
- Già. – fu tutto quello che rispose il Serpeverde, infilando le mani nelle tasche del completo che aveva indossato per la festa, nel tentativo di nascondere il loro tremolio. Merlino, conosceva Daphne ed era ben consapevole del suo caratteraccio e delle frasi estremamente taglienti che era solita rivolgergli, ma questo non le dava certo il diritto di dirgli certe cose. Prese un bel respiro, calmandosi un po’.
- Ah. – chiosò la Serpeverde.
- Comunque ora stai bene, o no? – le chiese bruscamente il ragazzo.
A dire tutta la verità Daphne non si sentiva per niente bene. Tralasciando quella piccola stretta al cuore provocata dalle parole di Blaise, quella strana sensazione continuava a perpetrare nel suo corpo e non presagiva nulla di buono. Il fatto che ogni volta che i suoi occhi si soffermavano sul viso di Blaise, anche solo per un istante, lei sentisse l’impulso di abbracciarlo, poteva essere considerata una cosa positiva? E il fatto che prima, quando involontariamente i suoi occhi verdi si erano posati sulle labbra del ragazzo, lei avesse avuto l’istinto di gettarglisi addosso, poteva anche questa essere considerata una cosa positiva?
Annuì distrattamente al Serpeverde, non arrischiandosi a guardarlo neppure, casomai avesse sentito qualche altro impulso.
- Possiamo andare nei dormitori? – la ragazza fu la prima a stupirsi per quella richiesta. Piuttosto che chiedere aiuto a qualcuno, si sarebbe fatta Cruciare, specialmente a Blaise e, in particolar modo, dopo quello che le aveva detto. Eppure era più che certa che restare da sola non fosse affatto una buona idea e la prospettiva di dover raggiungere in solitudine il suo dormitorio le fece accapponare la pelle.
 
Cosa mi sta succedendo?
 
Non che la compagnia di Blaise l’aiutasse chissà quanto (anzi, peggiorava le cose), ma era sicura che se si fosse separata da lui, sarebbe stato peggio. Insoliti brividi cominciarono a percorrerle interamente la spina dorsale e il fiato si fece più accelerato.
- Mi dispiace per quello che ti ho detto, non avrei dovuto.
Per un attimo si bloccarono entrambi, estremamente sconcertati.
Blaise per poco non si strozzò con la sua stessa saliva, con gli occhi fuori dalle orbite.
- Tu, Daphne Greengrass, la persona più orgogliosa del Mondo Magico, che non chiederebbe scusa nemmeno se ti minacciassero con un Avada Kedavra, mi… hai appena detto che ti dispiace?! – esclamò, senza scherno.
- Ehm, eh… Uhm.  – borbottò Daphne per tutta risposta, desiderando prendersi a schiaffi da sola. Per Salazar, magari poteva averle anche pensate quelle parole, ma dirle assolutamente no!
 
Ma cosa Merlino mi prende?!
 
Arrossì come un pomodoro maturo, per la prima volta nella sua vita a corto di parole.
- Beh?! – gracchiò, profondamente a disagio. – Qualche problema?
Blaise sbattè le palpebre più e più volte, probabilmente chiedendosi se fosse davvero Daphne la ragazza di fronte a lui, tutta imbarazzata e tremante, così diversa dalla versione che era abituato a conoscere, fredda e distante.
- Ma no, certo che no. – borbottò il Serpeverde, con una smorfia divertita. – Non ti ritenevo capace di una tale empatia, tutto qui. – la prese scherzosamente in giro, tentando di toglierla dal disagio.
Daphne sbuffò.
- Questo perché sei un babbuino senza cervello!
Blaise ridacchiò, sinceramente divertito dal suo rossore e dal tono isterico che aveva assunto la sua voce.
- Anche a me dispiace. – confessò poi, senza imbarazzo. – Non volevo risponderti in quel modo.
Il cuore di Daphne riprese a correre più forte che mai, mentre deglutiva pesantemente. Forti scariche elettriche si propagarono lungo tutto il suo corpo in quel preciso istante, osservando il sorriso appena accennato sulle labbra di Blaise.
- Bene, uhm, meglio così. – balbettò, tentando di dare un freno a quegli spasmi violenti che le inondavano il cuore a intermittenza.
- Torniamo ai dormitori, avanti.
Blaise appoggiò una mano sul braccio di Daphne, con una delicatezza che non si aspettava. Per tutta risposta, la ragazza ebbe un violento sussulto, avvertendo l’ennesima scossa elettrica irradiarsi nel corpo. Si scostò immediatamente come se fosse stata punta da una zanzara e spostò lo sguardo, arrossendo.
- R-rientriamo?! – sbottò, un attimo dopo.
- Ma non è che hai la… – Blaise le toccò la fronte con la mano.
Daphne squittì. Proprio così, l’algida, fiera e fredda Serpeverde… squittì. Rischiò nuovamente di cadere, tanto brusco fu lo scatto per allontanarsi.
Una mano sulla guancia, una mano sul suo braccio, una mano sulla fronte, ma come mai Blaise aveva tutta questa mania di toccarla?! E quante mani aveva, soprattutto?!
- C-che f-fai?
- Daphne, sei sicura di star bene? Sei diventata rossa all’improvviso!
- Sto be-benissimo! – mentì spudoratamente la ragazza, commettendo il gravissimo errore di guardarlo. Aveva degli occhi così belli…
Daphne, come ipnotizzata, riprese la mappatura del viso di Blaise, già cominciata qualche minuti prima; percorse con lo sguardo la linea sulla sua fronte, per poi proseguire il tragitto fissando gli zigomi, la mascella e infine ritornò con gli occhi su quelle labbra, che sembravano in procinto di baciare… Improvvisamente cominciò a fare caldo, un grande, grandissimo caldo, un insopportabile caldo.
- Sto… benissimo! – ripetè, cercando di non andare fuori di testa, per quelle ondate bollenti che a intermittenza la scuotevano dalla testa ai piedi. Distolse frettolosamente lo sguardo, sperando che il Serpeverde non avesse fatto caso all’inconscia adorazione con cui l’aveva appena fissato.
- Se ne sei convinta. – mormorò il ragazzo, riprendendo a camminare.
Daphne lo seguì tenendosi però a debita distanza.
Era leggermente indietro rispetto a lui e aveva una perfetta visuale delle sue spalle ampie, del fondoschiena, del suo sedere… Arrossì ancora di più come un pomodoro maturo. Guardò immediatamente a terra, vergognandosi per quei pensieri di se stessa. Non era abituata a… pensare certe cose! Non poteva davvero credere di aver sezionato il sedere di Blaise con lo sguardo!
Continuò a camminare, con lo sguardo ben piantato sul pavimento, tanto che neanche si accorse che Blaise si era fermato e vi andò a sbattere malamente contro. Deglutì non appena i loro corpi vennero a contatto e fece di tutto per trattenersi e non stringerlo a sé; gonfiò le guance come un pesce palla per non emettere il minimo suono. Non si fidava della sua voce.
- Siamo arrivati. – sussurrò il ragazzo.
Stranamente la sua voce le sembrava più… più… calda… più… Daphne si schiaffò una mano in viso, tentando di scacciare via quei maledetti pensieri pieni di visioni né caste né pure.
- Daphne, per Merlino, stai bene? – chiese Blaise preoccupato.
La ragazzo non rispose, inclinò la testa di lato, osservando il suo pomo d’Adamo fare su e giù, chiedendosi come sarebbe stato poggiare le labbra sul suo corpo, sulla sua pelle…
- Daphne?
- Mh?
- Mi stai… accarezzando? – chiese stranito Blaise. La Serpeverde spalancò gli occhi, osservando la sua mano che gli stava accarezzando i capelli alla nuca. Come… quando ci era arrivata lì?! Fissò il suo braccio, come se fosse stato dotato di vita propria.
- Io…io… – tentò di giustificarsi la ragazza, non avendo la minima idea di cosa dire.
- Tu… ?
- N-niente, ok? Sono stanca, va bene? Non… non…
- Non ti senti bene. – immaginò Blaise. D’altronde ricevere per la prima volta in sette anni una carezza dalla sua compagna di casa, con la quale aveva tutt’altro che un rapporto idialliaco, doveva averlo messo in allarme e gli aveva fatto venire il dubbio sulle sue condizioni di salute.
- Mi sento… strana, tutto qui. – bisbigliò la ragazza, cominciando a sudare freddo.
- Strana in che senso?
- Nel senso che… che… – Daphne s’interruppe. Non poteva certo dirgli che appena lo guardava il suo primo pensiero era quello di saltargli addosso! Scosse nuovamente la testa, desiderando che quei pensieri si allontanassero il più in fretta possibile dalla sua mente. – Non lo so… Colpa della pozione… – borbottò.
- Dai, andiamo. – decise alla fine Blaise, dopo aver mormorato la parola d’ordine. Daphne deglutì, cercando di non pensare che sarebbe bastato allungare la mano di un centimetro per sfiorare quella del ragazzo, e, soprattutto, cercando di scacciare dalla sua mente un’immagine di Blaise in una posa… particolarmente… particolare. Per un attimo credette che il rossore le sarebbe uscito anche dalle orecchie tanto si fece intenso.
 
Basta, basta, basta.
 
La ragazza boccheggiò, mentre cominciava a tremare convulsamente. Merlino, non aveva mai pensato a cose così… così… così!
Una volta dentro e spostato l’arazzo per arrivare in Sala Comune, il ragazzo la fissò.
- Daphne, se stai bene, io tornerei alla festa… – tentennò, chiedendole con lo sguardo se dovesse rimanere.
- Cosa?! – esclamò la Serpeverde, improvvisamente nel panico. Senza pensare minimamente a quello che faceva, si aggrappò al suo braccio, con un’espressione profondamente disperata.
Blaise, alquanto perplesso, alzò le sopracciglia, guardandola come se fosse impazzita. E forse, Daphne, impazzita lo era davvero.
- Non… devo?
- No! – urlò la ragazza un po’ troppo ad alta voce. – Io non voglio entrare nella mia camera da sola! No, no, no! Ho… ho paura!
- Eh?
- E’ buio! Tu… tu… vuoi lasciarmi da sola? – improvvisamente quell’idea le parve talmente insopportabile, che pur di non farlo andare via avrebbe preferito che le fosse inflitta qualunque tortura. Qualunque. Tranne quella della sua assenza.
- …Beh…
- No, no, no, no, no! Non farmi andare da sola in camera! È tutto buio e c’è quel maledetto mostro che vuole mangiarmi!
- Mostro?
- Quell’orribile essere mutaforma che mi guarda in maniera arcigna e meschina, aspettando solo un mio passo falso per uccidermi!
- Quale… mostro?
- La gallina!
- Ah. – commentò Blaise, laconico. Si passò una mano tra i capelli, spiazzato e confuso da quella situazione. – Ma… tu hai paura del buio?
All’improvviso a Daphne mancò l’aria. Avrebbe preferito non confessarlo neanche sotto tortura, avrebbe preferito mentire per il resto dei suoi giorni, sarebbe morta piuttosto che rivelarlo. Non che davvero avesse paura del buio, semplicemente la… infastidiva. Non sapere cosa ci fosse al di là di quel nero, era… inquietante. Non era paura, si ripeteva ogni volta. A voler essere pienamente sinceri, la sua paura del buio era anche uno dei motivi per cui apriva sempre la finestra, inverno o estate che fosse. In questo modo riusciva a scorgere il flebile riflesso della luna, in modo che non fosse tutto buio pesto; questo però non lo aveva mai confessato a nessuno, nemmeno a Pansy. L’unico a saperlo davvero era Draco: quando l’aveva scoperto l’aveva presa in giro per un tempo che le era parso infinito, ma poi le aveva promesso che non lo avrebbe rivelato a nessuno.
Daphne non capì mai perché quelle parole sul fatto che avesse paura del buio le fossero scivolate fuori così velocemente e spontaneamente.
 
Colpa di quella maledetta pozione.
 
- Non ho paura del buio…mi irrita. – chiarì la ragazza, sussurrando a malapena le parole. – Però non voglio entrare al buio! Non mi piace!
- Daphne, non capisco, cosa vuoi che faccia?
- Non voglio entrare nella mia camera da sola! – si lamentò la Serpeverde, sentendosi una bambina.
 
Ma cosa Merlino sto dicendo?
 
Quelle parole rotolavano fuori dalle sue labbra, senza che riuscisse a controllarle, come un istinto. Un impulso fortissimo, che le impediva di dire qualcos’altro se non la verità.
- Daphne, io non posso accompagnarti nel dormitorio delle ragazze. Le scale non permettono ai ragazzi di passare, verrei respinto, lo sai, no?
- Ma… ma… Blaise non lasciarmi da sola! Per favore! – fu quell’ultima parola soffocata che fece capire a Blaise che Daphne non era propriamente in sè. Furono quelle due semplici parole che gli fecero spalancare gli occhi, dandogli una simpatica aria da pesce lesso. Fu quel “per favore” che lo fece strozzare con la sua stessa saliva e che gli fece capire che quella che aveva davanti non poteva essere Daphne; perché Daphne non gli avrebbe mai chiesto di accompagnarla, non gli avrebbe mai detto della paura del buio, non avrebbe mai e poi mai, chiesto “per favore”. La ragazza di fronte a lui non poteva essere Daphne, perché Daphne non lo avrebbe mai guardato in quel modo, con due occhioni giganteschi e un’espressione disperata, non gli avrebbe mai stretto il braccio in una presa spasmodica.
 
Non era Daphne.
 
O forse era lui che non si era mai accorto di quanta debolezza fosse nascosta dietro quell’algida reputazione e quel muro spesso, dietro quale la Serpeverde si rifugiava.
 
Forse era lui che non sapeva chi era.
 
L’unica cosa che capì in quel momento è che i suoi comportamenti fossero dovuti alla pozione, segno che il liquido era ancora in circolo nel sangue e avrebbe potuto avere qualche altro effetto, stavolta più grave.
- Ho capito. – borbottò il ragazzo. – Vieni con me. – Si stupì del rossore diffuso sulle guance dell’amica e, soprattutto, nel sentirla così vulnerabile.
Blaise aprì la porta della sua stanza e vi sospinse Daphne dentro.
- Io non posso entrare nel tuo dormitorio, ma tu nel mio sì. E se non vuoi essere sola…
- Infatti! – ancora una volta la parola fuoriuscì dalle sue labbra prima che potesse far qualcosa.
- Daphne, io… voglio parlarti. – chiarì Blaise, fissandola negli occhi e la ragazza si ritrovò a sprofondare in quello sguardo, per l’ennesima volta.
Il Serpeverde prese una sedia, accomodandocisi sopra, mentre pensava bene a quello che voleva dirle. Dato che ormai non aveva la possibilità di tornare alla festa, tanto valeva che provasse a chiarire gli attriti che c’erano stati tra loro negli ultimi tempi.
- Siediti dove vuoi.
Daphne gli si sedette di fronte e deglutì, chiedendosi per quale assurdo motivo non fosse voluta andare nella sua camera da sola: per lei in quel momento, con gli ormoni a mille, sarebbe stato molto, ma molto, meglio stare da sola. Eppure l’istinto aveva prevalso.
 
Colpa di quella maledetta pozione.
 
Blaise si schiarì la voce.
- Allora, senti…
 
Daphne tentò di concentrarsi sulle sue parole.
 
L’unica cosa che riuscì a scorgere furono gli occhi di Blaise, più blu del mare profondo, l’unica cosa di cui si interessò furono le sue labbra che si aprivano e si chiudevano mentre parlava. L’unica cosa che percepì fu quel calore immenso che crepitava nel petto e si espandeva sempre di più come fuoco, rubando l’aria ai polmoni.
- Vorrei chiarire quello che ho successo oggi, non pensavo seriamente quello che ti ho detto.Certo che anche te quando ti ci metti, sei veramente insopportabile…
 
Daphne tentò di concentrarsi sulle sue parole.
 
Ma come poteva ascoltare quando lo aveva così vicino, quando finalmente sentiva che tra loro non c’erano barriere, quando capiva che lei stessa per una volta non sarebbe stata una barriera? Come poteva anche solo sperare di udire qualcosa, quando sentiva i propri occhi farsi lucidi, il proprio respiro spezzarsi, le proprie labbra impregnarsi di sangue, a causa dei denti che le mordevano a forza? Quando avrebbe dovuto ascoltare, se era troppo concentrata a tentare di non tremare e a trattenersi le mani e le braccia, affinché non andassero a cingere il collo di Blaise?
- Daphne, mi stai ascoltando?
 
Daphne tentò davvero di concentrarsi sulle parole.
 
Ci provò. Ci provò davvero. Tentò sul serio di non fissare come un’ebete il viso di Blaise, ma non ci riuscì. Provò a restare ferma, cercò di trattenersi con tutte le sue forze.
 
Non ce la fece.
 
- Sei d’accordo con quello che ti ho appena detto? – chiese il Serpeverde. – Perché io non so più davvero cosa far…
Daphne non gli fece terminare la frase, perché si avvicinò a Blaise e premette il proprio corpo contro il suo, tappandogli la sua bocca con la propria. Era… era bruciante avvertire la pressione delle labbra del ragazzo sulle sue, era ustionante, come una scintilla di fuoco in mezzo alla polvere da sparo.
- Daphne! – strillò Blaise con voce alquanto stridula, liberandosi della sua presa e scostandola per le spalle. Si alzò in piedi di scatto, allontanandosi con furia.
- Io… io… ti voglio, Blaise. – sussurrò la ragazza, arrossendo e perdendo l’unico pizzico di lucidità che aveva cercato di mantenere.
Blaise deglutì pesantemente, non credendo alle proprie orecchie.
- Daphne, che d-dici? – farfugliò, notando che la ragazza si stava nuovamente avvicinando.
- Io…io…
Gli occhi verdi di Daphne sembravano colmi di lacrime, anche se non vi era nessuna traccia di lacrime su quel viso così bello.
– Voglio… voglio… che tu stia con me.
- Uhm… eh… uh… ecco… Forse… credo che… probabilmente non stai bene. – dichiarò Blaise alla fine, rischiando di inciampare tra i suoi stessi piedi.
- Allora fammi star bene tu. – replicò la ragazza, avvicinandosi ancora.
- Daphne… forse… è meglio… direi… cioè… – borbottò.
- Zitto, Blaise, stai zitto. – lo interruppe, raggiungendolo definitivamente e appoggiando i palmi sulle sue guance.
- Ehm, ehm, non credo che tu sia nel pieno delle tue facoltà mentali, quindi penso che… – prima che potesse finire la frase, la ragazza nuovamente premette le labbra sulle sue, con più forza e tenacia. Stavolta fu diverso. Fu un bacio quasi disperato, come se Daphne non volesse in nessun modo farlo andare via.
- Daphne! – strillò nuovamente Blaise, arrossendo di botto.
- Blaise, Blaise, Blaise, il tuo nome comincia per B… –  cantilenò sognante, mentre tentava di riavvicinarlo. Il ragazzo si scostò, schivandola di nuovo; successivamente, le  afferrò bruscamente un braccio, facendola sedere sulla sedia.
- Resta lì. – ordinò, mentre cercava qualcosa nel cassetto del comodino vicino al suo letto. Neanche a dirlo, un attimo dopo, Daphne lo abbracciò da dietro come un koala. Sbuffando, il ragazzo si girò, allontanandola, riconducendola nuovamente alla sedia. Daphne sorrise sognante, osservando l’irruento spirito d’iniziativa del ragazzo. Un sorriso che si smorzò quando notò che era stata imprigionata con vari lacci alla sedia. Si accorse troppo tardi dell’incantesimo che Blaise le aveva fatto, legandola come se fosse un prigioniero di guerra.
- B-blaise! – si lamentò, tentando di liberarsi.
- Tu resti lì, Daphne, finché l’effetto della pozione non svanisce. – chiarì sedendosi di fronte a lei e fissandola con espressione torva.
- Ma… ma… No, no, no, liberami! Liberami, avanti! – Daphne provò a liberarsi, ma i lacci erano annodati in modo troppo stretto, per cui non le restò altro da fare che cominciare a saltellare con la sedia per avvicinarsi a Blaise.
- Non costringermi a incollare la sedia al pavimento. – la minacciò il Serpeverde.
La ragazza smise immediatamente di spostarsi, non sapendo cosa fare. Ma come poteva, Blaise, legarla e tenerla lontana da lui? Come poteva, lei, non abbracciarlo, toccarlo, baciarlo, se il suo corpo tremava incontrollato, scosso da fremiti intermittenti, per quel desiderio che non riusciva a realizzare? Come poteva, lei, sopravvivere a una simile tortura?
- Smettila. – sbottò infine il ragazzo, dopo varie proteste. – Resterai incollata alla sedia, finché non ritornerai te stessa.
 
Blaise, quella sera, non capì che la Daphne che gli si stava mostrando, era quella parte piccola e fragile di lei che non era mai venuta fuori.   
 

 

 

 
Era stato facile non curarsi degli altri. Era stato semplice accogliere l’esortazione di Ginny e seguire l’istinto. In quell’istante lo era un po’ meno. Aveva prelevato in fretta e furia la “Mappa del Malandrino” dalla camera di Harry e Ron, pur sapendo di non averne chiesto il permesso, ma sperando che il ragazzo non se ne accorgesse prima che lei riuscisse a rimetterla al suo posto. Non avrebbe mai trovato Draco senza l’aiuto della mappa; neanche conosceva l’esistenza di tutte quell’aule in disuso al terzo piano e se fosse andata alla cieca, avrebbe finito per perdersi vagando inutilmente e a vuoto.
Quando provò ad abbassare la maniglia della porta, la trovò chiusa. Sussurrò l’incantesimo e la serratura scattò: sporse timidamente la testa, cercando di scorgere qualcosa in quella massa di ombre presenti nella stanza. Era inquietante essere in quell’aula di notte, dovette ammettere. Era completamente buio, il riflesso pallido della luna non illuminava più di tanto il luogo. Tra quelle ombre scure, una minuscola nota di colore che si contraddistinse: una chioma bionda, che pareva ancora più chiara in contrasto col nero. Per un attimo si chiese perché Draco avesse scelto di venire proprio lì, come lo aveva riscoperto a fare qualche volta durante gli scorsi mesi; chissà quale significato poteva nascondere quella stanza isolata. O forse non significava niente e lei si stava facendo inutili paranoie mentali e quello non era certo il momento per pensieri assurdi: doveva risolvere la questione.
Un moto di rabbia le risalì nel petto al pensiero delle parole brutalmente taglienti e meschine che Draco le aveva rivolto.
 
Quanto sei disposta a rischiare, Hermione?
 
Tutto, anche me stessa.
 
Allora butta via la rabbia, quella non ti serve.
 
Ingoiò la rabbia, l’impulso che la spingeva ad attaccarlo nelle loro solite schermaglie, mirate a far male. Non fu facile lasciar perdere quell’emozione, così sbagliata eppure così forte.
 
Butta via l’umiliazione, non serve.
 
Con un groppo ancora più gigantesco, ingoiò l’umiliazione. Fece scivolare via dalla sua testa tutte quelle parole cattive e crudeli, tentò di liberare il suo corpo da quel malessere crepitante che la faceva star male.
 
Butta via le apparenze.
 
Questo sembrava facile. Si premunì di parlargli davvero a cuore aperto, di chiarire una volta per tutte quell’assurda situazione, consapevole del fatto che nessuno dei due avrebbe resistito ancora per molto.
 
Butta via il tassello più grande.
 
L’orgoglio.
 
Quello fu difficile. L’orgoglio era parte di sé, qualcosa che la influenzava, senza che lei potesse farci niente; ma sapeva di non potersi basare sul suo orgoglio e i pregiudizi che ne scaturivano per affrontare la situazione con Draco. Si sarebbero distrutti, prima o poi, se uno dei due non avesse allentato la presa.
Ingoiò anche l’orgoglio ed entrò nella stanza, sussurrando un “lumus”.
- Ti avevo detto di andartene, Granger. – la freddò Draco immediatamente.
- E perché avrei dovuto ascoltarti?
 
Attenta, piccola Grifona.

L
’orgoglio può distruggervi.
 
Udì uno sbuffo leggero e lo considerò un buon segno, facendo qualche passo nella sua direzione. Tentò di essere il più silenziosa possibile, ma distrattamente inciampò in qualcosa per terra, cascando e non scontrando per poco il proprio naso contro il pavimento. Non poté impedirsi di mugolare di dolore, strofinandosi le mani lese.
Udì una bassa melodia. Una risata interrotta.
- Merlino, quanto sei goffa. – stranamente quell’offesa non la scalfì minimamente, anzi quasi le piacque.
La ragazza si avvicinò, sempre in religioso silenzio, fino a sedersi su un banco dell’aula, poco distante da quello su cui era seduto Draco.
Aspettò.
Aspettò semplicemente che lui parlasse, che riuscisse a ritrovarlo, il Draco che aveva visto prima. Passò tanto tempo,  o almeno fu quello che le sembrò. Rimase semplicemente lì a fissarlo, tentando di scoprire i segreti che nascondeva e di vedere al di là della sua barriera, reprimendo l’istinto di aprire bocca ad ogni secondo che passava.
Poi finalmente ci fu un’altra melodia. Una risata arrendevole, quasi inesistente.
Stavolta più debole, più triste.
- Non ti capisco proprio, Granger.
Udire la sua voce fu tanto bello quanto sconvolgente; prima che potesse chiedere di cosa stesse parlando il ragazzo la anticipò.
- Non so cosa fare con te, perché fai così?
- Con…me? – chiese incerta la Grifondoro, stupita dal suo tono come dalla sua domanda.
- Sì, con te. – Draco la guardò.
 
Gli occhi grigi di Draco le avrebbero restituito se stessa.
 
Ma lui non sembrava pronto per questo passo. Sembrava che avesse bisogno di ritrovare se stesso,oltre che restituirle quella parte di sé.
- Cosa intendi?
- Perché, Granger? Perché lo fai? – lo sentì bisbigliare. Non capì la domanda, non volle neanche comprenderla, era solo consapevole che per la prima volta da quando aveva scoperto che era incinta lei e Draco stavano parlando come persone civili, senza scontri o offese. A dir la verità, era la prima volta in tutta la sua vita.
- Faccio… cosa?
Lo sguardo di Draco la stava facendo agitare. La stava guardando nello stesso modo in cui un lupo guarda la propria preda e, contemporaneamente, la fissava nel modo in cui una preda guarda un lupo.
- Di che parli? – mormorò Hermione, sorpresa di avere ancora le facoltà mentali per rispondergli e per formulare una frase coerente, dopo quello sguardo sconcertante.
- Io ogni volta ti respingo, ogni volta ci insultiamo come due bambini, ma entrambi sappiamo che nelle nostre offese non c’è più nessuna traccia d’innocenza. Ogni volta facciamo di tutto per ferire l’altro.
Hermione attese, consapevole del fatto che qualunque cosa avesse detto non sarebbe stata giusta.
- Eppure tu… ogni volta… torni. Non importa quanto male ci sia tra noi, tu torni, Mezzosangue, torni ogni volta.
- E questo cosa significa? – domandò Hermione, più bruscamente del dovuto, atterrita dalla possibilità che lui avesse intuito i suoi sentimenti.
Vide il suo sguardo indurirsi sotto la sua domanda, vide la maschera che ritornava, ma anche prima che lei riuscisse a spiaccicare parola, qualunque parola pur di non vedere quella maledetta barriera infrangersi tra loro, Draco l’anticipò.
- So che c’è un motivo, Granger, qualcosa che non mi stai dicendo. Lo stesso motivo, per cui tu, quella sera, hai scelto me.
 
Hai già scelto, Hermione. Hai già scelto Malfoy.
 
- I-io non ho…
- Era la tua prima volta, Mezzosangue! – sbottò il ragazzo infine, con uno sbuffo. Sembrava che le sue parole fossero programmate come una bomba a orologeria, pronte a venir fuori alla prima occasione. – La tua prima volta, ma per Merlino! Perché proprio io?
Le parole rimasero sospese nell’aria, si dilatarono nella loro pienezza e riempirono lo spazio tra loro, tanto che entrambi i ragazzi ebbero la sensazione di essere spinti fuori da quel bagno, fuori dal loro stesso corpo.
Una miriade di emozioni colò come lava dentro di il petto di Hermione.
 
Era la tua prima volta.
 
Si torse le dita.
 
Perché?
 
Quante volte quella domanda aveva preso forma nella sua mente? Quante volte lei stessa si era posta quel quesito? Dopo tutto quel tempo ancora non aveva trovato risposta.
 
Perché hai scelto me?
 
Spesso aveva provato a interrogare il suo cuore sul perché; ma, come sempre era successo, non esisteva una risposta per ciò che sentiva.
Il cuore e basta.
- Di solito le ragazze non vogliono che sia con la persona giusta, o cose simili? Tu perché hai deciso di concederti alla persona che più odi al mondo? – nelle parole di Draco non albeggiava alcuna cattiveria, solo realtà. Le stava facendo quelle domande per pura e semplice curiosità, sbattendole la verità in faccia.
Le mani di Hermione smisero di torturarsi a quelle parole.
- Io non ti odio. – fu la sua semplice risposta.
Draco le lanciò un’occhiata di traverso a quelle parole. Rimase impassibile, ma Hermione scorse tra quegli occhi chiari un lampo di sorpresa.
- Non hai risposto alla mia domanda.
Hermione non rispose. Non era pronta per rivelare sentimenti che lui non avrebbe sicuramente capito. L’equilibrio tra loro era dannatamente precario, una sola parola l’avrebbe ridotto in mille pezzi; anzi, neanche era tanto sicura che ci fosse tra loro, un equilibrio.
Si limitò a fissarlo, chiedendosi quando l’aria le sarebbe ritornata nei polmoni e quando le parole le sarebbero uscite fuori.
- Non ti capisco. – continuò Draco, provocandole dolore e gioia insieme per il fatto che ancora non avesse compreso i suoi sentimenti.
- Tu perché piangevi quella notte? – ribatté la ragazza, sfidandolo.
Si aspettava una reazione brusca o qualche occhiata tagliente, ma l’unica cosa che Draco si limitò a fare fu inclinare leggermente il capo e lasciar trapelare un piccolo sorrisetto sulle labbra.
- Non ti arrendi mai, Mezzosangue, eh? – il tono era cambiato, si era fatto più tagliente, si era fatto più Malfoy.
 
Perché piangevi quella notte?
 
- No. – sfiatò la ragazza, respirando velocemente. – Mai.
- E’ questo quello di cui parlo: ci insultiamo, ci feriamo a vicenda, eppure tu continui a insistere, continui a non arrenderti. Tu continui a tornare.
 
Perché piangevi quella notte?
 
- Tu torni indietro, Mezzosangue. Sempre. Perché?
- Lo faccio per mituno… per il bambino. – Confessò con una mezza verità. Dire “mio” o “tuo” figlio le pareva errato, “nostro” troppo precoce.
Draco rimase in silenzio. Non disse niente, ma i suoi occhi parlarono per lui, lanciandole quella che sembra un’occhiata impietosita.
- È forte, sai? – si decise Hermione a spezzare il silenzio, dato che il ragazzo non accennava la minima parola. – Madama Chips dice che è forte. – ripeté la ragazza, sentendosi un po’ in imbarazzo.
- Ti assomiglia. – borbottò il Serpeverde, così a bassa voce che probabilmente non pensava neanche di essere ascoltato.
Hermione sussultò per quello strano complimento: forse avrebbe dovuto rispondergli qualcosa, magari un “grazie”, ma sapeva che lo avrebbe messo a disagio.
- Perché t’interessa tanto sapere cosa mi è successo tempo fa? – chiese infine Draco.
Si avvicinò, tanto che, per un istante, Hermione si ritrasse. Non c’era più traccia della paura che aveva provato poco prima, ma c’era ansia, diffidenza, una barriera che s’innalzava.
 
Butta via le apparenze, Hermione.
 
Perché piangevi quella notte?
 
- Perché quello è il tuo confine, Malfoy. È stata la prima volta in cui ti ho visto come una persona vera e non come…
 
Non come Malfoy.
 
Si interruppe, rendendosi conto troppo tardi di aver azzardato troppa sincerità e che avrebbe peggiorato le cose.
- Tu non sai niente di me. – ribatté il ragazzo gelido.
- È per questo che te lo sto chiedendo, Malfoy. Perché non so niente di te.
 
Perché piangevi quella notte?
 
- Perché Merlino dovrebbe interessarti?
- E a te perché interessa sapere il motivo per cui ti ho scelto?
 
Tentavano a vicenda di far scoprire l’altro, ma erano troppo bravi a quel gioco, a nascondersi dietro alle domande che non avrebbero portato a niente, se non a un malessere per quelle risposte terribilmente vuote.
 
- Non ti arrendi mai, Granger? – ripeté Draco, muovendo a malapena la linea delle labbra.
Hermione deglutì.
Era davvero l’ombra di un sorriso quella che per un attimo aveva visto aleggiare sul suo volto? Forse fu quel piccolo gesto a portarla a compiere il più grosso passo della sua vita, rischioso e letale. Non seppe mai cosa le passò per la testa quando disse quelle parole, fu solo istinto.
- Vieni con me per le vacanze di Natale.
Draco strabuzzò gli occhi, voltandosi di scattò. Sbattè le palpebre più volte, come se non credesse a quello che aveva appena sentito, e probabilmente non ci credette, perché la fissò come se lei non avesse detto niente e si fosse solo immaginato la sua voce.
- Che hai detto? – chiese, per l’appunto, qualche secondo dopo.
- Vieni… – Hermione deglutì, non sapendo cosa aveva portato la sua mente a pensare di chiedergli una cosa del genere. – …con m-me per le vacanze di Natale.
Draco per la seconda volta credette di aver sentito male.
- Cosa?
- I-Insomma! – sbottò Hermione, arrossendo. – Vieni con me per le vacanze di Natale!
- Sei… sei impazzita, Granger?! Da dove ti viene fuori questa proposta? – il tono incredulo la ferì leggermente, ma, d’altronde, anche lei sarebbe rimasta di sasso, se la situazione fosse stata invertita. Per poco non scoppiò a ridere, immaginandosi Draco che la invitava a casa sua per le vacanze di Natale.
- Io dovrò dire ai miei genitori della gravidanza. – spiegò la ragazza. – Forse sarebbe più facile se ci fossi anche tu.
- Non hai detto niente ai tuoi genitori? – chiese ancora più incredulo.
- Volevo farlo di persona, d’accordo? – sbottò, gonfiando le guance, rosse come un pomodoro maturo. – E, poi… so che devi recuperare dei voti in Babbanologia, quindi… venendo con me… faresti un favore a me, e uno a te.
Draco aggrottò le sopracciglia.
- Come fai a sapere che ho dei problemi con i voti?
- Uhm, beh… Si capisce! Non rispondi mai correttamente alle domande della professoressa. – inventò Hermione di sana pianta, anche se, a ripensarci, si rese conto di aver detto la verità.
- Anche se molte persone non la pensano più così, Granger, per quanto mi riguarda i babbani e tutto quello che li riguarda sono solo un’inut…
- Ti sto offrendo un’opportunità, Malfoy! – lo interruppe la ragazza, per non degenerare in una discussione, che, sapeva, avrebbero portato a catastrofici risultati.
- E chi ti dice che io voglia questa opportunità? – rispose Draco, con astio. – Che io possa anche solo prendere in considerazione una simile proposta? – sibilò.
- Per non ripetere l’anno, Malfoy, ecco perché!
Un secondo dopo aver pronunciato quelle parole Hermione si rese conto di aver commesso un gravissimo errore. Gli occhi del Serpeverde divennero due coltelli affilati.
- Come fai a sapere che dovrei ripetere l’anno, Granger?
- Io… ho solo ipotizzato. – mormorò.
- Non mentirmi, so riconoscere una bugia e tu sei davvero pessima a raccontarle, credimi.
- E’ la verità! – sbottò per tutta risposta.
Non poteva certo parlargli del colloquio avuto con la Serpeverde, non le avrebbe creduto, lei stessa era la prima a non crederci.
- Granger, fai proprio schifo a mentire. Stai insultando la mia intelligenza, lo sai?
Hermione sbuffò. Ci mancava soltanto che Draco prendesse la cosa sul personale.
- Sentiamo, perché dovrei mentirti? – tentò allora la ragazza, cercando di non compiere altri passi falsi.
Draco non rispose. Si limitò a rimanere immobile nella stessa posizione, fissandola con aria truce. Poi sbuffò e mormorò un semplice: “Daphne…”
Ad Hermione si bloccò il respiro in gola e, per un attimo, fu tentata di scoppiare a piangere lì davanti a lui.
- Tu fai un favore a me  io uno a te. Parleremo insieme con i miei genitori e io farò in modo che tu apprenda le nozioni di base su gli usi e i costumi dei babbani. È un patto, Malfoy. – disse, cercando di nascondere la realtà che cercava di evitare: il fatto che per lei tutto quello fosse molto più di un patto. – Solo… questo. – concluse, con voce leggermente incrinata.
- Perché dovrei accettare? – replicò lui tagliente.
Hermione, con il respiro in gola alla sua ennesima domanda, scese dal banco sul quale si era seduta e lo fronteggiò.
- Infatti, non devi. Hai libera scelta, Malfoy. Puoi accettare e venire con me, altrimenti… buona bocciatura. – mormorò semplicemente, dirigendosi poi con decisione verso l’uscita.
 
Stupida, stupida, stupida!
 
Cosa Merlino le era passato per la testa? Sperava forse in una reazione diversa? Si stava già mentalmente prendendo a schiaffi per non essere riuscita a tacere, ma mentre stava per uscire, la voce di Draco la fermò.
- Aspetta.
 
Quanto sei disposta a rischiare, Hermione?
 
Tutto, anche me stessa.
 
E, forse, a volte, ne vale la pena.
 

 
 
            
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
Ehm, ehm, ehm…
Non trovo neanche le parole per descrivere il mio ritardo. Probabilmente vi sentirete tutti presi in giro e mi dispiace. Lo so, sono un’autrice incostante, che non riesce a rispettare le date di scadenza. Mi dispiace tanto. L’unica cosa che mi consola è che non ho sprecato tutto questo tempo che è passato: a scuola ho recuperato qualche materia che oscillava pericolosamente tra il 5 e il 6 e la mia media si è alzata. L’unica mia consolazione è questa: di aver fatto qualcosa di buono in questi due mesi, anche se ho dovuto abbandonare un po’ la storia.
Nonostante tutto alla fine sono riuscita a pubblicare questo capitolo! Non voleva saperne di essere scritto. Credetemi quando dico che ho passato a volte ore davanti alla pagina di word, perché non riuscivo a mandare avanti i dialoghi. Questo è il risultato: tendo sempre ad essere molto critica con ciò che scrivo e anche questo capitolo non si salva molto dal mio giudizio. Non mi convince, forse sarà che è passato troppo tempo dall’ultimo aggiornamento, forse è perché mi ha fatto penare, ma penso che avrei potuto fare meglio.
Spero solo che vi piaccia la scena tra Blaise e Daphne e riesca a strapparvi qualche risata, così come spero che la scena tra Hermione e Draco vi sembri meno triste dell’ultima volta.
Then….. 
AUGURI DI BUONE (MERITATISSIME) FESTE A TUTTI QUANTI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Non avete idea di quanto io abbia penato per l’arrivo di queste vacanze! ^___^
Ringrazio anche tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite/preferite/ricordate e chi legge in silenzio. Un grazie GIGANTE a quelle 26 ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo: Black_Yumi, Stella94, Leesh, ArmoniaDiVento, Braina, Ro Jack89, EmmaDiggory15, Felpick93, suckerforlove, MaryMalfoy96, Rowan936, MimiRyuugu, tonks17, Rospetta89, anonima K Fowl, Maya92, FedePluck93, Gio98, Draco the best, Notteinfinita, Cherie17, Rossacomeilsangue, Lierin_, piumetta, Virus14 e Betty97.
26 recensioni per lo scorso capitolo? 26 RECENSIONI?!?!? Sninf….come posso ringraziarvi per essere così meravigliose con me? Grazie ragazze, grazie…Sninf….
Scusate se vado così di fretta, ma devo scappare a cena ^___^”
Un abbraccio a tutti quanti e spero che la magia del Natale contagi tutti voi con la sua atmosfera e allegria!
flors99
Ps.
MANGIATE TANTI DOLCI E PANETTONI!!!!!!!! Se non ci abbuffiamo a Natale, quando cavolo dovremmo farlo?! xD
 

  
 

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Capitolo 21
*** A Part Of Me ***


Fare le valigie, per Hermione, era sempre stato impegnativo.
Ogni volta impiegava più tempo del necessario, sia perché ricontrollava più volte di non aver dimenticato niente, sia perché lo faceva con una calma e una perizia incredibili. Un velo di malinconia aveva sempre riempito i suoi occhi: era triste lasciare Hogwarts, anche solo per due settimane, nonostante ogni volta morisse dalla voglia di rivedere i propri genitori.
Quell’anno, però, sistemare il suo baule fu un’impresa più ardua del previsto.
Ad ogni singolo capo che ripiegava nella valigia, le mani tremavano incontrollate, in modo così forte che spesso era costretta a sedersi e a non fare nulla per qualche minuto, pur di calmarsi. Gli occhi, sempre pieni di malinconia, stavolta erano impregnati di qualcosa di più profondo: una sorta di gioia, mista a elettricità e a felicità, anche se frenata da una nota di ansia e di panico.
L’ennesimo capo le cadde a terra, mentre il respiro si spezzava e la sua mente si perdeva nel ricordo di qualche ora prima.
 
- Aspetta.
Strano come quella parola suonasse familiare alle orecchie di Hermione: come se si aspettasse di sentirla. Come se avesse aspettato di sentirla per tutta la vita.
 
Aspetta…
 
E per quanto quelle singole sillabe avessero avuto il potere di fermarle il cuore e poi di farlo ripartire velocissimo, per quanto in lei fosse sopraggiunto un piccolo sprazzo di gioia, la ragazza non si azzardò a fermarsi. I suoi piedi continuarono a dirigersi verso la porta, mentre sentiva la voce di Draco parlare più forte.
- Granger, maledizione, aspetta!
 
Tu non ne hai idea, Draco…
 
Come se non fosse in grado di controllare il suo corpo, la Grifondoro continuò a camminare verso la porta per uscire da quel luogo chiuso. Aveva già allungato la mano sulla maniglia quando la voce di Draco la richiamò ancora un’altra volta.
- Mezzosangue, aspetta un attimo! Non far finta di non avermi sentito!
 
Tu non ne hai idea, Draco…
 
Non sa bene neanche lei cosa la spingesse a non voltarsi. Forse aveva paura di leggere nei suoi occhi, ancora una volta, quel disgusto e quel disprezzo che avevano la capacità di distruggerla in pochi minuti; o forse perché guardarlo di nuovo sicuramente l’avrebbe fatta scoppiare a piangere come una bambina.
E davanti a lui non poteva permettersi di esserlo.

- Merlino, Granger! Aspetta! – ripeté per la terza volta, cominciando ad arrabbiarsi.
Con uno scatto si alzò dalla sua posizione per andarle incontro e, anche se Hermione non poteva guardarlo, sapeva che i suoi occhi le stavano lanciando lampi.
 
Tu non ne hai idea, Draco…
 
- D’accordo, Granger, ok? D’accordo! – si ritrovò a esclamare Draco, preso dall’ansia della prospettiva di dover davvero ripetere l’anno e dall’irritazione che quella ragazza gli provocava, ostinandosi a non voltarsi. – Verrò con te, per Salazar, ma vuoi fermarti e aspettare un secondo?!
 
Tu non ne hai idea, Draco…

…da quanto tempo Hermione ti stia aspettando.
 
 
Con sgomento, la giovane Grifondoro, si rese conto di quanto fosse tardi. Lei non era mai, mai, in ritardo e ciò non fece altro che aumentare la sua ansia. Ripiegò in fretta e furia tutti i vestiti che erano rimasti fuori e controllò velocemente di non aver dimenticato nulla. Chiuse con uno scatto il baule, impiegando più forza del necessario e, prendendo tutte le sue cose, si precipitò velocemente nella Sala Comune. Si guardò ansiosamente intorno, cercando di scorgere la chioma rossa della sua migliore amica, chiedendosi se non se ne fosse già andata senza aspettarla. Si convinse del contrario un attimo dopo: Ginny non avrebbe mai fatto una cosa del genere, senza almeno prima avvisarla.
Mentre guardava nuovamente l’orario, constatando che forse non era poi così in ritardo, ebbe un leggero capogiro che la costrinse ad appoggiarsi alla parete e a fermarsi per qualche secondo.
 
 
- Ho detto che verrò con te, ti vuoi fermare, per Merlino?!
L’emozione che quelle parole suscitarono nel cuore di Hermione fu così intensa, che, per un attimo, sentì la magia scorrerle nel sangue, irrorarsi nel suo corpo, nutrirsi di quella felicità così forte. Per un attimo, temette pure che non sarebbe riuscita a controllarla, quell’emozione così potente. E quando finalmente si voltò a fronteggiarlo, ebbe quasi un collasso di fronte ai suoi occhi ridotti a due fessure e al suo sguardo pieno di risentimento e muta rassegnazione.
- Verrò con te, Granger, d’accordo. - ripeté, profondamente turbato forse da quella prospettiva. – Ma non chiedermi di essere gentile con quegli sporchi babbani, perché non lo sarò. E non puoi nemmeno chiedermi di…
- Con i miei genitori sarai gentile. – sentenziò la ragazza irremovibile. Aveva pensato molto in quei mesi a come i suoi genitori avrebbe accolto la “lieta” notizia. Per quanto fosse convinta che suo padre e sua madre le sarebbero sempre stati accanto, in qualunque situazione, era anche convinta del fatto che inizialmente non avrebbero accettato granché bene le sue parole. E Draco, con quel suo carattere brusco e scorbutico, sarebbe sicuramente finito in padella, arrostito da suo padre, se non si fosse sforzato di essere gentile.
A dire la verità, Hermione ne era sicura, suo padre avrebbe arrostito Draco anche se fosse stato il ragazzo più gentile del mondo. D’altronde quale padre avrebbe accolto a braccia aperte un ragazzo diciassettenne che ha messo incinta la propria bambina? Questo, la ragazza, preferì non dirlo a Draco. Rivelargli le prospettive per il suo futuro Natale, lo avrebbe solamente indisposto ancora di più di quanto già non lo fosse.
- Cercherò di essere gentile. – la corresse, con uno strano tono il Serpeverde.
- Lo sarai. – lo ricorresse lei.
Si fissarono di nuovo per una manciata di secondi, poi entrambi distolsero lo sguardo, come in un tacito accordo.
- Perché vuoi che venga? – le chiese alla fine.
Hermione era già pronta per rispondergli ciò che gli aveva detto prima, ma si rese conto che non sarebbero state le parole giuste. Non era vero che lo volevo lì perché in questo modo sarebbe stato più facile parlare con i propri genitori, o almeno non era soltanto quello il motivo.
 
Butta via le apparenze, Hermione.
 
- Perché è nostro figlio, Malfoy. Ed è il momento di rendercene conto e di prendercene cura. – rispose sinceramente, chiedendosi dove avesse trovato il coraggio di pronunciare quelle parole. Probabilmente fu anche troppo diretta, dato il turbamento che si stagliò nelle iridi grigie del Serpeverde. Il ragazzo non disse più nulla e la Grifondoro si sentì a disagio come non mai, temendo forse di essersi spinta troppo in là.
- Ci vediamo domattina al binario. – sussurrò allora, a voce così bassa che non fu neanche tanto convinta di aver parlato. Draco non rispose nulla e, in un certo senso, lei gliene fu grata.
Senza indugiare oltre, la ragazza se ne andò, lasciandolo solo, dirigendosi in fretta nei dormitori. Se fosse rimasta anche un solo istante di più, sarebbe scoppiata a ridere e a piangere e a cantare, contemporaneamente.
Draco sarebbe venuto con lei a casa sua per le vacanze di Natale. E se prima la prospettiva di rivelare il suo segreto ai propri genitori le appariva terribile e irraggiungibile, adesso le pareva quasi priva d’importanza, grazie alla consapevolezza della presenza del Serpeverde al suo fianco.
 
Perché vuoi che venga?

Perché tu non hai idea, Draco, da quanto tempo io ti stia aspettando.
 
 
 
_____________________________________________________________________________________________________________  
 
 
 
Ancora prima di aprire gli occhi, Daphne si rese conto di non essere nella sua stanza. Sentiva dolore dappertutto e sicuramente quella cosa scomoda sulla quale era seduta non poteva essere il suo confortevole letto. A dir la verità, ancora prima di aprire gli occhi, la ragazza percepì uno strano rumore…simile a quello di una motosega.
Aprì assonnata le palpebre, alla ricerca di quel fastidioso suono, per poi scoprire che si trattava di Blaise, accasciato su una sedia di fronte a lei, che russava bellamente nonostante la scomoda posizione.
La Serpeverde fece appena in tempo a provare un moto di tenerezza mischiata al fastidio, prima che gli eventi della sera precedente la travolgessero come un uragano e la tenerezza lasciasse il posto all’imbarazzo.
Diventò più rossa di una fornace quando le tornarono in mente tutte le cose che gli aveva detto per convincerlo a slegarla dalla sedia.
Gli…gli aveva detto…gli aveva detto…per Merlino!
Daphne era quasi sicura di avergli anche chiesto…per Merlino! E di aver detto cose….parecchio…parecchio…vietate ai minorenni…pur di farla alzare. Con orrore si ricordò di quando lo aveva supplicato di strapparle i vestiti di dosso e di…per Merlino!
Ma nessuna di queste cose era tanto tremenda come l’ultima che aveva pronunciato. Le vennero quasi le lacrime agli occhi.
Scossa dai suoi pensieri, Daphne cominciò a dimenarsi, desiderando uscire da quella stanza al più presto. Digrignò i denti quando comprese che ogni suo sforzo sarebbe stato vano: avrebbe voluto riuscire a svignarsela prima del risveglio di Blaise, ma, a quanto pare, la cosa non era fattibile e, lottando contro il suo orgoglio, fu costretta a tirare un calcio al polpaccio del Serpeverde per svegliarlo e chiedergli aiuto.
- …Ronf…ahia! – svegliatosi all’improvviso, il ragazzo fece un brusco balzo sulla sedia, rischiando di cascare per terra.
- Alla buon’ora. – berciò Daphne, guardandolo in modo truce.
In tutta sincerità la ragazza stava solo cercando un modo per non arrossire ferocemente di fronte al suo sguardo.
- …Ahia…Ahia…Daphne?! – domandò stralunato il giovane. – Che…che ci fai qua?
La Serpeverde roteò gli occhi: l’ultima cosa che desiderava era ricordargli il comportamento da squilibrata che aveva assunto la sera prima.
- Slegami, Blaise. – disse, poco gentilmente.
- Ma…tu cosa ci fa…ah! – esclamò all’improvviso. - Ora ricordo… - mormorò, grattandosi la testa imbarazzato. A quelle parole, per Daphne fu impossibile non arrossire leggermente. – Come…ti senti? – chiese esitante l’amico.
- Benissimo. – rispose secca. – Ora vuoi slegarmi, se non ti dispiace?
- Oh…sì, certo. – cercò la bacchetta, strizzando gli occhi e non trovando niente. Provò a guardare nel cassetto, ma non ne trovò traccia: probabilmente ieri sera l’aveva lasciata in giro e nella notte era rotolata da qualche parte. Si sarebbe anche messo a cercarla con più attenzione se la voce soave di Daphne non gli avesse trapanato in quel modo le orecchie.
- Si può sapere cosa stai aspettando?!
- Non trovo la… - interruppe la frase, quando la guardò negli occhi. Gli sembrò di leggerci una specie di supplica, la disperata preghiera di lasciarla andare il più presto possibile. - …non importa. – concluse, avvicinandosi.
Si chinò su di lei, cominciando a sciogliere con calma e perizia i nodi con cui l’aveva tenuta ferma nella notte, per poi bloccarsi all’improvviso, spalancando gli occhi.
- L’effetto della pozione è passato vero?
- Sì. – riuscì a malapena a rispondere la ragazza. Arrossì pudicamente, non avendo la minima idea di cosa fare: la pozione risveglia gli istinti, le aveva detto Pansy e se anche l’amico era a conoscenza di quel particolare, allora poteva dichiararsi completamente fottuta. – Cosa…ti ha detto Pansy della pozione?
- Quasi niente. – confessò il Serpeverde, mentre riprendeva a sciogliere i nodi. – Soltanto che ti faceva assumere degli strani comportamenti.
Se da una parte Daphne non poté che sentirsi sollevata del fatto che Blaise non avesse compreso la situazione, dall’altra sentì una delusione cocente e un rancore profondo nei confronti di quell’insensibile babbuino, che non capiva mai nulla.
- Non riesco a… - borbottò il babbuino, ingarbugliandosi le mani con i lacci. -…devo provare…aspetta un secondo… - il ragazzo si avvicinò di più, concentrato, tanto che i suoi capelli sfiorarono il mento di Daphne. Le bastò questo piccolo gesto per mandarla in tilt e far schizzare il suo cuore a un ritmo accelerato.
Percepì le dita di Blaise sfiorarle la pancia, avvertendo tanti brividi lungo la spina dorsale e il rossore farsi strada sulle sue gote pallide. Si chiese se l’effetto della pozione fosse svanito proprio del tutto, ma si rispose da sola: il saporaccio che sentiva in gola era completamente dissolto e non si sentiva più debole come prima. Ma il bisogno…il bisogno era rimasto. Il bisogno di stringerlo, stringerlo, stringerlo, fino a soffocarlo e ad essere soffocata.
- Ieri sera… - iniziò Blaise, ignaro del tumulto del cuore dell’amica. - …hai detto un mucchio di scemenze. – ridacchiò. – Te le ricordi?
- No. – mentì Daphne con voce strozzata. – Non molto bene.
 
Bugiarda, bugiarda, bugiarda.
 
Ricordava ogni singolo istante della sera precedente. Ricordava le sue fantasie assurde, i suoi deliri sulla gallina, il momento in cui lo aveva abbracciato, baciato…il ricordo della sensazione delle labbra di Blaise sulle proprie era fortissimo: difficilmente lo avrebbe dimenticato. Dubitava di aver mai provato qualcosa di così bruciante prima d’ora.
Ricordava…Dio, ricordava quelle ultime parole che aveva pronunciato…
- Eri un po’ buffa… - mormorò il ragazzo, continuando ad armeggiare con i nodi e respirandole sul viso.
Ma quanti nodi ha fatto?!, si chiese la bionda nel panico e in imbarazzo per quel fiato così caldo e piacevole. Sperava soltanto che si allontanasse al più presto.
- Hai finito? – sbottò, non riuscendo a sopportare più la sua vicinanza.
- Quasi…
- Dove sono quegli idioti dei tuoi compagni di stanza? – domandò, tentando di concentrarsi su qualcosa, su qualunque altra cosa che non fossero le mani di Blaise.
- Li ho mandati a dormire in Infermeria.
- In Infermeria?!
- Beh, mica potevo farli dormire qui con te che russavi su una sedia, no? – domandò retoricamente, con voce insolita.
- Io non russo! – si accalorò la ragazza. – E poi…come hai fatto a mandarli via?
- Tiger e Goyle sono un po’ idioti, come hai detto tu, perciò non hanno fatto tante storie. Draco era incazzato nero, ma alla fine l’ho scacciato. – rispose semplicemente. – Perché, preferivi che rimanessero?
- No! – si ritrovò, suo malgrado, a confessare Daphne. – Solo che…niente, lascia perdere. Hai finito con quei nodi?! – sbottò impaziente.
- Sì. – Blaise emise un sospiro di sollievo, alzando vittorioso la mano con i famigerati lacci intrappolati in essa. – Adesso sei libera.
Daphne fu tentava di tirargli un ceffone a quelle parole: come Merlino poteva affermare che lei fosse libera, se ogni volta i suoi pensieri vertevano su di lui? Questo ovviamente, però, Blaise non lo sapeva.
 
E non deve saperlo.
 
- Comunque stavo parlando… - riprese il ragazzo. – …delle cose che mi hai detto ieri sera.
La ragazza si alzò di scatto, sotto lo sguardo attonito dell’amico e rispose con un secco:
- Non ricordo nulla, non posso aiutarti. Ora devo andare a fare le valigie.
Sparì dal dormitorio così in fretta che per un attimo Blaise si aspettò di vederla ancora lì davanti a lui, nella posizione precedente. Quando capì che Daphne era davvero andata via e non sarebbe certo tornata, si alzò per raggiungerla, deciso a mettere fine a quello strano comportamento che ultimamente lei assumeva nei suoi confronti. E non si riferiva soltanto alla sera prima.
- Daphne! – la chiamò, quando la vide in Sala Comune che parlava animatamente con Pansy. – Daphne! – non appena si accorse di lui, il viso della Serpeverde sembrò assumere un maschera di puro terrore, prima di dileguarsi nel suo dormitorio, senza degnarlo di considerazione.
- Pansy, che ti ha detto? – si rivolse allora all’amica, quando le si posizionò accanto, mentre lei lo fissava in modo preoccupato.
- Blaise, ma che casino hai combinato? – replicò sconsolatamente.
- Io?! Non…non ho fatto nulla! 
- Senti, io…non dovrei dirtelo, ma…oh al diavolo! – imprecò Pansy. – Daphne mi ucciderà, ma se continua così finirà per peggiorare le cose!
- …Eh?
- Cosa sai della pozione, Blaise? – domandò la Serpeverde, ignorando il suo sguardo sbigottito.
- Quello che mi hai detto tu: che fa assumere degli strani comportamenti.
- Quello non è l’effetto vero della pozione. – lo corresse Pansy. – È solo un effetto collaterale. Il fine della pozione non era quello di far assumere altri comportamenti a chi ingeriva la sostanza.
Blaise elaborò con calma le sue parole, cercando di trovarvi una spiegazione logica.
- E allora…qual è l’effetto vero della pozione?
- Pansy, andiamo! – esclamò una trafelata Daphne che era scesa dal suo dormitorio in quel momento, dopo aver riempito il baule in fretta e furia.
- Io… - mormorò la mora all’indirizzo di Blaise.
- Cosa, Pansy? Cosa devi dirmi? – domandò ansioso, il ragazzo. Sembrava che la mora gli stesse nascondendo qualcosa di importante, qualcosa di prezioso.
- Andiamo Pansy! – ripeté la bionda Serpeverde.
L’amica, a malincuore, prese la sua valigia, lanciando a Blaise un’ultima occhiata e sillabando sottovoce la sua risposta.
 
La pozione risveglia gli istinti.
 
Quando Blaise comprese, le due ragazze si erano ormai allontanate e, stavolta, difficilmente avrebbe potuto raggiungerle. 
 
 
_____________________________________________________________________________________________________________   
 
 
 
- Hermione! Stai bene?
Una voce familiare la fece voltare, mentre si teneva una mano sulla pancia, gesto che compiva molto spesso per calmarsi, quando capogiri violenti come quello precedente la colpivano.
- Sì, credo. – mormorò alla voce, di cui non era ancora riuscita a identificarne il proprietario.
- Ginny ti stava aspettando. – la informò Neville, leggermente preoccupato.
La Grifondoro sorrise dolcemente quando riconobbe il volto dell’amico e non riuscì a reprimere un sorriso.
- Grazie, Neville, vado subito da lei. – rispose.
- Ginny era un po’ giù in questo periodo…spero che si riprenda… - borbottò incoscientemente.
Lo sguardo di Hermione si addolcì ancora di più: era sicura che qualche anno prima  Neville avesse avuto una cotta per la sua migliore amica, anche se non aveva mai detto niente a nessuno; e anche se ora il sentimento sembrava essersi trasformato in semplice amicizia, Neville aveva sempre quel modo protettivo di rapportarsi con Ginny e di assicurarsi che stesse bene. E a dire il vero anche con lei.
- Cioè…anche tu mi sei sembrata un po’ giù…quindi…insomma, spero che tu stia meglio e che…insomma, mangia tanto e…
Hermione lo abbracciò di slancio, impedendogli di finire il discorso. Quel “mangia tanto” l’aveva intenerita come non mai e le aveva anche fatto capire a cosa Neville alludesse.
- Allora è vero? – mormorò il ragazzo, leggermente arrossito, quando si separò da lei. Non ebbe bisogno di specificare, la ragazza capì lo stesso.
- Sì, Neville. – rispose, felice di poter dire la verità. Le sembrava di essersi tolta un peso enorme.
- Oh, bene…insomma…sei…sei felice, Hermione?
Le pose forse la domanda più difficile a cui poter rispondere. Forse sarebbe stato meglio rispondere con un “no”. Il disastro che aveva creato con Harry, con Ron, con Ginny, con Draco e che presto avrebbe creato anche con i suoi genitori, non era proprio una bella base su cui poter edificare la felicità. Eppure, perché sentiva quel batticuore familiare? Perché le sue mani tremavano, stavolta non di timore, ma di gioia? Perché sentiva di poter ridere e piangere e cantare, contemporaneamente?
Era davvero possibile che la prospettiva delle vacanze di Natale riuscissero a restituirle tutta quella vitalità?
- Credo…credo di sì, Neville. – E in che altro modo avrebbe potuto descrivere quella magia che premeva per uscire? In che altro modo avrebbe potuto chiamare la luce che aveva scorto nei suoi occhi quella mattina, e che non vedeva più da molti mesi?
- Sono contento anch’io per te, Hermione. – borbottò, non senza imbarazzo il Grifondoro. – Comunque… - si schiarì la voce. - …credo che Harry voglia parlarti.
 
Harry.
 
Soltanto il nome del suo migliore amico fu un pugno allo stomaco. Una lama che la trafisse silenziosamente, rubando quella poca felicità che era riuscita a ritrovare dopo così tanta fatica.
- Prima ti aspettava in Sala Comune, ma, dato che non arrivavi, è uscito un attimo con Ron. Penso che tornerà tra poco. – la informò tranquillo.
Tutta la serenità di Hermione, invece, era andata a farsi benedire. Il mostro della paura e del dolore stava già risalendo sulla sua gola, prosciugandola e rendendola incapace di parlare. Sentiva il bisogno fisico di poter finalmente riabbracciare il suo migliore amico, di lasciarsi cullare dal suo sorriso sincero, di intenerirsi di fronte alla sua risata: aveva la necessità di ritrovare quel ragazzo che considerava un fratello, ma come poteva affrontarlo, se tutto ciò che avrebbe trovato in lui, sarebbe stata quella delusione cocente che aveva visto nei giorni scorsi?
Harry, col suo distacco, aveva chiesto silenziosamente del tempo e lei aveva avuto la vigliaccheria di non negarglielo. Sarebbe dovuta andare da lui immediatamente, non facendosi frenare dal suo sguardo inquisitorio e continuando a parlargli. Avrebbe dovuto seguirlo tutto il giorno e immobilizzarlo, se necessario, per farle spiegare. Ma Hermione, dopo i primi tentativi, non aveva più trovato la forza, la capacità di avvicinarsi ancora, temendo di subire un ulteriore rifiuto. Credeva che sarebbe stato meglio per lui lasciargli del tempo, ma quei giorni passati non avevano fatto altro che separarli ancora di più, renderli ancora più distanti.
- Ti ha detto quando tornerà? – chiese, con la voce che tremava appena.
- No, però credo che…aspetta, eccolo. – le parole di Neville le giunsero lontane, da un’altra stanza. Tutto quello che Hermione in quel momento riuscì a fare, fu specchiarsi negli occhi verdi del ragazzo appena arrivato, senza muovere un muscolo.
Harry, appena apparso attraverso l’arazzo, la fissò per qualche secondo, prima di distogliere frettolosamente lo sguardo.
- Vi lascio soli. – mormorò Neville, osservando prima l’una, poi l’altro. Hermione si sforzò di sorridergli, di provare ad augurargli un “Buon Natale”, ma la sua voce sembrava essere scomparsa chissà dove.
- Hermione. – la chiamò Harry, con fermezza, quando non ci fu più nessuno ad ascoltarli.
La ragazza quasi singhiozzò. Vedere di nuovo il suo migliore amico, lì davanti a lei che le parlava, le provocò un immenso strappo al cuore.
Vedere di nuovo i suoi occhi verdi privi di quella delusione che aveva visto nei giorni precedenti, la confortò e la fece stare male al tempo stesso.
Vedere Harry che si dondolava sui talloni e si arruffava i capelli disordinati, le provocò un senso di familiarità che le riscaldò il cuore e glielo gelò.
 
Harry.
 
- Harry, io… - si torturò le mani, cercando di tirar fuori le parole. Cercando di trovare delle patetiche giustificazioni che potessero permetterle di spiegarsi. Glielo doveva. Almeno quello glielo doveva. – Mi…
 
Mi dispiace.
 
- Lo so, Hermione.
- Non…
 
Non volevo ferirti.
 
- Lo so. – ripeté Harry.
Alzò gli occhi di scatto, tentando di decifrare lo sguardo dell’amico, non più impenetrabile come prima. Fu colta da una lava incandescente di emozioni, quando si rese conto che le stava concedendo di entrare nei suoi occhi. Di potersi specchiare in essi.
- Io…
- Lo so, Hermione, lo so.
Se da quello scambio di battute qualcuno avrebbe potuto non capire niente, per Hermione furono più che sufficienti per mollare il baule in mezzo alla Sala Comune e correre ad abbracciarlo come se ne dipendesse della sua vita. Si tuffò letteralmente tra le sue braccia, cingendogli il collo, quasi con disperazione. Non lo avrebbe lasciato neanche se si fosse opposto. Si aggrappò a lui con tutte le forze che aveva, e quando sentì le sue braccia cingerle la vita e ricambiare quella stretta disperata, non riuscì a non scoppiare a piangere sulla sua spalla.
- Harry. – mormorò, singhiozzando forsennatamente come una bambina. – Mi dispiace tanto, mi dispiace tantissimo. – disse tra una lacrima e l’altra. Si rese remotamente conto che probabilmente gli stava inzuppando tutta la divisa, ma in quel momento riuscire a reprimere le lacrime, o anche solo allontanarsi di un passo, sembrava impossibile. – Perdonami, ti prego, Harry, perdonami. – lo supplicò, stringendolo ancora di più, chiedendosi se riusciva a respirare, dato la stretta ferrea a cui lo stava costringendo.
- Lo so, Hermione. Dispiace tanto anche a me. – le mormorò, con dolcezza.
- Sono stati…sono stati dei…dei giorni d’inferno, senza di te. Credevo…credevo…
 
Credevo di averti perso per sempre.
 
Si strinse ancora di più a lui, quando quel pensiero le invase la mente. La consapevolezza di aver perso Harry, di aver perso suo fratello, l’aveva distrutta, tassello dopo tassello.
- Anche per me. – le confessò, con voce dispiaciuta. – E mi dispiace di esserne stato la causa.
- Ma…ma…che dici, Ha-arry? – domandò, con voce sconcertata, mentre seppelliva la testa nel suo petto. – E’ colpa mia, dovevo…dovevo dirti subito la verità, io…non…non volevo ferirti, non ne avevo intenzione, te lo giuro. Non sapevo cosa fare, avevo paura…
 
Avevo paura di perderti.
 
Di nuovo quel pensiero crudele la scosse, facendola tremare. Sembrava impossibile aver trascorso tutti quei giorni senza Harry, senza il calore dei suoi abbracci e la dolcezza dei suoi sguardi. Se Hermione provava anche solo a guardare indietro, avrebbe risentito sulla sua pelle tutti quegli orrori che aveva provato quando temeva di averlo perso.
La Grifondoro singhiozzò fiaccamente ancora un po’ sulla sua spalla, lasciandosi cullare dalle sue braccia rassicuranti, desiderando non staccarsi mai più da quell’abbraccio protettivo. Era sempre stato così per Hermione. Gli abbracci di Harry erano i più naturali e semplici del mondo. Nulla a che vedere con gli abbracci di Draco (abbracci per modo di dire) che le provocavano sensazioni fortissime, e nulla a che vedere neanche con gli abbracci di Ron, che, per quanto calore e serenità le infondessero, le suscitavano anche un leggero batticuore, che le impediva di goderseli appieno.
E Hermione, in quel momento, tra le braccia del suo migliore amico, non poté fare a meno di pensare che forse stavolta si sarebbe davvero messa a piangere e a ridere e a cantare contemporaneamente, se quello che aveva in cambio era la presenza di Harry.
- Ti voglio bene, Harry. – soffiò infine, non trovando altre parole per descrivere quanto fosse felice in quel momento. – Più di quanto tu creda.
Percepì la risata leggera dell’amico infrangersi tra i suoi capelli e in quel momento giurò di aver sentito il cuore esplodere dalla tenerezza. Da quanto non sentiva Harry ridere? Da quanto non sentiva lei la voglia di ridere e piangere e cantare, contemporaneamente?
Si costrinse a staccarsi, alla fine, tirando su col naso, guardando il giovane Grifondoro con occhi enormi.
- Anch’io ti voglio bene, Hermione. – le mormorò Harry, accarezzandole una guancia, guardandola con affetto. – Mi dispiace di essermi allontanato in questi giorni. Non capivo perché tu mi avessi escluso così, cosa avessi fatto per…
- Harry, mi…
- Lo so che ti dispiace, Hermione. – la interruppe subito l’amico, con espressione triste. – Lo so e ti chiedo scusa per averci impiegato così tanto a capirlo.
- Allora cos’hai, Harry? – gli chiese, a bassa voce. Sentiva che c’era qualcosa che lo turbava profondamente e che continuava a tacere. – Parlami, Harry, per favore. Non voglio più che il silenzio tra noi sia un ostacolo. Non lo sopporterei. – disse, con voce supplichevole, aspettando che lui si confidasse.
- Ti ho fatto qualcosa, Hermione? – chiese allora il ragazzo, con uno sguardo pieno di tristezza. – Ho fatto qualcosa di male in questi mesi? Ti ho ferita in qualche modo?
- Co-cosa? – chiese la Grifondoro, sorpresa più che mai da quelle domande.
- Ho fatto qualcosa di sbagliato? – continuò a chiedere, con voce bassa.
- No, tu…non mi hai fatto niente, Harry. Cosa…cosa stai cercando di dirmi?
- Allora…allora perché, Hermione? Se non ho fatto niente di sbagliato, perché non ti sei fidata di me? Perché non mi hai permesso di starti accanto?
Gli occhi della ragazza s’inumidirono nuovamente quando udì la voce rotta del suo migliore amico uscire a fatica. Si sentì male quando lesse la voragine che era presente in quegli verdi, il dolore nascosto dietro quella finta calma, l’amarezza provocata dagli eventi e la paura di aver sbagliato.
Si sentì male.
- Harry, tu non c’entri niente. – disse con voce strozzata, il fiato che stentava a uscire. Rendersi conto di aver portato il suo migliore amico a temere di averle fatto del male, l’aveva lasciata sconvolta e disgustata da se stessa. – Sono io, Harry! – esclamò, vergognandosi di tutto quello che aveva combinato. – Sono io Harry, il problema. Tu non c’entri niente, io sono stata stupida, io ho…ho avuto così tanta paura…pensavo…pensavo che mi avresti lasciato sola. – confessò con amarezza.
- Ma perché, Hermione? Perché hai creduto una cosa simile? Perché non hai avuto fiducia in me?
 
Perché non mi hai permesso di starti accanto?
 
- Perché sei una delle persone a cui voglio più bene, Harry. Ed è difficile dire la verità a persone così importanti. – rispose, con gli occhi lucidi. – Perché sarebbe stato mostruoso vederti deluso e ferito per colpa mia. Perché sarebbe stato orribile perderti. Perché…
 
Perché tu sei parte di me. E avevo paura che quella parte mi sarebbe stata strappata via.
 
Era sicura che avrebbe ricominciato a piangere entro pochi secondi, ma proprio quando i suoi occhi stavano per cedere, Harry la abbracciò di nuovo, bloccando sul nascere il pianto.
- Scusa, Hermione, non dovevo chiedertelo.
- No. – soffiò la ragazza. – Hai fatto bene. – borbottò, asciugandosi le lacrime appena accennate.
- Ti sentivo sempre più distante, Hermione. – le confessò il Grifondoro, guardandola negli occhi. – Ti sentivo più distante e non sapevo cosa fare per aiutarti. – La giovane abbassò lo sguardo, colpevole, credendo forse di non meritarsi l’affetto che vedeva brillare negli occhi di Harry.
- Mi…
- Smettila di dire che ti dispiace! – esclamò il ragazzo. La ragazza assunse un cipiglio critico e fu sul punto di rispondergli che non era ancora riuscita a chiedergli “scusa” come si doveva, dato che lui la interrompeva sempre, ma poi Harry le sorrise e bloccò le sue parole sul nascere. – Mi sei mancata tanto in questi mesi, sorellina.
- Anche tu. – lo riabbracciò per la terza volta, sentendo di nuovo gli occhi pizzicare. – Tantissimo.
- Come mai sei così volubile? – la prese in giro l’amico, guardandola negli occhi.
- Credo di aver pianto più in questi mesi come mai in vita mia. Gli ormoni mi influenzano parecchio. – borbottò, arrossendo.
- Già, gli ormoni… - ripeté Harry pensieroso. - …oppure anche il fatto che ti sei innamorata di uno stronzo.
Hermione sentì il sangue fluirle sulle guance e poi congelarsi di punto in bianco. Non aveva idea di come l’amico avesse preso il fatto che lei provasse qualcosa per Malfoy, dato che la notizia della gravidanza lo aveva fatto allontanare prima di poter chiarire per bene su quel punto.
- Oh…ehm…io…
- Insomma, Malfoy, Hermione? Sul serio?
La ragazza si sentì arrossire sotto il suo sguardo leggermente accusatorio.
- Sì, Harry. Ho cercato di dimenticarlo, dico davvero. – sussurrò con voce triste.
 
E non ho fatto altro che innamorarmene ancora di più.
 
-Ho provato ad immaginarmi sul serio un futuro senza di lui.
 
E ho visto solo l’Inferno.
 
- Ho cercato di non pensare ai miei sentimenti.
 
E sono tornati più forti di prima.
 
- Al cuore non si comanda, giusto? – mormorò allora il ragazzo, infilando le mani nelle tasche.
- Purtroppo no. – borbottò la Grifondoro.
- Rispetto la tua scelta, Hermione. Non so come tu possa provare dei sentimenti per Malfoy, ma…mi fido del tuo giudizio e…se è quello che vuoi, va bene.
 
Se è quello che vuoi, devi fare di tutto e prendertelo.
 
La ragazza sorrise, rendendosi conto di quanto le parole di Ginny suonassero simili a quelle di Harry.
- Soltanto…non chiedermi di andare d’accordo con lui, perché non lo farò. – continuò il Grifondoro. – Già stamattina mi sono trattenuto dal ridurlo in poltiglia, poi…
- Che?! – strillò la ragazza improvvisamente.
- Ehm…ho detto…che non andrò d’accordo con lui, perché…
- Non quello, Harry! Chi ha ridotto in poltiglia chi? – domandò accalorandosi.
- Ma niente, Hermione! Non ti agitare…io e Ron abbiamo solo incontrato Malfoy e…
- E?
- …Abbiamo discusso un po’, ma ti assicuro che è stata una cosa del tutto pacifica. – dal tono di Harry la ragazza capì che la discussione non doveva essere stata per niente pacifica. Anzi.
- Pacifica?
- Assolutamente sì. Anche se, come ho già detto, dopo aver saputo che da Ginny che era stato lui a mandarti in Infermeria e che avevi rischiato di abortire, avrei voluto prenderlo a calci.
- Oh. – mormorò semplicemente la ragazza, un po’ in imbarazzo del fatto che il suo migliore amico fosse a conoscenza di tali particolari. – Harry, posso…posso farti una domanda? – soffiò, nel tentativo di cambiare discorso. Era troppo imbarazzante parlare con lui di Draco Malfoy.
- Certo. – rispose affabile.
- Perché sei venuto a parlarmi proprio oggi? Non che non ne sia felicissima, ma…perché proprio ora?
- Perché non volevo partire senza salutarti. – chiarì, in un moto di tenerezza. – Perché non volevo passare il Natale, sapendo che la mia migliore amica stava male per la colpa mia.
- Sono felice che tu lo abbia fatto.
- Anch’io.
Poi, Hermione, guardandolo di nuovo, sganciò quella domanda che premeva per essere lasciata, già dal primo momento in cui aveva visto Harry.
- Hai parlato con Ginny? – il quesito di Hermione sopraggiunse spontaneo e improvviso, facendo calare uno strano silenzio tra i due ragazzi. La Grifondoro sperava ardentemente che i suoi migliori amici avessero chiarito tutto quanto, ma l’ombra scura che passò attraverso gli occhi del ragazzo, la fece adombrare a sua volta.
- Non…non hai parlato con Ginny? – tentò di correggersi.
- No, cioè sì…ci ho parlato, ma…
- Avete fatto pace? – La ragazza si rese conto di come potesse risultare insistente e petulante, ma la speranza di poter finalmente rivedere la sua migliore amica sorridere di nuovo superava ogni remora e indiscrezione.
- No. – borbottò il Grifondoro, con occhi bassi, mentre ad Hermione si fermare il cuore e la mente macchinava in cerca di una plausibile spiegazione.
- Harry, ma…hai detto che hai capito, che…Ginny non c’entra niente e…
- Hermione, io…io non sono arrabbiato con Ginny. – chiarì Harry. – Anzi, ogni volta che abbiamo litigato, capivo che l’avevo già perdonata fin dal primo istante e volevo soltanto non vederla più soffrire.
- Quindi andrai a parlarle? – chiese la giovane, con il cuore che ricominciava a battere come prima.
- …Ecco io…non…non sono sicuro di volerlo fare.
Hermione sbatté gli occhi.
- …Perché?
- Perché…perché…insomma, Hermione, sono due settimane che continuo a litigare con lei e l’ho allontanata molto e…come posso tornare da Ginny dopo che l’ho trattata così?
La Grifondoro alzò le sopracciglia, senza dire una parola per qualche minuto.
- Potresti dirle quello che hai detto a me, Harry. – disse alla fine, stranita.
- No, Hermione non posso! E se fosse troppo tardi e se…se…se… - il ragazzo non terminò la frase, passandosi una mano tra gli arruffati capelli corvini.
- Harry… - cominciò con calma la Caposcuola. - …Stai forse cercando di dirmi che hai paura che Ginny non ti ami più?
E la vide, nello stesso istante in cui parlò, nei suoi occhi verdi la paura. La paura nera e acuta di aver sbagliato tutto, di aver perso la persona più importante della sua vita.
- Ginny ti ama da quando aveva undici anni, Harry! – esclamò, cercando di convincerlo di quanto i suoi timori fossero infondati. – Non saranno certo due settimane a farle cambiare idea! Devi…devi parlarle subito!
 - Ma cosa dovrei fare, Hermione? Dovrei andare da lei e dirle: “Non sono più arrabbiato con te”? – chiese, sconcertato.
- Sì! – esclamò l’amica. – Certo che devi fare così, Harry!
- Ma io…io… - borbottò tutto rosso. - …Non lo so, e….se mi dicesse che non ne vuole più sapere di me?
- Ma….ma Harry! – esclamò allibita, chiedendosi a quanto potesse arrivare l’idiozia maschile. – Come puoi credere una cosa simile?
- …Non lo so, io…proverò a parlarle…forse.
- Harry, tu devi parlarle, non forse!
- Ci…ci devo riflettere.
La Grifondoro fu tentata di schiaffarsi una mano sulla faccia: quanto riusciva ad essere impacciato Harry a volte?
- Harry, ma…vuoi rischiare di perderla? – l’espressione di terrore che attraversò gli occhi dell’amico la fece quasi indietreggiare.
- Ecco, vedi che anche tu, Hermione, dici che la perderò? Non…non voglio perderla, certo che no! – sbottò con veemenza. – Ma…ma…ma…Merlino, non so cosa fare!
A Hermione, in quel momento, non restò altro da fare che boccheggiare come un pesce lesso e sbattere più volte le palpebre, rendendosi conto che forse non aveva poi così torto chi affermava la stupidità del cervello maschile.
 
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Il viaggio in treno fu più spiacevole del previsto.
Per tutto il tragitto Ginny rimase silenziosa accanto a lei, senza rivolgerle la parola. Ron tentava di rompere la tensione cercando di coinvolgere Harry e sua sorella in qualche conversazione, ma fino a quel momento non aveva avuto molto successo. Inoltre Hermione non aveva considerato le occhiate che tutti le avrebbero lanciato, una volta salita. Nonostante tutto, la presenza dei suoi migliori amici era qualcosa di talmente confortante che non diede peso agli sguardi che riceveva.
La ragazza si schiarì la voce all’improvviso, avvertendo un senso di nausea alla bocca dello stomaco.
- Devo andare in bagno. – borbottò sottovoce a Ginny.
- Ti accompagno! – esclamò l’amica illuminandosi immediatamente, forse allietata dalla prospettiva di non dover più rimanere in quel silenzio opprimente.
Si alzarono facendo un cenno ai due ragazzi, dirigendosi fuori dal vagone.
- Come stai?
- Abbastanza bene. Ho solo un po’ di nausea. – mormorò la ragazza.
Alcune ragazze del sesto anno, intanto, le passarono a fianco ed emisero dei risolini, guardandola. Si allontanarono, mentre continuavano a indicarla senza alcuna discrezione.
- Non sprecare il tuo tempo con loro: sono solo delle oche. – la reguardì Ginny, proibendole con lo sguardo di sentirsi a disagio per qualunque motivo.
- Già… - sospirò Hermione, entrando nel bagno e troncando la conversazione. Non le interessava ciò che pensavano gli altri, ma a nessuno avrebbe fatto piacere essere continuamente additato.
Dopo qualche minuto, lavatasi le mani e bagnatasi il viso per rinfrescarsi, la Grifondoro si sentì meglio: il senso di nausea che aveva avvertito sembrava essere scomparso.
- Hai parlato con Harry, Ginny? – chiese, guardandola attraverso lo specchio, vedendola arrossire.
- Ci ho provato tutta la mattina…sembra che mi stia evitando, io…non so più cosa fare. – confessò, con il viso distrutto. Hermione maledisse l’idiozia del suo migliore amico.
- Provaci ancora! – la incitò. – Dovete soltanto…ritrovarvi. – spiegò, cercando di essere convincente, mentre una strana confusione si alzava all’interno del treno. Ginny lanciò una strana occhiata al di là della porta, incuriosita dal rumore, per poi tornare a fissarla.
- Mi evita, Hermione! Sembra che abbia paura a rimanere da solo in una stanza con me! – esclamò, incominciando ad arrabbiarsi. – Come se io potessi saltargli addosso… - borbottò. - …anche se non mi dispiacerebbe.
 
O forse è lui che ti salterebbe addosso. Per questo non vuole rimanere da solo con te.
 
Hermione preferì tenere quel pensiero per sé, mentre un nuovo rumore rimbombava tra le pareti.
- Ma che sta succedendo? – chiesero all’unisono, fissando la porta chiusa del bagno.
- Andiamo a vedere. – propose Ginny, dirigendosi verso la fonte di quel rumore. Stranamente, sembrava proprio che stessero andando verso il loro vagone.
- Hermione! Ginny! – le richiamò Luna, ansiosamente, apparendo dietro di loro, un po’ trafelata. – Ho cercato di fermarli, sul serio! – esclamò dispiaciuta.
- Chi?
- I Nargilli! Ho cercato di fermarli prima che accadesse l’irreparabile, ma non ce l’ho fatta. – si scusò, abbassando la testa.
- Oh, …ehm, Luna, non devi scusarti… - cominciò Ginny.
- Sì, invece! Harry e Ron si sono picchiati! E’ colpa dei Nargilli! Hanno influenzato gli animi di tutti, incattivendoli.
- Harry e Ron…Che?! Luna, ma stai scherzando? – esclamò Hermione.
- Si sono picchiati? – esclamò invece Ginny.
- Non tra di loro! – si corresse la bionda, guardando le loro facce sconvolte. – Un gruppo di ragazzi aveva insultato Hermione e…insomma, hanno cominciato a litigare e, dato che Ron non trovava la sua bacchetta, ha preferito passare alle maniere babbane.
- Ron ha… - mormorò sconvolta Hermione.
- E’ stato un bel pugno, ha steso letteralmente quel Serpeverde del sesto anno. Credo che i Nargilli lo abbiano in parte fortificato. – mormorò Luna, sovrappensiero.
- Mio fratello non farebbe male ad una mosca! – strillò Ginny, preoccupata. – E poi è un incapace nel tirare i pugni, sembra una frittella quando ci prova!
- Appunto, i Nargilli lo hanno fortificato.
- Accidenti. – mormorò allora Hermione, lasciando indietro Luna e Ginny per correre verso il suo scompartimento.
Si portò una mano della bocca, vedendo la scena che le si parava davanti: Dean e Neville stavano pacatamente tentando di calmare Ron, mentre Seamus parlava con Harry leggermente a distanza. Dall’altra parte vedeva un iracondo Serpeverde, circondato da ragazzi che cercavano di trattenerlo.
Era ormai arrivata a “scontro” finito, ma le conseguenze che aveva lasciato furono ben visibili lo stesso. Ron aveva un grosso graffio sulla mandibola, mentre Harry la guancia destra completamente rossa: probabilmente entro poco tempo ci sarebbe venuto un livido. Sospirò di sollievo: non che fosse contenta di quella situazione, ma si era immaginata cose di gran lunga peggiori.
- ‘Fanculo Weasley. – sibilò il Serpeverde, massaggiandosi la mascella. – Non è certo colpa mia se quello che ho detto è vero.
Dean fu costretto ad artigliare il braccio di Ron, per impedirgli di avventarsi nuovamente sul ragazzo.
- Stai zitto, Derrick. Non sai neanche di cosa stai parlando. – sibilò con voce altrettanto tagliente il Grifondoro.
Peregrine Derrick si tolse di dosso la mano che lo tratteneva e con una smorfia truce si allontanò, portandosi dietro il suo seguito, lanciando un’occhiata assassina a tutti i presenti.
- Ron, Harry! – esclamò Hermione, non appena i Serpeverde se ne furono andati. – Ma cosa vi è venuto in mente?
I due amici si guardarono per un attimo, per poi fissare lei.
- Niente. – mugugnarono all’unisono.
- Oddio…! – esclamò Ginny, appena arrivata. – Che…che è successo? State bene? Luna mi ha trattenuta, non…
- Stiamo bene. – la interruppe Ron. - Più o meno. Non è successo niente.
- Niente? Niente? Avete fatto a botte con dei ragazzi e questo lo chiamate niente?! – esclamò Hermione con voce acuta.
- Non agitarti Herm, ti fa male. – l’avvisò Neville, che sembrava il più calmo di tutti.
- Io non sono agitata!
- Eh…Insomma…
- Non sono agitata! – ripeté la Caposcuola.
- Ora lo sei. Dean, Seamus, Neville…grazie per aver interrotto lo scontro. – disse Ginny in modo pratico.
- P-prego. – borbottò Dean, arrossendo. Harry gli lanciò un’occhiata poco amichevole, ma non spiccicò parola.
- Li lasciamo in mano vostra. – disse Seamus, allontanandosi con gli altri. Non appena se ne furono andati, Hermione afferrò di malagrazia i suoi due migliori amici.
- Venite. – sbottò, spingendoli all’interno dello scompartimento.
Da quando la ragazza aveva saputo della gravidanza, tendeva a portarsi sempre dietro, a portata di mano, cerotti e garze per qualsiasi evenienza e altri oggetti che le sarebbe potuti essere utili in caso di incidente; ovviamente anche una buona scorta di acqua, che spesso le serviva per rinfrescarsi quando si accaldava troppo. Ginny era scoppiata a ridere quando lo aveva saputo e le aveva detto di essere un po’ esagerata.
Eppure in un momento come quello, con la bacchetta nel baule, fu felice di essere stata tanto previdente. Recuperò un paio di piccoli asciugamani, bagnandoli entrambi.
- Hermione…non ce n’è bisogno. – mormorò Harry, quando comprese le sue intenzioni.
- Non dire sciocchezze. – lo ammonì, porgendo un asciugamano a Ginny, che la fissava confusa e andando verso Ron.
- Vieni: andiamo in bagno a disinfettare la ferita.
- Non ne ho bisogno, Herm. È solo un graffietto.
La ragazza sorrise: era proprio vero che l’orgoglio maschile non aveva limiti.
- Non si sa mai. – lo afferrò per una mano, arrossendo e facendolo arrossire. Se lo trascinò dietro e lasciò una Ginny palesemente scossa e un Harry completamente rosso a guardarsi imbarazzati nello scompartimento del treno.
 
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Era sgattaiolata via dal suo posto, non appena ne aveva avuto la possibilità. Anche la presenza di Pansy le era diventata intollerabile: probabilmente non riusciva a perdonarla per l’incidente della pozione, anche se la sua amica non c’entrava quasi nulla. Certo, c’era da dire che Pansy era stata davvero molto intelligente a lasciarla sola con Blaise, mentre era sotto l’effetto di quella sostanza.
 
Grazie, ottima mossa.
 
Blaise, che tra l’altro cercava continuamente di parlarle da quando era salita sul treno, ma che lei si rifiutava ostinatamente di ascoltare.
 
Per favore, Daphne, è importante,le aveva detto.
 
Sì, importante un emerito…calderone.
Magari voleva rinfacciarle di averla assistita tutta la notte e di non essersi potuto dedicare alla biondina della sera scorsa. Chissà perché ma l’immagine di Blaise, avvinghiato a quella piovra, oltre a figurare sempre più spesso nella sua mente, le procurava un immenso fastidio.
 
Sparisci dalla mia mente, stupido babbuino!!!
 
- Daphne!
 
Oddio, adesso sento anche la sua voce.
 
Non fece in tempo neanche a rendersene conto che si ritrovò sbattuta con violenza contro il muro dietro di lei.
- Ahia! Ma cosa… - bloccò la serie di imprecazioni sul nascere, quando vide gli occhi di Blaise a un centimetro dai propri. Assolutamente furiosi.
- Sono due ore che cerco di parlarti. – sibilò, incollerito.
- Io non ho niente da dirti. – sbottò la ragazza, tentando di liberarsi dalla sua presa.
- Tu non ti muovi di qui.– sentenziò il Serpeverde con uno sguardo che Daphne non gli aveva mai visto prima. – Adesso parliamo. Una volta per tutte.

 
 
 




 
*Angolo dell’autrice più ritardataria di EFP
 
 
 
Vi state chiedendo se è un’allucinazione? Non lo è!
Vi state chiedendo se è una Candid Camera? Non lo è!
Vi state chiedendo se è un sogno? Non lo è!
E’ più che altro un miracolo, ecco.
 
Direi che mi merito una bella cassa piena di frutta e uova marce in testa, voi che dite?
Non trovo le parole per scusarmi del mio ritardo: d’altronde cosa si dice dopo quattro mesi? (Più di quattro mesi, in effetti, ma arrotondiamo per difetto, va…:P)
Sinceramente parlando, mi dispiace, mi dispiace tantissimo. Probabilmente penserete che non vale la pena neanche più seguire la storia se ha degli aggiornamenti così sporadici, e avreste anche ragione. Non so davvero cosa dire, se non che mi dispiace tanto :(
Ho avuto problemi a scuola, mi sono trovata in difficoltà con un paio di materie e ho davvero temuto di essere rimandata, con la media che avevo. Ora, anche se mi manca ancora qualche voto, ho stabilizzato un po’ la situazione e non dovrei avere nulla per l’estate. Sono stata talmente presa dai problemi scolastici che me li sognavo persino la notte! Mi sono sognata che prendevo 3 a un tema e che, per la rabbia, lo facevo a pezzettini, per poi gettarli in un lago, tralasciando il fatto che poi quel tema l’avrei dovuto restituire alla professoressa XD
No, seriamente, sono stata assorbita dalla scuola totalmente, ho fatto parecchie nottate per rimanere in pari e mi sono ritrovata addirittura ad addormentarmi di giorno sui libri, per recuperare un po’ di sonno. Sono stati dei mesi faticosissimi, e, neanche ora che siamo a maggio, posso riposarmi più di tanto. Le verifiche sono praticamente triplicate, cosa che non ritenevo possibile visto quanto già ce n’erano :P
Per fortuna tra poco arrivano le vacanzeeeeeeeeee!!!!!!!!!!!!!! * flors saltella in qua e là *
Comunque, oltre alla scuola, ho avuto anche un altro grosso problema: ebbene, non credevo fosse possibile, ma la mia pennina USB deve essersi un po’ fusa…Sì, perché
ho perso tutti i file.Infatti, parte del capitolo di “Never Let Me Go” è stato riscritto, perché non avevo più alcun documento, motivo per cui ho ritardato così tanto. Inoltre ho perso anche tutti i capitoli che avevo pronti per l’altra mia long, “Ronald Weasley…e le strategie di conquista!”. Chi legge questa storia sa che sarebbe dovuta finire entro breve, dato che sono pochi capitoli, ma, avendo perso tutti e tre i capitoli finali che avevo scritto, non ho più aggiornato per mancanza di tempo. Per chi la dovesse seguire, voglio comunque rassicurare che non ho intenzione di abbandonarla, ho già riscritto qualcosa ;)
E’ stato un dispiacere vedere che tutti i miei scritti, tutte le frasi che a volte mi segnavo per non dimenticarmele, sono andati perduti. Lì per lì, mi è anche venuto da piangere )= 
Ma adesso basta con le lamentele su! Devo dirvi un po’ di cose su questo capitolozzo!
Innanzitutto volevo chiedervi cosa ne pensate della riappacificazione con Harry. Ero molto indecisa se metterla in questo capitolo o nel prossimo e, anche se non avrei il diritto di chiederlo, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate :) E’ stata all’altezza delle vostre aspettative? Troppo frettolosa? Troppo noiosa? Non so, ditemi tutte le vostre impressioni, così posso migliorarmi!
Mi scuso per chi sperava di vedere qualche momento Draco/Hermione. In questo capitolo c’è stato soltanto il pezzo in cima e Draco non è stato molto presente, ma sicuramente lo sarà nel prossimo…è.è
Insomma, comunque ha accettato di andare a casa di Hermione, è già un passo avanti, più o meno, no? ^___^
E Daphne e Blaise? Cosa ne pensate? Ve lo eravate immaginato così il risveglio di Daphne? ;) Forse sono stata un po’ cattiva a lasciare il finale così in sospeso, ma un po’ di suspance nella vita ci vuole sempre, giusto? xD
A proposito del finale, volevo chiarire che il personaggio di Peregrine Derrick non me lo sono inventato, ma sarebbe uno dei Serpeverde (ovviamente di minima importanza) allo stesso anno di Harry, Ron e Hermione. Anche perché io non sarei mai riuscita a ideare un nome tanto particolare…Insomma…Peregrine! Ma dove lo ha trovato ‘sto nome zia Row?
Comunque, cavolate a parte, non so quando arriverà il prossimo capitolo. Ho già qualcosa di pronto e, se ci riesco, voglio pubblicarlo prima dell’inizio delle vacanze estive :))
Pongo fine a queste lunghissime note, ringraziando di cuore le 2000 persone che hanno letto l’ultimo capitolo. Ci sono rimasta secca quando ho visto un numero così alto di visitatori. Per non parlare delle 40 recensioni, più un commento breve.
41 recensioni. 41 recensioni!!! E io che aggiorno dopo quattro mesi per ringraziarvi. Mi faccio schifo, sappiatelo.
Non so davvero come ringraziarvi, è grazie a voi lettori che la storia va avanti, non scherzo. Quindi grazie davvero a tutti quelli che hanno messo la mia storia tra le preferite/seguite/ricordate e grazie a quei dolcissimi raggi di sole che hanno recensito lo scorso capitolo:
Stella94, Black_Yumi, Felpick93, Celicola, clari94, LilyLovegood, Lady_Malfoy7, Aregilla, NiniBella, sibilla87, _memories_, anonima K Fowl, temishira88, Stocazzogirl, SeverusSnapeAlways, Slytherin_Ss, LullabyMalfoy, Dolores1992, tonks17, sophie5, Veronica Malfoy, Rachel Parker, Urania Sloanus, EmmaDiggory15, MimiRyuugu, dplalage, Ro Jack89, Harold_Malfoy, suckerforlove, Lulu_Delacroix, BrigataMagnus, evechisaro, Lierin_, Leesh, RossoCiliegia, Jocker157, piumetta, Notteinfinita, ArmoniaDiVento, Rossacomeilsangue e Draco the best.

E…niente, mi vengono le lacrime agli occhi nel vedere tutte queste recensioni. Grazie di cuore, per quanto questa parola possa sembrare banale. Grazie, grazie, grazie =DDD
Un abbraccio fortissimo a tutti quanti!
flors99

 
 
 

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Capitolo 22
*** The Hell Was Finished ***


- Non voglio parlare con te! – strillò Daphne, tentando nuovamente di fuggire lontana da lui.
- Ma io sì. E stavolta… - rafforzò la presa sui suoi polsi, mentre pronunciava quelle parole - …non scapperai via.
- E cosa vorresti dirmi, sentiamo! – esclamò allora, rabbiosa. Trovarsi il viso di Blaise così vicino non contribuiva certo a migliorare la sua salute mentale: si sentiva parecchio instabile in quel momento.
- Voglio parlarti di ieri sera. – scandì per bene il ragazzo. – Hai detto che non ricordi nulla.
- Infatti. – mentì spudoratamente la Serpeverde, sperando che non ne parlasse mai più: sarebbe stato troppo imbarazzante.
Blaise la guardò in un modo che le fece quasi girare la testa, tanto erano intensi i suoi occhi. Si avvicinò ancora di più, incastrandola completamente tra lui e il muro.
- Allora te lo ricorderò io.
Daphne spalancò gli occhi, sperando di aver capito male.
Che…che aveva detto? Voleva…voleva…per caso…ripeterle tutto quello che lei gli aveva detto la sera prima? Arrossì al solo pensiero.
- C-che? Stai scherzando?
Il ragazzo non rispose, ma l’afferrò per il mento, costringendola a guardarlo.
- No.
- Tu…tu sei impazzito! – sbottò la giovane, non sapendo cosa fare o dire.
- Hai detto tante cose, sai? – cominciò Blaise, come se non avesse udito l’offesa.
- Non…non voglio che tu… - tentò di fermarlo, ma senza successo.
- Me le ricordo tutte io, le cose che hai detto. E ne hai dette davvero tante… - ripeté, come se volesse marcare il concetto che da lì a poco le avrebbe esposto tutto quanto. 
- Blaise, smettila.
- Hai detto che...non volevi salire in camera da sola… -  disse, ignorandola. - …perché la gallina voleva mangiarti. – sorrise in modo strano, pieno di divertimento e di scherno, mentre Daphne arrossiva, pregando dentro di sé che il ragazzo non continuasse.
- …Non mi è mai piaciuto quello stupido pennuto. – borbottò, tentando di salvare un briciolo di dignità.
- …Hai detto che avevi paura del buio…
Il respiro le si mozzò in gola e desiderò ardentemente essere inghiottita dal pavimento.
- …Ero confusa, non sapevo quello che dicevo…
- Hai detto che non volevi restare da sola… – continuò a parlare Blaise, con uno strano sguardo, mentre la presa delle sue mani sui polsi e sul mento si allentava e andava invece ad accarezzarle quasi pigramente le braccia. – …e non volevi che io andassi via. – la guardò negli occhi quando completò quella frase e se Daphne avesse potuto scomparire all’improvviso, l’avrebbe fatto il prima possibile.
- D-davvero ho detto c-così? – balbettò.
- Sì, Daphne. – pronunciò il suo nome intero con uno strano tono, mentre sentiva le mani di Blaise accarezzarla e una sensazione di calore propagarsi per tutti il corpo. – Mi hai abbracciato…
 
Non lo dire, non lo dire, non lo dire…
 
- …e mi hai baciato.
 
L’ha detto.
Merda.
 
La ragazza cominciò a sudare freddo, mentre gli occhi blu di Blaise la scrutavano come se volessero leggerle l’anima. Arrossì violentemente, non riuscendo più a ragionare normalmente, distratta anche dalle carezze leggere con le quali il Serpeverde la sfiorava. Merlino! Perché le sembrava che le carezze del ragazzo avessero qualcosa di…sensuale?!
- Io…non mi ricordo nulla. – sbottò malamente.
- Io sì. – replicò Blaise. – Me lo ricordo.
- B-buon per te. – riuscì a malapena a rispondere, chiedendosi quanto ancora avrebbe resistito senza baciarlo di nuovo. Forse l’effetto della pozione non era poi svanito del tutto…avrebbe potuto appigliarsi a quel pensiero come giustificazione.
- Hai detto che…
 
No, no, no, no, ti prego, Blaise no, questo, QUESTO non dirlo.
 
- …che mi volevi, Daphne.
 
L’ha detto.
Merda.
 
- Eri disperata quando ti ho legata alla sedia: volevi che ti slegassi. – continuò imperturbabile. – Mi hai chiesto di…
 
No, no, no, Merlino, NO!
 
- …strapparti i vestiti di dosso…
 
L’ha detto.
Merda.
Merdissima!!!
 
- …e di prenderti, in ogni posizione…
 
Cazzo.
 
Daphne abbassò gli occhi, mordendosi il labbro pur di non urlare. Le mani cominciarono a tremarle di rabbia o forse di un’altra sensazione che non riusciva a definire: umiliazione?
- Ero sotto l’effetto di una pozione, Blaise! – esclamò poi, con gli occhi leggermente velati. – Smettila di ripetere quello che ho detto! Non ero in me, ok?
- Quindi non è vero? – chiese il ragazzo, portandola ancora più vicino a lui. – Non è vero quello che hai detto, Daphne? – le mormorò ad un centimetro dalla faccia.
- Non…non mi toccare! – strillò, cercando di allontanarsi, ma le mani di Blaise, più forti, la tennero ben stretta.
- E’ vero quello che hai detto, Daphne, o era solo l’effetto della pozione? Mi devi una risposta. – sibilò, guardandola fissa negli occhi e non permettendole alcuna via di fuga.
- Io non ti devo niente! – ringhiò la ragazza, liberandosi dalla sua presa, con uno scatto violento. Il ragazzo si sbilanciò, mentre Daphne lo guadava ferocemente e quasi correva via. Non fu abbastanza veloce, perché Blaise la bloccò immediatamente, afferrandola per le spalle.
- Non puoi andare via così! – esclamò il ragazzo, inchiodandola nuovamente al muro.
- Io faccio quello che voglio, Blaise. Non sei certo tu che devi dirmi cosa devo o non devo fare!
- Ti ho fatto una domanda, Daphne. Adesso rispondi. – replicò, per nulla scosso dalla voce rabbiosa della ragazza.
- Cosa…vuoi…che…ti…dica? – disse, mentre tentava di spingerlo via e permetterle finalmente di andarsene.
- Voglio la verità. – le soffiò ad un centimetro dal suo viso. – Poi, potrai andartene.
- E cosa cambierebbe? Non ha nessuna importanza. – mormorò la ragazza, respirando velocemente, sentendosi le gambe molli e gli occhi lucidi.
- Importa a me! Ho bisogno di saperlo, Daphne, devi…dirmi la verità. – rispose, con difficoltà.
- Cosa cambia, Blaise? Cosa cambierebbe? – ripeté, riacquistando il suo sguardo duro come roccia.
Il ragazzo la fissò per quel che parve un tempo infinito, con una tale intensità che Daphne per un attimo temette che sarebbe bruciata sotto quello sguardo ardente di emozioni.
- Ho parlato con Pansy. Mi ha detto i veri effetti della pozione: che risveglia gli istinti.
Per un attimo la ragazza credette di aver capito male; quando poi la sua mente comprese le parole del Serpeverde, una rabbia cieca si fece strada nei suoi occhi.
- Co-cosa? Come… - sussurrò, sconcertata, mentre la rabbia montava sempre di più. – Come ha potuto, quella stronza?! – esclamò, sinceramente ferita dal comportamento dell’amica.
- Quindi è così? – domandò Blaise, ignorando le sue imprecazioni. – È vero quello che ha detto?
Daphne lo fissò, indecisa se prenderlo a pugni.
- Vai a quel paese, Blaise. Dico sul serio. – disse, con voce strozzata, sul punto di urlare dalla rabbia o dalla tristezza. – È vero, ok?! – esclamò alla fine, calpestando il suo orgoglio. – È vero quello che ti ha detto Pansy. Adesso lasciami, immediatamente. – Cercò di liberarsi, ma non ci riuscì. La presa del ragazzo era troppo forte per lei; sarebbe voluta scappare il più lontano possibile: tutto pur di non vedere gli occhi di Blaise che si allargavano per lo stupore e finalmente comprendevano tutta la situazione.
- Tu… - borbottò l’amico, sorpreso.
- Mi lasci andare, Zabini?! – strillò la giovane, dimenandosi. Non voleva udire più una sola parola.
- No. – rispose, riprendendosi dallo stupore. – Non ho finito di parlare.
- Non hai finito? E cosa vuoi dire ancora? Quanto ancora vuoi umiliarmi? – si dimenò, scalciò, lo minacciò, ma la presa di Blaise non diminuì d’intensità e lui non si allontanò di un centimetro.
- Prima che tu ti addormentassi, Daphne…hai detto un’altra cosa. – riprese il discorso Blaise, appoggiando la fronte sulla sua.
Quando la ragazza capì di cosa stesse parlando il sangue le si ghiacciò nelle vene. Le sue ultime parole. Le…ultime…
 
No, per favore.
 
- Non…non voglio saperlo, Blaise.
Il ragazzo si avvicinò al suo orecchio, come se dovesse rivelarle un segreto. Daphne si schiacciò contro la parte, pur di non toccarlo, ma ottenne soltanto il risultato di averlo ancora di più addosso. Percepì il respiro caldo del Serpeverde sul collo, andando in iperventilazione.
- Avevi già gli occhi chiusi…e lo hai mormorato a voce bassa…ma ti ho sentito…
 
No, ti prego.
 
- No…Blaise…
Cominciò a tremare a contatto con suo corpo e se prima aveva desiderato di poter sparire, adesso sarebbe voluta addirittura morire, piuttosto che sentire il ragazzo ripetere ciò che lei aveva detto in un attimo di totale confusione…
- Mi hai detto… - le parole vibrarono sul suo lobo, sul suo collo, sulla sua pelle, dentro di sé. Percepì una mano di Blaise sul fianco e quasi singhiozzò quando l’avvertì risalire sul suo corpo.
 
Per favore, non dirlo.
 
- Ti amo.
Daphne non ricorda neanche più se fu Blaise a pronunciare quelle parole, o se fu soltanto la sua mente che le ricordava quando le aveva spudoratamente pronunciate sotto l’effetto della pozione. Ricorda semplicemente che si ritrovò spalmata completamente contro il muro, il corpo del Serpeverde sul suo, la bocca sulla propria.
Senza preavviso, senza dolcezza, senza premura. Piuttosto con forza, con rabbia, con ferocia.
Ricorda la sensazione di assoluto stordimento ed eccitazione che le scosse il corpo come un’ondata, i vestiti che frusciavano complici tra loro, i fianchi che si incontravano con esplicita urgenza. Ricorda il respiro caldo di Blaise sul collo, la scia di baci che la fecero tremare con una foglia, le proprie mani intorno alla sua nuca, finalmente appagate di poter compiere quel gesto.
- Tu hai la minima idea… - le sibilò Blaise ad un millimetro dalla sua bocca, afferrandole i capelli e costringendola a piegare la testa di lato. - …di cosa abbia significato per me sentirti dire tutte quelle cose e non fare nulla? – si avventò sul suo collo, mentre la ragazza sussultava, chiudendo gli occhi e abbandonandosi alla sua irruenza.
- N-no. – riuscì a sussurrare a malapena, anche se non aveva compreso una singola parola.
- Mi hai ignorato per anni, Daphne, per anni. – ringhiò quasi strattonandole ancora di più i capelli. – E adesso…adesso provi qualcosa per me?
- Io… - cominciò la ragazza confusa, non sapendo bene cosa rispondere, prima che le labbra di Blaise s’impossessassero di nuovo delle sue. La baciò in un modo così profondo e così a lungo che a Daphne sembrò di morire lì in quel momento, tra le sue braccia.
 
Sarebbe una morte piacevole.
 
- Meglio tardi che mai. – furono le ultime parole che il Serpeverde pronunciò, prima di baciarla per la terza volta.
- B-blaise… - riuscì a biascicare quella parola a malapena tra un bacio e l’altro. Fortunatamente era ancora abbastanza lucida per sentire che il suo corpo veniva trascinato indietro, da qualche parte. – Ch-che…cosa…fai?
- Vediamo di fare tutto quello che hai suggerito ieri sera. – la Serpeverde non fece in tempo né a vedere il ghigno presente sulle labbra del ragazzo, né comprese granché bene ciò che aveva detto, perché Blaise la baciò di nuovo, annullando anche i pochi neuroni funzionanti che le erano rimasti.
Non ricorda altro, Daphne, di quel momento. Perché da quell’istante in poi, si dimenticò di tutto quanto, persino del suo nome.
 
 
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- Va un po’ meglio? – chiese Ginny, con non poca fatica, mentre continuava a tenere il panno bagnato sulla guancia destra di Harry. Fece uno sforzo immane per non abbassare gli occhi: erano giorni che non si trovavano così vicini e, se da una parte avrebbe soltanto voluto gettargli le braccia al collo, dall’altra aveva una paura pazzesca di farlo allontanare ancora di più con quel gesto.
- Ehm…Dovresti metterlo sulla guancia giusta. – borbottò il ragazzo, schiarendosi la voce.
- Oh…! – Ginny arrossì come un pomodoro, mentre andava a tamponare l’altra gota.
- No, aspetta. – Harry le bloccò il braccio a mezz’aria, impendendole di curarlo. – Non ne ho bisogno.
La ragazza lo guardò, delusa.
- Ma…
- Non ne ho bisogno. – ripeté, allontanando la sua mano e scostandosi da lei.
- D’accordo. – disse semplicemente Ginny, con voce atona e con gli occhi spenti. Si alzò, nascondendogli il velo che era sceso sui suoi occhi, avanzando la scusa di dover mettere al suo posto il panno bagnato che le aveva dato Hermione.
Il Grifondoro la osservò, con la mente in subbuglio e le parole che non volevano venir fuori neanche con la forza. Seguì la ragazza in ogni suo più piccolo movimento, consapevole di non essere visto: fissò le sue spalle, che tremavano appena, per poi soffermarsi sul suo corpo, che non riempiva perfettamente i vestiti. Persino il viso sembrava smagrito, più smunto e incavato del solito. Si ricordò in quell’istante di non aver visto Ginny mangiare per diversi giorni.
- Ginny, senti… - cominciò, passandosi una mano tra i capelli arruffati.
- Sì? – la ragazza si fece attenta, mentre il Grifondoro si pentiva in quello stesso istante di aver aperto bocca. Non riusciva a parlare guardandola negli occhi: si sentiva nervoso, agitato, e aveva una maledetta ansia che premeva nel suo petto e non voleva saperne di dissolversi.
- Ehm…come stai?
Si morse la lingua, consapevole di star sviando il discorso.
- Oh…uhm…bene. – rispose, incerta. – Credo.
- Credi?
- Cioè…voglio dire…sì, sto bene. – si corresse, chiedendosi il perché di quelle domande.
Un silenzio imbarazzante scese tra i due ragazzi: Harry si ritrovò molto interessato ad ogni più piccolo angolo dello scompartimento del treno e alle varie crepe delle pareti, Ginny si sentì particolarmente attratta dal paesaggio che si intravedeva al di là del finestrino. Entrambi con la gola secca e a corto di parole.
- Sei sicuro che non hai bisogno di una medicazione? – chiese alla fine la ragazza, spezzando quel silenzio insopportabile.
- Sì, sono sicuro. Non ne ho bisogno. – scandì con calma.
 
È di te che ho bisogno.
 
Erano parole così semplici…perché non riusciva a dirle?
Alla fine fu Ginny a prendere in mano la situazione.
 
Era sempre stata forte, Ginny Weasley.
 
- Senti, Harry…è inutile girarci intorno, dobbiamo parlare. – iniziò, con voce decisa. – Non voglio litigare con te, ma neanche lasciare qualcosa in sospeso.
- Sì, hai ragione.  – ammise. - Dobbiamo parlare.
- Mi dispiace non averti detto niente per tutti questi mesi; non era un mio segreto, non spettava a me dirtelo. So di aver sbagliato a mentirti così spudoratamente, ma non avevo scelta. – la sua voce si incrinò. - O meglio, ho scelto di aiutare Hermione che in questi mesi ha attraversato un vero e proprio Inferno.
- Ginny, non serve tutto questo, non devi giustificarti.
- Invece sì! – esclamò, con gli occhi improvvisamente lucidi. – È necessario perché voglio che tu capisca! Che tu comprenda le mie motivazioni!
- Ho già capito, Ginny. – mormorò il ragazzo. – Ho capito perché lo hai fatto e so che ti dispiace: non ti incolpo più per questo.
La Grifondoro tacque per qualche secondo.
- Oh. – rispose solamente, in un sussurro così pieno di tristezza, da potersi immergere in esso. – Quindi tu hai compreso le mie ragioni, ma…non sei venuto a parlarmene. – lo accusò, quasi.
- Io…
- Se non fosse stato per Hermione… - la sua voce sembrava così debole, che il Grifondoro credette che non avrebbe neanche terminato la frase. - …neanche oggi me ne avresti parlato.
- Non…
 
Non sapevo cosa dirti.
 
- Quindi, questo significa che non vuoi più saperne nulla di me.
Harry ci mise un secondo per registrare per bene le sue parole; quando le comprese, qualcosa dentro di lui scattò.
- Cosa…? No, non è affatto ver…
- Ho capito, Harry. Non importa che ti spieghi. – disse, in un sussurro flebile, pieno di tristezza.
- No, non hai capito! – il Grifondoro scattò in piedi come una molla, avvicinandosi.
- Cos’altro dovrei capire? Che probabilmente non hai avuto il coraggio di dirmelo perché non volevi vedermi soffrire?
 
Harry, ma…vuoi rischiare di perderla?
 
Era questo che stava succedendo? La stava perdendo? Sì, a giudicare dal dolore che vedeva negli occhi di Ginny.
- Non è così!
- E allora com’è? – lo attaccò la ragazza, fronteggiandolo. – Non mi parli da giorni! Non…ti fidi più di me, non…come dovrei intenderla questa condizione?
D’altronde quale ragazza avrebbe pensato che una storia sarebbe potuta andare avanti in una simile situazione?
- Non sapevo cosa dirti. – confessò, il Grifondoro dopo pochi attimi di silenzio.
Ginny non rispose, ma il guizzo che ebbero i suoi occhi fece intendere a Harry che aveva catturato la sua attenzione.
- Se non sono venuto subito da te…o…se non ti ho parlato è perché...non sapevo cosa dirti, Ginny. Avevo paura che mi respingessi. – riuscì infine a tirar fuori, arrossendo.
 
Avevo paura di perderti.
 
- Non sapevi cosa…dirmi? – borbottò incredula.
- Io…credevo…non…cioè, ecco…ehm…non lo so. – sbuffò impacciato. – E’ che…pensavo che tu non…non mi volessi più, ecco. Ti ho allontanato così tanto che…pensavo che sarebbe stato impossibile restaurare le cose allo stesso modo di prima e…cioè…Ho avuto paura, credo.
La ragazza sbatté gli occhi.
- Ma non è vero che io non ne voglio più sapere di te! – riprese, con più convinzione. - Io…io voglio sapere di te! – Harry s’incastrò nel suo stesso discorso. – Cioè…ehm…voglio dire…nel senso che…
 
Per Godric…
 
Harry non sapeva proprio come andare avanti: era sempre stato impacciato con le parole, specialmente quando si trattava di esprimere i suoi sentimenti. Ricordava ancora di quando, tempo prima, non sapeva come dichiararsi a Ginny e ci aveva messo la bellezza di sei mesi per riuscire a parlarle.
- Insomma, Ginny, io…io non voglio perderti, ecco. – biascicò a malapena, sussurrando quelle parole con un tono così basso che non fu neanche tanto sicuro che la ragazza avesse sentito. – Mi dispiace averti trattato male in questo periodo, ma…mi sono sentito tradito dalle persone che amavo di più.
Ginny sussultò a quelle parole, rammentando quanto dovesse averlo ferito.
- Ma ho anche capito che… - Harry prese fiato. - …Non posso stare senza di te, Ginny. Non ci riesco…perché io…io…
Il ragazzo non fece in tempo a dire nient’altro, perché si ritrovo stretto in un abbraccio fortissimo; e per quanto forte fosse quell’abbraccio, a lui non gli parve comunque abbastanza.
- Non ti mentirò mai più. – borbottò Ginny, soffocando una lacrima che le era sfuggita contro la sua spalla. – Non ti mentirò mai più. – ripeté, come a voler ribadire il concetto, e suggellare una promessa che non avrebbe mai infranto. – Te lo giuro.
Ma a Harry non servivano promesse: sapeva che le sue parole erano sincere. Non rispose, preferì ricambiare l’abbraccio e tenere tra le braccia l’unica persona di cui, in quel momento, aveva davvero bisogno.
 
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- Io capisco che abbiate bisogno…ehm…di stare insieme, ma...uhm…non potreste aspettare di essere da…ahm…soli? – sbottò Ron, infastidito.
Hermione represse a stento una risata: dopo aver medicato la ferita del suo amico lei e Ron erano ritornati nel loro scompartimento e per tutto il viaggio di ritorno Harry e Ginny si erano scambiati tenere effusioni, anche sotto i loro occhi. Solitamente i due ragazzi evitavano di baciarsi in pubblico: Ginny non amava ostentare i propri gesti davanti agli altri e Harry era sempre stato una persona timida; si limitava a tenere la sua ragazza per mano in mezzo alla gente, ma era quando erano da soli che la riempiva di baci.
Quella volta però si mostrarono meno pudichi del previsto, forse per la separazione che avevano attraversato.
- Dobbiamo recuperare il tempo perso. – rispose, Harry con una disinvoltura che non gli apparteneva.
Quell’affermazione fece arrossire Ron completamente.
- Oh miseriaccia, cosa mi tocca sentire… - sbottò, voltandosi dall’altra parte. Per quanto fosse contento che il suo migliore amico e sua sorella si fossero finalmente ritrovati, ancora aveva della ritrosia nel vederli scambiarsi effusioni.
Hermione, invece, non poteva essere più felice di così.
Ad ogni carezza leggera che Harry lasciava sulla mano o sul volto di Ginny, la Caposcuola sorrideva come una bambina di fronte a un nuovo giocattolo, neanche fosse stata lei a riceverle, quelle carezze.
Appoggiò la testa al finestrino, guardando i suoi migliori amici: il volto imbarazzato di Ron, il rossore diffuso sul viso di Ginny e la felicità negli occhi di Harry. Potevano cose così semplici renderla così felice?
Sorrise segretamente.
 
Andava tutto bene.
 
L’Inferno era finito.
 
 
 
La stazione di Londra era come sempre affollatissima: il via vai di gente avrebbe portato a sperdere anche una persona in grado di orientarsi per bene.
Tutto quello, per Draco Malfoy, era un incubo. Un orrendo incubo. Quando ricevette l’ennesima spallata da qualche passante frettoloso che stava per perdere il treno, non poté fare a meno di sbraitare.
- Schifosi Babbani, se mi sfiorate un’altra volta vi schianto contro il muro!
Hermione alzò gli occhi al cielo, mentre abilmente si faceva largo tra la folla e trovava la via libera.
In quell’istante un uomo sulla cinquantina con tanto di valigetta, andò a sbattere in pieno con Draco. La ragazza riuscì a bloccarlo appena in tempo, prima che quell’uomo si ritrovasse stecchito da un Avada Kedavra.
- Vieni con me. – sentenziò, prendendolo per mano, per guidarlo tra le persone.
Immediatamente il ragazzo si ritrasse, come se fosse stato scottato. Hermione si guardò la mano, rendendosi conto del suo gesto involontario e nascondendo la delusione cocente che le infiammava il petto.
Non rivolgendogli più la parola, si allontanò dalla stazione, per riuscire a trovare una parte di strada deserta, mentre Draco silenziosamente la seguiva.
- Punto primo. – iniziò la ragazza, dopo aver controllato che in giro non ci fosse nessuno. – Non puoi chiamare la gente “Babbana”: questo termine non esiste tra le persone prive di poteri magici, chiaro? Così come non puoi minacciare di “schiantare” qualcuno, altro termine inesistente. Punto secondo: non azzardarti a tirar fuori la bacchetta di fronte a qualcuno, se non vuoi finire direttamente al reparto psichiatrico.
- Punto terzo: togliti quell’aria da saccente, Granger. Sei insopportabile. – replicò Draco, visibilmente nervoso.
La ragazza fece un grosso respiro per calmarsi e non mettersi a litigare con lui.
- Dobbiamo Smaterializzarci per arrivare a casa dei miei. – disse poi, dirigendosi verso un vicolo cieco. – Adesso sei disposto ad accettare la mia mano o ti fa troppo ribrezzo persino per Smaterializzarti? – gli chiese, allungando il braccio, con la voce piena di sarcasmo e di una tristezza profonda che nascose nell’angolo più recondito della sua mente. Vide lo sguardo del Serpeverde assottigliarsi alle sue parole e fissare la sua mano, probabilmente indeciso sul da farsi. 
Ci provò in tutti i modi, ma Hermione non riuscì a evitare di sentire quella stretta al cuore, quando la mano di Draco scivolò nella sua.
 
 
 
- Mamma! – le saltò letteralmente addosso, abbracciandola come se non la vedesse da una vita e non da soli quattro mesi.
- Tesoro! Ci sei mancata così tanto! – esclamò la donna, tenendo stretta la figlia e accarezzandole i riccioli scarmigliati.
Era cambiata Hermione, in quei quattro mesi: la gravidanza l’aveva fatta maturare anche troppo in fretta. Quello che non era cambiato era la sensazione di familiarità e di calore che le faceva provare l’abbraccio di sua madre.
- Anche voi. – sussurrò, felice.
- Buon Natale, piccola mia. – le mormorò in un orecchio, facendola sorridere.
- Buon Natale, mamma. – rispose, felice di poterla finalmente riabbracciare. - Dov’è papà?
- E’ uscito per delle commissioni. Sai, i regali dell’ultimo minuto, dovrebbe essere qui tra poco. – spiegò, costringendosi a lasciar andare la figlia che le era mancata così tanto in quei quattro mesi. 
Intanto, Draco rimaneva fermo sulla soglia, sentendosi leggermente un intruso. - Oh, tu devi essere Draco! – esclamò la donna. Il ragazzo sentendosi chiamare drizzò la testa di scatto, studiando la madre della Granger con attenzione. – Hermione ci ha avvertito del tuo arrivo! – disse con un sorriso.
Il Serpeverde alzò le sopracciglia, guardando la ragazza, interrogativamente.
- Tranquillo sappiamo già tutto. – lo rassicurò la donna, mentre si spostava per farli entrare in casa. – Hermione ci ha spiegato la situazione.
- Davvero? – Draco non riuscì a non esserne sorpreso. Non credeva che i genitori della ragazza avrebbe accolto così giovialmente la notizia che la loro unica figlia era incinta.
- Certo! Non devi assolutamente sentirti a disagio, ho già ammonito mio marito! – continuava a sorridergli in modo affabile, come se fosse un vecchio amico di famiglia e non un perfetto sconosciuto.
- Ehm…Mamma? Credo che Draco abbia bisogno di posare i suoi bagagli. – mormorò Hermione, nervosa.
- Oh, ma certo! Hai ragione, accompagnalo tu di sopra. – disse in modo pratico, mentre si dirigeva verso la cucina. – Dopo scendete, però! Presto arriveranno gli zii e i nonni per il pranzo di Natale. E anche tuo padre tornerà tra poco, vedete di non farvi trovare in camera! – a Draco sembrò che li stesse guardando in modo strano, come se stesse dando loro un avvertimento.
- Perché tua madre mi ha guardato come se volesse minacciarmi? – domandò, mentre saliva le scale. – Hei, Mezzosangue, dico a te!
Hermione lo trascinò dentro una camera senza troppe cerimonie.
- Punto primo! Non…
- Per Salazar, ecco di nuovo che comincia con i punti…
- E’ una cosa seria, Malfoy! Punto primo: non chiamarmi Mezzosangue. Sia perché è un’offesa davvero spregevole e…non interrompermi! – esclamò, vedendo che il ragazzo era già pronto a ribattere. - …e anche perché in questa casa non esistono “Mezzosangue” o “Purosangue”, chiaro? Inoltre i miei zii e i miei nonni non sanno che sono una strega, quindi non puoi parlare di magia in loro presenza.
- Senti, Granger…
- Punto secondo: dovresti chiamarmi per nome.
- Perché diavolo dovrei chiamarti per nome? – sbottò, irritato.
- Perché…perché sì! – replicò la ragazza, incrociando le braccia al petto e distogliendo lo sguardo. – Non puoi chiamarmi per cognome, dopo che ti ho portato qui a casa mia e…che idea si faranno i miei genitori, secondo te?
Draco parve rifletterci un secondo, trafiggendola con lo sguardo.
- Non ho alcuna intenzione di pronunciare il tuo stupido nome soltanto per dare una buona impressione ai tuoi genitori. – disse, con rabbia, sentendosi nervoso.
- Sei un…
- Sono un…cosa, Granger? Dimmi. – la schernì, sorridendole in modo strano e facendola arrossire.
- N-niente! Non…collabori! – sfiatò a malapena. – Lasciamo perdere. – disse infine, cin un gesto della mano.
- Voglio chiedertela io una cosa, Granger. Com’è possibile che tua madre sia così…tranquilla? Non che non debba esserlo, ma sai…un genitore non accoglie così bene nella propria casa il ragazzo che ha messo incinta la loro preziosa bambina e cose del genere.
Hermione si sentì andare letteralmente a fuoco.
- Oh…ehm…ah…io…i-ieri sera ho inviato una lettera ai miei genitori, parlandogli di te, ma…non ho detto loro…della…gravidanza. – incespicò.
- E allora cosa hai detto ai tuoi genitori? – domandò sospettoso e per nulla contento della sua risposta.
- Ehm…che… - si mordicchiò un labbro. - …che eri il mio ragazzo. – mormorò, mentre avvertiva il calore risalirle lungo il collo e le guance. Si sentiva come se fosse stata dentro una fornace e la temperatura stesse salendo sempre di più.
- Cosa?! Tu non hai tutte le rotelle a posto, Granger! Per Salazar, che schifo! Io che sto con una schifosa Mezzosangue, ma cosa ti è saltato in mente…
Per poco la ragazza non gli tirò uno schiaffo.
- Ti ho già detto di non chiamarmi Mezzosangue, Malfoy. – ringhiò, interrompendolo.  – E se ho riferito ai miei genitori che tu eri il mio ragazzo, è stato per un ovvio motivo: dato che ti dovrò dire loro che sei il padre di mio figlio, ho creduto che sarebbe stato più facile accettare la cosa se tu fossi stato il mio ragazzo, non pensi? Come credi che reagirà mia madre o mio padre, se dicessi loro che sono rimasta incinta di…di un ragazzo con cui non sto neanche i-insieme?! – sbottò, mentre il respiro le s’incastrava in gola. Merlino, quanto era difficile pronunciare quelle parole sotto il suo sguardo penetrante.
- Genitori o no, non avresti dovuto inventare simili fandonie. – replicò, con tono disgustato.
- Ti vorrei ricordare, Malfoy… - iniziò Hermione, ferita dal suo comportamento. - …che per quanto adesso ti faccia schifo l’idea che io abbia detto ai miei genitori che sei il mio ragazzo, tu, questa schifosa Mezzosangue, l’hai baciata proprio ieri sera. – non riuscì a non arrossire, mentre ricordava ciò che aveva fatto appena poche ore prima, ma la sua voce, per fortuna, uscì sicura e priva di tentennamenti. – Anzi, mi hai anche messo incinta, quindi fatti un bell’esame di coscienza.
Se Draco fu colto alla sprovvista dalla sua uscita, non lo diede a vedere.
- Il fatto che io ti trovi passabile, Granger, non cambierà mai l’inferiorità del tuo sangue. – sibilò con cattiveria. – E quella sera, per inciso… - sottolineò bene le sue parole, guardando la ragazza in modo che non potesse equivocare a quale sera si stesse riferendo. - …avevo bevuto troppo e anche tu, altrimenti ti assicuro che io non sarei mai venuto a letto con te.
Gli occhi di Hermione si accesero di rabbia, mentre cercava di nascondere quanto in realtà l’avessero ferita quelle parole.
- Puoi star certo, Malfoy, che se fossi stata lucida, sono io che non sarei mai venuta a letto con te. – rispose, spinta dall’ira.
 
Ok, questo potrebbe non essere propriamente vero.

La Grifondoro scosse la testa, sperando di interrompere quel pensiero molesto, ma maledettamente vero.
- No, infatti. Scommetto che avresti preferito che ci fosse Weasley al mio posto, vero? – insinuò, contraendo la mascella. – Chissà come deve aver preso la notizia…Povera donnola: deve essere stato terribile scoprire che la ragazza che ama è rimasta incinta del suo peggior nemico. – ironizzò.
- Certo che avrei voluto che Ron fosse al posto tuo! – mentì. – E poi cosa…cosa ne vuoi sapere tu di cosa prova Ron per me? – replicò, sentendosi male al pensiero di quanto avesse ferito il suo migliore amico.
- Ma fammi il piacere, Granger! L’hanno capito anche i muri di Hogwarts che ti muore dietro! – disse, come se fosse una cosa ovvia.
 
Per Merlino, possibile che fossi l’unica a non essermi accorta di niente?
 
- Questi non sono affari che ti riguardano. E, comunque, Ron è una persona molto migliore di quanto non lo sarai mai tu. – mormorò, infine.
- Certo, peccato che ieri sera non la pensassi così, vero? – sussurrò avvicinandosi. – Non mi sembrava che fossi così fedele alla tua adorata donnola, mi sbaglio? Anzi, mi sembrava che non ti dispiacesse tanto essere baciata da me.
Per un attimo alla ragazza mancò l’aria, mentre lo osservava eliminare la distanza che c’era tra loro, con lo sguardo da predatore. – No, non mi sbaglio. – si rispose da solo il Serpeverde, con gli occhi da serpente.
- Che cosa avresti intenzione di fare, Malfoy? – sbottò Hermione, incrociando le braccia sotto il seno e impedendosi di arretrare.
- Che hai, Granger?  – le mormorò vicino al viso, attorcigliandosi una ciocca dei suoi capelli intorno al dito. Hermione rabbrividì. – Non avrai mica paura?
 
Non è di te che ho paura.
 
- Non mi fai paura, Malfoy.
 
È del mio cuore che ho paura.
 
Di quello stupido organo involontario che in quel momento rimbombava nella cassa toracica e le aveva aumentato la frequenza respiratoria.
- E allora perché tremi?
 
È il cuore. È il cuore che trema.
 
- Non…sto tremando. – mentì, sorreggendosi le braccia con le mani.
 
Sei tu, stupido idiota, che mi fai tremare.
 
Cosa fosse sul punto di fare Draco, Hermione non lo sapeva. La ragazza sapeva soltanto che si sarebbe sciolta come un budino, se sua madre non li avesse chiamati proprio in quell’istante.
- Ragazziiiiiii! Avanti, scendete!
Sobbalzarono entrambi alla voce della donna. La Grifondoro impiegò qualche minuto per recuperare il proprio autocontrollo, poi si fece prendere dall’ansia e dalla frenesia.
- Ok, allora… - cominciò Hermione, passandosi nervosamente una mano tra i capelli, come se solo in quel momento si fosse resa conto che da lì a poco Draco avrebbe dovuto conoscere tutta la sua famiglia. - …questa è la tua stanza e il bagno è in fondo al corridoio a destra. – disse in fretta, gesticolando. – Cerca di non essere un presuntuoso arrogante, come tuo solito, specialmente di fronte alla mia famiglia.
- Uff…ci proverò. – rispose, con poca convinzione.
Hermione lo guardò severamente.
- Se ti azzardi anche solo a comportarti in un modo che riterrò inopportuno, io…
- Ho detto che ci proverò, Granger! Non rompere le scatole e lasciami respirare!
La ragazza continuò a fissarlo non pienamente convinta, mentre Draco depositava di mala grazia il suo baule sul letto.
- Devi chiamarmi per nome. – ripeté alla fine la Grifondoro, mentre il rumore dei passi frettolosi giungevano alle sue orecchie.
- Richard! Richard, non serve che…oh, insomma lascia loro un po’ di privacy!
- Non dire stupidaggini, Jean! Non accetto che…
Prima che Hermione avesse il tempo di comprendere la situazione, suo padre spalancò la porta della camera, trovandosi faccia a faccia con il viso imbarazzato della figlia.
- Papà-à! – balbettò Hermione, sorpresa nell’osservare i suoi occhi minacciosi che fissavano Draco come se fosse uno strano tipo di ameba che si aggirava per la propria casa.
- Vedi, Richard? È esattamente come ti dicevo io. – lo rimproverò la donna, arrabbiata per la maleducazione del marito.
Hermione, quando comprese l’idea che si era fatto suo padre, arrossì ancora di più.
- Che bello vederti, papà! – esclamò alla fine alla ragazza, anche se il respiro le s’incastrò in gola.
- Tesoro! – rispose l’uomo dopo un po’ di tempo – probabilmente dopo essersi reso conto di non aver sorpreso sua figlia e il suo ragazzo in una situazione compromettente – , abbracciandola e allontanandola impercettibilmente da Draco. – Ci sei mancata tanto, sai?
- Anche voi mi siete mancati. – rispose, ispirando il profumo confortevole che emanava il padre.
- Non sarai un po’ maleducato, Richard? – borbottò la madre di Hermione, schiarendosi la voce, dopo parecchi minuti che il marito non accennava a lasciare sua figlia. Jean Granger fece un segno col capo verso Draco, fissando Richard come se volesse strangolarlo. L’uomo, leggermente inquietato dal suo sguardo, si costrinse a lasciare Hermione, non senza averle dato un buffetto sulla guancia, per poi allungare di malavoglia una mano verso il Serpeverde.
- Io sono Richard Granger. Il padre protettivo di Hermione. – sottolineò particolarmente le ultime parole, come se volesse marcare il proprio territorio.
Draco ebbe l’impressione che le parole che l’uomo avesse voluto dirgli fossero ben altre: della serie “Prova a toccare la mia bambina e ti faccio a pezzi con le mie mani.”
- Io sono Draco Malfoy. Il ragazzo di sua figlia. – rispose, con l’intento di farlo innervosire, offeso dalla maleducazione che quell’uomo dimostrava nei suoi confronti. Una vena cominciò a pulsare pericolosamente sulla fronte del padre della ragazza e Draco si rese conto che sì, l’aveva davvero innervosito.
Hermione decise di salvare la situazione e di bloccare la stretta energica che si stavano scambiando.
- Bene, sono sicura che per entrambi sia un piacere conoscere l’altro, giusto? – domandò, con voce dolce, sperando di calmare i loro bollenti spiriti.
 
Il piacere è tutto suo.
 
Probabilmente fu il pensiero comunemente condiviso tra Draco e Richard.
- Ok, direi che le presentazioni possano finire. Adesso vogliamo andare a pranzo, o avete intenzione di far freddare tutto quanto? – la voce minacciosa di Jean Granger richiamò tutti sull’attenti; Draco e Richard non obiettarono, limitandosi a lanciarsi delle occhiate guardinghe, mentre Hermione scuoteva la testa.
 
Bene. E con questo spirito, il pranzo di Natale può cominciare.

 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
 
 
Eccomiiiiii qua! Finalmente, dopo altri mesi di assenza, riesco a mettere il nuovo capitolo. In realtà avrei voluto aggiornare verso i primi di agosto, ma sono partita per le vacanze e la connessione era piuttosto scadente :( Ho provato ad aggiornare due giorni fa, dato che era il mio compleanno (finalmente ho compiuto 18 anni!!!!!!!!), ma non avevo ancora finito di rispondere alle recensioni e ci tenevo a ringraziarvi, così è saltato l’aggiornamento anche quella volta T.T
Alla fine ce l’ho fatta, comunque! Sono tornata!
Rinnovo le mie solite scuse per il ritardo (ormai ci sarete abituati, e probabilmente vi sarete anche stufati di aspettarmi), ma questi mesi non sono stati molto facili per me. Ho avuto dei problemi familiari molto gravi e, in tutta onestà, scrivere è stato il mio ultimo pensiero. Mi dispiace davvero, spero che possiate capirmi.
Comunque, saltando la parte dove vi chiedo nuovamente scusa in ginocchio per il mio ritardo (xD), ho una buona notizia! Il prossimo capitolo è tutto scritto! E….cosa ancora più sensazionale…il prossimo capitolo è uno dei miei preferiti e mi piace! :D
Quindi il prossimo aggiornamento arriverà presto! Incredibile vero? ^.^
Passando invece a parlare di questo capitolo…che ve ne pare? A me non piace per nulla XD Non lo dico per falsa modestia o cose simili, non mi piace sul serio – credo che sia uno dei peggiori che ho scritto fino ad ora, ma forse dipende dal fatto che è stato scritto nel brutto periodo che ho passato. Inoltre è piuttusto corto e vi spiego subito il perché: inizialmente questo capitolo era insieme all'altro, dove veniva descritto il pranzo di Natale a casa Granger e tutta la famiglia di Hermione. Poi, quando mi sono resa conto che mi erano venute 39 pagine di word mi è preso un colpo! Quindi ho pensato di spezzare il capitolo, prima dell'inizio del pranzo di Natale e mettere la seconda parte nel prossimo aggiornamento. 
Chiacchiere a parte, non mi uccidete per la schifezza di questo capitolo, vi assicuro che il prossimo sarà meglio ;) Anzi, per farmi perdonare, vi lascerò il titolo! S’intitolerà:
Crazy. They are all crazy.
Avete capito qualcosa? Avete intuito cosa si cela dietro il nome del capitolo? Se sì, acqua in bocca ;)
So che non dovrei avere nessuna pretesa, ma…ci terrei tanto a sapere cosa ne pensate di questa piccola schifezza di capitolo che mi è venuta fuori. E spero che qualcuno sia ancora disposto a seguire questa piccola pazza di un’autrice T.T
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite/seguite/ricordate, o anche a chi semplicemente legge in silenzio. Io mi esalto anche per una sola visualizzazione in più! XD
Ma, come sempre, un GRAZIE davvero speciale va a quelle dolcissime ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo: Harry Potterish, Black_Yumi, Elthanin, mimi_snape, piumetta, _memories_, MimiRyuugu, Simi462, Notteinfinita, chiara_1997, stellinasg, Jocker157, Stella94, Slytherin_Ss, FranciscaMalfoy, sophie5, ArmoniaDiVento, Harold_Malfoy, Fatto il misfatto, mira_potterhead_92, 17pally, Lilian_97, annie lily potter, tonks17, walewalx, Nutelfrog, Nyx_94, La Moody, gio_lesa, Dramione99, Lierin_, NiniBella, anonima K Fowl, Draco the best, IllySmolder, Dolcemente_imperfetta, silvy_0706, lost in fangirling, federica pozzan1997, BrigataMagnus, MrsCrowley, Colferos22, Chacha Tomma, _yellow_, hermionemalfoy90, Red_Roses, Elsi, Mia Morgenstern e io_amo_siriusblack.
Non so come ringraziarvi ragazze davvero. Io…non avrei mai pensato di poter ricevere così tante recensioni, io…sono commossa, ecco! Sninf, grazie, sul serio per non abbandonarmi mai.
Mando a tutti quanti un grossissimo abbraccio stritola-costole,
flors99
 

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Capitolo 23
*** Crazy. They Are All Crazy ***


 
Capitolo dedicato a tutti coloro che sono depressi – come me – per l’inizio della scuola xD Vi lascio questo capitolozzo, nella speranza che renda il vostro rientro un po’ più dolce :3
 
 
 
 
Pazzi.
Sono tutti pazzi.
 
Questo era il pensiero più “gentile” che a Draco venne in mente nei confronti della famiglia della Grifondoro. Che la Granger non fosse normale se n’era accorto già da un bel pezzo – d’altronde quale altra ragazza sarebbe stata capace di inveire contro qualcuno per cinque ore di fila, soltanto perché quel povero malcapitato non aveva rispettato una regola della scuola? – ma la sua famiglia, se si poteva definire famiglia quella massa di persone scatenate, era tutta un’altra storia. Paradossalmente, la Granger con tutte le sue stramberie gli parve quasi normale. Beh, almeno adesso sapeva da dove derivava la mezza anormalità della ragazza.
Spostò con il manico della forchetta una mollica di pane che era stata lanciata nei pressi del suo piatto, e con faccia schifata la allontanò il più possibile da sé, proprio mentre un altro pezzo di pane attraversava il suo sguardo.
- Thomas! Quante volte ti ho detto che non si gioca col cibo?!
 
Quante volte glielo aveva detto?
 
Un sacco di volte. Draco ne aveva contate circa diciassette, eppure, nonostante i rimproveri, il bambino non sembrava intenzionato a lasciar perdere quello che per lui doveva essere un gran bel divertimento. Il Serpeverde si divertiva molto meno, specialmente quando le molliche di pane gli finivano in testa.
 
Come in quel momento.
 
Draco digrignò i denti, indeciso se uccidere quello stupido babbano non molto intelligente o lasciarlo vivere ancora un po’, mentre scuoteva i capelli e pensava a quanti risciacqui avrebbe dovuto fare per togliersi quello stupido babbano lerciume di dosso.  
- Thomas, fermo…no! – esclamò la donna, alzandosi dalla sedia di scatto, nell’esatto momento in cui il bambino, di appena quattro anni, scaraventava parte degli avanzi del pranzo in faccia a Draco. Il ragazzo fece appena in tempo a rendersi conto dei piselli verdi che si avvicinavano, prima di ritrovarseli spiaccicati sul viso.
 
Ok, questo è troppo.
 
Con un ringhio si tolse i piselli di dosso e afferrò la bacchetta con uno scatto repentino, deciso più che mai a schiantare quel moccioso dalla parte opposta della casa. Posizionò la bacchetta sulle sue gambe, in modo che nessuno potesse vederlo o insospettirsi di quello che stava per fare. In fondo non sarebbe dispiaciuto a nessuno: per tutto il pranzo quel bambino non aveva fatto altro che disturbare. Che male c’era a schiantarlo?
- Stupefi… - non riuscì a terminare la frase, soltanto perché Hermione gli tirò un calcio forte da sotto il tavolo. La Grifondoro approfittò della sua distrazione per sottrargli la sua arma, mentre Draco soffocava rumorosamente un’imprecazione.
- Scusalo, Draco. – disse la donna in tono secco, che non si era accorta di niente. – Ma mio figlio è molto maleducato. – l’occhiata truce e severa della zia di Hermione sembrò terrorizzare il piccolo Thomas, che con uno scatto lasciò andare il cucchiaio che aveva usato come “catapulta” per lanciare il cibo. Emily Granger, sorella del padre di Hermione, era decisamente una donna di polso, come si suol dire: amava i suoi figli più di ogni altra cosa al mondo, ma non esitava un secondo a rimetterli in riga, se quest’ultimi avevano bisogno di una regolata. Per questo il piccolo Thomas, nonostante avesse solo pochi anni, aveva già intuito cosa dovesse fare.
- Scusa, mamma. – pigolò come un pulcino, tenendo gli occhi bassi.
- Non devi chiedere scusa a me. – lo corresse la donna, guardandolo sempre in modo più severo.
- Scusa, Drago. – borbottò allora il bambino, sempre con gli occhi fissi sulla tavola.
 
Drago? DRAGO?!
 
- Non mi interessano le scuse, io voglio schiantar… - qualcosa, improvvisamente, gli impedì di parlare. Un dolore proveniente dalla caviglia gli fece emettere un gemito di dolore: la Granger doveva seriamente smetterla di tirargli calci a tradimento.
- Draco sta cercando di dire che non c’è bisogno di preoccuparsi. Lui adora i bambini. – rispose Hermione, dopo avergli tirato un altro calcio ben assestato negli stinchi, per essere sicura che non la smentisse.
- Questo non è vero, io lo voglio uccidere quel babbano! – sibilò a voce bassa, incazzato con non mai. Quel moccioso gli aveva tirato dei pisellini verdi in faccia! In faccia! A lui, a un Malfoy!
- Tu non ucciderai proprio nessun… - la ragazza non terminò la frase, perché la sua voce venne sovrastata da quella di sua nonna.
- Oh, povero caro! So che sei arrabbiato, ma il tuo animo buono frena le tue emozioni e la tua furia ardente! Ma non devi essere angoscioso: il tempo sistema tutto e, in qualche modo, le ferite guariscono da sole. – disse l’anziana donna, carezzando la mano di Draco e dandogli qualche pacca, mentre il ragazzo, inorridito, stava pensando ai modi in cui avrebbe dovuto lavare la sua mano, insudiciata da tutti quei babbani.
- Ehm…nonna…forse hai capito male… - ipotizzò Hermione.
- Oh, mia cara! Ti senti male? Oh, io lo so! Lo so! Lo so che il dolore di Draco è il tuo, a causa del vostro indissolubile legame che vi lega
- Capito, Granger? Lei lo sa… - sibilò, chiedendosi quanto fosse suonata quella vecchietta.
La nonna di Hermione – oltre ad essere stata un’appassionata di filosofia da giovane, motivo per cui si lasciava spesso andare ai suoi discorsi filosofici –  era sempre stata un po’ sorda. La vecchiaia – ahimè – aveva soltanto contribuito a peggiorarle questo suo piccolo difetto. Per questo, in quel momento, l’anziana signora credeva che Draco dovesse affrontare un pericoloso duello con un qualche nemico e non poteva certo immaginare che invece fosse solo incazzato nero con un bambino di quattro anni, un po’ troppo esuberante.
 
Pazzi.
Sono tutti pazzi.
 
Pensò nuovamente Draco, specialmente quando la nonna di Hermione cominciò a piangere per l’emozione di avere un nuovo figlio. Il figlio era lui, ovviamente.
 
Ci manca solo che io sia figlio di questa vecchia svitata, che passa da un discorso all’altro in un quarto di secondo.
 
- Stai calmo. – gli intimò sottovoce Hermione, avendo notato quanto fosse prossimo e decisamente volubile alla rabbia.
Il ragazzo, stizzito, era sul punto di risponderle qualcosa del tipo “come diavolo posso stare calmo, se sono circondato da matti?”, quando si ritrovò travolto da una furia scatenata.
- DRAGO!!! – trillò il bambino, dopo essergli saltato addosso.
- Nate! Oh, Nate! – esclamò Emily, sull’orlo della disperazione: avere a che fare con quelle due piccole pesti era davvero un’impresa.
Draco, prima di rendersene conto, si ritrovò in collo un bambino di quattro anni, identico al moccioso-che-tira-i-piselli-e-che-morirà-presto, che lo fissava pieno di aspettativa e con impazienza.
 
E dagli col Drago…
 
- …Ehm… - mormorò il diciassettenne, chiedendosi se fosse il caso di buttare quel marmocchio da qualche parte e con ben poca delicatezza, pur di toglierselo di dosso, o se fosse meglio digrignare i denti e sopportare.
- Nate, vieni subito qui!
- No, io voglio stare con Drago! – protestò il piccolo, stringendo la camicia del Serpeverde con le sue piccole manine.
 
Ma porca…!! Se mi rovina la camicia, giuro che…
 
- Io mi chiamerei Draco… - sibilò a denti stretti il ragazzo, lasciando da parte i suoi istinti omicidi, che in quel momento gli stavano occupando gran parte dei pensieri.
Hermione, di fianco a lui, per poco non scoppiò a ridere: Malfoy stava davvero cercando di insegnare qualcosa a un bambino di quattro anni? E non a un bambino di quattro anni qualsiasi: al suo cuginetto pestifero che ne combinava di tutti i colori!
- Nate, non farmi arrabbiare. – sibilò Emily, mentre il Serpeverde non sapeva se ringraziare o no quella santa donna, oppure maledirla per aver osato partorire due simili pesti come figli.
Il bambino, con occhi tristi e a malincuore, fu costretto a scendere – per la gioia di Draco – dalle ginocchia del ragazzo e si avvicinò alla madre, che lo sgridò per bene. Dopo averlo rintronato a dovere, il piccolo Nate si sedette accanto a Thomas, guardando il fratellino con espressione abbattuta. I due gemellini – probabilmente – si chiesero entrambi perché mai non potessero divertirsi neanche un po’ con il loro nuovo amichetto.
 
Pazzi.
Sono tutti pazzi.
 
- Allora, Draco, perché non ci dici qualcosa di te?
A porre quella domanda era stato Charlie Anderson, fratello di Jean Granger. A Draco, fin da subito, era stato quasi simpatico – non sia mai che Draco Malfoy provi simpatia per un babbano – , ma quell’uomo, al contrario del resto della chiassosa famiglia, era una persona molto calma e posata – soprattutto con del cervello – cosa che non si poteva certo dire invece della vecchietta accanto a lui che continuava ad accarezzargli la mano e a prevedergli un futuro pieno di rose, fiori, tulipani…e altre specie di fiori di cui Draco nemmeno conosceva l’esistenza.
A dir la verità, anche i genitori di Hermione erano due persone estremamente composte e di non molte parole, ma Draco non aveva potuto apprezzare questa loro qualità, sia perché era stato travolto dal resto della famiglia con le loro pazzie, sia perché Richard Granger lo aveva scrutato per tutto il pranzo in modo a dir poco inquietante. Non era stato minaccioso…era stato peggio. Il padre di Hermione lo aveva semplicemente fissato, senza far trapelare nessuna emozione e questa cosa era parecchio inquietante.
- Oh…ehm… - Il Serpeverde si ritrovò improvvisamente a corto di parole. L’unica cosa che gli veniva in mente era “ Sono un Malfoy, la mia famiglia discende dalle più antiche e ricche casate di tutto il mondo magico, ergo, sono di molto superiore di voi! Ah!”
Ok, forse non era una cosa molto carina da dire, ma non era certo colpa sua se quelle due pesti di Nate e Thomas gli avevano fatto esaurire la pazienza, che già scarseggiava di suo.
- Sì, infatti, Draco! Dicci qualcosa di te! – convenne Jean Granger, mentre aiutava Emily a tener calmi i bambini, facendoli giocare. – Mia figlia è stata così misteriosa sul tuo conto… - rivolse uno sguardo a Hermione, che arrossì immediatamente.
- Oh…ehm…uhm…ah….eh…sì, io…
- Qual è il tuo rendimento scolastico?
- Papà! – lo rimproverò Hermione, non appena pose quella domanda. Suo padre scrollò le spalle, come se avesse posto una domanda innocente.
- Dovrò pur informarsi su che genere di persona frequenta mia figlia, no? Non posso certo lasciare la mia bambina nelle mani di chiunque! – esclamò, punto sul vivo. -  Allora, Draco, come sono i tuoi voti? – domandò, più spudoratamente di prima.
- I miei voti vanno benissimo, grazie. – replicò a denti stretti.
Non sopportava l’arroganza di quell’uomo, arroganza che, Draco non lo poteva sapere, derivava da un naturale istinto protettivo nei confronti dell’unica figlia.
- È vero, papà. Draco è molto bravo. – lo sostenne Hermione.
Il Serpeverde si voltò di scatto verso di lei, incavolato nero perché aveva osato pronunciare il suo nome, o forse per il fatto che avesse osato aiutarlo. Insomma, era un Malfoy! Non aveva certo bisogno di lei per poter affrontare quell’uomo a testa alta!
- Ah. – rispose laconico Richard, forse segretamente deluso.
- Qual è la tua materia preferita? – si informò educatamente Emily, sinceramente interessata.
- Pozioni. – rispose sicuro, senza tentennamenti, contento che finalmente gli fosse stata posta una domanda a cui potesse rispondere con facilità.
- Po-pozioni? – balbettò stralunata la donna.
- Sta scherzando! – esordì Hermione, con una risata isterica. – Fa sempre la stessa scena con tutti, non è così? – lo guardò negli occhi, e cominciò a muoverli come a volergli mandare dei segnali che lui non comprese minimamente.
Charlie scoppiò a ridere.
- Se non fosse che sapessi che non esiste una simile materia, ci avrei quasi creduto! Avevi un tono talmente serio… - constatò, sempre col sorriso sulle labbra, trovando divertente qualcosa che Draco non riusciva a capire.
 
Non esiste una simile materia? Ma, per Salazar, cosa diavolo studiano questi Babbani?!
 
- In realtà la sua materia preferita è la matematica. – disse Hermione, mentre Draco annuiva non capendo minimamente di cosa stesse parlando.
- Oh, allora devi essere una persona molto logica! – esclamò Emily, guardandolo con una leggera ammirazione.
- Oh…sì, in effetti…
 
Sì, in effetti, mi sono sempre sentito una persona…logica.
 
Prima che la conversazione degenerasse e vertesse su punti che Draco neanche aveva la minima idea di cosa fossero, un campanello li fece sobbalzare.
- Oh, il campanello. – disse Jean Granger, scoccando un’occhiata d’intesa a Emily. Poi con voce più dolce, disse: - Chi potrà mai essere, bambini?
- BABBO NATALE!!!!!!!!!!!  - esclamarono in coro, mettendosi a saltellare, come se gli avesse dato la carica. – Babbo Natale! Babbo Natale!
- Mmm…siete sicuri che sia lui? Io non credo, non vi siete comportati molto bene quest’anno… - disse allusivamente lo zio Charlie, facendo rabbuiare i gemellini.
- No, io sono stato buono!
- Anch’io!
Il campanello suonò nuovamente, stavolta accompagnato da uno scampanellio inconfondibile.
- È lui! – esclamò Thomas.
- Sì, mamma, è lui! – rincarò Nate, tirando i pantaloni di Emily. – Apri, zia, apri!
Jean rise di cuore e s’intenerì nel vedere l’espressione dei suoi nipotini; non le rimase altro che aprire la porta e accogliere con un sorriso il marito di Emily, opportunamente travestito da Babbo Natale.
Draco rimase leggermente sbigottito dalla scena: un uomo di circa quarant’anni vestito completamente di rosso – rosso? –  con una lunga barba da far invidia a Silente – barba? – e una pancia grossa quanto l’oceano Atlantico – pancia? –, entrò in casa con un sorriso enorme ed esclamò un: “Oh-oh-oh!” – Oh-oh-oh?
 
Chi diavolo è questo, adesso?
 
L’uomo portava un grosso sacco sulle spalle che ricadde con un tonfo sul pavimento, non appena la porta fu chiusa. I piccolini non si fecero attendere, ma corsero immediatamente verso il loro eroe, con gli occhi che brillavano. In fondo, il vero eroe per i bambini è – e sarà sempre – Babbo Natale.
- Oh, oh, oh! – ripeté l’uomo, mentre osservava dolcemente i suoi bambini venirgli incontro.
- Babbo Natale! – disse Thomas.
- La nostra mamma diceva che non saresti venuto, perché eravamo stati cattivi! Ma si sbagliava! – disse, invece, Nate.
Babbo Natale, o meglio il marito di Emily e padre dei due bambini, rise sinceramente, guardando la moglie e scambiandosi con lei un cenno d’intesa.
- Vostra madre ha ragione, giovanotti. Mi ha raccontato di tutte le vostre marachelle. – disse con finto tono severo, agitando il suo pericoloso dito per aria.
- Ma… - boccheggiarono i due gemellini, spalancando gli occhi. – È stato lui a farla arrabbiare! – si accusarono a vicenda, indicandosi.
Thomas e Nate si guardarono guardingamente, entrambi desiderosi di conquistare la fiducia di Babbo Natale.   
Draco era semplicemente desideroso di capirci qualcosa in quella messinscena, ma più si sforzava di ragionare, più gli veniva il mal di testa.
- Ma…cosa diavolo stanno dicendo? – si costrinse alla fine a chiedere a Hermione, frustato da tutta quella situazione.
- Non hai studiato le leggende sul Natale? – chiese sinceramente sorpresa, un po’ per il fatto che lui le avesse rivolto la parola, un po’ per la domanda. – Abbiamo affrontato quest’argomento a Babbanologia!
Draco la guardò come se volesse trucidarla.
- Mi prendi in giro, Granger?! – sibilò. – Se ho dei problemi in Babbanologia, un motivo ci sarà!
- Oh… - rispose incerta la ragazza, rendendosi conto di quanto suonasse effettivamente stupida la sua considerazione. Nel frattempo un urlo venne lanciato dai suoi cuginetti, dato che Babbo Natale si era finalmente deciso a dar loro i regali.
- Questo è mio!
- Non è vero, è mio!
- Thomas, Nate, smettetela! – li ammonì Emily, già prevedendo quello che i gemellini le avrebbero ribattuto.
- Mamma, quello più grande è mio! Diglielo, mamma! – piagnucolò Nate, che, tra i due gemellini, era stato sempre quello più sensibile e incline alle lacrime.
- Non è vero, è mio, mamma! – si lamentò il piccolo Thomas, tirando su col naso.
- Oh, oh, oh! Bambini, non litigate! – intervenne Babbo Natale.
- Infatti, non dovete litigare. – convenne Emily. – Questo regalo non è per nessuno dei due. È per Laurel. – spiegò la madre, accarezzando le loro testoline bionde. – Per cui nessuno lo toccherà e quando arriverà la vostra cuginetta glielo daremo, d’accordo?
- Oh. – borbottarono i gemellini, segretamente delusi che il regalo più grosso fosse andato alla cugina.
Si illuminarono però non appena videro altri due pacchetti uscire dal sacco di Babbo Natale. Non ebbero bisogno di litigare, dato che le dimensioni dei regali erano appositamente identiche.
- Oh, oh, oh! Bene, giovanotti, è giunto per me il tempo di andare! – esclamò l’uomo facendo il vocione e buttando in fuori la pancia, dopo aver consegnato gli ultimi doni.  – Tornerò il prossimo anno, se farete i bravi e ascolterete i vostri genitori!
Gli occhi dei due piccolini si riempirono di lacrime.
- Non voglio che vai via!
- Neanch’io!
Ma Babbo Natale era già sparito oltre la porta senza lasciare più tracce. I gemellini corsero alla soglia di casa, sperando di intravedere almeno le renne che volavano, ma non videro altro che un’immensa distesa di neve.
Emily sorrise dolcemente: ogni anno, il marito era costretto ad andarsene immediatamente, prima che i bambini cominciassero ad aggrapparsi alle sue gambe e a trattenerlo per troppo tempo. L’anno prima, non prevedendone le conseguenze, Babbo Natale aveva deciso di rimanere un po’ di più per far felice i bambini, e non era riuscito a schiodarsi dalla casa fino alle sette di sera.
Non che non adorasse stare con i suoi figli, ma l’uomo aveva voglia di togliersi i panni di Babbo Natale e prendersi cura dei bambini come padre.
Qualche minuto dopo, il campanello suonò nuovamente e Jared Jackson fece finta di entrare nella casa dei Granger, per la prima volta.
Draco si rese immediatamente conto che era il Babbo Banale - o qualunque fosse il suo nome – di prima. Si chiese perché nessun’altro della famiglia sembrava accorgersene.
 
Ma quanto sono idioti questi qua?!
 
- Insomma, Granger! – disse a voce un po’ più alta, ma che nessuno – fortunatamente – sentì. – Mi spieghi cosa diavolo sta succedendo?
- Papà! – esclamarono in coro i due piccolini, sovrastando la voce di Draco.
- Venite qui! – rispose l’uomo che li sollevò senza sforzo, e, se Thomas volle salire sulle sue spalle, Nate preferì stare tra le sue braccia.
- Tesoro! – esclamò Emily, correndogli incontro e dandogli un leggero bacio sulle labbra.
I gemellini storsero il naso.
- Che schifo! – sbottarono, mettendosi le mani davanti agli occhi. I genitori risero, ormai abituati a quel tipo di commenti.
- Dai, scendete, o farete venire un crampo alla schiena a vostro padre. – disse Emily ridacchiando e prendendo Nate tra le braccia, mentre Thomas scalpitava per scendere e andare a giocare insieme al gemello.
- Hermione, tesoro! – esclamò Jared, non appena ebbe messo la piccola peste a terra. – Quanto tempo, guarda come sei cresciuta! – stritolò sua nipote in un abbraccio, e la ragazza scoppiò a ridere quando suo zio per poco non la soffocò col suo slancio.Tutto quell’affetto le era mancato tremendamente in quei mesi.
Draco, forse per la sesta volta durante la giornata, si chiese come la Granger riuscisse a respirare.
La prima volta che se l’era chiesto, era stato quando erano scesi tutti giù in salotto – dopo la spiacevole presentazione con Richard Granger – e la vecchietta fuori di testa e mezza sorda, aveva abbracciato sua nipote e poi aveva preso ad accarezzarla come se fosse un cagnolino. Erano talmente soffocanti le sue attenzioni che, se fossero state rivolte a lui – per Salazar, speriamo di no! – era più che sicuro che ne sarebbe morto per asfissia.
La seconda volta che si era interrogato sulle capacità polmonari di Hermione era stato quando i suoi due piccoli cuginetti l’avevano afferrata uno per la gamba sinistra e l’altro per la gamba destra, facendola cadere a terra. Draco si aspettava che la Grifondoro si mettesse a sbraitare, ma con sua grande sorpresa, dopo un piccolo attimo di smarrimento, Hermione aveva semplicemente riso, accarezzando i capelli di quelle due piccole pesti. Allorché Nate e Thomas erano stati ben più che felici di gettarsi addosso alla loro cugina preferita per giocare con lei.
La terza, la quarta e la quinta volta che si era chiesto una cosa del genere, Hermione era stata letteralmente stretta in un abbraccio soffocante dallo zio Charlie, la zia Emily e infine nuovamente dalla vecchietta.
Draco aveva cominciato sul serio a chiedersi se la Granger avesse fatto un qualche incantesimo ai suoi polmoni per poter respirare meglio, quando gli era toccata più o meno la stessa sorte. Prima era stato stritolato/mezzo ucciso dalla nonna, poi dai due gemellini che lo avevano scambiato per un drago da poter cavalcare, e infine gli erano stati presentati tutti gli adulti, che – per sua fortuna – aveva salutato con un’innocua stretta di mano.
 
Pazzi.
Sono tutti pazzi.
 
- Come sei diventata bella, Hermione! Ma cos’hai fatto? Sembri così felice! – la voce dello zio Jared distolse Draco dalle sue elucubrazioni mentali.
- Oh, io… - la ragazza arrossì. - …Grazie, zio. – mormorò. Si schiarì la voce, arrossendo ancora di più. – Lui è… - la Grifondoro indicò Draco, per presentarglielo, ma lo zio la precedette.
- E tu devi essere Diego! – esclamò Jared.
 
DIEGO???????
 
- Ehm…no, Jared, si chiama Draco. – sussurrò Emily, mentre porgeva a Nate il suo orsacchiotto.
- Oh, scusami, sai, la vecchiaia avanza… - l’uomo allungò la mano verso quella del Serpeverde che la strinse come un automa.
 
Cioè, no…seriamente parlando…DIEGO?!!
 
- Insomma, tu sei Draco! – ripeté lo zio di Hermione, forse accorgendosi dell’immobilità del ragazzo.
Draco, dal canto suo, stava cercando di trattenersi dall’estrarre la bacchetta e schiantare ogni singolo membro di quella folle famiglia. Bacchetta che, si ricordò poi con rammarico, gli era stata sottratta dalla Grifondoro.
Digrignò i denti, consapevole che avrebbe sul serio ucciso qualcuno se gli avessero nuovamente sbagliato il nome.
 
Ma che hanno nella testa questi stupidi Babbani?!
 
- Sì, mi chiamo Draco. Draco Malfoy. – sottolineò, quasi ringhiando.
- È un vero piacere conoscerti, Draco! – esclamò Jared, stringendogli vigorosamente la mano. – Non so se è per merito tuo che la mia nipotina è così felice, ma se così fosse non posso far altro che ringraziarti! Erano anni che non la vedevo sorridere così!
- Zio… - borbottò Hermione, in imbarazzo.
- Siediti, Jared. – lo invitò Jane, sistemando la sua sedia intorno al tavolo.
Da quel momento in poi, il resto del pranzo fu più tranquillo di prima.
Nate e Thomas preferivano giocare col loro papà, piuttosto che tormentare Draco, il padre di Hermione si era lanciato in una folta discussione con Charlie – quindi evitava di lanciargli occhiate inquietanti – e Jane ed Emily parlavano tranquillamente tra di loro, senza tentare di coinvolgerlo in conversazioni imbarazzanti.
Sì, tutto sommato adesso Draco si era quasi calmato, anche se si era ripromesso di elaborare dei piani di vendetta contro i due gemelli.
Fu proprio durante quell’atmosfera tranquilla e serena che il campanello di casa suonò di nuovo.
Stranamente – o almeno fu quello che notò Draco – tutti i membri della famiglia si zittirono all’istante. L’aria piena di allegria ed esuberanza d’un tratto si fece pesante e priva di alcuna gioia. Persino la vecchietta smise di accarezzargli la mano, per fortuna; addirittura Hermione, che fino a quel momento aveva sorriso come una bambina, si incupì completamente e una ruga di preoccupazione le solcò la fronte pallida.
- Vado io ad aprire. – disse Charlie, sorprendendo Draco. Guardandolo bene, sembrava essere il più turbato di tutti: in pochissimi secondi aveva perso dieci anni di vita.
Nessuno ebbe niente da obbiettare e l’uomo si diresse verso la porta di casa, per accogliere i nuovi arrivati. Non appena l’uscio si schiuse apparvero una giovane donna, con un bellissima bambina di circa nove o dieci anni.
- Papi! – strillò la piccola, saltando addosso allo zio Charlie.
L’uomo la prese in braccio senza esitazioni, ma i suoi occhi sembravano spenti e lontani anni luce. Draco vide la giovane donna guardare lo zio Charlie e scuotere la testa, in un chiaro messaggio che il Serpeverde non riuscì a cogliere. Quello che colse, invece, fu il lampo di dolore che passò attraverso gli occhi di tutta la famiglia.
- Granger, cosa sta succ… - purtroppo, anche quella domanda di Draco cadde nel vuoto, perché Hermione si alzò in quell’istante per correre incontro alla sua cuginetta.
- Laurel! – esclamò, sorridendo.
Quel sorriso, Draco lo riconobbe.
 
Era un sorriso di plastica.
 
Era un sorriso che anche lui rivolgeva alla maggior parte delle persone: celava segreti inesprimibili, era un sorriso buio che non portava alcuna luce.
 
Era forzato e falso.
 
- Come stai, piccolina? – le sussurrò la ragazza all’orecchio, accarezzando i lunghi capelli ramati della bambina. La prese in braccio, ringraziando Godric che la sua cuginetta non fosse pesante e che lei avesse ancora le forze per poterla sorreggere.
- Bene. – rispose la piccola, appoggiandosi alla sua spalla. – Ma sono così stanca. – si lamentò, chiudendo gli occhi.
- È meglio che tu dorma un po’, tesoro. – sussurrò la giovane donna, stringendo la mano dello zio Charlie, come se fosse sul punto di sgretolarsi.
- No. – sussurrò la piccolina, sul punto di addormentarsi. – Voglio stare con Hermione…
- Andiamo, Laurel. – Charlie la prese dalle braccia della Grifondoro e la bambina non oppose alcuna resistenza, troppo assonnata per poter protestare.
- Sistemala in camera di Hermione, Charlie. – disse Jean. – Sprecheresti solo tempo a tornare a casa. – L’uomo accolse la notizia di buon grado e con sua figlia in braccio, si avviò verso il piano superiore.
Intanto, Draco non poteva fare a meno di notare la tensione che si era propagata tra tutti i membri della famiglia. Inizialmente aveva ipotizzato che i nuovi arrivati non fossero molto graditi al resto della famiglia, ma dopo aver visto Hermione correre incontro alla sua cuginetta, le idee gli si erano un po’ confuse. Decise di lasciar perdere, dato che, onestamente, non gli importava più di tanto dei problemi che potevano avere quei Babbani.
- Abigail, la scuola…
La domanda di Richard venne bruscamente interrotta.
- Ne parleremo più tardi. – disse Jean con un tono che non ammetteva repliche. Draco si sorprese di quel tono, ma fu ancora più sorpreso di notare come Jean guardasse Hermione.
 
Come se volesse, in qualche modo, proteggerla.
 
 
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- Mi spieghi cos’era tutta quella messinscena? – sbottò il Serpeverde, quando finalmente riuscì a scollarsi dal resto della famiglia e rimase solo con Hermione.
- Quale messinscena? – domandò la Grifondoro, mentre prendeva una palla colorata e l’attaccava all’albero di Natale.
- Quel…quel…coso rosso che tutti hanno fatto finta di non riconoscere…con quel saccone in mano…
- Se tu avessi studiato Babbanologia lo sapresti. – borbottò come risposta, allungandosi verso l’albero.
- La smetti, porca miseria?! – sibilò Draco, arrabbiato. – Ti ho già spiegato che io non la studio Babbanologia, quindi non rinfacciarmelo!
- Shh! – lo ammonì subito la ragazza. – In sala ci sono ancora tutti i miei parenti! Potrebbero sentirti!
Il ragazzo biascicò qualche insulto, lasciandosi cadere sul divano, e osservando Hermione che finiva l’albero di Natale. Nonostante Jean e Richard avessero già addobbato tutta la casa, sapevano quanto la figlia adorasse decorare l’albero. Per cui le avevano lasciato un piccolo scatolone con le ultime palle colorate da attaccare, così che Hermione potesse sbizzarrirsi e metterle dove preferiva.
- Insomma, mi spieghi perché tuo zio si è travestito come un…come un… - Draco ci pensò un po’, ma non trovò nessun sostantivo da accostare alla sua similitudine.
 
Da cosa Merlino si era travestito quel Babbano?
 
- La leggenda di Babbo Natale. – disse Hermione lentamente. – Ne hai mai sentito parlare? – abbassò leggermente la voce, sperando che la sua famiglia, che stava tranquillamente bevendo il the delle cinque del pomeriggio, non la sentisse.
- No. – ribatté secco il Serpeverde.
- Lo immaginavo. – disse Hermione, in modo ironico, con un tono vagamente saccente.
Draco era sul punto di rispondere per le rime, ma in quel momento la ragazza cominciò a raccontare, con voce chiara e limpida, la leggenda sulla quale si era interrogato per più di due ore. Hermione aveva una voce tranquilla, serena, mentre esponeva ciò che viene raccontato ai bambini durante la loro infanzia.
Così tranquilla che Draco neanche si accorse del suo sguardo triste.
 
 


Hermione prese in mano l’ultimo addobbo per l’albero di Natale: la stella cometa. Era sempre stata lei a mettere la stella sulla punta dell’abete e, anche quest’anno, i suoi genitori non avevano avuto il cuore di toglierle quel privilegio.
- Io non credo di aver capito, Granger. – disse nuovamente Draco più o meno per la quinta volta.
- Cosa non hai capito, stavolta? – ribatté esasperata, mentre si alzava sulle punte per sistemare la cometa.
- Questo Babbo Natale ogni anno porta regali a tutti i bambini, facendo il giro del mondo in una sola notte.
- Sì. – confermò la Grifondoro, sperando che non ricominciasse col dire che“Un Babbano non può fare il giro del mondo in una sola notte.”-”Le renne non volano!” – “Perché dovrebbe portare i regali ai bambini?!”
- E tutto questo lo fa…gratis? Nessuno regalerebbe così tanti doni, gratuiti! – sostenne il ragazzo, infervorato.
- Oh, Santo cielo, Malfoy! – sbottò, con tono più seccato di quanto non volesse far sembrare. – È una leggenda! Non esiste Babbo Natale nella realtà!
- E perché allora raccontate queste bugie ai bambini, se non c’è nulla di vero? – ribatté, facendo sussultare Hermione con quella domanda, alla quale per poco non cadde la stella di mano.
- Perché a volte le bugie servono. – sussurrò.
 
Perché la verità non è meglio della finzione.
 
- Perché i bambini… - continuò Hermione. - …non devono macchiarsi con la realtà del mondo. I bambini hanno bisogno di qualcosa che è innocente e puro quanto loro.
 
Hanno bisogno di qualcosa in cui credere.
 
- Babbo Natale è un simbolo, un emblema: significa gioia, dolcezza, serenità.
Draco la osservò, mentre sembrava in preda a una lotta interiore, come se fosse sul punto di dire qualcosa, ma all’ultimo istante ci ripensasse. La vide tentare nuovamente di posizionare la stella di Natale sulla punta dell’albero, ma a causa della sua altezza, fallire miseramente l’impresa.
- Il mondo non li conosce più questi valori. – concluse infine Hermione, mentre si allungava di nuovo.
- Nipoti miei! – l’esclamazione della nonna, troncò sul nascere qualunque possibile risposta di Draco.
La vecchietta si sedette accanto al ragazzo che, inorridito dall’idea della precedente esperienza, tentò di allontanarsi il più possibile.
 
…Esattamente…da quando sono diventato il nipote di questa pazzoide?
 
- Che bel ragazzo che sei! – esordì la nonna, facendo accapponare la pelle a Draco – dato che aveva ripreso ad accarezzarlo – e arrossire Hermione. – Ho sempre detto che mia nipote ha buon gusto, Te lo sei scelto bene, nipotina mia!
- Già…mi hai scelto proprio bene… - ironizzò Draco.
 
Come si permette questa Babbana di toccarmi???
 
Draco si ripromise che la prossima volta che avrebbe accettato un invito a casa di qualcuno per le vacanze di Natale, avrebbe fatto ricerche su tutti i membri della famiglia. Soprattutto avrebbe controllato – e, di conseguenza, evitato – la presenza di vecchietti con tutte le loro stramberie…
Hermione arrossì ancora di più alle parole di Draco.
- Uhm…nonna…ehm…perché non vai …a…a leggere un po’? – borbottò la nipote, sapendo quanto sua nonna amasse i libri e la lettura, nonostante la vista non fosse più quella di una volta.
- A giocare un po’? – rispose la nonna, non avendo capito bene cosa avesse detto la nipote. - Non ho più l’età, bimba mia!
 
Per Salazar, ma quanto è sorda?
 
- Poi voglio vedere l’albero di Natale finito! – esclamò, con gli occhi che brillavano. La passione per il Natale, Hermione senz’altro l’aveva presa da sua nonna. Infatti, la nonna aveva sempre avuto un amore particolare per il Natale e gli addobbi con cui decorare la propria casa.
La ragazza ridacchiò, allungandosi per l’ennesima volta per posizionare la cometa. Imprecò mentalmente, quando le punte dei suoi piedi toccarono nuovamente terra, consapevole che da sola non ce l’avrebbe fatta. Maledì la sua scarsa altezza e cercò la bacchetta, rendendosi poi conto della presenza di sua nonna. Con uno sbuffo, prese una sedia dal tavolo lì vicino, per posizionarla accanto all’albero. Stava per salirci sopra, quando una mano la bloccò, stringendole il braccio così forte da farle quasi male.
- Sei fuori di testa, Granger? – sibilò Draco, in modo che soltanto lei potesse udire le sue parole. La ragazza deglutì, ritrovandoselo così vicino.
- Io…voglio mettere la stella. – disse sorpresa dal suo comportamento e dallo scatto sovrumano che aveva fatto.
- Potresti cadere, stupida! – sbottò malamente.
Hermione spalancò gli occhi quando capì a cosa si stava riferendo. Non riusciva a credere alle sue orecchie: si stava…preoccupando?
- Oh, io…
- Dammi questa cosa, la sistema io.
La ragazza non sapeva se essere più stupita o felice. Le aveva impedito di salire sulla sedia, perché temeva che si facesse del male…e perché pensava al bambino.
Per quanto potesse essere una cosa scontata, Hermione era così sorpresa di quel gesto che per poco non le vennero gli occhi lucidi.
- Io… - La giovane Grifondoro non ebbe neanche il tempo di finire la frase che Draco le aveva già strappato di mano la sua preziosa stella e, in pochi secondi, l’aveva perfettamente posizionata in cima all’albero.
- Ecco fatto. – sbottò il ragazzo, guardando Hermione con aria severa.
- Oh, che meraviglia! – intervenne la nonna. – L’albero è stupendo, nipotina mia!
Ed era vero. Quel semplice pino, addobbato con maestria e eleganza, conferiva alla stanza qualcosa di speciale, illuminandola con le sue luci colorate.
- Devi essere davvero importante per lei. – s’intromise una voce. Emily Jackson sorrise loro in modo tenero, soffermandosi poi su Draco. – Hermione non ha mai fatto toccare a nessuno la sua stella. Soltanto lei ha il diritto il di posizionarla in cima all’abete. – spiegò, con naturalezza.
Hermione, a quelle parole, non poté fare a meno di poggiare una mano sulla pancia e guardare Draco.

Sì, zia. Lui è davvero importante per me.

- Noi andiamo a casa, tesoro. Io e Jared cercheremo di mettere a letto le due scimmiette, sperando che dormano qualche ora. – disse poi la zia, cambiando discorso. – Di nuovo Buon Natale, piccola. – l’abbracciò, dopo averla raggiunta, e sorrise a Draco a ‘mo di saluto.
Hermione s’intristì un po’ nel vedere andare via anche Emily: infatti, Abigail e Charlie, insieme alla piccola Laurel, erano stati i primi a lasciare la loro casa, ed erano poi stati seguiti dallo zio Jared, che aveva ricevuto una telefonata urgente ed era dovuto scappare via. Erano rimaste soltanto i gemellini e sua zia, ma a quanto pare era giunta l’ora di andare anche per loro.
- Forse è meglio che non ti faccia salutare Nate e Thomas. – disse la zia, sorridendo. – Se ti vedessero non se ne andrebbero più da qui: lo sai che vanno pazzi per te.
Hermione rise.
- Sì, penso che sia meglio. – convenne, sorridendo pensando ai suoi cuginetti pestiferi.
Sì, pestiferi. Ma anche adorabili.
 
 
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Quella sera, Draco credette sul serio di impazzire. Dopo aver conosciuto la famiglia di Hermione, credeva davvero di aver toccato il fondo. Era rimasto letteralmente traumatizzato dal Pranzo di Natale, dubitava di aver mai passato una simile esperienza. Per tutto il giorno non aveva fatto altro che ripetere a Hermione che “Pazzi! Sono tutti pazzi!” e la ragazza gli aveva risposto con uno strano sorrisetto, alzando gli occhi al soffitto. Sì, comunque Draco era sicuro di aver davvero toccato il fondo.
Questo, semplicemente perché non aveva ancora conosciuto gli elettrodomestici. Ebbe parecchie brutte esperienze quella sera.
La prima con il tostapane.
 
- Granger, questo strano coso...emana calore…
- Quale coso?
- Mah…e questo filo a cosa serve?
- Malfoy, fermo! Non lo toccar…
- Ahhh! Porco Merlino!
- Ti avevo detto di non toccarlo!
- Cazzo, brucia! Che dolore! Per Salazar, perché diavolo avete quest’ aggeggio mortale nella vostra cucina?!
- È un tostapane, Malfoy! Non…un..fe-fermo! Non puoi affatturarlo!
- Mi ha bruciato! Non doveva permettersi!
- Non è mica stato il tostapane! Sei stato tu a toccarlo e...per Godric!... Abbassa immediatamente la bacchetta!
 
 
La seconda volta col telefono di casa.
Draco lo aveva trovato per caso e aveva schiacciato dei tasti, senza sapere cosa fossero. Quando qualcuno aveva risposta dall’altro capo del telefono, aveva fatto un balzo di quasi due metri.
 
- Pronto?
- Questo coso ha una voce! Cavolo…ma…come…
- Pronto? Chi parla?
- Santo Merlino! Un’entità è nascosta all’interno di questo affare! Granger, è una specie di Horcrux?
-  Hor…che? Ma che scherzi sono questi?!
- Un Horcrux! Granger, non sapevo che i Babbani studiassero Magia Nera!
- Ahh, voi giovani, sempre a fare scherzi telefonici! La prossima volta rintraccio il numero e vi denuncio!
- Rintrac…che? Ma è fuori di testa?
- Questo è troppo. Non so chi sei, giovanotto, ma sto perdendo la pazienza.
- Granger, questo Horcrux è parecchio strano! Dice che vuole denunciarmi!
 
La terza volta ebbe problemi con la televisione.
Hermione stava tranquillamente guardando un programma televisivo, quando Draco aveva guardato schifato quella strana scatola nera.
 
- Come osa rivolgermi la parola questo stupido babbano?!
- Malfoy…non…stanno parlando con te! E tu non puoi comunicare con loro, sono personaggi della tv!
- Non posso…io…non…Che diavolo stai dicendo, Granger?
- Non sono reali…o meglio, lo sono…ma vengono registrati e poi…
- PER SALAZAR! Che razza di sortilegio è mai questo?!
- Malfoy, ti sei seduto sul telecomando!
- Cosa diavolo dici, Granger? Non hai visto anche tu che i personaggi sono scomparsi e ne sono apparsi di nuovi?!
- Hai cambiato canale, Malfoy! Oh, santo cielo…povera me.
- Ho cambiato…EH? Si può sapere cosa cavolo dici, Granger?! Chi diavolo sono queste persone che cantano a squarciagola davanti a me?!
- È un programma televisivo, per Godric! E tanto per la cronaca quella donna è una delle cantanti più famose…no, fermo, fermo! Cosa cavolo stai facend…
 - RIVELATI, PICCOLA CANZONIERA! *
- Malfoy! Ma perché hai staccato la spina?!
 
La quarta volta fu il turno della lavatrice.
 
- Ma…questo affare gira!
- È una lavatrice, Malfoy.
- E come funziona? Lava i “trici”?
- Molto divertente, Malfoy. Comunque no: serve per pulire i vestiti.
- I…vestiti? Io dovrei mettere i miei pregiati indumenti in questa scatola che gira?!
- Per Godric…
- Ma dove sono gli Elfi Domestici?
- Qui NON ci sono Elfi Domestici, Malfoy! E poi è un abominio utilizzarli come schiavi!
- Per Salazar…niente Elfi Domestici…l’ho sempre detto io che i Babbani sono strani…e comunque io non mi fido a mettere i miei vestiti qui dentro!
- È solo una lavatrice, Malfoy!
- Qualunque cosa sia, non mi piace come gira. Sembra posseduta!
- Quella è la centrifuga.
- La….che?!
- Quando metti i panni nella lavatrice, automaticamente si aziona la…Fermo, Malfoy! Non lo far…
- Per Salazar, Granger! Questo coso sputa acqua!
- Malfoy, la lavatrice non va mai aperta quando è in funzione!
- Porca miseria, aiuto! Non si ferma!
- Oh, povera me.
 
L’ultima volta fu il turno della macchinetta del caffè.
 
- MALFOY, COSA CAVOLO HAI FATTO?!
- Quella stupida macchina mi ha sputato in faccia una stupida sostanza!
- Hai…hai affatturato la mia macchinetta!
- Ho fatto un favore all’umanità, Granger, credimi. Quell’affare è un pericolo mortale.
- Non puoi affatturare gli oggetti, Malfoy!
- Mi ha sputato addosso!
- Gli oggetti NON sono persone, Malfoy! Non li puoi punire se tu sei incapace di usarli!
- Io sono capacissimissimo! Ho ordinato a questa stupida macchinetta di darmi una burrobirra e dopo averla sballottata un po’, ha cominciato a sputare quella cosa marrone da tutte le parti! Tu non capisci, Granger. Quella cosa era PERICOLOSA, io DOVEVO distruggerla!
- Non esiste la Burrobirra qui! E per la cronaca, quella cosa marrone era caffé, Malfoy, CAFFÈ!
- …Ormai è andata, Granger. Non è colpa mia se la macchinetta era posseduta.
 
 
 
Hermione rischiava seriamente l’esaurimento nervoso. Per fortuna i suoi genitori non avevano assistito alle scenate di Draco, altrimenti non avrebbe proprio saputo spiegare loro lo stato delle cose.
Seduta sul suo letto, sperava soltanto che Draco non combinasse altri guai.
- MERDA! Come cazzo si spegn…
 
Come non detto…
 
Incurante del suo pigiama azzurro confetto, caldo e imbottito, Hermione si alzò, affaticandosi leggermente. Inizialmente non riuscì neanche a mettersi in piedi, in preda alla nausea; poi, sforzandosi di più, fu in grado di alzarsi dal letto, mentre si massaggiava la pancia.
- Ma cosa… - borbottò, notando in quel momento come si sentisse più…pesante.
Ignorò quella strana sensazione per dirigersi verso la camera di Draco e capire cosa avesse da gridare a quell’ora.
- Malfoy, si può sapere cos… - per poco non ebbe un collasso di fronte al ragazzo completamente rosso in faccia e con i capelli all’aria, che la fissava con aria truce. La Grifondoro distolse lo sguardo, cercando in tutti i modi di non guardare il suo petto nudo.
- PAZZI! Porco Salazar, sono tutti …!
- Malfoy! Smettila di urlare! – lo richiamò Hermione, intimandogli con gli occhi di abbassare il tono di voce.
- I tuoi genitori mi vogliono morto, Granger, sappilo! Per Salazar, HANNO ATTENTATO ALLA MIA VITA!
- Malfoy…
- Certo che tua madre è proprio una…una…ah, non so nemmeno come definirla! Arriva, tutta sorridente e dice: - “Draco, se vuoi farti una doccia, ti sistemo in camera tutte le cose.” – E io ovviamente, dopo essere tornato in camera mi aspetto che le cose di cui parlava fossero lì!
- Malfoy… - lo richiamò esasperata Hermione, sperando che la smettesse di lamentarsi.
- E invece sai cosa c’era, Granger? Un asciugamano – e fin qui tutto normale – e poi…poi…
- E poi?
- QUESTO! – tirò fuori il misterioso oggetto nero, che aveva attentato alla sua vita. – Hanno cercato di uccidermi, per Salazar!
- Malfoy…quello è un phon!
- Non mi’interessa cos’è. Adesso lo distruggo!
La Grifondoro riuscì a strapparglielo dalle mani, prima che lo riducesse in poltiglia, come già aveva fatto con la macchinetta del caffè.
- Malfoy, credo che tu debba calmarti. – disse, sospirando.
- Calmarmi? CALMARMI?! Tu, tu…argh!
- Abbassa la voce! – strillò la ragazza con voce acuta, con una nota esasperata nella sua voce. – Malfoy, per favore, datti una calmata. – incrociò le braccia al petto, masticando il suo orgoglio che scalpitava per quel “per favore” che aveva pronunciato.
- Pazzi, siete tutti pazzi. – cominciò allora a borbottare il ragazzo, vagando per la stanza degli ospiti come un matto. Dopo aver girottolato per qualche minuto, sotto lo sguardo sospettoso di Hermione, alla fine decise di sedersi sul letto, lasciandosi cadere a peso morto.
- Malfoy, ora che hai riacquistato le tue facoltà mentali – o almeno spero – …potresti ve-vestirti? Sei n-nudo! – balbettò, incespicando sulle ultime parole, distogliendo frettolosamente lo sguardo dal suo petto. Hermione tentò malamente di non arrossire, anche se non riuscì granché nella sua impresa. Il Serpeverde si accorse del suo imbarazzo e se, per un attimo, un ghigno si fece strada sul suo volto, l’attimo dopo la sua voce risuonò assolutamente priva di scherno.
- Non sono nudo. – fu la sua semplice risposta.
Hermione diventò color cremisi.
- Vestiti e basta! – esclamò, mettendosi il phon davanti agli occhi. Sapeva che sarebbe apparsa piuttosto ridicola e ingenua ai suoi occhi, ma, onestamente, preferiva apparire pudica come una bambina, piuttosto che continuare a fissarlo, creandosi immagini ben poco caste nella sua mente. Immagini che poi – purtroppo – non se ne sarebbero andate, ma avrebbero sicuramente continuato ad aleggiare tra i suoi penseiri.
- Oh, andiamo, Granger! Mi hai visto molto più nudo di così!
- Non è la stessa cosa. – ringhiò, dopo essersi voltata da un’altra parte, mentre sentiva il suo corpo farsi sempre più caldo. Sentiva che sarebbe scoppiata, se Draco non l’avesse smessa di metterla in imbarazzo.
 
Maledetto Serpeverde.
 
- Voltati, Mezzosangue. – la ragazza non lo ascoltò, offesa per il modo in cui l’aveva chiamata e piena di vergogna per il suo rossore, provocato dall’imbarazzo, ma anche dai ricordi proibiti che testimoniavano la perdita della sua innocenza. Udì uno sbuffo, oltre le sue spalle. – Guarda che mi sono “vestito”.
 
Peccato.
 
Hermione emise un verso stridulo, tappandosi la bocca con la mano, sperando di non essere stata tanto stupida da aver detto una cosa del genere ad alta voce. Ma quando si voltò, notò semplicemente Draco che biascicava qualcosa contro gli elettrocosmetici, segno che probabilmente la sua mente non era ancora tanto malata e perversa dal lasciarsi sfuggire certe considerazioni. Tirò un sospiro di sollievo, mentre, colta da chissà quale coraggio, si avvicinava al letto e si sedeva accanto a lui. Adesso che non c’era più il petto di Draco a farle girare la testa, si sentiva molto più tranquilla.
 
Più o meno.
 
- Questo… - cominciò a spiegare, mentre si rigirava l’oggetto tra le mani.  - …è un phon. Serve per asciugare i capelli.
- Non sono un bambino, Granger. – brontolò il ragazzo, per il tono da maestra che stava usando la Grifondoro. – E poi so cos’è un bon. – mentì spudoratamente, fissandola con aria truce.
- Certo che lo sai. – lo canzonò Hermione. – Infatti, proprio perché sapevi che cos’era, ti sei messo a strepitare, credendo che quest’oggetto avesse attentato alla tua vita. E poi si chiama phon, Malfoy, non bon.
Draco, a quelle parole, mugugnò qualcosa d’incomprensibile.
A Hermione venne da ridere per quella strana situazione e per l’espressione di Malfoy che osservava l’oggetto che aveva attentato alla sua vita. Un sorriso sereno comparve sul suo volto, prima che si congelasse sulle sue labbra.
La Grifondoro si rese conto in quell’istante di quanto lei e Draco fossero vicini: le loro gambe quasi si sfioravano, così come le loro braccia e Hermione avvertiva il respiro del ragazzo sui capelli. La giovane non sapeva se essere più sorpresa dal fatto che Draco non si fosse ancora scostato da lei, con la sua solita smorfia disgustata, o dal fatto che per la prima volta probabilmente stavano intavolando una conversazione civile, senza tentare di ferirsi a vicenda o farsi del male.
- Quando dirai ai tuoi genitori della gravidanza? – la voce di Draco interruppe i suoi pensieri, e con quella domanda ebbe il potere di spazzare via tutto il suo buon umore.
- Domani sera. – rispose però con voce sicura. – A cena. – precisò. – Il giorno viene mia cugina a pranzo. – si sentì in dovere di precisare ancora Hermione, di fronte alla sua espressione perplessa.
- Mmh. – biascicò, probabilmente non troppo in vena di grossi discorsi. – Credo che tuo padre mi ucciderà. – constatò poi con una smorfia, forse pensando alla sua vita che sarebbe finita piuttosto presto.
- Se continuerai a trattare tutti quanti alla stregua di Cacche di Drago, probabilmente lo farà.
- Io non ho trattato tutti come… - l’occhiataccia di Hermione, gli fece tappare la bocca.
- Hai tentato di schiantare i miei cuginetti tre volte, Malfoy. E non hai parlato quasi niente per tutto il pranzo! – lo rimproverò.
- I tuoi cuginetti sono pazzi, Granger. Non che la tua famiglia non lo sia, ma loro lo dimostrano in maniera più acuta. E poi cosa diavolo avrei dovuto dire?
- Lasciamo perdere, Malfoy. – sbuffò la ragazza, sapendo che quella era una battaglia persa in partenza. – Comunque…cerca di…essere più gentile di quanto lo sei stato oggi, domani sera. – gli consigliò.

Altrimenti mio padre ti ucciderà di sicuro.

Si schiarì la voce, non pronunciando quel pensiero ad alta voce, ma dallo sguardo di Draco, Hermione capì che anche lui aveva pensato la sua stessa identica cosa.
In quel momento di silenzio, la ragazza si rese conto per la seconda volta di quanto fossero vicini l’uno all’altro, tanto che le sarebbe bastato allungare la sua mano di pochissimi centimetri per afferrare la sua. Avrebbe voluto impedire al rossore di attraversare il suo viso, ma non riuscì a nascondere il suo imbarazzo e il batticuore persistente. 
- Allora… - borbottò a disagio. Era abituata che, a quel punto della conversazione, uno dei due cominciava a insultare l’altro, ma quella volta sembravano entrambi troppo esauriti per mettersi a litigare. Anche se la cosa non poteva che fare piacere a Hermione…la metteva anche in imbarazzo. Non aveva la minima idea di come comportarsi con lui: l’unico modo che conosceva erano i litigi.
- Domani viene tua cugina? – la interruppe il Serpeverde, riprendendo le parole che lei gli aveva rivolto poco prima.
- Sì. – confermò, mentre i muscoli si tendevano fino allo spasmo e il corpo si irrigidiva come una statua di marmo. – Malfoy… - lo richiamò, con voce improvvisamente seria e preoccupata.
Lui non rispose, ma la smorfia della bocca fece capire alla Grifondoro che aveva catturato la sua attenzione.
- Non ti azzardare a trattare male Laurel. – la voce di Hermione fu irriconoscibile.
- Cosa?
- Laurel non è come Nate o Thomas. Non è come me, o come i membri della mia famiglia, che puoi trattare con sufficienza. È chiaro? – domandò, con la mascella contratta e un’espressione rigida sul volto, che stonava con i suoi tratti delicati.
- Cosa stai dicendo, Granger? – chiese Draco, perplesso e sorpreso dal suo comportamento e dal suo cambio di umore repentino, non appena aveva nominato la cuginetta.
- Se Laurel ti chiede attenzioni, tu dagliele. Se vuole giocare, gioca. Se…
- Granger, cosa Merlino stai dicendo? Perché mai dovrei assecondare le richieste di una mocciosa?
Lo sguardo di Hermione si indurì talmente tanto, che per un attimo Draco desiderò rimangiarsi quello che aveva appena detto.
- Fai come ti ho chiesto. – mormorò.
- Granger, mi spieghi perché…
- Non c’è niente da spiegare, Malfoy. Non su questo argomento, non su Laurel.
E poi se ne andò, alzandosi di scatto come se fosse stata pungolata e scomparendo della sua vista. Fu talmente veloce che Draco a malapena si accorse di lei e del suo pigiama azzurro confetto che lasciavano la stanza degli ospiti in fretta e furia. Udì a stento un “buonanotte” biascicato tra i denti, ma poteva benissimo esserselo solo immaginato.
 
Troppo veloce e troppo repentina quella fuga, per essere stata naturale.
 
Che l’argomento “Laurel” fosse delicato per la Grifondoro, Draco l’aveva capito, anche se ne ignorava le cause; e la conversazione che avevano appena avuto sulla bambina non faceva altro che confermare l’idea che Hermione avesse qualche problema con la cuginetta.
- Bah. – borbottò semplicemente, sdraiandosi sul letto e decidendo di non pensare più alle stranezze della Granger.
Draco rimase sveglio per un bel po’, prima di riuscire ad addormentarsi. Passò qualche ora a fissare il soffitto, estraniandosi dalla realtà, come se fosse rinchiuso in una bolla ovattata dove nessun rumore osava disturbarlo.
E forse fu un bene che il ragazzo non prestò ascolto a ciò che lo circondava.
Perché se la sua mente avesse fatto solo un po’ più di attenzione, se fosse stata appena più ricettiva, avrebbe udito dei singhiozzi disperati, soffocati malamente contro un cuscino.
 

 
 
 
 
 
 

 
Angolo Autrice
 
* La frase “RIVELATI PICCOLA CANZONIERA” è una frase che ho ripreso da un film il cui protagonista era Johnny Deep! Quella parte mi aveva fatto morire dal ridere e non ho resistito! Ho ripreso la frase del film e l’ho messa qui. Vi sfido a capire di quale film si tratta!
 
Comunque…
Ecco qua finalmente il capitolo! Vi avevo detto che avrei aggiornato abbastanza in orario, no? :) Dopo quattro settimane finalmente ce l’ho fatta! Meglio che tre mesi, dai! ^.^
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto almeno la metà di quanto è piaciuto a me! Come avevo scritto nelle note dell’altro capitolo, è uno dei miei preferiti, quindi non smontatemi, eh xD
Bene….parlando di cose serie….la scuola è ricominciata e io sono depressa T.T Ah, no, questo non c’entra nulla xD (Però è vero :P) Comunque, per il motivo sopra citato, non mi dilungherò molto in queste note, anche perché sarei capace di riempirle di lamenti e piagnistei e far deprimere anche voi :3
Come avrete notato questo capitolo è tutto incentrato su Draco e Hermione – che in quest’ultimo periodo avevo un po’ trascurato e messo da parte, diciamocelo :P – e principalmente sull’allegria e la gioia del Natale. Però sapete quanto il mio stiel sia incline al drammatico, motivo per cui c’è una piccola nota che stona in questo capitolo pieno di gioia: Laurel. Ho lasciato un alone di mistero intorno a questa bambina, ma forse i più intuitivi hanno già capito cosa stia nascondendo Hermione sulla cuginetta. Ovviamente, io non ho intenzione di spoilerare nulla xD
Per il prossimo capitolo, onestamente, non so quanto ci sarà da aspettare, ho qualcosa di pronto (anche se non è moltissimo) e magari – dato che siamo sempre a inizio scuola – i tempi di attesa non saranno lunghi, sperando che i professori ci lascino respirare per il mese di settembre. Però non prometto niente, ecco.
Penso inoltre che, insieme al prossimo capitolo, pubblicherò anche il capitolo di un’ALTRA mia nuova Dramione! In realtà prima volevo terminare questa storia, ma il primo capitolo, visto che è pronto da tanto tempo, lo volevo postare. Quelli che hanno buona memoria forse si ricordano che avevo accennato un po’ di tempo fa di questa nuova idea….più di un anno fa in effetti. Ahahah non ho ancora cominciato a pubblicare la nuova storia e già sono in ritardo xD
Ok, a parte le battute squallide in cui mi prendo in giro da sola, chiudo qui queste penose note, che mi sto trattenendo dal cancellare.
Ringrazio come sempre tutti coloro che hanno messo la mia storia tra  le seguite/preferite/ricordate e anche a chi legge in silenzio.
Ma, soprattutto, un GRAZIE speciale, gigante, e pieno di affetto a chi ha recensito lo scorso capitolo: Harry Potterish, Black_Yumi, Stella94, KakashiLoveRabbits, Martin Eden, Lierin_, anonima K Fowl, Anisha, LolaG99, XanderXVII, Jocker157, _memories_, _yellow_, lost in fangirling, Lita97, sophie5, io_amo_siriusblack, NiniBella, Dolcemente_imperfetta, AleGrangerMalfoy, MimiRyuugu, _Giuls17_, Slytherin_Ss, Felpick93, Draco the best, LilyLovegood, BrookeDonovan, pinkopallinaXD, gio_lesa, tonks17, chiara_1997, 17pally, Dramione99, Notteinfinita e piumetta.
Io…niente, non so più cosa dire. Grazie di cuore. Vi voglio bene ragazze :)
Un abbraccio super-mega-iper-stritolante e chi più ne ha, più ne metta,
flors99

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Capitolo 24
*** Things Never Go As They Should ***


 
Vi lascio qui in cima il link della mia nuova storia! Passateci se vi va :) Lo so che sono un po’ spudorata a chiedervelo, ma nelle note troverete le spiegazioni.
(http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2290339&i=1)
Vi auguro una buona lettura di questo capitolo intanto! ^___^

 
 
 
 
 
 
La prima cosa che Hermione pensò non appena la sveglia trillò con il suo dolce drin-drin, fu che aveva dormito sì e no due ore. Tra il pensiero di Draco al di là del muro della sua camera, il pensiero di Laurel, la sua piccola cuginetta, e al pensiero dei suoi genitori ai quali quella sera avrebbe rivelato la sua gravidanza, decisamente, chiudere occhio era stata un’impresa davvero ardua.
E non le faceva bene. Affatto.
Si sentiva come se fosse stata messa k.o da un pugile, per poi essere stata investita ripetutamente da un camion. Si stiracchiò, ripromettendosi di andare a letto prima quella sera per poter riposare meglio.
La seconda cosa che pensò fu che in casa, quella mattina, c’era troppo rumore. Più che rumore sembrava un grosso brusio che proveniva al di là della porta, ma al quale non sapeva dare un nome; ed era parecchio strano, dato che i suoi genitori le avevano detto che quella mattina sarebbero usciti per delle questioni urgenti da sbrigare. Tecnicamente non avrebbe dovuto esserci nessuno in casa, a parte lei.
A parte lei e Draco.
Draco.

Draco.

Draco e gli elettrodomestici.

Con un’improvvisa consapevolezza, Hermione si alzò dal letto, per poi lavarsi in fretta e furia e cambiarsi ancora più velocemente. Aveva un tremendo sospetto e sperava davvero tanto che quel dubbio fosse soltanto la sua apprensione, sempre troppo eccessiva.
La terza cosa che Hermione pensò – non appena aprì la porta della sua stanza – che, in quel momento, detestò con tutte le forze il fatto di aver avuto ragione.
- Ac…Cazzo! Merda!
Il brusio che sentiva non erano altro che le dolci imprecazioni che il Serpeverde stava lanciando.
- Fer…basta! Hei!
Hermione sospirò, indecisa se scendere le scale e andare a vedere cosa diavolo stesse combinando Draco, oppure farsi gli affari suoi e lasciarlo cuocere nel suo brodo.
- Porca miseria…Merda! Dov’è la mia bacchetta?
La Grifondoro alzò gli occhi al soffitto, ricordandosi di quando il giorno prima aveva sottratto la bacchetta a Draco, dopo che quest’ultimo aveva avuto la brillante idea di schiantare la macchinetta del caffè. Per fortuna era bastato un Reparo per rimetterla apposto, anche se non funzionava più così bene come prima.
- Merlino! Salazar! Godric!

Ah, beh…se Draco Malfoy era arrivato a invocare persino Godric Grifondoro la situazione doveva essere davvero grave.

- Stupido coso…fermati!
Dopo qualche altro secondo, Hermione decise di averlo fatto soffrire abbastanza. Con passo lento, trotterellò al piano di sotto, per poi andare ad aprire la porta della cucina, dalla quale provenivano i rumori.
- Malfoy, posso sapere cos’hai da grida… - non riuscì a completare la frase, perché  si ritrovò sommersa da un getto d’acqua ghiacciata.
- Granger! Fermalo, cazzo, fermalo!
- MALFOY! – non riuscì a trattenersi dal gridare, quando si ritrovò zuppa da capo a piedi, come un pulcino bagnato.
- Fermalo, per Salazar!
Hermione, con la vista appannata dall’acqua, si chiese se fosse meglio strangolare Malfoy subito o strangolarlo dopo. Quando poi vide la cosa che doveva fermare, ovvero il suo povero lavandino che schizzava acqua da tutte le parti, decise che lo strangolamento era una morte troppo caritatevole per il Serpeverde.
Con un grugnito ben poco femminile, afferrò la bacchetta e pronunciando una serie di incantesimi ridusse il gigantesco flusso d’acqua emesso dal rubinetto, fino a farlo affievolire del tutto. Asciugò con cura anche la cucina allagata (il livello dell’acqua era di circa cinque centimetri), sempre grugnendo e borbottando imprecazioni, mescolando le sue parole con gli incantesimi.
- Non so se essere più sorpresa dal fatto che tu abbia allagato la cucina o che tu abbia rotto un altro elettrodomestico. – biascicò a denti stretti, trattenendosi dallo schiantare quel cataclisma umano che ospitava in casa. Pronunciò un Reparo al lavandino, ma Draco doveva averlo danneggiato per bene, perché neanche l’abilità e la bravura di della giovane strega riuscirono a ripararlo.
Quando ebbe finito e non ebbe più niente con cui distrarsi per evitare di commettere un omicidio, Hermione si girò molto lentamente verso il Serpeverde, che non si era azzardato a emettere un singolo suono. Negli occhi scuri della ragazza, Draco poté leggervi un sadico desiderio di vendetta, e tutti i possibili modi per attuare quel piano.
- Non guardarmi così, Granger. – sbuffò, roteando gli occhi. – È stato un incidente.
- Un incidente? – gridò Hermione, alterata. – UN INCIDENTE? Così come è stato un incidente quello della macchinetta per il caffè, vero? Uguale per la lavatrice, il televisore, il tostapane…
- Bah…
- Piantala, Malfoy! – urò, isterica. – Non puoi continuare a distruggermi la casa, per Godric!
- Distruggerti la casa! Non sarai un tantino esagerata? Tanto poi si riparano no? – come a voler dar torto alle sue parole, il povero rubinetto del lavandino in quel momento sputacchiò delle piccole goccioline d’acqua, col chiaro intento di voler emettere il suo ultimo verso prima di passare all’altro mondo.
- Sei un disastro, Malfoy. – disse alla fine la ragazza. – Un totale disastro. Ora capisco perché vai male a Babbanologia.
- Stai zitta, Granger.
- No, tu stai zitto! – ribatté con ben poca originalità la Grifondoro.
- No, tu!
- Tu!
- L’ho detto prima io!
- Non m’interessa, stai zitto, Malfoy!
- No, tu stai zitta!
Sembravano veramente due bambini dell’asilo, mentre continuavano a ripetere quel “tu” con tono isterico. O almeno così parve alla zia di Hermione osservandoli incuriosita sulla soglia della cucina, con la piccola Laurel al suo fianco.
- No, t…Oh, zia Abigail! – esclamò Hermione, sobbalzando non appena la vide. – Non ti ho sentita arrivare!
- La porta di casa era già aperta. – diede la zia come spiegazione.
La Grifondoro si accigliò, ricordandosi di quante volte aveva detto ai loro genitori di stare attenti e di ricordarsi sempre di chiudere la porta. Non che zia Abigail non potesse entrare, ma dubitava che le visite di un possibile ladro si sarebbero rivelate altrettanto piacevoli.
- Sono contenta che siate arrivate!
Il volto di Hermione si aprì in un sorriso, osservando la cuginetta che però si nascose alla sua vista. Abigail la guardò, incuriosita e stranita dal suo comportamento.
- Hei, piccolina, ma che fai? Non saluti Hermione?
Laurel, contrariamente a quanto aveva sempre fatto – ovvero saltare addosso a Hermione non appena la vedeva – non si mosse di un millimetro. Rimase nascosta dietro le gambe della madre, facendo capolino soltanto con la testa.
- Laurel, vieni qui! – la incitò la ragazza, leggermente in apprensione. Che stesse forse male?
Dopo qualche minuto di situazione imbarazzante – in cui Abigail tentava di far spostare invano Laurel – Hermione si rese conto che forse la cuginetta era così diffidente per via di Draco.
- Lui è Draco. – si affrettò allora a dire, prendendolo per mano e facendolo avvicinare. Avvertì una stretta allo stomaco, quando percepì la sua mano irrigidirsi a quel contatto e nel vedere la smorfia che si formò sul viso del Serpeverde.
Trovandoselo davanti, la cuginetta arrossì furiosamente e si nascose completamente dietro la madre. La zia scoppiò a ridere quando comprese la situazione.
- Dai, Laurel, vieni qui. – la prese velocemente in braccio, in modo che non potesse più nascondersi. – Saluta il tuo nuovo amico.
La piccola boccheggiò, rossa come un pomodoro, prima di balbettare un piccolo “ciao”.
- Ciao. – rispose Draco, inarcando un sopracciglio, incuriosito dalle sue reazioni.
A quel saluto, la bambina parve acquistare un briciolo di sicurezza e sorrise, con gli occhi verdi che avevano preso a brillare. Si agitò tra le braccia della madre per scendere e osservare Draco con curiosità.
- Bene, Hermione, io devo andare. Sei sicura che non sia un problema se Laurel rimane qui?
- Ma figurati, non pensarlo nemmeno! – replicò con tono deciso la nipote, mentre Laurel finalmente correva ad abbracciarla. – Io e Laurel abbiamo tante cose da fare, giusto?
- Giusto! – rispose la bambina con voce squillante.
- D’accordo allora…A dopo Hermione…Paco… - li salutò, sorridendo. – Ciao, piccolina, torno più tardi.
Paco?
- Ciao, zia! – esclamò Hermione, sperando di coprire col suo tono di voce le imprecazioni borbottate dal ragazzo e le sue minacce di sterminare tutta la razza di Babbani incompetenti che non hanno un minimo di cervello.
- Li schianto! Giuro che li schianto prima o poi! – esclamò Draco a Hermione non appena la zia si chiuse la porta alle spalle. Al che, la piccola Laurel lo osservò incuriosita per quello strano uso di parole, inclinando la testa di lato.
- Su, su non ti arrabbiare…Paco. – lo prese in giro la Grifondoro, mentre ridacchiava e Laurel – anche se non aveva capito cosa ci fosse di così divertente – si unì alla sua risata.
 
 
 


 
 
- Tua madre è insopportabile!
- Mai quanto tuo padre!
- Mio padre è la persona più gentile del mondo!
- Beh, non con me! E poi tu cos’hai da dire su mia madre? Lei è gentile, altro che tuo padre!
- Sì, certo, gentile quanto uno Schiopodo! Mi ha praticamente affatturato con lo sguardo!
- Ma non è vero!
- Invece sì!
- Invece no!
- Oh, stai zitto, Blaise! Ho ragione io!
Il ragazzo sbuffò, alzando gli occhi al cielo, sapendo già che non c’era da discutere molto quando Daphne decideva che aveva ragione. E non c’era nemmeno da discutere quando la Serpeverde aveva un evidente diavolo per capello, che si era insinuato dentro di lei a causa di quello che era successo il giorno prima. Blaise sospirò, mentre osservava la sua figura slanciata fare un solco nel tappeto, e che lanciava delle velate imprecazioni contro non si sa bene che cosa.
- Maledetto Natale… - riuscì a udire, probabilmente riferendosi ai festeggiamenti della sera prima.
Le loro famiglie erano molto amiche, fin da tempi immemori e per Natale si erano sempre ritrovate organizzando un gigantesco banchetto che avrebbe potuto sfamare tutta la popolazione di Hogwarts. Anche quell’anno era andata nello stesso modo: peccato che ci fosse stato un minuscolo problema.
- È stata tutta colpa tua! – lo accusò Daphne, che evidentemente aveva ancora voglia di litigare. – Tu hai avuto l’idea di…di…di… - arrossì leggermente non trovando le parole.
- Di intrattenerci con qualcosa che non prevedeva le chiacchiere? È questo che cerchi di dire, Daphne? – la canzonò, avvertendo il suo disagio.
- Non volevo dire questo! Io…oh, insomma, ci credo che poi mio padre ti voleva uccidere! Sei tu che l’hai provocato!
- Ci stavamo solo baciando, Daphne! Non è una buona ragione per puntarmi la bacchetta alla gola! – replicò, ricordando la sensazione spiacevole che aveva provato, quando aveva seriamente pensato che la sua vita fosse finita. – E poi non capisco che problema abbia. – continuò il ragazzo. – Mi conosce da quando ero un bambino, lo sa che non ti farei mai del male!
- Non è per questo che ti ha puntato la bacchetta alla gola. – sbottò Daphne, sedendosi accanto a lui.
- Cosa vuoi dire?
- Mio padre sa che saresti un buon compagno, come ti definirebbe lui, ma è fissato con…insomma…con il fatto che le ragazze devono mantenersi pure fino al matrimonio o cose del genere…
Blaise scoppiò a ridere.
- Stai scherzando, vero?
- Non è colpa mia se mio padre è uno all’antica!
- Non intendevo in quel senso, Daphne. – spiegò con calma, incastrando le dita tra i suoi capelli biondi. – Stai scherzando sul fatto che credi che questa sia la ragione per cui tuo padre si sia arrabbiato.
- Eh?
- Daphne, a tuo padre non importa la regola del matrimonio o quella cosa lì! Non si è arrabbiato per quello ieri!
- Vuoi dirmi che non conosco mio padre? – Daphne assottigliò lo sguardo, mentre Blaise alzava gli occhi al cielo.
- Sto soltanto dicendo…che tuo padre è semplicemente geloso della sua bambina. – concluse il Serpeverde, avvicinandosi a lei.
- Ti sbagli, non è così. – rispose con voce improvvisamente secca. – Mio padre non è geloso di me. – replicò con voce dura e stranamente furiosa.
- E come puoi esserne sicura?
- È con Astoria che lui ha questo comportamento. – sussurrò la ragazza qualche istante più tardi. – È lei che guarda sempre, che controlla, che tratta con affetto smisurato, che…preferisce. – spiegò la Serpeverde con una punta di amarezza. – A lui non importa di me.
- Daphne…tuo padre non preferisce Astoria a te. – cominciò a spiegare con calma.
- Non trattarmi come se fossi una bambina, Blaise. Conosco mio padre e ho visto i diversi comportamenti che assume quando è con me o con mia sorella. – ringhiò, quasi con rabbia.
- E allora perché avrebbe dovuto avere quella reazione, quando ci ha visto insieme?
- Non lo so. Forse l’ha fatto solo per… far vedere agli altri che gli importa… - borbottò a voce bassa.
Blaise soffocò una risata sui suoi capelli, facendola rabbrividire.
- Come sei ingenua, Daphne, a volte.
Lei gli conficcò una gomitata nello stomaco.
- E sei anche manesca. – imprecò Blaise, stringendo i denti per il dolore.
- Non sono affatto ingenua. – replicò, punta sul vivo.
- Daphne, tuo padre ti adora. Semplicemente non ha idea di come comportarsi con te; forse ti sembra che sia distante, ma in realtà non sa come avvicinarti.
- E tu cosa ne sai? – domandò, stupita dalla sua domanda e dal tono di voce che stava usando.
- È successo anche a me. – rispose dopo parecchi minuti, con voce bassa e pacata. – Non è facile starti vicino, Daphne.
- Che stai dicendo, Blaise? – avrebbe dovuto offendersi per quell’affermazione, ma il Serpeverde non sembrava in alcun modo intenzionato a ferirla, motivo per cui non si allontanò.
Il ragazzo osservò per un po’ lo scoppiettare del fuoco di fronte a lui, prima di rispondere.
- Tu allontani le persone, Daphne. Dall’esterno sembra che tu sia fredda come il ghiaccio, e che tu non provi niente. La gente non sa come comportasi con te, neanche tuo padre. Ma questo non vuol dire che non ti voglia bene.
Questa volta, le parole del ragazzo la ferirono. Si scostò da lui, arrabbiata e delusa, e la mano di Blaise che le accarezzava i capelli cadde nel vuoto.
- Grazie, che bel complimento. – stava per rialzarsi e andarsene da lì, quando le braccia di Blaise la strinsero da dietro e il suo respiro s’infranse sul suo orecchio.
- Ho detto dall’esterno. – sussurrò, con voce dolce. – Ma dentro, Daphne, sei molto di più. Sei come un’esplosione di colori, di emozioni. Travolgi le persone, le ammali e non te ne rendi neanche conto.
- Non dire sciocchezze, Blaise. – sbottò la ragazza, rabbrividendo tra le sue braccia.
- Mi hai travolto tante di quelle volte, Daphne, in questi anni. – confessò.
La ragazza sussultò, evidentemente sorpresa per quella sua confessione.
- Ma tu mi ignoravi, sempre. Soltanto quando siamo entrambi diventati amici di Draco, allora hai cominciato a considerarmi. Per quanto possa essere strano è stato lui il nostro collante, altrimenti non mi avresti mai neanche degnato di uno sguardo.
- Non è ver…
- Non mentire. – la interruppe, mentre le sue dita disegnavano ghirigori sulla sua pancia, al di sopra della sua felpa. – Lo sai che ho ragione… - si bloccò un attimo, quasi indeciso se continuare o no a parlare. – Mi consideravi quasi quanto un soprammobile, Daphne. Le uniche volte in cui mi rivolgevi la parola era quando facevo qualcosa di stupido e tu mi rimproveravi.
La Serpeverde rimase in silenzio qualche secondo prima di metabolizzare le parole e capirne il senso.
- Quindi…quando…ti comportavi da idiota, lo facevi solo per attirare la mia attenzione?
- Più o meno. – rispose il Serpeverde, ridacchiando.
Poteva sembrare una cosa stupida, ma a Daphne parve una delle più sincere dimostrazioni d’affetto.
- Eri sempre così lontana… - riprese Blaise. - …mi sembravi così irraggiungibile…Perfino quando eravamo bambini mi sentivo sempre in soggezione. – Si interruppe un secondo, indeciso se continuare a parlare. – Tanto che…ero arrivato a….
- A? – non riuscì a trattenersi dal chiedergli.
- Ti ho odiata tanto. – confessò infine, sputando quelle parole come se fossero acqua ghiacciata. E forse l’acqua ghiacciata avrebbe ferito meno la Serpeverde, meno di quanto fece quella confessione.
La ragazza sussultò, lottando contro l’istinto di allontanarsi il più possibile da quel divano, cosa che, comunque, non avrebbe neanche potuto fare perché le braccia di Blaise la tenevano ben ancorata lì dov’era.
- O almeno…ho creduto di odiarti…Poi…poi mi è passata, quando ho accettato l’idea che non t’importasse niente di me. Mi ero messo il cuore in pace, ecco… Ma poi…. poi l’altra sera hai tentato di baciarmi io…ho creduto di impazzire, dico sul serio.
La Serpeverde arrossì violentemente a quelle parole e tentò di districarsi del suo abbraccio, per poterlo guardare in faccia. La presa ferrea di Blaise glielo impedì.
- Non riuscirei a dirti queste cose, guardandoti negli occhi. – spiegò, quasi a mo’ di scusa.
- Blaise? – lo richiamò, deglutendo.
- Sì?
- Non…io…non volevo farmi odiare. – sussurrò, con tono amareggiato. Le sue parole assomigliavano tanto a delle scuse, o almeno ne avevano la parvenza.
- Non importa, Daphne. Non importa più.
- Importa invece! – si voltò di scatto, prendendolo talmente alla sprovvista che Blaise non riuscì a fermarla. - Io non voglio farmi odiare, Blaise! Eppure lo faccio senza neanche rendermene conto! Ho allontanato tutti, ho allontanato mio padre, mia madre, te e….forse anche Pansy! Mi sento una cacca di drago, un…
Blaise ridacchiò: tipico di Daphne mettere delle parolacce in un discorso serio.
- Cos’hai da ridere? – chiese, stizzita. Lei stava facendo un discorso profondissimo e impeccabile, in cui ammetteva di avere qualche piccolo minuscolo difettuccio e lui…? Ridacchiava? – Beh? Mi trovi divertente?
Blaise smise di ridere e, invece di risponderle, le prese il viso tra le mani avvicinandosi e facendola andare in autocombustione.
- Non importa se allontani le persone, perché poi riesci ad avvicinarle in meno di un secondo.
- Ma che d-d-dici? – borbottò, scostandosi. – Hai appena detto che allontano le persone e…
- E poi le avvicini, senza rendertene conto.
- Non credo che sia vero, Blaise. – ed era seria. Non ricordava neanche una minima volta in cui lei aveva cercato di avvicinarsi a qualcuno, cercando di essere gentile.
- Quando mi hai costretto a venire con te, per mettere quella stupida ricerca nell’ufficio della McGranitt. Cercavi un’avventura, probabilmente, ma so che l’hai fatto anche per Pansy. – cominciò a elencare il Serpeverde. – Quando sei andata dalla Granger, Daphne. Merlino, credevo fossi impazzita in quel momento. L’hai fatto per Draco, ed è stato il gesto più coraggioso che potessi fare.
- E tu come fai a saperlo?! – sbottò allucinata.
- Me l’ha detto Draco, ieri mattina, prima di partire. Mi sembrava parecchio incazzato in effetti. – La ragazza deglutì: se c’era una cosa che la spaventava era dover discutere con un Draco Malfoy arrabbiato.
- A me non ha detto niente. – borbottò.
- Penso che lo farà presto allora. – ridacchiò Blaise. – Comunque, hai capito cosa cerco di dirti?
- No, Blaise. Secondo me stai facendo un discorso senza senso: io non sono mai stata gentile con nessuno, a parte voi! E non tirare in ballo il fatto che ho aiutato Draco o Pansy, perché loro sono i miei migliori amici ed è una cosa normale che…
- Vuoi un altro esempio? Quando qualche settimana fa hai aiutato Theodore a finire i compiti. – riprese allora il Serpeverde. – Ti sei lamentata per un’ora per la sua inettitudine, ma l’hai aiutato, e sei rimasta sveglia fino a tardi per farlo.
- Sì, ma…
- Niente ma, Daphne, ho ragione io. – concluse il Serpeverde, che rischiava di perdersi nel suo stesso discorso.
- Bah…
- E comunque mi ha dato fastidio. – ammise Blaise, quasi sovrappensiero.
- Che tu abbia ragione?
- No, che tu abbia aiutato Theodore.
Daphne lo guardò come se fosse impazzito.
- Ma hai appena detto che sono stata gentile e…!
- Non quello! – la interruppe. – Mi ha dato fastidio che tu sia rimasta sveglia con lui fino a tardi!
- Stavamo facendo i compiti! – replicò Daphne, arrossendo e sconcertata dal fatto che Blaise avesse seguito così puntigliosamente tutte le sue mosse.
- Mi ha dato fastidio lo stesso! Mi sembra ovvio!
- Non è ovvio. – brontolò la ragazza, che non davvero non riusciva a concepire di come Blaise potesse essere geloso di Theodore.
- Certo che lo è. – replicò il Serpeverde. – E poi ha una cotta per te.
- Chi?
- Ma come chi, Daphne? Sto parlando di Theo!
- …Io…non è vero!
- Sì, che è vero! Ti guarda come ti guardo io! – Daphne inarcò un sopracciglio, interrogativo.
- Stai scherzando, vero?
- No, che non scherzo! Anzi, mi farebbe piacere se tu d’ora in poi non gli lo aiutassi più fino a tardi con i compiti…insomma…
- Cosa?!
- Non è che ti voglio proibire nulla, ma…
- Questa cosa è ridicola, Blaise. – sentenziò alla fine Daphne.
- Non è ridicola. – replicò con una voce che la ragazza non gli aveva mai sentito.
C’era qualcosa, nello sguardo del Serpeverde, che fece capire a Daphne che lui non stava affatto scherzando.
Era geloso sul serio.
– Theodore non prova nulla per me. – disse alla fine la Serpeverde, sorridendo. Il ragazzo stava per replicare, ma lei lo interruppe prima che avesse la possibilità di dire qualunque cosa. - …e comunque, io non provo nulla per l…
Il lui finale fu soffocato dallo scontro delle loro labbra. Daphne aggrottò le sopracciglia, stizzita per non aver potuto finire il suo discorso, ma quando Blaise l’afferrò per i fianchi e la baciò con più convinzione, decise che poteva anche tacere e fare a meno delle inutili parole.
 
 




- Questa situazione è insostenibile, Granger, INSOSTENIBILE!
- Malfoy, calmati, non…
- NON OSARE DIRMI DI CALMARMI!
- Non urlare!
- Ti rendi conto di cosa sta facendo? TE NE RENDI CONTO?
- Ti ho detto di non urlare!
- Porco Merlino, Granger, ma mi ascolti? Smettila di dirmi che non devo urlare, perché se ho voglia di farlo lo faccio! E NE HO TUTTO IL DIRITTO!
- Santo cielo… - borbottò Hermione, massaggiandosi le tempie.
- Ti sia chiaro una cosa, Granger. – sibilò Draco con un’espressione allucinata in volto. – Il fatto che tu mi abbia sequestrato la bacchetta e io non possa in alcun modo oppormi, non mi impedirà di strangolarti con le mie mani, se non ordini a quella peste di darsi una calmata!
Dall’espressione del biondo, Hermione capì che l’avrebbe strangolata sul serio se non l’avesse ascoltato.
- Ma….! Laurel non ha fatto niente di male!
- NIENTE DI MALE? PERCHÉ TI SEMBRA NORMALE COLORARMI LA FACCIA?!
- Non urlare, Malfoy! – esclamò Hermione, alzando il tono di voce. – E poi Laurel non ti ha colorato!
- Oh, certo! – fece Draco con voce stridula. – Mi ha SOLTANTO gettato in faccia le sue schifose tende!
- Tempere, Malfoy. Tempere, non tende!
- Non m’interessa!
Hermione deglutì, osservando l’inquietante vena sul collo di Draco che pulsava impazzita.
- Non l’ha fatto apposta. – borbottò la Grifondoro, difendendo la cuginetta, anche se l’espressione omicida di Draco le impedì di aggiungere qualunque altra cosa. – E comunque non puoi urlare così, quando c’è mia cugina!
- Tua cugina è pazza, Granger! Pazza! Non è normale che l’unico momento in cui non mi sfrutta è quando va in bagno!
- Ti sfrutta? – domandò Hermione esasperata. – Vuole solo giocare con te!
- Quella non vuole solo giocare con me! È…è…pazza!
- Senti, Malfoy, non ti azzardare a…
Quello che Hermione voleva dire, venne bloccato sul nascere dallo scatto repentino di Draco. Le si avvicinò talmente tanto che ebbe bisogno di piegare la testa per poterlo guardare negli occhi: Hermione non fece neanche in tempo ad arrossire, perché il Serpeverde le afferrò il mento con così tanto forza, che il dolore superò l’imbarazzo.
- No, ascoltami tu, Granger. – sibilò, con voce glaciale, bloccando i suoi deboli tentativi di liberarsi. – Io ho accettato di venire qui, ho sopportato le stupidaggini di tua nonna, gli sguardi di tuo padre, i tuoi parenti completamente pazzi, gli elettrocosmetici, e questo è ancora niente, visto che devi parlare della gravidanza ai tuoi genitori! – strinse di più la presa sul suo mento, mentre la ragazza mugolava di dolore.
- Malfoy, mi fai male. – ansimò, cercando di spostarsi.
- Hai detto bene, Granger. Malfoy, io sono un Malfoy, vedi di ricordartelo. E ti giuro che se qualcuno della tua famiglia prova di nuovo a umiliarmi in questo modo, troverò il modo di fargliela pagare, con o senza bacchetta. Ci siamo capiti, Granger?
Hermione boccheggiò, a corto d’aria.

Umiliazione

Era questo che aveva provato Draco quando Thomas gli aveva tirato i piselli in faccia? Quando Laurel lo aveva schizzato con le tempere?

- Lasciami, Malfoy, ho capito. – rispose, divincolandosi.
- Lo spero per te. – la bloccò il Serpeverde.  – E ora ridammi la mia bacchetta.
- No! – esclamò Hermione, terrorizzata. Non era affatto sicura di quello che avrebbe potuto combinare Draco con l’uso della magia a disposizione.
- Sono venuto qui, Granger. Ti rendi conto? Io, un Malfoy, un purosangue, mi sono abbassato a venire in una casa piena di sudici Babbani! – gridò improvvisamente, indurendo lo sguardo come non mai. – E tu non devi azzardarti… - la sua voce abbassò il volume, ma conteneva una nota talmente piena di disprezzo e rabbia che Hermione rabbrividì. – …a prendermi la bacchetta. Ne va del mio onore di mago. La rivoglio, immediatamente.
- Non mi fido a lasciartela! – esclamò la Grifondoro, testarda. – Hai provato a far del male alla mia famiglia, non posso permettermi di correre un simile rischio!
A quelle parole, Draco le lasciò il mento, facendole tirare un sospiro di sollievo che durò ben poco, dato che le sue mani corsero a serrarle i polsi.
- Malfoy, mi fai male! Las…
- Se tu non mi restituisci immediatamente la bacchetta, giuro che sarà la tua cara cuginetta a stare male.
- Non…non oseresti … - ringhiò Hermione tra i denti.
- Ridammi la bacchetta!
- No!
- Devo dedurre che la mia bacchetta è più importante di tua cugina? Merlino, Granger, non credevo che la tua famiglia contasse così poco.
- Chiudi quella bocc…
- Vi state baciando?!?
La voce acuta e cristallina interruppe la loro discussione.
I due ragazzi si guardarono confusamente, chiedendosi chi dei due avesse parlato. Poi, quasi in sincrono, si voltarono verso la piccola Laurel, che si precipitava verso di loro.
- Vi stavate baciando, vero? VERO? Mamma mi ha detto che quando due persone sono vicine vuol dire che si vogliono bene e si scambiano gesti d’affetto, come i baci! – spiegò la bambina, allegra. I due ragazzi fecero entrambi un balzo all’indietro a quelle parole.
- Ehm…Uhm…n-no… - borbottò Hermione, arrossendo come un pomodoro.
- No, infatti. – la interruppe brusco Draco, con un tono di voce che fece voltare nella sua direzione la bambina. – Stavamo litigando.
 - Ma…ma perché?! – strillò la piccolina, mentre le venivano le lacrime agli occhi. – Io non voglio che litighiate!
Hermione guardò Draco malissimo, chiedendosi dove volesse andare a parare.
- Vedi, Laurel… - spiegò il Serpeverde con calma, calcolando bene le parole. – Tua cugina mi ha rubato una delle cose più preziose che ho e non vuole restituirmela.
La Grifondoro boccheggiò. Quel…quel…stava usando l’ingenuità di sua cugina per riavere la sua bacchetta?! Quel…Serpeverde!
- Hermione! – esclamò Laurel, guardandola ad occhi spalancati. – Ma tu mi hai sempre detto che non si fa!
Alla Grifondoro sarebbe quasi venuto da ridere se non avesse sentito le mani formicolare per la rabbia: sua cugina che la rimproverava era una cosa che non avrebbe mai potuto credere possibile.
- Infatti, Laurel. Diglielo a tua cugina. – brontolò Draco, con lo sguardo pieno di rabbia. – Sappi che mi sta facendolo molto male a causa di questo furto.
La ragazza alzò gli occhi al soffitto, indecisa se mettersi a ridere per la smania con cui Draco faceva di tutto per prendersi la sua bacchetta – chiedere aiuto a sua cugina di dieci anni! – oppure se strangolarlo seduta stante e metterlo a tacere per sempre.
- Hermione! – ripeté la cuginetta.
- Laurel, non…non devi ascoltarl…
- Ma perché gli hai rubato una delle sue cose più preziose? – domandò, stranita dal comportamento della cugina più grande.
- Perché è malvagia, ecco perché! – sentenziò Draco. – Vuole condurre anche te sulla via del male! – esclamò poi con enfasi.
- Hermione, penso che dovresti restituirgli ciò che gli hai preso.
- Infatti! Ma che esempio dai a tua cugina? – ironizzò Draco, guardandola con un’espressione indecifrabile.
Hermione boccheggiò. Quella serpe…l’avrebbe schiantata non appena Laurel si fosse voltata. Come si permetteva si raccontare simili fandonie?! Alla sua cuginetta, poi!
- Io…io… - borbottò, non sapendo cosa dire.
Ridare la bacchetta a Draco era fuori discussione. Ma non restituirgliela significava dare un cattivo esempio alla sua cuginetta, alla quale aveva sempre ripetuto fino allo sfinimento quanto rubare la merenda ai proprio compagni di classe fosse moralmente sbagliato. Con i nervi a fior di pelle, decise allora di prendere dalla tasca dei pantaloni quel bastoncino di legno, che aveva nascosto.
- Eccola qua, furetto! – gliela lanciò bruscamente, mancando di poco la testa. Avrebbe tanto voluto chiamarlo stronzo, ma la presenza di Laurel le impedì di dare aria a tutte le parolacce che aveva in mente.
Il ghigno che si formò sulle labbra di Draco la fece amaramente pentire di aver ceduto così facilmente.
- Che cos’è? – chiese la bambina, osservando curiosa l’oggetto tra le mani del ragazzo.
- Niente che sia affar tuo. – la zittì Draco, ancora arrabbiato.
- Draco intende dire… - si affrettò Hermione a correggerlo. - …che non è niente di cui ti debba preoccupare. – sorrise, guardando la cuginetta non pienamente soddisfatta della risposta.
- Torniamo a giocare? – chiese infine Laurel.
- Ma certo!
- Assolutamente no!
Draco e Hermione risposero all’unisono con due affermazioni completamente opposte.
- Non pensarci neanche, Granger. Io non ci gioco più con le tenten! – sibilò.
- Tempere, Malfoy, tempere!
- Quello che è!
Dopo aver tirato un forte sospiro, Hermione fissò la piccolina, mentre un’idea le passava per la testa.
- Laurel, perché non leggi anche a Draco la storia che hai scritto?
Sì, quello era un compromesso perfetto: aveva trovato il modo per impegnare la bambina, senza che Draco andasse in escandescenze e senza la possibilità che eventuali colori finissero sul suo viso.
La cuginetta s’illuminò.
- Sì! Vieni, Paco! – afferrò per la mano il Serpeverde, prima che quest’ultimo se ne rendesse conto e prima che potesse sottrarsi a quella stretta ferrea. Era talmente concentrato sui quintali di sapone con cui avrebbe dovuto lavarsi le mani che non fece neanche caso al fatto che il suo nome fosse stato pronunciato erroneamente per la millesima volta.
Hermione li seguì in salotto, sedendosi poi sul divano, pronta ad ascoltare la storiella di Laurel.
La cuginetta intanto aveva già presi tutti i fogli, sopra ai quali aveva scribacchiato il suo capolavoro.
- Tu hai scritto una storia? – borbottò il Serpeverde, profondamente scettico.
- Certo che l’ha scritta. – rispose Hermione al posto di Laurel.
- Da grande diventerò una scrittrice! – trillò la bambina, saltellando davanti a loro.
La Grifondoro si mosse irrequieta sul divano, rendendosi conto che improvvisamente l’aria si era fatta irrespirabile.
- Allora… - cominciò Laurel. - …c’era una volta una fanciulla, che viveva in una casa nel bosco. – si schiarì la voce, mentre le sopracciglia di Draco, se possibile, si arcuavano ancora di più. – Un giorno perse il suo adorato coniglietto, Timmy, e allora chiese alla fata del bosco di aiutarla a ritrovarla.
Draco inclinò la testa di lato, chiedendosi chi a dieci anni potesse mai scrivere cose simili. Hermione, invece, sorrideva, come se la storia di Laurel fosse davvero un magnifico capolavoro da non perdere assolutamente.
- Ma in realtà la fata era cattiva e imprigionò la ragazza all’interno del suo antro.
- Perché mai dovrebbe farlo? – non riuscì a trattenersi dal chiederle Draco.
- Perché è cattiva! – Laurel gonfiò le guance, arrossendo. – Perché in realtà lei non è una fata, ma una strega!
- Ah, ecco. Ora si spiega tutto.
- Continua, Laurel. – la incitò Hermione, tirando un calcio a Draco.
- Per mesi e mesi rimase rinchiusa nella prigione della fata/strega, senza neanche più la compagnia del suo coniglietto finchè…
Laurel fece una pausa d’effetto.
- Finché? – la incitò la cugina.
- Finché un bellissimo principe col cavallo bianco non venne a salvarla, uccidendo la fata/strega!
Draco sbatté le palpebre, perplesso.
- Così, dal nulla? Senza neanche prima introdurlo con una descrizione iniziale?!
Laurel lo fissò, mentre arrossiva. Hermione, intanto si schiaffò una mano sul viso.
- Vado a preparare la cioccolata. – disse, cercando una scusa per alzarsi e pestare il piede del Serpeverde. – Torno subito.
- Ahia, Merlino! Sei impazz…
- Tu, Draco, resta qui a finire di sentire il racconto di Laurel. – sibilò la Grifondoro a denti stretti. – E tieni a freno la tua stupida lingua.
Il ragazzo fece un gestaccio, ma lei non vi badò, andando verso la cucina.
- Quanto manca? – chiese allora il Serpeverde in modo così brusco che gli occhi di Laurel s’inumidirono.
- P-poco. – borbottò, triste che il suo racconto non le piacesse.
- Cioè, ehm…non voglio dire che… - tentò di correggersi Draco, vedendo la sua espressione. Ci mancava solo che si mettesse a piangere.

Poi chi la sente quella pazza psicotica della Granger.

- Insomma, continua. – ordinò, di malumore.
La bambina si schiarì nuovamente la voce.
- Dopo che la fata/strega fu sconfitta il principe portò la fanciulla al suo palazzo e, davanti a tutti, la baciò. – Laurel arrossì ancora di più, mentre Draco alzava gli occhi al soffitto, chiedendosi quanto mancasse alla fine. – E in quel bacio misero tutto! Le loro emozioni, i loro sentimenti, i loro cuori, le loro speranze, il loro futuro…

Tutta questa roba dentro a un bacio?

- …i loro occhi, i loro colori, il loro naso, le loro orecchie, le loro ciglia…

Naso, orecchie, ciglia?

- …i loro profumi, i loro odori, la loro bocca…

La bocca è l’unica cosa sensata dell’elenco.

- …i loro pensieri, la loro mente, i loro oggetti, il loro festino…

Festino?

- Cioè, no, volevo dire…destino! – si corresse la piccolina. – Comunque…dicevo…la loro casa, il loro coniglietto, i figli del coniglietto…

Coniglietto?

- …E dopo quel meraviglioso bacio che sembrò infinito…

Sembrò???

- …si guardarono negli occhi e capirono di amarsi.

Ah, beh, certo. Tutto questo ha MOLTO senso.

- Fine.
- F-fine? – non poté fare a meno di balbettare Draco, chiedendosi dove mai avesse tirato fuori una simile schifezza.
- Ti piace?! – trillò Laurel, battendo le mani e saltellando in attesa del suo giudizio.
- Uhm…ah…ehm…

No, per niente.

- …Era…molto…

Stupida.

- …ehm…originale, ecco.

Sì, originale un emerito calderone! Il mio gufo saprebbe fare di meglio!

- Non sembri molto sincero. – gli fece notare la bambina, tutt’altro che stupida.
- Io sono…molto…ehm…moltissimo…sincero. – tirò quelle parole a forza fuori dalla sua bocca.
- Sicuro? – domandò Laurel spalancando i suoi grandi occhioni.
- Sì, sono sicuro. – disse Draco, stavolta senza tentennamenti. – Una delle più belle storie che abbia mai sentito. – mentì spudoratamente, sperando che ci credesse.
Ora, non immaginava di certo che Laurel capisse quanto in realtà la storia non gli fosse piaciuta e non immaginava nemmeno che credesse alla sua totale sincerità. Si aspettava semplicemente che la bambina annuisse e smettesse di parlare.
Di certo non poteva prevedere che le sue guance si colorassero di un rosso vivo e lei cominciasse a urlare, mettendosi le mani davanti al volto.
- Hei…ehm…oh! Cioè, io… - provò a dire, cercando di capire cosa avesse detto di male.
La bambina non lo ascoltò neppure, continuando a urlare, per poi scappare dall’altra parte della stanza e chiudersi nel ripostiglio.
Draco rimase semplicemente immobile, sbigottito.
- Che succede? Perché Laurel ha urlato?! – Hermione riemerse dalla cucina, con le mani sporche di cioccolata.
Il Serpeverde sbatté le palpebre, non sapendo bene cosa rispondere.
- Non ne ho idea, Granger. Sennonché, questo dimostra che tua cugina è una paz…
- Cosa le hai fatto? – ringhiò la strega, pronta a tirare fuori la sua bacchetta.
- Io non ho fatto niente! – replicò stizzito e indignato.
Per Salazar! Lui si era anche sforzato di mentire per fare contenta quella mocciosa! E adesso non solo l’aveva fatta urlare – chissà per cosa poi – ma doveva pure sorbirsi le minacce isteriche della Grifondoro.
- Qualcosa le hai sicuramente fatto se lei ha urlato! E…dov’è poi?! – gridò.
- Si è chiusa nello sgabuzzino.
Un’ombra di puro terrore passò sul volto della ragazza.
- Si è…chiusa? – domandò in un sussurro.
- Sì.
Con uno scatto degno di un felino, Hermione si precipitò verso la porta del ripostiglio, girando la maniglia che – neanche a dirlo – era bloccata.
- Laurel, apri la porta. – scandì la ragazza con inquieta calma.
Al di là del legno, nessuna risposta. Hermione udì soltanto un maledetto silenzio inquietante, mentre il cuore cominciava a batterle furiosamente nel petto e l’agitazione prendeva il sopravvento. La paura arrivò talmente forte e improvvisa che per un attimo fu incapace di ragionare e l’unica cosa che riuscì a fare fu battere un pugno sulla porta del ripostiglio.
- Laurel! – urlò di nuovo.
- Granger, lascia stare, se si è chiusa lì dentro vuol dire che vuole rimanerci no?
- Stai zitto, per Godric! Apri questa porta, Laurel!
- Granger, ti dai una calmata? Cosa Merlino ti pren…
- Laurel, apri subito! Immediatamente!
Il Serpeverde ammutolì. Non tanto per l’ottava che la voce di Hermione aveva raggiunto, quanto per il suo tono.
Era autoritario, non ammetteva repliche.
Ed era spaventato, disperato, distrutto.
La Grifondoro stava per tirare fuori la sua bacchetta, quando la serratura scattò e la bambina timidamente si affacciò alla porta.
- Laurel! – esclamò Hermione, con una voce che Draco non riconobbe. – Non farlo mai più, capito? Hai capito, Laurel?! – Per un attimo il Serpeverde vide la mano della ragazza alzarsi come se volesse colpire la cuginetta, ma l’attimo dopo Hermione stava abbracciando la bambina come se non la volesse lasciare mai più.
- Scusa. – sussurrò la piccola, non sottraendosi a quella stretta disperata.
- Perché hai urlato? – ansimò la Grifondoro, con il panico ancora ben evidente nella sua voce.
- Io…io… - borbottò la bambina, guardando Draco che le restituì uno sguardo scocciato. – Lui…io…
- Cosa, Laurel, cosa ha fatto? – chiese, passando in rassegna tutti i modi in cui avrebbe torturato Malfoy non appena lo avesse avuto tra le mani e non appena avesse scoperto cosa avesse fatto.
- Mi…mi ha fatto un complimento! – borbottò, tirando su col naso e arrossendo e avendo il potere di ammutolire Hermione.
Stavolta fu il turno della Grifondoro di sbattere le palpebre.
- Ha detto che la mia storia era una delle più belle che aveva sentito. – sussurrò la bambina, rossa come un pomodoro.
- Ah. – fu tutto quello che la ragazza riuscì a dire.
- Mi batteva tanto tanto tantissimo forte il cuore. – confessò la piccola a bassa voce, diventando quasi viola per il rossore.
- Oh. – borbottò Hermione quando capì.

Per Godric.

Ora si spiegava perché Laurel, quando quella mattina aveva visto Draco per la prima volta, si era nascosta dietro la sua mamma e questo spiegava perché per tutto il pomeriggio fosse stata molto più pestifera del solito. Cercava di attirare la sua attenzione.

Per Godric.

- Uhm…Draco ti ha detto così…perché lo pensava sul serio, giusto?
Guardò il ragazzo, che ricambiò il suo sguardo con espressione allucinata.
- Certo che lo pensavo. – rispose a denti stretti. – Io non dico mai bugie.
Hermione, a quell’affermazione, avrebbe avuto parecchie cose da replicare, ma non era proprio il momento.
- Tieni. – borbottò Laurel improvvisamente, allontanandosi da Hermione e porgendo un foglietto al Serpeverde, che, incuriosito, lo prese.

T.V.1.K.D.B!

Draco spalancò gli occhi, trattenendosi dal fare la stessa cosa con la bocca.

Oddio…ma che lingua è?

Tanti…Volumi…1 Kilo Di Babbani…?

I Babbani comprano un Kilo di volumi?

- Ehm…ehm… - borbottò Draco, sforzandosi di decifrare quella strana scrittura.

Deve essere chiaramente un messaggio in codice.

Tante…variate…Diete…Babbane…?

No, quella K però…

T.V.1 =KDB

K è la costante…

K =DB*1

…..?!

Si schiarì la voce, passandosi una mano tra i capelli.
- Ti voglio un casino di bene. – tradusse Hermione al posto suo, confondendogli le idee. – Nelle scuole prolifera questo tipo di scrittura ultimamente. – spiegò, alzando le spalle e fissando quel biglietto con uno strano sguardo.
- C-come?! – esclamò il Serpeverde sbigottito. Non era facile sorprendere Draco Malfoy: Laurel c’era riuscita bene tre volte quel giorno.
Hermione sospirò, sventolandosi teatralmente una mano davanti al viso.
- Senti, Malfoy… - sussurrò a voce bassa, in modo che Laurel non potesse udirli. - …mia cugina ha una momentanea e passeggera infatuazione per te, quindi vedi di essere carino con lei, chiaro?
- EH?! – urlò, senza farsi alcuno scrupolo. Lo sguardo di Draco, se possibile era ancora più sconvolto di prima.
Laurel, intanto, lo fissava con un’espressione a metà tra l’aspettativa e l’imbarazzo.
- Dille che anche tu le vuoi bene. – mormorò Hermione.
- Ma sei fuori, Granger? Non ci penso nemm…
- Dillo o giuro che ti affatturo. Malfoy, guarda che lo faccio. - ringhiò minacciosa.
- Scordatelo.
- Allora? – domandò la bambina, tendendo la mano per riprendersi il biglietto e stringerselo al petto.
- Ehm…ehm…allora… - borbottò incerto.
- Allora, Draco? – Hermione calcò per bene su quelle parole, come a volergli rammentare dell’imminente fattura che presto lo avrebbe spiaccicato sul muro.
- Allora…ecco…insomma…ho…uhm…gradito….il fatto che tu abbia espresso…ehm…uhm…i tuoi…ecco…pensieri, sì.
- E poi? – sibilò Hermione.
- E…quindi…sei proprio una b-brava bambina. – concluse, mentre le assestava una pacca sulla spalla, che serviva più a farle fare un ruttino, piuttosto che sembrare un gesto d’affetto.
La bambina arrossì e Hermione capì che, se anche Draco non aveva risposto, Laurel era contenta lo stesso. E allora era contenta anche lei.
Sospirò, un po’ felice, un po’ triste e con uno strana sensazione addosso.
Aveva appena assistito alla prima cotta della sua cuginetta.

Una cotta per Draco Malfoy.

- Hermione. – sussurrò la bambina, tirando la manica della cugina che si abbassò verso di lei.
- Sì?
- Paco mi piace tanto tantissimo, come la cioccolata. – confessò in un sussurro Laurel, con gli occhi verdi che brillavano più che mai.
La ragazza sorrise, un po’ per il modo in cui l’aveva chiamato, un po’ per il destino che, a volte, era davvero buffo. Fu per questo che, accostandosi a lei, le rivelò con voce appena udibile:
- Anche a me piace tanto la cioccolata, Laurel.
 
 
 
Il resto del pomeriggio passò tranquillamente.
Laurel fece un po’ di storie quando fu il momento di andare a casa, ma Hermione riuscì a rasserenarla quando le promise che lei e Draco sarebbero venuti a trovarla il prima possibile.
La Grifondoro prese un grosso respiro, mentre apriva la sua valigia per disfarla. Non ne aveva avuto l’occasione prima, tra il pranzo di Natale e tutto, ma adesso si era ritagliata un piccolo spazio di tempo per sistemare le sue cose. Tutto sommato non le dispiaceva rimanere un po’ in pace, senza nessuno a gironzolarle intorno; soprattutto perché aveva bisogno di solitudine per preparare il discorso che avrebbe fatto ai suoi genitori. Nessuna frase o parola sembrava corretta e Hermione si sentiva più agitata che mai.
- Granger?
Sospirò pesantemente, quando udì quella voce dietro di sé.
- Ti ho già detto che devi chiamarmi per nome.
- Lo so.
- E allora perch… - si voltò verso di lui, pronta a scaricare su qualcuno la sua ansia e la sua frustrazione, ma si bloccò all’istante.
Draco se ne stava appoggiato allo stipite della porta, con le mani nelle tasche dei pantaloni, apparentemente tranquillo. La fissava dritta negli occhi, più chiari del solito; i capelli che ricadevano leggermente scomposti sulla fronte.
La ragazza si conficcò le unghie dritte nel palmo della mano, mentre avvertiva l’ormai familiare stretta al cuore che tornava a farle visita.
- Lasciamo perdere. – sussurrò.
- Non mi piace come mi guarda tuo padre. Credo che stia cercando di uccidermi.
Hermione sbuffò.
- Secondo la tua logica, anche mia madre voleva ucciderti col phon quando invece voleva solo farti un favore. – disse. – Quindi, non so quanto possa essere vero quello che hai detto su mio padre. 
Draco fece una smorfia, ricordandosi la spiacevole esperienza con quell’apparecchio infernale.
- Come ti senti? – chiese infine, dopo qualche minuto, come se quella domanda gli fosse stata cavata a forza fuori dalla bocca.
Hermione lo guardò, sorpresa.
- Cos’è? Ti preoccupi per me, Malfoy?
Era sicura che avrebbe risposto con una delle sue solite frecciatine, ma, contrariamente ad ogni logica, Draco non disse niente; si limitò ad fissare per un attimo il pavimento, prima di riportare gli occhi su di lei.
- Mi preoccupo e basta. Non per te.
- Non ne hai motivo. – lo rassicurò Hermione.

Ok, forse un motivo ce l’hai.

- Andrà tutto bene. – farfugliò la ragazza quasi a voler convincere se stessa.
- Ad ogni modo, Granger…Tua madre mi ha detto di avvertirti che la cena è pronta.
Hermione spalancò gli occhi di scatto.

La cena è pronta.

Il momento è arrivato.

Fu così presa dall’agitazione che quando uscì dalla stanza si dimenticò persino di chiudere la valigia.
 
 
 
Hermione ormai avrebbe dovuto aver imparato la lezione.
Niente va secondo i propri piani. Niente.
La prima volta che lo aveva imparato era stato quando aveva scoperto di essere rimasta incinta. Aveva davvero pensato, in un primo momento, che sarebbe riuscita a dimenticarsi della notte passata con Draco Malfoy, ma la gravidanza non aveva fatto altro che ricordargliela in ogni istante della sua vita.
La seconda volta era stato quando Ron l’aveva sorpresa a parlare col Serpeverde, scoprendo così nel peggiore dei modi quel segreto che gli aveva tenuto nascosto per mesi.
La terza volta che una simile lezione le era stata impartita era stato quando la scoperta del segreto era toccata ad Harry. Aveva immaginato che gli avrebbe parlato, magari facendolo prima sedere e gli avrebbe rivelato tutto con molta calma, così come Ron.
Mai si sarebbe immaginata che tutto ciò accadesse.
Per questo motivo, Hermione avrebbe dovuto prevedere che niente nella vita può essere previsto. O organizzato.
Perlomeno, quasi niente.
Per questo motivo, Hermione avrebbe dovuto immaginarsi che qualcosa quella sera sarebbe andato storto, come era già successo in precedenza. Avrebbe dovuto immaginare che, di quel discorso che si era preparata con calma e pazienza, non ne avrebbe pronunciato neanche una sillaba.
Ma quando sua madre si alzò dalla tavola, dicendo di dover andare un attimo in bagno, nessun dubbio sfiorò la mente della giovane Grifondoro.
Nessuna incertezza la turbò, mentre masticava piano un pezzetto di carne, aspettando che Jean tornasse, per poter così rivelare il suo segreto anche alla sua famiglia.
Nessun sospetto si affacciò sul suo viso quando non vide arrivare la madre.
Ma quando Jean Granger si ripresentò nella sala da pranzo, con la faccia sconvolta, a Hermione si serrò lo stomaco.
- La valigia…era aperta, io…volevo…metterla….a posto…chiuderla… - la sentì balbettare, mentre Hermione faticava a capire il senso delle sue parole. Richard, preoccupandosi, le si avvicinò.
- Tesoro, va tutto bene?
Ed Hermione, guardando la sua mamma, capì.
Il bicchiere che teneva in mano s’infranse sul pavimento, in mille minuscoli pezzettini. Così come il cuore della ragazza, che lesse negli occhi di sua madre la delusione.
- Volevo…volevo chiudere la v-valigia. – ripeté Jean, mentre la mano le tremava e lo stick, nascosto nel palmo della mano, le cadeva a terra.
Quello stick che Hermione aveva ripreso da Lavanda Brown la mattina prima di partire.
- Mamma, io…
Non riuscì a continuare perché un singulto risalì alla gola della Grifondoro, quando vide suo padre aggrottare la fronte e raccogliere da terra ciò che era caduto.
Un terrore puro e violento s’impossessò di lei non appena gli occhi di suo padre la trafissero, allucinati. 

 
 
 
 
 
Angolo Autrice
 
Weeeeep! Salve a tutti, carissime! Sono contenta di riuscire a pubblicare questo nuovo capitolo, quasi non ci speravo più!
Questo mese e mezzo è stato pienissimo d’impegni, credevo quasi di non uscirne viva ^_^” Mi dispiace di essere sempre così in ritardo, ma non riesco mai ad accorciare i tempi di aggiornamento T___T Sigh…
Quest’anno poi è particolarmente duro: in quanto ultimo i professori si sentono in diritto di tartassarci come se fossimo bambole da spupazzare.
Comunque…vi è piaciuto il capitolo? È un po’ corto, ma il prossimo sarà molto più lungo, vedrete!
Avete visto? I genitori hanno saputo della gravidanza! Anche se…sì, lo so, vi ho lasciato proprio sul più bello xD
E di Laurel? Cosa ne pensate? Vi piace come personaggio? Io, onestamente, la adoro :)
Spero che questo capitolo vi piaccia! A me non dispiace più di tanto!
Inoltre…come avevo detto nelle scorse note – almeno per una volta rispetto ciò che dico – ho pubblicato il primo capitolo della nuova long! Ho messo in cima il link, perché mi piacerebbe tanto sapere cosa ne pensate, non tanto per fare numero nelle recensioni, ma perché ho una paura matta che faccia schifo come storia! È molto particolare e…niente ci terrei davvero tantissimo a sapere cosa vi pare, tramite messaggio personale, recensione, tramite qualunque mezzo di comunicazione! :)
Per quanto riguarda questa, invece, di storia, mi metterò subito al lavoro per il nuovo capitolo, che in parte è già stato scritto =D
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la mia storia tra le preferite/seguite/ricordate e anche a chi legge in silenzio! Ogni volta che il numero delle visualizzazioni aumenta, io mi esalto da morire! XD
Ma un GRAZIE speciale ed enorme a chi ha recensito lo scorso capitolo: DirectionerDrinnyDramione, love_infinity, mayasun, AryDP, gio_lesa, michymalfoy, IpseDixit, HP_LOVE, Anisha, bulma_15, tonks17, Hellen687, Jocker157, ielma, anonima K Fowl, Sakura_chan97, Lily_Anna, Draco the best, MadamaBumb, Black_Yumi, chiara_1997, _yellow_, World Below, suckerforlove, MimiRyuugu, ari_hermione, Martin Eden, 17pally, KakashiLoveRabbits, Lierin_, Dramione99, LolaG99, XanderXVII, mira_potterhead_92, Stella94, _Giuls17_ e Notteinfinita.
Grazie, grazie, grazie!
Vi mando un abbraccio grande, grande!
Al più presto possibile,
flors99

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Capitolo 25
*** Revelation ***


- Draco, io…comprendo che tu ti debba adattare, ma… - provò a dire Jean, con calma alterata.
- Un comportamento del genere non è ammissibile!
- Richard, santo cielo, non accanirti così!
- E tu non compatirlo!
- Non lo sto compatendo!
- Veramente, io… - tentò di intervenire Draco.
- Tu stai zitto, ragazzino! – lo ammonì immediatamente il signor Granger con uno sguardo agghiacciante.
 
 
- Non ti azzardare a dire qualcosa, tu!
- Papà! – gridò Hermione, sconcertata dall’occhiata di disprezzo che aveva rivolto a Draco.
- Non dire una parola, Hermione. Non provare neanche a giustificarti, mi sembra che ci sia ben poco da spiegare.
 
 
La Grifondoro si tappò le orecchie pur di non sentire i suoi genitori strepitare l’uno contro l’altro. Odiava quando litigavano e sapere che lo stavano facendo per colpa sua, la faceva sentire in colpa. Inoltre quella litigata nata da un motivo futile, le stava facendo ricordare quello che era successo appena due giorni prima.
- Insomma, Hermione, quello che io e tuo padre cerchiamo di dire è che forse dovresti spiegare a Draco… - cominciò la signora Granger, come se lo stesso Draco non fosse presente lì con loro.
- Forse dovresti spiegare? Qui non c’è nessun condizionale, Jean! Ti rendi conto che questo ragazzo…
- Richard, per favore! Non interrompermi! Abbassa la voce poi, non vorrai mica che ti sentano i vicini di casa?
- Tanto dopo quello che è successo, non penso che qualche urla li possa spaventare!
- Sì, ma io… - tentò nuovamente di parlare Draco.
- Tu stai zitto!
Hermione sospirò.
Si passò una mano sulla fronte, troppo affaticata o stanca per ribattere. La levataccia che aveva fatto quella mattina stava influendo parecchio sul suo corpo, che necessitava di dormire ora più che mai.
- Richard, smettila di urlare! Non è normale alzare la voce così!
- Ah, ma davvero? Perché a te sembra normale che i nostri vicini di casa siano stati svegliati DA UNA VALANGA DI CAFFÈ?!
- Ecco, io ci terrei a spiegare…
- Draco, per favore, non intervenire. – fu Jean a parlare stavolta, sapendo che se il Serpeverde avesse aperto nuovamente bocca avrebbe soltanto peggiorato le cose.
Hermione sospirò nuovamente, ripensando a ciò che era accaduto qualche ora prima.
La ragazza, sfortunatamente, non aveva fatto caso al fatto che Draco si alzasse sempre presto, quasi all’alba. D’altronde, avrebbe dovuto immaginare quello che avrebbe potuto combinare gironzolando da solo per casa – memore di quello che era successo col lavandino – e, soprattutto, con la cucina a sua disposizione.
- Mamma, papà… - tentò di richiamarli, senza successo.
 

- Mamma, papà…per favore, ascoltatemi. Io, vorrei…
- Vorresti spiegare? – mormorò con voce incolore Jean. – So come si rimane incinta, Hermione. – Voleva forse essere un’accusa piena di risentimento, ma tutto quello che la Grifondoro percepì fu solo un tono immensamente triste.


- Smettila di minimizzare la cosa, Jean!
- Io NON sto minimizzando!
- Sì, invece!
- No, invece!
- Papà, mamma! Smettetela! – urlò Hermione, senza ottenere nuovamente alcun effetto. Se non fosse stato per la testa che le pulsava dolorosamente, la Grifondoro non sarebbe stata neanche tanto sicura di aver gridato. Si passò per la seconda volta una mano sulla fronte, trovandola madida di sudore e rendendosi conto di essere molto più affaticata di quanto non credesse.
- La tua è solo una scusa, Richard! Non vedi di buon occhio Draco e gli dai colpe che non ha!
- Certo, perché sono io quello che ha allagato tutto il vicinato di caffè, giusto?
- Non sto dicendo questo! Dico semplicemente che ci dai troppo peso! Non attaccarti a delle minime cose!
- Attaccarmi a delle minime cose? Hai capito o no che i nostri vicini SI SONO RITROVATI IMMERSI NEL CAFFÈ?!
- Papà, basta! – gridò nuovamente Hermione, con voce stridula, sperando che smettessero di discutere.
 

- Papà, smettila di urlare, ti prego.
- Perché? Cosa dovrei fare, eh?
- Con tutto il rispetto, signor Granger, io non credo che… - il tentativo di Draco di parlare, fu messo a tacere in meno di un secondo.
- Cuciti la bocca, ragazzino! L’unico motivo per cui non sei ancora fuori da questa casa è perché sono un gentiluomo!
 

Un singhiozzo risalì per la gola di Hermione, nel ricordare il tono furente di suo padre, quando aveva scoperto della sua gravidanza. Da allora, Richard Granger non aveva rivolto la parola, né a lei, né a Draco, e per due giorni aveva evitato di guardarla, neanche fosse un oggetto della casa. Gli unici momenti in cui apriva bocca era per urlare qualcosa di non ben identificato o per litigare con sua madre. E sentirli urlare e vedere i loro visi furiosi era insopportabile: la ragazza si tappò le orecchie, trattenendo il respiro. Premette più che poté le mani sulle orecchie pur di non sentire più una singola parola, più un singolo grido dei loro genitori. Aveva bisogno di silenzio: percepiva la nausea gorgogliare nello stomaco e, se non si fosse calmata al più presto, sarebbe dovuta correre in bagno il prima possibile.
Un tocco freddo la riscosse, facendola rabbrividire.
- Va tutto bene? – mormorò Draco, essendosi probabilmente accorto di quanto fosse distrutta.
L’impulso di abbracciarlo fu così forte che Hermione fu costretta a togliere le mani dalle orecchie, per conficcarvi dentro le unghie, ignorando quel bruciore intenso che desiderava più che mai essere attenuato, stringendosi a quel corpo così vicino e allo stesso tempo così lontano.
- Sto bene. – sussurrò a denti stretti, in modo così poco convincente che Draco non ci credette neanche un secondo.
- Lo so che è una cosa grave, Richard! Lo so! Ma Hermione ha tolto i ricordi ai nostri vicini e nessuno ricorderà nien…
- Oh, certo! Quindi andiamo ad affogare i vicini, tanto poi con un colpo di bacchetta togliamo loro la memoria!
- Per la miseria, Richard…Lo sai anche tu che non è questo il vero problema, il motivo per cui sei così arrabbiato!
- No, infatti, sono felicissimo che quel ragazzino abbia annacquato tutto il vialetto di caffè!
- Smettila di ripeterlo e ammetti la verità. – ringhiò la moglie, fissandolo dritto negli occhi. – Quello che tu non riesci ad accettare è Draco in sé per sé, non il danno che ha combinato. Se hai qualche problema con lui, parlagli faccia a faccia, non accanendoti su un incidente!
- Se ho qualche problema con lui?
- Sì. – rispose Jean, per nulla intimorita dal tono pieno di rabbia che traspariva dalla voce di Richard. – Vi fate una bella chiacchierata e risolvete la situazione!
- Certo che ho dei problemi con lui! Per colpa sua Hermione è INCINTA, santo cielo!
- BASTA! – gridò per l’ennesima volta la giovane Grifondoro, a cui, finalmente, i genitori prestarono attenzione. – Per favore… - sussurrò poi, con la lingua impastata. - …smettetela di urlare.
Fece appena in tempo a terminare la frase, prima che la nausea si facesse insopportabile e la costringesse a correre su per le scale, per precipitarsi nel bagno il più velocemente possibile.
Non credeva fosse possibile sentirsi così male, o addirittura peggio di come era stata nei mesi precedenti. Ma quando chinò il viso sul gabinetto, il corpo scosso dai tremori, le lacrime ad annebbiarle la vista, la nausea incessante che le corrodeva lo stomaco, si chiese quanto dolore potesse sopportare un essere umano, prima di distruggersi. Prima di polverizzarsi e tornare ad essere cenere.
Non si aspettava che i suoi genitori comprendessero tutto immediatamente, la abbracciassero e la sostenessero fin dal primo momento. Ma nemmeno si aspettava una reazione tanto violenta e dolorosa, da parte di suo padre: se Jean, dopo qualche ora di arrabbiatura e delusione, era riuscita a smaltire un po’ la notizia avuta e la mattina dopo aveva parlato con Hermione, rassicurandola, Richard non sembrava intenzionato né a parlarle, né tantomeno a capirla.
- Hermione. – un sussurro basso la fece rabbrividire. Da una parte fu felice di sentirla, dall’altra – come sempre del resto – la parte più nascosta del suo cuore desiderava un altro tipo di voce.
- Mamma. – singhiozzò, mentre tentava di pulirsi la bocca con la mano. – Mi dispiace tanto. – un altro singhiozzo più forte dei precedenti. – Mi dispiace tantissimo.
- Lo so, lo so. – mormorò bonariamente, sedendosi sul pavimento freddo accanto a lei e prendendola tra le braccia.
- P-papà è … - un’ondata di terrore violento la travolse, quando si rese conto che Draco e suo padre erano rimasti soli in salotto.
- Tuo padre e il tuo ragazzo sono al piano di sotto. – Hermione, a quelle parole rabbrividì. – Tranquilla, non lo ucciderà. – aggiunse Jean, quando notò il sussulto della figlia.
Ma la scossa che aveva ricevuto il corpo della giovane Grifondoro non era semplicemente dovuto alla paura per l’incolumità di Draco, quanto per l’epiteto con cui lo aveva apostrofato sua madre: il tuo ragazzo. Se i suoi genitori, specialmente suo padre, avessero scoperto che il Serpeverde non era affatto il suo ragazzo e probabilmente non lo sarebbe mai stato, allora sì che si sarebbe veramente scatenato il putiferio, anche se era difficile immaginare una situazione peggiore di quella attuale. Non voleva neanche provare a pensarci.
- Spero che tuo padre e Draco stiano parlando. – mormorò Jean, mentre le accarezzava i capelli, tentando di calmarla. 
Hermione deglutì, sperando invece l’esatto contrario. Per quel che ne sapeva, suo padre avrebbe anche potuto ucciderlo Draco, a giudicare dalle occhiate assassine che gli lanciava. Fu felice, in quel momento, di avergli restituito la sua bacchetta qualche giorno prima, in caso di difesa necessaria.
- Non credere che io non sia arrabbiata, Hermione. – disse ad un certo punto Jean, facendola sussultare. – Non pensare che anch’io come tuo padre non abbia voglia di urlarti addosso e chiederti cosa diavolo ti è passato per la testa, come hai potuto essere tanto irresponsabile.
La ragazza tirò su col naso, mentre un groppo in gola la soffocava.
- Ma so che non servirebbe a niente. – continuò la madre in un sussurro triste. – Anch’io ero molto giovane quando ti ho avuto, Hermione, penso che tu lo sappia. E non mi sono pentita neppure per un secondo della mia scelta, così come non se ne è pentito tuo padre.
- Allora perché… - la ragazza contrasse la mascella, cercando di non piangere. – …perché papà non prova almeno a parlarmi? Anche lui è stato in quella situazione, perché non cerca di capire?
Jean fece un sorriso amaro, accennando una piccola risata.
- Hermione, non dire mai più una cosa simile.
- P-perché? – domandò confusa, sconfortata dal repentino cambiamento di umore per la madre.
- Credi che avere un figlio sia una cosa semplice? Credi che sia tutto così facile? Non lo è, Hermione! Non lo è per niente! – esclamò, leggermente nervosa mentre si alzava da quel pavimento freddo e sollevava Hermione con lei.
- C-come puoi dirmi una cosa simile? – sussurrò la ragazza ferita. – So a cosa sto andando incontro!
- No, Hermione. Non penso che tu lo sappia. – fu la fredda risposta di Jean mentre si scuoteva la testa.
- Perché dici questo? Non… Mamma, per favore, mamma! – la seguì Hermione, sollevandosi anch’essa di scatto e raggiungendo sua madre nella stanza accanto, sentendo molto più freddo di prima.
- Ascolta, Hermione. Ho intenzione di dirti cose che non si trovano sui libri o sui giornali per la maternità, quindi ascoltami bene.
- Eh?! – sussurrò incredula, guardando sua madre come se non credesse alle proprie orecchie. Cosa le era preso?
- Punto primo. – iniziò Jean, non curandosi delle sue parole. – Un bambino piange sempre. E quando dico sempre, intendo, sempre! Non credere a quelle madri che dicono che loro figlio è un angelo, perché non è affatto così: i bambini piangono sempre, di giorno, di notte, di pomeriggio e soprattutto non potrai mai sapere il perché!
- Ma… tu dicevi che io ero un angelo da piccola!
- Mentivo! – rispose bruscamente per poi riprendere il suo elenco. – Punto secondo! Ogni volta che sarai fuori casa, al lavoro o da qualunque altra parte senza tuo figlio, il rimorso di non essere con lui o di averlo lasciato da solo, qualunque sia la ragione, ti assalirà in modo così travolgente, che non potrai fare a meno di tornare indietro e prendere tra le braccia quella piccola creaturina che è totalmente dipendente da te! Non avrai mai tempo per te stessa, mai! La tua mente penserà costantemente a lui, pur avendo la consapevolezza che sta bene!
- P-potrei p-prendere un b-baby-sitter. – balbettò, mentre le parole di sua madre le facevano venire l’ansia alla gola.
- Oh, certo, una baby-sitter! Così quando tornerai a casa e lei ti dirà che tuo figlio l’ha chiamata mamma, ci rimarrai talmente male che non riuscirai a perdonarti una cosa del genere neanche dopo sessant’anni! E poi parli proprio tu, Hermione, che non hai mai sopportato le baby-sitter!
- S-sì, ma io…
- Punto terzo! Non dimentichiamoci del parto, del travaglio e soprattutto della depressione tremenda che ti assalirà quando…
- M-mamma, ti prego! – la interruppe la figlia. – Ho capito!
- Hermione. – sospirò pesantemente la madre, passandosi la madre tra i capelli, come se si fosse calmata improvvisamente. – Non sto cercando di terrorizzarti. – ci tenne a puntualizzare, notando il viso a metà tra lo sconcerto e la paura di sua figlia.
- Ah, no?
- No, tesoro mio. – Jean ridacchiò, ma senza divertimento. – Voglio solo che tu ti renda conto della tua scelta e a cosa andrai incontro.
- Lo so, mamma, lo so. – le rispose Hermione, con gli occhi leggermente lucidi. – Anch’io ero così terribile da piccola? Piangevo tutte le notti? – domandò poi, un po’ per smorzare la tensione, un po’ per semplice curiosità.
- Tutti bambini sono terribili da neonati, Hermione. – le sussurrò, con gli occhi pieni d’affetto. – Ma sono anche la più grande gioia dei genitori. E non mi pento di niente, niente di tutto quello che è successo; ma è dura, Hermione. È durissima.
Hermione mugugnò qualcosa di incomprensibile.
Passarono istanti interminabili in cui il silenzio regnò sovrano. Probabilmente passò anche molto più tempo, finché Jean non si decise a fare quella domanda che le premeva sulle labbra e chiedeva solo di poter uscire.
- Lo ami, Hermione?
Non avrebbe dovuto meravigliarsi della domanda di sua madre, eppure la stretta al cuore la giovane strega non riuscì proprio a impedirla.
- Non riesco neanche a definire quanto. – rispose flebilmente la Grifondoro. E non ci riusciva davvero. Perché neanche lei era in grado di descrivere quell’amore nocivo, intossicante che provava e che la risucchiava come un vortice; perché quello era un amore troppo intenso e troppo forte per uscirne indenni.
 
Era un amore che distruggeva una persona, per poi plasmarla completamente da capo.
 
- Sono felice per te, tesoro. – le sussurrò in risposta la madre, non aspettandosi una risposta tanto sincera e così pregna di emozioni. – Un figlio, Hermione, è come innamorarsi di nuovo. Così come pensi costantemente a Draco, costantemente penserai a tuo figlio. – spiegò poi la donna con dolcezza.
La ragazza sorrise, non potendo poi fare a meno di abbracciarla, con tutta la forza che aveva.
- Grazie, mamma.
Jean non rispose. Le accarezzò semplicemente i capelli: un gesto che aveva sempre fatto fin da quando Hermione era bambina, rassicurandola e rassicurandosi a sua volta.
- Avanti, piagnucolona. – disse ad un certo punto la madre. –  …scendiamo a vedere cosa hanno combinato quei due.
La Grifondoro annuì, non trovando la forza di controbattere, anche se in quel momento non aveva voglia di rivedere né suo padre, né Draco.
- Ok. – Fu la breve risposta, mentre la ragazza scendeva rapidamente le scale.
Contrariamente a quanto aveva pensato – ovvero un combattimento in piena regola – nel salotto aleggiava il più inquietante dei silenzi, mentre un rigido Draco Malfoy guardava inorridito la nonna di Hermione che gli si avvicinava, ad ogni passo che lui faceva per allontanarsi.
 
Ma cosa ci faceva sua nonna lì?
 
- Mamma! – esclamò Jean Granger.
- Oh, tesoro, ho saputo la bella notizia! Nipotina mia, è meraviglioso, lo stavo dicendo anche al tuo ragazzo! – esclamò con un sorriso, rivolgendosi a Hermione.
- Ehm…
- Credevo che non sarei mai diventata bisnonna! Sninf, sninf… - si asciugò il naso rumorosamente, con gli occhi lucidi. – Meno male che ho una nipote precoce! – disse poi, felice. – Fatti abbracciare, sninf, sninf…
La Grifondoro si ritrovò stritolata dall’abbraccio di sua nonna, prima di poter anche solo dire una singola parola. Guardò Draco per un secondo, desiderando chiedergli cosa gli avesse detto suo padre, ma ci pensò sua madre a porre quella domanda.
- Dov’è mio marito?
- Se n’è andato, non appena lei ha salito le scale. – rispose atono il Serpeverde, continuando ad osservare Hermione e sua nonna.
Jean sospirò.
- Ti ha per caso detto quando tornerà?
Draco alzò un sopracciglio, visibilmente sconcertato da quella domanda.
- Tutto quello che ha pronunciato sono stati una serie di versi e imprecazioni. – rispose sinceramente, ma con la sua usuale indifferenza, come se la cosa non lo riguardasse.
Tutto quello che Jean fece fu sospirare leggermente, prima di guardarli entrambi.
- Perché non andate a fare un giro, ragazzi? Vi farà bene.
Draco sicuramente avrebbe avuto qualcosa da ridire, ma ebbe il buon senso di rimanere in silenzio, mentre Hermione annuiva anche per lui. Non riuscì però a trattenere un grugnito di protesta quando la ragazza lo prese per mano per trascinarlo fuori, dopo avergli lanciato bruscamente il cappotto. Fu in grado di notare, però, una scintilla di frustrazione balenare negli occhi scuri della Grifondoro, prima di scomparire. Se ne chiese la ragione, rendendosi conto di averlo visto altre volte, quel lampo pieno di un'emozione, che non sapeva definire.
 

 

 
 
Il Natale in casa Weasley quell’anno non era stato allegro e gioioso come al solito. L’atmosfera natalizia era stata smorzata dalla mancanza di Hermione e dalla tristezza di Ron, palpabile nell’aria. Molti avevano collegato i due eventi: Ginny ne percepiva le più piccole sfaccettature e incrinature e la cosa la faceva star male. Ron era una persona buona: aveva accettato le parole di Hermione e l’aveva perdonata, per quanto gli fosse possibile, ma non poteva impedire al suo cuore di continuare di battere per la sua amica d’infanzia. Non in quel momento almeno.
Ginny sospirò, mentre osservava il fratello che, assorto, fissava una teglia piena di biscotti, senza però toccarne neanche uno.
- Ma come mai Hermione non è venuta da noi?
Ginny sospirò di nuovo, guardando Harry di sottecchi. Il Grifondoro alzò le spalle, con un’espressione che lasciava intendere quali ormai fossero le parole da dire. Ron non fece una piega apparentemente, ma s’immobilizzò sul suo posto, smettendo di respirare.
- Voleva stare con i suoi genitori, mamma. – fu Ginny a rispondere, stancamente.
- Oh, ma questo lo so, è normale! – ribatté Molly, agitando il mestolo energicamente. – Ma è sempre venuta da noi per qualche giorno!
- Non è detto che non lo faccia anche quest’anno, mamma. Mancano ancora parecchi giorni alla fine delle vacanze di Natale. – rispose stavolta Ron, spostando la sedia e rumoreggiando. La frustrazione nelle sue parole era ben evidente, ma il rosso sperò almeno di essere stato in grado di mentire in modo decente; dallo sguardo guardingo di sua madre capì di non esserci riuscito. Il giovane Weasley si alzò in piedi, infilando le mani nelle tasche di pantaloni, nella speranza di nascondere il loro tremolio, incapace di dire qualunque altra cosa.
Perché Hermione quell’anno non sarebbe venuta a stare da loro almeno per qualche giorno. Perché Hermione non avrebbe passato tutte le vacanze di Natale con la sua famiglia solo per caso.
 
Perché Hermione prova qualcosa per Malfoy e non per lui.
 
Era un pensiero difficile da formulare, straziante da comprendere, impossibile da accettare. Ma Ron aveva dovuto farci i conti ormai, nonostante un malessere urticante lo facesse ribollire da dentro e una voglia tremenda di gridare gli scorticasse la gola senza pietà.
- Sono stanco. – fu tutto quello che sussurrò, sotto gli sguardi dei presenti, prima di allontanarsi della cucina.
- Oh tesoro, aspetta! Non hai mangiato nulla! Ti senti male, Ron? – Molly Weasley lo rincorse praticamente per tutta la casa, preoccupata da morire per il suo figlio maschio più piccolo.
Ginny non si preoccupò di rispondere, osservando il salotto che si era fatto silenzioso; scivolò sulle ginocchia di Harry, per poi affondare la testa nell’incavo della sua spalla.
- Non ce la faccio più a vederlo così. – soffocò un singhiozzo a malapena.
- Non possiamo fare niente per lui, Ginny. Non adesso.
La giovane Weasley sollevò la testa di scatto, leggermente delusa per quella risposta ferma e senza possibilità di replica.
- Lo so. – rispose a denti stretti. – Ma non possiamo continuare a vederlo ridursi in questo stato!
Harry si sistemò meglio sul divano, per poi puntare lo sguardo sul fuoco.
- Noi possiamo stargli accanto. – rispose, in un sussurro. – Ma non serve a molto in casi del genere. – Harry era consapevole di quanto suonassero amare queste parole, ma erano vere. Ginny annuì, per poi ritornare a nascondere la testa contro il suo petto, tremando leggermente.
- Non l’ho mai visto così. – continuò, pensando disperatamente ad una soluzione. – Facciamo qualcosa. – ripeté la sua preghiera, nonostante sapessero dell’impossibilità di intervenire. – Ci deve essere qualcosa da fare! Come…quando stai male…e…c’è sempre una cura, una medicina! – farfugliò Ginny, incoerentemente.
Harry alzò gli angoli della bocca.
- L’unica medicina per Ron, adesso, sarebbe proprio quella che l’ha fatto ammalare. E penso che anche tu ti renda conto dell’impossibilità della cosa. – sospirò leggermente, mentre passava le dita tra i capelli lisci di Ginny, rendendosi conto di quanto quel gesto gli fosse mancato nei giorni precedenti.
- Odio quando hai ragione. – brontolò la giovane Weasley dopo pochi secondi, arricciando il naso.
- Come al solito. – non riuscì a trattenersi dal commentare Harry, con tono fintamente arrogante. – Comunque…non pensi che tua madre debba saperlo? – constatò giustamente.
Molly Weasley voleva bene a Hermione, come ad una figlia; e per quanto nella sua mente se la fosse sempre figurata al fianco di Ron, non l’avrebbe sicuramente mai ripudiata per i suoi sentimenti, non rivolti al figlio minore.
- No. – fu la chiara e secca risposta della sua ragazza, che si irrigidì come un blocco di marmo tra le sue braccia.
- Che senso ha nasconderglielo? – continuò Harry, intestardito, ignorando la sua reazione. – Penso che sarebbe la cosa più giusta e…
- Non sempre la cosa più giusta è quella da fare. – ribatté Ginny, abbandonando il rifugio delle sue braccia, con uno scatto allucinante. – Non possiamo ancora parlarne.
- Ma perché? – tentò per l’ultima volta il giovane Grifondoro, cercando di riavvicinare a sé la sua ragazza, che in quel momento percepiva lontana anni luce.
- Non riuscirebbe a sopportarlo. – soffiò Ginny, rifiutando di ritornare tra le sue braccia, perforandolo invece con i suoi giganteschi occhi lucidi. – Non potrebbe sopportare di sentirlo dire ad alta voce.
- Tua madre è una donna adulta, Ginny! Capirà la situazione, sicuramente non…
La strega a quel punto si alzò dalla gambe di Harry, allontanandosi definitivamente da lui, come se continuare la conversazione fosse troppo doloroso.
- Hei, cosa… - borbottò il ragazzo attonito, alzandosi a sua volta, senza capire cosa fosse preso alla piccola Weasley.
- Non mi riferivo a mia madre, Harry. – bisbigliò, sorreggendo il suo sguardo a malapena.
 

 
 
 
 
- Vorrei proprio sapere cosa ti è saltato in mente, Granger. – sentenziò Draco, evitando per poco un piccolo demonio biondo che per poco non lo investiva. – Maledetti bambini… - biascicò poi a denti stretti.
- Come sei noioso. – replicò la ragazza, mentre si fermava per lasciare qualche moneta nel cappello di uno dei tanti Babbo Natale che c’erano in giro.
- Noioso? Io sono prudente. Questa è una piazza di matti! – esclamò, rischiando di venir travolto da un adulto stavolta, che mimò un gesto di scuse di cui Draco s’infischiò altamente, mentre scappava dalla parte opposta.
Hermione sbuffò, chiedendosi cosa le fosse venuto in mente di uscire con lui a fare una passeggiata. L’idea inizialmente le era piaciuta, perché le avrebbe dato la possibilità di poter stare con lui, da sola, cosa che non sarebbe capitata molto spesso all’interno della sua famiglia; ma Draco non era affatto propenso alla parola, o meglio lo era, ma soltanto per criticare qualunque cosa gli capitasse a tiro. Tutto ciò non faceva altro che suscitarle frustrazione e impazienza: ma perché doveva essere sempre lei a cominciare un discorso? Non poteva essere Draco una volta tanto a prendere l’iniziativa?
 
Perché doveva essere lei a rischiare, sempre?
 
- Vorrei parlarti, Draco. – si costrinse alla fine a dire la ragazza, prendendo un respiro enorme. – Fermiamoci un attimo. – Si guardò un po' intorno e sorrise nel vedere un piccolo muretto lì vicino, verso il quale si diresse senza esitazioni e senza aspettare conferma da parte di Draco. 
- Perché diavolo…
- Sì, lo so ti ho chiamato per nome. – sbuffò spazientita, incrociando le braccia. – Ed è ora che cominci anche tu.
- Credevo di essere stato chiaro sul fatto che…
- Anch’io credevo di essere stata chiara! – lo interruppe nuovamente, quasi gridando, con la pazienza ormai arrivata al limite. – Ci nasce un figlio, Draco, un figlio! Cosa non ti è chiaro di tutto ciò?! Credo che a questo chiamarmi per nome sia il minimo, per Merlino!
Gli occhi del Serpeverde si fecero più chiari del solito, mentre si voltavano a guardarla.
- E non guardarmi così! – disse Hermione, senza aspettare che rispondesse. – Sembra che tu non ti renda conto di niente! Ma certo, sono io che ho un bambino nella pancia in fondo, sono io che ho passato tre mesi a vomitare l’anima, sono io che ho passato un Inferno senza… – il suo monologo si bloccò improvvisamente, giusto in tempo per arrossire violentemente di fronte al modo in cui la guardava. E ringraziò Merlino e tutti gli altri maghi dell’epoca, per non aver concluso la frase.
 
Senza di te.
 
- Io … – si morse la lingua, cercando di darsi una calmata, anche se le era difficile con Draco che la guardava dritta negli occhi, senza spiccicare parola poi. Perché non diceva nulla, per Godric?!  – … La situazione è questa e mi dà parecchio fastidio che tu non provi neppure…
- Ho capito, Granger. Ho capito. – fu la strana e placida risposta di Draco. E le sarebbe anche piaciuta se non avesse pronunciato quel Granger con quella sua lingua tagliente.
- Tu invece non hai capito niente a quanto pare. – sibilò frustrata, indurendo il suo sguardo.
- Più di quanto tu creda, Granger.
E l’avrebbe dovuto capire dal suo sguardo che quel cognome veniva appositamente pronunciato solo per innervosirla e farla ribollire di rabbia. L’avrebbe dovuto capire che quel ghigno sprezzante, così Malfoy, era la sua unica arma di difesa contro di lei. L’unica barriera che ancora gli rimaneva e che Hermione pian piano stava sfaldando con le sue parole.
 
Ci nasce un figlio, Draco, un figlio!
 
- Sembra che non t’importi niente. – fu l’altrettanto tagliente risposta di Hermione, mentre incrociava le braccia.
- Che perspicacia, Granger! E di chi mai dovrebbe importarmi? – disse, con una risata al limite dello sprezzante e della superficialità.
Il tono sottile e sibilato venne percepito nella mente della giovane Grifondoro come il morso velenoso di un serpente. Non avrebbe dovuto darci peso, maledizione. Non avrebbe dovuto prendersela tanto, perché conosceva Draco e sapeva quanto fosse in grado di far del male con le sue stupide battute o le sue insinuazioni. Non avrebbe dovuto permettere alle sue labbra di schiudersi e di parlare, perché avrebbe dovuto capire che avrebbe detto qualcosa d’inappropriato se lo avesse fatto.
- Di me. – si lasciò scappare. Del bambino, avrebbe voluto aggiungere, ma il fiato le venne meno, di fronte all’espressione di Draco. Avrebbe voluto mangiarsi la lingua, ma lei stessa era consapevole che ormai il tempo dei segreti e dei sotterfugi dovesse finire e bisognasse scoprire tutte le carte, perché, cavolo, stavano per avere un figlio, tra pochi mesi sarebbero stati genitori.
- E quindi a me dovrebbe importare di una Mezzosangue, solo per un errore che, in ogni caso, non ha significato niente?
Sì, fu il pensiero che invase la mente di Hermione. Sì, a lui sarebbe dovuto importare di lei, perché era, volente o nolente, la madre del suo futuro figlio. Perché l’errore di cui tanto parlava l’avevano commesso insieme, e insieme dovevano uscirne, costruire qualcosa, comportarsi da persone mature. Ma non riuscì a esprimerlo il suo pensiero, perché qualcosa di più forte lo scacciò via con una potenza inaudita, con feroce violenza.
 
Delusione.
 
E lo sapeva, per Merlino, che quel discorso sarebbe dovuto finire prima di cominciare, perché Draco non era pronto ad affrontarlo e sapeva come avrebbe reagito, regalandole offese gratuite. Non avrebbe dovuto permettere ai suoi occhi di inumidirsi e di stringersi in due fessure poi, quando la delusione lasciò il posto alla rabbia. Probabilmente non avrebbe neppure dovuto alzare il braccio e poi abbassarlo, lasciandogli sulla guancia uno schiaffo che Draco non riuscì a fermare e di cui difficilmente si sarebbe dimenticato.
- Credevo tu fossi una persona sufficientemente matura per superare i tuoi stupidi ideali e pregiudizi sul sangue puro. – sibilò, con voce piena di rancore, con la mano ancora tremante per il colpo appena compiuto. – Credevo davvero che tu avessi l’umiltà di accettare questo figlio come un regalo e non come un errore, ma a quanto pare mi sbagliavo. Ti ho sopravvalutato, evidentemente.
Non gli diede neanche il tempo di rispondere, che si staccò dal muretto, con una frenesia impensabile, decisa più che mai a non lasciar correre questa volta. Decisa a non tornare indietro.
 
Tu torni, Mezzosangue, torni ogni volta.
 
Si stupì quando Draco, di sua spontanea iniziativa, le afferrò il braccio e la costrinse a voltarsi.
- Hei, non volevo dire che… - cominciò, stringendo la presa, per essere sicuro che non scappasse.
- No, tu volevi! – lo interruppe, guardandolo severamente. – Come ogni altra cattiveria che hai pronunciato, come ogni altra offesa che è uscita dalle tue labbra, tu volevi! Tu volevi ferirmi Draco e ci sei riuscito! – rivelò, con la rabbia che le raschiava la gola e che si sforzava di trattenere per non fare una scenata in mezzo alla piazza, dove già diverse persone li guardavano con curiosità. – Lasciami, immediatamente.
- Granger, ma si può sapere cosa…
- Smettila di chiamarmi per cognome! – gridò a quel punto esasperata. – Se tu non trovi in te stesso la volontà e l’umiltà di chiamarmi per nome, come si può pensare di crescere un figlio?!
La presa sul suo braccio vacillò e Hermione osservò gli occhi grigi del Serpeverde schiarirsi. Il Serpeverde aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse immediatamente, esalando solo un debole sospiro. La Grifondoro divincolò il braccio e il ragazzo la lasciò andare, come se fosse diventato troppo debole per opporre resistenza; non provò più a fermarla e questo la deluse, ancora una volta.
- Granger, io… - provò a parlare, ma s’interruppe da solo, osservando gli occhi lucidi di Hermione.
- Tu non sei capace di chiamarmi per nome. – sospirò con tristezza, la rabbia leggermente scemata, sostituita dal malessere. – E io sono solo una stupida a pensare che tu possa cambiare.
- Perché ti accanisci tanto su uno stupido cognome? – sputò a quel punto Draco. – Cosa t’importa del modo in cui ti chiamo? Perché devi creare problemi anche dove non ce ne sono?!
Hermione infilò le mani gelate nelle tasche del giubbotto, stringendosi di più nel piumino per riscaldarsi. Prese un grosso sospiro, socchiudendo gli occhi per impedire alle lacrime di scendere e riuscire a ricacciarle indietro alla velocità della luce.
- Da questo momento non ne creerò più. – mormorò, sfregando le dita le une contro le altre, come se volesse consumarsi la pelle. – Sei libero di andartene quando ti pare, torna pure al tuo mondo purosangue perfetto.
Draco ammutolì per un attimo.
Hermione sbirciò nella sua direzione e Godric solo sapeva quanto desiderasse poter scorgere qualcosa in lui, qualunque cosa, anche solo uno sguardo di scuse, che le facesse capire quello che gli stava passando per la testa.
- Mi stai cacciando da casa tua? – fu invece tutto quello che chiese, con ostentata indifferenza.
 
No.
 
Urlò la sua mente, travolgendola per l’intensità del pensiero. No, perché lei lo avrebbe voluto per sempre lì con sé, in mezzo alla sua famiglia, nella sua vita. No, perché Hermione senza di lui non era altro che una scatola vuota, colma solo di dolore e sofferenza. No, perché non averlo accanto significava passare altri mesi di Inferno, che lei aveva desiderato poter accantonare nella parte più nascosta di sé. No, perché lasciarlo andare via adesso, avrebbe significato buttare al vento quel poco che avevano costruito e tutti i pianti, le nausee, i malesseri, gli attacchi di panico e gli incubi, tutto quello che aveva passato in quei mesi nella speranza che a lui importasse qualcosa di lei, si sarebbero rivelati soltanto un’inutile sofferenza.
 
No, perché a me importa di te.
 
- Sì. – fu invece quello che si sentì dire, inconsapevolmente. Perché stavolta, non poteva lasciar perdere, tornare indietro.
 
Tu torni, Mezzosangue, torni ogni volta.
 
Draco doveva dimostrarle qualcosa, maledizione, glielo doveva. Se fosse voluto restare avrebbe soltanto dovuto riferirglielo, ma stavolta non sarebbe stata lei a cavargli a forza le parole di bocca. E se avesse deciso di andarsene, avrebbe finalmente accettato l’idea che per Draco lei non fosse niente, anche a costo di patire le peggiori sofferenze.
– Voglio che tu te ne vada, Draco. – e lo disse con un tono così debole, che neppure si sentì. Eppure Draco doveva averla capita, perché abbassò per un attimo lo sguardo, prima di tornare a fissarla. Non disse niente, e Hermione avvertì il groppo ormai familiare risalirle in gola e soffocarla. – Non dici niente? – non riuscì a trattenersi dal domandare, sconcertata dalla sua calma apparente. Come a conferma della sua domanda, il Serpeverde si limitò ad arricciare le labbra e a indurire lo sguardo, senza degnarla di una risposta.
Hermione si voltò non senza avergli prima lanciato un’occhiata piena di risentimento, le mani tremanti e le lacrime a far capolino ai lati degli occhi, mordendosi le labbra a sangue; fuggì via, correndo per le strade di Londra, al centro della piazza, senza neanche voltarsi indietro.
 
Tu torni, Mezzosangue, torni ogni volta.
 
Stavolta no.
 
Era talmente impegnata a correre via e a lasciarsi indietro la sua più grande rovina, che non udì neppure il mi dispiace a malapena sussurrato. Non riuscì neanche a vedere Draco Malfoy che si appoggiava al muretto e che si passava una mano sugli occhi, consapevole di averla, per l’ennesima fottuta volta, delusa.
 
Consapevole di aver sbagliato tutto, come sempre.
 
 
Prima di tornare a casa Hermione si prese un bel po’ di tempo. Non aveva la minima idea di dove fosse finito Draco, ma piuttosto che tornare a cercarlo aveva preferito girovagare per quasi due ore per le vie innevate della città. Tanto il Serpeverde non avrebbe sicuro avuto problemi a orientarsi, dato che, anche nel peggiore dei casi, sarebbe potuto andare in un vicolo e usare la Smaterializzazione. Sospirò per l’ennesima volta in quei minuti, chiedendosi come potesse essere tanto difficile amare una persona, al punto di sentirsi sempre sull’orlo di un burrone, di un precipizio del quale non riusciva a intravedere la fine. Forse non avrebbe dovuto lanciare a Draco quell’ultimatum, ma rimaneva appigliata alla possibilità che lui non avesse intenzione di ripetere l’anno e avrebbe considerato l’idea di rimanere a casa sua per migliorare le sue conoscenze in Babbanologia, di cui non sapeva praticamente nulla. Era davvero triste sapere che l’unica cosa che riusciva a trattenere Draco dall’andarsene seduta stante da casa sua era la possibilità del miglioramento dei voti, piuttosto che suo figlio.
Sospirò di nuovo, mentre osservava il cielo oscurarsi man mano che il sole calava tra le nuvole; era parecchio tardi, constatò con una smorfia, doveva tornare a casa prima che io suoi genitori si preoccupassero. Si affrettò per le vie di Londra, senza faticare troppo per orientarsi e quando varcò la soglia di casa un senso di tristezza mischiata alla malinconia la travolse. Non ebbe tempo per riflettere su questa sensazione che, in meno di un secondo, si ritrovò le braccia di sua madre intorno al suo corpo.
- Hermione! – esclamò, ansimando, con la voce rotta dalla paura.
- M-mamma? – chiese un po’ stordita, mentre chiudeva la porta.
- Dove eri, Hermione? Perché non eri con Draco? Cosa ti è venuto in mente di andare via da sola?! – la travolse con la sua raffica di domande, con gli occhi ancora sgranati dall’angoscia e dal terrore.
- I-io… - borbottò, confusa. – Avevo…bisogno…di pensare. – riuscì a mormorare, non sapendo bene come spiegare la situazione.
- Ho creduto ti fosse successo qualcosa, Cristo! – quando Hermione vide gli occhi di Jean farsi lucidi, si riscosse dal suo intorpidimento e si affrettò a rasserenarla.
- Mi dispiace, mamma.  Io e Draco…abbiamo avuto una discussione e… me ne sono andata. – ammise, raccontando una mezza verità.
Gli occhi della donna si ridussero in due fessure, mentre la linea delle sue labbra si induriva.
- La prossima volta avvisa, per favore. – mormorò con tono flebile, come se le forze l’avessero abbandonata.
- Certo. – rispose prontamente la figlia. – E scusa se ti ho fatto preoccupare.
- Perché avete litigato? – domandò poi la madre, con tono strano, mentre raccoglieva un cuscino caduto per terra e dopo averlo sprimacciato per bene, lo riponeva sul divano.
- Perché… niente. – borbottò. – Le solite cose… degli… uhm… adolescenti… insomma, mi sono arrabbiata perché… c’era un’altra ragazza che… insomma lo guardava in modo ambiguo… - farfugliò, mentendo nella maniera migliore possibile.
- È quello che ci ha detto anche Draco. – rifletté poi Jean, picchiettandosi un dito sul mento.
- D-draco?! – sbottò incredula la figlia.
- Sì. È tornato a casa un’oretta fa. – spiegò, facendo sbarrare ancora di più gli occhi di Hermione.
 
È tornato.
 
Avrebbe potuto andarsene, prendere le sue cose e scappare via. Invece ero tornato ed era rimasto.
 
Non permetterti di sperare, Hermione.
 
Non riuscì a rallegrarsi di quel pensiero, perché sua madre, inconsapevole dei drammi interiori della figlia, aggiunse:
- Quando Richard ha visto che non era con te voleva ucciderlo, perché credeva che ti avesse lasciato da sola. 
Un’angoscia totale la prese alla gola, facendola annaspare.
- P-apà e D-draco? – incespicò.
- Sì. Finalmente stanno parlando e, tranquilla, non si stanno lanciando oggetti addosso. – cercò di rasserenarla la madre, accarezzandole il braccio.
- Dove sono? – chiese  sbattendo velocemente gli occhi per il nervosismo.
- In cucina.
Finì appena di rispondere che Hermione si era già diretta nell’altra stanza, individuando la porta della cucina socchiusa dalla quale venivano dei toni di voci sommessi. Non udì neppure il richiamo di Jean e non si accorse della sua presenza, finché non se la ritrovò alle spalle.
- Non dovresti ascoltare, Hermione. – sussurrò.
- Tu lo faresti al mio posto. – ribatté a tono la figlia, assottigliando gli occhi.
La donna rise con leggerezza, guardandola con infinita dolcezza.
- Io l’ho fatto, però non avrei dovuto. – confessò, rievocando vecchi ricordi. – Stai tranquilla. – le sussurrò poi, accarezzandole i capelli e lasciandola sola.
A Hermione non era mai dispiaciuto spiare: contrariamente ai suoi saldi principi riteneva che ascoltare qualche piccola conversazione di nascosto non fosse poi una cosa così malvagia. Per questo non si fece il minimo scrupolo ad accostarsi alla porta, ben attenta a captare qualunque sillaba che avrebbero emesso suo padre e Draco. Percepì dei toni leggeri, dai quali capì immediatamente che non doveva esserci una guerra in corso e la considerò una cosa positiva: successivamente si chiese di cosa diavolo potessero parlare quei due, senza urlarsi contro.
 
Per Godric, non possono parlare un po’ più forte?
 
Si avvicinò ancora di più, facendo cigolare la porta; si maledisse mentalmente, tentata di mordersi la mano per il suo essere così maldestra e sperò con tutta se stessa che il rumore non fosse stato troppo intenso. Cercò di regolarizzare il respiro, mentre finalmente riusciva a captare le parole diffuse al di là della porta.
- Forse. – sentì dire da suo padre.
 
Forse, cosa?
 
Hermione notò Draco assottigliare lo sguardo e lei si chiese a cosa potesse riferirsi quel forse.
- Forse? – domandò il Serpeverde.
- Forse. – ripeté Richard, guardandolo severamente.
 
Potreste spiegare anche a me? Forse cosa?
 
Mentre la curiosità di Hermione cresceva, i due uomini nella stanza si fissavano come due animali che scrutano l’uno la mossa dell’altro, pronti ad attaccare o a difendersi se ce ne fosse stato bisogno.
- Non sono stupido, signor Granger. – sputò ad un certo punto Draco, facendo trasalire Hermione per la freddezza del tono. – Lei non mi ha rivolto una parola gentile da quando sono arrivato, come se avesse dei pregiudizi su di me.
 
Come hai fatto anche tu, Draco.
 
Hermione avrebbe tanto voluto commentare, ma s’impose di rimanere in silenzio per non essere scoperta. Pregò con tutta se stessa che suo padre non avesse fatto troppo caso al tono sprezzante che aveva usato Draco, perché in quel caso avrebbe dovuto cercargli una tomba prematuramente. Richard mal tollerava le persone che si mostravano troppo arroganti o sprezzanti: e il Serpeverde non era certo una persona facile con cui parlare.
- Non usare quel tono con me, ragazzino!
 
Appunto.
 
Vide Draco mordersi le labbra con una forza che non avrebbe creduto possibile, probabilmente nel tentativo di non replicare; almeno aveva capito che se avesse continuato su quella strada si sarebbe rovinato da solo.
- Ritiro quello che ho detto, allora. – non riuscì però a trattenersi di rispondere il ragazzo, con uno sguardo così freddo che Hermione percepì i brividi lungo tutta la spina dorsale. La ragazza si trattenne dallo schiaffarsi una mano sul viso: suo padre e Draco erano persone molto orgogliose, che sarebbero state capaci di discutere per ore su un argomento stupido, pur di avere la soddisfazione di affermare le proprie ragioni.
- No. – fu l’inaspettata risposta di Richard.
 
No?
 
- No? – chiese Draco, dando voce al pensiero di Hermione.
- No, non è necessario che tu ritiri quello che hai detto. – si spiegò l’uomo, mentre si appoggiava al bancone della cucina. – Perché è vero.
 
Ah, ecco.
 
- Ah, ecco. – diede nuovamente eco ai suoi pensieri il ragazzo.
- Quando sei entrato in questa casa, non ti ho visto di buon occhio. – ammise Richard. – Ma penso che tu possa capire il perché: mia figlia non aveva mai portato un ragazzo a casa e, da buon padre quale sono, mi sono ingelosito. – confessò con spontaneità assoluta. – O meglio, ho conosciuto qualche suo amico, ma era diverso. – Comunque… – riprese il padre, cambiando discorso. - … poi c’è stato il pranzo di Natale.
- E lei ha cambiato idea, ma non sapeva come fare a scusarsi? – lo anticipò Draco, con un tono abbastanza arrogante da far venir voglia a Hermione di prenderlo a calci.
 
Merlino, ora se lo mangia.
 
E infatti l’espressione di sua padre tendeva molto al cannibalismo, ma dopo un grosso sospiro, l’uomo parve calmarsi, riprendendo la sua impressione impassibile.
- No, non ho affatto cambiato idea, anzi. L’ho peggiorata. – incrociò le braccia, scrutandolo guardingamente negli occhi. Draco aggrottò le sopracciglia, chiedendosi cosa mai avesse fatto durante quel pranzo per farsi disprezzare tanto. Per Salazar, era stato persino gentile! Ma cosa pretendeva di più quell’uomo?
- E perché? – si arrischiò a chiedere. – Forse sono stato un po’… freddo, ma…
 
Sembravi un cubetto di ghiaccio.
 
Ancora una volta, Hermione si ritrovò a mordersi la lingua, per non commentare. Un po’ freddo… certo che ne aveva Draco di faccia tosta per affermare una cosa del genere.
- Ma figurati. Se fosse per quello non sarei neanche qui a discutere con te. – rispose bruscamente Richard, come se avesse detto una cosa stupida. – Era la prima volta che venivi in casa nostra, che ti trovavi in mezzo alla nostra famiglia che – ammetto – è un tantino esuberante, chi non si sarebbe sentito a disagio o non sarebbe stato un po’ freddo? Non diciamo fesserie, eh. – concluse, appoggiando le mani sul bancone, con le labbra piegate in una smorfia.
Hermione sbatté gli occhi leggermente sconcertata. Effettivamente il discorso di suo padre non faceva una piega; ma allora perché si era comportato in quel modo con Draco? Possibile che fosse tutto dovuto alla gelosia iniziale, dalla quale lui stesso aveva ammesso di essere stato colto?
- Non credo di capire. – fu la sincera constatazione di Draco, che poche volte nella vita si era sentito tanto confuso.
- Credi che ce l’abbia con te, perché hai messo mia figlia incinta? – domandò Richard, ignorando le sue parole e facendogli distogliere lo sguardo con le sue parole. – Anche. – continuò l’uomo. – Non sai quanto. Mi viene voglia di prenderti a calci nel sedere. – ammise con cruda sincerità.
 
Anche?
 
- Lei non si fa problemi a dire quello che pensa, vero? – fu il commento di Draco, atono e impassibile.
- Non mi piacciono gli eufemismi. – fu l’accondiscendente risposta dell’uomo.
- E, comunque, cosa significa anche?
 
Infatti. Anche cosa?
 
Hermione cominciò a mangiarsi le unghie, da tanto che era nervosa. Cosa cercava di dire suo padre?
- Io e Jane abbiamo avuto Hermione molto presto, non so se lo sai. Quindi, so cosa si prova, ci sono passato. – a quel commento, Draco drizzò la testa di scatto, rendendosi conto di quanto fosse effettivamente giovane Richard e si chiese perché prima non ci avesse mai fatto caso. – Io non ti accuso per quello che hai fatto, ma per quello che non fai.
 
Ma cosa sta dicendo?
 
- Può spiegarsi meglio? – si ritrovò a chiedere Draco, desideroso di capirci qualcosa in quei discorsi assurdi.
Il corpo di Hermione cominciò a tremare, incontrollato. Sapeva che la risposta del padre non le sarebbe piaciuta.
- Tu non ami mia figlia, Draco. E questo, io, non posso perdonartelo.
 
Crack.
 
Nella stanza risuonò il silenzio più tombale, ma Hermione fu più che sicura di aver sentito il rumore del suo cuore che pian piano si rompeva. Sapeva benissimo che Draco non provava niente per lei, eppure sentirlo dire ad alta voce da suo padre le fece più male di quello che avrebbe mai potuto immaginare. E la mancata risposta del Serpeverde fu sufficiente per farla addolorare, abbastanza per farle salire le lacrime agli occhi. Dopo qualche secondo interminabile, mentre il cuore di Hermione si rompeva sempre di più, Draco prese un grosso sospiro, passandosi una mano tra i capelli, non sapendo bene quanto gli fosse conveniente essere sincero.
- Non intendo mentirle, signor Granger, anche perché mi sembra inutile. – disse infine. – È vero. – mormorò dopo qualche altro attimo di silenzio. – Io non amo sua figlia.
 
Crack.
 
Sentirlo dire da lui fu ancora peggio. Fu un colpo allo stomaco talmente forte che ebbe l’impulso di correre in bagno per rigettare tutto quello che aveva in corpo; ma da brava masochista qual era non si mosse di un millimetro, ben consapevole di quanto si stesse facendo del male ascoltando segretamente quella conversazione. 
- Ti rendi conto, Draco, di quanto questa consapevolezza mi faccia uscire fuori di testa. – disse allora Richard, alterato. – Mia figlia è una ragazza meravigliosa. – chiarì a denti stretti, mentre il ragazzo si perdeva nel fissare le pieghe del muro di fronte a sé. – E sapere che è stata messa incinta da un ragazzo che non tiene abbastanza a lei e non è capace di amarla come merita, mi fa letteralmente incazzare.
 
Crack.
 
Hermione si mise una mano davanti alla bocca per non singhiozzare e soffocare le lacrime che sfuggivano al suo controllo. Quante volte poteva incrinarsi il suo cuore, prima di sgretolarsi in mille pezzettini? Aveva ragione sua madre: non avrebbe dovuto ascoltare quella maledetta conversazione. Si stava facendo solo del male.
- Mi rendo conto. – fu semplicemente quello che rispose Draco, misurando bene il tono, consapevole che qualunque cosa avesse detto sarebbe stata sbagliata. – Io… mi… prenderò le mie responsabilità. – non riuscì a pronunciare altro.
- Certo. – ironizzò Richard, con una smorfia.
- Non… - mormorò Draco. – …Io… Sono consapevole del mio errore, signor Granger. Ne siamo entrambi consapevoli.
 
Crack.
 
Un errore. Lo aveva definito un errore, come aveva già fatto in passato qualche tempo fa. Possibile che in quei mesi per Draco non fosse cambiato niente? Possibile che lei fosse stata così stupida per averci anche solo sperato? Si morsicò le labbra, incapace di controllare le lacrime che scendevano lentamente sul suo viso.
- Mi prenderò le mie responsabilità, comunque. – concluse il ragazzo, guardandolo negli occhi.
- E credi che questo basti?! – fu a quel punto che Richard si arrabbiò sul serio, scattando alle sue parole. – Credi che sarà facile crescere un bambino alla vostra età? Senza nemmeno un solido sentimento tra voi due?!
 
Crack.
 
La nuova ondata di dolore fu più inaspettata e intensa. Le tolse letteralmente il respiro, mentre le parole di suo padre le penetravano nella testa. Eppure Hermione lo sapeva. Sapeva tutto questo prima ancora che suo Richard o Draco lo esprimessero ad alta voce, lo sapeva eppure aveva avuto la stupida illusione che non fosse vero, che finché quei pensieri fossero rimasti rinchiusi nella sua testa forse non si sarebbero avverati.
- Non ho detto che… – provò a giustificarsi Draco.
- Lo so cos’hai detto! – Richard alzò nuovamente la voce, non riuscendo a trattenersi. – Ti prenderai le tue responsabilità Draco, come voglio ben sperare. Ma non sopporto l’idea di vedere la mia bambina innamorata di uno stronzo che considera il regalo più bello che la vita possa offrire un errore! – urlò letteralmente, facendo sobbalzare Draco e bloccare il respiro a Hermione.
Lo sconcerto fu tale che alla Grifondoro mancò l’aria per qualche secondo: i suoi polmoni si bloccarono, così come il resto del suo organismo che fu incapace di svolgere le sue funzioni vitali, come se anche gli organi fossero stati travolti dalle parole di suo padre.
 
Non sopporto l’idea di vedere la mia bambina innamorata di uno stronzo che considera il regalo più bello che la vita possa offrire, come un errore!
 
Lo aveva nascosto per settimane, per mesi, per più di un anno. Aveva cercato di soppiantarlo, di eliminarlo, di soffocarlo fino a farlo scomparire, ma senza risultato. Aveva lottato con tutte le sue forze per reprimere quel sentimento, che non aveva confessato e che non avrebbe confessato a Draco neanche sotto tortura, ma aveva perso anche quella battaglia. E adesso… adesso il destino aveva deciso di giocarle un brutto scherzo, di mischiare le carte, forse troppo infastidito dalla sua riluttanza nel rivelare quell’angoscioso segreto. Hermione soffocò un altro singhiozzo: aveva passato le pene dell’Inferno, le peggiori torture e le situazioni più angoscianti e adesso Draco doveva venire a sapere in quel modo quello che provava per lui. L’avrebbe distrutta. Per quanto il Serpeverde potesse essere cambiato in quei mesi, cosa che però non aveva dimostrato neanche durante la conversazione con suo padre, non avrebbe sicuramente rinunciato all’idea di denigrarla per ciò che lei non avrebbe dovuto provare, che lui non avrebbe mai accettato per la sua stupida barriera di pregiudizi. Perché lui non voleva l’amore che lei avrebbe potuto offrirgli, per il suo essere così sbagliata secondo le sue ideologie. Per il suo sangue.
- C-cosa? – fu la domanda sbigottita di Draco che non aveva mai balbettato in vita sua. Richard si voltò verso di lui, scrutandolo così attentamente da metterlo in soggezione più di quanto non lo fosse già.
- Non dirmi che… – scandì lentamente l’uomo, per poi interrompersi. – Tu non… hai capito? Non…
E Hermione non ce la fece più. Era troppo. Non era abbastanza forte per continuare a farsi del male; sarebbe dovuta irrompere nella stanza prima che suo padre pronunciasse quelle maledette parole che, inconsapevolmente, l’avevano portata alla rovina, ma ormai era troppo tardi. E fu con disperazione che corse su per le scale, fu con terrore che si fiondò nel bagno, fu con i brividi che percorrevano il corpo che rigettò quel poco che aveva ingerito ore prima nel gabinetto. Fu con il viso pieno di lacrime che si accasciò sul pavimento freddo. Fu con l’orrenda immagine di Draco che la scherniva in tutti i modi possibili che prese a tremare violentemente, senza che i suoi tentativi di controllo del corpo risultassero efficaci. Rimase in apnea per più di un minuto intero, tanto che ebbe paura di essere in preda ad un attacco d’asma.
E infine fu con il cuore a pezzi che udì la sua voce.
- Credo che dovremmo parlare.

 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice


Credo che con questo finale, le maledizioni che non mi sono arrivate nello scorso capitolo, stavolta non me le toglierà nessuno. Chiedo in anticipo scusa a tutti per questi finali stronzissimi, se io fossi una lettrice penso che mi incavolerei a morte XD
Inoltre, penso proprio di dovervi delle altre scuse, per la mia imperdonabile assenza in tutti questi mesi. Sono all’ultimo anno e mi sembra di dover fare i salti mortali per riuscire a far combaciare tutto. Qualche giorno fa inoltre avevo il Test di Medicina, che quegli idioti dei “piani alti” hanno ben pensato di mettere ad aprile, dato che gli studenti non hanno un cavolo da fare. Devono SOLO preparare la maturità.
Meglio lasciar perdere, altrimenti mi ci arrabbio -.-”
Ad ogni modo, rinnovo le mie scuse, non tanto per l’assenza (mi dispiace tanto, ma è stata necessaria, dal Test di Medicina dipende il mio futuro), quanto per non avervi scritto niente, un avviso, qualcosa. Ogni giorno mi dicevo “tanto tra poco aggiorno, tanto tra poco aggiorno” e poi si è visto come è finita. Il capitolo 25° era già scritto a metà prima ancora di pubblicare il 24°, e fino a lì è rimasto per molto tempo. Mi dispiace davvero. Da morire.
Comunque…passando a cose un po’ più allegre… vi è piaciuto il capitolo? Come se il capitolo fosse allegro poi XD Credo sia uno dei più angoscianti che abbia mai scritto. La reazione dei genitori è stata quella che vi aspettavate? E la rivelazione finale? Non uccidetemi, vi prego!
Per quanto riguarda il prossimo capitolo, vi informo subito che ho in mente una scena che mi avete spesso richiesto e penso che piacerà a molti ;) A me piace un sacco! Inoltre quattro o cinque pagine sono già scritte, spero di non tardare troppo, ma come sempre meglio evitare promesse.
Beh, chiudiamo queste note e passiamo ai ringraziamenti, così poi vado a scrivere un altro po’ del 26° capitolo ;) Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite/preferite/ricordate e chi ha letto semplicemente; ma un calorissimo GRAZIE a tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo:  Wingardium_Leviosa97, Always_Potter, Alyss_, Clayndory, artemis1989, Helena Prince, clari94, _anele_, _yellow_, _Giuls17_, mira_potterhead_92, Ladypretty, Harry Potterish, suckerforlove, Autumn__Leaves, Elisewin Granger, KakashiLoveRabbits, tonks17, Dramione99, BrigataMagnus, MadamaBumb, Jocker157, michymalfoy, MyLittleMuffin, Alchimista93, Lierin_, Stella94, MimiRyuugu, 17pally, IpseDixit, love_infinity, HP_LOVE, World Below, AryDP, LolaBubby99, Sakura_chan97, Black_Yumi, Notteinfinita, Pipsie e ilapietro91.
Grazie, grazie a tutte, le vostre parole sono sempre bellissime, davvero!
Un abbraccio stritola-costole,
flors99 

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Capitolo 26
*** Prove To Me I'm Wrong ***


Sono tornata. Dopo un sacco di tempo eccomi, qui. Vi chiedo scusa per tutta questa attesa, se volete, nelle note, troverete le spiegazioni. Questo capitolo è il più complicato e il più difficile che abbia mai scritto e... beh, spero non sia venuta fuori una schifezza e che vi piaccia, almeno un pochino. Vi lascio alla lettura e vi aspetto giù! :) 
 













Il gelo invernale la fece rabbrividire, mentre il vento fresco penetrava tra i meandri del suo giacchetto, che Hermione si strinse di più addosso strizzando gli occhi. Si guardò intorno, premurandosi che Laurel fosse sempre vicino a lei e non si perdesse: era sempre stata apprensiva con la sua cuginetta, ma non riusciva proprio a evitarlo, soprattutto da quando…
- Hermione!! – la richiamò per l’appunto l’oggetto dei suoi pensieri, lasciandole una piccola palla di neve che s’infranse sulla sua gamba. – Presa! – esultò poi. E la Grifondoro giurò di non aver mai visto nulla di più bello di Laurel che giocava in mezzo alla neve, con i riccioli rossi pieni di granellini bianchi e i suoi grandi e giocosi occhioni.
- Vieni qui, piccola peste! – replicò la ragazza, per tutta risposta. 
Hermione l’afferrò dopo averla rincorsa, mentre la piccola rideva a crepapelle, agitandosi tra le sue braccia.
- No, no, lasciami! – esclamò la bambina, continuando a ridere.
Dopo una breve lotta, in cui Laurel tentò di formare un’altra palla di neve e Hermione le faceva il solletico, entrambe si sedettero sulla panchina del parco, avendo ormai raggiunto lo stremo delle loro forze.
- Ho vinto io! – trillò la piccola, alzando le mani in segno di vittoria.
Hermione riprese a ridere, contagiata dal sorriso della bambina.
Una risata che però si spense quando la cugina le pose quella domanda.   
- Ma Draco dov’è?
Dissimulando il nervosismo Hermione alzò le spalle cercando di sorridere, ma senza più traccia di ilarità sul suo volto.
 
Dov’è Draco, Hermione?
 
Non lo so. Non lo so più.
 
 
- Credo che dovremmo parlare. – le aveva detto, mentre la propria mente faticava a comprendere le sue parole, meno che mai ad assimilarle. Si morse le labbra chiedendosi perché fosse tutto così difficile, perché mai dovesse vergognarsi tanto dei suoi sentimenti, perché fossero così sbagliati. Non si mosse di un millimetro, non ebbe neanche la forza per provare ad alzarsi. Non lo guardò, tenendo lo sguardo ben puntato sul pavimento, pur sentendo i suoi occhi perforanti su di sé: occhi in cui si era persa più e più volte e in cui avrebbe desiderato perdersi in eterno, ma che adesso aveva paura anche solo a intravedere. Non fece niente neanche quando percepì uno spostamento d’aria e quando udì i passi di Draco avvicinarsi a lei, fino ad arrivarle accanto. Paradossalmente le venne da sorridere: avrebbe sempre voluto averlo lì vicino a lei, invece adesso desiderava che fosse il più lontano possibile, con il senso di disperazione che gorgogliava nello stomaco e le faceva venire voglia di vomitare di nuovo.
- Ho parlato con tuo padre e…
- Lo so. – fu la secca risposta della Grifondoro, la voce rotta dal pianto e gli occhi lucidi. – Vi ho sentiti.
Che senso aveva ormai mentire? Che senso aveva nascondere il fatto di aver udito ogni singola parola di quella conversazione? Appoggiò la testa al muro, respirando con fatica e chiudendo gli occhi provando a non pensare, benché la presenza di Draco accanto a lei non l’aiutasse molto.
- Stai bene? – fu la domanda del ragazzo.
- Cosa te ne importa? – fu la sua risposta, piena di amara tristezza.
 
Cosa ti importa di me?
 
Hermione si rese conto di quanto la sua domanda potesse sembrare stupida: nello stato in cui era probabilmente avrebbe fatto preoccupare anche un sasso.
- Tuo padre ha detto…
- Lo so cos’ha detto. – lo interruppe per la seconda volta e per la seconda volta con un tono che non ammetteva repliche. La smorfia che deturpò il viso di Draco le fece capire quanto lo stesse facendo innervosire con il suo atteggiamento.
- È vero?
Ecco. La domanda che si aspettava era stata posta. Hermione se lo aspettava: a Draco non piacevano i rigiri di parole, le sue richieste erano sempre dirette, così come le sue risposte, chiare e concise. Non sapeva di preciso cosa sarebbe stato meglio rispondere: se provare a mentire, cosa di cui non sarebbe stata comunque capace, o essere per una volta sincera. In quel momento però non era capace di fare né l’una ne l’altra delle cose.
Ebbe semplicemente la forza di alzarsi dal pavimento, prendendo un bel respiro e guardando Draco per la prima volta da quando l’aveva raggiunta nel bagno. Lo fissò dritto negli occhi, in cui non vide assolutamente niente; soltanto quel grigio chiaro, chiarissimo, al di là del quale non intravedeva che una landa desolata. Avrebbe preferito vederci disprezzo, rabbia, disgusto nel suo sguardo, piuttosto che niente. L’ennesima prova di non essere nemmeno degna di un’emozione negativa, l’ennesima conferma di avere per lui un valore pari a zero.
 
L’indifferenza fa più male di un insulto.
 
Hermione non gli disse niente, come se la paura le avesse risucchiato via anche la voce. Lo oltrepassò, bloccandosi dopo poco con il respiro che pian piano ritornava a dominare i suoi polmoni.
- Lasciami in pace. – mormorò, avvertendo lo sguardo perforante del Serpeverde sulla nuca. – Almeno questo me lo devi.
 
 
Da quel giorno non aveva più davvero parlato con lui. Era passata quasi una settimana e la Grifondoro si era riscoperta un'artista della fuga: era riuscita ad evitarlo per tutto quel tempo, facendo in modo di evitare situazioni che avrebbe potuto vederli da soli, che prima agognava con tutta se stessa, ma che ora avrebbe vissuto come momenti di puro terrore. Per questo da un po’ di giorni a quella parte usciva spesso di casa, coinvolgendo nelle loro uscite sua cugina, i suoi parenti e persino qualche vecchio compagno di scuola che non vedeva da tempo. Ad esempio quel pomeriggio aveva passato tutto il tempo con Laurel, pregando suo zio Charlie affinché coinvolgesse Draco in una delle sue discussioni interminabili che lo tenesse sufficientemente impegnato e ben lontano da lei. E suo zio era un vero artista della parola, capace di parlare con qualcuno anche per cinque ore di fila, senza mai stancarsi, motivo per cui era certa che sarebbe stata tranquilla.
Stava scappando. Stava letteralmente scappando ed evitando la situazione, ne era perfettamente consapevole, nonostante non fosse nella sua natura. Ma quando un essere umano arriva alla massima sopportazione del dolore, la cosa in cui riesce meglio è rinchiudersi in se stesso, scacciando via qualunque cosa possa generare ulteriore malessere. E per quanto Hermione si fosse sempre considerata una persona sufficientemente forte per affrontare le sfide della vita, aveva preferito nascondersi quella volta e lasciare che gli eventi proseguissero il loro corso.
L’unica cosa positiva che era accaduta in quel lasso di tempo era stato quando aveva parlato con suo padre della gravidanza. Si era angosciata tanto, tantissimo, per quello che si sarebbero detti, ma alla fine aveva capito che tutta quella preoccupazione era stata abbastanza inutile: suo padre era un uomo buonissimo, per quanto burbero e arrogante potesse apparire a primo impatto, e aveva cercato di rassicurarla e basta, nonostante all’inizio ci fosse stato un po’ di attrito.
- Avete litigato? – chiese Laurel con tono triste, distraendola dai suoi pensieri.
- No, piccolina. – tentò di rasserenarla Hermione. Laurel era sempre stata una bambina molto sensibile e al minimo problema che percepiva nell’aria era capace di star male anche se si trattava di una sciocchezza.
- Ma allora perché sei così triste?
 
Perché sono innamorata di una persona che non mi vorrà mai.
 
- Non sono triste. – mormorò con un sorriso forzato, accarezzandole i riccioli rossi. La bambina non le chiese più niente e Hermione sentì il bisogno di stringerla, più forte che mai. – Ricordati che ti voglio bene, Laurel. Ricordalo sempre. – ebbe l’impulso di dire, mentre la cuginetta strofinava la testa contro il suo petto per riscaldarsi.
- Anche io. – borbottò la bambina. – E anche Draco, nonostante abbiate litigato. – la rassicurò nascondendo il viso.
Hermione rise, una risata pregna di quel malessere che ormai aveva imparato a nascondere.

 


 
Blaise non aveva mai fatto caso ad Astoria Greengrass. Era sempre stato troppo occupato a seguire Daphne per prestare attenzione a sua sorella minore. Di fatto, l’aveva guardata poche volte, con pigro e scarso interesse, e nei rari momenti in cui si era soffermato su di lei, ricordava di essere rimasto allucinato dalla somiglianza delle due sorelle e di quanto Astoria, per quanto più piccola di tre anni, fosse identica a Daphne: aveva gli stessi fluenti capelli biondi, la stessa corporatura minuta ma slanciata, le stesse labbra a bocciolo decorate da un abituale sorrisetto ironico e ghignante, le stesse mani affusolate e più pallide di un cadavere, persino lo stesso taglio degli occhi della sorella, differendo da lei soltanto per il colore. Qualcuno a Hogwarts, molto spesso le scambiava per gemelle, nonostante il viso di Astoria presentasse ancora dei tratti leggermente fanciulleschi, testimoni dei suoi quattordici anni. Anche Blaise aveva sempre pensato che fossero uguali.
Mentre, in quel momento, si rendeva conto, in realtà, di quanto fossero diverse. Lo capiva ad ogni secondo che passava, ad ogni parola di Astoria che gesticolava velocemente di fronte a lui e mentre i suoi occhi cercavano di seguire i velocissimi movimenti del suo interlocutore, facendogli girare la testa, si chiedeva come avesse potuto non notarlo prima.
- Chiaro?! – il trillo della ragazza lo distrasse e si rese conto di non essere riuscito a seguire neanche una parola del suo discorso sconclusionato. Parlava troppo in fretta, maledizione. Al contrario di Daphne che invece possedeva sempre un’insolita e inquietante calma.
- Uhm…io… non è che potresti ripetere?
Astoria lo fissò sconcertata e incrociò le braccia.
- Ma te l’ho già ripetuto! – esclamò, innervosendosi.
Ecco, un’altra differenza a cui prima non aveva fatto caso. Mentre era sempre complicato capire cosa si stesse arrovellando nella mente di Daphne, Astoria era un libro aperto: ogni emozione era incastonata nei suoi occhi, pronta a venir fuori senza alcuna remora o vergogna.
- Sì, ma… – Blaise si grattò la testa imbarazzato. Come Merlino poteva dire a una ragazza che non riusciva a seguirla perché parlava troppo veloce?
- Comincio a dubitare delle tue sanità mentali. – borbottò Astoria, con una smorfia.
 
La lingua tagliente, però, ce l’avevano tutte e due.
 
- Non esageriamo, eh. – si difese il ragazzo. – Solo perché non ho capito cos’hai detto…
- Per Salazar, Blaise, stiamo parlando di Daphne!
 
Ah.
 
- Oh, sì, Daphne, certo… Bene, e cosa hai dett…
Blaise non riuscì a terminare la frase, notando lo sguardo di Astoria indurirsi più che mai.
- Non mi hai ascoltato, vero? – sputò, arrabbiata, per un motivo che non riusciva a comprendere. O che non era riuscito a sentire.
- Mi sono solo distratto, Astoria. – mormorò, con voce mite, sperando così di acquietare la rabbia che la ragazza stava sprizzando da tutti i pori. – Non volevo mancarti di rispetto, sul serio.
La Serpeverde tirò il nasetto per aria e lo squadrò da capo a piedi, riflettendo se fosse sincero o meno. Quando ebbe constatato la sua effettiva innocenza, alzò gli occhi al cielo per poi sbuffare.
- Beh, vedi di non distrarti, allora. Stiamo parlando di mia sorella! – sottolineò quella parola con tono talmente duro e intransigente, che Blaise aggrottò lo sguardo, confuso. Per Merlino, ma cosa diavolo voleva? Era venuto per passare il pomeriggio insieme a Daphne e non aveva fatto in tempo ad attraversare il giardino della villa, che quel terremoto lo aveva rintronato di discorsi.
 
Quanta pazienza.
 
- Lo so, Astoria, dimmi.
- Oh, bene! Prima che tu ti distraessi e perdessi la testa nei tuoi loschi e oscuri pensieri, che assolutamente non voglio conoscere, ti stavo esponendo quel era la situazione dei fatti, che a me, insomma, dà parecchio fastidio, come ti puoi ben immaginare! Posso comprendere che per te sia difficile capirlo, poiché sei figlio unico ed essere figli unici, se da una parte ha i suoi vantaggi, dall’altra…
 
E poi si stupisce se mi sono distratto.
 
- …dall’altra non ha poi così tanti vantaggi, come tutti invece ritengono. E non lo dico, perché sono di parte, assolutamente, ma conosco tante persone che vorrebbero avere un fratello o un sorel…
- Astoria! – esclamò Blaise, bloccando il suo gesticolare impazzito. – Ti prego, arriva dritta al punto, perché non capisco cosa stai cercando di dirmi.
La ragazzina, seccata per essere stata interrotta, dopo avergli lanciato un’occhiataccia, si gonfiò come un pesce palla.
- Oh, insomma, Blaise, Daphne è mia sorella, ok?! – sbraitò lei, per tutta risposta, incrociando le braccia al petto.
 
Questa era l’unica cosa che avevo capito.
 
- Sì, ma…
- E se tu provi anche solo a farla soffrire, te la vedrai con me, chiaro?!
 
Ah.
 
- E non m’interessa se sei figlio unico e se non sai, e non saprai mai, cosa significhi avere un fratello o una sorella, ma…
 
Merlino, ma che problema ha con i figli unici?
 
- …se tu la fai soffrire, come già hai fatto, io…!
- Astoria, calmati, per Salazar! – sbottò il Serpeverde, rammentandosi del signor Greengrass per poco non lo affatturava.
- No, io non mi calmo! Se tu…
- Non la farò soffrire, se è questo di cui hai paura, Astoria! – esclamò Blaise, esasperato. – Per Salazar, ma tu e tuo padre vi fidate così poco di me? Cosa ho fatto?!
Gli occhi della ragazzina si ridussero in due fessure.
- L’hai già fatta soffrire e non te ne sei accorto. – affermò, senza curarsi del fastidio nello sguardo del Serpeverde. – E, poi, credi che io non sappia di tutte le ragazze con cui sei stato?!
- Di tutte le ragazze… che?
- A Hogwarts le voci corrono. – sibilò Astoria, con tono arrogante. – E, beh, le voci che riguardano te non sono molto rassicuranti. – gli puntò un dito contro, minacciosa.
Blaise non sapeva se scoppiare a ridere per quella nanerottola, più bassa di lui di un bel po’ di metri, che tentava di spaventarlo, o arrabbiarsi per tutte quelle insinuazioni.
- Questi non sono affari tuoi, Astoria, per niente.
- Certo che sì, invece! – sbraitò la ragazzina.
Il Serpeverde si trattenne dallo schiaffarsi una mano sul viso.
 
Quanta pazienza.
 
- E poi tu…
- Sono innamorato di Daphne da anni. – sbottò Blaise. – E penso che questo basti.
La Serpeverde ammutolì per un istante, trovandosi improvvisamente a corto di parole. Arricciò le labbra sottili, fissandolo ancora più attentamente, come se fosse intenzionata a cogliere ogni suo singolo cambiamento espressivo.
- Beh, uhm… in questo caso… – la ragazzina arrossì, mentre gonfiava le guance come un palloncino. – …uhm, le cose cambiano.
- Cambiano, eh? – chiese Blaise, palesemente ironico.
- A meno che tu non stia mentendo! – esclamò Astoria, colta dall’illuminazione.
Il ragazzo si trattenne nuovamente dallo schiaffarsi una mano sul viso.
 
Quanta pazienza.
 
E lui che credeva che avere a che fare con una Greengrass fosse difficile.
 
Figuriamoci due.
 
 

 
 
- Oggi è l’ultimo dell’anno, tesoro. Tu e Draco avete intenzione di fare qualcosa?
La domanda di sua madre, proveniente dalla cucina, la fece irrigidire a tal punto che Hermione non fu capace di articolare un discorso decente per parecchi minuti. Divenne immobile come un blocco di marmo, tanto che Laurel, che era tra le sue braccia, le lanciò un’occhiata a metà tra la curiosità e l’incomprensione. Draco, dal canto suo, la guardò in un modo che le fece girare la testa. Perché dicevano una sola cosa, i suoi occhi.
 
Dobbiamo parlare.
 
E Hermione pur di non arrivare mai a quel momento avrebbe davvero fatto tutto quello che era in suo potere, se poteva servire a rimandare il dolore che l’avrebbe avvolta e distrutta di nuovo.
- Non lo so. – borbottò a denti stretti, mentre osservava senza interesse le immagini che scorrevano sul televisore e i canali che cambiavano continuamente.
- Ferma, Paco! Voglio vedere Pingu! – esclamò ad un certo punto la bambina, agitandosi tra le braccia di Hermione.
- Ahi. – la ragazza emise un gemito di dolore, quando la cuginetta le colpì la pancia, senza volerlo.
Laurel si bloccò di scatto, guardandola dispiaciuta e sorpresa.
- Scusami. – borbottò arrossendo. – Ti ho fatto male?
- Assolutamente no. – rispose Hermione, sforzandosi di sorridere e andando ad accarezzare la sua pancia ormai già in evidenza, avvertendo lo sguardo perforante di Draco su di lei, ma non osando alzare gli occhi. La piccolina la osservò, leggermente dubbiosa. – Dai, muoviti a rimettere Pingu, prima che finisca la trasmissione. – la incitò allora la Grifondoro.
Laurel, pur essendo una bambina molto sensibile e attenta, era pur sempre, una bambina, per l’appunto. E quando Hermione nominò il suo programma preferito, gli occhi le s’illuminarono, mentre si allontanava di scatto dalla cugina, per lanciarsi come un piccolo pesce su Draco nel tentativo di rubargli il telecomando.
Senza più Laurel tra le braccia, Hermione si sentì stranamente vuota, come se le mancasse qualcosa. O forse, si era talmente impegnata in quella settimana ad avere sempre qualcosa da fare, o uno dei suoi cuginetti in braccio, che la totale assenza di attività la stordiva leggermente. Si alzò, stanca senza neanche sapere il perché, e decise di andare a far compagnia a sua madre, senza curarsi di Draco che stava litigando con sua cugina per il possesso del telecomando. Da quando il Serpeverde aveva compreso cosa fosse la televisione, con tutti gli oggetti ad essa collegati, ne era rimasto talmente impressionato che ogni giorno passava almeno un’ora a cliccare i diversi tasti del telecomando e a far scorrere le immagini.
- Va tutto bene, Hermione? Il bambino ti dà qualche problema? – le domandò la madre, apprensiva, asciugando frettolosamente un piatto.
La ragazza avvertì il Serpeverde alle sue spalle smettere di litigare con Laurel per trattenere il respiro. Evidentemente doveva aver sentito e, a quanto pare, l’idea continuava a turbarlo.
- No, certo che no. Non… so cosa mi succede, a dir la verità. – mentì.
Oh, lo sapeva eccome cosa le stava succedendo. Non voleva certo dirlo a sua madre, però. Quando pochi giorni prima, dopo aver udito la conversazione tra suo padre e Draco, la ragazza si era precipitata in bagno, aveva provato un dolore così grande e logorante, che le era sembrato di rompersi in due. Era stato sicuramente l’evento più traumatico che le fosse mai capitato e l’aveva lasciata debole, vulnerabile, senza fiato né forze e con una stanchezza addosso che ancora non le era passata. Per questo si era concessa qualche giorno di riposo, allontanando anche Draco – lei, che avrebbe voluto sempre averlo vicino – perché aveva bisogno di riordinare le cose, i suoi pensieri e prepararsi a quella discussione fatale che non avrebbe voluto dover affrontare. Sapeva, però, che presto Draco si sarebbe stancato del suo giocare a nascondino, del suo evitarlo costantemente, di non farsi mai trovare da sola per poter parlare. Si sarebbe stancato e avrebbe trovato il modo di farla parlare, magari cogliendola impreparata.
- Allora, per stasera cosa vuoi fare? Louise ha già chiamato un paio di volte. – la informò Jean, mentre continuava a sistemare il piatto. 
- Ah. – borbottò Hermione, rendendosi conto che forse ricercare i suoi vecchi compagni di scuola non era stata proprio una grande idea. Certo, le faceva piacere ritrovare le sue vecchie amicizie, che aveva coltivato negli anni precedenti al suo arrivo a Hogwarts, ma in quel momento voleva solo un po’ di tranquillità. E allo stesso tempo non voleva rimanerci, nella tranquillità, perché temeva che sarebbe stata distrutta da una molto probabile discussione. Merlino, voleva stare da sola e allo stesso tempo non voleva concederselo per paura che Draco la cogliesse di sorpresa.
 
Che grande contraddizione che sono.
 
- Non ho molta voglia di uscire a dir la verità. – confessò. – Chiamerò Louise e le dirò che sono stanca.
- Hai litigato con Draco? – le chiese sua madre, di punto in bianco, guardandola in modo apprensivo.
- N-no. – balbettò, presa alla sprovvista. – P-perché?
Jean rimase con un piatto in mano a scrutarla attentamente, socchiudendo le labbra più volte nel tentativo di dire qualcosa.
- Niente. – rispose alla fine, non volendo forse turbarla. – Sono solo stupide preoccupazioni da mamme. Abituati, perché tra poco lo sarai anche tu! – sorrise, facendo una piccola battuta, sperando di poterla vedere più serena.
E se, da una parte, Hermione rise, dall’altra nel salotto Draco per poco non si strozzò con la sua stessa saliva.
 
 
 
 
 
Le cose non vanno mai come dovrebbero.
 
Merlino, dopo migliaia di volte che questa frase si era rivelata veritiera, Hermione avrebbe dovuto come minimo impararsela a memoria, o, se non altro, cominciare a prepararsi un piano B, anche un C magari, per qualunque evenienza. Ma, quella sera, mentre festeggiava l’ultimo dell’anno insieme ai suoi parenti, aveva deciso, per una volta, di non preparare proprio alcun piano, spegnendo la testa e godendosi il momento. Mancava poco più di un’ora alle 24.00 e i suoi cuginetti erano ansiosi di far scoppiare le pistole piene di coriandoli e di vedere i fuochi d’artificio risplendere di mille colori nel cielo.
- Santo cielo. – si lamentò sua zia Emily. – Non hanno ancora cinque anni e non riesco a metterli a dormire prima della mezzanotte o a farli stare fermi per più di dieci minuti. – borbottò, riferendosi chiaramente ai suoi piccolini.
- Zia! Girati! – esclamò Laurel ad un certo punto, indicando col dito il piccolo Nate che, chissà come, si trovava sopra il tavolo, e si stava impiastricciando con la torta che avrebbero dovuto aprire soltanto allo scoccare della mezzanotte. – Si sta mangiando il dolce da solo! – si lamentò la bambina, mettendo il broncio.
- Non è che la stia proprio mangiando… – borbottò Draco, nello stesso momento in cui Emily gridava.
- NATHAN! Il dolce non è qualcosa con cui puoi giocare!
Hermione si sorprese della battuta uscita dalle labbra del ragazzo, solitamente freddo e taciturno, e si sconcertò ancora di più, quando vide sua cugina afferrarlo per la manica del maglione e Draco, in risposta, sorriderle leggermente. Sbatté gli occhi, incuriosita dalla scena, non sapendo se esserne più felice, perché il Serpeverde si stava lentamente abituando alla sua famiglia, o allucinata, per quell’improvviso gesto di dolcezza. Quando, però, Draco alzò lo sguardo e notò gli occhi di Hermione scrutare lui e Laurel con attenzione, il ragazzo s’irrigidì e prese a fissarla in modo estenuante, così apertamente e indiscretamente che la Grifondoro arrossì. Conscia del suo tentativo di metterla a disagio, Hermione si voltò, prestando attenzione a Nate che, a quanto pareva, non potendo più imbrattarsi con il dolce, era passato ad osservare con molta attenzione e curiosità le bottiglie di spumante, poste sul ripiano più alto della cucina. E nonostante fosse impossibile, per un bambino di cinque anni, riuscire ad arrivare tanto in alto, Hermione era sicura che il suo cuginetto pestifero un modo per avere quelle bottiglie di spumante lo avrebbe trovato, per cui lo prese in braccio, cogliendolo alla sprovvista, e lo fece volteggiare, distraendolo dal suo obiettivo.
- Nooo!! Tata, mettimi giù!!! – protestò il gemellino.
Hermione ridacchiò, immergendo il viso nei suoi capelli biondi.
- Cosa volevi fare, birbantello? – lo brontolò dolcemente, lasciandogli un bacio sulla guancia candida.
- Nulla! – rispose il cuginetto, assumendo un piccolo broncio adorabile e occhieggiando le bottiglie di spumante di nascosto. La Grifondoro ridacchiò, mentre stringeva il piccolo di casa.
- Ma certo. – commentò, allontanandolo strategicamente dal luogo del suo interesse.
- Oh, bene, Tommy! Adesso vuoi dirmi che è stata la nonna a rovesciare tutti i bicchieri per terra?! – l’urlo di Emily sovrastò la sua voce, facendo voltare Hermione di scatto, in tempo per vedere gli occhi del piccolino farsi lucidi.
- Ma mamma… – tentò di protestare Thomas, tirando su col naso. – … Non sono stato io.
- E dunque è stata la NONNA? Tommy, abbi almeno il coraggio delle tue azioni!
- Zia, Thomas è solo un bambino. – commentò la ragazza, mentre stringeva tra le braccia Nate che aveva nascosto la sua testa nell’incavo della sua spalla. – Non essere così severa.
- Ne riparleremo tra pochi mesi, Hermione. – la freddò sua zia, prospettandole il figlio che da lì a poco avrebbe avuto, quasi con una punta di acidità. Tutta la sua famiglia era ormai a conoscenza del nuovo membro che tra poco avrebbe fatto parte della loro famiglia e la notizia era stata accolta dapprima con sconcerto, ma successivamente con gioia. L’unica persona che non sembrava propriamente felice era suo zio Charlie, che la osservava con un’espressione corrucciata ed era l’unico che non le avesse ancora fatto le congratulazioni, al contrario del resto della famiglia. Hermione non riusciva a capirne il motivo, ma Charlie era pur sempre il fratello di sua madre e caratterialmente si assomigliavano molto: e proprio come sua madre era stata fredda e distaccata i primi due giorni dalla scoperta della gravidanza, anche lui pareva si stesse comportando nella stessa maniera.
- Emily, tesoro mio… sono stata io, a dir la verità, a rovesciare i bicchieri. – ammise a quel punto la nonna di Hermione con uno sguardo dispiaciuto, distraendo la ragazza dai suoi pensieri – Sono inciampata.
- C-che?! – sbottò la zia, sconcertata.
- Ormai non mi reggo più neanche in piedi, bimba mia. Non c’è poi tanto da meravigliarsi… – commentò, con uno sbuffo di risata.
- Oh…Io credevo che…Thomas… – mormorò, sorpresa. – Oh, piccolo, scusami. – borbottò allora Emily, dispiaciuta, prendendo in braccio suo figlio. – Vedi cosa succede, Hermione, quando sei esaurita? Di non essere più neanche in grado di ragionare lucidamente. – ironizzò, rivolgendosi alla nipote e guardando con dolcezza il suo bambino, che, già dimentico dell’accaduto, le aveva afferrato il naso con la manina.
Hermione tentò di sorridere, inquietata però dalle parole di sua zia. Sapeva benissimo quanto fosse difficile crescere e accudire un bambino, ma aveva sempre pensato che ce l’avrebbe fatta, lottando con le unghie e con i denti per conseguire il suo obiettivo. Adesso, la prospettiva di doversi prendere cura, da sola, di qualcuno che dipendeva totalmente da lei la spaventava a morte. Scosse la testa, scacciando i brutti pensieri, non volendo rovinarsi quella serata piena di gioia.
- Tata, ho sete. – borbottò Nate, a quel punto, spalancando i suoi occhioni blu.
Hermione sorrise, scompigliando i capelli color grano del cuginetto e stringgendolo di più.
- Andiamo a bere, allora.
- Come fanno i cammemmi!
La Grifondoro ridacchiò.
- Sì, Nate, proprio come fanno i cammelli.
Il piccolino non si preoccupò della sbagliata pronuncia, prendendo piuttosto a succhiarsi il dito. Osservò con interesse tutti gli oggetti presenti nella cucina, dove Hermione si era diretta per prendere l’acqua, cercando di trovare qualcosa con cui giocare.
- Non farti venire strane idee, Nathan. E non guardare in quel modo il coltello! – lo rimproverò Hermione, scherzosamente.
Il cuginetto s’imbronciò.
Hermione prese un bicchiere di plastica dalla credenza, senza lasciare suo cugino, consapevole di quanto fosse rischioso non tenerlo sotto mano. Una volta riempito, lo passò a Nate e, mentre il cuginetto si accingeva a bere, lei rimase per più di dieci secondi a fissare il bancone dietro di loro. Quello stesso bancone al quale suo padre si era appoggiato, durante la discussione con Draco.
 
È vero. Io non amo sua figlia.
 
Il groppo che le si formò in gola per poco non le fece cadere il bambino dalle braccia.
- Hermione, potresti andare a prendere i fuochi d’artificio? Li ho nascosti in camera tua!
- Zio! – protestò, sobbalzando per la sorpresa e voltandosi verso Jared. – Manca ancora un’ora alla mezzanotte! E poi cosa ci fanno i fuochi in camera mia?
Jared assunse una faccia colpevole, ridacchiando leggermente in imbarazzo.
- Non volevo certo invadere la tua privacy, ma avevo bisogno di un luogo dove non potessero essere scovati e dove a tua zia non sarebbe mai venuto in mente di  controllare. – ammise. – E la tua camera è l’unica in cui non ha controllato, quindi ho fatto bene a metterli lì. – aggiunse, prima che la nipote potesse commentare.
Hermione rise, conscia della disputa che ogni anno Emily e Jared intraprendevano sul lancio dei fuochi, che, secondo suo zio non potevano certo mancare l’ultimo dell’anno, mentre sua zia sosteneva che fossero eccessivamente pericolosi, soprattutto con i loro due bambini super curiosi che avrebbero potuto farsi male accidentalmente con quegli oggetti.
- D’accordo. – acconsentì, continuando a ridere.
- C’è poco da ridere, nipote. Ogni anno diventa più difficile riuscire ad acquistare quei preziosi fuochi! – sbottò suo zio, leggermente offeso. – E adesso lasciami il mio bambino, che voglio coccolarlo un po’. – borbottò, prendendo Nate dalle sue braccia, per poi sussurrarle nuovamente all’orecchio di correre a prendere i fuochi, prima che fosse troppo tardi.
- Grazie, tata!! – esclamò il piccolo, sventolando il bicchiere per aria.
Hermione scosse la testa, mentre controllava con la coda dell’occhio che sua zia non la vedesse salire le scale per andare al piano superiore.
Quando raggiunse la sua stanza, frugò dapprima nell’armadio, poi nei cassetti, dove già qualche anno prima erano stati nascosti i fuochi. Sbuffò, quando non trovò niente e quando l’unica cosa che rimase fu quella di guardare sotto al letto.
- Uffa. – si lamentò, sottovoce. Era incinta, le faceva male la schiena e l’ultima cosa che voleva era quella di piegarsi per terra. Non era certa che si sarebbe rialzata.
Si accucciò, spostandosi un ricciolo che le era ricaduto sulla fronte e allungò una mano per prendere una busta che non aveva mai visto prima d’ora.
 
Trovati.
 
Sbirciò all’interno del sacchetto, per avere la certezza che fosse quella giusto, e vide una quindicina di fuochi d’artificio, pronti per essere utilizzati.
- Hei, Hermione.
La ragazza si voltò di scatto, ancora seduta per terra, osservando sua zia Abigail che la scrutava incuriosita.
- Ciao, zia. – rispose, chiudendo la busta. – Mi dai una mano? – chiese poi, allungando le braccia per farsi aiutare a sollevarsi.
- Ma certo. – acconsentì. – Oplà!
- Grazie, zia. – Hermione sorrise, mentre scuoteva via la polvere dai suoi pantaloni.
- Stai diventando pesante, nipotina mia!
- Così pare. – mormorò la ragazza, arrossendo. – Tra poco non mi vedrò più neanche i piedi, sto ingrassando a vista d’occhio.
- Non stai ingrassando, Hermione. – la contraddisse Abigail. – Stai dando vita a un bambino.
La Grifondoro adorò il dolce modo di affrontare la questione di sua zia, che tra tutti i membri della famiglia, dopo sua nonna, era stata la prima ad abbracciarla e a sussurrarle che sarebbe andato tutto bene.
- O bambina. – aggiunse Hermione, con un sorriso sulle labbra.
Gli occhi di sua zia s’illuminarono.
- Quando potrò sapere il sesso del mio nuovo nipotino?
- Beh…uhm… – borbottò, Hermione, presa in contropiede da quella domanda. – A dire il vero, non lo so. Ormai sono quattro mesi, quindi… alla prossima ecografia, potrei già venirne a conoscenza.
- Oddio, davvero? – esultò sua zia, eccitata. – Non vedo l’ora di saperlo! Me lo dirai, vero? Non mi lascerai nel dubbio come ha fatto tua madre quando era incinta di te, giusto? – domandò con un’espressione fintamente minacciosa.
- Non penso proprio, sono una frana nel mantenere i segreti. – ammise, ridacchiando.
- Meglio così. – sentenziò sua zia. – Quando ce l’hai?
- Ho l’appuntamento tra tre giorni. – meditò la ragazza, conteggiando quanto poco mancasse effettivamente alla prossima visita.
Già… l’appuntamento che sua madre aveva preso una settimana prima, pregandola di portarle almeno una foto dell’ecografia del bambino, prima che arrivasse il momento di tornare a Hogwarts. Hermione aveva sperato di poter portare anche Draco insieme a lei, in un primo momento, ma per come si erano raffreddati i rapporti tra loro durante quegli ultimi giorni, dubitava seriamente che sarebbe riuscita a convincerlo. Soprattutto perché non aveva intenzione di affrontare con lui una discussione, di nessun genere.
- Cos’hai in quella busta? – le domandò Abigail, con un’espressione interrogativa, distogliendola dai suoi pensieri.
- Non lo immagini, zia?
La donna sospirò, intuendone il contenuto.
- Emily lo ucciderà. – disse infine, scambiandosi un’occhiata complice con la nipote.
- Già. – convenne Hermione. – Puoi portarla tu al piano di sotto? Io intanto mi sciacquo le mani. – si giustificò, mostrando due palmi leggermente sporchi.
- Dovresti pulire la tua stanza, signorinella: il pavimento della camera è un po’ sporchino. – brontolò sua zia, da buona donna di casa, prendendo il sacchetto che Hermione le porgeva.
- Hei. – borbottò la ragazza, mettendo un finto broncio.
- Hai diciassette anni! Io, alla tua età…
- Lo so, lo so, zia, tu lavoravi tutto il giorno. Dai, che sembri la nonna. – la interruppe la Grifondoro, trattenendo a stento una risata.
- La nonna ha ragione! – ribatté Abigail, mentre scendeva le scale che portava al pian terreno.
La nipote alzò gli occhi al soffitto, prima di dirigersi in bagno e pulirsi velocemente le mani. Erano circa le undici e un quarto, l’orario in cui lei e sua nonna si mettevano a giocare a carte per ingannare il tempo, in attesa della mezzanotte. Non che avesse poi così tanta voglia di iniziare una partita a briscola o rubamazzetto, ma ormai era una specie di tradizione riunirsi intorno al tavolo con sua nonna e non poteva certo mancare. Uscì frettolosamente dal bagno, senza neppure accendere la luce del corridoio, avanzando a tentoni su quel percorso che ormai conosceva a menadito.
Neanche si accorse della figura che aveva salito le scale, se non quando si ritrovò letteralmente spiaccicata contro il muro, i polsi bloccati e le gambe premute con forza contro lo stipite della porta della sua camera.
- Tu sei davvero una grandissima stronza.
Non aveva certo bisogno, Hermione, di accendere la luce per comprendere di chi fosse quella voce, in quel momento così irritata. Riusciva perfettamente a immaginarsi Draco, a un centimetro da lei, con la mascella contratta, a deformargli il bel viso. Il cuore prese a batterle all’impazzata, quando si rese conto della distanza minima tra i loro corpi, del suo seno schiacciato contro il suo petto, delle sue gambe a contatto con quelle del ragazzo, e dei loro respiri che si rubavano quasi l’aria a vicenda.
- Cosa stai dicendo? Lasc… – farfugliò, senza riuscire a terminare la frase.
- Taci, Mezzosangue, taci. – la interruppe Draco, che controllava a stento la rabbia, mentre la trascinava all’interno della sua stanza, dopo aver osservato che non ci fosse nessuno. – Non far finta di non capire di che cosa sto parlando.
Hermione inciampò nei suoi stessi piedi e dovette reggersi al muro per non rovinare a terra, quando Draco la lasciò per chiudere la porta.
- Cosa stai fac…
- Non una parola, Granger. – sibilò, interrompendola una seconda volta.
La Grifondoro trattenne il respiro, indietreggiando verso il letto, mentre avvertiva il proprio cuore pompare a una velocità inaudita: con tutti questi tumulti, prima o poi le sarebbe venuto un infarto, probabilmente. La ragazza ingoiò un groppo di saliva, mentre si sedeva sul materasso e un brivido di terrore risaliva lungo la sua spina dorsale; aveva evitato Draco per una settimana, per Merlino, si era distratta soltanto per qualche secondo, come era possibile avere tanta sfortuna?
- Io non…
 
Non voglio parlare con te.
 
Ma voleva davvero rimandare? Che senso avere continuare a fingere che Draco non sapesse quello che lei sentiva per lui? Strinse convulsamente le lenzuola, osservandolo sistemarsi di fronte a lei, a gambe incrociate.
- Non m’interessa cosa non vuoi, Granger. Neanch’io avrei voluto passare una settimana senza avere la possibilità di parlarti, per Salazar, ma a quanto pare è accaduto lo stesso! – la aggredì, mentre una vena gli pulsava pericolosamente sul collo. Hermione distolse lo sguardo, consapevole di quanto lo dovesse aver fatto incazzare con il suo comportamento da fuggitiva.
- Come se a te interessasse parlare con me! – sputò poi, più acidamente di quanto si sarebbe aspettata, consapevole che l’unica ragione per cui Draco volesse far luce sulle parole che gli aveva detto suo padre, era trovare un ulteriore motivo per umiliarla.
Il Serpeverde ammutolì per un secondo, prima di fare una smorfia e riprendere a parlare, nello stesso momento in cui si sentì un urlo stridulo proveniente dal piano di sotto. La zia di Hermione doveva aver trovato i fuochi d’artificio.
- Beh, forse, in questo caso, m’interessa parlare con te, contrariamente a quanto pensi! – sbottò il ragazzo, prima di rendersi effettivamente conto di quello che stava dicendo.
 
Sì, soltanto per farmi star male.
 
- Adesso parleremo, che ti piaccia o no. – sentenziò infine, implacabile, con uno sguardo duro come il ghiaccio.
- Tu non puoi…
- O devo passare il resto dei miei giorni a chiedermi se tuo padre è un vecchio pazzo, Hermione? – la interruppe per la terza volta.
 La sorpresa fu talmente grande che la ragazza alzò di scatto lo sguardo su di lui, prima costantemente rivolto al pavimento, e il tessuto che aveva stretto tanto convulsamente cadde dalle sue mani, lasciandole completamente vuote. Non sapeva neppure come reagire: aveva semplicemente voglia di mettersi a saltellare per la stanza e piroettare migliaia di volte, ridendo come una bambina. Non aveva mai davvero creduto che avrebbe sentito ancora una volta il suo nome pronunciato dalle labbra di Draco, non entro breve tempo almeno, e adesso che era successo ne era talmente felice che le veniva da piangere.
- Se sapevo che bastava chiamarti per nome per farti stare zitta, l’avrei fatto prima. – ironizzò lui, incosciente di quanto ci volesse poco per farla andare in confusione.
 
Di quanto bastasse poco per farla felice.
 
Basterebbe che tu mi amassi, Draco. Anche solo un po’.
 
Hermione non rispose, abbassando lo sguardo e tenendo a freno lo scalpitante desiderio di gridargli in faccia quali fossero i suoi veri sentimenti per lui.
 
Sono innamorata di te.
 
- Hai detto di aver ascoltato la conversazione tra me e tuo padre. – disse Draco, andando subito al punto e facendo balzare il cuore in gola a Hermione.
- Sì. – mormorò lei, flebilmente, maledicendosi per non aver dato retta a sua madre.
 
Io non amo sua figlia.
 
- Quindi, presumo che tu sappia anche quello che mi ha detto.
Hermione annuì, conficcandosi le unghie nel palmo, mentre le venivano le lacrime agli occhi. S’impedì di farsi sfuggire il singhiozzo che premeva contro le sue labbra, conficcando le unghie nel candido palmo della mano.
 
Sono innamorata di te.
 
- Volevo parlartene, chiederti cosa diavolo intendesse tuo padre, ma tu…
- So cosa ho fatto. – stavolta fu il turno della Grifondoro di interromperlo. Si morse le labbra per non gridare, mentre le sue dita freneticamente tornavano a stringere il lenzuolo, rischiando di strapparlo. – So di averti evitato.
Non distolse lo sguardo da Draco, che la scrutava silenziosamente, senza mostrare alcuna emozione. Per Godric, a cosa accidenti stava pensando? Aveva capito sì o no, cosa lei provasse per lui? E mentre questa domanda si formava nella mente di Hermione, un pensiero già presente, con pressante forza, premette contro le sue corde vocali per uscire.
 
Sono innamorata di te.
 
Per mesi glielo aveva nascosto, eppure in quel momento desiderava semplicemente lasciar andare quelle parole, per alleggerire il suo cuore. Sapeva che l’avrebbe umiliata, denigrata e, probabilmente, deriso i suoi sentimenti, ma era arrivata al limite massimo di sopportazione. Non poteva andare avanti in quel modo, con il cuore letteralmente a pezzi e la mente nella più totale confusione.
- Sì, mi hai evitato e mi hai lasciato in balia di quegli schizofrenici dei tuoi familiari che… – s’infervorò immediatamente il Serpeverde, momentaneamente dimentico del fulcro della discussione.
- Non sono schizofrenici. – lo interruppe nuovamente Hermione, mentre tentava di regolarizzare il respiro e respingeva sempre con più forza quelle parole che adesso avevano preso a rimbombare nella sua testa, dandole la dolorosa impressione di avere un tamburo a pochi centimetri dalle orecchie.
 
Sono innamorata di te.
 
Draco assottigliò lo sguardo.
- Senti, Granger, potresti farla finita di interr…
- Sono innamorata di te.
E, alla fine, Hermione quel pensiero lo gridò davvero, incapace di contenerlo. Le parole scivolarono fuori dalle sue labbra, con un’impressionante velocità e forza inaudita. Rotolarono fuori dal suo corpo, finalmente libere di essere espresse, non più disposte ad essere messe da parte, addomesticate e poi rinchiuse in un cassetto.  E Hermione non sapeva neanche se fosse stato il frutto della sua mente malata, se fosse solo la sua immaginazione ad averle pronunciate, o se lo avesse fatto davvero, se davvero avesse avuto quel coraggio. Ma quando vide il respiro di Draco bloccarsi e gli occhi sbarrarsi, per poco non ebbe una crisi isterica, comprendendo di aver detto quelle parole ad alta voce. Emise un singulto, facendo un balzo all’indietro, spalancando gli occhi a sua volta, mentre le mani prendevano a tremarle.
 
Sono innamorata di te.
 
Glielo aveva detto. Glielo aveva detto sul serio. Glielo aveva gridato in faccia, guardandolo negli occhi, con una sicurezza e una sincerità nella voce, che non potevano far dubitare Draco della veridicità delle sue parole. Il primo impulso di Hermione fu quello di tirarsi uno schiaffo, il secondo quello di scoppiare in una risata al limite della disperazione, magari dicendo al Serpeverde che stava soltanto scherzando. Il terzo fu di scappare dalla stanza, soprattutto quando Draco la fissò in un modo così penetrante, da farle sentire vergognosamente nuda. Il quarto e ultimo impulso fu di ripeterle, quelle sue maledette parole. Di ripeterle fino allo sfinimento, tante volte e in continuazione, finché il cuore non le fosse scoppiato nel petto, finché Draco non le avesse chiesto di smetterla, fino a non avere aria nei polmoni, né voce per parlare. E Hermione ebbe la chiara consapevolezza che in quel momento sarebbe stata persino pronta a ripetere quelle parole in eterno, senza aver bisogno di fermarsi, nel disperato desiderio di far capire a Draco quanto grande fosse tutto quell’amore che lui non conosceva, quanto immensamente fosse doloroso e ingombrante.
Credeva che confessargli i suoi sentimenti sarebbe stato autodistruttivo e inutile: Hermione non avrebbe potuto sbagliare di più. Pronunciare finalmente, ad alta voce, quelle parole che aveva tanto tenuto segrete e nascoste nell’angolo più recondito del suo cuore, le diede la dolce impressione di essere tornata a respirare dopo mesi di agonia. 
- Cosa Merlino stai blaterando? – mormorò il Serpeverde con voce roca, qualche secondo più tardi. E la Grifondoro, che aveva creduto di sentirsi a pezzi, mentre metteva così a nudo i suoi sentimenti, si riscoprì invece più forte di quanto non avesse mai pensato. Sentì quell’immenso desiderio di avvicinarsi di più, di stringerlo in un ferreo abbraccio e sussurrargli di nuovo quanto l’amasse, non curandosi di altro.
- Ho detto che…provo… provo qualcosa per te. – affermò, senza vergogna, chiedendosi lei stessa da dove derivasse quell’inaspettato coraggio. Le mani tremanti cominciarono a formicolare, il respiro accelerò, mentre una nuova e stranissima sensazione le scorreva fin dentro le ossa. Non riusciva a identificarla, non avrebbe saputo definirla buona o cattiva, semplicemente… nuova, diversa.
 
Sono innamorata di te.
 
Non l’ho mai detto a nessuno.
 
Hermione aprì la bocca per parlare, scoprendosi all’ultimo momento incapace di articolare un discorso decente. Era questo che si provava nel dire ti amo a qualcuno? Era questo che si provava nell’esprimere i propri sentimenti? Si era convinta, in quella settimana appena trascorsa, che quando sarebbe arrivato il momento di affrontare l’argomento con Draco, tutto quello che avrebbe provato sarebbe stato solo dolore, sofferenza, ansia e paura. Eppure non avvertiva nessuna di queste emozioni, non nel modo distruttivo con cui aveva creduto, perlomeno. Tutto quello che percepiva, mentre scrutava sempre più attentamente le espressioni sul viso di Draco, era un’emozione del tutto nuova, che le faceva salire l’ansia alla gola, ma che le trasmetteva serenità ed eccitazione allo stesso tempo, quasi in modo contradditorio. Era qualcosa che le faceva tremare le mani e l’intero corpo, da capo a piedi, ma non per paura o terrore.  Prendendo un grosso respiro, Hermione cercò di far rallentare il battito del suo cuore, che correva a un ritmo impazzito. Fissò nuovamente l’espressione di Draco, qualcosa a metà tra lo sconcerto, l’incredulità e il ribrezzo. Ma non le importò. Non le importò, in quel momento, di cosa fosse presente nel suo sguardo.
 
Non ho più niente da nascondere.
 
Forse era proprio questa consapevolezza, l’idea di aver davvero fatto tutto quello che poteva, che la faceva fremere d’aspettativa, impedendole di chiudersi all’interno della sua bolla di dolore. 
- Io credevo che… – mormorò Draco, tra sé e sé, quasi con una punta di risentimento nel tono di voce.
Hermione non mosse un muscolo, mentre riusciva a vedere gli ingranaggi nella mente di Draco lavorare forsennatamente e ricollegare pian piano tutte le tessere del puzzle. Serrò le labbra, per impedirsi di ripetere quel sono innamorata di te che lui sicuramente avrebbe disprezzato e deriso entro pochi secondi. Non aveva la minima idea di cosa le stesse succedendo in quel momento, da dove Merlino provenisse quel fortissimo impulso di ripetere fino allo sfinimento quanto tenesse a lui, quando fino a poche ore prima aveva tenuto nascosti i suoi sentimenti il più possibile. Percepì il proprio respiro accelerare, per poi bloccarsi improvvisamente, prima velocissimo e d’un tratto poi completamente assente. Merlino, era un bene che Draco non avesse la possibilità di osservare il movimento dei suoi polmoni, altrimenti li avrebbe trovati alquanto impazziti.
 
Sono innamorata di te.
 
Gliel’ho detto, gliel’ho detto sul serio.
 
In quel momento, quando Hermione non attendeva altro che Draco dicesse qualcosa, qualunque cosa, un frastuono risuonò al piano di sotto, accompagnato dal pianto di uno dei due gemellini. La bolla di euforia e trepidazione che avvolgeva la giovane Grifondoro esplose come se fosse fatta di sapone, riempiendole la mente come un torrente in piena. E la consapevolezza, la incredibile e tremenda consapevolezza di quello che era appena successo la investì con tutte le sue forze, lasciandola debole, confusa e scombussolata.
 
Cosa Merlino è appena successo?
 
Gliel’ho detto, gliel’ho detto, gliel’ho detto.
 
Sono innamorata di te.
 
E quando Hermione guardò nuovamente Draco, capì subito che lui non sarebbe stato indulgente, né tantomeno clemente: non le avrebbe sorriso, non avrebbe allungato una mano per prendere la sua, non le avrebbe dato un dolce bacio sulle labbra, sussurrandole di amarla a sua volta, come nelle commedie romantiche. Non sarebbe stato né gentile, né comprensivo nei suoi confronti, come nelle sue più remote speranze, ma crudele e meschino come solo Malfoy poteva essere. Lo comprese da quella luce inquietante che vide balenare in fondo al suo sguardo, qualcosa di indefinitamente terrificante, che la fece rabbrividire e gelare sul posto.  Hermione attese, imponendosi calma, immaginandosi la sua reazione, prevedendola e già provvedendo a difendersi.
- E io che credevo che fosse tuo padre, lo stupido. – sibilò Draco, dopo secondi di riflessione, con un tono così tagliente che Hermione temette di rimanerne affettata. – Sei proprio fuori di testa se pensi che io… –
Ma Hermione non fu disposta ad ascoltare altro. Perché lo sapeva, Merlino se lo sapeva. Sapeva perfettamente cosa stava per dire, il modo in cui avrebbe concluso la frase e non voleva assolutamente udire il suo tono sprezzante.
Le sue parole arroganti avrebbero dovuto ferirla, farla cadere in un limbo pieno di lacrime e sofferenza, ma stavolta non fu così.
Il dolore non le divorò l’anima.
- Sì, sono fuori di testa, probabilmente. – lo interruppe, asciugandosi gli occhi appena velati. – E se hai pensato che lo fosse mio padre, hai sbagliato i tuoi calcoli, allora. – sputò con altrettanta asprezza, difendendosi da lui. – Sono solo io la stupida. – si ritrovò a confessare, consapevole di quanto fossero vere quelle parole. – Sono io la stupida che si è fatta mettere incinta da te, portando avanti una gravidanza difficile e dolorosa, sono io la stupida che si fa condizionare da te, dai tuoi maledetti occhi! – esclamò, mentre le mani le formicolavano, il fiato che veniva a mancarle. Sapeva di doversi fermare, di non dover mettere così a nudo i suoi sentimenti, ma le parole uscivano come un fiume in piena, ormai stanche di essere controllate. – Sono io la stupida che sta male per te, e tu sei un grandissimo idiota, per quanto tu possa essere intelligente, a volte sei così poco perspicace da farmi riflettere sul fatto che tu abbia un cervello o meno! Sono io e solo io la stupida che torna, ogni Merlino di volta, perché spero sempre che tu possa cambiare o perlomeno maturare, e sempre, sempre, capisco di sbagliarmi. – la gola le bruciava per lo sforzo e il fiato cominciò a mancarle. – Sono solo io che… che… – e l’aria le mancò sul serio, in quel momento, quando si accorse di aver detto tutto, ma proprio tutto, quello che per mesi aveva riempito il suo cuore, la sua testa, la sua pelle. La sua voce tremolò e le sue mani presero ad artigliare la stoffa del lenzuolo, ormai completamente spiegazzata.
 
Sei solo tu quella innamorata, Hermione.
 
La ragazza respirò pesantemente, mentre osservava le spalle di Draco irrigidirsi e la sua mascella contrarsi.
 
Gliel’ho detto. Per Godric, gliel’ho detto.
 
Il Serpeverde si passò una mano tra i capelli, come se volesse strapparseli uno per uno, prima di tornare a guardarla e farla deglutire pesantemente.
- Non pretendo e non mi aspetto niente da te, Draco, se non il rispetto. – concluse, senza forze. – E nel caso tu non voglia avere nulla a che fare con me o con nostro figlio, sei libero di andartene quando vuoi. – Hermione osservò chiaramente il fremito che aveva colto il corpo del Serpeverde alle sue parole, ma non si preoccupò di alleggerire o filtrare il discorso. Che senso aveva, ormai?
- Ragazzi, mancano soltanto un quarto d’ora a… – la porta della camera si aprì, bloccando la risposta di Draco, che richiuse la bocca che aveva aperto per parlare. – Oh, ho… interrotto qualcosa?
Jean guardò la figlia, dispiaciuta, chiedendole silenziosamente se fosse il caso di andarsene via. La ragazza le lanciò una leggera occhiata, rivolgendo principalmente la sua attenzione al Serpeverde, sperando di cogliere un mutamento, un segno o qualunque altra cosa nei suoi occhi o nei suoi gesti. Merlino, gli aveva appena rivelato di essere innamorata di lui, di aver sofferto come non mai per la sua assenza e Draco non si era scomposto neanche di un millimetro? Possibile che le sue parole fossero così poco importanti, così prive di significato per lui? Le vennero le lacrime agli occhi dalla frustrazione, sentendosi così impotente di fronte alla sua indifferenza; non le restò altro che spostare la sua attenzione su sua madre, rispondendo a malapena.
- No, mamma, non hai interrotto niente.
 
Non c’è niente qui.
 
Soltanto il mio cuore frantumato.
 
Era pronta ad alzarsi, ingoiando l’umiliazione e l’orgoglio che infuriavano dentro di lei, conscia che ormai il Serpeverde non le avrebbe risposto, quando delle dita fredde come il ghiaccio le afferrarono rudemente un braccio, impedendole di muoversi.
- Sì, invece. – rispose Draco, guardando la madre di Hermione. – Abbiamo bisogno di parlare, signora Granger.
- Oh! Certo, uhm…vi aspettiamo al piano di sotto, allora. – mormorò Jean, leggermente incuriosita e stralunata dalla situazione. Lanciò uno sguardo alla figlia che significava “dopo mi spieghi cosa sta succedendo”, mentre la suddetta figlia rischiava di avere un collasso, per il cuore che galoppava, iperattivo, nel petto.  Merlino, prima o poi le sarebbe preso un infarto, ne era convinta.
La donna abbozzò un sorriso, lanciando una strana occhiata ammonitrice a Draco, successivamente richiuse la porta della camera.
 - Volevi andartene via? – sputò il Serpeverde scoppiando all’improvviso, facendo probabilmente riferimento al suo comportamento di poco prima, sbottandole quelle parole in faccia non appena udì i passi della madre di Hermione scendere le scale. – Dopo tutto quello che mi hai detto, volevi andartene via come se non fosse successo nulla, per Salazar?!
- C-ch... – mormorò la ragazza, presa alla sprovvista. – Cosa stai dicendo?! TU non hai mosso un muscolo, mentre… – il cuore le saltò in gola, quando si accorse della mano di Draco, ancora stretta intorno al suo braccio che non accennava a lasciare. Il Serpeverde seguì la traiettoria del suo sguardo, ritraendo immediatamente il suo arto.
- E magari avevi pure intenzione di evitarmi per un’altra settimana, tanto per farmi andare un altro po’ fuori di testa, dato che…  – cominciò Draco a blaterare, come se non l’avesse sentita.
- Non stavo scappando! – esclamò Hermione, interrompendolo, con gli occhi fuori dalle orbite per la sua ipocrisia. – Credevo semplicemente che tu non mi avresti risposto, come sempre d’altronde! E poi non sono io la codarda, qui. – sbottò, indecisa se essere più arrabbiata con lui per la sua arroganza o per il fatto che non sapesse far altro che mettersi a litigare, dopo che gli aveva confessato quali fossero i suoi reali sentimenti.
- Cosa Merlino vorresti dire? – sibilò il ragazzo, inacidito.
- Non lo immagini? – ironizzò la Grifondoro, ormai al limite dell’esasperazione. – Tu scappi, Draco. Sempre. Non affronti mai la situazione, preferisci lasciare le cose in sospeso, sperando che si risolvano da sole! Sei solo un…
Hermione non terminò la frase, venendo bruscamente interrotta dallo strattone che il Serpeverde le dette, avvicinandola al suo viso. Non arrossì neppure, ben sapendo che quell’avvicinamento non era certo dovuto a un improvviso desiderio di averla più vicina, ma perché lo aveva fatto arrabbiare. E tanto.
- Non ti azzardare a giudicarmi, Mezzosangue! – sbraitò il Serpeverde, a una spanna dal suo viso. – Non provarci neanche!
- Allora dimostrami che sbaglio. – sfiatò a malapena Hermione, agitandosi per la vicinanza.
Draco trattenne il respiro per un attimo, indeciso; sapeva bene cosa la Grifondoro gli aveva chiesto e non era sicuro di volerle davvero rispondere.
 
Tu scappi, Draco. Sempre.
 
Dimostrami che sbaglio.
 
Non gli stava semplicemente lanciando una sfida, una delle tante che avevano intrapreso, ma tutt’altro. Gli stava esplicitamente chiedendo di non scappare, ma di restare e di affrontare la situazione, di accettarla soprattutto, accettare e prendere in considerazione i sentimenti che gli aveva rivelato e che lo avevano sconcertato più di ogni altra cosa.
 
Non affronti mai la situazione.
 
Dimostrami che sbaglio.
 
Gli chiedeva di scegliere. Di rivelarsi, almeno per una volta, senza nascondersi dietro il suo muro spesso e infrangibile, dove nessuno poteva anche solo sperare di avvicinarsi. Il Serpeverde la fissò in un misto di risentimento e rancore. Merlino, non ci stava capendo più niente. Non aveva mai creduto possibile, Draco, di ritrovarsi in quella situazione, così come non aveva mai immaginato quali fossero in realtà i veri sentimenti della Grifondoro. Aveva sempre ritenuto che l’unica cosa che la spingesse ad avvicinarsi a lui fosse una sorta di attrazione, qualcosa di primordiale, ma privo di sentimenti, molto lontano da quello che era in realtà. E certo non s’immaginava che sarebbe arrivata a confessarglielo.
 
Preferisci lasciare le cose come stanno, sperando che si risolvano da sole!
 
Dimostrami che sbaglio.
 
Certo che avrebbe preferito lasciar le cose come stavano. Avrebbe preferito non udire neanche una singola parola di quelle appena pronunciate dalla ragazza, così forse non gli sarebbe scoppiata la testa. Non gli si sarebbe bloccato il respiro e non avrebbe percepito quella sensazione spiacevolmente logorante risalire per tutto il corpo e fermarsi sul cuore. Non era la stessa emozione che gli imbrattava l’anima, quando si riscopriva, contro ogni logica, a pensarla o a fissarla, facendogli… male. Non era nemmeno rabbia o disprezzo. Era qualcosa di più semplice e allo stesso tempo complicato, che indefinitamente svolazzava nel suo cuore, come un uccellino impazzito. Merlino, non ci stava capendo più niente.
 
Sei solo un…
 
Un codardo, ecco cosa sono.
 
Dimostrami che sbaglio, dimostrami che sbaglio, dimostrami che sbaglio.
 
Draco sbuffò, mentre le tempie prendevano a pulsargli dolorosamente.
- Comunque, adesso capisco… molte cose. – fu quello che Draco riuscì a pronunciare dopo altri minuti di riflessione.
 
Tu torni, Mezzosangue, torni ogni volta.
 
Sono innamorata di te.
 
Perché lo hai fatto, perché hai scelto me?
 
Sono innamorata di te.
 
Hermione, nel frattempo, lo fissava, mentre un tumulto si agitava nel suo cuore e nella sua mente. Non aveva idea di cosa dire e, soprattutto, non aveva idea di cosa stava per dire Draco, che sembrava parecchio inquieto da quando…
 
Sono innamorata di te.
 
- Per Salazar, ma cosa… ti è venuto in mente di… – il Serpeverde s’interruppe, a corto di parole. Cosa stava cercando di dire? Non se lo ricordava. Maledetto macigno nel petto.
 
Basta, fa male.
 
- Quello che hai detto non cambia le cose. – sbottò Draco, faticando per parlare. Doveva chiudere quella conversazione.
 
Niente emozioni, Draco, saranno la tua debolezza.
 
Il viso di Hermione, fino a quel momento contratto in una smorfia, si oscurò ancora di più, così come i suoi occhi.
- Ma certo. – sputò con amarezza. – Come posso pretendere che…? – lasciò la frase in sospeso, mentre si asciugava gli occhi, leggermente lucidi. – Che stupida.
 
Come posso pretendere che tu non faccia finta di niente? Che tu non scappi?
 
Tu scappi, Draco, sempre.
 
Ed Hermione queste cose non le disse ad alta voce, non trovando la forza, ma Draco le intuì lo stesso, le lesse nei suoi occhi, nel suo timbro di voce, perché si irrigidì come una statua di sale.
 
Dimostrami che sbaglio.
 
Non scappare via, Draco, non stavolta.
 
- Cazzo! – esclamò allora il Serpeverde, mentre qualcosa di simile all’ansia gli bloccava il respiro. La fissò, con gli occhi ridotti a due fessure, mentre i muscoli tremavano senza controllo. – Vuoi che sia sincero con te?! – chiese, con uno strano tono e qualcosa che gli ribolliva nel petto. – Non posso esserlo, per Salazar! Non posso esserlo, perché non capisco cosa sta succedendo e, soprattutto, cosa tu mi abbia fatto per… confondermi così! – sbraitò, al limite dell’esasperazione, non sopportando più tutto quello che si agitava dentro di lui e che alla fine era scoppiato, proprio come un palloncino.
 
Cos’è? Cos’è tutta questa roba che ho dentro?
 
- Che?! – Hermione non riuscì a trattenersi dal pronunciare, sbigottita dal suo scoppio d’ira e sconcertata dalle sue parole. – I-io ti mando in c-confusione?
- Tu, maledizione, tu! Mi infastidisce, mi… esaspera questa cosa! Io… – Draco si interruppe per un secondo, chiedendosi quanto avrebbe dovuto essere sincero. Aveva sempre creduto che nascondersi fosse la scelta migliore, per non mostrare punti deboli, ma allora perché stava impazzendo e si sentiva più vulnerabile che mai?
 
Sei solo un codardo.
 
Dimostrami che sbaglio.
 
- Io sono abituato a controllare tutto. – si ritrovò a confessare il Serpeverde, faticosamente. – A conoscere tutto. – specificò, mentre a Hermione si bloccava il respiro. – Ma tu… non… riesco a capirti, non riesco mai a… comprendere quello che… succede quando sei con me.
 
Non riesco a controllarlo.
 
E fa male.
 
Draco strinse le mani in un pugno, rendendosi conto di non essere mai stato così sincero in vita sua.
- Poi, questo… questo bambino di mezzo. – sputò, infine, non riuscendo più a continuare.
- Quindi, io… ti confondo? – borbottò Hermione, sempre più allucinata da quello che aveva sentito. Merlino, era sempre stata convinta di essere lei, tra i due, quella che veniva mandata in confusione.
Il Serpeverde s’irrigidì, comprendendo di essersi esposto troppo. Serrò le labbra in una linea rigida, mentre i suoi occhi s’indurirono al limite dell’inverosimile.
- No! – esclamò Hermione improvvisamente, afferrandogli un braccio in un riflesso involontario. – Non… nasconderti.
 
Niente maschere, ti prego.
 
Niente Malfoy. Lui mi distruggerebbe.
 
Se il Serpeverde comprese cosa stesse cercando di dirgli la ragazza, non lo diede a vedere; si limitò a scandagliarla con lo sguardo e aspettare che lei ritraesse il braccio dal suo.
- Io non provo qualcosa per te. – Draco ci tenne a precisare, dopo qualche altro secondo. Si passò una mano tra i capelli, sbuffando di esasperazione. È l’unica cosa di cui sono sicuro in questo momento.
 
Forse.
 
Draco si accorse di aver usato parole troppo dure, perché avvertì su di sé la sofferenza che chiaramente si palesò negli occhi della Grifondoro. Nonostante sapesse di non doversi giustificare, né rimangiarsi ciò che aveva detto, spostò lo sguardo da lei, incapace di sorreggerlo.
 
Per la prima volta, incapace di sorreggere uno sguardo.
 
- Solo che… – riprese, schiarendosi la voce. – Sei strana, ok? Tu non… Non… – il Serpeverde si arruffò i capelli, trovandosi talmente in difficoltà da non riuscire a parlare. – Io… ho sempre ripetuto in questi anni quanto tu fossi…un abominio per il Mondo Magico, quanto tu fossi indegna di esistere e far parte di Hogwarts.
 
Crac.
 
- Ma… non lo penso più, ecco. – sibilò nervosamente, desiderando chiudere quella conversazione il prima possibile.
 
Ah, bene.
 
Io ti dico che sono innamorata di te e tu che non sono un abominio come avevi sempre ritenuto.
 
Tipico di Draco.
 
- E cosa pensi, adesso?
Quando il Serpeverde puntò gli occhi nei suoi, Hermione vi lesse talmente tanta confusione che quasi si dispiacque per la sua domanda.
- Penso… – Draco prese un bel respiro, cercando di scacciare quella voce dentro di lui, piena di orgoglio e arroganza, che gli urlava di non rispondere e scappare via.
 
Tu scappi, Draco. Sempre.
 
Dimostrami che sbaglio.
 
- Penso che tu sia un’arrogante sapientona che vuole sempre avere l’ultima parola. – sbottò. – Penso che tu riesca ad essere irritante e fastidiosa più di qualunque altro essere umano e che…  – Draco fece una smorfia. – … tu sia un’insopportabile Grifondoro con amicizie alquanto discutibili. E sei così schifosamente leale, da farmi venire la nausea, a volte. Ma… – il Serpeverde si passò una mano tra i capelli, combattuto tra il martellante orgoglio, da una parte, e la volontà di essere sincero, dall’altra. – … penso anche che tu sia una persona… – si schiarì la voce, sentendosi più incerto e insicuro che mai. – …gentile…

Gentile?

- …ingenua, a volte… e, beh, buffa.

Buffa?

- E penso… – Draco la guardò, stavolta senza niente che potesse ferirla nello sguardo o umiliarla, facendola sentire nuda di fronte ai suoi occhi. – … che tu sia una persona migliore di tante altre. – concluse, raddrizzando le spalle, come se solo in quel momento si fosse liberato di un gigantesco fardello.
 
Migliore di me.
 
Solo dopo aver concluso il suo discorso leggermente confusionario, Draco si accorse che le mani di Hermione stavano tremando, così come il suo corpo. Era un tremolio impercettibile, che la scuoteva appena, ma che la percorreva da capo a piedi, per concentrarsi sul suo cuore.
E, nonostante Draco non le avesse né confessato amore eterno, né si fosse scusato per i suoi comportamenti, la ragazza si riscoprì a sorridere e a tremare di emozione per le sue parole. Le aveva fatto detto chiaramente che non era proprio tutto come prima. Se lo fosse stato, l’avrebbe derisa, insultata fino alla fine dei suoi giorni e, invece, si era sforzato di essere sincero, non era scappato, ma era rimasto, dimostrandole di non essere la stessa persona di prima. E le aveva confessato che non la vedeva più come un abominio, ma come una persona.
 
Una persona gentile e ingenua e buffa.
 
E, soprattutto, le aveva dato qualcosa che prima le mancava.
 
La speranza.
 
- Credo di essermi spiegato leggermente male, Granger, ma…
- Hermione. – lo interruppe.
- Cosa?
- Chiamami per nome. Il rispetto, Draco, lo pretendo.
Il Serpeverde la guardò talmente a lungo che la ragazza si ritrovò con la gola secca. Dopo minuti d’interminabile silenzio Draco annuì silenziosamente, non emettendo più una singola parola.
Hermione prese un bel respiro, mentre Draco faceva lo stesso.
 
Sono innamorata di te.
 
Oddio, gliel’ho detto.
 
- Che conversazione difficile. – mormorò la ragazza, nel tentativo di sdrammatizzare e alleggerire la tensione.
Il Serpeverde ghignò ed Hermione capì che quella sorta di comprensione e indulgenza che Draco le aveva concesso fino a quel momento era andata a farsi benedire.
- Parla per te. Io non ho avuto alcuna difficoltà. – sentenziò il ragazzo, con tono arrogante come se cinque secondi prima non avesse avuto parecchi problemi ad articolare un discorso decente. La strana sensazione che prima lo aveva assalito e, conseguentemente, stordito, se n’era andata, anche se avvertiva un leggero malessere che stava cercando di scacciare velocemente.
Hermione lo guardò alzando un sopracciglio e poi sospirando, ormai consapevole della sua natura.
 
Che ipocrita.
 
Si passò una mano sulla fronte, sentendosi più stanca che mai. Il cuore continuava a batterle all’impazzata, come sempre in presenza di Draco, l’ansia che l’aveva attanagliata fino a qualche minuto prima si stava affievolendo pian piano, lasciandola leggermente intorpidita. Guardò distrattamente la sveglia che aveva vicino al comodino e quando si accorse dell’orario spalancò gli occhi. Se non fosse scesa al piano di sotto entro i prossimi cinque minuti per lo scoccare della mezzanotte, sua madre non glielo avrebbe perdonato. Era il primo Natale dopo anni che passava a casa e Hermione sapeva che i suoi genitori si aspettavano che lei partecipasse ai festeggiamenti, nonostante avesse ben poca voglia di festeggiare.  
- Beh, era inevitabile, comunque. – cominciò a blaterare il Serpeverde, distraendola dalle sue riflessioni. – Come si può non innamorarsi del sottoscritto? Ho sempre saputo di essere meraviglioso e…
Hermione fece uno sforzo incredibile per scoppiare a ridere. Il suo cuore cominciò a sorridere di gioia alle sue parole. Qualche mese prima si sarebbe sentita umiliata o infastidita dalla sua arroganza e soprattutto da quel ghigno malefico che gli si era dipinto sulle labbra, ma adesso che aveva imparato a conoscerlo meglio, sapeva bene che quello che Draco stava facendo non era altro che una scherzosa presa in giro. Così come si era accorta dell’agitazione estrema che aveva colto il ragazzo qualche minuto prima, adesso riusciva chiaramente a interpretare il suo tentativo di alleggerire la tensione con una battuta stupida.
Non poté impedirsi di arrossire, però, di fronte al suo sorrisetto ironico, che avrebbe voluto far scomparire a forza di baci.
- Ma smettila, idiota. – borbottò, alzandosi dal letto, sperando che non riuscisse a sentire il frenetico battito del suo cuore. – Dobbiamo scendere perché… ah, no.
Hermione non terminò la frase, poiché, d’un tratto, si ricordò di una questione importante, lasciata in sospeso.
 
Nel caso tu non voglia avere niente a che fare con me o con nostro figlio, sei libero di andartene quando vuoi.
 
Non ne avevano più parlato da quella volta al muretto. Anzi, ad essere sinceri non avevano mai davvero parlato del futuro del loro bambino e, forse, era il momento di cominciare a farlo. Lasciò la maniglia della porta che aveva già afferrato e guardò Draco, che ancora non si era alzata dal letto.
- Cosa… uhm… intendi fare con…?
Lasciò la domanda in sospeso, ma la dolce pacca che diede sulla sua pancia fu un chiaro segno a cosa si stesse riferendo. Il Serpeverde distolse lo sguardo, dopo averla fissata per qualche istante
- Ho già detto che mi prenderò le mie responsabilità. – rispose brusco, il tono scherzoso scomparso velocemente come era arrivato. – Quante volte devo ripetertelo?
- Hei, non ti arrabbiare. Ho il diritto di chiedertelo. – replicò la ragazza, irritandosi a sua volta per quel tono astioso. – Comunque, mi riferivo anche a quello che ti ho detto una settimana fa. Vuoi andartene? – chiese poi, senza troppi giri di parole, sperando più che mai in una risposta negativa.
- Se sono ancora qui, Granger, qualcosa vorrà pur dire, non pensi?
- Hermione.
- Eh?
- Chiamami Hermio…
- Salazar, sì, ok, ho capito! Hermione, d’accordo?! – sputò Draco in uno sbuffo, mentre il cuore della ragazza faceva una trentina di capriole.
La ragazza lo fissò, con un leggero sorriso, prima che le sue labbra si stirassero. Si mordicchiò il labbro, indecisa se porre o no quella domanda che gli frullava in testa da mesi e che non aveva mai trovato il coraggio di pronunciare.
- Ti importa del bambino? – sussurrò infine, talmente piano che Draco ebbe parecchie difficoltà a sentirla. Afferrò nuovamente la maniglia, stringendola nell’invano tentativo di acquietarsi. – O lo fai solo… per orgoglio malfoyesco o… qualcosa di simile?
Non aveva mai osato chiederglielo.
Forse perché non aveva mai voluto conoscere la risposta.
- Hai sempre detto che è… un errore… – Hermione faticò nel pronunciare quella parola. – … e forse lo è, ma… per me non è così.
Il Serpeverde la fissò, facendo una smorfia, apparentemente meno turbato di quanto in realtà lo fosse lei. 
- Non posso dire di esserne felice, perché, tu lo voglia o no, la tua gravidanza è un errore. – rispose schiettamente e senza il minimo tatto, facendo stringere il cuore della ragazza in una presa talmente ferrea che smise di respirare per vari secondi. – Però… m’importa, credo.
 
Credi?
 
- Credi? – sbottò la ragazza. Lei lo amava già con tutta se stessa e a lui, forse, importava?
 
Tipico di Draco.
 
- Sì, credo. Qualche problema? – replicò stizzito il Serpeverde, sulla difensiva.
- No.
- Bene, meglio così.
- Vieni con me alla prossima ecografia, dato che credi che ti importi? – chiese la Grifondoro, trovando chissà quale coraggio, mentre al piano di sotto una decina di voci si univano in coro per il conto alla rovescia. – È tra pochi giorni. – aggiunse, non curandosi del rumore.
 
Dieci, nove…
 
Ti importa del bambino?
 
- Ecografia? – replicò il Serpeverde, pronunciando quella parola con sospetto e lanciandole un’occhiata leggermente perplessa.
- Sì, ecografia.
 
Otto, sette…
 
Ti importa, Draco?
 
- Cosa Merlino è un’ecografia? – sbottò, malamente.
- Qualcosa che servirà a farti vedere il bambino. – spiegò Hermione pazientemente, chiedendosi come fosse possibile che Draco non sapesse cosa fosse.
 
Sei, cinque…
 
Ti importa, Draco? Ti importa davvero?
 
- Perché dovrei venire?
- Mi pare una domanda stupida questa.
 
Quattro, tre…
 
Ti importa o sei solo un codardo?
 
Tu scappi, Draco, sempre.
 
Dimostrami che sbaglio.
 
- Dovrò entrare in un luogo pieno di sudici babbani che…
- Vieni sì o no?! – lo interruppe Hermione, consapevole che se si fosse lanciato in quella discussione, non le avrebbe risposto nemmeno fino a domani mattina.
 
Due, uno…
 
Dimostrami che sbaglio, dimostrami che sbaglio, dimostrami che sbaglio.
 
Ti importa, Draco, di me? Di tuo figlio?
 
- D’accordo.
 
In quell’istante risuonò il primo rintocco della mezzanotte.
 
Gli importa.
 
Merlino, gli importa.

 
 
 
 
 
 
 
 





 
 
 
 
 
 
 





 
 
Angolo Autrice
 
Beh, eccomi qui dopo così tanto tempo, che mi vengono i brividi soltanto a contare le settimane che sono passate dopo l’ultimo aggiornamento. Non so quanto possa essere sufficiente scusarmi ancora con voi lettori, che ormai vi sarete stancati di aspettare così tanto ogni volta. Mi dispiace. Sembra stupido ripetervelo sempre, ma è così. Mi dispiace tantissimo.
La maturità mi ha impedito di scrivere fino alla prima settimana di luglio, mi ha assorbito talmente tanto che in quel periodo non riuscivo a pensare ad altro se non alle 1000 pagine di ogni materia che dovevo studiare e che mi faceva rizzare i capelli sulla nuca. Poi, appena finita la maturità, ho cominciato a studiare per i test che ci sono stati ora, a settembre. Non so ancora se sono stata presa a Medicina (tra slittamenti vari) e lo saprò soltanto i primi di ottobre ed è frustrante tutto questo, perché il mio futuro è appeso a un filo ed io non so ancora cosa andrò a fare… Per questo, nel caso non fossi entrata a Medicina, mi sono iscritta a vari test, che ho dato, e che per fortuna sono andati bene. Per quest’anno, se alla fine non entro a Medicina, andrò a un’altra università e riproverò l’anno prossimo :) Comunque, è stata un’estate in cui non ho fatto altro che studiare, mi scoppia la testa e sono in preda a un vero e proprio esaurimento nervoso! Soltanto dalla settimana scorso mi sono cominciate le vacanze in pratica! Scusate se vi rompo le scatole con i miei problemi, ma almeno vi ho spiegato perché sono stata così assente! Sappiate che se avessi potuto fare diversamente, lo avrei fatto. Ogni volta vi deludo con i miei ritardi e mi si stringe il cuore nel leggere le vostre recensioni che mi chiedono di aggiornare ed io, invece, vi faccio aspettare un sacco di tempo. Mi dispiace, davvero. Però la cosa positiva è che se andrà tutto bene avrò abbastanza tempo libero, almeno fino a ottobre! ^.^
Comunque, passiamo al commento del capitolo, prima che queste note si allunghino troppo. Come ho già scritto all’inizio, è il capitolo più complicato che abbia mai dovuto scrivere… parlare dei sentimenti di Hermione, farglieli rivelare a Draco è stata una vera impresa! Non avete idea di quante volte abbia scritto e riscritto l’ultima scena e ogni volta mi sembrava peggio di quella precedente. Alla fine ho deciso di lasciarla così come l’avevo immaginata all’inizio e spero che non faccia troppo schifo, come invece temo….. O.O   Allo stesso modo, se trattare Hermione è stato complicato, beh Draco mi ha dato ancor più filo da torcere… Spero di non essere scivolata nell’OOC, cosa che accade molto spesso quando si parla dei sentimenti di Draco… forse può sembrarvi confuso quello che prova, ma in fondo… lo ha detto anche lui che Hermione lo confonde, no? ;) Spero che comunque la sua reazione vi sia piaciuta, anche se magari non era proprio quello vi aspettavate… lo so che vorreste un po’ più di dolcezza e, a piccoli passi, l’avrete… Nel prossimo soprattutto! 
Ah! Inoltre nel prossimo o tra due capitoli, si scoprirà se è un BIMBO o una BIMBA, il pargolo che Hermione porta nel pancino ;) Ricordo di averlo chiesto qualche tempo fa quale dei due vi sareste immaginati e beh… si scoprirà presto!
Ok, direi che possiamo passare ai ringraziamenti, prima che le note superino una pagina di word. Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la mia storia tra le preferite/seguite/ricordate, davvero siete tantissimo e vi ringrazio di cuore! Ma un grazie super speciale alle 56 ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, facendomi svenire di gioia quando ho visto il numero: _AllYouNeedIsLol_, At Sunrise_, Luisa21, Beth, onlyreadanwrite, AlyaBlack, clari94, saretta_2610, tonks17, Il filo di Arianna, AdSidera, tomorrow_people, DramioneGleek, elis_rogue, Clayndory, Kat_Winchester, RemusTonks98, Stella94, AryDP, RedF0x, _yellow_, Ladypretty, Autumn__Leaves, Hayley_Granger, anonima K Fowl, Elisewin Granger, Dramone99, Joker157, CiuiaOcchietto, MyLittleMuffin, Alyss_, suckerforlove, Black_Yumi, ElineSerpeverde, Sara Luketic, ielma, Wingardium_Leviosa97, HP_LOVE, World Below, Notteinfinita, Neko_Kuro_90, gio_lesa, YouKnowThatIlCarryYou, Lierin_, Sakura_chan97, mira_potterhead_92, Alchimista93, love_infinity, _Lola99_, SWAMPY, 17pally, Pipsie, Intrepidaserpe_27, MimiRyuugu, _Giuls17_, e Always_Potter.
Grazie ragazze *___*
Un abbraccio stritola-costole a chiunque sia ancora qui, nonostante non me lo meriti,
flors99 

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