Recensione/valutazione valida per il contest "Dal linguaggio iconico a quello verbale"
Grammatica e ortografia: 14/15
Non ho trovato nulla di particolare, anche perché quelle che potevano essere considerate leggere sbavature me ne hai già parlato in sede di invio del testo, ergo non c’era motivo di segnalarle in questa sede e posso dare un valutazione piuttosto alta.
Stile: 14/15
Mi è piaciuto molto, asciutto, senza particolari fronzoli o artifici, senza particolare retorica e senza traslare il testo in una sorta di lamentazione tragica (perché secondo me c’era il rischio d’incapparvi, data l’ambientazione), anche il lessico, curato ma senza particolari artifici, ma nemmeno particolarmente semplice, aiuta a entrare meglio nella storia
Originalità: 9/10 .
Personalmente il tema scelto e le note che accompagnano il testo mi hanno fatto propendere per un voto piuttosto alto, non si tratta proprio di un tema nuovo, ma mi piace molto questa rivisitazione di un mito così drammatico e cupo che tratta un tema, la caccia e la presenza dell’elemento selvatico, che in quest’epoca ipertecnologica si tende un po’ a dimenticare o al massimo se ne ha una visione edulcorata e rosea, per non dire paradisneyana.
Gradimento personale: 10/10
In primis complimenti per l’interpretazione del mito presente nelle note.
Premetto che già conoscevo la storia dello sventurato Meleagro, non solo per un mio pluriennale interesse per le mitologie (greco- romana in primis, poi estesosi anche ad altre tradizioni) ma per aver letto La madre, uno dei più conosciuti tra i Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese (se non lo conosci, te lo consiglio, è una lettura davvero godibile), in un certo senso si può dire che già il tema di per sé era alquanto attraente di suo (è piacevole, a mio modesto avviso di umile lettore di storie, che si possa ancora sentire attuali, nell’epoca dei bit e dei flussi d’informazioni in tempo reale, storie sorte quando il massimo della tecnologia in materia di conservazione dei dati era costituito al massimo dal papiro, sempre che non ci si volesse affidare alla sola arte mnemotecnica degli aedi, ma si dice appunto che la voce del mito sia senza tempo e che il messaggio che esso riporta sia universale perché nasce dalle fondamentali tensioni che fin dai tempi di Lascaux se non anche prima lacerano l’animo umano e ne caratterizzano la natura).
È stato detto, in epoca diversa da quella in cui è ambientata la vicenda che gli dèi classici erano falsi e bugiardi, non è questa la sede per discutere di storia delle religioni, ma è certo che i mortali poco potevano aspettarsi da queste divinità che non avevano la bontà e la misericordia tra i loro attributi, questa storia mostra in modo davvero molto interessante le conseguenze di una disobbedienza che forse alcuni avrebbero considerata veniale, ma evidentemente non quando si ha a che fare con entità particolarmente irascibili (del resto, nemmeno la stessa Atalanta avrà sorte particolarmente migliore, almeno stando alle tradizioni che circolano su di lei, è anche in quel caso per nulla che noi smaliziati osservatori del XXI secolo avremmo giudicato imperdonabile, ma quelli non erano tempi per fare gli agnostici e i laici, quelli erano tempi dove la punizione divina avveniva hic et nunc, insomma, era davvero molto stressante essere un eroe della mitologia greca, si dovevano affrontare mostri feroci e dopo aver faticato oltre ogni dire si rischiava la punizione divina, per usare una frase che si adatta al contesto, finire da Scilla per evitare Cariddi.
L’unico appunto che mi sento di fare in questa sede, anche se non fondamentale ai fini della comprensione della stessa, è che non riesco a capire chi è che sta parlando: se si tratta direttamente di chi ha scrittola storia o di qualcuno cui è stato affidato il ruolo di narratore o narratrice della vicenda; davvero, mi piacerebbe saperlo, si tratta di uno schiavo, di un suo compagno d’armi e/o d’avventure? Di uno/a che ha saputo della vicenda? Di uno/a che voleva aiutare? Era uno solo? Erano tutti? Scusa, mi sono lasciato prendere dal gusto della citazione…
Caratterizzazione dei personaggi: 4/5
In una storia come questa, che racconta di una persona morta (e in che modo) ci si aspetterebbe un testo di tipo laudatorio, e infatti nel testo si evince che lo sventurato era persona coraggiosa che non temeva pericoli né dagli uomini né dalle fiere, ma è stato vinto da chi poteva ciò che voleva, anche Atalanta, in fondo causa del suo male, viene descritta molto bene, soprattutto nelle caratteristiche che la rendevano così diversa, per non dire estranea, alla condizione femminile del tempo (i Greci se non erano misogini avevano una visione della donna piuttosto ristretta, anche se con qualche eccezione, per fare un esempio, le spartane avevano più autonomia rispetto alle congeneri ateniesi) che può essere riassunta nella frase (latina, ma si adatta al contesto) “Lanam fecit, domum servavit”, non c’è da stupirsi che qualcuno potesse essere colpito dal fascino particolare di una siffatta ragazza (del resto avere gli hobby in comune è sempre meglio in una relazione, no?)
Attinenza al tema: 5/5
Davvero strano, avevo pensato a questo contest perché si scrivessero storie ispirate a fan art, non avrei mai sospettato di assegnare la vittoria a chi invece s’è ispirata per la storia a un dipinto settecentesco di tipo mitologico, davvero molto bello, soprattutto nella scelta dell’artista di fare di Atalanta una sorta di novella Diana, come se nella mente ormai allucinata di Meleagro si fosse operato una sorta di transfer che ha portato a una sorta di identificazione tra le due donne, la mortale e la divina, che sono state così importanti nella sua vita (e nella sua morte).
Totale: 56/60 |