Eccomi qui, di nuovo, e a poco tempo di distanza dalla prima recensione.
Spiccano subito le prime righe del capitolo. Il fatto che i bambini, dotati di quella loro innocenza costante, trovino l'amicizia una cosa così semplice e vera è così aw; credo che, anche da un po' più grandi, tutti loro trovassero quel loro legame perfetto e indistruttibile. Ho sempre amato la loro amicizia, forse l'ho anche un po' invidiata, pur rimanendoci male per la fine di tutto.
Il modo in cui Remus si sente, le sensazioni che prova – e che anch'io ho provato – quando Sirius gli domanda di sua madre e lui è costretto a mentire, è una delle cose più deprimenti che io abbia mai letto; un ragazzino di dodicianni costretto a dire bugie così per proteggere se stesso e anche la loro amicizia, sentendosi così triste e nervoso per tutto, vivendo con il costante terrore di essere scoperto.
La descrizione di Sirius che hai dato si adatta così tanto alla sua persona che mi ha quasi spiazzata, pur essendo un semplice insieme di sequenze descrittive.
Inizia uno scambio di battute dirette, semplici, adatte a due bambini di dodici anni che credono a tutti. Per un attimo, mi è sembrato che anche Remus credesse alle sue parole.
Il commento dei due sulla partita a scacchi fra Peter e James è un dettaglio molto carino, messo in quel contesto, mentre noi lettori ci sentiamo un po' tristi come e per Remus e un po' curiosi come Sirius.
“Non potrei mai giocare una partita che non so vincere. E tu?” “Non lo so” - “Sì, invece. Lo faccio a ogni Luna Piena. Lo faccio ogni giorno e ogni secondo...”
Il pensiero e al tempo stessa la tacita risposta di Remus mi hanno dato, qui, una certa angoscia. Forse perché, comunque, con scrittrici come te immedesimarsi nei personaggi e sentirsi parte di essi è così semplice da arrivare a farci sentire troppo un'altra persona e farci dimenticare completamente della realtà che ci circonda.
Poi arriva la pacca sul braccio di Remus da parte di Sirius, e ancora quel “Grazie” dopo l'augurio che tutto si risolva per il meglio dell'altro, mentre la madre non ha nulla ma è l'unica del quale la gente si preoccupa, vista la situazione. Difatti, poco dopo, l'unica cosa che riescono a dire in seguito al saluto di Remus è un semplice “Spero vada bene”, e mi chiedo davvero come ci si senta a essere in Remus e provare tutto ciò, ascoltare ogni singola parola ed essere consapevoli di quanto ognuna sia inutile.
Quindi Remus va via, ma prima cerca di aiutare James, anche se con gli scacchi proprio non ci sa fare. Poi il solito scambio di frasi, un 'spero stia bene' continuo, e l'unico con un problema, un problema dal quale non si può guarire, è Remus.
E poi, di punto in bianco, scopro che loro già sanno. E non me l'aspettavo, ero convinta che Remus avrebbe parlato di questo suo problema a loro, pur essendo un argomento così difficile da trattare per un adulto, figuriamoci per un bambino -anche se, credo, cresciuto troppo in fretta-. Spunta l'ingenuità dei tre, che non sanno cosa fare, non sanno se devono preoccuparsi o restare calmi, non sanno se devono parlare con Remus o tacere e, soprattutto, non sanno se i loro sospetti sono davvero veri, perché una piccola parte di loro vorrebbe che non fosse così. Tutti in preda ai dubbi -e, a distanza, anche Remus credo sia pieno di dubbi: lo sanno, l'hanno capito? Fingono di non esserne consapevoli? Mi sto sbagliando? Dovrebbero sapere?-, i dubbi che dodicenni normali non dovrebbero avere, dovrebbero tutti vivere una vita tranquilla e felice con ogni loro amico, dovrebbero raccontarsi ogni segreto, a dodici anni. E invece no, sono lì, in una scuola piena di gente avida di sapere ogni cosa oscura giri per le mura, a decidere cosa fare e come farlo, a rimproverarsi a vicenda per le idee stupide e a pensare a motivi che possano scagionare Remus da quella loro apparentemente assurda accusa. E James ride, e secondo me ride per non credere a quella che è la verità, ride perché tutto è assurdo e una persona esterna non ci crederebbe mai, osservando Remus, e loro che lo conoscono ancora meglio non dovrebbero avere tali sospetti, eppure ci sono ed è inspiegabile. La fiducia dov'è? Ma non può esserci fiducia in tali situazioni, nessuno ne parlerebbe. I dubbi di Sirius e Peter, contro i sospetti di James che crede non sia così cattivo, Remus, che li portano ad adirarsi un po'. Tutto è alimentato dal nervosismo e le storie si mescolano, il carattere di ognuno ha una sua ipotesi e tutto si aggroviglia; basterebbe chiedere a Remus e forse finirebbe. Insomma, in sintesi, sono tutti confusi e confondono anche me che, in modo esterno, conosco Remus e mi fido di lui da quando ho letto il terzo libro della saga.
Il modo in cui etichettano Remus mi sembra la cosa che li spaventa di più. Un po' come incute terrore il nome Voldemort, mi sembrano spaventati dalla parola 'Lupo mannaro', perché dentro ci vedono tutti oscurità e cattiveria, pur sapendo che Remus non è così.
Mi ha davvero stupito, in questa prima parte, Sirius.
Perché sono abituata a lui come all'uomo che non giudica gli altri, l'uomo che scappa dai dissennatori per non farsi togliere l'anima che merita, l'uomo che è costretto a nascondersi e a non vivere per l'assurdo giudizio degli estranei alla sua vita. E qui lo vedo così, spaventato -in fondo- da uno dei suoi migliori amici. Lo vedo urlare contro James che si fida di Remus. E trovo sia stato proprio Remus il tassello che lo ha cambiato, in un certo senso; da quello che è qui a quello che era prima di morire.
“Non è così che si comporta un amico”, queste ultime parole di James mi hanno fatta sospirare, dopo il completo cambio di atmosfera, dopo che Sirius ha deciso di lasciarsi tutto alle spalle, compreso il piccolo problema peloso di Remus, che da un fedele amico è improvvisamente diventato un Lupo Mannaro spietato.
“La verità fa paura, eh?” “Fa solo un po' male”.
Queste due frasi mi hanno lasciato un peso all'altezza dello stomaco. Non ho granché da dire su ciò, in realtà, ma ancora una volta mi sento così tanto Remus che quella verità fa paura anche a me. E, ancora di più, trovo dannatamente taglienti le parole di Sirius. Ancora, ripeto che non è proprio immaginabile un Sirius così. Pian piano, però, tutto si dissolve e il nervovismo sembra placarsi un po', pian piano sembra tornare lo stesso, pur essendo sempre un po' indignato per tutto.
“Non gli interessa che tu sia un mostro?”.
Okay, forse mi sbagliavo; le lacrime di Remus, tranquille, non sono servite a dare a Sirius un minimo di razionalità in più. Beh, non che abbia molto torto, perché comunque la situazione è quella.
In seguito, Remus si sfoga e penso di non aver mai letto nulla capace di farmi sentire parte del racconto così. E forse ti sembrerà che esagerò un po', ma autrici come te, soprattutto su EFP che ormai è occupato quasi soltanto da scrittrici senza un minimo di talento, non si trovano facilmente. Forse, non si trovano affatto.
E all'ultima parte, con le ultime frasi di Sirius del capitolo, ho finalmente rivisto quel Sirius che penso di conoscere abbastanza, il Sirius che un po' -un po' tanto- mi manca. Dopo averlo odiato per praticamente tutto il capitolo, visto che non si può certo apprezzare tutta quella rabbia, ho trovato invece il personaggio più interessante di quanto credevo fosse; e mi piace questo lato un po' più debole di Sirius, un Sirius che non ha paura di Remus ma di somigliare ai Black, un Sirius che adesso sembra tornato e del cambiamento e dei piccoli segreti che non mi aspettavo.
Detto questo, ho finito un'altra chilometrica recensione, che spero non ti abbia annoiata.
Alla prossima,
Ephedrine. |