È vero, circolare... triangolare... eppure, a me, questo tuo lavoro sembra più una spirale. Sia perché il sottofondo della canzone fa da comune denominatore e lega i tre diversi punti di vista. Ma soprattutto perché, nonostante siano tre flashfic apparentemente separate tra loro, io le vedo estremamente concatenate l’una all’altra. E i pensieri che mi suscitano penso possano essere riferiti a tutti e tre i bimbi speciali. Ma hanno una portata talmente generica che penso possano essere riferiti a chiunque...
Per cosa combatti? La domanda a cui non si riesce a rispondere. O, più probabilmente, a cui non si vuole rispondere, perché la risposta potrebbe rovinare tutto: se si capiva che no, non ne valeva la pena...? Ed ecco che, a causa di questo timore, ci si impone che è meglio non chiederselo. Ma lo sforzo con cui si cerca di bloccare una consapevolezza che ormai aleggia nella mente, fa diventare questa domanda una specie di riflesso condizionato. Di cui non ci si può sbarazzare.
E quindi bisogna convivere con la presenza permanente e inesorabile di queste domande a cui è impossibile rispondere. E si giustifica questa impossibilità dicendosi che questo non è il momento. Perché adesso bisogna essere lucidi, concentrati e mostrare sicurezza: ma ci sarà mai un momento in cui non si sentirà la necessità di apparire così? Lucidi, concentrati e sicuri di ciò che si sta facendo: non è forse necessario essere sempre così? E visto che, evidentemente, non lo si riesce ad essere veramente, bisogna almeno sembrarlo. E allora forse la cosa per cui vale veramente la pena combattere è proprio questa: sembrare forti, visto che non si riesce ad esserlo davvero.
Sì, forse dopo ci sarebbe anche stato il tempo di crollare ma a che pro? Tanto, ormai, non si sa per cosa si sta combattendo. E forse non lo si è mai veramente saputo. Tanto vale continuare a farlo. In fondo, forse non si è nemmeno in grado dei trovare dei validi motivi per smettere. O forse sì, ma anche questa è una domanda che sarebbe meglio non farsi...
Ed ecco allora che sorge la necessità di un rifugio, un luogo dove ci si può nascondere dagli altri, dalle nostre domande, dove ci possiamo prendere il tempo di consolarci. Un posto che amiamo, forse proprio per questo senso di sicurezza che riesce a darci.
Nonostante non riusciamo ad essere più sicuri di niente: di quello che si sta facendo, del perché lo si sta facendo. E iniziamo a non fidarci nemmeno di lui. E forse neanche di noi. Perché non si dubita della persona, ma di ciò che fa. Eppure, se noi per primi non riusciamo più a capire se ciò che stiamo facendo ha un senso, allora forse la stessa cosa vale anche per gli altri. Quindi, ok, magari non riusciremo a comprendere e a fidarci di ciò che lui fa, ma possiamo continuare a fidarci di ciò che è. Dobbiamo farlo. Per poter fare lo stesso con noi stessi.
Uhm... ok, ti chiedo davvero scusa e so che mi sto rendendo ridicola ma davvero, è stupefacente come tu riesca ad essere così incisiva in così poche righe! Come vedi, io non sono dotata del dono della sintesi, e forse tendo a perdermi troppo spesso in dietrologie tutte mie. Però oh, non vedo il motivo di censurarmi o trattenermi, tanto mica puoi sbeffeggiarmi mentre passeggio per strada additandomi come la stalker dai commentoni lunghissimi! Quindi, sì, porta pazienza perché temo che ti ammorberò con altri miei temini... perché mi piace tanto come scrivi! (Sì, oltre che logorroica sono anche ridondante e ripetitiva). |