L'incipit è l'inquadratura di un particolare che zooma all'indietro. Gli occhi di Luke, la figura di Padme e il miraggio di Naboo diventano un trittico maledetto, di spropositata sofferenza, che si ripropone in una creatura divorata dalle proprie ossessioni. I ricordi spargono sale sulle ferite aperte, non allietano il presente, non offrono la speranza di ricominciare, neanche di fronte a quella nuova giovane vita, frutto dell'amore (Luke): sono ombre, nomi ripetuti invano dalle labbra, morti che non tornano.
I ricordi di Anakyn scoprono la desolazione della realtà e narrano di un lutto destinato a non essere elaborato; di un'esistenza segnata dal possesso e dalla rabbia come rimedio all'ingiustizia e alla prevaricazione. Come tutti i rimedi, il farmaco della vendetta avvelena lentamente: il bambino puro si è deformato in un adulto agguerrito, affamato e che teme di perdere ciò che ha conquistato. È una sensibilità tragica, che nutre il mostro della gelosia e la paranoia di essere tradito, colpito alle spalle.
L'amore disintegra l'equilibrio: in esso predomina l'aspetto dell'ossessione. Di fronte al lettore c'è il risultato di una storia più complessa: un uomo a pezzi, perseguitato da un'assenza dolorosa e che lui tenta freneticamente di riempire con le tracce nella propria memoria, incamminandosi su un sentiero tortuoso di rimembranze. Il nome di Padme, a cui Anakin si rivolge indirettamente, s'insinua nelle trame delle sue azioni future, nel rimpianto, nell'atroce consapevolezza di aver perso l'amata e pure vederla, percepirla come immagine mentale vivida, fantasma onnipresente e che acuisce il suo dolore. Soffoca, annega, si strazia; e in qualsiasi modo agisca, nulla lo placa, nulla lo ristora. È uno strappo che lo rende muto, incapace di dare fiato alla propria pena, di sfogarsi, razionalizzare e andare avanti. È il cruccio di chi è solo dentro, annerito e avvizzito, non abituato a condividere o a rassegnarsi alla separazione affettiva.
Anakin dimostra di dare morsi alla vita, di consumarla in atti di violenza, tempeste che gli concedono brevi attimi di pace, prima di ripiombarlo nell'oscurità. È così familiare e doloroso leggerlo accanto al ventre della sua donna, che si danna altrettanto, ma viene prosciugata precocemente dalle vicissitudini di cui è vittima. In un momento tanto unico della loro esistenza - l'aspettativa della nascita - entrambi palesano un'infelicità che non sanno riempire, nemmeno in quell'abbraccio disperato.
Anakin non è neanche più lui: è un'invenzione altra di sé, un alter ego che dentro ha rovine e si muove tra di esse, come in un labirinto che non gli consente di uscire, di trovare altra via all'infuori della dannazione.
La limpidezza delle frasi ti ha aiutata a cristallizzare i momenti, a predisporre il salto da un frammento di memoria all'altro. Le rievocazioni sono scarne, nitide di per sé, non hanno la vaghezza del passato, bensì il chiarore irrazionale della disperazione; creano quella suggestione nostalgica che genera mancanza, che impila l'uno sull'altro i sentimenti e le miserie di un essere vivente, fino a sottolineare tutto ciò che è venuto meno. I pochi attimi di gioia, d'amore mal riposto, appaiono vani ed evidenziano la finitezza e la barriera fra sé e il prossimo, l'essenza nefasta del non poter condividere tutto, di non incastrarsi come si vorrebbe ai bisogni dell'altro. L'involucro di carne e di ossa si nasconde dietro una maschera, ma tradisce ancora umanità: sotto il camuffamento risiede un animo lacerato in brandelli di emozioni dai colori differenti.
Anakin si presta a un'ambiguità che viene palesata nell'interazione con Padme e tramandata alla nuova generazione. Eppure anche a quest'ultima spetta il fallimento, l'incapacità di comunicare e di affrontare i propri demoni: si è soli, con le proprie pie illusioni, i progetti (quella straziante frase finale) e ci si affida all'amara realizzazione di non poter ricevere conforto o una quiete che smorzi i pensieri più cupi.
Tra le tue parole c'è un uomo che si dibatte senza trovare un'oasi interiore, senza raggiungere un equilibrio; e ciò lo divide dagli altri, quegli altri che non possono entrare nel suo cuore o comprendere la sua mente. C'è il contrasto di una donna così fragile e viva, tradita dal corpo e dal cuore, che viene rincorsa e al tempo stesso è lei a palesarsi prepotentemente con quell'immagine cristallina ma impotente; c'è un bambino che è tutto (di lei) e niente (di lei) e porta su di sé un'eredità che non sa di avere; c'è un padre che padre non è e non sarà mai e che ciò che vuol avere per sé, perde inesorabilmente.
Dimostri di aver controllo su ciò che fai, su quel che doni, senza dimenticare una componente più sensibile e spontanea; rifuggi la parte più cerebrale e narri con un approccio poetico e malinconico. Complimenti.
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