Recensioni per
La lingua della memoria
di PervincaViola

Questa storia ha ottenuto 3 recensioni.
Positive : 3
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
24/01/17, ore 13:11

Prima Recensione Premio per il contest "Award for best Drabble&Flasfic"
Eccomi! Mi spiace averci messo tanto a giungere fino a qui.
Partiamo dalla parte meno piacevole, di solito: qui, in realtà non ho quasi nulla da dire, se non consigli da condividere.
1. L'uso che fai del "be'". In realtà, questa forma scritta è "bene" troncato, quindi va usato solo laddove ha il significato della parola appena indicata; nel senso in cui lo utilizzi tu, si scrive "beh".
Ho, poi, una frase da sottolineare, la quale, resa in questa maniera, mi stona un po' e non l'ho capita:

" la verità è non può evitare di interrogarsi su cosa accada nella tua testa sapendo, dentro di te, che non c'è mai stata speranza, che la tua fine è già stata scritta da qualcun altro. "

Il narratore sta parlando al lettore? Ma il soggetto prima non era Newt?

Ultimissima cosa:

«Qualunque cosa fosse, ora è finita» gli dice, accostandoglisi impercettibilmente – quasi avesse visto il suo sogno –, ed così sicuro e rassicurante, così vicino, che Newt non può che credergli.

Manca il verbo, credo...
Mi piace molto il tuo ritmo di narrazione, il tuo "possedere" e controllare la pagina e la storia, con uno stile impeccabile, dolce e coinvolgente. La tua narrazione è pulita, immediata e piena di sfumature che arricchiscono la storia.
Ti ringrazio per questo "what if?": ho sempre desiderato vederlo vivere, se non solo per tutto quello che ha fatto e che è stato per tutti, protagonisti e lettori. A me, il suo personaggio è rimasto nel cuore. La chance che gli hai dato, non solo nel restare vivo ma con il nostro Thomas, mi ha intenerito: l'hai dosata con maestria e l'hai resa in modo sincero e appassionante, quasi soluzione naturale dell'intera trama.
Ti dico subito che ancora una volta, se devo scegliere ciò che mi è piaciuto di più(senza, però, sminuire il resto, perché la mia scelta comprende in realtà tutto) è il titolo: hai la capacità, ed è rara secondo la mia esperienza, di rendere il titolo multitascking, pieno di sfumature e significati. La lingua della memoria è quella di Thomas, ma è una lingua personale, che in realtà può comprendere solo Newt. Se Thomas parlasse a qualcun altro, il valore delle sue parole non sarebbe così "unico". Per Newt poteva essere solo la sua voce!
La trama mi ha coinvolto dall'inizio alla fine: è placida, avvolge il lettore così come il Paradiso circonda gli Immuni.
I pensieri di Newt si sciolgono con il giusto ritmo, le sue reazioni sono realistiche e inerenti al contesto. Per lui è una seconda rinascita: la forza nel suo personaggio non sta nel mostrarsi forte, ma nell'accettare le sue debolezze. Ha empatia verso il prossimo, all'inizio offuscata dalla confusione dovuta alla situazione in cui versa. La premura di Thomas non è atipica, anzi, è in linea dal primo all'ultimo verso con il suo personaggio, tanto che la tua interpretazione del loro essere risulta fluida e convincente.
A dirla tutta, adoro Minho: il suo carattere duro, da sopravvissuto, ma comunque amico, lo rende burbero, intransigente, schietto e diretto. Sta ai margini, ma fa comunque sentire il peso della sua presenza.
Ancora un complimento vanno agli "arredi": ottime le descrizioni del paesaggio, ben dosati i flashback e fluidi i passaggi tra passato e futuro. I dialoghi, spezzettati da un realistico Newt bramoso di sapere, rendono il resoconto fatto da Thomas - e quindi le informazioni che da - per nulla piatte, ma interessanti, come se le stessimo leggendo per la prima volta.
In definitiva, un ottimo lavoro che mi ha intenerito e commosso, con la sua dolcezza e semplicità. Complimenti!
A presto!

Recensore Veterano
18/12/16, ore 21:35

[Valutazione del contest It's too cliché - Seconda edizione]

Titolo:

Il titolo è originale e poetico, si adatta benissimo alla trama e insinua nel lettore la curiosità di saperne di più sulla storia per svelare il mistero nascosto dietro queste parole apparentemente semplici, ma dal significato complesso.



Uso del cliché:

Il cliché è pienamente rispettato: a inizio storia Newt ha perso tutti i suoi ricordi, e anche se ci sono sia Minho che Thomas a prendersi cura di lui è quest’ultimo che ha un ruolo determinante, e che inoltre lo aiuta con pazienza e dedizione nel suo lungo e travagliato percorso per il recupero della memoria.



Caratterizzazione dei personaggi:

La caratterizzazione di Newt è già molto complessa di per sé, date le mille sfaccettature di questo personaggio, e l’aggiunta della perdita di memoria ha certamente aggravato una situazione già difficile… eppure tu sei riuscita a delinearlo splendidamente, rendendolo allo stesso tempo fedele a se stesso e a questa nuova situazione in cui si ritrova catapultato.

La confusione iniziale che alberga nella sua testa è così ben descritta da potersi quasi toccare con mano, e il lettore si ritrova catapultato in quella stanzuccia a chiedersi insieme a lui come diamine ci sia finito e chi sono quei tizi che si rivolgono a lui come se lo conoscessero da sempre.

La reazione di Newt a quella confidenza è di chiudersi a riccio, e anche questo è del tutto naturale: non ha idea di chi siano né di cosa vogliano da lui, e il trovarsi in un posto sconosciuto con persone sconosciute senza altro in testa che il ricordo del proprio nome non spinge certo a voler socializzare.
Come hai giustamente fatto notare tu, è una reazione simile a quella che i Fagiolini hanno avuto dopo essere stati catapultati nel Labirinto… anche se lì, in effetti, la situazione era completamente diversa: il novellino non conosceva nessuno, vero, ma nemmeno gli altri conoscevano lui.

Qui è diverso: Thomas e Minho lo conoscono già Newt, e siccome anche il lettore conosce la storia pregressa del Labirinto e della fuga verso il Paradiso, riesce senza difficoltà a ricostruire le loro grazie alle poche parole che pronunciano quando Newt si risveglia: sono sorpresi e sollevati, felici per quello che è quasi un miracolo ai loro occhi… e poi delusi, tristi e arrabbiati (con lui, con loro stessi, con la C.A.T.T.I.V.O.) quando scoprono della sua amnesia.

Nei giorni successivi la reticenza di Newt ad aprirsi si scontra con la testardaggine di Thomas nello stargli vicino, ed è molto bello leggere di come, nonostante Thomas sia un tipo estremamente impulsivo che vorrebbe sempre fare “tutto e subito”, con Newt impara il valore della pazienza.

Newt nel primo periodo di convalescenza si comporta come un animale ferito, braccato da un nemico che non riesce a vedere, ma pian piano le rituali visite silenziose di Thomas (intervallate da quelle di Minho, che nonostante guardi storto Thomas e lo consideri un po’ matto non si intromette mai in quella che è diventata la sua personale missione di salvataggio) riescono a far breccia nel muro che aveva eretto attorno a sé. Dopotutto, sepolta sotto strati di paura, c’è sempre la sua proverbiale razionalità che continua a ripetergli che se quei due ragazzi, Thomas in particolare, si prendono tanto disturbo per aiutarlo allora non è possibile che siano degli sconosciuti… vuol dire che sono (erano?) davvero suoi amici.
E quando, finalmente, Newt cede e gli chiede di aiutarlo a ricordare, ecco che quelle memorie sepolte nella sua testa iniziano a riaffiorare.

Con il progredire del racconto si ha anche un’evoluzione nel rapporto di Newt e Thomas: ormai per Newt quello strambo ragazzo che passava tutto il giorno ai piedi del suo letto non è più un estraneo, ed è bellissimo come, di pari passo con il racconto della nascita della loro amicizia, il loro attuale rapporto si consolida sempre di più.

Inizia anche a far capolino la parte più spigliata di Thomas e quella più rilassata di Newt. Iniziano gli scherzi e la complicità che credevano persa per sempre, e che invece aveva solo bisogno che qualcuno la cercasse meglio per saltar fuori come se non se ne fosse mai andata.

Il giorno in cui Thomas è in ritardo per quello che ormai Newt considera “un caspio di appuntamento giornaliero” è cruciale per abbattere le ultime ritrosie e lasciare il via libera ad un nuovo inizio.

Arriva poi il giorno in cui Newt riesce ad alzarsi dal letto, e la sua reazione nel vedere il mondo esterno è esattamente quella che ci si aspetterebbe: meraviglia e sorpresa per quel posto che, sì, è a tutti gli effetti un Paradiso.
Thomas gli è a fianco come sempre, lo guida e lo sostiene e sembra quasi volerlo proteggere anche da quei pericoli che ormai si sono lasciati alle spalle.
Minho invece è sempre il solito: scherzoso e sarcastico, nasconde l’affetto e la sincera felicità che prova nel vedere il suo amico di nuovo in piedi dietro una maschera di battute ironiche… maschera attraverso cui, ormai, Newt riesce a vedere senza difficoltà.

A questo punto, però, ho trovato una piccola nota stonata quando Newt, riferendosi a Brenda, dice: «E allora perché caspio mi sta guardando come se ti stessi corteggiando?»
Non mi torna perché, dal momento che Thomas gli ha detto che lui e Brenda non stanno insieme, Newt non ha ragione di collegare istintivamente lo sguardo truce di lei a un’ipotetica gelosia, e questa domanda suona un po’ troppo forzata. Sarebbe stato più indicato qualcosa del tipo “Perché mi guarda come se le avessi ucciso il gatto?” (n.d. ho inserito un’azione orribile random, solo per farmi capire) o anche solo un semplice “Perché mi guarda come se mi odiasse?”.
Capisco la necessità di quella domanda specifica per la scenetta (adorabile) che la segue, ma in un contesto dove tutte le azioni e le battute dei personaggi sono estremamente naturali questa forzatura salta subito all’occhio, rovinando (seppur di pochissimo) l’armonia del racconto.

Da quel momento il racconto del loro passato riprende sulle rive del laghetto, ma ad un certo punto queste nuove immagini fanno fatica a prendere forma nella mente di Newt, rimasta come bloccata al momento dell’annuncio che ha cambiato tutto: quello in cui, con voce sterile, gli hanno rivelato che, di fatto, la C.A.T.T.I.V.O. l’aveva condannato a morte fin dall’inizio, senza via di scampo.
È qualcosa di enorme, da mandar giù, ed è naturale che Newt continui ad arrovellarsi su quelle poche parole e sulle loro implicazioni (per lui, per i suoi amici, per la loro vita) senza riuscire a concentrarsi davvero su quel futuro che gli era stato negato in nome di un “bene superiore”.

Ho trovato molto appropriata la scelta di Thomas di non parlare a Newt del contenuto della lettera, esattamente come non gli ha parlato del motivo per cui è diventato zoppo: sono argomenti estremamente dolorosi e delicati, e ripeterli ad alta voce sarebbe come riviverli… ed è ovvio che non voglia farlo.
Tanto più che è sicuro che, come per tutte le altre cose, anche i particolari di queste due storie emergeranno spontaneamente dalla nebbia dei ricordi di Newt.

E infatti alla fine Newt si ricorda tutto. Si ricorda il buio, si ricorda la rabbia, si ricorda la supplica che gli ha fatto mentre si puntava la canna della pistola alla testa.
Ricorda tutto, e quando chiede a Thomas perché non glielo avesse raccontato lui – giustamente – sbotta e tira fuori tutta la rabbia che aveva accumulato in quei momenti critici, e Newt finalmente si rende conto davvero della portata della sua richiesta: riesce a mettersi nei panni di Thomas, e capisce che al suo posto neppure lui avrebbe potuto fargli una cosa del genere e che l’avrebbe salvato a tutti i costi.
E, di fronte a questa consapevolezza, Newt si lascia andare e abbraccia Thomas. È un gesto istintivo e inizialmente impacciato, ma naturale come respirare, e mentre sono legati l’uno all’altro e assaporano la gioia assoluta di essere entrambi vivi e al sicuro continuano a parlare, buttando fuori gli ultimi rimasugli di veleno tra una confessione e una battuta.

Quando infine Newt chiede a Thomas di Teresa lui esita a lungo, perché nonostante la brutta piega che aveva preso il loro rapporto (sappiamo che non è mai riuscito a perdonarle le bugie e i tradimenti) la sua perdita lo ha colpito a fondo.
«È morta per salvarmi. Come Chuck»
Sono poche parole che racchiudono tutto il senso di colpa che ha attanagliato Thomas e che lo tormenta ancora adesso; e Newt riesce come sempre a leggerlo tra le righe, stringendogli forte una mano per dimostrargli coi gesti quella vicinanza che le parole da sole non bastano ad esprimere, non quando c’è di mezzo un dolore come questo.

E infine il percorso di recupero della memoria di Newt giunge al termine, e quando ormai è padrone di tutti i suoi ricordi – o almeno, di tutti quelli posteriori al labirinto – si sente pronto a crederci davvero, in questo nuovo inizio. Con Thomas.

Thomas che non ha cessato un solo istante di restargli accanto, che lo volesse oppure no, anche perché – come ha detto lui stesso – «Non avrebbe avuto senso salvarti allora e abbandonarti qui».

La scena finale del bacio è dolce, e impacciata, e lascia anche un filo di imbarazzo sulle guance di quei due ragazzi che fino ad allora, di amore, avevano a malapena sentito parlare.



Stile e trama:

Lo stile di questa storia è estremamente introspettivo, ma grazie alla sintassi chiara e ben curata la lettura non è mai pesante: periodi brevi e lunghi si alternano dando al racconto un ritmo lento ma costante, e anche in quelli più complessi non si raggiunge mai il secondo grado di subordinata, permettendo al lettore di seguire senza difficoltà il filo del discorso.

Il lessico è particolare, ricercato quanto basta per distinguersi ma non tanto da dare fastidio; nei discorsi diretti, invece, i termini usati sono quelli di un vocabolario quotidiano arricchito da quello tipico dei Radurai, il che aiuta non poco a rendere verosimili i dialoghi tra i protagonisti.

Avendo raccontato tutta la storia dal punto di vista di Newt, all’inizio non si sa nulla del travagliato percorso che l’ha portato nella stanza in cui si è risvegliato: questo viaggio di scoperta attraverso i ricordi che pian piano Thomas lo aiuta a recuperare è lungo e sofferto, e il lettore vi partecipa in prima persona.

Fin dall’inizio viene detto chiaramente che Newt, quando dorme, sogna spezzoni di quella vita che non ricorda più, e ho trovato molto azzeccata la scelta di raccontare per intero solo quelli che non possiamo conoscere: forse sarebbe stato interessante aggiungerne altri per vedere alcune scene salienti dalla prospettiva di Newt (come hai fatto per quella della pistola), ma il rischio di rovinare la storia con un effetto di “brodo allungato” era molto alto, e personalmente la preferisco così.

La trama di questa storia è piuttosto semplice (un ragazzo privo di memoria cui viene raccontata la propria vita con lo scopo di aiutarlo a ricordare), e si sviluppa in modo chiaro e lineare dall’inizio alla fine. Il modo in cui l’hai proposta, invece, con tutta quest’introspezione e quest’evoluzione parallela nei ricordi e nei rapporti le conferisce una struttura davvero particolare e originale.

Ho apprezzato molto anche la cura dei dettagli sia pratici (le bende da cambiare per la ferita, la mela da mangiare per abituarsi pian piano al cibo nuovo, il fatto che dopo più di un mese a letto Newt non riuscisse a reggersi in piedi) che quelli psicologici (lo stato di confusione inziale, la domanda sui suoi genitori, il guardare Thomas negli occhi per assicurarsi che gli dica la verità). Trovo che abbiano contribuito non poco a dare ancora più spessore a una storia che già di suo è molto profonda.

A proposito di dettagli, una piccola precisazione: quando Newt esce fuori per la prima volta dice di vedere “tanti, tanti ragazzi che ridono e lavorano”.
Ecco, in effetti nel Paradiso non ci sono soltanto ragazzi, perché la C.A.T.T.I.V.O. aveva nascosto nei labirinti persone di tutte le età, bambini e adulti compresi, e anche se molti purtroppo non ce l’hanno fatta è una “fauna” più variegata di soli adolescenti quella che riesce a raggiungere il traguardo di quella fuga rocambolesca.

Infine, tornando a parlare dei sogni, ho amato follemente questa struttura quasi circolare che danno alla trama: nel primo descrivi quella che è evidentemente l’operazione cui Newt è stato sottoposto per curarlo dall’Eruzione; il secondo è un po’ di transizione, dove vediamo la già nota scena della pistola, ma dal punto di vista di Newt; il terzo, infine, è l’inizio di tutto, è il come Thomas sia riuscito a portarlo in quel lettino dove è avvenuta la prima scena sognata da Newt all’inizio di questo racconto.

È stata una scelta molto appropriata, secondo me, per questa storia che è un continuo e rocambolesco viaggio dove racconti del presente e ricordi del passato si intersecano fino alla fine, dove sfumano entrambi lasciando spazio al futuro.



Gradimento personale:

Ho amato ogni riga di questa storia: mi ha fatta emozionare dalla prima all’ultima parola, raccontandomi con cura e dovizia di particolari quel lieto fine per Newt (e Thomas) che io, come moltissimi altri, avrei tanto voluto leggere anche nei libri.

Recensore Master
10/10/16, ore 16:44

Ciao! :)
Ti ringrazio per questa tua perla. Questa fanfiction è meravigliosa e l'ho letta tutta d'un fiato, lo stile è scorrevole e privo di errori e si fa leggere benissimo.
Adoro questa coppia, e tu hai scritto una delle what if? più belle: il finale alternativo in cui Newt non muore e ha la sua happy ending con Thomas. Ho apprezzato davvero tantissimo!
Devo segnalarti solo una cosa: in originale Newt è l'unico a chiamare Thomas "Tommy", Minho lo chiama per nome. E' come se fosse una piccola esclusiva :) C'è un motivo per cui anche Minho lo chiama così, in questo scenario post-libri?

Complimenti ancora per la fanfiction! Se ne scriverai altre su di loro sarò felicissima di leggerle*w*

-Rika