Rieccomi, e del resto come potevo mancare, quando mi parli degli eroi omerici, da me adorati?
Davvero bello questo dittico, in cui affronti un momento ben preciso - e decisivo - nella vita di due personaggi che più diversi non potrebbero essere.
Ed è proprio questo che mi ha colpita: il modo in cui sei riuscita a esprimere la profonda diversità - di natura, di intenti, di spirito - che contraddistingue queste due figure; Omero parla di lupi e agnelli, ma forse sarebbe più esatto parlare di Dei e uomini. Non c'è nulla di umano, in Achille (se non, forse, il suo amore per Patroclo, l'unica cosa che lo fa vacillare): divina è la sua ira, divino il suo disprezzo per il nemico - per la sua fragilità di mortale privo di icore - divina la sete di gloria e la sete di vendetta, che non trova pace se non con l'annientamento di Ettore. Achille non è facile da scrivere proprio per questo: è *altro* da umano, i suoi pensieri non sono legati alla sfera quotidiana, alle piccole e grandi paure degli uomini; Achille è sempre un passo più in là, oltre l'orizzonte imperscrutabile, oltre la ragione e la prudenza- persino quando avanzare significa segnare il proprio fato, come lui fa quando uccide il suo nemico.
Nel tuo Ettore, invece, è presente tutta la grandezza e la fragilità della sua umanità - è nudo davanti alla morte, inerme davanti al giovane Dio-carnefice, eppure è capace di accettare il suo fato, appare quieto di fronte alla morte, non rassegnato ma forse sereno, conscio di avere vissuto tenendo fede a ogni suo principio. Si concede solo un ultimo sguardo all'amata, le fa visita per imprimersela nel ricordo, in un altro tempo e in un altro spazio - per poi lasciarsi scivolare via, verso le ombre.
Umana accettazione, in Ettore. Divina ostinazione, in Achille. Legati dal fato, che in entrambi si compie nello stesso istante
Davvero ben fatto. (Recensione modificata il 24/10/2015 - 01:47 am) |