Eccoti. Finalmente. E vorrei sottolinearlo il finalmente, perchè viene proprio dal profondo del cuore (nel vero senso dell'espressione).
Ho letto tutto quello che hai scritto, lo giuro. Ma nulla, davvero nulla, era alla tua altezza. Questo, ovviamente, dal mio punto di vista, ma se non mi appello ad esso come verità, mi rimane poco niente. Le altre composizioni che hai scritto erano deboli, non banali, ma deboli, buone idee, sbiluppate poco e anche un po' male. E scusami la sincerità, ma credo sia importante, specialmente tra pari.
Questa poesia, invece, è bellissima. In tutto e per tutto: scelta lessicale, retorica, divisione delle strofe, sintassi. Tutto.
E' sempre un peccato sezionare le poesie, perchè guardandole pezzo per pezzo e, soprattutto, scrivendo con parole diverse quello che uno percepisce dai versi si perde sempre qualcosa, ma è ciò di cui ci dobbiamo accontentare: le parole sono uno strumento incredibile, ma ha anch'esso i suoi limiti, alle volte.
La prima strofa, parto dalla fine. "Nel buio che mi vince", mi ricorda tantissimo una frase che dissi io alla mia migliore amica, quando litigammo e finimmo per non parlarci più: "non voglio trascinarti nel pozzo in cui sto cadendo". Tutta questa poesia mi ricorda quella frase, ed è per me scioccante e al tempo stesso interessante: a distanza di cinque anni ritrovare parole così simili e così mie.
Il buio che ti vince, il buio che ti annulla, che annulla ogni tua scelta, che detta ogni tua azione. E sotto questo punto di vista io leggo ora gli altri versi: "ho confinato la luce / per non vederla sparire / per non sentirla morire": non sei tu ad averla confinata, non tutta te stessa, perlomeno, solo quella parte che il buio sta vincendo, e quindi quell'"ho", quella prima persona, è come se stonasse. Per me, leggendo tutta la strofa, stona. Ed è un effetto quasi cinematografico, estremamente poetico, che mi piace moltissimo. Altro elemento che fa stonare primo e ultimo verso? Tu ti identifichi con la luce, tu non vuoi solo "non vederla", tu non vuoi "sentirla" morire. Sentire è ben diverso da vedere, sentire è qualcosa di carnale, di intimo, di tuo: tu sei la luce, tu stai sparendo, tu ti stai confinando e per questo, solo per questo, il buio ti vince.
E' un circolo vizioso, che solo tu puoi spezzare. Ma questo esula dalla poesia.
La seconda strofa, così sintetica, altamente simbolica, si affretta a concludere, a dare una rapida, rapidissima immagine di quello che ora sei, di quello in cui il buio ti ha trasformata: "un predone di ombre", una figura oscura, non sempre malvagia, ma comunque esclusa, che si ciba di qualcosa di ancora più oscuro e malvagio, qualcosa che non farà altro che escluderla ancora di più; "in un baratro di sole". Ecco, su questo mi voglio soffermare di più. Qui il punto di vista è rovesciato rispetto alla prima strofa, e dà molta più notizia di quello che ora sei rispetto al primo verso. In quest'ultimo verso, tu hai abbandonato la luce, che è diventata baratro (con tutti i significati impliciti che si porta dietro e che non sto ad esplicitare) in cui tu affondi e in cui ti perdi, a cui non appartieni più. Ecco perchè sei predone. Al di là dell'analisi microscopica, la forza di quest'ultima immagine è enorme e, se si può dire di una forza, bellissima, spiazzante oserei dire. "Un baratro di sole". Come se fossi spettro e il sole ti sciogliesse. Il mondo si è capovolto ed è come se tu lo vedessi con i colori inversi (tipo quell'effetto che hanno le macchine fotografiche, per cui il bianco diventa nero e viceversa).
Ma comunque, per quanto questo quadro possa essere negativo, "bArAtro" e "solE" sono fatti prevalentemente di vocali aperte: non perdere la speranza, il baratro di può risalire, non grazie alle ombre, ma ritrovando te stessa.
Complimenti. Sentitissimi. |