La Big Damn Table appartiene a loro e a loro.

011: Rosso

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Siberia. Ovunque
PdV: Hyoga

Il rosso era un colore che non si sarebbe dovuto vedere spesso in Siberia, ma Hyoga lo vedeva ogni giorno.
Aveva il sapore del ferro e la consistenza dello sciroppo. Gocciolava dalle ferite alle mani, quando colpiva il ghiaccio. Stillava dalle labbra spaccatte. Al mattino, imbrattava le strisce di stoffa che, la sera prima, Maestro Camus aveva usato per bendargli le ferite.
Hyoga sapeva che di rossi ne esistevano tanti. C’era quello dolce come marmellata di fragole e quello liscio come bacche di vischio. C’era il rosso vellutato dei petali di rosa e quello caldo di un maglione di lana.

012: Arancione

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Ojmjakon, Siberia.
PdV: Camus

“Non mi piace l’arancione.” affermò Hyoga, mentre Camus versava il contenuto di una bustina in un bicchiere d’acqua.
“Bevi.” ordinò.
Hyoga tirò su con il naso.
“Ma è arancione... fanno schifo le cose arancioni.”
“Ti sbagli. E’ rosso sbiadito. Avanti... bevi.” sibilò, e spinse il bicchiere verso il bambino.
Hyoga starnutì, prese il bicchiere con riluttanza, e lo fissò a lungo.
Camus lo ghiacciò con lo sguardo. Rassegnato, Hyoga assaggiò la medicina.
“Non è male.” Inclinò la testa all’indietro e bevve.
Esausto, Camus alzò gli occhi al cielo.
Perché Ade maledetto mi sono offerto volontario per essere un Maestro Saint?
 

L'arancione è il colore più brutto che esista al mondo e scrivere una drabble sull'arancione è stato come estirparsi un dente con il filo legato alla maniglia. Mai provato. Ma sono certa che faceva un male cane, ai tempi. O___o

013: Giallo

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Ojmjakon, Siberia.
PdV: Hyoga

«Giallo come... Maestro Camus! Aiutatemi.»
Il ragazzo sollevò lentamente lo sguardo dai Demoni.
«Limone.» bofonchiò.
Hyoga arricciò il naso.
«Già scritto.»
Era sdraiato di fianco al camino. Chino su quel quaderno da oltre un'ora. Non sapeva più cos’altro scrivere e la maestra gli aveva chiesto “dieci cose gialle”.
«E ho scritto anche oro, sole, grano, i capelli della mamma, oh... e anche i miei.»
Alla fine si arrese, impugnò la matita, trasse fuori la lingua in un gesto di massima concentrazione e scrisse: «foglio giallo, muro giallo, penna gialla, e cappello giallo.»
Soddisfatto, chiuse il quaderno e uscì a giocare.

014: Verde

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Ojmjakon, Siberia.
PdV: Camus

Camus scattò in piedi e forte della rapidità fulminea di un santo d’Atena, afferrò la bottiglia, la richiuse e si allontanò.
Hyoga si guardò attorno confuso. Poi abbassò gli occhi sulle piccole mani vuote. Con una muta domanda dipinta sul volto, sollevò lo sguardo verso di lui.
Camus stringeva al petto l’ultima bottiglia di vero, puro e originale assenzio francese, ostentando un atteggiamento che rasentava la possessione psicotica. La scrutò con attenzione. Era ancora intatta. Come nel 1876.

Hyoga si avvicinò incuriosito.
«Che cos’è?» domandò.

«Nulla.» rispose Camus, indietreggiando di qualche passo.
Il bambino strinse gli occhi.
«Posso berlo?»
«Scordatelo.»

015: Blu

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Ojmjakon, Siberia.
PdV: Hyoga

Hyoga strinse gli occhi trattenendo il ricordo.
L’immagine nella sua mente tremolò, poi sbiadì, infine scomparve.
Scosse la testa e aggrottò la fronte.
Di che colore era? Di che colore era? continuava a domandarsi, turbato dalla propria dimenticanza.
Pensò e vide il mare.
Pensò di nuovo e scorse il cielo a una finestra.
Si sforzò ancora una volta e vide i suoi occhi.
Come i suoi occhi... come...
L’immagine ritornò, i contorni si delinearono, i colori risorsero. E lui la vide.
Natassia.
Nel suo abito blu come il mare profondo, come il cielo notturno, come tutta la tristezza dei ricordi.

016: Viola

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Ojmjakon, Siberia. All'aperto.
PdV: Camus

Quando una persona muore, il sangue defluisce verso gli arti, la pelle si fa diafana, il corpo si svuota, le membra si irrigidiscono, comincia la decomposizione.
La prima persona che morì per sua mano era un rinnegato della Dea. A Kathmandu. Ancora lo ricorda il rumore che ha fatto.

Gli insegnerai a comandare il freddo e la neve?
A cristallizzare l’acqua?
A generare l’aurora?
A colorare il mondo di viola?

Camus si tirò su il bavero del giaccone. Poco distante, Hyoga giocava con la neve. Si voltò verso di lui e sorrise.

In lui lo splendore dell’infanzia.
Bianca e gialla.

Ho messo “Viola” come titolo alla 16esima drabble perché il termine inglese “Purple” indica una tonalità di viola e non di rosso, come il nostro “porpora”. :)

017: Marrone

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Ojmjakon, Siberia. All'aperto.
PdV: Hyoga

Nella casa di Maestro Camus, a Ojmjakon, un colore comandava sugli altri. Hyoga se lo vedeva dappertutto. Nelle pareti e nel camino. Sul letto e sul pavimento. E persino la minestra che la vecchia Klara veniva a portargli quando Maestro Camus era chissà dove, era di quel colore. E la cosa non era molto bella. Però la vecchia Klara diceva che era per via dei fagioli e della carne. E allora, Hyoga mangiava in silenzio. Perché se no, sarebbe andato a letto senza cena. Era il colore del legno e anche di qualcos’altro...

Ridacchiò.
Il legno, però, era più bello.

021: Amici

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: MOjmjakon, Siberia
PdV: Camus

«Voi non siete amico mio.» gli aveva detto Hyoga quando, per l’ennesima volta, aveva cercato di spiegargli l’essenza del Cosmo.
«Infatti, non sono tuo amico. Sono il tuo Maestro.» aveva risposto, dopo un lungo sospiro.
Hyoga aveva incrociato le braccia e l’aveva guardato con le sopracciglia aggrottate.
«Quello che voi dite non ha senso, Maestro Camus. Come fa tutto l’universo a stare dentro una persona. E’ troppo grande.»  aveva detto, mentre allargava le braccia e allungava le vocali di “troppo”.
Camus aveva lanciato un’occhiata al sole a ridosso dell’orizzonte. Ormai, quello non era più un buon giorno per restringere l’Universo.

NB: non so come si dica “troppo” in russo; ma ce l’avrà qualche vocale O__o

022: Nemici

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Atene, Grecia
PdV: Camus/Hyoga

Le colonne sono fredde. Il pavimento è di ghiaccio. L’universo è stato compresso in un pugno e noi affidiamo al futuro le nostre speranze.

C’è la speranza di un Maestro che ambisce di essere superato e c’è la speranza di un allievo di andare avanti, perché non può, non deve cadere, mentre Lei s’avvia a passo lento nella bocca dell’Erebo.

E la speranza è ammantata di dolore e nostalgia. I ricordi sono racchiusi nelle perle di ghiaccio che fioriscono sulla pelle, nei respiri condensati, nelle parole non dette.

Eppure, tu che mi sei di fronte ... è giusto chiamarti nemico?

023: Amanti

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Ojmjakon, Siberia.
PdV: Camus

Una delle cose che Camus odiava di più al mondo erano le sorprese.
Quando Milo veniva a trovarlo, il suo arrivo non era mai preannunciato da nulla. Arrivava e basta. Come l’aurora.
A volte restava poche ore. Altre volte, si rannicchiava nel suo letto per giorni e giorni. Non parlava mai. Gli si offriva e basta. In silenzio.
Camus non gli chiedeva mai nulla. Gli dava ciò che poteva. Prendeva tutto ciò che offriva.
«Le tue dita sono fredde.» gli sussurrava all’orecchio.
Camus lo sapeva.
Ogni cosa di lui era fredda. Persino il piacere si ammantava di brividi e gelo.

024: Famiglia

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Ojmjakon, Siberia.
PdV: Hyoga

Quando Natassia morì, Hyoga perse la famiglia e tutto il suo mondo. Sbarcò su una landa di ghiaccio dove spirava un vento che tagliava la pelle e dove ogni cosa sembrava perduta.
Poi lo vide. Era la prima volta. Dall’anorak spuntavano ciuffi di capelli come lingue di fuoco e gli occhi... erano come quelli di Natassia. Ne fu incantato e spaventato.
Un giorno, mentre era solo in casa, qualcuno bussò alla porta. La aprì e vide un bambino con gli occhi verdi e la pelle scura del deserto. Lui sorrise e da allora furono in tre. Quasi una vera famiglia.

025: Estranei

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Ojmjakon, Siberia.
PdV: Camus

Ce li ha davanti. Uno accanto all’altro. I visetti che sbucano dai cappucci impellicciati. Rigidi come blocchi di ghiaccio.
Ogni tanto, si lanciano un’occhiata di traverso. Studiandosi, scrutando i volti, cercando riconoscimenti nelle espressioni. Due bambini che imitano la diffidenza degli adulti nei confronti degli estranei. Piccoli profughi in un mondo alienato che niente hanno se non un cammino già tracciato.
Ad un tratto, Isaac scoppia a ridere, tenendosi la pancia.
«Sembriamo due scemi.»
L’ombra di un sorriso attraversa il volto di Camus. Lui stesso non sa se è per la risata di Isaac o per l’espressione confusa di Hyoga.

026: Compagni di squadra

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Ojmjakon, Siberia.
PdV: Hyoga

Aprì gli occhi.
Isaac era seduto sul letto e si stava allacciando gli scarponcini.
Hyoga si tirò su piano e si strofinò gli occhi assonnati.
«Dove stai andando?» chiese, con la voce impastata dal sonno.
«In paese. C’è una festa. E non voglio perderla.» rispose risoluto Isaac. Gli occhi verdi che brillavano nella certezza della propria decisione.
«Ma Maestro Camus ha detto...» tentennò Hyoga.
Isaac sbuffò.
«Maestro Camus non è qui e poi... non faccio nulla di male.»
Si alzò.
Da quando era diventato così alto?
«Che fai? Vieni o no?» Sospirò e gli tese una mano. «Siamo compagni, no?»

027: Genitori

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Ojmjakon, Siberia.
PdV: Camus

L’ultima cosa che Camus ricorda dei suoi genitori è la fossa a cielo aperto a Pére-Lachaise e con il tempo, divenne anche l’unica cosa.
A poco a poco, dimenticò i loro volti, il colore dei loro capelli, i loro occhi.
Essi divennero parole senz’anima.
“Madre” e “Padre”.
Mentre spala la neve davanti alla porta di casa, si ferma a fissarne la consistenza.
Compatta e resistente. Come l’amore di una madre. Come il desiderio inespresso di un figlio.
Hyoga è davanti a lui. Con il suo piccolo mucchietto di neve.
Nei suoi ricordi, la morte di Natassia non ha mai fine. 

028: Figli

Words: 100
Rating: Verde
Luogo: Mosca, Russia.
PdV: Hyoga

“I figli sono la nostra promessa d’eternità.
Attraverso essi, partecipiamo dell’infinità del tempo.”

Era questo che suo nonno gli aveva detto una volta, mentre camminavano insieme, mano nella mano, lungo la strada che fiancheggiava la Cattedrale di San Basilio.
Hyoga ricorda che quella volta le cupole sembravano dipinte sul cielo e che l’aria odorava di neve.
Suo nonno gli raccontava molte storie, soprattutto fiabe russe e quando scendeva la sera, a volte, cantava con voce profonda del “Sogno di Stephan Razin”. Della guerra però non gli parlò mai.

“Non ho promesse d’eternità, nonno.
Non conosco l’infinità del tempo.”

Il Cerchio è difficile da tracciare sul foglio bianco. La mano trema, il tratto si fa incerto. Sembra più un uovo o un pallone da rugby.
Di cerchi immaginari ne faceva tanti, a Mosca, danzando con sua madre, quando le note delle ballate russe riempivano la stanza e nonno Ivan metteva a bollire il samovar, gonfiando il petto e cantando con quella sua voce che sembrava il ruggito di un orso.
Le lacrime si cristallizzano sul suo volto e lui non ha più la forza di tendere le braccia.
Ma che importa, se, alla fine, tutti i cerchi sono spezzati?

«Esistono due tipi di persone», diceva il suo maestro, mentre lo guardava dall'alto. Aurelién sputava sangue, graffiava il ghiaccio con le dita sottili.
«Quelle che risplendono e quelle che riflettono lo splendore degli altri.»
Il suo maestro era un uomo che non c'entrava nulla con i ghiacci. Bruciava come se fosse fatto di brace e lui imparò a congelare l'aria per non prendere fuoco.
Sono passati anni da allora.
Il ghiaccio è sempre freddo. Il fuoco è una realtà che brucia l'anima. Il cielo siberiano è una cupola d'oscurità.
Aurelién assottiglia gli occhi, accecato dai soli che giocano a ricorrersi.

Le stelle per un Saint sono padre, sono madre.
Sono il destino verso il quale rotola senza il diritto di scegliere se fermarsi o cambiare direzione. Sono catene che non possono essere spezzate perché non possono essere viste. Sono il passato dimenticato, il presente vincolato, il futuro non agognato.
Un Saint ama le stelle e le odia.
Sono compagne, protettrici, dittatrici.
Un Saint sa che il cielo non è mai vuoto, nemmeno quando attraversa le strade inondate dalla luce artificiale di New York o di Londra o di Pietroburgo.
Un Saint sa che dietro le nuvole ci sono le stelle.

Aurélien si guarda i palmi aperti, le dita su cui brillano gemme di ghiaccio.
C'è sempre una prima volta, anche per un Santo di Atena. La prima volta che indossi l'armatura, la prima volta che usi il cosmo, la prima volta che scateni il tuo colpo migliore, la prima volta, perché no, che conosci il corpo di una donna.
Aurélien osserva la sua prima volta. La coppa è stata rovesciata.
L'uomo giace a terra, immobile nella morte. L'armatura che indossa è sbiancata dal ghiaccio, dopo che l'aurora è fluita dal vaso dell'aquario.

È fonte di vita.
È portatore di morte.

Quando Hyoga giunse a Villa Kido non riuscì a rendersi conto della magnificenza degli spazi, della ricchezza degli arredamenti o della bellezza del parco attorno alla casa.
Viveva nel suo incubo personale. Sopravviveva, sarebbe stato più giusto dire. Se ne stava lì a guardare il mondo, sperando che il mondo non lo vedesse.
Mitsumada Kido, il Re di Denari, era un uomo imponente. Lo vide pochissime volte, nel corso dei mesi trascorsi in Giappone, dopo la morte di sua madre.
Lui invece non fu mai notato e come sarebbe potuto essere altrimenti, se quell'uomo non abbassava mai lo sguardo?

Camus siede nella sua casa di Ojmjakon. Il cielo è terso, il paesaggio glaciale sembra appartenere all'altrove.
Hyoga è restato solo. Il dolore si è depositato sul suo cuore, nei suoi occhi, sulle sue mani.
Camus lo sa che il dolore è recidivo, si attacca al senso di colpa e non va più via. Mette radici. Fruttifica.
Hyoga muove le braccia. Il cosmo bianco lo circonda. Domina il ghiaccio, lo plasma in figure nuove. Un esercizio da mago. Un passatempo. Per non pensare, per tenersi occupato.
Poco distante, un tumulo.
Pietre su pietre.
Una croce di legno.
Una tomba vuota.

Ha le spalle dritte. Il portamento di una danzatrice. La pelle è di porcellana. Le sopracciglia sottili guizzano verso l'alto, quando lo guarda. Sorseggia il te, sfiorando il bordo della tazza con le labbra. Due stelle scintillano al posto degli occhi.
«Mio nonno ha pensato alla Guerra Galattica... »
Hyoga smette di ascoltare. C'è qualcosa di sbagliato in quella voce, nelle parole pronunciate, nel modo in cui lei siede davanti a loro.
Saori serra le labbra in una linea sottile.
E' per questo che ho infranto il Ghiaccio Eterno? E' questa, Maestro, la Via di un Cavaliere: compiacere una dama?

Note dell'Autrice: Qui sarà meglio che mi dia una mossa con Siberia, altrimenti mi toccherà terminarla dall'ospizio.

Le drabble “Cuori”, “Fiori”, “Quadri” e “Picche”, io le ho intese come “semi” delle carte da gioco. Mi sono presa la libertà, di guardare agli Arcani Minori (o carte napoletane), nell'ordine: Coppe, Denari, Bastoni, Spade. Ogni drabble poi è incentrata su una carta ben precisa: l'Asso di Coppe, ovvero Camus; Re di Denari, Mitsumada Kido; Fante di Bastoni: Hyoga di Cignus e infine la Regina di Spade, Saori Kido.

Qual è l'odore della morte?
Nell'Undicesimo Tempio dello Zodiaco. Tra le colonne inframezzate alla roccia dell'Imetto. La morte ha l'odore della neve che non si scioglie. Ha l'odore di un ricordo sotterrato nella polvere. Ha l'odore del futuro fatto a pezzi.
Questa volta non ci saranno buoni propositi e non ci saranno cambi di rotta.
Non ci sarà nessun Deus ex Machina a compiere un miracolo, perché i miracoli sono solo stregonerie a norma di legge e Santa Madre Chiesa è un Giudice severo. Ma qui non c'è Dio e non c'è Figlio.
Ma la morte non odora di terra.

Tre sono gli stati in cui la materia si manifesta. Il primo è impalpabile, visibile solo quando prende il nome di nebbia; legato ad altro perché sia concesso alla vita di essere diversa rispetto alla morte. Il secondo, scorre tra gli argini, nelle insenature della terra. Purifica e uccide. Cade dal cielo. Sommerge i tetti. Circonda le terre.
Ma nell'immobilità della Casa di Libra, il tuo corpo riconosce la solidità dei ghiacci della Siberia, il misericordioso dono che egli ti ha fatto.
Sospeso nel tempo, attendi la negazione del sogno.

È pur sempre una forma d'amore anche questa, oppure no?

Che cosa porta con sé l'aria quando le ombre si allungano e il sole va a morire oltre i tetti dei templi?
Le braccia conserte, una spalla appoggiata a una colonna, il mento sollevato ad annusare l'aria.
C'è odore di pioggia.
Le nubi si addensano scurendo il tramonto.
L'aria si carica di elettricità. Non ti importa della fanciulla che raccontano morente ai piedi della Prima Casa. Non ti importa dell'uomo che siede sul trono di Grecia.
Attendi.
Che l'odore della pioggia saturi l'aria e che gli addii vengano pronunciati.
Che ogni cosa si compia e che il domani non venga.

Dicono che un corpo costretto nel ghiaccio non patisca la pena dell'eternità.
Il tuo corpo brucia per l'atrocità del freddo. Il cosmos divampa, ingabbiato, costretto. Le sue fiamme sono immobili.
Un pensiero, come un sottile filo di fumo, scivola attraverso la tua mente. La volontà è incatenata dall'immobilità del non-agire.
Non fare.
Non pensare.
Non essere.
Hai intravisto pietà nello sguardo del tuo Maestro? O forse era, delusione?
Tua madre è precipitata nell'Abisso. Non hai lacrime da versare, perché i tuoi occhi sono sfere di gelo.
Ma il cosmos brucia dentro di te, nonostante tutto.
È questo a far male.

Quanto pesa il tuo cadavere, Aurélien Camus?
Pesa di più di quando eri in vita, per colpa dello strato di ghiaccio che lo ricopre?
Pesa di meno, perché il tuo spirito è stato ghermito dalla rete del samsara e si dibatte, si dibatte mentre il Fato avanza su otto zampe?
Oppure, ha lo stesso peso, perché lo Spirito non esiste se non nella Disperazione della Necessità e tu, voi non siete nient'altro che ossa e sangue, carne e ricordi appartenuti ad altri?
Ma che importa, Aurélien, qual è il peso del tuo cadavere, quando la luce si spegne.

Note dell'Autrice: non so se l'avete notato, ma le drabble sugli elementi per me sono state delle variazioni su temi simili. ^^
E badate … Non è che stia aggiornando a raffica Siberia per prendere tempo e scrivere Dies Irae … nooooooo! Ma che andate a pensare?!? O__O

Le mattine a Ojmjakon iniziano con il profumo di brioche e di caffè. Un lusso, decisamente!, che a Maestro Camus quelle cose strane che mangiano da queste parti non piacciono per niente.
Questa è la loro illusione di normalità, prima che il dolore arrossi le nocche e scortichi le ginocchia.
Isaac che parla con la bocca piena, dimenticandosi di masticare mentre dice questa o quell'altra cosa.
Il sopracciglio di Camus che guizza verso l'alto. Un muto rimprovero che ricorda al ragazzino di inghiottire e di respirare.
Lui che mangia lentamente, perché sa che non ci sarà pranzo e nemmeno cena.

Una tavola.
La tovaglia spiegazzata perché non c'è tempo per stirarla. Un piatto colmo di zuppa preconfezionata. Il profumo tramutato in tremolanti sbafi di fumo. Una caraffa di vetro. Vino rosso. Cucchiaio d'acciaio. Un tozzo di pane. Una mela gialla. Coltello. Tovagliolo spaiato. Tre sedie. Due, vuote. Il gocciolio nel lavello.
Piatti sporchi.
Aurélien immerge il cucchiaio. È salata. Fuori la neve ha ripreso a cadere. Appesantisce la croce di legno.
Dodici anni è un'età troppo breve perché il dolore possa passare in fretta.
E la solitudine sa di zuppa preconfezionata, piatti sporchi e pranzi seduti a una tavola vuota.

A Ojmjakon le cene sono rare.
La fatica è tale che, spesso, si rischia persino di dimenticarsi come si fa a respirare. Figuriamoci, quindi, stare seduti composti a tavola.
Ecco perché, a Ojmjakon, le colazioni sono sempre così abbondanti, i pranzi sono il ricordo di una vita lontana e le cene eventi speciali.
La luce delle lampade è forte.
Olga ha portato carne di renna da cuocere alla brace.
E questa sera si parlerà del tempo che farà domani, e di quell'orso che si dice abbia aggredito il vecchio Sergey, ma si è beccato un pallettone in mezzo agli occhi.

Il ricordo è immerso nel biancore di un'alba invernale. Le tende di pizzo alla finestra; le fiamme nel camino. Il trillo del telefono trapana la testa passando per le orecchie. «Merci. On vous attende pour le déjuner.» Grand-père sprofondato nella poltrona di velluto rosso. Maman che si muove leggiadra nel suo abito color Borgogna. La tavola apparecchiata. I piatti impreziositi da bordi dorati. Cristalli colmi di vino. Risate. Carta strappata. Maman ha decorato le Bûche de Noël con abeti di marzapane e casette di zucchero. Tu hai gomiti sul tavolo e attendi che questo cibo di bell'aspetto diventi un ricordo.

Sfogo dell'Autrice: * si tira i capelli! * non ce la farò mai a finire queste cavolo di drabble. :O

Il ricordo è immerso nell'oro della luce pomeridiana. Dalle finestre scorgi la forma arrotondata delle cupole della Cattedrale. Le fiamme nel camino. Nonno Ivan che canta Katjuša con la sua voce possente, mentre aspetta che lo zavarka sia pronto. L'odore delle pigne che ardono nel samovar. Natassia che si muove leggiadra come una fata delle nevi. Olga e Fedor che aggiornano sulle ultime novità del quartiere. Un vecchio film in bianco e nero che nessuno sta guardando.
Tu che stringi, in attesa, la tazza bordata d'oro, perché un po' di zavarka questa volta te lo daranno. Con molta acqua però.

Note dell'Autrice: Certi temi non mi piacciono … ma piuttosto che cambiarli, faccio violenza su me stessa. Cibo e Bibite sono due drabble speculari entrambe ambientate durante l'infanzia; entrambe legate a un momento di convivialità; il soggetto della drabble cibo è le Bûche de Noël e lo zavarka, il té preparato con il samovar è la Bibita (tsé … bibita … la prossima volta – che non ci sarà mai! - scrivo la drabble sulla Fanta è__é)
La Cattedrale è quella di San Basilio a Mosca; nonno Ivan è comparso in altre drabble; Olga e Fedor fanno di professione “vicini di casa”. Katjuša è una canzone russa degli anni '30; in youtube si trovano diverse versioni (io ho scritto la drabble, per calarmi nella parte, ascoltando il coro dell'Armata Rossa – sappiatelo! Per inciso – io le ascolto davvero le canzoni popolari russe XD).

Cosa porta l'inverno? Un ricamo di ghiaccio alle grondaie. Un fuoco crepitante nel camino. Il silenzio avvolgente della neve che cade. Due bambini che non aspettano il Natale. Occhi pari alle profondità marine. Un messaggio dalla Grecia che avrà il profumo di salsedine e di ulivi. La dichiarazione di guerra di un dio dimenticato. Il Gran Sacerdote che non ha più tolto la maschera da quando il Sagittario ha tradito ed è morto. Una veste d'oro perduta. Voci che non si spengono e che pungono la coscienza. Il nome completo di Hyoga che hai appreso e avresti preferito dimenticare.
Tremore.

Che cosa porta la primavera? Una tovaglia spiegata sull'erba bagnata dalla rugiada. Lo splendore dei capelli di Natassia. Maglioni perché, Questa non è mica l'Italia! La fotografia di un uomo che non conosci, ma che imparerai a chiamare padre. Il cinguettio degli uccelli. Una croce d'oro con un occhio di fiamma. Lenzuola bianche stese sui fili di plastica. Il tepore del sole. Una manciata di fiori senza nome. Una cesta che odora di cose buone. Preghiere che sussurri la sera con i gomiti appoggiati al letto. La coperta di patchwork che nonna Irina ha cucito l'anno che è morta.
Dolore.

ieri sera ho pubblicato l'aggiornamento a Siberia e dati i problemi del server l'ho persa; non avendo alcuna copia, l'ho riscritta per come la ricordavo.

Cosa porta l'estate? L'azzurro del mare e l'odore degli ulivi che crescono sulle colline fuori Athene. Una strada impolverata e bende sporche di sangue. La curva delle tue labbra che si sforzano di conservare una parvenza di decenza. Il sudore che gocciola mentre i guerrieri si affrontano nell'Arena. L'ouzo puro che scivola giù e incendia lo stomaco e fa addormentare la coscienza. Per un po', solo per un po'. L'azzurro dei suoi occhi e l'odore della sua pelle che non vorresti ricordare insieme a quello del caffè.
La sua risata mentre ti dice, Io, veramente, avrei voluto una donna!
Splendore.

Note dell'Autrice: Mi sto rendendo conto che Camus non è che in questa serie di drabble faccia la figura del sobrio.

Cosa porta l'autunno? Una villa senza fine. Maledizioni e imprecazioni sussurrate tra i denti. Promesse infrante. Gli occhi grandi di Shun che ti guardano senza parlare. Pugni serrati fino a farsi sanguinare i palmi. Corse nei prati. La risata di Seiya che sembra fagocitare tutto ciò che non va nel mondo. Un cuscino umido di lacrime. Lo sguardo altezzoso di una bambina vestita con pizzi, organza e divise da cavallerizza. Un uomo grande e grosso che non ha mai abbassato il suo sguardo. Le sillabe marcate di quella lingua straniera che è tua per metà, ma fatichi a comprendere.
Rancore.

MILO Che cosa significa “mezza stagione”? Tu l'hai mai vista una mezza stagione?
CAMUS Mi stai davvero chiedendo una cosa del genere?
MILO Sì, naturalmente.
Pausa. Respiro. Camus mostra biasimo sconcertato mediante espressione facciale (o biasimevole sconcerto).
MILO. Non hai notato come alla gente piace molto questa espressione? “Mezze stagioni”. Non ci sono più le mezze stagioni.
Pausa. Camus finge di leggere il giornale.
MILO. Intendo dire … perché? Perché declassare l'autunno e la primavera? Non sono più degne di essere STAGIONI?
CAMUS. È questo che ti turba?
MILO. Mi infastidisce. È diverso.
Camus piega il giornale. Si alza. Esce.

Note dell'Autrice: Questa raccolta s'ha da finire.

Le luci al neon erano deformate dalla pioggia. Le osservava senza vederle veramente, con i suoi occhi color carta da zucchero. Di tanto in tanto, distoglieva lo sguardo e andava a incrociare quelli scuri del tassista.
«Non sei di qui?» gli aveva domandato l'uomo con l'accento marcato di Tokyo.
«Lo ero. Sarei dovuto esserlo.» aveva risposto lui.
La sua voce gli era sembrata sbagliata. Non per l'accento cosmopolita che si ritrovava, e nemmeno perché non era più abituato a parlare giapponese, ma per qualcosa che stava alla fine delle gocce di pioggia e che a noi non era dato vedere.

La differenza tra la neve e il ghiaccio è quella che intercorre tra una principessa e un guerriero.
Camus osserva. Le labbra serrate in una linea sottile. Gli occhi come punte di spada. La spruzzata di lentiggini non mitigano la severità dell'espressione.
Nell'aria, polvere di ghiaccio che svanisce alla luce del debole sole della Siberia.
«Sei una principessa o un guerriero?» Grida, il cappuccio dell'anorak tirato giù con rabbia a rivelare lingue di fuoco irlandese.
Hyoga lo guarda. Ha gli occhi sbarrati. Stringe i pugni.
«Sono un guerriero!» ribatte con la convinzione isterica dell'infanzia.
«E allora non scioglierti al sole.»

«La tua vita, Nikolay, è come un lampo agli occhi di Dio. Tu ti affanni, lotti, speri, soffri, ma non sei nient'altro che un bagliore.»
Nonno Ivan allargava le labbra incorniciate dalla barba bianca in un sorriso che raggiungeva gli occhi e il cuore.
Non ti chiamava mai Hyoga, ma Nikolay, il nome con il quale figuravi nel suo stato di famiglia.
E quando ti sollevava fin quasi a sfiorare il cielo, ti diceva sempre «Sei il mio orgoglio.»
Ma il nome di tuo padre lo dimenticava, anch'esso con la stessa velocità con cui i bagliori hanno vita nel cielo.

Il tuono si propaga attraverso il cielo sgombro di nubi.
Come può essere? Ti domandi aggrottando le sottili sopracciglia e un pensiero ti sfiora. Funesto, come un gatto nero che manda in frantumi uno specchio.
Il vento smuove il tuo mantello. Il sole evidenzia il bagliore dell'oro. Tra le tue dita fioriscono diamanti di ghiaccio. Un altro tuono e le colonne del Undicesimo Tempio tremano.
La morte si è spenta in un grido d'offesa al Quarto Tempio del Cancro.
Tu alzi lo sguardo verso il cielo e un presagio ricopre i tuoi pensieri.
Arriverà e sarà come il vento dell'est.

Note dell'Autrice: Il vento dell'est è semplicemente il cambiamento che arriverà da Oriente. Sì, lo ammetto, ho una certa ossessione per il Mago di Oz … quindi tendo sempre ad est.

Sei una principessa o un guerriero? Ti chiedeva il Maestro.
Sei ghiaccio perenne o neve che si scioglie al sole?
Quanti sono i cristalli che brillano nella tua polvere di diamanti?
Non lo senti quanto è forte il vento?
I tuoi fratelli dormono in attesa del domani.
Tornerai ad Athene con una domanda per lui, ma il tuo cuore è in Siberia: un pezzo nel mare, un pezzo sotto una croce senza nome.
Saori-san confida nel genere umano. Tu senti il martellare dei tamburi di guerra.
Combatterai una battaglia alla quale non appartieni.
Ma adesso, silenzio! La tempesta ha inizio.

Rotto. Spezzato. Come una bambola a cui è stata staccata la testa, strappato il cuore che nessuno ha mai pensato di costruirle, ché tanto è una bambola. Non si vede! A che serve?
Ha sempre avuto quegli occhi così smarriti? C'è sempre stata la rabbia in lui? E il dolore … lo hai mai visto il suo dolore, Aurélien?
Eri impegnato a fingere di scrutare l'orizzonte?
Aggrotti la fronte, sollevi la mano, le parole che escono dalle tue labbra sono acuminate, lacerano l'anima, gonfiano il rancore.
Chi vorresti accusare, Nikolay? Credevi che non conoscessi il tuo vero nome, Nikolay Kuznetsov?

Note dell'Autrice: una piccola precisazione, nel mio headcanon – sia qui che in Sincretismo – Hyoga è stato legalmente riconosciuto da suo nonno, Ivan Kuznetsov, ma per farlo ha dovuto e voluto dargli un nome russo, Nikolay. Lo avete notato, no, che io do nomi come se piovesse. I nomi sono importanti, perché definiscono ciò che si è, cambia nome, cambia ciò a cui fai riferimento. Questa si chiama “fissa!”, è curabile. Dicono.

L'atmosfera lattiginosa di questa fredda mattina ti accoglie silenziosa, mentre tiri su il bavero della giacca a vento.
Le strade di Mosca sono deserte a quest'ora e tu cammini con la testa incassata nelle spalle e le mani sprofondate nelle ampie tasche.
Quanto tempo è passato? Non lo ricordi più.
Attorno ai tuoi occhi azzurri è fiorito un reticolato di rughe e la tua voce sta diventando sempre più simile a quella di Kido.
Hai rimesso insieme i pezzi alla fine, riparato la tua anima cucendola insieme alla bell'e meglio. Tutto sommato, hai fatto un buon lavoro. Non credi, Nikolay?

Questa luce così abbagliate. Questa luce spaventosa che il ghiaccio restituisce moltiplicando per diecimila un sole appannato.
Ti schermi con la mano inguantata, mentre davanti a te il porto è animato dalla manciata di pendolari che va e viene.
Preferiresti essere altrove, ma non ci si può sottrarre al Dovere.
Tu non sei Milo.
Tu non sei il Custode della Morte.
Occupatene tu, ti ha detto il Sacerdote. Sei bravo con i bambini, no?!
No. Avresti voluto gridare, ma ti sei limitato a rispondere affermativamente e a schioccare i tacchi degli stivali, prima di varcare la soglia della Tredicesima Casa.

La benda copre l'occhio. Gli hanno detto che non sarebbe mai più tornato come prima, che avrebbe sempre visto una parte del mondo come se fosse stato perennemente dietro un vetro appannato.
Di tutte le volte che ha tentato di immolarsi sull'altare del sacrificio, mai una volta che il fato gli abbia concesso di non impugnare la lama.
Carnefice è il suo secondo nome.
Assassino di madre, di fratello mai trovato, di padre che non ha mai generato figli.
I venti che spirano da est sono freddi e lui attende la notte in cui il ghiaccio brillerà sull'oscurità degli spettri.

L'ombra è generata dalla luce della candela che arde nella Sala del Trono del Tredicesimo Tempio di Athene.
Milo ascolta una sentenza di morte a testa alta. Lui corruga le sopracciglia, il diadema dell'Aquario sottobraccio.
Quand'è che Shion ha iniziato a indossare quella maschera?
Quand'è che la sua ombra si è fatta così scura?
C'è un segreto che non può essere raccontato, che ha a che fare con un bosco che non ha mai fine e che non perde nemmeno una foglia.
C'è un segreto che non può essere raccontato perché tutte le parole sono state usate per le menzogne.

Chi è stato?
Di chi è la colpa?
Contro chi devo puntare il dito per chiedere riparazione? Non sono che un bambino. Non conosco i kanji. Quali sono le domande giuste da porre?
C'è un uomo che non incontra mai il mio sguardo. È mio padre, dicono. Mia madre lo ha amato. La sua foto è bruciata nelle fiamme del camino.
«Che razza di nome è Hyoga? »
Hyoga … Hyoga … Yoga …
«Non ti metterai a morir di fame pure tu, come quello là?»
Rideva nonno Ivan, mentre indicava con il grosso pollice Mathama – nonhotantafame - Gandhi.

Cosa c'è dentro un'armatura vuota? Cosa c'è in un tempio distrutto?
Alla fine dell'Universo, che cosa c'è?
Un Santo si volta. Il passato che scorge è una strada di macerie. Le sue dita si serrano come tenaglie roventi.
Attento! È solo una bambina. Ha il volto di pesca. Non toccarla!
Aurélien cammina per le vie di Parigi tenendo le mani in tasca. Ha quattordici anni. L'Acquario è già pesante.
Ti sei persa?
Lei lo guarda. Occhi come fanali. Tace. Tende la mano. Le dita che spuntano dai guanti tagliati sono bianche.
Non la tocca.
È solo una bambina.
Fa attenzione.

Ti sei perso, Nikolay? Non trovi più la strada?
Dove volevi andare con questo buio? Non vedi che il bosco è fatto per bruciare?
Il Santuario è crollato. Il Mare si è ritirato. La Morte spalanca le braccia al cielo e ruota su stessa. Ha volto d'osso, e una risata che non si spegne.
Dove andranno le anime?
Dove vanno le anime?
Non lo sai, Nikolay, l'ateismo aprirà la porta del Millennio.
Avrai venticinque anni e un giorno e l'amore di una donna che non hai ancora incontrato.



L'oro nero riveste le ali del cigno.
Egli ha smesso di volare.

Il cielo è plumbeo. Reca con sé un'aspettativa di distruzione e trasformazione.
Il tempo è giunto, dici a te stesso, celato sotto un mantello sfilacciato di ombre e sangue da versare.
L'aria ha odore di zolfo e dolcezza. Decomposizione. Il tuo corpo è stato riportato allo stato precedente il Cambiamento. Cristallizzato nell'attimo in cui attendevi il suo arrivo.
Ed egli è giunto, come hai presagito. Nei suoi occhi, infuria la tempesta. Lame, tra le sue parole. Dolore sepolto in entrambi i cuori. E una promessa mai detta e mai infranta.

Quanto tempo è passato?
Niente.
Nemmeno un battito di ciglia.

C'è qualcosa di simile alla morte che è la sospensione della vita. Un dono, una promessa di salvezza. Chiudi gli occhi solo per un istante. Ojmjakon: la terra più fredda. Lo sciamano ha cantato una canzone per te, senza conoscere il tuo nome. Dicono che è così che funziona; che il nome e l'anima siano la stessa cosa e che un guerriero della dea vi rinunci perché il suo spirito non venga ghermito. Ma dalla ruota del Samsara noi non scenderemo.

E il ghiaccio si scioglie, tra schegge dorate.

E la vita è una tiranna che ti rivuole con sé.

Come?
In che modo?
Le cose non si fanno mai come andrebbero fatte, perché ci sono molti modi e sono tutti sbagliati.
Le cose non vengono mai fatte nel modo giusto.
Di tanto in tanto, c'è qualcuno che dice: Si fa così!
Come per i colpi di un Guerriero: una sequenza di movimenti codificati in un tempo lontano. Ma ora il sole ha smesso di disegnare le ombre e i bambini hanno dimenticato tutti i giochi del mondo. Siedono sul ghiaccio a fissare l'aria farsi cristallo. I profili della Siberia non si riflettono nei loro occhi.
Come?
In che modo?

Note dell'Autrice: A volte ritornano! Questa sera stavo tornando a casa in treno e mi sono resa conto che è da tanto che non scrivo o aggiorno le mie storie. Un po' mi dispiace, perché non amo lasciare le cose incomplete. Comincio da qui. Da Siberia. Seguiranno altri aggiornamenti, perché non so quando riuscirò a ritagliarmi un po' di tempo. Chiedo scusa a tutti quelli che leggono Siberia e si domandano: "Ma quanto tempo ci mette questa a scrivere 100 drabble?!"

Se questa storia avesse senso, dovrebbe iniziare con un Prologo, svilupparsi in paragrafi raggruppati in capitoli, delimitati da facciate bianche. Se questa storia fosse una storia, sarebbe articolata attorno a un conflitto, comporterebbe la crescita del protagonista, e la decadenza dell'antagonista. Se questa storia esistesse, i lettori strapperebbero le pagine, una a una, e le guarderebbero bruciare in fiamme blu dall'odore di gas.
Ma questa non è una storia. È una manciata di frammenti disorganizzati. Una collana di emozioni che non potrà mai essere indossata. Una sequenza di scelte possibili. Un bouquet di margherite ghiacciate, incapaci di predire il futuro.

Siberia è cielo e ghiaccio. È notte senza fine e prepotente giorno. È una manciata di case di legno e distese deserte e immobili. È una volta di stelle e una tenda d'aurora. È il fuoco che arde e il cerchio di anime attorno al fuoco, che parla e tace. Tace e racconta. Racconta e ascolta. È la carne salata conservata in scatole di latta e vino scaldato che arrossa le mani e le gote.
Siberia è una dama che siede composta e silenziosa. È una vecchia curva in controluce. È uno sciamano che rifiuta di dire il suo nome.

Quando è stata l'ultima volta, Nikolaj, che hai pensato a lui?
Ti sei mai detto: “Ecco. Questo è il mio braccio. Queste sono le vene che si diramano nel mio braccio. E questo è il mio sangue – il suo sangue – che scorre in me?
Lo hai incontrato per la prima volta nella bidimensionalità di una fotografia. Un volto austero capace d'incantare tua madre, incurvarle le labbra in un sorriso e incresparle le sopracciglia. Sei stato sopraffatto dalla sua presenza a Villa Kido, quando vi guardava senza vedervi, parlava di voi come se non foste stati presenti.
Altri ricordi?

Dimmi, Aurélien, quando è stata l'ultima volta che hai pensato a lei?
Te la ricordi, o il sangue ha lavato via ogni traccia di memoria?
Non sei tu a formulare questi pensieri, sono io che non ho nome, non ho volto.
Io sono colui che saresti potuto essere, se non fossi stato tu.
Dimmi, madre, il tuo ventre è caldo?
Digli, madre, che l'hai sempre amato.
Le tue carni si sfaldano a Père-Lachaise
Svelaci, madre, il volto della morte.
Noi – Io – attendiamo di essere sommersi.

E il Santo dell'Aquario cade, mentre il ghiaccio increspa le colonne del tempio.

Nei momenti più importanti della sua vita, Hyoga non ha potuto scegliere. Lo hanno fatto altri per lui. Sua madre. Suo padre. Il suo maestro. Persino Isaac. I lineamenti del suo volto sono stati riplasmati dalla furia degli avversari. La punta della lingua scorre alla ricerca dei denti mancanti. A guardarlo, non si nota nulla. Hyoga non ride più, ormai, ma si limita ad abbozzare un sorriso, una curvatura delle labbra.
Ha parlato a lungo con Milo di Scorpio. Un lungo discorso fatto di silenzi.
«E' stata una sua scelta.»
Non la mia. Ha completato mentalmente lui, al suo posto.

Note dell'Autrice: riguardo questa drabble. Io riflettuto sul fatto che in un certo senso Hyoga non ha mai fatto scelte vere e proprie.

I riflessi nella Senna hanno i colori caldi della golden hour di un caldo pomeriggio estivo. Una bottiglia di birra mezza vuota appoggiata sul muretto sul quale Aurélien siede in silenzio. Le coppie volteggiano in circolo sulle note di una vecchia canzone. Gambe nude. Sandali rossi. Una gonna con motivi floreali. Pantaloni con la piega ben stirata. Camicie con le maniche corte.
Nella tasca della sua borsa, una lettera vergata da un tratto elegante. La firma è quella di sua Eccellenza, il Gran Sacerdote.
Aurélien abbozza un sorriso. C'è amarezza. Nostalgia per la vita.
«Vivi, Aurélien?
O, forse, sei morto?»

«Esprimi un desiderio?»
«Un desiderio?»
«Posso far sì che tu pianga tutte le tue lacrime, così che voi non prendiate quella nave. Oppure, che le parole del tuo maestro non restino inascoltate, e Isaac non incontrerebbe la morte nelle gelide acque. Oppure, posso farti chinare il capo al cospetto dell'Acquario, mentre la tua dea giace esanime e tu non dovresti più ucciderlo, o ...»
Hyoga alza la mano, increspata dalla vecchiaia. Gli occhi annebbiati dalla cataratta mettono a fuoco una figura senza volto.
«Se mi è concesso... Vorrei poter andare a scuola.»
Come un bambino privo della benevolenza delle stelle.

«Che lavoro ti piacerebbe fare?»
Milo tende a fare domande strane. Dopo.
Aurélien sospira.
«Siamo guerrieri al servizio di Athena, Milo.»
Le dita a seguire la linea della sua spalla nuda.
«Sì, naturalmente. Ma se potessi scegliere? Che lavoro ti piacerebbe?»
Aurélien si scioglie dal suo abbraccio. Fissa il soffitto.
«Non ci ho mai pensato.»
«Potresti fare il gelataio.»
Lo fissa. Un sopracciglio inarcato.
«Stai facendo dell'ironia?»
Milo ridacchia.
«Un po'.»
«Sinceramente.» Aurélien sembra riflettere. Poi aggiunge: «Non ci ho mai pensato. E tu?»
«Nemmeno io. In fondo, siamo guerrieri di Athena. E abbiamo un appuntamento posticipato con la Morte.»

La neve cade, mentre fissi una Gordon che non fa promesse.
Oltre il vetro, le persone scorrono una dopo l'altra, come tutti gli sbagli che hai fatto scorrono uno dopo l'altro nella tua mente. Il filo d'oro è finito, e pure quello d'argento e non è più possibile rammendare una vita passata.
Ascolti una canzone che non conosci, mentre i ricordi fanno gemere il tuo corpo e senti la nostalgia dei luoghi in cui non puoi tornare.
«Mandami a casa.» sussurri alla birra che ti hanno venduto senza chiederti l'età.
«Costruiscine una per me, che non possa più essere distrutta.»

Note dell'Autrice: La canzone che si sente nel pub è dei Siouxsie & The Banshees, Scarecrow.
Listen to his body moan
Make a wish and send us home
To spin the gold and silver stitches
We can turn his rags to riches
L'album Peepshow esce a novembre del 1988.
La scelta di questa canzone è stata dettata da diverse ragioni. Innanzitutto, credo che musicalmente esprima perfettamente il senso di abbandono e di nostalgia della drabble; ha un testo pertinente a quanto voglio comunicare; a me piace particolarmente; e non è "Home" che sarebbe stata una scelta automatica, sebbene io adori "home" e vada in brodo di giuggiole ai concerti tutte le volte che vedo Gore prendere in pugno la situazione.

Aurélien non ha mai amato i compleanni. Non capisce perché si debba festeggiare lo scorrere del tempo. Nemmeno sua madre amava i compleanni. L'abito blu che le fasciava i fianchi. I capelli rossi raccolti. Una sigaretta che spuntava tra le unghie laccate di rosso. Guardava fuori la finestra, persa nei suoi pensieri. La linea delle sue labbra era indurita dallo scorgere nuove rughe. Era ossessionata dal tempo. Questo lo ricordava. Così imparò a congelare il tempo, a eternizzare un attimo nel ghiaccio.
Che strano, che io continui a pensare a lei, quando me la sono presa così tanto con lui.

Il calore è un aspetto della quotidianità che non hai mai compreso prima di incontrarla. Avete gli stessi colori, ma nel biondo dei capelli di Pamela c'è l'estate di un campo di grano e nell'azzurro dei suoi occhi la dolcezza dello zucchero filato.
Suo padre ci ha messo un po' ad accettare il tuo accento e il tuo nome. Piega le labbra in una smorfia di disappunto, mentre la voce di Clinton accompagna il vostro pranzo natalizio.
Forse un giorno racconterai a Pam di tua madre, e di Aurélien e della tomba di Seiya sulla quale non scende mai l'inverno.

Note dell'Autrice: questa drabble è, come altre, ambientata nel futuro. Siberia, come vi sarete resi conto, non segue un filo cronologico e il presente narrante oscilla tra ieri, oggi e domani. Pamela è la classica ragazza bionda che compariva sempre nei film americani, quelli dove c'era sempre una squadra di football e una tavola calda.
E riguardo Seiya, in Rovine, non sopravviverà al colpo di Hades, non perché non mi piaccia, anzi, è vero il contrario. Gli ho dato una morte epica, piuttosto che vederlo trasformarsi in quel patetico innamorato di Omega. E comunque, l'anno è il 1997.

I pupazzi sfilano, ondeggiano a causa del peso troppo leggero. Le bandiere generano un mare a stelle e strisce. Un mondo che palpita sotto di te, arde in un modo che il Vecchio Continente non riesce a capire. Le loro feste non sono le tue feste. Tu sei qui, di passaggio. Un'ombra che odora di marsigliese, colonne doriche, madeleine assaporate lungo la Senna. Il rapporto giace incompleto sul tavolo. La penna è rotolata e caduta nel silenzio di una camera d'albergo. Il mondo è finito e ricominciato in una notte, mentre le strade brulicano di risa, coriandoli, hot dog, canzoni.

D'accordo, parliamo dell'Indipendenza. Non mi ricordo nemmeno quando si festeggia l'indipen … ah, giusto! Il 4 luglio! Forse potrei parlarvi di quella che un cucciolo ottiene con graffi e morsi perché solo così ci si procaccia da vivere. Un po' come in Siberia. C'è tutto quel ghiaccio e sotto il ghiaccio c'è altro ghiaccio e allora ci si congela implorando il sole del 4 luglio. O è l'indipendenza di un popolo, o quella di Isaac che per guadagnarsela è finito in fondo al mare e c'è una croce che tu non riesci a guardare in mezzo a tutto quel ghiaccio.

Hai il cipiglio dell'aristocratico in rovina e l'acume dell'intellettuale borghese. Te ne stai in un angolo con un calice pieno; la spalla che regge la parete perché sia mai che possa cadere. Misuri le parole in termini di numero, attribuendo punteggi multipli a quelle composte da più sillabe. Anche questa notte, dell'anno 1985, sei in questa bettola di Atene a fissare Milo e a chiederti fino a che punto un uomo possa perdere la propria dignità. Ma non preoccuparti è solo il 1985 che sta finendo, le torri staranno in piedi ancora per un po' e questo sarà veramente l'ultimo.

Il mio nome era Nikolaj Aleksandr Sokolov. Avevo una madre, non avevo un padre. Mio nonno cantava vecchie canzoni. Io bevevo tè nero e giravo le pagine di un vecchio libro.
Il mio nome era Hyoga. Avevo un padre, non avevo una madre. I miei fratelli venivano dal mondo, sedevano alla tavola imbandita senza fare domande, e imparavano a memoria i nomi delle ossa del corpo.
Il mio nome era Hyoga del Cigno. Avevo molti fratelli, non avevo genitori. I miei nemici mi mostravano l'onore nascosto dietro le battaglie. Io aspettavo il freddo.
Il mio nome è Nikolaj Hyoga Kido.

Note dell'Autrice: con questa iniziano le ultime drabble, quelle che ogni autore sceglie personalmente.

Il tuo nome era Aurélien Jean Camus. Avevi un padre. Avevi una madre. Vivevi in un appartamento signorile in Rue Saint Honoré e la domenica mattina andavi al café con tua madre a mangiare pain au beurre con un poco di lait.
Il tuo nome era Camus dell'Acquario. Non avevi padre. Non avevi madre. Vivevi in una casa che sembrava un tempio là dove gli ulivi riposavano al sole, e un'altra, grande una stanza, dove il sole era fatto di ghiaccio.
Il tuo nome è … Nessuno conosce il vero nome dei morti. Il tuo cadavere si decompone nella terra.

Noi siamo soldati che camminano verso il tramonto. I nostri occhi vedono il vero colore delle stelle. Le nostre orecchie odono il richiamo degli dei. Viviamo sospesi tra i mondi e ci dimentichiamo della morte. Viviamo ogni giorno come se fosse il primo e come se fosse l'ultimo. Respiriamo. A volte dormiamo. Combattiamo. Curiamo le ferite in ospedali segreti e di nuovo camminiamo lontano dall'alba. E la notte sogniamo il mattino, un autobus, e la paura del compito in classe, ma noi siamo soldati di quattordici anni che conoscono a memoria il nome delle ossa che frantumiamo in un respiro.

Chi sono loro?
Loro sono gli altri.
Gli altri? Quali altri?
Quelli che aspettano il metrò nei tunnel, che camminano sotto gli ombrelli, e si specchiano in lucide posate di un bistrot dalle parti di Montparnasse.
Loro non sono noi. Non sono voi. Sono coloro che stanno dietro un muro che divide noi da loro. Noi siamo ciò che loro non potranno mai essere e loro sono ciò che noi non vorremo mai essere. Noi abbiamo la dea.
Loro hanno un manipolo di divinità interscambiabili.
Noi abbiamo il Vincolo della Reincarnazione.
Loro hanno la promessa di un Paradiso della Cuccagna.

La neve cade sul tetto della casa. Le imposte sono chiuse. La porta sprangata. Dentro è buio. Le tre sedie sono scostate dal tavolo di legno. Il frigorifero è vuoto. C'è una torcia senza batteria sul pavimento. Il mozzicone di una candela che odorava di caprifoglio. L'anta socchiusa rivela ripiani vuoti.
Tutto ciò che è restato indietro, è stato dimenticato.
Non c'è nient'altro nascosto nell'oscurità. Nessun respiro trattenuto. Nessuna carezza data quando tutti dormono.
La croce è sepolta dalla neve.
E una voce sussurra lontano nel tempo …


raccontami una storia che non abbia mai fine e forse potrei crederci