Questa storia è una bellissima riflessione sulla paura. Al solito, trattata secondo il tuo stile, con i medesimi tratti stilistici di sempre - che anche stavolta, non mi ripeto, mi sono sembrati molto funzionali e quindi di ottimo gusto.
I modi in cui hai reso questo sentimento, che è il filo conduttore di tutti i vari sprazzi narrativi, è particolarmente bello ed è forse la cosa tecnica che più ho gradito: la evochi sempre in modo diverso, chiamando in causa ora questo ora quell'ambito sensoriale. In particolare mi è parsa molto efficace l'idea del tintinnio dei monili come metodo per infangere un silenzio carico di tensione da parte di un bambino spaventato. È vero che a volte basta così poco per sentirsi più a proprio agio, è un ricordo che arriva dritto da quella parte del cervello che ancora si ricorda che cosa significa essere piccoli immersi nel buio spaventoso, e per questo mi è parso particolarmente azzeccato. Ma anche connettere la paura con il freddo del ghiaccio fisico in contrapposizione al tepore di una mano materna (quindi riferire la paura e il suo contrario al tatto) o alle immagini dei volti grotteschi contrapposte alla descrizione piena di affetto e di ammirazione verso la figura della regina sono scelte che secondo me hanno pagato davvero molto bene.
Mi piace questo personaggio, questo Ralis. Alla fine è dannatamente umano nel suo cercare negli altri la forza per smettere di scappare. È maledettamente comprensibile quel suo desiderio di fuggire più veloce della paura. Ed è consolante, tenero, vedere che anche lui, come tocca fare a tutti quanti (o almeno, così dovrebbe succedere), riesce a trovare il coraggio sufficiente a fermarsi perché sa che è la cosa giusta da fare, anche se questo significa lasciarsi prendere da ciò da cui scappa.