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Recensione alla storia Il tempo delle alte fiamme - 17/01/19, ore 11:59
Capitolo 1: Il tempo delle alte fiamme
Quarta Classificata e Vincitrice del Premio "Le meraviglie dell'universo"
Il tempo delle alte fiamme
di Yonoi








Grammatica: 12.5/15

La grammatica è ottima, ma ho trovato qualche imperfezione di punteggiatura che spezza il legame sintattico all’interno delle frasi e qualche frase da rivedere. Inoltre è da rivedere totalmente il metodo che utilizzi per i dialoghi.
Di seguito, gli errori trovati:

ed anzi → -0.5 la d eufonica è meglio limitarla tra vocali uguali
Là, il silenzio era così assordante, e talmente presente → -0.8 La virgola non va posta tra coordinati, come in questo caso
Forse tutta la rabbia che ci portavamo addosso proprio come le zanzare appiccicate al sudore, nasceva → La virgola non va posta tra soggetto e verbo
Quella sera richiamai indietro il soldato:
-“Lascialo in pace, andiamocene”- → -0.8 O utilizzi i trattini o le virgolette alte. In ogni caso devi usare una punteggiatura. Io personalmente la uso al di fuori dei dialoghi, tranne quando la battuta non è seguita da un verbo dicendi.
ad eseguire → togli la d
non si arrendeva ai miasmi delle latrine, né alla decomposizione spaventosa dei morti → In questo caso, la virgola è posta tra coordinati e va tolta
porzioni extra di hamburger servire dal cuciniere → -0.1 servite
che la monaca fiammeggiante aveva compiuto sulla piazza del mercato → -0.3 nella piazza
Io m’inoltravo nella foresta come in un enigma, e mi auguravo solo che anche gli altri →
si faticava a vedere la luce del giorno, non una sola foglia, né un ramo di palma chiudeva la vista del cielo → lo stesso come sopra
ed anzi cominciavo → lo stesso come sopra
I nostri animali uccisi dalle vostre rappresaglie, e da quelle degli altri → lo stesso come sopra
Soltanto la mitezza, e la malinconia che scavava rughe profonde, erano esattamente le stesse → ho capito che effetto volevi ottenere, ma siccome il verbo regge sia mitezza sia malinconia l’inciso non dev’esserci. In alternativa puoi cambiare leggermente la frase.


Stile: 18/20

Lo stile è piacevole, semplice quanto serve per una narrazione in prima persona che sa essere un tutt’uno con il personaggio narrante, scevro di figure retoriche se non la classica similitudine, adatto secondo me a un testo che vuole colpire soprattutto per la sua tematica, con l’obiettivo di raggiungere tutti. È uno stile pulito, sobrio, che comunque sa coinvolgere.
Utilizzi molto le similitudini, in alcuni punti si sente quasi un sovraccarico di questo espediente. Ti consiglio di limitarlo un po’ in certi punti. Per esempio:

- Era il tempo delle alte fiamme, e io avevo l’impressione di vederle dappertutto: ardevano le foreste, le palme esplodevano come fuochi artificiali, piegavano il capo lasciando cadere i loro rami come lingue di brace. Sulle sponde del fiume si specchiavano i salici, i canneti come colonne che reggevano il cielo accendevano torrenti di fiamme. Gli arbusti del sottobosco si appiccavano il fuoco a vicenda, lanciandosi i lapilli come in una staffetta. → Forse è un effetto voluto, ma ho reputato eccessivo aggiungere un paragone a ogni complemento. Si attira troppo l’attenzione sulle similitudine e si distoglie l’attenzione del lettore dalla scena reale. La similitudine serve a spiegare, o ad arricchire certo, quelle sensazioni difficile da capire o quelli elementi ed eventi che non tutti hanno conosciuto e provato su di sé.

La punteggiatura è stata un mezzo tallone d’Achille. Hai piegato le regole cercando di personalizzare il testo, di dare una precisa intonazione alla lettura, riproducendo il ritmo del parlato. In alcuni punti è riuscito, in altri ti sei spinta un po’ oltre, secondo me. Ma ciò che più si nota è l’abuso dei due punti, davvero eccessivo; nel loro caso, l’intonazione che acquista il testo è distorta e appesantita. Ricordo che il loro utilizzo va usato, oltre che con le consuete numerazioni ed elenchi, per dividere una subordinata che esplicazione della principale, o per sostituire certi tipi di congiunzione, come il perché, o ancora per esporre quanto presentato dalla reggente.
Ti riporto alcuni passaggi:

- In quel mondo irreale, una cupola verde su un cielo sempre uguale, avevamo camminato fuori dal tempo, anche noi ridotti ad ombre: senza riuscire più a intercettare le comunicazioni radio e smarrendo persino le ultime ragioni del perché ci trovavamo lì, tra colonie di farfalle grandi come elicotteri, moscerini appiccicati al sudore e lucciole che di notte disegnavano strani segnali in codice, e di nuovo il timore che a piombarci addosso fossero ancora gli altri. → I due punti non sono necessari, sarebbe meglio una virgola o, se vuoi creare un effetto, un punto fermo. Se metti i due punti qui, la pausa così lunga spezza la fluidità della narrazione e confonde il senso che ha la seconda parte.

- L’idea di ritornare non suscitò, lì per lì, neppure un’ombra di entusiasmo: a un tratto il nostro mondo, quello in cui esistevano città e volti noti, pareva così distante, come se non fosse mai esistito per davvero. → Qui invece sono perfetti, perché i due punti sostituiscono una congiunzione esplicativa, mettendo in evidenza la seconda parte e la ragione del mancato entusiasmo.

- […]tramonti di fiamme: si trattava di un tempio, a prima vista un cumulo di rovine nel cuore della foresta. → Qui invece vanno bene, ma trovo che la subordinata diventerebbe più incisiva senza “si tratta di”.

Si tratta, come puoi vedere, di piccole accortezze, soprattutto quella nella terza citazione, che renderebbero alcuni passaggi più chiari e incisivi. Abusi anche del capoverso, spezzando molto la narrazione in alcuni punti. Ti consiglio di limitare l’espediente di isolare con il capoverso una singola frase solo quando la vuoi rendere protagonista, far risaltare; al contrario, invece, tutte le frasi si eguagliano e il testo risulta troppo lento.
La narrazione sa variare. Non usi mai strutture ripetitive e tutte uguali tra loro, nelle descrizioni non sembra mai di leggere la lista della spesa e, laddove è necessario attirare l’attenzione, l’inversione dei sintagmi è un colpo di abilità. I toni, grazie a questo, sono sempre molto espressivi, infondono il ritmo di una storia che vuole commuovere, colpire per la tranquillità con cui affronta certi temi. Trovo comunque che a caratterizzare lo stile siano periodi lunghi, nei quali però il flusso del discorso non si smarrisce mai; li trovo perfetti per un testo introspettivo, dai significati profondi, che non vuole colpire ma avvolgere. Il tono narrativo, quindi, è perfettamente il linea con il contesto.
Il lessico è semplice, molto lineare, ed è più facile quindi percepire maggiormente l’utilizzo di alcuni vocaboli, come luna e foresta. Ripeti molto spesso, nella seconda parte, il soggetto della monaca, giovane e altri con cui ti riferisci a lei, e questo ha l’effetto di rallentare e rendere ripetitivo i paragrafi. Anche qui probabilmente è un effetto voluto, ma a una lettura esterna sembra, secondo me, superfluo e tediante. Non ti serve, il fulcro, l’icona più forte è sempre vivida nella mente del lettore.
Il narratore in prima persona è gestito in maniera abile. Ha carattere e personalità e imprime alla narrazione un punto di vista coerente, che sa mostrare l’ambientazione generale attraverso particolari e sensazioni; inoltre usi molto bene la focalizzazione e l’introspezione, rendendo la vicenda vivida e reale, come se il lettore la vivesse in prima persona. I dettagli abbondono e non sono mai noiosi, anzi sono emblema di una cultura a cui hai saputo essere molto fedele.
Nel testo si evidenziano una predilezione di sequenze descrittive, che hanno il potere di limitare senza farne sentire la mancanza di quelle narrative. I dialoghi sono inseriti in maniera ponderata e solo quando servono, lasciando alla voce narrante il compito di presentare eventi e interazioni. È un testo, quindi, che risulta molto introspettivo e visivo, ma non per questo perde di equilibrio. Hai fatto un ottimo lavoro.
È difficile parlare delle tematiche, perché sono tante e davvero importanti, soprattutto non hanno come obiettivo l’analisi della complessità dell’uomo ma la riflessione sociale e culturale e l’interazione dell’uomo con esse. E ti faccio i complimenti per la delicatezza, la cura e il rispetto con cui lei hai trattato, non esimendo il lettore però da immagini visive forte, simbolo di un pezzo di storia che ha lasciato profonde cicatrici e che avrebbe dovuto insegnare più di quanto l’uomo è stato capace di apprendere alla fine, purtroppo. E credo che questo messaggio – la ritrovata consapevolezza e l’insegnamento appreso dal sergente contrapposta all’indifferenza di molti altri – sia altrettanto impresso nell’epilogo quanto la compassione e l’esaltazione della bellezza.
Emblematiche sono state le citazioni poste all’inizio delle varie scene, le quali si sono fatte carico di interpretare il messaggio e arricchirlo con un pezzo di racconto. Un complimento dovuto invece va a queste parole:

- Distruggere il mandala non serve a rendere inutile il lavoro di mesi. Durante questo tempo, il mandala della Saggezza ha svolto la sua funzione di insegnamento. Ci ha anche aiutato ad acquistare la pazienza necessaria per realizzarlo. Ma noi sappiamo che la vita è cambiamento: ricordarci di questo ci aiuta a non attaccare il cuore alle cose che passano, ad accoglierle quando vengono e a lasciarle andare quando è giunto il momento
Complimenti!


Originalità, Ambientazione e Trama: 15/15

Non so se posso parlare di originalità, ma sicuramente posso parlare di una forte personalità della storia. Non è un racconto che passa inosservato o che può lasciare indifferenti. Lo sfondo della guerra non fa che esaltare la ricerca della compassione, della comprensione e delle risposte di una vita che ha del meraviglioso e del terribile. Questa storia ci ricorda quanto piccoli ed effimeri siamo in questo mondo, e quanto nonostante ciò possiamo fare, nel bene o nel male. Una singola persona può cambiare le sorti di molti, e non importa se il suo gesto sembrerà futile, spazzato l’attimo dopo dal passaggio di altri: la compassione rimane.
Una cosa che risalta è l’invisibilità, o mancanza di un volto, degli “altri”; così come nel finale sfocato è il volto del “noi”. Sono termini che indicano una comunità, un’unione che però è anche una divisione dal resto. Il nemico non acquista mai un volto, diventa un fantasma da cacciare e ricacciare; la guerra non è mai attiva, eppure la gente muore, soffre, piange. Questo perché morte, sofferenza e ingiustizia è tutto ciò che la guerra alla fine lascia. Non le serve un altro volto, un simbolo. “Gli altri” diventano quei volti sofferenti, innocenti, indifesi che fino a metà storia il “noi” si è rifiutato di guardare negli occhi, di ascoltare. Il nemico è l’insensibilità, l’indifferenza, ed è questo che viene cacciato, minacciato da quella voce degli “altri” che riecheggia nella foresta.
L’ambientazione è perfetta, e non posso che farti i miei complimenti. Si nota la cura e lo studio che hai fatto prima di scrivere, il rispetto che hai della materia che tratti, l’amore ma soprattutto l’ammirazione per una cultura che ha del magico, del surreale, dell’impossibile per chi vive tra cemento e ipocrisie. I riferimenti alla guerra del Vietnam sono pochi e ben dosati, fungono da coordinate e si limitano a fare da sfondo a un Paese fatto di colori, natura e un’interazione con il cuore dell’universo che non può essere compreso con uno sguardo. È una cultura diversa che tu fai conoscere cercando di farlo prima dall’esterno e poi intrufolandoti all’interno, senza mai diventare maestra, ma personaggio e lettore apprendono sempre insieme, la loro consapevolezza cammina alla stessa velocità. Hai curato tantissimo i templi, le città, la società, dal mercato ai mestieri, al cibo, alle piante. Ciò che risalta in qualche modo però sono i colori. Sì, i colori della vita, della varietà, della commistione di più elementi con un profumo unico e indescrivibile, che tu associ all’incenso, simbolo della sacralità.
L’incipit è ciò che di più lontano può esserci dallo spirito che pervade la fine: ambito militare, denso di sentimenti di smarrimento e apatia, perdizione, cupi. L’irrealtà e la meraviglia di quel mondo però non tardano ad arrivare, e quando lo fanno il contatto avviene quasi con spavento, terrore e soprattutto incomprensione. La scena del tempio, con i monaci che non fuggono e le statue che sembrano ammonirli vengono quindi mal interpretati e suscitano sentimenti di inadeguatezza, proprio come accade quando un animo scuro conosce per la prima volta la luce, la gentilezza. Si vergogna. Credo che questa sia la parola adatta per esprimere il disagio e l’incapacità del protagonista di attaccare quel luogo. Lo abbandona con un tarlo in testa.
Il secondo incontro è con My Lai, ed è qui che si sente la forza interiore di questo mondo, che soffre senza reagire, senza averne sostanzialmente i mezzi. I deboli soccombono. Anche qui c’è un’incomprensione, ma è quasi una difesa della mente umana stavolta, perché l’orrore che lui sa di aver contribuire ad attuare lo trasforma in rabbia e indignazione. C’è anche la sensazione di una diversa velocità con cui ci si approccia alla vita: gli insegnamenti buddhisti richiedono meditazione e pazienza e soprattutto accettazione. Il protagonista in questo frangente non è ancora pronto, e non lo sarà fino a quando il bisogno di avere delle risposte, di trovare un senso alla sua vita non arriva alla sua ultima possibilità.
Il finale e l’epilogo sono l’emblema del doppio gusto di questo viaggio: la distruzione e la bellezza, o rinascita. È un viaggio che sembra lineare, ma che attraversa un sali e scendi di morte e rinascita della vita che il protagonista aveva vissuto fino a quel momento.
I generi sono ambedue trattati con regolarità, senza mai dominare con forza. Il dramma della guerra e il contesto storico fanno entrambi da sfondo a una ricerca interiore e a un messaggio di vita che colpiscono.


Titolo, Introduzione e impaginazione: 8.25/10

Io credo che con questo titolo tu abbia voluto omaggiare quegli eventi aventi simbolo il maestro Thich Quang Duc: il periodo in cui monaci e laici si davano fuoco, in una protesta silenziosa e non violenta, recitando dei mantra. Impressione esaltata dalla centralità che vuoi dare all’evento di My Lai, ripetendo più volte “monaca fiammeggiante”. L’evento, in questa storia, che segna il turbamento e il cambiamento e fa da molla per il protagonista, non è il solo aspetto importante da tenere conto in questo viaggio fatto da simboli, incontri e luoghi sacri.
Ho trovato il titolo attinente anche perché può rivolgersi perfettamente anche alle fiamme che loro scagliano contro gli altri, ai bombardamenti e alla distruzione, denso di un potere speciale; e quindi dal doppio significato. Anche il tono del titolo non è incisivo, ma è melodioso, “morbido” come la tua storia. Tuttavia trovo che non riesca a racchiudere il cuore di questo viaggio, in cui è il personaggio a essere protagonista. Ho la sensazione che li manchi qualcosa, centralità ecco.
L’introduzione, invece, gioca con frasi brevi, incisive, che hanno la funzione di ripercorrere con sintesi le tappe di questo viaggio. Mi ha colpito perché non usi mai frasi verbali, giochi con un elenco di luoghi, scene e immagini che non possono che colpire e intrigare; inoltre questa scelta stilistica nell’introduzione prelude a toni densi di riflessione, avverte il lettore che sta addentrandosi in un viaggio prima di tutto spirituale. Ciò che manca è l’aggiunta di un estratto del brano, che in questo caso avrebbe dato corpo e fluidità a un’introduzione comunque forte e decisa.
L’impaginazione è molto buona: il testo è giustificato, ma hai un po’ esagerato con l’interlinea e il rientro dei capoversi, entrambi molto accentuati. Se la prima comunque rende il testo più limpido, pulito e godibile visivamente, la seconda ha l’effetto di sbilanciare l’equilibrio della colonna.


Caratterizzazione dei personaggi: 20/20

È una storia che non fa sentire la mancanza dell’effetto visivo del personaggio, forse perché si assume il compito di essere veicolo di una più ampia schiera di persone, emblema di una società e di un mondo. Il non dare una descrizione fisica alle persone non le priva in questo caso di caratterizzazione, ma le rende versatili: chiunque, o comunque in tanti, possono essere i loro prestavolto. È ciò che ognuno di loro rappresenta a essere fondamentale.
Detto questo, non ci sono moltissimi personaggi da valutare: il giornalista è lo specchio di una società che si abitua sempre più alla violenza, che trae profitto dalla sofferenza altrui e che smette di essere protagonista del proprio destino; la monaca fiammeggiante è l’emblema di un livello dell’anima e dello spirito quasi incomprensibili per noi e per il protagonista, la sua compassione, che vuole accogliere e comunicare, avvertire e salvare, ha il potere di punire; persino il monaco che diventa poi suo compagno di noviziato è l’emblema di una cultura sacra e particolare, di un uomo che accoglie la religiosità e gli insegnamenti di pazienza dopo aver visto e conosciuto l’odio e le altre forme di reazione. Anche il protagonista, in un certo qual modo, è un guscio di cui ognuno di noi può esserne il cuore. Le emozioni che prova sono la conseguenza lineare e verosimile di chi, invischiato in una guerra che è fatta di propaganda, minacce e poca chiarezza, di false ideologia e soprattutto richiede indifferenza, si ritrova, a un passo dal tornare a casa, a entrare in contatto con eventi unici, che hanno del sacro e dell’intenso. Il silenzio che pervade parte di questi contatti ha da comunicare più di mille parole. Il personaggio è un uomo che ha grande spirito di osservazione, è un uomo attento che ha fatto la sua piccola carriera ma che dalle parole del giornalista si scopre essere e quindi vivere in una dimensione innocente, illusa del mondo, è giovane ma allo stesso tempo ha già conosciuto la cupezza della guerra. Si scopre, ed è una consapevolezza che arriva in un secondo tempo, smarrito in un orrore più grande di lui, a cui non era preparato e il cui fine non riesce ad acciuffare. Un orrore che diventa insostenibile nel momento in cui lo guarda con gli occhi dell’innocenza e della compassione. Il senso di smarrimento diventa rabbia, una rabbia che vuole proteggerlo dai sensi di colpa e dalla sua piccolezza e stoltezza. Il personaggio cresce e si evolve attraverso queste esperienze, diventa sempre più riflessivo, si lascia attraversare dalle bellezze spaventose di un mondo di cui adesso ha bisogno, perché è l’unico che può dargli la pace e la redenzione, che può insegnargli a vivere veramente.
Parlando così, potrebbe sembrare quindi che i personaggi che abbiano seguito in questa storia non siano stati ben caratterizzati o che non abbiamo personalità, o ancora che siano dei meri stereotipi; invece è proprio questa particolare scelta che fai a renderli così vicini al lettore. La semplice evoluzione delle emozioni del protagonista è facilmente comprensibile e adattabile alla natura più elementare di ognuno di noi, a patto che decida di farsi sconvolgere e inorridire e si decida a cercare le risposte alle proprie domande. I tuoi personaggi hanno la forza dei simboli, il protagonista soprattutto è il compagno perfetto per l’anima di tutti noi.


Gradimento personale: 4.75/5

Questa storia è densa di sacralità. Io non ho parole per esprimerti quanto mi ha dato. A un certo punto, e non ricordo più quale (scusami!) ho sentito le lacrime e il bruciore agli occhi. Sembrerebbe assurdo, visto che non è una storia densa di pathos o di incisività, non vuole colpire come un muro, ma entra dentro come l’acqua che non può essere tenuta fuori da nessuno tipo di muro, che non può essere confinata a una sola forma e che non può essere raccolta tra le mani, per quanto strettamente intrecciate siano. A commuovermi (questa è la parola corretta) è stato il modo in cui sei riuscita a farmi vivere sulla pelle questo mondo magico, colorato, dalla cultura profonda e spirituale; è un viaggio fatto di insegnamenti, da paesaggi dolci e dai profumi intensi e avvolgenti. Il modo in cui sei riuscita a farmi sentire la cultura e questa religione è stato… non lo so spiegare.
L’unico punto che mi è mancato è la presenza di un cast più presente e partecipe alla storia. Il viaggio riflessivo è molto personale, è vero, ma mi sarebbe piaciuto avere modo di contrapporre il protagonista a personaggi diversi, anche del suo stesso plotone, qualcosa che desse maggior corpo alle facce con cui è stato in missione e che penso abbiano comunque contato qualcosa per lui. Invece, nessuno dei tuoi personaggi, a parte la monaca fiammeggiante, ha un nome o un volto. Un altro aspetto che mi è mancato è la possibilità di retrospezione, ovvero elementi del suo passato, del mondo che si è lasciato alle spalle, in modo da dare profondità alle differenze. Sembra quasi essere un personaggio senza legami, e credo che avere qualche dettaglio, seppur generale, della sua vita, non avrebbe impedito al lettore di immedesimarsi.


Punto Categoria: 3/5

Cos’è l’arte se non comunicazione? All’inizio pensavo che avessi inteso la categoria in maniera piuttosto coraggiosa, e non per questo non avrebbe avuto senso o non avrebbe conquistato il mio favore: il tempio, il silenzio dei monaci e l’insegnamento silenzioso di My Lai. Io credo che la forza della categoria sia espressa soprattutto da loro, dall’armonia che trasuda da quei luoghi in mezzo alla foresta o dalla visione di quelle fiamme. La compassione è un’arte che andrebbe coltivata. Il silenzio colpisce il protagonista, parla una lingua a cui neanche con i suoi pensieri riesce a darle un suono ma che il cuore e l’anima comprendono.
Ma non di meno acquista valore e soprattutto corpo attraverso il mandala. Simbolo di armonia, un insegnamento, portatore di un messaggio, ma anche della verità più assoluta del mondo: lo scorrere, il fluire, il cambiamento. Ciò che tutto questo ha da comunicare, protagonista e lettore apprendono, assimilano e imparano. E quando il momento quest’arte si distrugge, torna alla polvere e al mondo, torna al suo dio. La libertà e la pace che si acquisiscono così sono il fine di un’arte effimera quanto eterna.
Per quanto riguarda i punti bonus, non ho riscontrato un mestiere insolito; per cui non te li posso assegnare.

Punteggio: 81.5/90
Recensione alla storia NAGINATA (なぎなた-薙刀) - 12/11/18, ore 14:23
Capitolo 13: Capitolo XII - Nagoya parte II
Ciao!
Anche se impiego mesi, non mi dimentico della tua long.
Un altro capitolo molto interessante, anche se avrei preferito che qualche scena, invece che limitarti a descriverla, l'avessi anche mostrata, in modo da far immedesimare il lettore nella vicenda, fargli vivere lo scontro da vicino. Finito questo appunto, posso dirti che mi è piaciuto il fatto che il capitolo abbia ripreso (immagino) dall'ultima scena del precedente, creando questo legame sottile e fluido tra questo e il capitolo prima. Sembrano confluire l'uno nell'altro con delicatezza e naturalezza. Complimenti.
Mi è piaciuto anche che hai invertito l'ordine cronologico del primo pezzo; questo ti ha permesso di far provare al lettore la stessa confusione, sorpresa e trepidazione di Takeko, senza svelargli cosa realmente fosse quel rumore e cosa stessa succedendo fuori. Io e Takeko sentivamo le urla, ma non vedevamo. Questo passaggio è perfetto.
Una cosa che apprezzo di questo personaggio è che maturato moltissimo dai primi capitoli, anche se non sembra. Prima di tutto non teme più il confronto con l'etichetta. Se prima le altre dame la mettevano in soggezione, adesso sembra mostrare una specie di sdegno nei confronti di certi gesti, vista la situazione. Capisce che ci sono delle priorità e che non serve avere l'approvazione di vecchie acidule, soprattutto quando c'è in gioco la vita della principessa.
Questo capitolo, poi, mi ha fatto apprezzare ancora di più quello che Hijikata ha fatto per Takeko qualche capitolo indietro. Qui la fortezza cade, e per quanto la principessa si opponga, i capifamiglia che avevano in consegna quella roccaforte sono chiamati a riscuotere il loro onore con il seppuku. Posso adesso dire di aver compreso che ciò che era successo con il rapimento della principessa era una cosa gravissima, a cui Takeko non poteva sfuggire. Hijikata ha mostrato molto più di quello che si potrebbe qualcuno aspettare da un maestro o da un comandante per il suo allievo/sottoposto. Assolvere in quella maniera alla mancanza di Takeko secondo me ha dimostrato un attaccamento affettivo che va oltre i blandi sentimenti di amicizia, che per un attimo ha soppiantato quelli di onore e rispetto e del codice dei samurai che lui applica e rispetta e fa rispettare.
E' vero che con Maeda dimostra dispiacere, è anche vero che con Maeda non può nascondere l'accaduto perché il fallimento dell'uomo e del figlio sono davanti agli occhi di tutti, soprattutto del generalissimo. Ma ciò non toglie quello che ha rischiato coprendo Takeko.
Per finire ho trovato il momento del seppuku molto ben descritto, anche se mi sarebbe piaciuto che focalizzassi sia questo momento che quello precedente con gli occhi di un personaggio. Non riesco a capire se utilizzi un narratore onnisciente o uno con focalizzazione, sembra capitolo di capitolo in capitolo. Qui, comunque, credo che a conquistarmi sia il modo in cui hai saputo differenziare la reazione di tutti loro. Ho apprezzato soprattutto che il figlio, in quanto a onore e forza di volontà, non è stato secondo al padre. Mi ha fatto pensare che questo abbia reso orgoglioso l'uomo e la loro famiglia, e anche che il figlio volesse dimostrare di essere degno del padre. In questa scena ho sentito molto l'unità famigliare, il vincolo di parentela.
Credo di aver detto tutto. Ci metterò un po' a passare anche nel nuovo capitolo che hai postato, perché ho anche altre storie da recuperare, ma arriverò anche lì.
A presto!
Recensione alla storia Le Marquis - 29/10/18, ore 11:59
Capitolo 1: Le Marquis
Ciao!
Facendo un giro nel tuo profilo ho trovato questa storia e, anche se non bazzico molto spesso nello storico, mi è venuta voglia di leggerla. E posso dire che ho fatto bene.
E' una storia semplice, che ripercorre i tratti salienti di ciò che accade tra questi due; la narrazione è essenziale, le informazioni vengono date più che altro dal narratore onnisciente e sono loro a spiegare le scene tra i due. E tutto questo è stato gestito con bravura secondo me, non facendo pesare la scelta strutturale che hai fatto, anzi, è quella che ha saputo maggiormente dare tono alla vicenda, conferendole quell'aria composta, posata, quasi distaccata di tutta la vicenda. Non punti affatto sul coinvolgere il lettore con le parole o l'introspezione, ma il lettore è comunque attratto dalla relazione che delinei, e ha spazio a sufficienza per immaginare da sé tutte le cose non dette ma presunte. In questo, posso dire che la mancanza di dettagli o grandi descrizioni non mi è mancata, ho davvero apprezzato questa scelta coraggiosa e ben gestita.
Qua e là ho visto qualche refuso e qualche virgola fuori posto, ma per il resto grammaticalmente non ci sono errori sostanziosi che rovinano la lettura. Stilisticamente invece ci sono alcune frasi un po' ingarbugliate: ne ho capito il senso, ma forse sintatticamente andrebbero riviste un attimino. La lettura, comunque, è stata molto piacevole. Bravissima per la scelta del lessico, per aver usato i dialoghi in lingua "originale" e per il modo in cui hai saputo dare al testo un ché di raffinato.
Infine mi fermo sui personaggi. Forse sto per dire una cosa stupida, ma la scelta di non caratterizzare in maniera netta le loro figure è stata una cosa che mi ha affascinato. Certo, in me ha fatto nascere una voglia matta di saperne di più, di avere un'altra storia su loro due, però la scelta che hai fatto in qualche modo si adatta perfettamente al contesto in cui hai ambientato la storia, e soprattutto alla trama. Sembra che la loro relazione sia sfuggente, quasi di poco conto, un amore che assume le forme più passionali e piene di desiderio che poi si trasforma in un doppio imbroglio. Ecco, l'idea dell'imbroglio, di qualcosa che sfugge, è ricalcato anche nella gestione dei personaggi.
Madame è una donna che si concede molti piaceri, che non ha molta cura del marito se non in misura in cui gli permette di vivere agiatamente e soprattutto d'incontrare le Marquis; è una donna che ama il lusso, egocentrica, a tratti infantile, l'emblema perfetto di quell'aristocrazia che calcava le scene di Versailles. Eppure, come molte donne che si riempiono di "cose", anche lei sente la mancanza di qualcosa; e quel qualcosa le viene dato proprio dal distacco non tanto indifferente di questo straniero. Lui è la novità, basterebbe questo per fargli desiderare di averlo; ma lui è molto di più. Le Marquis è un uomo che resiste alle sue stesse voglie e nega a lei la possibilità di soddisfare le proprie. E' un uomo che la rifiuta, più volte, ma che allo stesso tempo la fa sempre più sua prigioniera. Lui le insegna ad amare, a desiderare, a innamorarsi, a struggersi per qualcuno; riempie i suoi pensieri e le sue notti, la costringe a ingegnarsi per averlo, e qualcuno che si impegna tanto per qualcosa, lungo il cammino finisce per l'affezionarsi davvero. E questo affetto è un cappio reciproco, a cui lei non sa sottrarsi e che lui indossa come una semplice cravatta, portandola con sé nel suo amor di patria.
Non so chi dei due mi è piaciuto di più, ho amato entrambi i personaggi. Di lui sicuramente ho apprezzato tantissimo la lotta interiore, quel demone con cui ha convissuto per tutto il tempo, lottando in silenzio; si può quasi dire che l'amor di patria era un tarlo che aveva scavato ormai troppo in fondo perché la Madame potesse sradicarlo; e come puoi combattere con qualcosa che non sai cosa sia e che c'è? Era una lotta persa in partenza per entrambi, e lui non ha mai veramente avuto scelta. Aveva già scelto prima ancora di conoscerla da che parte stare. La sua scelta è stata solo quando farla finita... e ha aspettato troppo, e si è fatto male.
Davvero una bella storia, con il profumo di altri tempi.
A presto!
Recensione alla storia NAGINATA (なぎなた-薙刀) - 06/07/18, ore 12:07
Capitolo 12: Capitolo XI - Nagoya: parte I
Ciao!
E' vergognoso, lo so, ma non ho assolutamente visto l'aggiornamento. Non controllo per niente la lista delle seguite ultimamente, ed è un vero pasticcio. Mi dispiace davvero tanto avere tutto questo ritardo, ma per fortuna ho fatto un salto sul tuo profilo ieri sera e ho visto questo capitolo.
L'ho letto tutto d'un fiato alle undici di sera - un orario astruso per meXD - e ho preso appunti per poterlo commentare con calma quest'oggi.
La prima cosa che mi è saltata all'occhio è stata la differenza nella cura rispetto ai precedenti. Il testo è pulito, non ho trovato neanche il più piccolo refuso (e non credo che sia solo perché ho letto con gli occhi tenuti dagli stuzzicadenti), la narrazione scorre fluida e piacevole ed è facilissimo immergersi in questa fortezza così spartana, vedere i dettagli come i cannoni e il corteo che entra e tutti gli abitanti che si prostrano davanti al palanchino della principessa. Ogni pausa è ben calibrata, ogni paragrafo ben argomentato. Le descrizioni sono poche ma perfette, ma soprattutto i POV sono ordinati e ben distinti, così è stato davvero bellissimo leggere prima attraverso gli occhi di Takeko e poi attraverso quelli di Hijikata. Complimenti!

L'elemento descrittivo che più mi è piaciuto però è quello di natura "interiore".
Mi piace molto come esprimi la dignità di un samurai, ciò che vuol dire per loro l'arte del combattimento; e quindi quando "sbagliato" e infima sia una guerra combattuta a distanza, una che può colpire chiunque, a dispetto delle sue capacità. E' una morte sporca, un combattimento basso. La guerra è sempre un male, sia ben chiaro, però tu sei riuscita perfettamente a entrare nella mente di un samurai, nell'onore e negli ideali intrinsechi in quest'arte orientale. E' un concetto che hai evidenziato più volte attraverso Takeko: la rigidità di certi cerimoniali, la tensione che grava su Takeko a maggior ragione adesso che la principessa è stata rapita già una volta durante il tempo che era sotto la sua protezione e quando vivida forse la possibilità che lei dovesse togliersi la vita ormai macchiata da quel fallimento. Adesso si aggiunge quest'altro tassello, un qualcosa che avevo già visto riprendere in un libro fantasy che io adoro (ecco perché mi si è impresso così a fondo nella mente) ma che qui viene espresso attraverso una determinata cultura. L'arte del combattimento è un'arte di gente d'onore, che ha delle regole che rende la morte dignitosa. E' un po' come il concetto che dice "mia la sentenza, mia la mano che la eseguirà". Si tratta di responsabilità e di equità. Il più forte, il più degno deve sopravvivere. Una battaglia fatta di fuoco e lotta a distanza è una battaglia capricciosa, dove chiunque può morire per capriccio del destino o fortuna del nemico. Si perde il senso di responsabilità che un guerriero ha persino nei confronti di chi uccide. Tutto diventa sporco e confuso, e persino la mente comincia a dissociarsi e a perdere il senso della morte e della lotta.
Scusa questo papiro, ma è un punto a cui tengo particolarmente quando devo scrivere o leggere di guerra. E tu sei stata davvero brava in questo.

Passando alla trama e ai personaggi, mi è piaciuto moltissimo come hai saputo gestire i vari protagonisti, a partire da Takeko. Hai espresso molto bene, senza dire molto ma mostrandolo (ottimo uso dello "show don't tell") la paura di sbagliare di Takeko, la pressione che sta subendo da dopo il ritrovamento della principessa, quella costante presenza della spada di Damocle che le pende sopra la testa, magari anche un istinto che le suggerisce che non è ancora finita. Ma soprattutto su di lei c'è la colpa di aver fallito, forse anche un sentimento contraddittorio circa il perdono ricevuto da Hijikata (dopotutto ha un forte senso dell'essere samurai, e il fallimento non è proprio concepito da loro) ecco perché dico che sei stata brava a lavorare persino con il suo inconscio, mostrando questo disagio attraverso una forte tensione e una preoccupazione costante.
A tal proposito, mi è piaciuto molto la confidenza con cui Okita la ferma e le si rivolge, sempre con quell'aria sorridente e molto sfacciata, dai modi leggeri e disinvolti. E mi piace questo contrasto con Hijikata, più a modo e severo, distante in un certo senso. Un contrasto che viene esaltato anche nel pov di quest'ultimo, con un Okita che più rilassato si concede qualche vizio e Hijikata che mostra una mente più attenta e sempre attiva, dedita al suo lavoro. Per lui sembra non contare altro che servire il suo paese. E forse anche per questo quello che ha fatto per Takeko è stato importante e sorprendente, lo noto maggiormente adesso.
Hijikata è l'emblema del guerriero perfetto, ligio al dovere, quasi dalla sua presenza sembra emanare quella dignità e quella scioltezza seria che rispecchia la vita del samurai. E' l'incarnazione dell'essenza del samurai. E questo lo rende più lontano da Takeko, qualcuno da amare ma anche da venerare, e questa venerazione lo rende inavvicinabile. Takeko in un certo senso si sente inferiore a lui e questa disparità la porta sempre a spronarsi e a tendersi verso un ideale avanti a lei. Mentre Okita le cammina affianco, le sta vicino.
Questo triangolo, se così lo posso chiamare, che si è venuto a formare mi piace tantissimo, soprattutto perché lo stai rendendo con molta delicatezza e maturità, senza attacchi infantili, ma senza mai dimenticare l'ambito in cui questi tre si muovono. Quindi la parte romantica è strettamente legata a quella della guerra. Molto brava.

Bello anche il modo in cui porti avanti la presenza della cultura giapponese. Per esempio, la storia del riso e delle corvées. Hai fatto sentire davvero le varie differenze sociali, descrivendo contemporaneamente parte del sistema feudale giapponese e il livello di vita dei lavoratori più umili. Persino Takeko, che non posso definire povera, ha conosciuto questo cibo solo come qualcosa di speciale da assaporare in occasioni particolari.
Ottimo il modo in cui hai mosso il personaggio di Kioshi, perché hai saputo controllare persino un personaggio più piccolo come il bambino.

La parte finale lascia con il fiato sospeso e molta voglia di scoprire come proseguirà. Mi piace sempre come riesci a sfruttare i personaggi "comparsa", addirittura il POV di una persona morta. Bellissima l'immagine della collana fatta dal filo rosso che le taglia la gola.
Spero che questa recensioni ripaghi dell'attesa. Sicuramente leggere questo capitolo è stato un piacere, e sono felice che i consigli che ti ho dato abbiano dato questi frutti, mi ha sorpreso lo devo ammettere.
Complimenti davvero!
A presto!
Recensione alla storia In Memoriam - 03/05/18, ore 17:49
Capitolo 3: Libertà
Ciao!
Non ci posso credere di aver perso l'aggiornamento. Ho controllato parecchie volte, tanto che avevo perso la speranza di poter leggere l'ultima di questa raccolta(volevo anche chiedertelo, ma mi sembrava di impicciarmi dei fatti tuoi >.<).
Niente, da dire, tutto da ribadire: questa raccolta è bellissima. Giusto per rinfrescarmi la memoria, ho letto di nuovo anche le altre e ancora una volta non posso che rimane entusiasta da questo tris di composizioni.
Non so perché, ma ho immaginato lei di colore (questo è un po' più ovvio, per via del colore delle mani, ma non so se questo era un riferimento voluto) e lui un italiano... una storia che allora sarebbe stata mal vista (e che ancora oggi genera discussioni in certi paesi "fuori mondo", anche qui in Italia, purtroppo).
La prima cosa che mi è saltata all'occhio è stata la seconda persona del narratore (ultimamente è sempre più usata e sempre meglio, e tu sei bravissima ad adoperarla). Mi è piaciuta perché ha saputo dare una dignità e un orgoglio e una fierezza al personaggio che in qualche modo ha camminato di pari passo con il dolore.
Molto forte è questa frase:
Non hai mai pianto per la sua morte, perché lui cresce in te… in lei.
Non per nulla, penso che tu l'abbia collocato apposta al centro del componimento. Indica una persona forte, addolorata ma piena di vita, una donna che sa per cosa il suo uomo ha lottato: un mondo migliore, pulito, giusto, equo, libero. Parole che ancora oggi trovano poco spazio e poca verità nella nostra società ma che allora erano ideali forti per cui la gente moriva e... come la protagonista della tua drabble... viveva con coraggio e forza di volontà.
E' vero, le lacrime non sono segno di debolezza, eppure il fatto che i suoi occhi rimangano asciutti indica quanta tempra deva possedere questa donna, probabilmente combattendo contro indignazione, orrore, maldicenze anche, a testa alta, per qualcuno che ama e che ha amato e che avrebbe amato la sua bambina/o.
Un'altra cosa che ho apprezzato è il climax che utilizzi per descrivere le mani della donna: mani che hanno conosciuto la fatica, il dolore, il sangue, il male, ma hanno tutto il diritto e la delicatezza per toccare e accarezzare qualcosa di così puro come il ventre rigonfio, il viso di una bambina. Sono mani che proteggono, che sanno cos'è la vera dignità.
Mi piace la metafora finale, è degna della penna più elegante e poetica, e anche per questi colpi io ti ammiro.
Libertà: in onore di suo padre morto per difenderla.
Questa parte sembra avere un doppio significato: il padre è morto per la libertà del popolo, per la libertà sua e della donna che amava; ma sembra voler dire che ha combattuto anche per sua figlia, che lei appunto chiamerà Libertà, per poterle dare un posto migliore in cui nascere e crescere. In qualche modo, chiamandola così, la madre trasla l'amore che l'uomo prova per la sua patria verso la figlia. Davvero complimenti.
Ancora una volta hai affrontato con originalità e pathos il tema della memoria. Qui, nello specifico, la memoria del passato serve a costruire il futuro, il mondo di un bambino che deve nascere. Padre, madre e figlio/a rappresentano un po' i tre tempi: passato, presente e futuro. C'è una sorta di continuità tra l'ieri e il domani che sembra quasi chiudersi in un cerchio senza fine, lo stesso che rappresenta lo scorrere della vita, e a tal proposito è vero quello che dici subito dopo, ovvero che la vita non si ferma neanche davanti la morte.
Sono felice di aver potuto leggere quest'ultima drabble. Ti faccio ancora una volta i miei più sinceri complimenti per questa raccolta profonda, dall'impatto forte e dai significati profondi e importanti, che mi ha saputo regalare riflessioni ma anche emozioni immense contenute in piccole perle di raffinata stesura. Chapeau.
A presto!