Questa è la più triste delle storie, l’intreccio di chi sugli spalti siede e osserva lo scorrere nell’arena della tragedia di attori che giocano su parti contrapposte, per morali diverse: si scontrano, mangiano e finiscono in patta, pari nella sconfitta. Questa è una storia della quale nessuno ha mai potuto proclamarsi vero vincitore, dove solo chi comanda spettri e distrugge per una B o una A può pensare di uscirne indenne: senza graffi, senza male, senza essere davvero morto per ciò che si nasconde dietro un trofeo o una punta di freccia.
Giochiamo a fare i detective, a ricostruire puzzle, proprio come la buona Claire: una guerriera temprata da infinite battaglie, sempre l’eterna ragazzina in faccia agli eventi che l’hanno marchiata. E’ la sua indole che le chiede di imbarcarsi in quest’ultimo viaggio, il più tortuoso e doloroso, il più crudele e chiarificatore. Claire non parla, eppure i suoi occhi sono sinceri e comunicano una fiamma che non si spegne, la tenacia di una famiglia di cercatori d’oro che alla fine della miniera non rivelerà altro che un infinito cumulo di pirite: oro per gli stolti, macerie per tutti gli altri.
Ha capito Barry, perpetuo sacrificio, lo sbaglio di esplorare con una lama a doppio taglio una ferita vecchia più di cinquant’anni: salata, gelata, contagiata, disinfettata; non sterile, non libera dal parassita che l’aveva causata. Barry ha compreso come non sia la risposta tormentare i fantasmi per scacciarli, ha sanguinato come per dissolvere la maledizione sia necessario lasciar svanire i suoi spettri: non seguirli ma ignorarli, illuderli di poter vivere giù dalla croce che li ha sacrificati. Barry ha accettato i mostri e ha guadagnato non la vittoria e nemmeno una vita tranquilla, solo una discreta morte al silenzio di una villa e di un’isola che gli hanno concesso la sua famiglia in cambio del prezzo più alto che fosse disposto a pagare.
Eppure Claire non accetta: non è perché ha gettato la spugna che è scampata a Raccoon City, non è perché ha lasciato perdere che è ritornata da Rockfort, non è perché ha voluto chiudere gli occhi che è riemersa dalla palude di Sushestvovanie. Tuttavia è proprio questa sua volontà di vedere dove chiunque altro ha saputo solo giudicare che la intrappola in una spirale senza uscita, un buco nero che la inghiotte e attira al centro dell’inferno, oltre un orizzonte che con troppa fatica e troppo tempo Claire è riuscita a rivarcare: è scesa all’inferno per confrontarsi con la Padrona, esporle le proprie ragioni, venire schiacciata dalle sue verità non dette. La morte non ha mai avuto un odore così vitale, innocente, felice, un futuro dagli uomini per gli dei che conceda loro la libertà di provare, di sentire, di vivere e non più limitarsi a sopravvivere. Per questo Claire è interdetta, per questo non riesce a darsi pace: dove aveva cercato mostri aveva scovato una madre e suo figlio, una sorella e un fratello -come loro-, una donna e tutta la sua vita.
Claire è come la combattente che decide di impugnare arco e frecce per contrastare fucili e cannoni: stringe una pistola per difendere e non offendere, per comprendere un’ultima volta il valore del sentimento che è chiamata a testimoniare, l’apposizione del sigillo su una forza che ha trasceso il destino e la malattia per esigere il futuro che le spetta senza richieste o compromessi, senza temere nulla e nessuno, le armi per dividere e dividersi giudici di un crimine ormai prescritto ma mai davvero passato. E allora cosa può fare ora Claire se non accettare la verità di una storia che rivela il ruolo dei buoni rispetto ai cattivi, dei protagonisti lacerati di una vicenda costruita sulle spalle di uomini come loro, nati sul confine sbagliato. Claire si scopre nessuno per negare una possibilità a persone che hanno tentato di risollevarsi, che hanno cominciato per la prima volta a vivere solo per se stessi e non vogliono nulla se non un futuro così vicino da uccidere pur di riuscire ad ottenerlo. Con questa consapevolezza il pedone affronta la Regina, con la sconfitta nel cuore abbraccia la verità per la quale è stato deciso che Claire Redfield doveva essere immolata: davanti a lei Alex Wesker, diavolo gentile di bianco vestito, e Albert, oggetto non soggetto di sentimenti tanto forti da animare la bellissima bugia al centro dell’arena.
A questo punto l’occhio esterno non si farà fuorviare e avrà chiaro come nessuno dei partecipanti possa ergersi davvero campione, come Burton, Redfield o Wesker siano gli uni più lontani dagli altri dal conquistare la buona stella. Quale gioiosa celebrazione meriterà allora da parte loro questa vita che non hanno potuto che assaggiare, altrimenti nemmeno sfiorare; a quale vittoria sarà possibile inneggiare quando nulla per loro è stato mai davvero di guadagnato?
Barry, che ha tradito gli amici per la famiglia e ha combattuto per riguadagnarne la fiducia; fuggito dai nidi di ragno per difendere ciò che amava, la mano strisciante è giunta ancora alle porte del paradiso per innalzarlo nuovamente a sacrificio. Così la maledizione lo ha rigettato nella bocca dell’inferno.
Poi Claire impavida, che ha guidato fino al ventre della vendetta per osservarne l’ascesso suppurante riversarsi indecente sul mondo inerme: ha incontrato amici, salvato vite, visto morire nella pazzia e perpetuarsi nella malattia; è fuggita da uffici che dovevano salvarla attraversando bianchi laboratori, è volata alle prigioni dei giusti che sbagliano combattendo chi sbaglia, infine ha sbriciolato i ghiacci di una storia congelata col tempo per rimanere bloccata in un’altra destinata a durare oltre il Tempo. Tanti sono i colpi che Claire ha subito, la metamorfosi di Gregor e Grete solo l’ultimo parassita che ha ucciso le radici di una quercia destinata a cadere.
Infine Alex che muore e si dispera, graziata nell'utilità di innalzare a dio il fratello e gettata come rifiuto nel peggiore degli inceneritori. Ha pianto e si è vestita di rabbia, ha ucciso innocenti per condividere il dolore, ha bestemmiato il dio che le ha fatto questo perché tutte le cose succedono a lei, povera Wesker. Quale vittoria potrebbe mai annoverare nella sua miserabile esistenza quando lei nemmeno l’ha mai avuta una cosa degna di tale nome, un’infima speranza di mendicare ciò che ogni umano dovrebbe avere di diritto. No, troppa gioia per chi perde ancor prima di gareggiare, per chi deve forzare e costringere il destino a girare nel verso giusto, una volta ogni tanto.
E’ così evidente ora come nessuno abbia mai avuto la possibilità di uscire vivo da questo disgraziato girone alla fiera dei perdenti, dove chi aveva veramente le redini alla mano ha lui stesso di perso, schiacciato dai propri deliri e dal totale fallimento. Sono allora questi gladiatori allo sbando che ora pagano la pena, continuando a combattere per la pace, per la verità, per la libertà, per apprendere ad accettare la sconfitta che concederà loro la fine dei giochi. Per questo solo l'occhio esterno potrà ottenere la presunta vittoria, per chi corre la buona consolazione un game over prematuro, forse l’unica vera liberazione. (Recensione modificata il 09/01/2017 - 07:53 am) |